Ricorso n. 64 del 15 giugno 2015 (Presidente del Consiglio dei ministri)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 15 giugno 2015 (del Presidente del Consiglio dei
ministri).
(GU n. 31 del 2015-08-05)
Ricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri (codice
fiscale …), in persona del Presidente del Consiglio
attualmente in carica, rappresentata e difesa per mandato ex lege
dall'Avvocatura generale dello Stato (codice fiscale …),
presso i cui uffici ha domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12
(fax …- PEC …);
Ricorrente contro la regione Liguria, in persona del presidente
della giunta regionale attualmente in carica resistente per
l'impugnazione e la dichiarazione di incostituzionalita' degli
articoli 2, commi 1 e 3 - 3, comma 2 - 12, comma 1 - 14, comma 1 -
15, comma 1 - 17, comma 1 - 18, comma 1 - 27, comma 1 - 31, comma 1 -
34, comma 1 - 50, comma 1 - 51, comma 1 - 61, comma 6 - 68, comma 7 -
80, comma 1, della legge regionale 2 aprile 2015, n. 11, avente ad
oggetto «Modifiche alla legge regionale 4 settembre 1997, n. 36
(Legge urbanistica regionale)», pubblicata sul BUR n. 11 del 9 aprile
2015.
La regione Veneto ha approvato ed emanato la legge n. 11/2015 con
cui in ben ottantadue articoli ha introdotto modifiche a svariate
norme della precedente legge regionale in materia urbanistica, la
legge regionale n. 36/1997, praticamente sostituendola quasi del
tutto.
La nuova legge, in sostanza, viene a costituire la vigente ed
integrale disciplina urbanistica regionale.
Sennonche', ad avviso della Presidenza del Consiglio dei
ministri, molte di queste nuove norme sono in contrasto con la
Costituzione in quanto invadono indebitamente la sfera di competenza
esclusiva dello Stato in materia di pianificazione paesaggistica,
competenza che come noto lo Stato ha esercitato con il decreto
legislativo n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Altre norme, invece, pur appartenendo alla competenza legislativa
regionale, non rispettano i principi fondamentali dettati dallo Stato
nella specifica materia, e dunque si pongono ugualmente in contrasto
con i criteri di riparto previsti dalla Costituzione.
Con il presente atto, pertanto, la Presidenza del Consiglio dei
ministri deve impugnare la legge regionale in questione,
limitatamente alle norme in epigrafe indicate, per il seguenti,
Motivi
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, e degli
articoli 14, comma 1, 15, comma 1, e 17, comma 1, della legge
regionale 2 aprile 2015, n. 11, per contrasto con l'art. 117, comma
2, lettera s) della Costituzione.
La norma in considerazione, al comma 1, prevede che la
pianificazione territoriale, gia' definita dall'art. 2 della legge
regionale n. 36/1997 (che la novella va ad integrare), debba essere
attuata nel rispetto delle competenze in materia di governo del
territorio previste nell'ordinamento statale e regionale.
Sennonche', il successivo art. 14 della stessa legge regionale,
nel sostituire con unico comma l'art. 13 della precedente legge n.
36/1997, attribuisce allo strumento di pianificazione territoriale -
il PTR, Piano territoriale regionale - anche il valore di piano
paesaggistico regionale.
Ed il procedimento per la formazione dello strumento
pianificatorio in questione, come disciplinato dall'art. 15 delle
legge regionale in sostituzione dell'art. 14 della precedente legge
n. 36/1997, prevede solo la sua trasmissione al Ministero per i beni
e le attivita' culturali al fine dell'espressione di un semplice
parere.
Analogamente, l'art. 17 della legge regionale, che ha sostituito
con unico comma l'art. 16 della precedente legge, prevede una
procedura di variante al PTR che - richiamando le disposizioni
dell'art. 14 della legge n. 36/1997 come sostituito dall'art. 15
della nuova legge - e' caratterizzata dalla mera partecipazione delle
amministrazioni interessate, tra le quali evidentemente anche
l'Amministrazione dello Stato.
Invece, ben diverso e' il ruolo dello Stato nella pianificazione
paesaggistica secondo le norme statali. Gli articoli 135 e 143 del
Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto
legislativo n. 42/2004 prevedono infatti che la pianificazione
paesaggistica avvenga con un atto elaborato congiuntamente dalla
singola regione e dal Ministero, con modalita' disciplinate da
apposite intese che riguardano anche le successive modifiche,
revisioni ed integrazioni, prima della sua approvazione da parte
della regione interessata.
In sostanza, la combinazione delle nuove norme comporta
un'inammissibile alterazione delle competenze pianificatorie
disciplinate in via esclusiva dalla legge statale, espropriando allo
Stato (cui ora e' riconosciuta una semplice funzione consultiva alla
quale e' relegato) la funzione di co-pianificazione paesaggistica.
Il che palesemente contrasta con il precetto di cui all'art. 117,
comma 2, lettera s) della Costituzione che riserva allo Stato la
competenza esclusiva in materia di tutela dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali, di cui il bene complesso ed
unitario del paesaggio e' parte fondamentale ed integrante.
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3, della legge
della legge regionale 2 aprile 2015, n. 11, per contrasto con l'art.
117, comma 2, lettera s) della Costituzione.
Inoltre, sotto altro aspetto, il comma 3 della norma qui
censurata confligge con la Costituzione nella misura in cui subordina
il Piano territoriale regionale (PTR) ai piani di bacino e ai piani
per le aree protette. Il che, se fosse strettamente limitato alla
materia del governo del territorio, potrebbe anche non essere
discutibile; ma certamente non e' legittimo per quella parte dello
strumento cui la stessa legge regionale conferisce anche valore
paesaggistico, dal momento che la norma statale che deve regolare in
via esclusiva la materia (l'art. 145, comma 3, del decreto
legislativo n. 42/2004) prevede che le disposizioni dei piani
paesaggistici siano comunque prevalenti sulle disposizioni contenute
negli altri atti di pianificazione territoriale previsti dalle
normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle
aree naturali protette.
E quindi e' evidentemente illegittima la norma che conferisce
allo strumento pianificatorio territoriale un ruolo subordinato -
inconcepibile per la parte di valenza paesaggistica - ad altri
strumenti di pianificazione settoriale.
Ed anche in questo caso, in cui la legge regionale detta una
disciplina palesemente difforme da quella dettata dallo Stato con il
Codice dei beni culturali e del paesaggio, si deve dedurre la
violazione della norma costituzionale che attribuisce allo Stato la
competenza legislativa esclusiva in materia.
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2, della legge
regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art. 117, comma
2, lettera s) della Costituzione.
L'art. 3, comma 2, della legge regionale qui censurata
sostituisce, modificandone il contenuto, il comma 3 dell'art. 3 della
precedente legge regionale n. 36/1997.
Esso prevede che il Piano territoriale regionale (PTR) e'
elaborato in coerenza con gli obiettivi e i contenuti degli atti di
programmazione regionale, secondo le modalita' partecipative previste
nell'art. 6.
Questa norma disciplina la conferenza di pianificazione, a cui
partecipano gli enti territoriali e le altre pubbliche
amministrazioni coinvolte, che in quella sede espongono le proprie
osservazioni, proposte e valutazioni destinate ad essere verbalizzate
e ad essere tenute in considerazione nel processo di pianificazione.
Ora, per la valenza che il PTR ha, per effetto delle legge
regionale, anche sotto il profilo paesaggistico, la norma si presta a
fondata censura di incostituzionalita' perche' (laddove include fra
le «altre pubbliche amministrazioni» anche il Ministero dei beni
culturali ed ambientali e gli assegna un mero ruolo
partecipativo/propositivo) urta con la legge statale che prevede ben
altro ruolo per il Ministero preposto alla tutela dell'ambiente e del
paesaggio.
Come gia' ricordato sopra, infatti, allo Stato spetta un potere
non di semplice partecipazione, ma un vero e proprio potere di
co-pianificare mediante la elaborazione congiunta dello strumento
pianificatorio; e tale potere, in quanto attribuito da una norma
statale (articoli 135 e 143 del decreto legislativo n. 42/2004)
nell'esercizio di una competenza legislativa esclusiva, non puo'
essere eliso ne' ridimensionato.
In quanto lesiva di questa competenza, dunque, anche la norma qui
censurata deve essere ritenuta illegittima per contrasto con l'art.
117, comma 2, lettera s) della Costituzione.
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 1, della legge
regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art. 117, comma
2, lettera s) della Costituzione.
L'art. 12 sostituisce con unico comma l'art. 11 della precedente
legge regionale n. 36/1997 ed attribuisce al quadro strutturale la
disciplina di tutela, salvaguardia, valorizzazione e fruizione del
paesaggio in ragione dei differenti valori espressi dai diversi
contesti territoriali che lo costituiscono, espressamente demandando
al PTGcm e al PTC provinciale l'integrazione e lo sviluppo di alcuni
elementi di tale disciplina secondo le indicazioni all'uopo fornite
dal PTR.
Anche in questo caso va lamentata la lesione delle prerogative
dello Stato nella regolazione legislativa della materia del
paesaggio, perche' la disciplina regionale contrasta con le norme
statali che escludono che gli strumenti di pianificazione
territoriale (che nella logica della regola statale sono ad esso
sotto ordinati) possano sostituirsi al Piano paesaggistico, ed anzi
devono a questo adeguarsi e conformarsi ai sensi degli articoli 143,
comma 9, e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
In quanto contrastante con la norma statale, ed anzi lesiva della
competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia della
tutela del paesaggio, la disposizione qui censurata deve essere
dichiarata illegittima per la violazione dell'art. 117, comma 2,
lettera s) della Costituzione.
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 1, della legge
regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art. 117, comma
2, lettera s) della Costituzione.
L'art. 18 della legge regionale n. 11/2015 ha introdotto nella
precedente legge regionale n. 36/1997 l'art. 16-bis, che prevede che
il PTR sia attuato mediante progetti a scala urbanistica o edilizia,
costituenti strumenti operativi da promuovere o da approvare da parte
della regione con deliberazione della giunta regionale, sentito il
comitato tecnico regionale per il territorio nei novanta giorni
successivi al ricevimento dei pareri ed assensi previsti dalla
vigente legislazione in materia.
Non vi e' alcuna previsione di coinvolgimento del Ministero dei
beni culturali ed ambientali nell'esame della conformita' degli
strumenti attuativi alle disposizioni del Piano paesaggistico
regionale, ne' vi e' alcun raccordo tra gli strumenti di attuazione
(peraltro, non previsti dal Codice dei beni culturali e del
paesaggio) ed il processo di pianificazione paesaggistica congiunta.
La mancata o non adeguata partecipazione degli organi
ministeriali a procedimento di conformazione ed adeguamento degli
strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione
paesaggistica contrasta con l'art. 145 del decreto legislativo n.
42/2004 e, quindi, con la norma della Costituzione che riserva allo
Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di paesaggio.
Tale e' anche l'orientamento della giurisprudenza della Corte
costituzionale che anche recentemente, peraltro su una scia
assolutamente consolidata, ha confermato la necessita' di tale
partecipazione e della sua pienezza affinche' siano rispettati i
dettami della Carta in tema di riparto delle competenze (Corte Cost.
sentenza 64/2015).
La stessa norma regionale qui censurata non chiarisce affatto la
sua portata sotto questo aspetto, in quanto il procedimento di
approvazione degli strumenti attuativi da parte della giunta
regionale non e' dato comprendere se preveda l'acquisizione
dell'autorizzazione paesaggistica in conformita' con le procedure
previste dall'art. 146 del Codice, ovvero sia sostitutivo della
stessa, oppure ancora - in alternativa - intenda sostituire il parere
previsto dagli articoli 16 e 28 della legge n. 1150/1942.
Tale contenuto porta ad affermare che anche la norma qui
censurata contrasta con l'art. 117, comma 2, lettera s) della
Costituzione e deve pertanto essere dichiarata illegittima.
6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 27, comma 1, della legge
regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art. 117, comma
2, lettera s) della Costituzione.
L'art. 27, comma 1, della legge regionale n. 11/2015 sostituisce
integralmente l'art. 23 della precedente legge regionale n. 36/1997,
prevedendo che il PTC provinciale possa essere variato, anche su
proposta degli enti locali interessati, con le procedure di cui
all'art. 22, nonche', nelle ipotesi previste dagli articoli 57, 58,
comma 6, e 61, comma 1, della legge n. 36/1997 e con le procedure ivi
rispettivamente previste.
La stessa norma, altresi', prevede - sempre nel testo novellato
dell'art. 23 della legge n. 36/1997 - che decorsi cinque anni dalla
approvazione del PTC provinciale il consiglio provinciale ne accerti
l'adeguatezza, alla luce anche del PTR e degli esiti delle verifiche
effettuate in attuazione del programma di monitoraggio approvato in
sede di procedure di VAS.
Anche tale disposizione, che prevede che le procedure di
approvazione delle varianti del PTC provinciale e verifica di
adeguatezza, non contempla la partecipazione del Ministero dei beni e
delle attivita' culturali e del turismo alle attivita' di verifica
dell'adeguatezza del PTC provinciale al PTR, in contrasto con le
previsioni di cui all'art. 145, comma 5, del Codice di settore,
secondo cui «La regione disciplina il procedimento di conformazione
ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della
pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli
organi ministeriali al procedimento medesimo». Pertanto, anche a
questa norma si estendono le censure di incostituzionalita' sopra
specificate e relative alla violazione dell'art. 117, comma 2,
lettera s) della Costituzione.
7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 1, della legge
regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art. 117, comma 3
della Costituzione.
L'art. 34, comma 1, della legge regionale n. 11/2015 ha inserito
nel corpo della precedente legge regionale n. 36/1997 ben ulteriori
quattro articoli: 29-bis, 29-ter, 29-quater e 29-quinquies.
L'art. 29-ter in particolare prevede che il piano urbanistico
comunale (PUC) possa «individuare negli ambiti e nei distretti di
trasformazione gli edifici o complessi di edifici esistenti
suscettibili di riqualificazione edilizia o urbanistica
caratterizzati da: ... a) condizioni di rischio idraulico o di
dissesto idrogeologico; b) condizioni di incompatibilita' per
contrasto con la destinazione d'uso dell'ambito o del distretto di
trasformazione o per la tipologia edilizia; ... d) situazioni di
interferenza con la previsione di realizzazione di servizi pubblici o
infrastrutture pubbliche». Il comma 2 del medesimo articolo
stabilisce che «Ove gli interventi di cui al comma 1 prevedano la
demolizione totale o parziale dei fabbricati, il PUC stabilisce i
parametri per l'utilizzazione del corrispondente credito edilizio in
funzione della destinazione d'uso degli edifici da demolire ed
individua gli ambiti e i distretti nei quali tale credito puo' essere
trasferito, anche con tempistiche di utilizzo differite, fissando le
relative percentuali di utilizzo per l'attuazione degli interventi
previsti nei distretti e negli ambiti secondo la rispettiva
disciplina». Al comma 3 si chiarisce che «Non possono dar luogo al
riconoscimento del credito edilizio gli edifici realizzati in assenza
od in difformita' dai prescritti titoli abilitativi edilizi e
paesaggistici, se non previa loro regolarizzazione».
La disposizione, nel postulare la possibilita' di un
riconoscimento di un credito edilizio a fronte della demolizione di
edifici o complessi di edifici esistenti realizzati in assenza o in
difformita' dai prescritti titoli abilitativi e paesaggistici «se non
previa loro regolarizzazione», si pone in contrasto con i principi
fondamentali in materia di governo del territorio contenuti nel testo
unico dell'edilizia (decreto del Presidente della Repubblica n.
380/2001), e in particolare con gli articoli 36 e 37, che subordinano
il rilascio del titolo in sanatoria alla conformita' dell'intervento
alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della
domanda. Si tratta del requisito della c.d. «doppia-conformita'» che
la Corte costituzionale, nella sentenza n. 101/2013 ha espressamente
qualificato principio fondamentale della materia. Le condizioni degli
edifici oggetto degli interventi di riqualificazione individuate
dalle lettere a), b), c) e d) del comma 1, e soprattutto il fatto che
lo stesso piano urbanistico postuli la necessita' di demolire questi
edifici, sono intrinsecamente incompatibili con il requisito
individuato dal testo unico per la sanatoria, ovvero che l'intervento
per il quale si richiede la sanatoria «risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della
domanda». Pertanto, la disposizione censurata, travalica i limiti
indicati dalla Corte costituzionale in materia di condono edilizio
(sentenze n. 225/2012 e n. 290/2009) e contrasta con i principi
generali in materia di «governo del territorio» sopra richiamati,
violando l'art. 117, terzo comma, Cost. nella materia «governo del
territorio».
8) Illegittimita' costituzionale degli articoli 31, comma 1, 50,
comma 1, 51, comma 1, 68, comma 7 e 80, comma 1, lettera 13) della
legge regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art. 117,
comma 2, lettera s) e comma 3, della Costituzione.
E' incostituzionale, per contrasto con i principi fondamentali in
materia di governo del territorio contenuti nel decreto del
Presidente della Repubblica n. 380/2001 e con la normativa statale in
materia di paesaggio contenuta nel decreto legislativo n. 42/2004, la
disciplina dei «margini di flessibilita'» del PUC contenuta all'art.
31, comma 1 (nella parte in cui sostituisce l'art. 27 della legge
regionale n. 36/1997, introducendo, al comma 1, lettera b), i c.d.
«margini di flessibilita'» nel PUC), all'art. 50 (nella parte in cui
sostituisce l'art. 43 della legge regionale n. 36/1997, rubricato
«Flessibilita' e aggiornamento del PUC»); all'art. 51 (nella parte in
cui prevede che «1. Costituiscono varianti al PUC le modifiche non
rientranti nei margini di flessibilita' o nell'aggiornamento di cui
all'art. 43»), all'art. 68 (nella parte in cui modifica l'art. 60,
comma 5, lettera b) della legge regionale n. 36/1997, prevedendo che
«5. In sede di approvazione dei progetti ... puo' essere demandata al
comune: b) la facolta' di assentire direttamente in sede di titoli
edilizi varianti non essenziali al progetto rientranti nei margini di
flessibilita', da prefissare in apposito elaborato facente parte di
quelli costitutivi del progetto approvato»), all'art. 80, comma 1,
lettera b) (nella parte in cui prevede che «1. Fino all'approvazione
del PUC a norma della legge regionale n. 36/1997 come modificata
dalla presente legge: ... b) per i comuni dotati di PUC gia'
approvato a norma delle previgenti disposizioni della legge regionale
n. 36/1997 si applicano le disposizioni di cui al titolo IV, capo III
e IV, ed al titolo V della legge regionale n. 36/1997 come modificata
dalla presente legge ...».
Ai sensi dell'art. 43, comma 1, della legge regionale n. 36/1997,
come sostituito dall'art. 50, comma 1 della legge regionale n.
11/2015, le norme del PUC definiscano «i margini di flessibilita'
entro cui le relative previsioni possono essere attuate senza ricorso
ne' alla procedura di aggiornamento di cui al comma 3, ne' alla
procedura di variante di cui all'art. 44».
I «margini di flessibilita'» consistono, nei «distretti di
trasformazione», in «indicazioni alternative degli elementi di cui
all'art. 29, comma 3, con esclusione della definizione del perimetro
del distretto di cui alla relativa lettera a)». Tali elementi
includono, «c) la disciplina urbanistico-edilizia, paesistica e
geologica e vegetazionale» (art. 29, comma 3, come sostituito
dall'art. 33, comma 4, legge regionale n. 11/2015). Negli «ambiti di
conservazione, di riqualificazione e di completamento» i margini di
flessibilita' sono costituiti da «indicazioni alternative rispetto ai
contenuti stabiliti all'art. 28, comma 4, che non incidano sul carico
urbanistico e sul fabbisogno di standard urbanistici». Tali elementi,
per cui possono essere definite «indicazioni alternative»,
comprendono «b) la disciplina urbanistico-edilizia degli interventi
ammessi, anche in applicazione delle misure di cui agli articoli da
29-bis a 29-quinquies, e la disciplina paesistica e geologica».
Benche' la norma regionale persegua evidenti finalita' di
semplificazione, deve, tuttavia, rilevarsi che il concetto di
«margine di flessibilita'» dei piani urbanistici non e' definito
dalla vigente legislazione statale in materia urbanistica.
Legislazione che, ai sensi l'art. 82 comma 2, lettera a) (secondo cui
«... le disposizioni della presente legge ... sostituiscono ... 1) il
titolo I, il titolo II, capi I, II, III e IV - articoli 33, 34, 35 e
36 - e il titolo IV - articoli 41-quater e quinquies, 42, 43, 44 -
della legge 17 agosto 1942, n. 1150 ...») e' quasi interamente
sostituita dalle disposizioni regionali.
Per effetto del combinato disposto delle disposizioni regionali
richiamate, dunque, un indeterminato numero di fattispecie, che
interessano anche la disciplina paesaggistica e geologica, sono
sottratte alle ordinarie procedure di varianti e, conseguentemente,
agli obblighi di partecipazione e pubblicita' e
procedimentalizzazione che scaturiscono dall'applicazione del
principio generale per cui il procedimento di variante e' analogo a
quello necessario per la formazione dell'atto variato. Inoltre,
introducendo la possibilita' per il comune di modificare
unilateralmente la disciplina paesistica contenuta nel PUC, senza
contestualmente prevedere la partecipazione dei competenti organi
ministeriali, risulta essere violato anche l'art. 145 del decreto
legislativo n. 42/2004, perche' non si prevede la conformita' di
queste modifiche alla pianificazione paesaggistica, da un lato, e,
dall'altro, non si assicura, ai sensi di quanto previsto dal comma 5
del medesimo articolo, la partecipazione degli organi ministeriali al
procedimento di variante.
E questo lede senza dubbio la competenza esclusiva dello Stato a
disciplinare la materia in questione.
Inoltre, per effetto delle disposizioni censurate, gli interventi
realizzati in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia
contenuta in PUC approvati possano successivamente essere legittimati
sotto il profilo urbanistico ed edilizio. In questo modo, le
disposizioni sopra riportate introducono una surrettizia forma di
condono edilizio, andando cosi' ad invadere la competenza legislativa
statale. Pertanto, anche in questo caso, con le citate disposizioni
sono stati travalicati i limiti indicati dalla Corte costituzionale
in materia di condono edilizio (sentenza n. 225/2012 e n. 290/2009,
cit.). Al riguardo, e' utile rammentare che le modifiche della
disciplina urbanistica non hanno effetto retroattivo (cfr. Consiglio
di Stato, IV, n. 32/2013), e che la Corte costituzionale nella
sentenza n. 101/2013 ha definitivamente individuato nella cd. «doppia
conformita'», ex art. 36 del TUE un principio fondamentale nella
materia «governo del territorio». Si rileva, pertanto, che le norme
in questione sono state adottate in contrasto con gli articoli 36 e
37 (cd. doppia conformita') e con l'art. 30, comma 1 (lottizzazione
abusiva) del TUE, e quindi in violazione dell'art. 117, terzo comma,
Cost. nella materia «governo del territorio».
Un ulteriore effetto del combinato disposto delle disposizioni
impugnate e' la previsione della facolta' per i comuni di assentire
direttamente in sede di titoli edilizi, varianti non essenziali al
progetto rientranti nei margini di flessibilita', da prefissare in
apposito elaborato facente parte di quelli costitutivi del progetto
approvato. Al riguardo, emerge un evidente contrasto con l'art. 22,
comma 2-bis del TUE (inserito dall'art. 17, comma 1, lettera m), n.
2), del decreto-legge n. 133/2014, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 164/2014) con il quale si prevede che «2-bis. Sono
realizzabili mediante segnalazione certificata d'inizio attivita' e
comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le
varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione
essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni
urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l'acquisizione degli
eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli
paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio
storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di
settore». Anche per tale aspetto, si rileva la violazione dell'art.
117, terzo comma, Cost. nella materia «governo del territorio».
9) Illegittimita' costituzionale dell'art. 61, comma 6, della legge
regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art. 117, comma
2, lettera l) e comma 3, della Costituzione.
L'art. 61 della legge regionale n. 11/2015 aggiunge la lettera
d-bis) al comma 1 dell'art. 53 della precedente legge regionale n.
36/1997. Tale norma dispone che i P.U.O. sono considerati conformi al
PUC anche qualora, oltre i margini di flessibilita' previsti dal PUC
e dal PUO, comportino «d-bis) la fissazione di distanze tra
fabbricati inferiori a quelle stabilite dal PUC che risultino idonee
ad assicurare un equilibrato assetto urbanistico e paesaggistico in
relazione alle tipologie degli interventi consentiti e tenuto conto
degli specifici caratteri dei luoghi e dell'allineamento degli
immobili gia' esistenti, fermo restando comunque il rispetto delle
norme del codice civile e dei vincoli di interesse culturale e
paesaggistico. Tale riduzione e' applicabile anche nei confronti di
edifici ubicati all'esterno del perimetro del PUO». La prevista
possibilita' di ridurre le distanze tra edifici anche nei confronti
di edifici ubicati all'esterno del perimetro del PUO, incide sulla
disciplina della distanza tra edifici che appartiene, come noto,
all'ordinamento civile che e' nella competenza legislativa esclusiva
dello Stato.
A cio' si aggiunga che, in base all'art. 82, comma 1, lettera a),
n. 3), salvo quanto stabilito in via transitoria agli articoli 79, 80
e 81, le disposizioni della legge regionale in esame sostituiscono il
decreto ministeriale n. 1444/1968. Vi e' un potere derogatorio
attribuito alle regioni dall'art. 2-bis del decreto del Presidente
della Repubblica n. 380/2001 come introdotto nel 2013, che pero'
lascia espressamente ferma la competenza statale in materia di
ordinamento civile, con riferimento al diritto di proprieta' ed alle
connesse norme del codice civile e alle sue disposizioni integrative.
Ora, come ha gia' ripetutamente chiarito la giurisprudenza
costituzionale, la disciplina delle distanze minime tra le
costruzioni rientra nella competenza legislativa esclusiva dello
Stato in quanto attinente all'ordinamento civile (Corte Cost. 21
maggio 2014, n. 134; Corte Cost. 16 gennaio 2013, n. 6; Corte Cost. 7
maggio 2012, n. 114; Corte Cost. 15 maggio 2005, n. 232).
La stessa Corte ha tuttavia precisato, sulla scorta della
considerazione che le distanze tra gli edifici possono anche incidere
sull'assetto del territorio, e quindi fuoriuscire dai limiti dei
rapporti tra privati, che la loro disciplina possa essere oggetto
pure di legislazione concorrente regionale quando essa possa essere
funzionale agli interessi pubblici legati al governo del territorio.
Ed in questa ottica il potere legislativo regionale puo' anche
operare in deroga alle norme statali, purche' tale discostamento
persegua finalita' di carattere urbanistico destinate ad assicurare
«un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del
territorio».
D'altra parte, la stessa inderogabilita' dei (soli) limiti di
distanza era stata dallo stesso Stato attenuata ammettendo la
possibilita' di distanze inferiori nel caso di gruppi di edifici che
formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni
convenzionate con previsioni planovolumetriche (art. 9 del decreto
ministeriale n. 1444/1968). Quindi, la legittimazione a derogare per
ragioni urbanistiche era principio gia' presente nella normativa
statale.
Nel caso di specie, pero', la regione Liguria non ha utilizzato
in modo corretto la facolta' derogatoria concessagli
dall'interpretazione costituzionale ora ricordata, ed ha pertanto
invaso per l'eccessiva ampiezza della previsione la competenza dello
Stato.
La norma qui censurata infatti contiene previsioni urbanistiche
(e di contenuto di strumenti urbanistici) del tutto generali e
generiche, che non contengono alcun riferimento a quelle particolari
e specifiche esigenze legate al territorio - a quel particolare
territorio, con quelle particolari caratteristiche dettate da ragioni
naturali e storiche (cosi' Corte Cost. 134/2014 in parte motiva) -
che consentirebbe una disciplina delle distanze diversa da quella
inderogabilmente fissata dal legislatore statale. Non e' sufficiente,
infatti, una generica motivazione urbanistica per legittimamente
derogare ai limiti di matrice statale in tema di distanza tra edifici
(se si ragionasse cosi', e' evidente che ogni strumento urbanistico,
in quanto tale, potrebbe farlo), ma occorre una specifica motivazione
di omogeneita', complessivita' ed unitarieta' che giustifichi per
determinate zone una eccezionale - nel senso che fa eccezione -
previsione di assetto fisico.
P. Q. M.
Per tutte le esposte ragioni, la Presidenza del Consiglio dei
ministri come sopra rappresentata e difesa conclude affinche' la
Corte costituzionale voglia accogliere il presente ricorso e per
l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale delle norme
delle legge regionale Liguria n. 11/2015 in epigrafe elencate e nel
presente atto specificamente censurate per contrasto con l'art. 117,
comma 2, lettere l) e s) e comma 3, della Costituzione.
Roma, 8 giugno 2015
L'avvocato: Corsini