Ricorso n. 60 del 5 maggio 2006 (Regione Emilia-Romagna)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 5 maggio 2006 , n. 60
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 5 maggio 2006 (della Regione Emilia-Romagna)
(GU n. 23 del 7-6-2006)
Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in, persona del presidente della giunta regionale pro tempore, sig. Vasco Errani, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 506 del 10 aprile 2006 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura speciale a rogito del notaio dott. Federico Stame di Bologna, rep. n. 49876 dell'11 aprile 2006 (doc. 2), dal prof. avv. Giandomenico Falcon del foro di Padova e dall'avv. Luigi Manzi del foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Confalonieri, n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 21 febbraio 2006, n. 49, conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, recante misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonche' la funzionalita' dell'amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 48 del 27 febbraio 2006 - Supplemento ordinario n. 45, nella parte in cui inserisce nel testo del decreto-legge i seguenti articoli: art. 4-undecies; art. 4-quaterdecies; art. 4-quinquiesdecies, per violazione degli articoli 117, commi 3 e 4, 118, 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni. F a t t o La Regione Emilia-Romagna e' dotata di potesta' legislativa concorrente nella materia della "tutela della salute" e di potesta' legislativa piena nella materia delle politiche sociali. Con il decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, sono state adottate "misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonche' la funzionalita' dell'amministrazione dell'interno", e sono state anche dettate "disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi". Della materia della tossicodipendenza, dunque, il decreto-legge n. 272 del 2005 si occupava in un solo articolo, e precisamente all'art. 4, concernente Esecuzione delle pene detentive per tossicodipendenti in programmi di recupero. E' poi accaduto che, nel corso del procedimento di conversione, siano state inserite nel decreto-legge numerose disposizioni nella stessa materia: addirittura, sono stati aggiunti 22 articoli (da 4-bis a 4-vicies ter), la grande maggioranza dei quali modificano o sostituiscono disposizioni del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati i tossicodipendenza. In questo modo, si e' operata una vera e propria riforma della materia della tossicodipendenza, utilizzando a tal fine la sede, del tutto impropria, del procedimento di conversione di un decreto-legge che aveva altro oggetto. Lo stravolgimento del contenuto del decreto-legge risulta anche per tabulas, dato che l'ultimo periodo dell'allegato alla legge di conversione modifica il titolo del decreto-legge, aggiungendo le parole "e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309". Tale distorsione della procedura di conversione configura, come si vedra', un autonomo vizio di costituzionalita', che in ogni modo la ricorrente regione ha interesse a fare valere soltanto in relazione alle disposizioni qui impugnate, le quali risultano illegittime e lesive delle attribuzioni regionali anche per il loro intrinseco contenuto. Esse vengono, pertanto, impugnate per le seguenti ragioni di D i r i t t o 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 4-quinquiesdecies, in relazione all'art. 116, comma 1, prima parte, d.P.R. n. 309/1990. L'art. 4-quinquiesdecies, decreto-legge n. 272/2005, introdotto dalla legge n. 49/2006, sostituisce l'articolo 116 del d.P.R. n. 309/1990. Il nuovo art. 116 e' intitolato Livelli essenziali relativi alla liberta' di scelta dell'utente e ai requisiti per l'autorizzazione delle strutture private. Il comma 1 stabilisce che "le regioni... assicurano, quale livello essenziale delle prestazioni ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione, la liberta' di scelta di ogni singolo utente relativamente alla prevenzione, cura e riabilitazione delle tossicodipendenze". La norma e' ad avviso della ricorrente regione costituzionalmente illegittima sotto distinti profili. In primo luogo, appare evidente che la liberta' di scelta non e' un livello essenziale delle prestazioni. Codesta ece.ma Corte costituzionale ha ormai precisato piu' volte il concetto di livelli essenziali delle prestazioni, in modo da individuare - e delimitare - gli esatti confini di tale competenza esclusiva statale. Cosi, la sentenza n. 383/2005 ha stabilito che "tale titolo di legittimazione puo' essere invocato solo "in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa nazionale definisca il livello essenziale di erogazione", mentre esso non e' utilizzabile" al fine di individuare il fondamento costituzionale della disciplina, da parte dello Stato, di interi settori materiali" (cfr., da ultimo, la sentenza n. 285 del 2005)"; e la sent. n. 271/2005 ha negato che si potesse invocare l'art. 117, comma 2, lett. m) in quanto "la legislazione sui dati personali non concerne prestazioni, bensi' la stessa disciplina di una serie di diritti personali attribuiti ad ogni singolo interessato". Ora, la norma che prevede "la liberta' di scelta di ogni singolo utente relativamente alla prevenzione, cura e riabilitazione delle tossicodipendenze" non definisce il livello essenziale di erogazione di alcuna specifica prestazione, ma stabilisce il diritto degli utenti di poter scegliere da chi ricevere una serie di prestazioni. Oggetto e scopo della disposizione non e' di garantire un livello essenziale di una certa prestazione, a tutela del diritto fondamentale della salute, ma quello di parificare strutture private e strutture pubbliche, nel quadro di un indirizzo politico perseguito a livello statale gia' da alcuni anni (si veda, ad es., il decreto ministeriale 14 giugno 2002 sui Sert, annullato dalla sentenza n. 88/2003 di codesta Corte). A questa stregua, il nuovo art. 116, comma 1, primo periodo, disciplina un diritto che attiene ad un gruppo di prestazioni, ma non definisce affatto il livello essenziale di queste prestazioni. Se non ci fossero altre norme che regolano davvero e specificamente le varie prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione delle tossicodipendenze, la semplice liberta' di scelta dell'utente non gli garantirebbe certo di avere prestazioni idonee. Dunque, la norma impugnata risulta gia' illegittima e lesiva delle competenze legislative ed amministrative regionali in materia di tutela della salute e in materia di politiche sociali, in quanto essa intende porre un vincolo nel settore della tossicodipendenza sulla base di un titolo di competenza statale che, invece, non puo' essere invocato in relazione al contenuto della norma. In secondo luogo, la regola della libera scelta, ove concepita - come la norma impugnata appare concepirla - come espressione di un principio assoluto, risulta costituzionalmente illegittima anche se considerata in relazione allo specifico contenuto dispositivo, a prescindere dal titolo di legittimazione indicato. Infatti, codesta Corte costituzionale ha gia' precisato nella sentenza n. 200 del 2005 (nella quale ha dichiarato infondata una questione di costituzionalita' di una legge regionale sollevata per violazione dei principi fondamentali statali in materia di accreditamento e di libera scelta da parte dell'assistito della struttura sanitaria alla quale richiedere l'erogazione delle prestazioni) che, "tenendo conto dell'evoluzione della disciplina concernente il sistema di erogazione e retribuzione delle prestazioni specialistiche..., il principio di libera scelta non appare affatto assoluto, dovendo invece essere contemperato da altri interessi, costituzionalmente tutelati, puntualmente indicati da norme di principio della legislazione statale". In tale occasione codesta Corte costituzionale ha, appunto, ricordato varie leggi statali, che hanno posto condizioni all'accesso alle strutture private convenzionate con il servizio sanitario nazionale, ed ha concluso che "appare... evidente come l'evoluzione della legislazione sanitaria fino a circa la meta' degli anni Novanta - per non dire di quella successiva che peraltro non rileva nella questione di costituzionalita' in esame - abbia messo in luce che, subito dopo l'enunciazione del principio della parificazione e concorrenzialita' tra strutture pubbliche e strutture private, con la conseguente facolta' di libera scelta da parte dell'assistito, si sia progressivamente imposto nella legislazione sanitaria il principio della programmazione, allo scopo di realizzare un contenimento della spesa pubblica ed una razionalizzazione del sistema sanitario". In questo modo - continua sempre la citata sentenza - "si e' temperato il predetto regime concorrenziale attraverso i poteri di programmazione propri delle regioni e la stipula di appositi "accordi contrattuali" tra le USL competenti e le strutture interessate per la definizione di obiettivi, volume massimo e corrispettivo delle prestazioni erogabili (cfr. art. 8-quinquies del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229)" (punto 2 del Diritto). Del resto, gia' nella sentenza n. 416/1995 la Corte aveva stabilito che "la liberta' di scegliere, da parte dell'assistito, chi chiamare a fornire le prestazioni sanitarie non comporta affatto una liberta' sull'an e sull'esigenza delle prestazioni, in quanto resta confermato il principio fondamentale che l'erogazione delle prestazioni soggette a scelte dell'assistito e' subordinata a formale prescrizione a cura del servizio sanitario nazionale". Il contemperamento tra l'interesse alla libera scelta e l'interesse organizzativo e finanziario del servizio pubblico deve ritenersi costituzionalmente imposto, sia con riferimento alla potesta' legislativa di cui all'art. 117, commi terzo e quarto, sia con riferimento all'autonomia finanziaria di cui all'art. 119, primo comma. Dunque, la legge statale non puo' imporre come "livello essenziale delle prestazioni" un diritto che, in realta', deve essere sottoposto a condizioni per contemperarlo con altri interessi di livello costituzionale (come risulta dalla stessa legislazione statale e dalla giurisprudenza costituzionale). L'imposizione in via assoluta della liberta' di scelta degli utenti lederebbe le competenze legislative ed amministrative della regione in materia di tutela della salute e politiche sociali. In particolare, e' da sottolineare che, in attuazione del principio della programmazione menzionato dalla stessa Corte costituzionale, la Regione Emilia-Romagna si e' dotata di uno specifico modello organizzativo del Servizio sanitario regionale, caratterizzato dalla "programmazione a rete" e dalla regolazione dell'offerta pubblica e privata delle prestazioni e dei servizi (v. art. 2, comma 2, lett. c) l.r. n. 29/2004). La norma statale qui censurata inciderebbe inevitabilmente sull'assetto organizzativo sanitario regionale. Ma, oltre all'art. 117, commi 3 e 4, e all'art. 118 Cost., sarebbe violato, come detto, l'art. 119 perche' il principio di liberta' di scelta - imposto in via assoluta - aumenterebbe notevolmente le spese a carico del bilancio regionale in uno specifico settore, con violazione dell'autonomia finanziaria regionale (aggravata dal fatto che la legge n. 49/2006 non si preoccupa minimamente di fornire risorse corrispondenti). Infatti, per assicurare la liberta' di scelta di ogni utente, la regione sarebbe costretta ad aumentare il numero dei convenzionamenti ex art. 8-quinquies, d.lgs. n. 502/1992, oppure a non porre tetti massimi di spesa negli accordi stipulati ai sensi della medesima disposizione. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 4-quinquiesdecies, in relazione all'art. 116, comma 2, d.P.R. n. 309/1990. Il nuovo art. 116, comma 2, d.P.R. n. 309/1990, in tema di autorizzazione delle strutture private, dispone come segue: "L'autorizzazione alla specifica attivita' prescelta e' rilasciata in presenza dei seguenti requisiti minimi, che rappresentano livelli essenziali ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione: a) personalita' giuridica di diritto pubblico o privato o natura di associazione riconosciuta o riconoscibile ai sensi degli articoli 12 e seguenti del codice civile; b) disponibilita' di locali e attrezzature adeguate al tipo di attivita' prescelta; c) personale dotato di comprovata esperienza nel settore di attivita' prescelto; d) presenza di un'equipe multidisciplinare composta dalle figure professionali del medico con specializzazioni attinenti alle patologie correlate alla tossicodipendenza o del medico formato e perfezionato in materia di tossicodipendenza, dello psichiatra e/o dello psicologo abilitato all'esercizio della psicoterapia e dell'infermiere professionale, qualora l'attivita' prescelta sia quella di diagnosi della tossicodipendenza; e) presenza numericamente adeguata di educatori, professionali e di comunita', supportata dalle figure professionali del medico, dello psicologo e delle ulteriori figure richieste per la specifica attivita' prescelta di cura e riabilitazione dei tossicodipendenti". Tale disposizione, dunque, fissa determinati requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi per l'esercizio di attivita' sanitaria e socio-sanitaria a favore di soggetti tossicodipendenti, e qualifica quei requisiti "livelli essenziali" ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. m), Cost. Il legislatore statale cerca di fondare le proprie norme con un titolo di competenza esclusiva, ritenendole evidentemente complesivamentc prive del carattere di principi fondamentali. Ma il titolo di competenza esclusiva risulta ad avviso della ricorrente regione invocato del tutto inpropriamente ed illegittimamente. Infatti, la questione se i requisiti delle strutture possano essere considerati "livelli essenziali" ex art. 117, secondo comma, lett. m), e' gia' stata risolta in senso negativo da codesta Corte. Di fronte all'impugnazione di una legge regionale che regolava gli standard strutturali e qualitativi degli asili nido, impugnata - fra l'altro - in riferimento all'art. 117, secondo comma, lett. m), la sentenza n. 120/2005 ha precisato che, poiche' gli asili nido ricadono nella competenza legislativa concorrente, "risulta impossibile "negare la competenza legislativa delle singole regioni, in particolare per la individuazione di criteri per la gestione e l'organizzazione degli asili, seppure nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale" (sentenza n. 370 del 2003)". Inoltre, la stessa sentenza ha espressamente affermato che "la tesi che gli standard strutturali e qualitativi di cui alla norma impugnata si identificherebbero con livelli essenziali delle prestazioni ... non puo' essere condivisa in quanto la norma censurata non determina alcun livello di prestazione" limitandosi ad incidere sull'assetto organizzativo e gestorio degli asili nido che, come si e' detto, risulta demandato alla potesta' legislativa delle regioni" (punto 2 dei Diritto). Poiche' le attivita' sanitarie e socio-sanitarie a favore di soggetti tossicodipendenti rientrano in materie di competenza regionale concorrente (tutela della salute) o piena (politiche sociali), le considerazioni svolte nella sentenza n. 120/2005 evidenziano allo stesso modo l'illegittimita' del nuovo art. 116, comma 2, d.P.R. n. 309/1990. In effetti, se, come gia' ricordato, la competenza sui livelli essenziali "puo' essere invocata solo "in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa nazionale definisca il livello essenziale di erogazione", mentre... non e' utilizzabile al fine di individuare il fondamento costituzionale della disciplina, da parte dello Stato, di interi settori materiali" (sent. n. 383/2005), pare chiaro che i requisiti fissati dalla norma impugnata non rappresentano "livelli essenziali". Il nuovo art. 116, comma 2, si occupa delle strutture e non di specifiche prestazioni, tanto e' vero che certi requisiti sono lasciati indeterminati, perche' variano in base alla "attivita' prescelta". Del resto, se si ammettesse che lo Stato ha competenza esclusiva in materia di standard delle strutture che erogano prestazioni sanitarie, su questo punto rischierebbe di essere vanificata la competenza legislativa regiona1e lo Stato, invocando l'art. 117, secondo comma, lett. m), potrebbe comprimere unilateralmente ed in modo indefinito l'autonomia regionale, senza in realta' regolare specifiche prestazioni. Si noti che non potrebbe, invece, essere utilmente invocata, a difesa della norma impugnata, la sentenza n. 13 4/2006 di codesta Corte. In quel caso, infatti, la legge statale si occupava degli "standard qualitativi, strutturali, tecnologici, di processo e possibilmente di esito, e quantitativi di cui ai livelli essenziali di assistenza": essa, dunque, riguardava gli standard non delle strutture ma delle specifiche prestazioni e, in effetti, la Corte ha fatto salva la norma solo in quanto la "disposizione legislativa individua gli standard in termini tali da rendere evidente che si tratta di integrazioni e specificazioni sul versante attuativo dei LEA esistenti nel settore sanitario". Nel suo complesso, dunque, la giurisprudenza costituzionale ha tenuto fermo il principio secondo il quale l'art. 117, secondo comma, lett. m) puo' essere invocato solo quando si definiscono i livelli e gli standard di specifiche prestazioni, e non quando si fissano i requisiti delle strutture che erogano prestazioni attinenti ai diritti sociali. Di qui l'illegittimita' costituzionale dei vincoli posti alle regioni dalla norma sopra citata. 3) Illegittimita' dell'art. 4-quaterdecies. L'art. 4-quaterdecies sostituisce l'art. 113, d.P.R. n. 309/1990, che nella nuova versione affida alle regioni il compito di disciplinare l'attivita' di prevenzione, cura e riabilitazione delle tossicodipendenze "nel rispetto dei principi di cui al presente testo unico", ed in particolare di "seguenti" principi. Ed i "principi" di seguito fissati ribadiscono le scelte di fondo gia' censurate in relazione all'art. 4-quinquiesdecies: parificazione fra strutture pubbliche e private e fissazione dei requisiti delle strutture che svolgono le attivita' di cui sopra. Infatti, la lett. a) prevede che "le attivita' di prevenzione e di intervento contro l'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope siano esercitate secondo uniformi condizioni di parita' dei servizi pubblici per l'assistenza ai tossicodipendenti e delle strutture private autorizzate dal Servizio sanitario nazionale"; la lett. b) dispone che "i servizi pubblici per le tossicodipendenze e le strutture private che esercitano attivita' di prevenzione, cura e riabilitazione nel settore, devono essere in possesso dei requisiti strutturali" tecnologici, organizzativi e funzionali di cui all'articolo 116" la lett. c) stabilisce che "la disciplina dell'accreditamento istituzionale dei servizi e delle strutture, nel rispetto dei criteri di cui all'articolo 8-quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, garantisce la patita' di accesso ai servizi ed alle prestazioni erogate dai servizi pubblici e dalle strutture private accreditate"; infine, la lett. d) statuisce che "ai servizi e alle strutture autorizzate, pubbliche e private, spettano, tra l'altro, le seguenti funzioni: 1) analisi delle condizioni cliniche, socio-sanitarie e psicologiche del tossicodipendente anche nei rapporti con la famiglia; 2) controlli clinici e di laboratorio necessari per accertare lo stato di tossicodipendenza effettuati da strutture pubbliche accreditate per tali tipologie di accertamento; 3) individuazione del programma farmacologico o delle terapie di disintossicazione e diagnosi delle patologie in atto, con particolare riguardo alla individuazione precoce di quelle correlate allo stato di tossicodipendenza; 4) elaborazione, attuazione e verifica di un programma terapeutico e socio-riabilitativo, nel rispetto della liberta' di scelta del luogo di trattamento di ogni singolo utente; 5) progettazione ed esecuzione in forma diretta o indiretta di interventi di informazione e prevenzione". La norma di cui alla lett. b), richiamando i requisiti di cui all'art. 116, e' illegittima per le medesime ragioni gia' illustrate nel punto 2. Inoltre, tali requisiti non possono essere giustificati come principi, trattandosi di precisazioni organizzative di carattere dettagliato ed autoapplicativo (tanto vero che l'art. 116 invoca l'art. 117, secondo comma, lett. m), per cui esse pregiudicano in modo illegittimo l'autonomia regionale. In piu', la norma estende agli stessi Sert il vincolo al rispetto quei requisiti, violando, dunque, la competenza legislativa ed amministrativa regionale in, materia di tutela della salute (art. 117, terzo comma, Cost.) e di politiche sociali (art. 117, quarto comma, Cost.), in particolare quanto agli aspetti organizzativi. Si puo' qui ricordare, sia con riferimento alle strutture private che ai Sert, che gia' in base all'art. 2, comma 2, d.lgs. n. 502/1992 spettano "in particolare alle regioni la determinazione dei principi sull'organizzazione dei servizi", e che poi codesta Corte "ha affermato che la competenza legislativa concorrente concernente la "tutela della salute" (art. 117, terzo comma, della Costituzione) e' "assai piu' ampia" rispetto alla precedente relativa all'"assistenza ospedaliera" (sentenza n, 270 dei 2005) ed esprime "l'intento di una piu' netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina" (sentenza n. 282 del 2002)" (sentenza n. 134/2006, punto 8 del Diritto). Quanto alle norme di cui alle lett. a), c) e d), esse ribadiscono il principio ispiratore della legge qui impugnata, cioe' la parificazione incondizionata delle strutture pubbliche e di quelle private (addirittura le lett. a) e d) fanno riferimento alle strutture private "autorizzate", mentre la lett. c) menziona solo quelle "accreditate"). Esse risultano illegittime per ragioni analoghe a quelle gia' illustrate nel punto 1). Il legislatore statale non puo' fissare il principio della liberta' di scelta incondizionata e della parita' assoluta tra strutture pubbliche e strutture private, in quanto il principio della liberta' di scelta va contemperato con altri interessi di rango costituzionale, indicati dalla stessa legislazione statale e riconosciuti dalla sentenza n. 200/2005. Dunque, le lett. a), c) e d) ledono le competenze legislative ed amministrative della regione, nonche' la sua autonomia finanziaria, nelle materie della tutela della salute e delle politiche sociali, perche' pongono vincoli oirganizzativi irrazionali. Se il legislatore pone vincoli alle regioni con norme illegittime, la sfera di competenza regionale o' chiaramente lesa, in quanto la regione risulterebbe tenuta ad attuare le norme statali adottando norme ed atti amministrativi affetti da conseguente illegittimita', e per giunta si troverebbe esposta al rischio della contestazione di tali atti in ragione della loro illegittimita'. In altre parole, le norme statali che vincolano l'azione regionale, se illegittime, risultano lesive delle competenze regionali perche' rappresentano im illegittimo quadro dell'azione regionale: il che costituisce fattore di instabilita' degli atti regionali attuativi, con conseguente violazione anche del principio di certezza del diritto. Inoltre, come visto, il principio di liberta' di scelta - ove imposto in via assoluta - aumenterebbe notevolmente le spese a carico del bilancio regionale in uno specifico settore, con conseguente violazione dell'art. 119 Cost. E' vero che l'art. 4-sexiesdecies decreto-legge n. 272/2005, che sostituisce l'art. 117 d.P.R. n. 309/1990, stabilisce che "l'esercizio delle attivita' di prevenzione, cura, recupero e riabilitazione dei soggetti dipendenti da sostanze stupefacenti e psicotrope, con oneri a carico del Servizio sanitario nazionale e' subordinato alla stipula degli accordi contrattuali di cui all'articolo 8-quinquies", d.lgs. n. 502/1992, ribadendosi cosi' il principio generale posto dall'art. 8-bis d.lgs. n. 502/1992; ma le disposizioni impugnate dettano norme contrastanti con il principio della programmazione di cui alla sentenza n. 200/2005, sancendo - appunto - il principio della liberta' di scelta. Per rispettare tale principio, la regione sarebbe costretta ad aumentare il numero dei convenzionamenti ex art. 8-quinquies, d.lgs. n. 502/1992, oppure a non porre tetti massimi di spesa negli accordi stipulati ai sensi della medesima disposizione, con notevole aumento di spesa: di qui la violazione dell'autonomia finanziaria regionale e, quindi, dell'art. 119 Cost. (aggravata dal fatto che la legge n. 49/2006 non si preoccupa minimamente di fornire risorse corrispondenti). L'irragionevolezza e la lesivita' delle norme impugnate risultano chiaramente nel confronto con le norme statali generali sulla materia: sia dalle disposizioni citate nella sentenza n. 200/2005 sia dall'art. 8-quinquies, comma 2, d.lgs. n. 502/1992 risulta che gli accordi tra regioni e USL e strutture private devono prevedere il numero massimo di prestazioni erogabili ed il corrispettivo preventivato, per evidenti ragioni di razionalizzazione organizzativa e contenimento di spesa. Le norme impugnate, sancendo il principio della liberta' di scelta, derogano alle norme di cui sopra. Pur se il contrasto con una norma legislativa non rappresenta di per se' un vizio di legittimita' costituzionale, esso concorre ad evidenziare la complessiva illegittimita' delle norme impugnate, quando le norme legislative sono - come nel caso di specie (v. sent. n. 200/2005) - attuative di principi costituzionali, come sopra esposto. 4) Illegittimita' dell'art. 4-quinquiesdecies, in relazione al nuovo art. 116, comma 9, d.P.R. n. 309/1990, nella parte in cui predetermina l'organo regionale competente. Il nuovo comma 9 dell'art. 116 d.P.R. n. 309/1990, come modificato dall'art. 4-quinquiesdecies, decreto-legge n. 272/2005, stabilisce che, "per le finalita' indicate nel comma 1 dell'articolo 100 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917, le regioni e le province autonome di cui al comma 1 sono abilitate a ricevere erogazioni liberali fatte ai sensi del comma 2, lettera a), del suddetto articolo", e che esse "ripartiscono le somme percepite tra gli enti di cui all'articolo 115, secondo i programmi da questi presentati". Posto che tale disposizione non e' in quanto tale oggetto di impugnazione, giova ricordare che l'art. 100, comma 1, d.P.R. n. 917/1986 regola la deduzione degli "oneri di utilita' sociale", disponendo che "le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalita' dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalita' di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell'ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi"; e che l'art. 100, comma 2, lett. a) dichiara deducibili dal reddito d'impresa "le erogazioni liberali fatte a favore di persone giuridiche che perseguono esclusivamente finalita' comprese fra quelle indicate nel comma 1 o finalita' di ricerca scientifica", nonche' i contributi, le donazioni e le oblazioni erogati in favore delle organizzazioni non governative. Qui censurata e' invece la ulteriore norma secondo la quale i criteri di riparto delle somme tra gli enti destinatari (gruppi di volontariato ed enti senza fine di lucro) devono essere "predeterminati dalle rispettive assemblee" regionali. Come risulta da consolidata ed ormai risalente giurisprudenza costituzionale, la legge statale non e' abilitata ad individuare l'organo regionale competente a compiere un certo atto, dato che l'organizzazione regionale, nelle parti in cui non sia predeterminata dalla Costituzione, ricade nella esclusiva competenza dello statuto regionale e delle leggi regionali ordinarie. Dunque, il nuovo art. 116, comma 9, e' illegittimo nella parte in cui affida ai consigli regionali il potere di determinare i criteri di riparto delle somme ricevute tramite le erogazioni liberali, in quanto esso lede l'autonomia organizzativa regionale, con conseguente violazione dell'art. 117, comma 4, Cost. 5) Illegittimita' dell'art. 4-undecies, in relazione al nuovo art. 94, comma 1, d.P.R. n. 309/1990. L'art. 4-undecies sostituisce l'art. 94, comma 1, d.P.R. n. 309/1990. La nuova disposizione stabilisce che il detenuto tossicodipendente o alcooldipendente, "che abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda sottoporsi,... puo' chiedere in ogni momento di essere affidato in prova al servizio sociale per proseguire o intraprendere l'attivita' terapeutica sulla base di un programma da lui concordato con un'azienda unita' sanitaria locale o con una struttura privata autorizzata ai sensi dell'articolo 116". Alla domanda deve essere "allegata, a pena di inammissibilita', certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da una struttura privata accreditata per l'attivita' di diagnosi prevista dal comma 2, lettera d), dell'articolo 116 attestante lo stato di tossicodipendenza o di alcooldipendenza, la procedura con la quale e' stato accertato l'uso abituale di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche, l'andamento del programma concordato eventualmente in corso e la sua idoneita', ai fini del recupero del condannato". Infine, il comma 1 precisa che, "affinche' il trattamento sia eseguito a carico del Servizio sanitario nazionale, la struttura interessata deve essere in possesso dell'accreditamento istituzionale ... ed aver stipulato gli accordi contrattuali di cui all'articolo 8-quinquies" d.lgs. n. 502/1992. Anche in questo caso la legge n. 49/2006 equipara le strutture private (quelle meramente autorizzate nel primo periodo del comma 1, quelle accreditate nel terzo periodo) a quelle pubbliche. Tale equiparazione risulta, ad avviso della ricorrente regione, costituzionalmente illegittima. In particolare, il nuovo art. 94, comma 1, terzo periodo viola le competenze regionali in materia di tutela della salute e di politiche sociali (art. 117, commi terzo e quarto, Cost.) in quanto, equiparando le strutture private a quelle pubbliche ai fini del rilascio della certificazione (e, implicitamente, dello svolgimento del programma), detta una norma di dettaglio in materia regionale e regola un punto la cui disciplina spetta all'autonomia organizzativa regionale. Non si vede infatti come possa essere affermato che la previsione del potere di rilascio di un determinato certificato da parte una struttura privata autorizzata o accreditata rappresenti un principio fondamentale (e, meno ancora, ovviamente un livello essenziale delle prestazioni). Trattasi di norma puntuale, che interferisce illegittimamente nell'autonomia regionale nelle materie di cui sopra. Inoltre, essa interferisce con la responsabilita' che costituzionalmente spetta alle regioni di disciplinare la titolarita' e l'esercizio dell'azione amministrativa, con violazione, sotto questo profilo, anche dell'art. 118 Cost. La norma statale costringe invece le regioni ad affidare parte della funzione amministrativa ad entita' determinate. Ancora, tali entita' sono strutture private, delle quali la regione non puo' essere costretta ad avvalersi per l'esercizio di funzioni solo ad essa spettanti, e delle quali solo essa puo' affidare l'esercizio in termini di propria responsabilita'. Inoltre, e' violato l'art. 119 Cost., per le ragioni gia' viste nei punti 1 e 3, la' dove si sono censurate le norme sulla liberta' di scelta degli utenti. Infatti, affidandosi il potere certificatorio (e i relativi programmi di recupero) alle strutture private accreditate, l'ammissione dei detenuti ai programmi di recupero si svolge al di fuori di ogni valutazione da parte delle regioni, che, quindi, potrebbero essere costrette a stipulare ulteriori convenzioni o a non porre limiti negli accordi contrattuali stipulati ex art. 8-quinquies, d.lgs. n. 502/1992. 6) Illegittimita' di tutte le disposizioni impugnate, come sopra individuate, per violazione del principio di leale collaborazione. Come accennato, le disposizioni impugnate sono state inserite nel decreto-legge n. 272/2005 nel corso del procedimento di conversione, in un decreto-legge al cui oggetto le nuove norme erano sostanzialmente estranee: in questo modo, si e' stravolto il contenuto del decreto e si e' operata - in una sede del tutto impropria ed impropriamente utilizzando le procedure proprie della legge di conversione - una vera e propria riforma della materia della tossicodipendenza. Operando in questo modo, inoltre, lo Stato ha omesso di svolgere le procedure collaborative con le regioni, prescritte dall'art. 24, d.lgs. n. 281/1997, per i disegni di legge che riguardano le materie regionali. Non e' neppure stata operata la c.d. consultazione successiva di cui all'art. 2, comma 5, d.lgs. n. 281/1997 (in base al quale, "quando il presidente del Consiglio dei ministri dichiara che ragioni di urgenza non consentono la consultazione preventiva, la Conferenza Stato-regioni e' consultata successivamente ed il Governo tiene conto dei suoi pareri: a) in sede di esame parlamentare dei disegni di legge o delle leggi di conversione dei decreti-legge"). Tale norma deve essere considerata quale traduzione operativa del principio costituzionale di leale collaborazione, per cui le norme impugnate risultano illegittime anche sotto questo profilo. Ne' e' possibile sostenere che l'art. 2, comma 5, configuri la consultazione "successiva" come meramente eventuale. Non solo infatti la disposizione di legge non prevede una possibilita' di consultazione, ma stabilisce che "la Conferenza e' consultata successivamente", ponendo chiaramente un dovere di consultazione, ma la stessa riconduzione di tale dovere al principio di leale collaborazione ne mostra la natura cogente. Pertanto, ad avviso della ricorrente regione, la legge di conversione adottata senza parere e' una legge affetta da vizio procedimentale, sindacabile da codesta Corte in quanto l'art. 2, comma 5, costituisce traduzione del principio costituzionale di leale collaborazione nel quadro della procedura di emanazione e conversione dei decretilegge. Si consideri anche che il vizio procedimentale qui denunciato implica un grave disconoscimento della posizione costituzionale delle regioni: poiche' la riforma del d.P.R. n. 309/1990 e' stata realizzata nell'ambito di un procedimento di conversione di un decreto-legge, essa e' avvenuta con una procedura accelerata, in cui le numerose modifiche sono state inserite nell'allegato all'articolo unico della legge di conversione. In questa situazione, l'unico modo in cui le regioni avrebbero potuto - se le regole costituzionali fossero state rispettate - esprimere la propria posizione era proprio la consultazione della Conferenza, non a caso espressamente prevista come obbligatoria dall'art. 2, comma 5, d.lgs. n. 281/1997. L'omissione di questa consultazione ha, dunque, completamente "tagliato fuori" le regioni, che hanno solo potuto prendere atto dell'avvenuta riforma di un settore in cui hanno potesta' legislativa. La violazione del principio di leale collaborazione risulta, poi, particolarmente grave per l'art. 4-quinquiesdecies, che - secondo la prospettazione della norma impugnata - definisce livelli essenziali delle prestazioni. Infatti, come noto, per l'individuazionc dei LEA e' ormai consolidato nell'ordinamento il principio dell'intesa (v. l'art. 6 del decreto-legge n. 347/2001, il d.P.C.m. 29 novembre 2001 e successivamente l'art. 54 legge n. 289/2002). La necessita' di un'intesa fra Stato e regioni sui LEA e' stata sostenuta dalla dottrina prevalente, in relazione alle materie di competenza regionale, sia in virtu' del principio di leale collaborazione sia al fine di responsabilizzare le regioni, tenute poi ad assicurare l'erogazione delle prestazioni. Essa inoltre e' necessaria per impedire che alle regioni siano addossati oneri privi di copertura. Anche la giurisprudenza costituzionale ha piu' volte chiarito che, pur nelle materie di competenza esclusiva, e' necessario un coinvolgimento delle regioni, quando le funzioni statali interferiscono con materie regionali (v. sentt. nn. 308/2003, 31/2005 e 279/2005). Se esiste, come ha attestato codesta Corte, un principio costituzionale in base al quale la connessione tra materia statale e materie regionali impone procedure cooperative, tale principio non puo' valere solo per l'esercizio della funzione amministrativa ma deve valere anche per la funzione legislativa: a maggior ragione quando la connessione e' assai forte, come nel caso di norme statali che definiscono (o almeno, come sopra esposto, ritengono di definire) livelli essenziali delle prestazioni in materie di competenza regionale, cosi condizionando direttamente l'attivita' legislativa, amministrativa e finanziaria regionale. Codesta Corte ha in passato, sia pure in casi diversi da quello presente, negato l'esistenza di un fondamento costituzionale all'obbligo di procedure legislative ispirate alla leale collaborazione tra Stato e regioni. Sia consentito tuttavia di osservare che, se la ratio del principio di leale collaborazione e' contemperare gli interessi in caso di interferenze fra funzioni facenti capo ad enti diversi, e se esso ha, come non e' dubbio, rango costituzionale, non vi e' ragione per distinguere tra funzione legislativa e funzione amministrativa. Si dovrebbe anzi ritenere che proprio in relazione alla funzione piu' importante risulti maggiore l'esigenza della leale collaborazione. Del resto, gia' la sentenza n. 398/1998 ha annullato una disposizione legislativa statale per mancato coinvolgimento delle regioni nel procedimento legislativo (punto 12 del Diritto).
P. Q. M. Chiede, voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale dichiarare costituzionalmente illegittima la legge 21 febbraio 2006, n. 49, conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, recante misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonche' la funzionalita' dell'amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi, nella parte in cui inserisce i seguenti articoli nel decreto legge n. 272/2005: art. 4-undecies, art. 4-quaterdecies e art. 4-quinquiesdecies, per le parti e sotto i profili illustrati nel ricorso. Padova-Roma, addi' 21 aprile 2006 Prof. avv. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi