N. 61 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 agosto 2003.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 7 agosto 2003 (della Regione autonoma della Sardegna)
(GU n. 41 del 15-10-2003)

Ricorso della Regione autonoma della Sardegna, in persona del suo
presidente pro tempore on. Mauro Pili, giusta deliberazione della
giunta 1° agosto 2003 (n. 25/15) rappresentata e difesa, in virtu' di
procura a margine del presente atto, anche disgiuntamente, dal prof.
avv. Sergio Panunzio del Foro di Roma e dall'avv. Graziano Campus,
direttore generale dell'area legale dell'ente, elettivamente
domiciliata presso il primo, in Roma, corso Vittorio Emanuele II
n. 284;

Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del
Presidente del Consiglio in carica; per la dichiarazione
d'incostituzionalita' dell'art. 1, commi 4, 5 e 6; dell'art. 5, commi
1 e 2; dell'art. 6, commi 1, 2, 3 e 5; dell'art. 7, comma 1;
dell'art. 8, commi 1-4; e dell'art. 10, comma 5, della legge 5 giugno
2003, n. 131 (recante «Disposizioni per l'adeguamento
dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3»).

F a t t o

1. - Dopo una lunga attesa, e' stata approvata una delle leggi
ordinarie che debbono dare attuazione alla revisione del titolo V
della parte II della Costituzione, gia' disposta dalla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Si tratta della legge 5 giugno
2003, n. 131 (c.d. legge «La Loggia», dal nome del Ministro
proponente).
Di tale legge vengono qui in evidenza - ai fini del presente
ricorso - i seguenti articoli.
2.1. - L'art. 1 della legge n. 131 del 2003 disciplina
l'attuazione dell'art. 117, commi 1 e 3 della Costituzione (come
modificato dalla legge costituzionale n. 3/2001): in particolare il
comma 4 riguarda la potesta' legislativa regionale di tipo
«concorrente» e la problematica relativa alla individuazione dei
relativi «principi fondamentali» di competenza della legge statale;
mentre il comma 5 riguarda la individuazione delle disposizioni di
leggi di competenza esclusiva dello Stato, ma che riguardino pero' la
competenza legislativa regionale «concorrente».
In particolare il comma 4 dell'art. 1, al fine di «orientare
l'iniziativa legislativa dello Stato e delle regioni fino all'entrata
in vigore delle leggi con le quali il Parlamento definira' i nuovi
principi fondamentali», conferisce una delega al Governo per adottare
entro un anno «uno o piu' decreti legislativi meramente ricognitivi
dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti, nelle
materie previste dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione»,
attenendosi ai principi indicati dallo stesso comma 4 («principi
della esclusivita', adeguatezza, chiarezza, proporzionalita' ed
omogeneita»), e ad una serie di «criteri direttivi» elencati nelle
lettere da a) ad e) del successivo comma 6 dello stesso art. 1.
A sua volta il successivo comma 5 stabilisce che «Nei decreti
legislativi di cui al comma 4, sempre a titolo di mera ricognizione,
possono essere individuate le disposizioni che riguardano le stesse
materie ma che rientrano nella competenza esclusiva dello Stato a
norma dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione».
2.2. - L'art. 5 della legge «La Loggia» reca norme in materia di
«Attuazione dell'art. 117, comma 5, della Costituzione sulla
partecipazione delle regioni in materia comunitaria».
Il primo comma dell'art. 5 disciplina il concorso delle Regioni e
delle Province autonome di Trento e Bolzano alla formazione degli
atti comunitari, nelle materie di loro competenza. In particolare vi
si stabilisce che, a tale scopo, esse partecipano, «... nell'ambito
delle delegazioni del Governo, alle attivita' del Consiglio e dei
gruppi di lavoro e dei comitati del Consiglio e della Commissione
europea, secondo modalita' da concordare in sede di Conferenza
Stato-regioni che tengano conto della particolarita' delle autonomie
speciali e, comunque, garantendo l'unitarieta' della rappresentazione
della posizione italiana da parte del capo delegazione designato dal
Governo. Nelle delegazioni del Governo deve essere prevista la
partecipazione di almeno un rappresentante delle Regioni a statuto
speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano».
Il successivo secondo comma del medesimo art. 5 stabilisce poi
che «Nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle
Province autonome di Trento e di Bolzano, il Governo puo' proporre
ricorso dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunita' europee
avverso gli atti normativi comunitari ritenuti illegittimi anche su
richiesta di una delle regioni o delle province autonome. Il Governo
e' tenuto a proporre tale ricorso qualora esso sia richiesto dalla
Conferenza Stato-regioni a maggioranza assoluta delle regioni e delle
province autonome».
2.3. - L'art. 6 della legge «La Loggia» reca norme in materia di
attuazione dell'art. 117, quinto e nono comma, della Costituzione
sull'attivita' internazionale delle regioni.
Dopo avere trattato - rispettivamente nel primo e secondo comma -
dell'attivita' delle regioni e province autonome volta alla
attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali ratificati, ed
a quella relativa alla conclusione, con enti territoriali interni ad
altro Stato, di intese dirette a favorire il loro sviluppo, ed allo
svolgimento di «attivita' di mero rilievo internazionale», al terzo
comma l'impugnato art. 6 detta una disciplina degli accordi che i
medesimi enti possono concludere con altri Stati.
In particolare vi si prevede che tali enti, nelle materie di loro
competenza, possono concludere accordi esecutivi ed applicativi di
accordi internazionali gia' in vigore, accordi di natura
tecnico-amministrativa, ed accordi di natura programmatica, purche'
nel rispetto, oltre che dei limiti gia' stabiliti dall'art. 117,
commi 1 e 3, della Costituzione, anche dei vincoli derivanti «dalle
linee e dagli indirizzi di politica estera italiana». A questo scopo
il terzo comma dell'art. 6 disciplina una complessa procedura che
prevede, fra l'altro, la comunicazione delle trattative al Ministero
degli affari esteri ed alla Presidenza del Consiglio; la eventuale
fissazione da parte del Ministero degli esteri di principi e criteri
da seguire nei negoziati; qualora questi si svolgano all'estero, la
collaborazione delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici
consolari italiani. E vi si prevede, infine, che prima della
sottoscrizione il progetto di accordo deve essere comunicato al
Ministero degli esteri il quale, dopo avere sentito la Presidenza del
Consiglio ed avere accertato «... l'opportunita' politica e la
legittimita' dell'accordo, ai sensi del presente comma, conferisce i
pieni poteri di firma previsti dalle norme del diritto internazionale
generale e dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del
23 maggio 1969, ... Gli accordi sottoscritti in assenza del
conferimento di pieni poteri sono nulli».
Tale disciplina e' a sua volta integrata da quella dei successivi
commi 5 e 6 del medesimo art. 6.
Infatti, il comma 5 attribuisce al Ministro degli esteri il
potere di rappresentare in ogni momento alle regioni e province
autonome «questioni di opportunita' politica inerenti le attivita' di
cui ai commi 1 e 3 e derivanti dalle scelte e dagli indirizzi di
politica estera dello Stato e, in caso di dissenso, sentita la
Presidenza del Consiglio ... chiedere che la questione sia portata in
Consiglio dei ministri che, con l'intervento del presidente della
giunta regionale o provinciale interessato, delibera sulla
questione».
Infine, il comma 6 stabilisce che «In caso di violazione degli
accordi di cui al comma 3, ferma restando la responsabilita' delle
regioni verso lo Stato, si applicano le disposizioni dell'art. 8,
commi 1, 4 e 5, in quanto compatibili» (cioe', come ora si dira', il
potere sostitutivo di cui all'art. 120 della Costituzione, la cui
disciplina attuativa e' appunto contenuta nell'art. 8 della legge «La
Loggia»).
2.4. - L'art. 7 della legge «La Loggia» disciplina la «Attuazione
dell'art. 118 della Costituzione in materia di esercizio delle
funzioni amministrative».
Ai fini del presente ricorso rileva in particolare modo il primo
comma il quale - con riferimento a quanto stabilito dal primo comma
del nuovo art. 118 Cost. circa l'attribuzione ai comuni delle
funzioni amministrative - stabilisce che «Lo Stato e le regioni,
secondo le rispettive competenze, provvedono a conferire le funzioni
amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore
della presente legge, sulla base dei principi di sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza, attribuendo a province, citta'
metropolitane, regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra
assicurare l'unitarieta' di esercizio, ...».
2.5. - L'art. 8 della legge n. 131 del 2003 reca norme sulla
«Attuazione dell'art. 120 della Costituzione sul potere sostitutivo».
E' noto il dibattito avutosi in dottrina circa il potere
sostitutivo affidato al Governo dal revisionato art. 120 della
Costituzione: se esso sia limitato alla funzione amministrativa, o se
invece esso sia da intendersi come comprensivo di sostituzioni in via
normativa, nelle forme di un atto con forza di legge «atipico»,
operante con presupposti e forme diversi rispetto a quelli
dell'art. 77 della Costituzione. Al riguardo l'art. 8 in questione ha
optato decisamente per la seconda tesi.
Infatti il primo comma dell'art. 8 stabilisce che «Nei casi e per
le finalita' previsti dall'art. 120, secondo comma, della
Costituzione ...» - e dopo che sia stato assegnato all'ente
interessato un congruo termine per provvedere, che tale termine sia
decorso inutilmente, e che l'organo interessato sia stato su cio'
sentito - il Consiglio dei ministri «... su proposta del Ministro
competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i
provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito
commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il
presidente della giunta regionale della regione interessata al
provvedimento».
Il successivo comma 2 dell'art. 8 integra poi la suddetta
disciplina con una disposizione particolare (attuativa del quinto
comma dell'art. 117 Cost.) secondo cui «Qualora l'esercizio del
potere sostitutivo si renda necessario al fine di porre rimedio alla
violazione della normativa comunitaria, gli atti ed i provvedimenti
di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Presidente del
Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e
del Ministro competente per materia. L'art. 11 della legge 9 marzo
1989, n. 86, e' abrogato».
Infine, il comma 4 del medesimo art. 8 disciplina l'ipotesi piu'
particolare in cui, oltre che l'inerzia dell'ente territoriale
competente a provvedere (come al comma 1) vi sia anche una situazione
di «assoluta urgenza». Recita infatti il quarto comma che «Nei casi
di assoluta urgenza, qualora l'intervento sostitutivo non sia
procrastinabile senza mettere in pericolo le finalita' tutelate
dall'art. 120 della Costituzione, il Consiglio dei ministri, su
proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle regioni o
degli enti locali, adotta i provvedimenti necessari, che sono
immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-regioni o alla
Conferenza Stato-citta' e autonomie locali, allargata ai
rappresentanti delle comunita' montane, che possono chiederne il
riesame».
2.6. - Infine, l'art. 10 della legge «La Loggia» reca norme sul
«Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle
autonomie».
Dopo avere disciplinato nei primi quattro commi funzioni ed
organizzazione dei «rappresentanti» in questione con esplicito
riferimento alle regioni a statuto ordinario (nelle quali la funzione
di rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle
autonomie e' svolto dal prefetto preposto all'ufficio territoriale
del Governo avente sede nel capoluogo regionale), il quinto comma
dell'art. 10 stabilisce che «Nelle regioni a statuto speciale le
funzioni del rappresentante dello Stato ai fini della lettera d) del
comma 2 sono svolte dagli organi statali a competenza regionale
previsti dai rispettivi statuti, con le modalita' definite da
apposite norme d'attuazione». La richiamata lettera d) attribuisce al
rappresentante dello Stato «l'esecuzione di provvedimenti del
Consiglio dei ministri costituenti esercizio del potere sostitutivo
di cui all'art. 120 della Costituzione, avvalendosi degli uffici
territoriali del Governo e degli altri uffici statali aventi sede nel
territorio regionale».
3. - Cosi' come la disciplina contenuta nel titolo V della parte
II della Costituzione non si applica, di massima alle regioni a
statuto speciale, lo stesso si deve dire per la legge ordinaria di
attuazione di quella disciplina costituzionale: appunto la legge
n. 131 del 2003. Cio' sembrerebbe trovare conferma nel primo comma
dell'art. 11 di tale legge, dove e' stabilito che «Per le regioni a
statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano resta
fermo quanto previsto dai rispettivi statuti speciali e dalle
relative norme d'attuazione, nonche' dall'art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2002, n. 3».
Peraltro e' noto, altresi', che in base all'art. 10 della appena
richiamata legge costituzionale n. 3 del 2001, e fino a quando gli
statuti speciali non saranno stati adeguati alla riforma del titolo
V, le nuove norme costituzionali contenute in quest'ultimo si
applicano anche alle regioni a statuto speciale «per le parti in cui
prevedono forme di autonomia piu' ampie rispetto a quelle gia'
attribuite». Ne discende che, cosi' come le disposizioni
costituzionali che risultano applicabili in base alla norma di rinvio
dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, saranno
parimenti applicabili alle regioni a statuto speciale le relative
disposizioni attuative contenute nella legge ordinaria n. 131 del
2003.
Non solo. La stessa legge «La Loggia», in molte delle sue
disposizioni (anche in quelle dianzi riportate) si riferisce
espressamente anche alle regioni a statuto speciale ed alle province
autonome.
In conclusione, dunque, e' indubbio che la disciplina della legge
n. 131 del 2003 risulta essere in parte applicabile anche alle
regioni a statuto speciale ed alle province autonome. Ma nella misura
in cui essa lo e', e relativamente alle specifiche disposizioni che
si sono in precedenza richiamate, tale legge lede le competenze
costituzionalmente spettanti alla Regione autonoma della Sardegna,
onde questa la impugna, per i seguenti motivi di

D i r i t t o

1. - Incostituzionalita' delle disposizioni dell'art. 1,
commi 4, 5 e 6 della legge 5 giugno 2003, n. 131, per violazione
delle competenze regionali di cui al combinato disposto
dell'art. 117, comma 3, della Costituzione e dell'art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001 (nonche', per quanto di ragione, di cui
all'art. 4 dello Statuto speciale per la Regione Sardegna);
dell'art. 11 della suddetta legge costituzionale n. 3 del 2001; e
dell'art. 76 Cost.
1.1. - Con riserva di argomentare piu' ampiamente le censure in
una successiva memoria, veniamo ora a dedurre vizi che inficiano le
disposizioni legislative impugnate. A cominciare dalla disciplina
contenuta nell'art. 1 della legge «La Loggia».
Come si e' gia' visto, il quarto comma dell'art. 1 contiene una
delega al Governo ad adottare dei decreti legislativi che dovrebbero
essere «meramente ricognitivi dei principi fondamentali che si
traggono dalle leggi vigenti nelle materie previste dall'art. 117,
terzo comma, della Costituzione». Il primo interrogativo che pone
tale disposizione e' se abbia una plausibilita' ed un senso giuridici
parlare di una mera ricognizione fatta con un atto con forza di legge
del Governo.
A nostro avviso la risposta all'interrogativo non puo' che essere
negativa. In primo luogo si potrebbe osservare che in tal senso
milita gia' la circostanza che se si trattasse realmente di una mera
ricognizione di principi gia' autonomamente esistenti la delega
sarebbe del tutto inutile. Infatti gli atti di esercizio della delega
non noverebbero la fonte dei principi da essi «riconosciuti»; ne'
essi sarebbero in grado - diversamente da quello che sembrerebbe lo
scopo dichiarato della delega («per orientare l'iniziativa
legislativa dello Stato e delle regioni ...») - di evitare incertezze
e contrasti interpretativi fra lo Stato e le regioni. Questo perche'
- nonostante la procedura «collaborativa» con la quale i principi
fossero individuati dal Governo - i legislatori regionali non
sarebbero (ne' avrebbero motivo di sentirsi) vincolati dai principi
fondamentali individuati in via «meramente ricognitiva». Quindi - in
definitiva - sarebbe sempre codesta ecc.ma Corte costituzionale
(soprattutto in sede di giudizio di costituzionalita' delle leggi
regionali impugnate dal Governo perche' ritenute in contrasto con i
principi fondamentali gia' individuati dal medesimo) a dovere
stabilire se il principio esiste e quale ne sia il suo effettivo
contenuto precettivo; ovvero, seguendo un'ipotesi ulteriore, ad
annullare i principi «individuati» dal Governo, ma in realta' non
corrispondenti a principi fondamentali preesistenti.
Del resto, se si trattasse di mera ricognizione di principi
esistenti, non c'era bisogno di una delega legislativa, essendo
sufficiente un atto del Governo privo di forza di legge.
Il problema nasce soprattutto dal fatto che il carattere
meramente «ricognitivo» dei decreti legislativi in questione e' assai
difficilmente sostenibile, per motivi sia logico-dogmatici, che
testuali. I principi, infatti, non sono - se ci si consente
l'espressione - «cose» che il Governo potrebbe trovare gia' belle e
fatte «rovistando» nell'ordinamento legislativo. I principi non
scritti, infatti, sono sempre ed inevitabilmente il frutto di
un'attivita' ermeneutica che e' inevitabilmente intrisa di scelte di
valore.
Per di piu', nel caso in questione, la predeterminazione dei
principi e criteri direttivi cui si dovrebbe attenere il Governo
nell'esercizio della delega (i primi contenuti nello stesso comma 4,
i secondi nel successivo comma 6 mal si concilia con un'attivita'
meramente ricognitiva, ma implica piuttosto il carattere
sostanzialmente legislativo e, quindi, «innovativo» del potere
conferito al Governo. Cio' e' particolarmente evidente se si
considera lo specifico contenuto di alcuni di essi: per esempio, si
pensi ai principi della «adeguatezza» o della «proporzionalita»
(comma 4), e ad un criterio direttivo quale e' quello di
«salvaguardare la potesta' legislativa riconosciuta alle regioni ai
sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione» (cioe', come
diceva in modo meno ambiguo, ma sostanzialmente corrispondente, il
testo originario del disegno di La Loggia, «... in modo da richiedere
disposizioni applicative regionali»).
Riservandoci (come gia' detto in precedenza) di ritornare in una
successiva memoria su questi aspetti di fondo della problematica
evocata dall'art. 1 della legge «La Loggia», in realta' e' proprio la
«forza di legge» che caratterizza i decreti legislativi delegati in
base a Costituzione cio' che osta a considerare i decreti legislativi
in questione come meramente ricognitivi. Nella «forza di legge» che
e' propria di quei decreti, infatti, e' strutturalmente insito un
carattere innovativo-creativo che la legge di delegazione non puo'
certo «sterilizzare» (poiche' la legge ordinaria non puo' disporre
della «forza di legge», essendo cio' riservato alle fonti
costituzionali). Per cui, in definitiva, la formula della «mera
ricognizione» impiegata dalla legge impugnata risulta essere in
realta', al di la' delle parole, un espediente impiegato per cercare
di superare la troppo palese incostituzionalita' di una delega che
avesse avuto ad oggetto la «determinazione» dei principi fondamentali
(delega di cui si era inizialmente discusso, subito dopo la riforma
del titolo V). Ma si tratta, appunto, di un espediente verbale che
non puo' mutare la sostanza delle cose: la quale porta a dovere
riconoscere il carattere inevitabilmente anche innovativo dei decreti
legislativi in questione.
1.2. - Sulla base di quanto si e' detto in precedenza, si puo'
passare ad indicare sinteticamente quali siano i vizi di
incostituzionalita' del quarto comma dell'art. 1 della legge n. 131
del 2003.
1.2.1. - La incostituzionalita' deriva, in primo luogo, dalla
violazione della riserva di legge formale del Parlamento (e per di
piu' di legge approvata in Assemblea).
Infatti, secondo l'art. 11, comma 2, della legge costituzionale
n. 3 del 2001 i progetti di legge che riguardano «le materie di cui
al terzo comma dell'art. 117 ...» (e quindi soprattutto i progetti di
legge statale riguardanti i «principi fondamentali») non soltanto
debbono essere esaminate dalla Commissione parlamentare per le
questioni regionali (di cui al precedente comma 1 dell'art. 11), ma
qualora la Commissione che ha svolto l'esame del progetto in sede
«referente» non si sia adeguata al parere dato dalla Commissione per
le questioni regionali, in tal caso sul progetto «... l'Assemblea
delibera a maggioranza assoluta dei suoi componenti».
Tanto basta a dimostrare in modo inequivocabile che la vigente
disciplina costituzionale esclude che la individuazione dei principi
fondamentali di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost. possa
costituire oggetto di una delega legislativa, potendo tale
individuazione essere fatta solo dal Parlamento.
Ma in ultima istanza si consideri anche che la formulazione
dell'art. 11, comma 2, della legge costituzionale n. 3 del 2001 («...
progetto di legge riguardante le materie di cui al terzo comma
dell'art. 117 ...») e' tale per cui la riserva di legge formale del
Parlamento non puo' essere esclusa neppure dal riconoscimento di un
carattere meramente «ricognitivo» dei decreti legislativi delegati in
questione.
1.2.2. - In secondo luogo, la disciplina legislativa impugnata e'
incostituzionale anche perche' viola l'art. 76 della Costituzione.
Quest'ultimo, infatti, richiedendo che la legge di delega stabilisca
i principi che dovranno guidare e limitare sostanzialmente
l'attivita' del Governo relativamente al contenuto degli emanandi
decreti legislativi, rende incongrua e contraddittoria una delega al
Governo per la individuazione-determinazione dei principi
fondamentali. In altri termini, nelle materie di cui al terzo comma
dell'art. 117 Cost. spetta allo Stato proprio e solo quella parte
della legislazione che non puo' costituzionalmente essere delegata al
Governo (F. Bassanini, sub art. 1, commi 2-6, in AA.VV., La legge «La
Loggia». Commento alla legge 5 giugno 2003, n. 131, Maggioli, Rimini,
2003) . E si puo' anche osservare che - come ha rilevato A. D'Atena,
Legislazione concorrente, principi impliciti e delega per la
formulazione dei principi fondamentali, nel sito internet www.2.
unife.it/forumcostituzionale - in questo caso i principi della delega
«... (i principi - se cosi' puo' dirsi - al quadrato), essendo
finalizzati alla formulazione di altri principi, verrebbero
fatalmente ad assumere un carattere di assoluta evanescenza (tanto
piu' se - come nella specie - dovessero riferirsi ad una ventina di
materie diverse, fortemente eterogenee l'una dall'altra)».
Quanto poi, in particolare, al principio della «esclusivita» (che
ha sostituito quello che nel testo originario del disegno di legge La
Loggia era il principio di «completezza»), se esso ha lo scopo - come
viene per lo piu' affermato - di impedire al Governo di impugnare
leggi regionali adducendo la violazione di principi fondamentali
diversi da quelli identificati nei decreti legislativi delegati
«meramente ricognitivi», cio' costituisce allora, in primo luogo, la
dimostrazione che principi come questo non sono in realta' diretti ad
indirizzare (ne', tanto meno, a limitare) sostanzialmente - come
invece dovrebbero - l'attivita' del Governo volta alla individuazione
del contenuto dei principi fondamentali relativi alle varie materie
di competenza concorrente.
In secondo luogo, se quello e' il significato del principio di
«esclusivita» (ma quale altro potrebbe essere?), cio' sta a
confermare ulteriormente l'impossibilita' di attribuire agli emanandi
decreti legislativi un carattere «meramente ricognitivo». Infatti,
posto che i principi fondamentali esistono (e trovano la loro fonte)
al di fuori dei decreti legislativi delegati in questione (appunto
solo ricognitivi della loro esistenza), se in concreto una legge
regionale violasse un principio fondamentale in realta' esistente, ma
non individuato nei decreti legislativi ricognitivi in questione,
come potrebbe negarsi al Governo il potere di impugnarlo? Per
negarglielo occorrerebbe affermare che i principi fondamentali
vigenti (fino all'entrata in vigore delle future leggi con cui -
secondo quanto previsto nel primo periodo del quarto comma
dell'art. 1 qui impugnato - «il Parlamento definira' i nuovi principi
fondamentali») sono soltanto quelli individuati dai decreti
legislativi «meramente ricognitivi»: decreti che dunque, in realta',
non sarebbero «meramente ricognitivi», ma avrebbero invece novato la
fonte dei principi fondamentali preesistenti (rendendo inofficiosi
quelli non espressamente «riconosciuti» nei decreti medesimi).
1.3. - La incostituzionalita' del successivo comma 5
dell'impugnato art. 1 della legge n. 131 del 2003 e' conseguente, e
comunque strettamente connessa, alla incostituzionalita' del comma 4
(e del collegato comma 6) di cui si e' trattato in precedenza.
L'oggetto della delega del quinto comma e' diverso rispetto
all'oggetto della delega del quarto comma: non piu' i «principi
fondamentali» relativi alle materie di competenza concorrente, ma le
disposizioni legislative statali «che riguardano le stesse materie ma
che rientrano nella competenza esclusiva dello Stato a norma
dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione». Identici sono
invece gli atti di esercizio della delega («gli stessi decreti
legislativi di cui al comma 4»), e comune e' il carattere
asseritamente di «mera ricognizione» che dovrebbe avere anche la
individuazione di queste ultime disposizioni.
Pertanto, valgono anche a proposito della disciplina del
comma quinto le considerazioni critiche circa l'implausibilita' del
preteso carattere meramente ricognitivo dei decreti legislativi
delegati di cui al comma quarto (supra, n. 1.1.); e valgono in parte
anche per il comma quinto le censure gia' dedotte in relazione al
comma quarto: in particolare quelle relative alla mancanza nella
legge di delega di principi realmente idonei ad indirizzare e
limitare l'esercizio del potere delegato al Governo (supra,
n. 1.2.2.).
Ma nel caso della delega di cui al quinto comma il vizio relativo
alla mancanza di principi e criteri direttivi nella legge di delega
e' ancora piu' grave ed evidente.
Infatti, se anche il rinvio - contenuto nel quinto comma - ai
«... decreti legislativi di cui al comma 4» potrebbe essere inteso
(ma solo implicitamente) come comprensivo dei principi direttivi
della delega in esso contenuti, resterebbero pero' estranei al rinvio
i criteri direttivi di cui al comma sesto. Ma in realta', se anche si
potesse ritenere che il rinvio abbraccia pure i criteri direttivi del
sesto comma, nel caso della delega del quinto comma il problema del
difetto dei principi e criteri direttivi non sarebbe in realta'
risolto.
Il vizio insuperabile sta altrove: precisamente nel fatto che i
principi e criteri direttivi di cui ai commi quattro e sei riguardano
in realta' solo la individuazione dei principi fondamentali di cui al
comma 4, ma non riguardano minimamente la individuazione delle
«disposizioni» legislative statali di cui al comma 5.
Gia' si e' detto in precedenza come e perche', in relazione alla
delega di cui al comma 4, vi sia una grave carenza sostanziale di
principi direttivi. Ma, bene o male (piu' male che bene come si e'
detto!), almeno formalmente essi sono enunciati nei commi 4 e 6.
Viceversa, nel caso della delega contenuta nel comma 5 si ha che:
a) il quinto comma tace sui principi e criteri direttivi, ne' rinvia
espressamente a quelli dei commi 4 e 6; b) avendo la delega del comma
5 un oggetto diverso rispetto a quella del comma 4 i principi e
criteri direttivi relativi a quest'ultima non possono fungere anche
da principi e criteri direttivi per la delega del comma 5.
Si badi che la qui asserita impossibilita' di utilizzare i
medesimi principi e criteri direttivi in relazione a due distinte
deleghe aventi un oggetto diverso si fonda su valutazioni di ordine
sostanziale. Il problema non sta tanto, o soltanto, nel fatto che le
due deleghe abbiano un oggetto diverso; ma sta invece soprattutto nel
fatto che i principi e criteri direttivi di cui ai commi 4 e 6, se
pure sono del tutto insoddisfacenti (per i motivi gia' illustrati) ai
fini della delega del quarto comma dell'art. 1, sono del tutto
inutilizzabili ai fini della delega del quinto comma.
Infatti e' del tutto palese che i principi e criteri direttivi
del quarto e quinto comma sono stati scritti pensando esclusivamente
alla «ricognizione» dei soli principi fondamentali. Cio' risulta
espressamente nella piu' gran parte dei criteri enunciati dal sesto
comma: in particolare lettere a), b) ed e). Ma risulta chiaramente
anche per gli altri criteri e principi: basti pensare, ad esempio, ai
principi di adeguatezza e di proporzionalita', i quali possono anche
avere un senso in relazione alla individuazione dei principi
fondamentali nelle materie di legislazione concorrente, ma non ne
hanno alcuno in relazione alla individuazione di disposizioni
legislative statali di dettaglio.
2. - Incostituzionalita' dell'art. 5 della legge 5 giugno 2003,
n. 131, per violazione delle competenze regionali di cui
all'art. 117, comma 3 e comma 5, della Costituzione, in relazione
all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; e per
violazione delle competenze regionali di cui agli artt. 3, 4 e 6
dello Statuto speciale per la Sardegna e relative norme d'attuazione.
1.1. - Le nuove norme costituzionali introdotte dalla legge cost.
n. 3/2001 - che, come gia' si e' detto, in base all'art. 10 della
stessa legge cost. si applicano alla Regione autonoma della Sardegna,
fino all'adeguamento del relativo Statuto speciale, in quanto
prevedano forme di autonomia piu' ampie di quelle attualmente
assegnate dallo Statuto medesimo - dispongono che, in materia di
«rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni»
(art. 117, comma 3), lo Stato abbia la potesta' legislativa limitata
ai soli principi fondamentali (legislazione concorrente), e che
spetti dunque alle regioni quella di dettaglio.
Stabiliscono inoltre che «le Regioni e le Province autonome di
Trento e Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle
decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e
provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi
internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle
norme di procedura stabilite da legge dello Stato ...» (art. 117,
comma 5).
E' evidente che la normativa statale di attuazione del nuovo
titolo V avrebbe dovuto tenere conto di entrambe le disposizioni
costituzionali appena citate nel dettare la disciplina dei rapporti
delle regioni con l'Unione europea nelle materie di competenza delle
prime.
Cio' significa che lo Stato poteva e doveva dettare la disciplina
procedurale di massima nell'ambito della quale regioni e province
autonome possano prendere parte ai processi decisionali di livello
comunitario, limitandosi a tracciarne i principi fondamentali, e
lasciando invece alla disciplina regionale (o provinciale) gli
aspetti di dettaglio di detta partecipazione (che attiene,
evidentemente, ai «rapporti ... con l'Unione europea delle regioni»
di cui all'art. 117, comma 3, Cost.)
Al contrario, in pretesa attuazione di tali disposizioni, la
legge oggi impugnata, all'art. 5, comma 1, detta una disciplina della
partecipazione delle regioni alla c.d. fase «ascendente» dei processi
decisionali comunitari che non si limita ai principi fondamentali e
non lascia alcuno spazio all'intervento di leggi regionali.
Infatti, anche laddove il primo comma dell'art. 5 non disciplina
direttamente gli aspetti piu' specifici di detta partecipazione, esso
rimette la loro regolamentazione alle decisioni da assumere in sede
di Conferenza Stato-regioni: comunque, la materia e' integralmente
sottratta alla potesta' legislativa regionale, in evidente violazione
del terzo comma dell'art. 117 Cost.
Cio' costituisce, gia' di per se', motivo di illegittimita'
costituzionale della norma impugnata.
Per di piu', la disciplina della partecipazione delle regioni e
delle province autonome alle decisioni sugli atti normativi
comunitari e' configurata in modo assai riduttivo rispetto a quanto
e' imposto dal dettato costituzionale del comma 5 dell'art. 117, ed
e' dunque illegittima per violazione di tale norma costituzionale.
Quest'ultima, infatti, nel prevedere la diretta partecipazione
dei suddetti enti ai processi decisionali comunitari, riconosce il
diritto delle regioni di concorrere in modo incisivo ed efficace alla
fase «ascendente» dei processi comunitari. Lo Stato deve, dunque, in
materia, dettare una disciplina che garantisca realmente una
partecipazione effettiva.
La norma impugnata, invece, si limita a disporre che tale
partecipazione avvenga nell'ambito delle delegazioni del Governo
senza introdurre alcuna ulteriore garanzia.
La disciplina dell'art. 5, comma 1, della legge La Loggia,
dunque, viola l'art. 117, comma 5, Cost., poiche' la sua formulazione
appare prevedere una partecipazione delle regioni scarsamente o per
nulla incisiva, comunque non idonea a rappresentare efficacemente le
istanze di tali enti; e non assegna alle autonomie territoriali un
ruolo di reale rilievo nel processo decisionale.
Non e' previsto, infatti, alcun meccanismo atto a garantire una
reale consistenza del ruolo delle regioni nell'ambito di dette
delegazioni (quali, ad esempio, la previsione di un numero minimo di
rappresentati regionali; o la prescrizione che nelle materie di
legislazione regionale esclusiva le delegazioni debbano essere
composte di soli rappresentanti regionali).
Resta, cioe', sempre in primo piano la presenza del Governo
statale anche per le materie di competenza esclusiva regionale, e la
partecipazione di regioni e province autonome avviene soltanto
attraverso tale «filtro».
L'art. 5, comma 1, della legge n. 131/2003 prevede altresi' che
nelle materie di cui al quarto comma dell'art. 117 Cost. - che in via
residuale appartengono alla competenza esclusiva delle regioni
ordinarie - il Capo delegazione possa essere anche un presidente di
giunta regionale o di provincia autonoma.
Tale previsione appare lesiva delle competenze statutarie della
Regione autonoma della Sardegna ed illegittimamente discriminatoria
delle autonomie territoriali speciali rispetto a quelle ordinarie, in
quanto essa e' riferita soltanto alle materie di competenza
esclusiva-residuale delle regioni ordinarie ex art. 117, comma 4,
Cost. e non anche alle materie che spettano alla legislazione
primaria della regione autonoma della Sardegna in base allo statuto
speciale approvato con L.C. n. 3 del 26 febbraio 1948.
2.2. - Anche il secondo comma dell'art. 5 impugnato appare
costituzionalmente illegittimo per violazione delle norme in rubrica
ed, in particolare, del quinto comma dell'art. 117 Cost.
Tale disposizione costituzionale, infatti, nel garantire la
partecipazione delle regioni e delle province autonome, nelle materie
di loro competenza, alla formazione degli atti normativi comunitari
implica che tali enti debbano, correlativamente, avere la
possibilita' di far valere eventuali illegittimita' degli atti
medesimi davanti agli organi competenti in sede comunitaria
(possibilita' che i trattati comunitari attribuiscono a ciascuno
Stato membro).
Alle regioni e alle province autonome deve quindi essere
riconosciuto un canale di accesso alla Corte di giustizia, che
consenta loro di agire - tramite il Governo italiano - per
l'impugnazione degli atti normativi comunitari.
Del tutto insufficiente e', sul punto, la previsione dell'art. 5,
comma 2, della legge n. 131/2003, poiche' esso si limita a prevedere
la facolta' del Governo di proporre l'azione richiesta dalle regioni.
Tale facolta' e' tuttavia rimessa alla piu' assoluta
discrezionalita', per non dire al vero e proprio arbitrio, del
Governo.
L'unica possibilita' di vincolare il Governo a presentare le
istanze regionali davanti alla Corte di giustizia e' rimessa alla
richiesta della Conferenza Stato-regioni, a maggioranza assoluta
delle regioni e province autonome.
E' evidente come siffatta previsione sia del tutto inadeguata a
garantire l'effettivita' della «partecipazione» delle regioni e delle
province autonome di cui all'art. 117, comma 5, della Costituzione.
La richiesta della maggioranza assoluta vale, infatti, ad
escludere sostanzialmente la possibilita' di una effettiva incidenza
di regioni e province autonome tutte le volte in cui, ad esempio, la
materia con riferimento alla quale si pone la questione non sia di
competenza di tutte le regioni, ma soltanto di alcune di esse, e
quindi tutte le altre non hanno nessun interesse ad imporre al
Governo di adire Corte di giustizia CE.
La previsione, in particolare, lede in modo assai grave la
regione autonoma della Sardegna e gli altri enti territoriali dotati
di autonomia speciale, poiche' questi, essendo dotati di competenze
legislative, sia esclusive che concorrenti, anche in materie che non
spettano invece alle regioni ordinarie, potrebbero trovarsi in tali
ambiti, in netta «minoranza» all'interno della Conferenza
Stato-regione, e, dunque, senza alcuna possibilita' di vincolare il
Governo all'azione in sede comunitaria.
In tali ipotesi, gli enti in parola si troverebbero sforniti di
qualunque strumento di «partecipazione» in sede di giustizia
comunitaria, dovendosi rimettere totalmente all'arbitrio del Governo.
Cio' costituisce una evidente violazione delle competenze
provinciali e delle norme costituzionali indicate in rubrica.
3. - Incostituzionalita' dell'art. 6 della legge 5 giugno 2003,
n. 131, per violazione delle competenze regionali di cui
all'art. 117, comma 3 e comma 9, della Costituzione, in relazione
all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; e per
violazione delle competenze regionali di cui agli artt. 3, 4, 5 e 6
dello Statuto speciale per la Sardegna e relative norme d'attuazione.
3.1. - Come si e' ricordato nell'illustrazione del precedente
motivo, il terzo comma dell'attuale art. 117 Cost. affida alla
legislazione concorrente dello Stato e delle regioni la materia di
«rapporti internazionali ... delle regioni»: lo Stato deve, cioe',
limitarsi alla fissazione di principi fondamentali della materia,
senza disciplinarla in toto, ma lasciando alle regioni la
determinazione della disciplina di dettaglio.
Il nono comma aggiunge, inoltre, che «nelle materie di sua
competenza la regione puo' concludere accordi con Stati e intese con
enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme
disciplinati da leggi dello Stato».
La lettura sistematica delle due disposizioni rende evidente che
la legge statale di cui al comma 9, per la disciplina dei casi e
delle forme nei quali le regioni possono procedere alla stipula di
accordi o intese, dovra' limitarsi a dettare norme di principio, che
lascino il dovuto margine alla regione per la propria disciplina.
Sotto tale profilo, l'art. 6 della legge n. 131/2003 appare
radicalmente illegittimo, in quanto pretende invece di dettare una
disciplina specifica, compiuta ed analitica, sul tema dei rapporti
internazionali delle regioni.
Peraltro, anche a voler accedere ad una diversa interpretazione
della relazione tra i due commi appena richiamati, ritenendo che il
contenuto del comma 9 sia derogatorio rispetto a quanto previsto dal
comma 3 del medesimo articolo, e che, dunque, esso valga a riservare
integralmente allo Stato la disciplina dei «casi» e delle «forme»
degli accordi e delle intese in questione, e' evidente che tale
deroga - in quanto tale - non puo' che essere di stretta
interpretazione.
La disciplina statale di dettaglio, dunque, non potrebbe
riguardare altro che i «casi» e le «forme» degli accordi e non
potrebbe certamente coinvolgere altri aspetti. In particolare, essa
non potrebbe creare strumenti di ingerenza statale nel merito degli
accordi stessi.
L'art. 6 della legge n. 131/2003, invece, va ben oltre tali
limiti, disponendo una serie di limitazioni sostanziali all'esercizio
del potere delle regioni di stipulare accordi e intese che finiscono
per snaturarlo totalmente, svuotandolo sostanzialmente di qualsiasi
significato, e giungendo ad eliminare del tutto qualsiasi portata
innovativa del comma 9 dell'art. 117, introdotto dalla recente
riforma costituzionale.
Se, infatti, si puo' riconoscere, nell'ambito di tale
ricostruzione, che la legge statale possa limitare i tipi di accordi
che le regioni possono concludere con altri Stati (i «casi») e che ne
possa fissare alcune regole procedurali (le «forme»: v. la tempestiva
comunicazione delle trattative al Ministero degli affari esteri ed
alla Presidenza del Consiglio, o l'esigenza che gli accordi stipulati
ricevano pubblicita), appare, invece, radicalmente inconciliabile con
la disciplina dell'art. 117 Cost., commi 3 e 9, la previsione da
parte dell'articolo impugnato di un forte potere di ingerenza nel
merito da parte dello Stato, che si concreta in una serie di istituti
volti a eliminare sostanzialmente il potere di decisione regionale
nei casi previsti.
In particolare, si fa riferimento: alla possibilita', per il
Ministero degli affari esteri, di dettare principi e criteri
direttivi che la regione dovrebbe seguire nella conduzione dei
negoziati (art. 6, comma 3); al necessario coinvolgimento dello Stato
nell'ambito di tutto lo svolgimento dei negoziati, nel caso in cui
questi si svolgano all'estero, attraverso l'imposizione della
«collaborazione» con le rappresentanze diplomatiche ed i competenti
uffici consolari italiani (art. 6, comma 3); alla necessita' che il
Ministero degli esteri accerti preventivamente l'opportunita'
politica e la legittimita' dell'accordo (art. 6, comma 3); alla
possibilita' che siano prospettate dal Governo questioni di
opportunita' politica sull'accordo, in qualsiasi momento (e, dunque,
anche successivamente alla sua stipula) e che in caso di dissenso la
decisione spetti esclusivamente al Consiglio dei ministri (art. 6,
comma 5).
Si tratta di una serie di previsioni le quali, come e' evidente,
singolarmente e soprattutto nel loro complesso, finiscono per
svuotare completamente di significato il potere astrattamente
riconosciuto alle regioni e alle province autonome di procedere alla
stipula degli accordi nei «casi» indicati dallo stesso art. 6, comma
3, della legge La Loggia. Tutti casi, naturalmente, in cui non
vengono in rilievo scelte fondamentali di politica estera (che, del
resto, sono riservate allo Stato, ex art. 117, comma 2, lettera a),
ma soltanto decisioni di rilievo esclusivamente locale o di
importanza marginale: accordi esecutivi ed applicativi di accordi
internazionali gia' entrati in vigore; accordi di natura
tecnica-amministrativa; accordi programmatici per favorire il proprio
sviluppo economico, sociale, culturale, ecc.
Dunque, le suddette disposizioni dell'art. 6, comma 3, della
legge impugnata sono illegittime per violazione delle norme
costituzionali indicate in rubrica.
3.2. - Analoghi rilievi possono essere fatti anche con riguardo
alla previsione, sempre contenuta nel comma 3, che per la stipula
dell'accordo sia necessaria l'attribuzione da parte del Ministro
degli affari esteri dei pieni poteri di firma previsti dalle norme
del diritto internazionale generale e dalla Convenzione di Vienna del
23 maggio 1969, pena la nullita' dell'accordo stesso.
Si tratta di una ulteriore prescrizione volta a limitare
illegittimamente i poteri delle regioni e delle province autonome,
consentendo una ingerenza dello Stato nel merito dell'accordo, in
violazione della nuova normativa costituzionale in materia.
A tale scopo la legge impugnata ha utilizzato un istituto, quello
dell'attribuzione dei pieni poteri, del tutto incongruente con il
tema degli accordi stipulati dalla regioni e dalle province autonome.
I pieni poteri del firmatario sono, infatti, richiesti dal
diritto internazionale esclusivamente per i trattati tra Stati,
perche' questi possano dirsi vincolanti per gli Stati stessi (v.
artt. 1, 3 e 7 della Convenzione di Vienna adottata il 23 maggio 1969
e ratificata ai sensi della legge 12 febbraio 1974, n. 112).
Gli accordi conclusi ai sensi dell'art. 117, comma 9, Cost.,
invece, non sono, ovviamente, dei «trattati» tra Stati, poiche' il
soggetto che li stipula non e' lo Stato, ma la regione o la provincia
autonoma. Ne', come tali, essi vincolano lo Stato, ma soltanto l'ente
che lo ha sottoscritto (non rientrando tali accordi tra quelli in
grado di costituire un limite alla legislazione interna ex art. 117,
comma 1, Cost., che possono essere soltanto i trattati ratificati ex
art. 80 Cost., in quanto solo questi ultimi possono comportare
«modificazioni di leggi» e, dunque, a fortiori vincoli al legislatore
futuro).
E', quindi, del tutto priva di significato la previsione
dell'art. 6, comma 3, della legge impugnata, secondo la quale e'
necessario, a pena di nullita', il conferimento dei pieni poteri per
la stipula di detti accordi.
Si tratta soltanto di un ulteriore meccanismo di ingerenza dello
Stato nel merito degli accordi stipulati dagli enti territoriali, nei
casi ad essi consentiti.
Tale norma, dunque, come le altre di cui si e' detto sopra, deve
essere dichiarate costituzionalmente illegittima per violazione delle
competenze regionali di cui alle norme in rubrica.
4. - Incostituzionalita' delle disposizioni impugnate
dell'art. 7, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, per
violazione delle competenze regionali di cui al combinato disposto
dell'art. 117, comma 3, Cost. e dell'art. 10 della legge cost. n. 3
del 2001 (nonche', per quanto di ragione, di cui agli articoli 3, 4,
5 e 6 dello Statuto speciale per la Sardegna e relative norme
d'attuazione).
La disciplina dell'art. 7 impugnato e' incostituzionale, per
violazione delle disposizioni dello Statuto speciale appena citate e
del principio dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
Infatti l'applicazione anche alla Regione ricorrente della suddetta
disciplina dell'art. 7 (e dello stesso art. 118 della Costituzione)
comporterebbe una riduzione della sua autonomia amministrativa,
stante che, in virtu' della clausola dell'art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, la riforma del titolo V ha comunque
comportato un aumento delle competenze della regione ricorrente
(delle sue competenze legislative e parallelamente, in base
all'art. 6 dello Statuto speciale, anche delle sue competenze
amministrative), risulta impropria e pericolosa per le competenze
della regione la formula impiegata nel primo periodo del primo
comma dell'art. 7 circa il «conferimento» delle funzioni
amministrative. Ivi infatti, e' scritta che lo Stato e le regioni
«provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate
alla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base dei
principi di sussidiarieta', ...».
Orbene, in molti casi le funzioni amministrative statali che, in
base alla riforma del titolo V ed all'art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, sono passate nella «titolarita» della
regione ricorrente sono pero' di fatto, ancora «esercitate» dallo
Stato. In questi casi, allora, l'ambigua formulazione della impugnata
disposizione del primo periodo del comma 1 dell'art. 7 consentirebbe
allo Stato di «conferire» ad altri enti funzioni amministrative ormai
di competenza regionale, di cui esso non e' piu' titolare, ma che di
fatto ancora «esercitava» alla data di entrata in vigore della legge
La Loggia.
Ne deriva la incostituzionalita' della impugnata disposizione,
nella parte in cui si riferisce all'esercizio anziche' alla
titolarita' delle funzioni, salva la possibilita' di una
interpretazione adeguatrice da parte di codesta ecc.ma Corte.
5. - Incostituzionalita' delle disposizioni impugnate
dell'art. 8, commi da 1 a 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, per
violazione delle competenze regionali di cui al combinato disposto
dell'art. 117, comma 3, Cost. e dell'art. 10 della legge cost. n. 3
del 2001; nonche', per quanto di ragione, di cui agli articoli 3, 4,
5 e 56 dello Statuto speciale per la Sardegna, e relative norme
d'attuazione (spec. art. 6 - comma 3, d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348);
e degli articoli 70 e 77 della Costituzione.
5.1. - Mentre sino ad oggi il potere sostitutivo del Governo,
sulla base appunto della giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, era
circoscritto alle sole funzioni amministrative delle regioni e
provincie autonome, l'art. 8 della legge La Loggia - attuando in modo
scorretto l'art. 120, comma 2, della Costituzione - a quanto pare
riconfigura il potere sostitutivo del Governo estendendolo anche alle
funzioni normative-legislative delle Regioni gravemente lesivo delle
competenze della regione ricorrente.
5.2. - Presupposto della presente impugnazione dell'art. 8 della
legge La Loggia e' dunque che il secondo comma dell'art. 120 della
Costituzione attribuisca al Governo un potere sostitutivo limitato
alle sole funzioni amministrative delle regioni. Del resto, se cosi'
non fosse, in base al principio dell'art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, alla regione autonoma ricorrente non
potrebbe applicarsi ne' la disciplina del secondo comma dell'art. 120
Cost., ne' - conseguentemente - quella dell'art. 8 della legge qui
impugnata. In tal caso, infatti, la nuova disciplina del potere
sostitutivo stabilita dall'art. 120 della Costituzione - ampliando il
potere di controllo sostitutivo del Governo, che prima si esercitava
solo in relazione alle funzioni amministrative - restringerebbe
l'autonomia della regione ricorrente, anziche' ampliarla come
richiede appunto l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001
perche' le nuove disposizioni del titolo V possano applicarsi anche
alle regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e
Balzano.
5.3. - Com'e' noto, e' dibattuto in dottrina se il potere
sostitutivo ex art. 120 Cost. sia circoscritto alla funzione
amministrativa od invece estesa anche a quella legislativa (da ultimo
ampie indicazioni al riguardo in G. Scaccia, Il potere di
sostituzione in via normativa nella legge n. 131 del 2003. Prime
note, pubblicato nel sito internet
www.associazionedeicostituzionalisti.it; cui adde, a favore della
prima tesi, V. Cerulli Irelli, sub art. 8, in AA.VV., La legge «La
Loggia» cit.). Tuttavia, ad avviso della regione ricorrente sono del
tutto prevalenti le ragioni che militano nel primo senso.
In sintesi, tali ragioni sono:
a) il fatto che la disposizione costituzionale attribuisca il
potere sostitutivo al Governo (anziche' allo Stato, come sarebbe
stato necessario ove si fosse trattato di un potere sostitutivo
concernente anche la funzione legislativa);
b) il fatto che la disposizione costituzionale accomuna, come
enti soggetti al potere sostitutivo, le regioni agli enti locali,
questi ultimi privi di funzioni legislative, senza operare alcuna
distinzione neppure sotto il profilo procedimentale (che pure sarebbe
stata necessaria ove realmente il potere sostitutivo riguardasse non
solo le funzioni amministrative di tutti gli enti nominati dalla
disposizione in questione, ma anche le funzioni legislative delle
regioni);
c) il fatto che il quinto comma dell'art. 117 prevede
espressamente un potere sostitutivo di natura normativa in relazione
all'inadempimento di obblighi internazionali e comunitari da parte
delle regioni e delle province autonome, per cui, se realmente il
potere sostitutivo in questione riguardasse anche la funzione
legislativa, la relativa disposizione dell'art. 120 Cost. sarebbe
inutiliter data nella parte in cui pone a presupposto dell'esercizio
del potere del Governo il caso del «mancato rispetto delle norme
internazionali o della normativa comunitaria»;
d) infine, ma soprattutto, il fatto che, da un lato, il
riconoscere allo Stato (e per esso al Governo - sia pure
transitoriamente - tramite lo strumento del decreto-legge) il potere
di sostituirsi al legislatore regionale significherebbe alterare
profondamente il nuovo sistema costituzionale delle fonti,
attribuendo allo Stato (sia pure in via sostitutiva) un ulteriore
competenza legislativa generale ed innominata che il nuovo art. 117
Cost. non sembra consentire; d'altro canto, come e' stato
recentemente sottolineato dalla dottrina (G. Scaccia, op. cit.), la
doppia negazione presente nell'incipit degli articoli 76 e 77 Cost.
sta invece a ribadire l'eccezionalita' della attribuzione di funzioni
legislative al Governo, al quale l'interprete puo' riconoscere tali
funzioni solo in presenza di una espressa ed inequivoca attribuzione
fatta da una norma costituzionale, quale certamente non dato e' di
rinvenire nel novellato art. 120 della Costituzione.
5.4. - Cio' detto, e venendo all'impugnato art. 8 della legge La
Loggia, se (come sembra) i «provvedimenti normativi necessari»
adottabili dal Governo nelle due ipotesi di cui ai commi 1 e 4 hanno
natura di atti di normazione primaria, si dovrebbe allora trattare di
atti con forza di legge del Governo assimilabili (ma solo in parte,
come si vedra) ai decreti-legge: in tal senso, invero, depone anche
l'assonanza del nomen con i «provvedimenti provvisori con forza di
legge» previsti appunto dall'art. 77 della Costituzione.
Ma, in tal caso, la disciplina legislativa impugnata - nella
parte in cui essa consente al Governo di adottare, nell'esercizio del
potere sostitutivo, atti con forza di legge - e' palesemente
incostituzionale e gravemente lesiva delle competenze costituzionali
della regione autonoma ricorrente.
Passiamo quindi ad individuare sinteticamente i principali motivi
della incostituzionalita' della disciplina in questione.
In primo luogo e' da ribadire il pacifico insegnamento della
dottrina e della giurisprudenza secondo cui, nel sistema
costituzionale delle fonti, gli atti con forza di legge sono un
numero chiuso, essendo essi soltanto quelli espressamente e
tassativamente previsti da apposite norme costituzionali. Una legge
ordinaria, quale e' quella qui impugnata, non puo' validamente
istituire una nuova fonte primaria, quale sarebbe il provvedimento
con forza di legge di cui all'impugnato art. 8: un provvedimento che,
per vari aspetti di cui ora si dira', e' anche non assimilabile al
decreto-legge di cui all'art. 77 della Costituzione. Gia' per questo,
dunque la impugnata disciplina dell'art. 8 e' incostituzionale.
Come si e' detto, inoltre, l'atto normativo del Governo
configurato dall'art. 8 si discosta per aspetti essenziali dal
decreto-legge ex art. 77 della Costituzione. Infatti, nel caso
dell'intervento sostitutivo del primo comma dell'art. 8 il
provvedimento interviene solo a conclusione di un complesso
procedimento preparatorio, che vede una messa in mora del soggetto
inattivo, la fissazione di un termine per l'adozione dell'atto
dovuto, l'audizione dell'ente inadempiente, ecc.: una procedura che,
peraltro, e' palesemente incompatibile con la situazione di
straordinaria necessita' ed urgenza, e quindi di indifferibilita' del
provvedere, che e' invece l'essenziale presupposto per adozione del
decreto-legge ai sensi dell'art. 77 della Costituzione.
Del pari non conforme al modello del decreto-legge, ed al suo
regime giuridico, e' pure l'intervento sostitutivo nel caso di
«assoluta urgenza» di cui al comma 4 dell'art. 8, nei quali viene
meno la procedura preparatoria del comma 1. In questo caso, infatti,
oltre ad esservi un differenza nella definizione del presupposto
richiesto - dall'art. 77 Cost. («casi straordinari di necessita' e di
urgenza»), soprattutto si ha che nella fase del procedimento
successiva all'adozione del provvedimento sostitutivo viene inserita
(accanto ed in aggiunta alla conversione in legge, se il
provvedimento in questione deve essere in qualche modo assimilato al
decreto-legge) la «immediata comunicazione» del medesimo
provvedimento «alla Conferenza Stato-regioni o alla Conferenza
Stato-citta' e autonomie locali, ..., che possono chiederne il
riesame» (meccanismo procedurale, questo, che ricalca fedelmente
quello dell'art. 5, comma 3, del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 112, onde si dovrebbe ritenere applicabile anche la disciplina del
riesame contenuta nell'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Dunque, la disciplina legislativa impugnata non soltanto sembra
pretendere di istituire un nuovo tipo di atto con forza di legge del
Governo, non previsto dalla Costituzione; ma per di piu' lo ha
configurato in modo assai diverso, sia per quanto riguarda i
presupposti, sia per quanto riguarda la procedura di «conversione»,
dal modello del decreto-legge di cui all'art. 77 della Costituzione.
In tal modo la disciplina dell'art. 8 della legge La Loggia,
attribuendo al Governo (sia pure in via sostitutiva) un siffatto
potere «legislativo» su materie innominate, si risolve in
un'autorizzazione permanente per il medesimo Governo a derogare agli
elenchi di materie dell'art. 117 Cost. ed in uno svuotamento della
garanzia delle competenze legislative regionali e provinciali che ivi
e' stabilita.
Di qui la incostituzionalita' della disciplina legislativa
impugnata, salvo una interpretazione adeguatrice di codesta ecc.ma
Corte, che valga ad escludere la possibilita' che il Governo utilizzi
l'art. 8 per adottare anche provvedimenti normativi con forza di
legge, incidenti sulle competenze legislative della regione
ricorrente.
5.5. - Infine, la disciplina dell'art. 8 e' per certi particolari
ed ulteriori aspetti comunque incostituzionale, anche qualora si
escludesse che i provvedimenti sostitutivi ivi contemplati possano
avere efficacia legislativa.
5.5.1. - Va particolarmente censurato il comma 2 dell'art. 8 per
la sua incompatibilita' con la disciplina speciale della
«inadempienza comunitaria» che e' stabilita - per la Regione autonoma
della Sardegna - dalle citate norme d'attuazione dell'art. 6 del
d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348: norme d'attuazione che (secondo il
costante insegnamento di codesta ecc.ma Corte) non possono essere
abrogate ne' derogate dalla legge ordinaria, ma solo attraverso la
speciale procedura collaborativa dell'art. 56 dello statuto speciale.
Fra l'altro, la disciplina dell'art. 6 del d.P.R. n. 348 del 1979
prevede il necessario parere della Commissione parlamentare per le
questioni regionali, che non e' invece richiesto dal secondo
comma dell'impugnato art. 8. Il rilevato contrasto del secondo
comma dell'art. 8 della legge impugnata con le norme d'attuazione
dello Statuto speciale comporta la violazione dell'art. 56 dello
statuto medesimo.
6. - Incostituzionalita' dell'art. 10, comma 5, della legge 5
giugno 2003, n. 131, per violazione delle competenze regionali di cui
allo statuto speciale per la Regione Sardegna e, in particolare,
all'art. 56, nonche' delle relative norme di attuazione.
Per le argomentazioni precedentemente svolte, e con riserva di
piu' diffuse successive considerazioni, si eccepisce
l'incostituzionalita' per violazione dell'art. 56 dello Statuto sardo
e delle relative norme di attuazione, dell'art. 10, comma 5 della
legge n. 131/2003 concernente l'attribuzione al rappresentante dello
Stato (scil.: agli organi statali a competenza regionale previsti dai
rispettivi statuti ...) dell'esecuzione dei provvedimenti del
Consiglio dei ministri costituenti esercizio del potere sostitutivo
di cui all'art. 120 della Costituzione.


P. Q. M.
Voglia l'ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del
presente ricorso, dichiarare incostituzionali, in parte qua, le
disposizioni indicate in epigrafe della legge 5 giugno 2003, n. 131.
Roma-Cagliari, addi' 5 agosto 2003.
Prof. avv. Sergio Panunzio - Avv. Graziano Campus

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