N. 63 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 2 luglio 2004.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 2 luglio 2004 (del Presidente del Consiglio dei
ministri)
(Gu n. 34 del 1-9-2004)

Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via
dei Portoghesi n. 12, e' domiciliato nei confronti della Regione
Veneto, in persona del presidente del giunta regionale per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge della
Regione Veneto 23 aprile 2004, pubblicata nel B.U.R. n. 45 del 27
aprile 2004, recante «Norme per il governo del territorio»:
nell'art. 40, in relazione all'art. 117, secondo comma,
lettera s), ed all'art. 118, terzo comma, della Costituzione;
nell'art. 50, comma 8, lettera c) in relazione all'art. 117,
commi secondo, lettera l), terzo e sesto, nonche' all'art. 3 della
Costituzione.
La legge n. 11/2004 della Regione Veneto detta norme per il
governo del territorio, definendo, in particolare, le competenze
degli enti territoriali, le regole per l'uso dei suoli, i diversi
livelli e strumenti di pianificazione, le forme di coordinamento e
integrazione delle informazioni, i procedimenti.
Tale legge, giusta delibera del Consiglio dei ministri in data 22
giugno 2004, viene impugnata nelle sottoindicate disposizioni.
a) Art. 40.
L'art. 40 della impugnata legge regionale prevede che il Piano di
assetto del territorio (PAT) in relazione: ai manufatti ed agli spazi
liberi dei centri storici (tali considerati secondo il criterio
enunciato al comma 1, fondato sui segni di originarie funzioni
economiche, sociali, politiche o culturali degli agglomerati
insediativi di remota formazione), alle Ville Venete di cui alla
pubblicazione dell'apposito Istituto regionale «Ville Venete-Catalogo
e Atlante del Veneto», nonche' agli edifici e complessi di valore
monumentale e testimoniale (con individuazione delle pertinenze
scoperte da tutelare e del contesto figurativo), determini le
categorie in cui gli stessi debbono essere raggruppati per le loro
caratteristiche tipologiche, attribuendo valori di tutela in funzione
degli specifici contesti da tutelare e salvaguardare e quindi, per
ciascuna categoria, gli interventi e le destinazioni d'uso
ammissibili.
Prevede inoltre che il Piano degli interventi (PI) attribuisca a
ciascun manufatto le caratteristiche tipologiche di riferimento
nonche' la corrispondente categoria di intervento edilizio, come
sopra determinate dal PAT.
Tali disposizioni appaiono costituzionalmente illegittime perche'
in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s) e sesto comma,
Cost., che riserva alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato
(ed alla sua potesta' regolamentare) la tutela dei beni culturali.
Esse, infatti, prefigurano misure di limitazione e conformazione
della proprieta' privata, in funzione esclusiva di un interesse
storico e culturale, la cui individuazione rappresenta una delle
attivita' fondamentali in cui si esplica la tutela dei beni
culturali.
Gli interventi riferiti alla struttura del bene, volti a
conservare o recuperare il valore ideale e di testimonianza che esso
esprime, assicurandone la trasmissione nel tempo, attengono infatti
specificamente all'aspetto della tutela del bene culturale e non a
quello di valorizzazione del medesimo (riconducibile alla competenza
concorrente della Regione), come insegnato nella sentenza n. 9/04.
In particolare la Corte, rilevato che nella modifica del quadro
costituzionale delle competenze di Stato e Regioni e' stata
attribuita allo Stato la potesta' legislativa esclusiva (con la
conseguente potesta' regolamentare) in materia di tutela dei beni
culturali ed ambientali, tenendo conto delle caratteristiche del
patrimonio storico artistico italiano, considerato unitariamente e
nel suo complesso come un tutt'uno, ha precisato che la tutela e'
diretta principalmente ad impedire che il bene possa degradarsi nella
sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale e che la
prima attivita' in cui si sostanzia la tutela e' quella di
riconoscere il bene culturale come tale (cfr. gia' art. 148, d.lgs.
n. 112/1998).
Devono quindi ritenersi precluse alla Regione la potesta'
conformativa del regime dominicale in relazione a categorie di beni
di valenza culturale e la disciplina di ogni attivita' di tutela
nonche' di definizione delle relative modalita'.
b) Art. 50, comma 8, lettera c).
L'art. 23 della l.r. 27 giugno 1985, n. 61 (norme per l'assetto e
l'uso del territorio), dopo aver stabilito al sesto comma che «le
distanze minime tra fabbricati sono quelle di cui all'art. 9 del d.m.
2 aprile 1968, n. 1444 del Ministro dei lavori pubblici», prevedeva,
all'ultimo comma, in corrispondenza con lo stesso u.c. dell'art. 9
del d.m. citato, che minori distanze tra fabbricati potessero essere
ammesse nei casi di gruppi di edifici oggetto di piani urbanistici
attuativi planivolumetrici o per interventi puntuali disciplinati dal
Piano regolatore generale.
Tale ultimo comma e' stato sostituito dall'art. 50, comma 8,
dell'impugnata l.r. n. 11/2004, che, alla lettera c), prevede anche
la possibilita' che i Piani regolatori generali definiscano distanze
minori di quelle stabilite nell'art. 9 del ripetuto d.m.
n. 1444/1968, nelle zone territoriali omogenee B e C1, (1) qualora,
fermo restando per le nuove costruzioni il rispetto delle distanze
dal confine previste dal piano regolatore generale che comunque non
possono essere inferiori a cinque metri, gli edifici esistenti
antistanti a quelli da costruire siano stati realizzati
legittimamente ad una distanza dal confine inferiore (ai cinque
metri).
(1) V. art. 24, commi 1 e 2, della l.r. n. 61/1985 in
relazione all'art. 7 del d.m. n. 1444/1968:
la zona B concerne le parti del territorio
totalmente o parzialmente edificate diverse dagli
agglomerati urbani che rivestono carattere storico,
artistico o di particolare pregio ambientale; si
considerano parzialmente edificate le zone in cui la
superficie coperta degli edifici esistenti non sia
inferiore al 12,5% della superficie fondiaria della zona e
nelle quali la densita' territoriale sia superiore ad 1,5
mc/mq;
la zona C1 concerne le parti del territorio
destinate a nuovi complessi insediativi e nelle quali il
limite della superficie coperta dagli edifici esistenti non
deve essere inferiore al 7,5% della superficie fondiaria
della zona e la densita' territoriale non deve essere
inferiore a 0,50 mc/mq.
Il d.m. prevede per tali zone la distanza minima
assoluta di m 10, nonche', per la zona C, tra pareti
finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari
all'altezza del fabbricato piu' alto.

Tale disposizione appare costituzionalmente illegittima per
quanto appresso precisato.
Al fine di assicurare la coesistenza e l'armonico esercizio dei
diritti dei singoli proprietari fondiari, alle facolta' di ciascuno
sono imposti dalla legge (in coerenza con l'art. 42 Cost.) limiti
atti a conciliare il godimento del suo fondo con il godimento del
fondo finitimo.
Un limite legale specifico a protezione del diritto del vicino e'
posto dalle norme che impongono, ad ogni proprietario, di rispettare
determinate distanze minime nell'eseguire costruzioni (perche' le
costruzioni vicine non si tolgano reciprocamente aria e luce, non
creino condizioni insalubri per gli abitanti, non pregiudichino la
rispettiva sicurezza).
La lesione del diritto di proprieta' determinata dalla violazione
delle norme sulle distanze e' suscettibile anche della drastica forma
di risarcimento in forma specifica, attraverso la riduzione in
pristino.
Com'e' del tutto pacifico, le norme degli strumenti urbanistici
che prescrivono le distanze nelle costruzioni - o come spazio tra le
medesime o come distacco dal confine - (2) in forza del rinvio
contenuto nell'art. 873 del codice civile hanno carattere integrativo
delle norme dello stesso codice. In quanto volte a disciplinare i
rapporti di vicinato, assicurando un'equita' nell'utilizzazione
edilizia dei suoli privati ed attribuendo il diritto reciproco al
loro rispetto, esse concorrono alla stessa configurazione del diritto
di proprieta'; la loro violazione attribuisce all'interessato la
facolta' di chiedere riduzione in pristino (art. 872, secondo comma,
c.c.).
(2) Le norme che impongono distanze dal confine hanno una
particolare carica privatistica in quanto miranti ad
evitare che un proprietario, in base al principio generale
della cd. prevenzione temporale, rimanga coartato, nei modi
di avvalersi della sua facolta' di edificare, dal
comportamento del vicino che per primo ha costruito.

Ne discende che le anzidette particolari norme degli strumenti
urbanistici incidono nella materia dell'ordinamento civile,
attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, cui
compete altresi' la potesta' regolamentare (art. 117, secondo comma,
lettera l) e sesto comma, Cost.) e devono pertanto essere rispettose
della normativa statale anche di livello regolamentare. Non e' dunque
consentito alla legge regionale prevedere la possibilita' che norme
sulle distanze nelle costruzioni contenute in strumenti urbanistici
deroghino alla normativa statale in argomento, la quale pone al
riguardo limiti precisi e inderogabili nella formazione o revisione
di detti strumenti.
In diversa prospettiva ed a volerla considerare sotto il profilo
dell'assetto urbanistico, sarebbe palese la violazione dei canoni di
coerenza e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. da parte della
censurata disposizione della legge regionale. Essa consente che la
valutazione pubblicistica in sede locale dell'efficienza ambientale,
che, a salvaguardia degli inerenti molteplici interessi generali
della collettivita' e per un uso razionale ed equilibrato del
territorio, porta a stabilire nel PRG una determinata distanza tra
costruzioni nel rispetto di quelle minime indicate nel d.m.
n. 1444/1968, possa essere contraddetta da una diversa valutazione
normativa nello stesso PRG, in senso riduttivo di tale distanza
complessiva e violativo delle prescrizioni del d.m., in funzione
esclusivamente di un interesse di natura privata di uno dei frontisti
(il proprietario prevenuto, altrimenti obbligato ad arretramenti).
Cio' anche in contrasto, sul piano pubblicistico dei rapporti tra
costruttore e p.a., con il principio fondamentale ricavabile in
materia di governo del territorio dall'art. 41-quinquies della legge
n. 150/1942 circa l'inderogabilita' dei limiti di distanza tra i
fabbricati stabiliti nell'interesse pubblico (cfr. anche sent.
n. 120/1996), con conseguente configurabilita', con riguardo a tale
interferente materia, della violazione dell'art. 117, terzo comma,
Cost. Ne' puo' trascurarsi che dovrebbe aversi riguardo, a tal fine,
all'intero complesso normativo statale consolidatosi ben prima delle
modifiche costituzionali attinenti ai rapporti Stato-Regioni, in base
al quale costituisce ius receptum il principio affermato dalla
giurisprudenza circa l'inserzione delle disposizioni dell'art. 9 del
d.m. nello strumento urbanistico che rechi previsioni difformi.


P. Q. M.
Si conclude, perche' sia dichiarata l'illegittimita'
costituzionale della legge 23 aprile 2004, n. 11 della Regione Veneto
nell'art. 40 e nell'art. 50, comma 8, lettera c), per le ragioni e
come sopra precisato.
Roma, addi' 23 giugno 2004
Avvocato dello Stato: Giorgio D'Amato

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