Ricorso n. 61 del 23 giugno 2004 (Regione Toscana)
N. 61 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 23 giugno 2004.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 23 giugno 2004 (della Regione Toscana)
(GU n. 34 del 1-9-2004)
Ricorso della Regione Toscana, in persona del presidente pro
tempore autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 556
del 7 giugno 2004, rappresentato e difeso, per mandato in calce al
presente atto, dagli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni e presso
lo studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via del
Viminale n. 43;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 13,
quarto comma; 14, sesto comma; 17, primo comma 18, secondo e quarto
comma del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99 recante
«Disposizioni in materia di soggetti e attivita', integrita'
aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma
dell'art. 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ee) della legge 7 marzo
2003, n. 38».
Nella Gazzetta Ufficiale 22 aprile 2004, n. 94 e' stato
pubblicato il decreto legislativo n. 99/2004: esso costituisce uno
dei decreti previsti dalla legge delega in agricoltura n. 38/2003,
impugnata in alcune sue previsioni dalla Regione Toscana.
Anche alcune disposizioni del presente decreto legislativo
contrastano con le attribuzioni costituzionalmente garantite alle
regioni e vengono impugnate per i seguenti motivi di
D i r i t t o
1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, quarto comma per
violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost.
L'art. 13, ai commi 1, 2 e 3, richiama il fascicolo aziendale
elettronico ed il suo aggiornamento, la Carta dell'agricoltore e del
pescatore nonche' il codice unico di identificazione aziende
agricole: trattasi di strumenti cartacei ed elettronici gia' previsti
e disciplinati dal decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173 e dal
d.P.R. 1° dicembre 1999, n. 503. In particolare l'art. 1 di tale
d.P.R. n. 503/1999, nel disciplinare l'anagrafe delle aziende
agricole, dispone che il codice fiscale costituisce il codice unico
di identificazione aziende agricole (CUAA) da utilizzarsi in tutti i
rapporti con la pubblica amministrazione; l'art. 7 dello stesso
d.P.R. istituisce la Carta dell'agricoltore e del pescatore,
documento di riconoscimento cartaceo ed elettronico, rilasciata dalle
regioni ai legali rappresentanti di ciascuna azienda iscritta
all'anagrafe; l'art. 9 del medesimo d.P.R. n. 503 istituisce,
nell'ambito dell'anagrafe, il fascicolo aziendale, riepilogativo dei
dati aziendali.
I citati primi tre commi della disposizione in oggetto nulla di
sostanziale aggiungono rispetto a quanto gia' stabilito dalla
previgente normativa.
Il quarto comma, invece, dispone che AGEA assicura, attraverso i
servizi del SIAN, la realizzazione dell'Anagrafe delle aziende
agricole, nonche' di quanto previsto ai precedenti commi 1 e 2,
relativi, come appena visto, al fascicolo aziendale elettronico e
alla carta dell'agricoltore e del pescatore.
Dunque tale quarto comma accentra in capo all'Agenzia per le
erogazioni in agricoltura (organismo nazionale istituito con il
decreto legislativo n. 165/1999, subentrato all'AIMA) la
realizzazione dell'anagrafe delle aziende agricole, del fascicolo
aziendale elettronico e della carta dell'agricoltore e del pescatore,
prevedendo che a tal fine detta Agenzia provvede attraverso i servizi
del SlAN, che e' il Sistema informativo agricolo nazionale previsto
dalla legge 4 giugno 1984, n. 194.
Tale accentramento, che non si fonda su alcuno dei titoli che
legittimano l'intervento statale, si pone in contrasto con le
attribuzioni regionali in materia di agricoltura, che costituisce una
materia riservata alla competenza residuale delle regioni, ai sensi
dell'art. 117, quarto comma Cost. (come affermato dalla Corte
costituzionale nella recente sentenza n. 12/2004).
D'altra parte la disposizione non trova un fondamento
costituzionale neppure nell'art. 118 Cost. non essendovi motivi che
giustifichino l'allocazione in capo allo Stato delle funzioni
suddette in applicazione del principio di sussidiarieta'. Peraltro,
anche in tale ipotesi, la norma sarebbe ugualmente incostituzionale
per l'assenza di ogni previsione di intesa con le regioni, che invece
sarebbe imprescindibile in considerazione dell'interferenza con le
funzioni regionali in materia di agricoltura, secondo quanto
enunciato dalla Corte cost. nella sentenza n. 303/2003.
La norma censurata costituisce addirittura un «passo indietro»
rispetto alla previgente normativa di cui al citato d.P.R.
n. 503/1999: infatti l'art. 1 di tale decreto stabiliva che
l'anagrafe delle aziende agricole fosse istituita all'interno del
SIAN integrato con i sistemi informativi regionali, per raccogliere
le notizie relative ai soggetti esercenti attivita' agricola,
agroalimentare, forestale e della pesca che intrattengano rapporti
con la p.a.; analogamente l'art. 14, terzo comma, del decreto
legislativo n. 173/1998 disponeva l'istituzione della carta
dell'agricoltore e del pescatore e dell'anagrafe delle aziende
agricole avvalendosi del SIAN, integrato con i sistemi informativi
regionali.
Invece la disposizione impugnata non prevede piu' alcun
coordinamento ed alcuna integrazione tra il SIAN ed i Sistemi
informativi regionali i quali, invece, nel corso degli anni, proprio
in virtu' delle sopra richiamate disposizioni, hanno realizzato e
sviluppato molte delle attivita' in esame.
Mentre e' conforme all'assetto costituzionale che al SIAN sia
attribuito un ruolo generale di coordinamento tecnico, e' invece
contrastante con gli artt. 117 e 118 Cost. che all'AGEA tramite il
SIAN sia affidato direttamente il compito di realizzare l'anagrafe
delle aziende agricole, la Carta dell'agricoltore e del pescatore ed
il fascicolo aziendale.
In tale senso, del resto, era stata formulata - durante l'iter di
approvazione della norma - la proposta di modifica dalle regioni («Le
regioni, attraverso i servizi del SIAN integrato dai sistemi
informativi agricoli regionali, realizzano l'Anagrafe delle aziende
agricole, la carta...»: nota della Conferenza dei presidenti delle
regioni e delle province autonome del 2 febbraio 2004, osservazioni
relative all'art. 12; doc. n. 1), ma - come si puo' constatare - la
proposta non e' stata presa in esame.
La censurata disposizione e' incostituzionale anche per eccesso
di delega e quindi per violazione dell'art. 76 Cost. Infatti la
lettera g) del secondo comma dell'art. 1 della legge n. 38/2003
prevede, quale criterio direttivo per la delega, la semplificazione
degli adempimenti contabili ed amministrativi a carico delle imprese
agricole: ebbene e' evidente che l'accentramento in capo all'AGEA
tramite il SIAN della realizzazione dell'anagrafe delle aziende
agricole, della Carta dell'agricoltore e del pescatore e del
fascicolo aziendale non hanno nulla a che vedere con la
semplificazione degli adempimenti contabili ed amministrativi a
carico delle imprese, non essendo affatto dimostrato, ne' essendo
vero, che tale semplificazione non sia perseguibile attraverso
l'integrazione con i sistemi informativi regionali.
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, sesto comma, per
violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost.
L'art. 14, sesto comma, introduce la regola del silenzio assenso
(«Decorso tale termine - centottanta giorni - la domanda si intende
accolta») per tutti i procedimenti che l'impresa agricola puo'
attivare, purche' la relativa istanza sia presentata tramite i CAA
(Centri autorizzati di assistenza agricola). Da cio' consegue che se
i CAA sono affidatari di compiti istruttori non solo per procedimenti
di erogazione di contributi (come avviene in Toscana sulla base di
convenzioni tra CAA e gli enti titolari della funzione
amministrativa), si applica la stessa regola del silenzio assenso
anche ai procedimenti di autorizzazione, espressione di
discrezionalita' amministrativa, che non si prestano ad essere
rilasciati tramite il silenzio assenso. L'autorizzazione
all'esercizio di attivita' agrituristiche, come le autorizzazioni
fitosanitarie e le autorizzazioni edilizie in zone agricole
entrerebbero nell'ambito di applicazione della disposizione in esame,
vanificando le competenze regionali in materia di disciplina dei
relativi procedimenti amministrativi.
Lo Stato non interviene, con la norma in questione, in
procedimenti di sua competenza, ma detta una norma generale che si
applica per tutti i procedimenti, in violazione quindi dei criteri di
riparto di competenze di cui all'art. 117 Cost., posto che i
procedimenti in materia di agricoltura non rientrano nelle
attribuzioni statali.
La disposizione non trova un fondamento costituzionale neppure
nell'art. 118 Cost. e quindi nei principi di sussidiarieta',
adeguatezza e differenziazione ivi richiamati. Secondo l'insegnamento
della Corte costituzionale (sentenza n. 303/2003) la legge statale e'
legittimata ad intervenire in materie di competenza regionale nei
casi in cui, in applicazione dell'art. 118 primo comma Cost., allo
Stato sia attribuita la titolarita' di una funzione amministrativa:
la potesta' legislativa «si sposta» dal livello regionale a quello
statale al fine di organizzare e regolare funzioni amministrative
allocate in capo allo Stato in risposta ad esigenze di carattere
unitario.
Nel caso in esame la titolarita' della funzione amministrativa
non viene allocata a livello statale, perche' l'impugnata
disposizione fissa il termine per il formarsi del silenzio assenso
non solo per i procedimenti di competenza statale, ma anche per
quelli gestiti da tutte le altre amministrazioni: dunque non si
giustifica in nome della sussidiarieta' l'intervento legislativo in
questione.
In ogni caso le disposizioni sarebbero incostituzionali per
violazione dell'art. 118 Cost. perche' non prevedono l'intesa con la
regione che sarebbe invece imprescindibile a fronte dell'interferenza
della disciplina in ambiti materiali di competenza regionale, secondo
quanto affermato nella citata sentenza n. 303/2003.
La disposizione appare poi viziata per eccesso di delega. Infatti
la lettera g) dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 38/2003
prevedeva, tra i criteri direttivi della delega, la semplificazione
degli adempimenti contabili e amministrativi a carico delle imprese
agricole: la norma in esame invece non riduce detti adempimenti, ma
estende l'istituto del silenzio assenso a tutti i procedimenti, ivi
compresi quelli che richiedono l'esercizio di poteri discrezionali.
3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 17, primo comma e
dell'art. 18, secondo e quarto comma, per violazione degli artt. 5,
117, 118 Cost., anche in relazione all'art. 2 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281, e dell'art. 11 della legge costituzionale
n. 3/2001. Violazione del principio della leale collaborazione.
Le censurate disposizioni appartengono al Capo IV «Tutela del
patrimonio agroalimentare» totalmente mancante nel testo sottoposto
all'esame della Conferenza Stato-regioni per l'espressione del
proprio parere. Infatti tale ulteriore capo e' stato inserito dal
Governo dopo l'acquisizione del parere della Conferenza Stato-regioni
(come attestato dalla depositata interrogazione e relativa risposta:
doc. n. 2).
La motivazione di tale successivo inserimento e' che il nuovo
Capo darebbe risposta alle raccomandazioni espresse dalla Camera dei
deputati e dal Senato; che il termine per l'esercizio della delega
legislativa stava per scadere; che non c'era il tempo per convocare
la Conferenza e che comunque le nuove norme introdotte da ultimo
sarebbero rispettose delle attribuzioni regionali.
Le suddette argomentazioni - tutte infondate - sono una conferma
della sussistenza dei vizi eccepiti.
La Conferenza Stato-regioni ha espresso il proprio parere in data
15 gennaio 2004 (citato doc. n. 1); tale Conferenza costituisce la
sede della concertazione, del confronto politico, della valutazione e
ponderazione di una pluralita' di interessi che si imputano a
soggetti diversi dell'ordinamento e rappresenta pertanto uno
strumento essenziale per la leale cooperazione, che trova il suo
diretto fondamento nell'art. 5 Cost. (sentenza Corte cost.
n. 373/1997). Come ha chiarito la giurisprudenza costituzionale «la
premessa per l'intervento della Conferenza e' sempre la presenza di
una qualche implicazione degli indirizzi di politica generale di
pertinenza degli organi statali e la conferenza e' sede di raccordo
per consentire alle regioni di partecipare a processi decisionali che
resterebbero altrimenti nella esclusiva disponibilita' dello Stato»
(Corte cost. sentenza n. 408/1998). In tale ottica, attuando il
criterio del potenziamento delle funzioni della Conferenza di cui
all'art. 9 della legge n. 59/1997, in considerazione delle piu'
rilevanti attribuzioni riconosciute alle regioni dalla stessa legge,
l'art. 2, terzo comma, del decreto legislativo n. 281/1997 ha
stabilito che la Conferenza Stato-regioni e' obbligatoriamente
sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e di decreto
legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza
delle regioni o delle province autonome, che si pronuncia entro venti
giorni; decorso tale termine i provvedimenti recanti attuazione di
direttive comunitarie sono emanati anche in mancanza di detto parere.
E' percio' chiaro che il parere della conferenza sarebbe stato
obbligatorio nel caso in esame perche' le disposizioni del capo in
questione interferiscono con materie regionali e, segnatamente, con
la materia dell'agricoltura, della tutela della salute, del
commercio, delle attivita' produttive.
Di qui la violazione degli artt. 5, 117 e 118 Cost., anche in
riferimento all'art. 2 del decreto legislativo n. 281/1997, sotto il
profilo della lesione del principio di leale collaborazione tra Stato
e regioni.
Le motivazioni addotte dal Governo sono totalmente infondate e
non valgono comunque a sanare la denunciata illegittimita'. In primo
luogo non e' vero che le nuove disposizioni del Capo IV non ledano le
attribuzioni regionali (come verra' analizzato di seguito); in
secondo luogo l'urgenza non era sussistente e, comunque, a fronte di
una situazione urgente deve trovare applicazione il comma quinto
dello stesso art. 2 del decreto legislativo n. 281 che, tra gli altri
casi, prevede la consultazione successiva della Conferenza per
l'esame definitivo degli schemi di decreto legislativo sottoposti al
parere delle commissioni parlamentari se l'urgenza non consente la
consultazione preventiva.
Le impugnate disposizioni del Capo IV inoltre sono in contrasto
con l'impianto sostanziale dell'art. 117 Cost. L'intervento normativo
statale, avendo un'incidenza diretta su materie spettanti al
legislatore regionale, dovrebbe seguire e rispettare un procedimento
di codecisione paritaria con le regioni. Tale necessita' e'
confermata nel meccanismo di cui all'art. 11 della legge
costituzionale n. 3/2001 ove e' previsto che la Commissione
parlamentare per le questioni regionali, integrata con i
rappresentanti delle autonomie territoriali, debba sempre esprimere
un parere ad efficacia rinforzata su tutti i progetti di legge
riguardanti le materie di legislazione concorrente e l'autonomia
finanziaria delle regioni e degli enti locali.
Tale norma e' immediatamente prescrittiva e vincolante, con
conseguente illegittimita' dell'impugnata disposizione, perche'
emanata senza il rispetto della suddetta procedura. Ove poi si
ritenesse che detto art. 11 non sia direttamente prescrittivo, lo
stesso e' comunque vincolante per il principio costituzionale ad esso
sotteso, vale a dire la garanzia della leale collaborazione tra Stato
e regioni, in particolare per quanto attiene all'esigenza di
assicurare la partecipazione effettiva delle regioni ai procedimenti
decisionali dello Stato che possano incidere sulle sfere di autonomia
costituzionalmente attribuite alle regioni stesse; conseguentemente
e' necessario adottare, anche per gli atti normativi del Governo, un
meccanismo idoneo a questa finalita' che nel caso in oggetto e' stato
invece del tutto disatteso.
4. - Ulteriore violazione dell'art. 17 primo comma, per
violazione degli art. 76, 117 e 118 Cost.
Il primo comma della norma affida alla societa' per azioni
«Buonitalia», partecipata dal Ministero delle politiche agricole e
forestali e strumento operativo del Ministero stesso per l'attuazione
delle politiche promozionali di competenza nazionale, l'erogazione di
servizi alle imprese del settore agroalimentare per favorire
l'internazionalizzazione dei prodotti italiani.
La norma si pone in attuazione della previsione contenuta
nell'art. 1, secondo comma, lett. r) della legge delega n. 38/2003,
impugnata da questa amministrazione.
Il citato primo comma dell'art. 17 e' parimenti incostituzionale,
in quanto non sussiste nell'art. 117 Cost. un titolo che legittimi lo
Stato a disciplinare la promozione dei prodotti del sistema
agroalimentare italiano. La norma fa riferimento alle politiche
promozionali di competenza nazionale che, tuttavia, non trovano alcun
fondamento costituzionale, posto che la materia dell'agricoltura e'
attribuita alla competenza regionale.
Ove poi dovesse ravvisarsi una competenza statale in applicazione
dei criteri di sussidiarieta' di cui all'art. 118 Cost., la norma
resterebbe illegittima, perche' non e' prevista alcuna intesa con la
regione, secondo i principi di cui alla sentenza n. 303/2003 della
Corte costituzionale, ma anzi e' creato un sistema che esclude
totalmente le regioni per accentrare le competenze in capo alla
societa' Buonitalia.
La disposizione si pone in contrasto anche con l'art. 76 Cost.
Infatti la legge n. 38/2003 al citato art. 1 secondo comma lett. r)
stabilisce, quale criterio direttivo per la delega, la previsione di
strumenti di coordinamento, indirizzo e organizzazione delle
attivita' di promozione dei prodotti del sistema agroalimentare,
mentre l'impugnata disposizione prevede che la societa' Buonitalia ha
per scopo l'erogazione di servizi alle imprese del settore
agroalimentare e quindi a cio' provvede direttamente, con un ruolo
non limitato all'attivita' di coordinamento.
5. - Ulteriore violazione dell'art. 18, secondo e quarto comma,
per violazione degli artt. 97, 117 e 118 Cost.
5.a. - Il comma 2 dell'art. 18 sostituisce il comma 7 dell'art. 1
del decreto legislativo n. 223/2001, disponendo che le regioni e
l'Agecontrol S.p.a. provvedono ad irrogare le sanzioni amministrative
previste dai commi 1, 2, 3, 4, e 5 della stessa norma (trattasi di
sanzioni amministrative previste per irregolarita' commesse dal
titolare di frantoi o di stabilimenti di molitura delle olive; dal
titolare di stabilimento di trasformazione delle olive da tavola; dai
produttori di olio e dai principali destinatari di olio di oliva o di
sansa usciti dal frantoio).
L'originario comma settimo dell'art. 1 del decreto legislativo
n. 223/2001 (che ora viene modificato nel senso suddetto) attribuiva
alle regioni la competenza ad irrogare le suddette sanzioni
amministrative.
Ora si affianca alle regioni, nella competenza ad irrogare le
sanzioni amministrative, l'Agecontrol (Agenzia per i controlli e le
azioni comunitarie di cui alla legge n. 898/1986), organismo statale
soggetto alla vigilanza ministeriale e si stabilisce che con
successivo decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali
d'intesa con la Conferenza Stato-regioni saranno stabilite le
modalita' di riparto dei proventi delle predette sanzioni.
La disposizione ora introdotta e' illegittima per violazione
delle attribuzioni regionali di cui all'art. 117 Cost.
E' infatti stato chiarito dalla giurisprudenza costituzionale che
la competenza sanzionatoria amministrativa non costituisce una
materia a se', ma accede alle materie sostanziali (sentenza
n. 85/1996; 361/2003; 12/2004); le norme sanzionatorie stabilite in
materie di competenza regionale non possono essere ritenute legittime
nemmeno in quanto direttamente attuative delle norme comunitarie,
dato che ai sensi dell'art. 117 quinto comma Cost. l'attuazione ed
esecuzione della normativa comunitaria spettano nelle materie di loro
competenza alle regioni e alle province autonome.
Percio', a maggior ragione dopo l'entrata in vigore del nuovo
Titolo V, non e' consentito allo Stato intervenire con norme (come
quella qui contestata) che attribuiscono direttamente allo Stato la
competenza sanzionatoria per illeciti amministrativi attinenti a
materie regionali.
Infatti nel caso in esame vengono in questione norme
sanzionatorie in materia di aiuto comunitario alla produzione di olio
di oliva e alla trasformazione delle olive da tavola: si verte quindi
nella materia dell'agricoltura, del commercio e delle attivita'
produttive, tutte rientranti in ambiti materiali affidati alla
competenza residuale delle regioni. Percio' la legge statale non e'
legittimata a disciplinare la competenza ad irrogare le relative
sanzioni amministrative.
Ne', d'altra parte, tale legittimazione sussisterebbe ove si
ritenesse che nel caso in esame le sanzioni amministrative vertano in
materie soggette alla potesta' concorrente: anche in tale ipotesi non
verrebbero meno le ragioni di incostituzionalita' della disposizione
denunciata, perche' lo Stato avrebbe dovuto limitarsi a predisporre
un principio di disciplina che la regione avrebbe poi dovuto svolgere
nell'esercizio delle proprie competenze legislative; la diretta,
puntuale e specifica attribuzione di competenze sanzionatorie
all'Agecontrol non costituisce invece norma di principio.
Inoltre si attribuisce la potesta' di applicare le sanzioni
all'Agecontrol in modo concorrente con lo stesso compito regionale,
senza chiarire i rapporti e le rispettive competenze.
Si crea cosi' una oggettiva confusione perche' gli agenti
accertatori non sapranno a chi trasmettere i verbali: in tal modo la
funzione afflittiva e deterrente tipica della sanzione amministrativa
viene vanificata dalla caotica situazione che si crea per i possibili
vizi di incompetenza che verranno eccepiti a fronte dei provvedimenti
di irrogazione delle sanzioni amministrative.
Questo costituisce una violazione del principio di buona
amministrazione di cui all'art. 97 Cost. che la regione e'
legittimata a far valere in questa sede, perche' determina una
diretta lesione delle proprie attribuzioni nelle materie di
competenza sopra richiamate.
L'impugnata disposizione e' incostituzionale anche perche'
prevede che con decreto ministeriale verranno stabilite le modalita'
di riparto dei proventi delle sanzioni: quindi si attribuisce al
Ministro una potesta' regolamentare che contrasta con l'art. 117
sesto comma Cost. Infatti i proventi suddetti attengono a sanzioni
amministrative che, come sopra rilevato, riguardano materie non
qualificabili, in relazione agli oggetti di disciplina, come di
potesta' esclusiva statale e percio' il potere attribuito al Ministro
di stabilire il riparto dei proventi viola la chiara previsione
dell'art. 117 sesto comma Cost. che attribuisce la potesta'
regolamentare allo Stato nelle sole materie di competenza legislativa
esclusiva.
Infine l'impugnata disposizione e' incostituzionale anche per
violazione dell'art. 118 Cost. in quanto l'allocazione della funzione
amministrativa in oggetto in capo ad un organismo statale non trova
giustificazione nei principi di sussidiarieta', adeguatezza e
differenziazione. Inoltre la disposizione non trova fondamento nei
criteri e principi fissati nella legge di delega: la lettera o)
dell'art. 1 della legge n. 38/2003 infatti aveva previsto, come
criterio di delega, l'armonizzazione e razionalizzazione della
normativa in materia di controlli e di frodi agroalimentari al fine
di tutelare maggiormente i consumatori e di eliminare gli ostacoli al
commercio e le distorsioni della concorrenza: la norma qui
contestata, invece, non razionalizza il sistema, anzi lo confonde per
l'incertezza sulle competenze sanzionatorie, e poi non ha alcuna
rispondenza rispetto alle finalita' previste nella legge delega.
5.b. - Il quarto comma inserisce il comma 4-bis all'art. 18 del
d.lgs. n. 109/1992, prevedendo che «nelle materie di propria
competenza spetta all'Ispettorato centrale repressione frodi
l'irrogazione delle sanzioni amministrative.».
Anche in tal caso in una materia regionale la potesta'
sanzionatoria viene attribuita ad un organo statale, con violazione
dei criteri di riparto costituzionali. Se poi, in ipotesi che si
contesta, la norma dovesse essere giustificata in nome della
sussidiarieta', resta la denunciata illegittimita' per la totale
mancanza di ogni forma di intesa con le regioni.
Inoltre l'illegittimita' appare ancora piu' grave perche' il
d.lgs. n. 109/1992, ove viene introdotta la norma in esame, non
attribuisce competenze particolari all'Ispettorato centrale
repressione frodi, cosi' che, quando la norma fa riferimento «alle
materie di competenza dell'ispettorato» non si comprende quali
materie intenda richiamare. L'Ispettorato ha una competenza generale
di controllo e quindi la disposizione in esame determina, per come e'
formulata, un generale accentramento di potesta' sanzionatorie in
capo all'Ispettorato stesso, con sussistenza dei vizi eccepiti.
Inoltre anche questa disposizione, per i motivi gia' evidenziati
in relazione al precedente secondo comma, non trova fondamento nei
criteri e principi fissati nella legge di delega (lettera o)
dell'art. 1 della legge n. 38/2003), perche' non ha ad oggetto
l'armonizzazione e la razionalizzazione della disciplina dei
controlli e delle frodi agroalimentari.
P. Q. M.
Si chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale accolga il presente
ricorso per gli indicati motivi e, per l'effetto, dichiari
l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate.
Si depositano i seguenti documenti:
1) nota della Conferenza dei presidenti delle regioni e
province autonome del 2 febbraio 2004;
2) interrogazione parlamentare al Ministro delle politiche
agricole e forestali - seduta n. 448 del 31 marzo 2004 e relativa
risposta.
Si deposita altresi' la delibera della giunta regionale
n. 556/2004 di autorizzazione a promuovere il giudizio.
Firenze - Roma, addi' 19 giugno 2004
Avv. Lucia Bora - Avv. Fabio Lorenzoni
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 23 giugno 2004 (della Regione Toscana)
(GU n. 34 del 1-9-2004)
Ricorso della Regione Toscana, in persona del presidente pro
tempore autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 556
del 7 giugno 2004, rappresentato e difeso, per mandato in calce al
presente atto, dagli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni e presso
lo studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via del
Viminale n. 43;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 13,
quarto comma; 14, sesto comma; 17, primo comma 18, secondo e quarto
comma del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99 recante
«Disposizioni in materia di soggetti e attivita', integrita'
aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma
dell'art. 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ee) della legge 7 marzo
2003, n. 38».
Nella Gazzetta Ufficiale 22 aprile 2004, n. 94 e' stato
pubblicato il decreto legislativo n. 99/2004: esso costituisce uno
dei decreti previsti dalla legge delega in agricoltura n. 38/2003,
impugnata in alcune sue previsioni dalla Regione Toscana.
Anche alcune disposizioni del presente decreto legislativo
contrastano con le attribuzioni costituzionalmente garantite alle
regioni e vengono impugnate per i seguenti motivi di
D i r i t t o
1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, quarto comma per
violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost.
L'art. 13, ai commi 1, 2 e 3, richiama il fascicolo aziendale
elettronico ed il suo aggiornamento, la Carta dell'agricoltore e del
pescatore nonche' il codice unico di identificazione aziende
agricole: trattasi di strumenti cartacei ed elettronici gia' previsti
e disciplinati dal decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173 e dal
d.P.R. 1° dicembre 1999, n. 503. In particolare l'art. 1 di tale
d.P.R. n. 503/1999, nel disciplinare l'anagrafe delle aziende
agricole, dispone che il codice fiscale costituisce il codice unico
di identificazione aziende agricole (CUAA) da utilizzarsi in tutti i
rapporti con la pubblica amministrazione; l'art. 7 dello stesso
d.P.R. istituisce la Carta dell'agricoltore e del pescatore,
documento di riconoscimento cartaceo ed elettronico, rilasciata dalle
regioni ai legali rappresentanti di ciascuna azienda iscritta
all'anagrafe; l'art. 9 del medesimo d.P.R. n. 503 istituisce,
nell'ambito dell'anagrafe, il fascicolo aziendale, riepilogativo dei
dati aziendali.
I citati primi tre commi della disposizione in oggetto nulla di
sostanziale aggiungono rispetto a quanto gia' stabilito dalla
previgente normativa.
Il quarto comma, invece, dispone che AGEA assicura, attraverso i
servizi del SIAN, la realizzazione dell'Anagrafe delle aziende
agricole, nonche' di quanto previsto ai precedenti commi 1 e 2,
relativi, come appena visto, al fascicolo aziendale elettronico e
alla carta dell'agricoltore e del pescatore.
Dunque tale quarto comma accentra in capo all'Agenzia per le
erogazioni in agricoltura (organismo nazionale istituito con il
decreto legislativo n. 165/1999, subentrato all'AIMA) la
realizzazione dell'anagrafe delle aziende agricole, del fascicolo
aziendale elettronico e della carta dell'agricoltore e del pescatore,
prevedendo che a tal fine detta Agenzia provvede attraverso i servizi
del SlAN, che e' il Sistema informativo agricolo nazionale previsto
dalla legge 4 giugno 1984, n. 194.
Tale accentramento, che non si fonda su alcuno dei titoli che
legittimano l'intervento statale, si pone in contrasto con le
attribuzioni regionali in materia di agricoltura, che costituisce una
materia riservata alla competenza residuale delle regioni, ai sensi
dell'art. 117, quarto comma Cost. (come affermato dalla Corte
costituzionale nella recente sentenza n. 12/2004).
D'altra parte la disposizione non trova un fondamento
costituzionale neppure nell'art. 118 Cost. non essendovi motivi che
giustifichino l'allocazione in capo allo Stato delle funzioni
suddette in applicazione del principio di sussidiarieta'. Peraltro,
anche in tale ipotesi, la norma sarebbe ugualmente incostituzionale
per l'assenza di ogni previsione di intesa con le regioni, che invece
sarebbe imprescindibile in considerazione dell'interferenza con le
funzioni regionali in materia di agricoltura, secondo quanto
enunciato dalla Corte cost. nella sentenza n. 303/2003.
La norma censurata costituisce addirittura un «passo indietro»
rispetto alla previgente normativa di cui al citato d.P.R.
n. 503/1999: infatti l'art. 1 di tale decreto stabiliva che
l'anagrafe delle aziende agricole fosse istituita all'interno del
SIAN integrato con i sistemi informativi regionali, per raccogliere
le notizie relative ai soggetti esercenti attivita' agricola,
agroalimentare, forestale e della pesca che intrattengano rapporti
con la p.a.; analogamente l'art. 14, terzo comma, del decreto
legislativo n. 173/1998 disponeva l'istituzione della carta
dell'agricoltore e del pescatore e dell'anagrafe delle aziende
agricole avvalendosi del SIAN, integrato con i sistemi informativi
regionali.
Invece la disposizione impugnata non prevede piu' alcun
coordinamento ed alcuna integrazione tra il SIAN ed i Sistemi
informativi regionali i quali, invece, nel corso degli anni, proprio
in virtu' delle sopra richiamate disposizioni, hanno realizzato e
sviluppato molte delle attivita' in esame.
Mentre e' conforme all'assetto costituzionale che al SIAN sia
attribuito un ruolo generale di coordinamento tecnico, e' invece
contrastante con gli artt. 117 e 118 Cost. che all'AGEA tramite il
SIAN sia affidato direttamente il compito di realizzare l'anagrafe
delle aziende agricole, la Carta dell'agricoltore e del pescatore ed
il fascicolo aziendale.
In tale senso, del resto, era stata formulata - durante l'iter di
approvazione della norma - la proposta di modifica dalle regioni («Le
regioni, attraverso i servizi del SIAN integrato dai sistemi
informativi agricoli regionali, realizzano l'Anagrafe delle aziende
agricole, la carta...»: nota della Conferenza dei presidenti delle
regioni e delle province autonome del 2 febbraio 2004, osservazioni
relative all'art. 12; doc. n. 1), ma - come si puo' constatare - la
proposta non e' stata presa in esame.
La censurata disposizione e' incostituzionale anche per eccesso
di delega e quindi per violazione dell'art. 76 Cost. Infatti la
lettera g) del secondo comma dell'art. 1 della legge n. 38/2003
prevede, quale criterio direttivo per la delega, la semplificazione
degli adempimenti contabili ed amministrativi a carico delle imprese
agricole: ebbene e' evidente che l'accentramento in capo all'AGEA
tramite il SIAN della realizzazione dell'anagrafe delle aziende
agricole, della Carta dell'agricoltore e del pescatore e del
fascicolo aziendale non hanno nulla a che vedere con la
semplificazione degli adempimenti contabili ed amministrativi a
carico delle imprese, non essendo affatto dimostrato, ne' essendo
vero, che tale semplificazione non sia perseguibile attraverso
l'integrazione con i sistemi informativi regionali.
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, sesto comma, per
violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost.
L'art. 14, sesto comma, introduce la regola del silenzio assenso
(«Decorso tale termine - centottanta giorni - la domanda si intende
accolta») per tutti i procedimenti che l'impresa agricola puo'
attivare, purche' la relativa istanza sia presentata tramite i CAA
(Centri autorizzati di assistenza agricola). Da cio' consegue che se
i CAA sono affidatari di compiti istruttori non solo per procedimenti
di erogazione di contributi (come avviene in Toscana sulla base di
convenzioni tra CAA e gli enti titolari della funzione
amministrativa), si applica la stessa regola del silenzio assenso
anche ai procedimenti di autorizzazione, espressione di
discrezionalita' amministrativa, che non si prestano ad essere
rilasciati tramite il silenzio assenso. L'autorizzazione
all'esercizio di attivita' agrituristiche, come le autorizzazioni
fitosanitarie e le autorizzazioni edilizie in zone agricole
entrerebbero nell'ambito di applicazione della disposizione in esame,
vanificando le competenze regionali in materia di disciplina dei
relativi procedimenti amministrativi.
Lo Stato non interviene, con la norma in questione, in
procedimenti di sua competenza, ma detta una norma generale che si
applica per tutti i procedimenti, in violazione quindi dei criteri di
riparto di competenze di cui all'art. 117 Cost., posto che i
procedimenti in materia di agricoltura non rientrano nelle
attribuzioni statali.
La disposizione non trova un fondamento costituzionale neppure
nell'art. 118 Cost. e quindi nei principi di sussidiarieta',
adeguatezza e differenziazione ivi richiamati. Secondo l'insegnamento
della Corte costituzionale (sentenza n. 303/2003) la legge statale e'
legittimata ad intervenire in materie di competenza regionale nei
casi in cui, in applicazione dell'art. 118 primo comma Cost., allo
Stato sia attribuita la titolarita' di una funzione amministrativa:
la potesta' legislativa «si sposta» dal livello regionale a quello
statale al fine di organizzare e regolare funzioni amministrative
allocate in capo allo Stato in risposta ad esigenze di carattere
unitario.
Nel caso in esame la titolarita' della funzione amministrativa
non viene allocata a livello statale, perche' l'impugnata
disposizione fissa il termine per il formarsi del silenzio assenso
non solo per i procedimenti di competenza statale, ma anche per
quelli gestiti da tutte le altre amministrazioni: dunque non si
giustifica in nome della sussidiarieta' l'intervento legislativo in
questione.
In ogni caso le disposizioni sarebbero incostituzionali per
violazione dell'art. 118 Cost. perche' non prevedono l'intesa con la
regione che sarebbe invece imprescindibile a fronte dell'interferenza
della disciplina in ambiti materiali di competenza regionale, secondo
quanto affermato nella citata sentenza n. 303/2003.
La disposizione appare poi viziata per eccesso di delega. Infatti
la lettera g) dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 38/2003
prevedeva, tra i criteri direttivi della delega, la semplificazione
degli adempimenti contabili e amministrativi a carico delle imprese
agricole: la norma in esame invece non riduce detti adempimenti, ma
estende l'istituto del silenzio assenso a tutti i procedimenti, ivi
compresi quelli che richiedono l'esercizio di poteri discrezionali.
3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 17, primo comma e
dell'art. 18, secondo e quarto comma, per violazione degli artt. 5,
117, 118 Cost., anche in relazione all'art. 2 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281, e dell'art. 11 della legge costituzionale
n. 3/2001. Violazione del principio della leale collaborazione.
Le censurate disposizioni appartengono al Capo IV «Tutela del
patrimonio agroalimentare» totalmente mancante nel testo sottoposto
all'esame della Conferenza Stato-regioni per l'espressione del
proprio parere. Infatti tale ulteriore capo e' stato inserito dal
Governo dopo l'acquisizione del parere della Conferenza Stato-regioni
(come attestato dalla depositata interrogazione e relativa risposta:
doc. n. 2).
La motivazione di tale successivo inserimento e' che il nuovo
Capo darebbe risposta alle raccomandazioni espresse dalla Camera dei
deputati e dal Senato; che il termine per l'esercizio della delega
legislativa stava per scadere; che non c'era il tempo per convocare
la Conferenza e che comunque le nuove norme introdotte da ultimo
sarebbero rispettose delle attribuzioni regionali.
Le suddette argomentazioni - tutte infondate - sono una conferma
della sussistenza dei vizi eccepiti.
La Conferenza Stato-regioni ha espresso il proprio parere in data
15 gennaio 2004 (citato doc. n. 1); tale Conferenza costituisce la
sede della concertazione, del confronto politico, della valutazione e
ponderazione di una pluralita' di interessi che si imputano a
soggetti diversi dell'ordinamento e rappresenta pertanto uno
strumento essenziale per la leale cooperazione, che trova il suo
diretto fondamento nell'art. 5 Cost. (sentenza Corte cost.
n. 373/1997). Come ha chiarito la giurisprudenza costituzionale «la
premessa per l'intervento della Conferenza e' sempre la presenza di
una qualche implicazione degli indirizzi di politica generale di
pertinenza degli organi statali e la conferenza e' sede di raccordo
per consentire alle regioni di partecipare a processi decisionali che
resterebbero altrimenti nella esclusiva disponibilita' dello Stato»
(Corte cost. sentenza n. 408/1998). In tale ottica, attuando il
criterio del potenziamento delle funzioni della Conferenza di cui
all'art. 9 della legge n. 59/1997, in considerazione delle piu'
rilevanti attribuzioni riconosciute alle regioni dalla stessa legge,
l'art. 2, terzo comma, del decreto legislativo n. 281/1997 ha
stabilito che la Conferenza Stato-regioni e' obbligatoriamente
sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e di decreto
legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza
delle regioni o delle province autonome, che si pronuncia entro venti
giorni; decorso tale termine i provvedimenti recanti attuazione di
direttive comunitarie sono emanati anche in mancanza di detto parere.
E' percio' chiaro che il parere della conferenza sarebbe stato
obbligatorio nel caso in esame perche' le disposizioni del capo in
questione interferiscono con materie regionali e, segnatamente, con
la materia dell'agricoltura, della tutela della salute, del
commercio, delle attivita' produttive.
Di qui la violazione degli artt. 5, 117 e 118 Cost., anche in
riferimento all'art. 2 del decreto legislativo n. 281/1997, sotto il
profilo della lesione del principio di leale collaborazione tra Stato
e regioni.
Le motivazioni addotte dal Governo sono totalmente infondate e
non valgono comunque a sanare la denunciata illegittimita'. In primo
luogo non e' vero che le nuove disposizioni del Capo IV non ledano le
attribuzioni regionali (come verra' analizzato di seguito); in
secondo luogo l'urgenza non era sussistente e, comunque, a fronte di
una situazione urgente deve trovare applicazione il comma quinto
dello stesso art. 2 del decreto legislativo n. 281 che, tra gli altri
casi, prevede la consultazione successiva della Conferenza per
l'esame definitivo degli schemi di decreto legislativo sottoposti al
parere delle commissioni parlamentari se l'urgenza non consente la
consultazione preventiva.
Le impugnate disposizioni del Capo IV inoltre sono in contrasto
con l'impianto sostanziale dell'art. 117 Cost. L'intervento normativo
statale, avendo un'incidenza diretta su materie spettanti al
legislatore regionale, dovrebbe seguire e rispettare un procedimento
di codecisione paritaria con le regioni. Tale necessita' e'
confermata nel meccanismo di cui all'art. 11 della legge
costituzionale n. 3/2001 ove e' previsto che la Commissione
parlamentare per le questioni regionali, integrata con i
rappresentanti delle autonomie territoriali, debba sempre esprimere
un parere ad efficacia rinforzata su tutti i progetti di legge
riguardanti le materie di legislazione concorrente e l'autonomia
finanziaria delle regioni e degli enti locali.
Tale norma e' immediatamente prescrittiva e vincolante, con
conseguente illegittimita' dell'impugnata disposizione, perche'
emanata senza il rispetto della suddetta procedura. Ove poi si
ritenesse che detto art. 11 non sia direttamente prescrittivo, lo
stesso e' comunque vincolante per il principio costituzionale ad esso
sotteso, vale a dire la garanzia della leale collaborazione tra Stato
e regioni, in particolare per quanto attiene all'esigenza di
assicurare la partecipazione effettiva delle regioni ai procedimenti
decisionali dello Stato che possano incidere sulle sfere di autonomia
costituzionalmente attribuite alle regioni stesse; conseguentemente
e' necessario adottare, anche per gli atti normativi del Governo, un
meccanismo idoneo a questa finalita' che nel caso in oggetto e' stato
invece del tutto disatteso.
4. - Ulteriore violazione dell'art. 17 primo comma, per
violazione degli art. 76, 117 e 118 Cost.
Il primo comma della norma affida alla societa' per azioni
«Buonitalia», partecipata dal Ministero delle politiche agricole e
forestali e strumento operativo del Ministero stesso per l'attuazione
delle politiche promozionali di competenza nazionale, l'erogazione di
servizi alle imprese del settore agroalimentare per favorire
l'internazionalizzazione dei prodotti italiani.
La norma si pone in attuazione della previsione contenuta
nell'art. 1, secondo comma, lett. r) della legge delega n. 38/2003,
impugnata da questa amministrazione.
Il citato primo comma dell'art. 17 e' parimenti incostituzionale,
in quanto non sussiste nell'art. 117 Cost. un titolo che legittimi lo
Stato a disciplinare la promozione dei prodotti del sistema
agroalimentare italiano. La norma fa riferimento alle politiche
promozionali di competenza nazionale che, tuttavia, non trovano alcun
fondamento costituzionale, posto che la materia dell'agricoltura e'
attribuita alla competenza regionale.
Ove poi dovesse ravvisarsi una competenza statale in applicazione
dei criteri di sussidiarieta' di cui all'art. 118 Cost., la norma
resterebbe illegittima, perche' non e' prevista alcuna intesa con la
regione, secondo i principi di cui alla sentenza n. 303/2003 della
Corte costituzionale, ma anzi e' creato un sistema che esclude
totalmente le regioni per accentrare le competenze in capo alla
societa' Buonitalia.
La disposizione si pone in contrasto anche con l'art. 76 Cost.
Infatti la legge n. 38/2003 al citato art. 1 secondo comma lett. r)
stabilisce, quale criterio direttivo per la delega, la previsione di
strumenti di coordinamento, indirizzo e organizzazione delle
attivita' di promozione dei prodotti del sistema agroalimentare,
mentre l'impugnata disposizione prevede che la societa' Buonitalia ha
per scopo l'erogazione di servizi alle imprese del settore
agroalimentare e quindi a cio' provvede direttamente, con un ruolo
non limitato all'attivita' di coordinamento.
5. - Ulteriore violazione dell'art. 18, secondo e quarto comma,
per violazione degli artt. 97, 117 e 118 Cost.
5.a. - Il comma 2 dell'art. 18 sostituisce il comma 7 dell'art. 1
del decreto legislativo n. 223/2001, disponendo che le regioni e
l'Agecontrol S.p.a. provvedono ad irrogare le sanzioni amministrative
previste dai commi 1, 2, 3, 4, e 5 della stessa norma (trattasi di
sanzioni amministrative previste per irregolarita' commesse dal
titolare di frantoi o di stabilimenti di molitura delle olive; dal
titolare di stabilimento di trasformazione delle olive da tavola; dai
produttori di olio e dai principali destinatari di olio di oliva o di
sansa usciti dal frantoio).
L'originario comma settimo dell'art. 1 del decreto legislativo
n. 223/2001 (che ora viene modificato nel senso suddetto) attribuiva
alle regioni la competenza ad irrogare le suddette sanzioni
amministrative.
Ora si affianca alle regioni, nella competenza ad irrogare le
sanzioni amministrative, l'Agecontrol (Agenzia per i controlli e le
azioni comunitarie di cui alla legge n. 898/1986), organismo statale
soggetto alla vigilanza ministeriale e si stabilisce che con
successivo decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali
d'intesa con la Conferenza Stato-regioni saranno stabilite le
modalita' di riparto dei proventi delle predette sanzioni.
La disposizione ora introdotta e' illegittima per violazione
delle attribuzioni regionali di cui all'art. 117 Cost.
E' infatti stato chiarito dalla giurisprudenza costituzionale che
la competenza sanzionatoria amministrativa non costituisce una
materia a se', ma accede alle materie sostanziali (sentenza
n. 85/1996; 361/2003; 12/2004); le norme sanzionatorie stabilite in
materie di competenza regionale non possono essere ritenute legittime
nemmeno in quanto direttamente attuative delle norme comunitarie,
dato che ai sensi dell'art. 117 quinto comma Cost. l'attuazione ed
esecuzione della normativa comunitaria spettano nelle materie di loro
competenza alle regioni e alle province autonome.
Percio', a maggior ragione dopo l'entrata in vigore del nuovo
Titolo V, non e' consentito allo Stato intervenire con norme (come
quella qui contestata) che attribuiscono direttamente allo Stato la
competenza sanzionatoria per illeciti amministrativi attinenti a
materie regionali.
Infatti nel caso in esame vengono in questione norme
sanzionatorie in materia di aiuto comunitario alla produzione di olio
di oliva e alla trasformazione delle olive da tavola: si verte quindi
nella materia dell'agricoltura, del commercio e delle attivita'
produttive, tutte rientranti in ambiti materiali affidati alla
competenza residuale delle regioni. Percio' la legge statale non e'
legittimata a disciplinare la competenza ad irrogare le relative
sanzioni amministrative.
Ne', d'altra parte, tale legittimazione sussisterebbe ove si
ritenesse che nel caso in esame le sanzioni amministrative vertano in
materie soggette alla potesta' concorrente: anche in tale ipotesi non
verrebbero meno le ragioni di incostituzionalita' della disposizione
denunciata, perche' lo Stato avrebbe dovuto limitarsi a predisporre
un principio di disciplina che la regione avrebbe poi dovuto svolgere
nell'esercizio delle proprie competenze legislative; la diretta,
puntuale e specifica attribuzione di competenze sanzionatorie
all'Agecontrol non costituisce invece norma di principio.
Inoltre si attribuisce la potesta' di applicare le sanzioni
all'Agecontrol in modo concorrente con lo stesso compito regionale,
senza chiarire i rapporti e le rispettive competenze.
Si crea cosi' una oggettiva confusione perche' gli agenti
accertatori non sapranno a chi trasmettere i verbali: in tal modo la
funzione afflittiva e deterrente tipica della sanzione amministrativa
viene vanificata dalla caotica situazione che si crea per i possibili
vizi di incompetenza che verranno eccepiti a fronte dei provvedimenti
di irrogazione delle sanzioni amministrative.
Questo costituisce una violazione del principio di buona
amministrazione di cui all'art. 97 Cost. che la regione e'
legittimata a far valere in questa sede, perche' determina una
diretta lesione delle proprie attribuzioni nelle materie di
competenza sopra richiamate.
L'impugnata disposizione e' incostituzionale anche perche'
prevede che con decreto ministeriale verranno stabilite le modalita'
di riparto dei proventi delle sanzioni: quindi si attribuisce al
Ministro una potesta' regolamentare che contrasta con l'art. 117
sesto comma Cost. Infatti i proventi suddetti attengono a sanzioni
amministrative che, come sopra rilevato, riguardano materie non
qualificabili, in relazione agli oggetti di disciplina, come di
potesta' esclusiva statale e percio' il potere attribuito al Ministro
di stabilire il riparto dei proventi viola la chiara previsione
dell'art. 117 sesto comma Cost. che attribuisce la potesta'
regolamentare allo Stato nelle sole materie di competenza legislativa
esclusiva.
Infine l'impugnata disposizione e' incostituzionale anche per
violazione dell'art. 118 Cost. in quanto l'allocazione della funzione
amministrativa in oggetto in capo ad un organismo statale non trova
giustificazione nei principi di sussidiarieta', adeguatezza e
differenziazione. Inoltre la disposizione non trova fondamento nei
criteri e principi fissati nella legge di delega: la lettera o)
dell'art. 1 della legge n. 38/2003 infatti aveva previsto, come
criterio di delega, l'armonizzazione e razionalizzazione della
normativa in materia di controlli e di frodi agroalimentari al fine
di tutelare maggiormente i consumatori e di eliminare gli ostacoli al
commercio e le distorsioni della concorrenza: la norma qui
contestata, invece, non razionalizza il sistema, anzi lo confonde per
l'incertezza sulle competenze sanzionatorie, e poi non ha alcuna
rispondenza rispetto alle finalita' previste nella legge delega.
5.b. - Il quarto comma inserisce il comma 4-bis all'art. 18 del
d.lgs. n. 109/1992, prevedendo che «nelle materie di propria
competenza spetta all'Ispettorato centrale repressione frodi
l'irrogazione delle sanzioni amministrative.».
Anche in tal caso in una materia regionale la potesta'
sanzionatoria viene attribuita ad un organo statale, con violazione
dei criteri di riparto costituzionali. Se poi, in ipotesi che si
contesta, la norma dovesse essere giustificata in nome della
sussidiarieta', resta la denunciata illegittimita' per la totale
mancanza di ogni forma di intesa con le regioni.
Inoltre l'illegittimita' appare ancora piu' grave perche' il
d.lgs. n. 109/1992, ove viene introdotta la norma in esame, non
attribuisce competenze particolari all'Ispettorato centrale
repressione frodi, cosi' che, quando la norma fa riferimento «alle
materie di competenza dell'ispettorato» non si comprende quali
materie intenda richiamare. L'Ispettorato ha una competenza generale
di controllo e quindi la disposizione in esame determina, per come e'
formulata, un generale accentramento di potesta' sanzionatorie in
capo all'Ispettorato stesso, con sussistenza dei vizi eccepiti.
Inoltre anche questa disposizione, per i motivi gia' evidenziati
in relazione al precedente secondo comma, non trova fondamento nei
criteri e principi fissati nella legge di delega (lettera o)
dell'art. 1 della legge n. 38/2003), perche' non ha ad oggetto
l'armonizzazione e la razionalizzazione della disciplina dei
controlli e delle frodi agroalimentari.
P. Q. M.
Si chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale accolga il presente
ricorso per gli indicati motivi e, per l'effetto, dichiari
l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate.
Si depositano i seguenti documenti:
1) nota della Conferenza dei presidenti delle regioni e
province autonome del 2 febbraio 2004;
2) interrogazione parlamentare al Ministro delle politiche
agricole e forestali - seduta n. 448 del 31 marzo 2004 e relativa
risposta.
Si deposita altresi' la delibera della giunta regionale
n. 556/2004 di autorizzazione a promuovere il giudizio.
Firenze - Roma, addi' 19 giugno 2004
Avv. Lucia Bora - Avv. Fabio Lorenzoni