N.   63  RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 27 aprile 2010.
 
Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 27 aprile  2010  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
(GU n. 20 del 19-5-2010)

 

    Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato
e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale ha  il
proprio domicilio in via dei Portoghesi 12, Roma, contro  la  Regione
autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del suo Presidente per  la
dichiarazione della illegittimita' costituzionale dell'art. 8,  comma
2, della legge regionale Regione Friuli Venezia  Giulia  17  febbraio
2010, n. 5, «Valorizzazione dei dialetti di  origine  veneta  parlati
nella Regione  Friuli  Venezia  Giulia»,  pubblicata  nel  bollettino
ufficiale regionale n. 8 del 24 febbraio 2010. 
 
                           Fatto e diritto 
 
    1. - La legge regionale in  esame,  recante  «Valorizzazione  dei
dialetti di  origine  veneta  parlati  nella  regione  Friuli-Venezia
Giulia», e' stata emanata, ai sensi dell'art. 1, comma  primo,  della
stessa  legge,   in   dichiarata   attuazione   dell'art.   9   della
Costituzione. 
    Essa  e'  volta  pero'  alla  promozione  e  al  sostegno   della
valorizzazione culturale e della conoscenza dei dialetti  di  origine
veneta parlati nel territorio regionale ed elencati nell'art. 2. 
    Piu' esattamente, il medesimo art. 1, comma primo, recita che «la
Regione valorizza i dialetti di origine veneta  individuati  all'art.
2,  quali  patrimonio  tradizionale  della  comunita'   regionale   e
strumento di dialogo nelle aree frontaliere  e  nelle  comunita'  dei
corregionali all'estero». 
    L'art. 2, comma unico, statuisce poi che i dialetti in  questione
sono «i dialetti di origine veneta  nelle  seguenti  espressioni:  il
triestino, il bisiaco, il gradese,  il  maranese,  il  muggesano,  il
liventino, il veneto dell'Istria e della Dalmazia, nonche' il  veneto
goriziano, pordenonese e udinese». 
    Infine, ai sensi dell'art. 8, comma secondo, «La Regione sostiene
gli enti locali e i soggetti  pubblici  e  privati  che  operano  nei
settori della cultura, dello sport, dell'economia e del  sociale  per
l'utilizzo di cartellonistica, anche stradale, nei  dialetti  di  cui
all'art. 2.» 
    2. - E' qui appena da rammentare che, in attuazione  dell'art.  6
Cost. (ai sensi del quale, come ben noto, «La Repubblica  tutela  con
apposite norme le minoranze linguistiche»), e' stata emanata la legge
15 dicembre 1999, n. 482, «Norme in materia di tutela delle minoranze
linguistiche storiche». 
    L'art. 2, comma primo, di essa legge statuisce che «In attuazione
dell'art. 6 della Costituzione e in armonia con i  principi  generali
stabiliti dagli organismi europei  e  internazionali,  la  Repubblica
tutela la lingua e la cultura delle popolazioni  albanesi,  catalane,
germaniche,  greche,  slovene  e  croate  e  di  quelle  parlanti  il
francese, il franco provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano  e
il sardo». 
    A sua volta, l'art. 10, comma primo, prevede che «Nei  comuni  di
cui all'art.  3,  in  aggiunta  ai  toponimi  ufficiali,  i  consigli
comunali possono deliberare  l'adozione  di  toponimi  conformi  alle
tradizioni e agli usi locali.». 
    E' altresi' appena  da  rammentare  che  l'art.  3  in  questione
disciplina l'individuazione dei territori  in  cui  si  applicano  le
disposizioni  previste  dalla  legge  in  questione  a  tutela  delle
minoranze  culturali  in  essa  individuate:  «1.  La   delimitazione
dell'ambito territoriale  e  sub-comunale  in  cui  si  applicano  le
disposizioni di tutela delle minoranze linguistiche storiche previste
dalla presente legge e' adottata dal consiglio provinciale, sentiti i
comuni interessati, su richiesta di almeno il quindici per cento  dei
cittadini iscritti nelle liste  elettorali  e  residenti  nei  comuni
stessi, ovvero di un terzo  dei  consiglieri  comunali  dei  medesimi
comuni. 2. Nel caso in cui non sussista alcuna delle  due  condizioni
di cui al comma 1 e qualora sul territorio comunale insista  comunque
una minoranza linguistica ricompresa nell'elenco di cui  all'art.  2,
il  procedimento  inizia  qualora  si  pronunci   favorevolmente   la
popolazione residente, attraverso apposita consultazione promossa dai
soggetti aventi titolo e con le  modalita'  previste  dai  rispettivi
statuti e regolamenti comunali. 3. Quando le  minoranze  linguistiche
di cui all'art. 2 si trovano distribuite su territori  provinciali  o
regionali diversi, esse possono costituire organismi di coordinamento
e di proposta, che gli enti  locali  interessati  hanno  facolta'  di
riconoscere.» 
    3.   -   Nulla   quaestio,   ovviamente,   che,   anche   secondo
l'insegnamento di codesta Ecc.ma Corte,  la  tutela  delle  minoranze
linguistiche  costituisca  principio  fondamentale   dell'ordinamento
costituzionale (sentenze n. 15 del 1996, n. 261 del 1995 e n. 768 del
1988). 
    In particolare, «tale principio, che rappresenta  un  superamento
delle concezioni dello Stato nazionale  chiuso  dell'ottocento  e  un
rovesciamento  di  grande  portata  politica  e  culturale,  rispetto
all'atteggiamento nazionalistico manifestato dal fascismo,  e'  stato
numerose volte valorizzato  dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte,
anche perche' esso si situa al punto di incontro con altri  principi,
talora definiti  ''supremi'',  che  qualificano  indefettibilmente  e
necessariamente l'ordinamento vigente» (sentenze n. 62 del  1992,  n.
768 del 1988, n. 289 del 1987 e  n.  312  del  1983):  «il  principio
pluralistico riconosciuto dall'art. 2 - essendo la lingua un elemento
di identita' individuale e collettiva di importanza basilare -  e  il
principio di eguaglianza riconosciuto dall'art. 3 della Costituzione,
il quale, nel primo comma, stabilisce  la  pari  dignita'  sociale  e
l'eguaglianza di fronte  alla  legge  di  tutti  i  cittadini,  senza
distinzione di lingua e, nel secondo comma, prescrive  l'adozione  di
norme che valgano anche positivamente per rimuovere le situazioni  di
fatto da cui possano derivare conseguenze discriminatorie»  (sentenza
n. 15 del 1996). 
      
    Vero e' pero' anche che  «l'attuazione  in  via  di  legislazione
ordinaria dell'art.  6  Cost.  in  tema  di  tutela  delle  minoranze
linguistiche genera un modello di riparto delle competenze fra  Stato
e Regioni che non corrisponde alle ben note  categorie  previste  per
tutte le altre  materie  nel  Titolo  V  della  seconda  parte  della
Costituzione, sia prima che dopo la riforma costituzionale del  2001.
Infatti, il legislatore statale appare titolare di un proprio  potere
di individuazione delle lingue minoritarie protette, delle  modalita'
di determinazione degli  elementi  identificativi  di  una  minoranza
linguistica da tutelare, nonche' degli  istituti  che  caratterizzano
questa tutela, frutto di un indefettibile bilanciamento con gli altri
legittimi interessi coinvolti ed almeno  potenzialmente  confliggenti
(si pensi a coloro che  non  parlano  o  non  comprendono  la  lingua
protetta o  a  coloro  che  devono  subire  gli  oneri  organizzativi
conseguenti alle speciali tutele). E cio' al di la' della ineludibile
tutela della lingua italiana. ...Il legislatore  statale  dispone  in
realta' di un proprio potere di doveroso  apprezzamento  in  materia,
dovendosi necessariamente tener conto delle conseguenze  che,  per  i
diritti  degli  altri  soggetti  non  appartenenti   alla   minoranza
linguistica protetta e sul piano organizzativo dei pubblici poteri  -
sul piano quindi della stessa operativita' concreta della  protezione
- derivano dalla disciplina speciale dettata in attuazione  dell'art.
6 della Costituzione» (sentenza n. 406 del 1999). Si tratta, inoltre,
di un potere  legislativo  che  puo'  applicarsi  alle  piu'  diverse
materie legislative, in tutto od in  parte  spettanti  alle  Regioni»
(sentenza n. 159 del 2009, che ha giudicato  illegittimo  l'art.  11,
comma 5, della legge della regione Friuli Venezia Giulia  n.  29  del
2007, che stabiliva la facolta' per i  Comuni  di  adottare  toponimi
nella sola lingua friulana, ritenendolo in contrasto con  il  disegno
generale della  legge  n.  482  del  1999,  fondato  non  solo  sulla
valorizzazione delle lingue e delle  culture  minoritarie,  ma  anche
sulla preservazione del  patrimonio  linguistico  e  culturale  della
lingua italiana). 
      
      
    Infine, «La consacrazione, nell'art. 1, comma 1, della  legge  n.
482 del 1999, della lingua italiana  quale  "lingua  ufficiale  della
Repubblica" non ha evidentemente solo una funzione formale, ma  funge
da criterio interpretativo generale delle  diverse  disposizioni  che
prevedono l'uso delle lingue minoritarie, evitando che  esse  possano
essere intese come alternative alla lingua italiana o  comunque  tali
da porre in posizione marginale la lingua ufficiale della Repubblica;
e cio' anche al di la' delle pur numerose disposizioni specifiche che
affermano espressamente nei singoli settori il primato  della  lingua
italiana (art. 4, comma 1; art. 7, commi 3 e 4;  art.  8.  confronta,
inoltre, l'art. 6, comma 4, del regolamento di attuazione della legge
n. 482  del  1999,  emanato  con  il  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 2 maggio 2001, n. 345)» (sempre sentenza n. 159 del  2009,
appena cit.). 
    4. - Come si e' gia' osservato, l'art. 10 della legge n. 482/1999
consente l'adozione di toponimi conformi alle tradizioni e  agli  usi
locali  unicamente  per   le   minoranze   linguistiche   individuate
dall'articolo 2 e nei territori  individuati  ai  sensi  dell'art.  3
della stessa legge e solo in aggiunta ai toponimi ufficiali. 
    Il dettato testuale della norma di cui al  predetto  art.  2  non
lascia dubbi di sorta: sempre come si e' gia' osservato, esso prevede
infatti la tutela della lingua e  della  cultura  «delle  popolazioni
albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di  quelle
parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano,  il  ladino,
l'occitano e il sardo». 
    Appare dunque chiaro che in tale ambito non rientrano «i dialetti
di origine  veneta  nelle  seguenti  espressioni:  il  triestino,  il
bisiaco, il gradese, il maranese,  il  muggesano,  il  liventino,  il
veneto dell'Istria e della Dalmazia,  nonche'  il  veneto  goriziano,
pordenonese e  udinese»,  in  ordine  ai  quali  statuisce  la  legge
regionale qui in esame, e in particolare l'art. 8, comma secondo. 
    E, in effetti, gia'  essi  non  vi  rientrano  in  base  al  dato
linguistico - che acquista rilevanza legislativa - secondo  il  quale
sono da distinguere le  cc.dd.  «lingue  minoritarie»  proprie  delle
minoranze linguistiche, collegate ad un'area storica precisa (per es.
friulano, sardo, catalano e varie altre), sia dai cc.dd. «dialetti» -
da  intendersi  quali  «varianti»   di   un   continuum   linguistico
geografico, riferito  ad  una  precisa  famiglia  linguistica  ovvero
«idiomi» territorialmente caratterizzati, a prescindere da  qualsiasi
legame con altri eventuali idiomi geograficamente  vicini  o  con  la
lingua ufficiale (o lingue ufficiali) usata  nel  suo  territorio  di
pertinenza  (come,  ad  esempio,  la  lingua  lombarda,   la   lingua
napoletana, la lingua veneta e  la  lingua  siciliana)  -  sia,  e  a
maggior ragione, dal «vernacolo», quale modo di parlare  limitato  ad
una precisa zona geografica, usata specificatamente dal popolo (e che
si differenzia dal dialetto per avere una copertura geografica  e  un
uso sociale piu' vasti). 
    Come  ben  noto,  peraltro,  l'art.  18  della  legge  in  parola
prescrive per le Regioni  a  statuto  speciale,  che  «l'applicazione
delle disposizioni piu' favorevoli previste dalla presente  legge  e'
disciplinata con norme di attuazione dei rispettivi statuti». 
    «E' quindi questo lo strumento cui la  Regione  poteva  ricorrere
per introdurre eventuali normative volte alla «salvaguardia  delle  [
...]  caratteristiche  etniche  e  culturali»  dei   suoi   cittadini
«qualunque  [fosse]  il  gruppo  linguistico»  di  appartenenza,  che
fossero derogatorie rispetto al contenuto  della  legge  n.  482  del
1999. A tale procedura - conformemente, del resto, a quanto  previsto
dal gia' citato art. 18 della legge n. 482 del 1999  -  si  e'  fatto
ricorso per procedere alla approvazione del d.lgs. 12 settembre 2002,
n. 223, recante «Norme di attuazione  dello  statuto  speciale  della
Regione Friuli-Venezia Giulia per il  trasferimento  di  funzioni  in
materia di tutela  della  lingua  e  della  cultura  delle  minoranze
linguistiche storiche nella regione». Non si rinvengono,  invece,  in
alcuna  parte  del  suddetto  decreto   legislativo   di   attuazione
disposizioni che  introducano  direttamente,  o  che  autorizzino  il
legislatore  regionale  ad  introdurre   normative   derogatorie   al
contenuto della legge n. 482 del 1999. E' tra l'altro,  significativo
che lo stesso decreto definisca la legge n. 482 del 1999 (che reca il
titolo di «Norme in materia di tutela  delle  minoranze  linguistiche
storiche») come «"legge" per la tutela della lingua e  della  cultura
delle popolazioni che parlano il friulano e  di  quelle  appartenenti
alla  minoranza  slovena  e   germanofona»,   usando,   quindi,   una
formulazione che direttamente riferisce il contenuto della legge alle
minoranze linguistiche della Regione»  (sentenza  n.  159  del  2009,
cit.). 
    L'art. 8, comma secondo,  della  legge  regionale  n.  5/2010  in
esame, che non costituisce norma di attuazione dello statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia, eccede dunque  dalle  competenze
regionali, attribuendo ai «dialetti di origine veneta nelle  seguenti
espressioni: il triestino, il bisiaco, il gradese,  il  maranese,  il
muggesano, il liventino, il  veneto  dell'Istria  e  della  Dalmazia,
nonche' il veneto goriziano, pordenonese e udinese», con  riferimento
alla  toponomastica,  una  tutela  piu'  ampia  di  quella   che   il
legislatore statale, in attuazione dell'art. 6 Cost., ha riconosciuto
alle sole lingue minoritarie con la legge n. 482  del  1999,  tra  le
quali essi dialetti, comunque, non rientrano.  
    5. - La norma regionale in esame,  inoltre,  stabilendo  altresi'
implicitamente l'uso  esclusivo  di  tali  dialetti  per  i  cartelli
relativi alla segnaletica stradale incide nella competenza  esclusiva
statale  in  materia  di  circolazione  stradale,  della   quale   la
segnaletica stradale fa parte, secondo quanto  affermato  da  codesta
Corte nella sentenza n. 428 del 2004, e viola pertanto sia l'art.  3,
secondo comma, Cost. per la lesione del principio del rispetto  della
eguaglianza dei  cittadini  del  Paese,  sia  la  competenza  statale
esclusiva nelle materie considerate  dall'art.  117,  secondo  comma,
lett. h). 
    A tal ultimo riguardo, e' bene osservare che  essa  contrasta  in
particolare con l'art. 37, comma 2-bis, del d.lgs. n. 285  del  1992,
secondo il quale i Comuni e gli  altri  enti  indicati  nel  comma  1
«possono utilizzare, nei segnali di localizzazione  territoriale  del
confine del comune, lingue regionali o idiomi locali  presenti  nella
zona di riferimento  in  aggiunta  alla  denominazione  nella  lingua
italiana». 
 
                              P. Q. M. 
 
    Si   conclude   perche'   sia   dichiarata   la   illeggittimita'
costituzionale  dell'art.  8,  comma  2,  della  legge  regionale  17
febbraio 2010, n. 5, «Valorizzazione dei dialetti di  origine  veneta
parlati nella Regione Friuli-Venezia Giulia». 
        Roma, addi' 19 aprile 2010 
 
               L'Avvocato dello Stato: Diego Giordano 
 
 

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