RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 25 settembre 2009 , n. 64
Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 25 settembre 2009 (della Regione Toscana). 
 
 
(GU n. 43 del 28-10-2009) 
 
 
    Ricorso della Regione Toscana,  in  persona  del  Presidente  pro
tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n.  809
del 21 settembre 2009, rappresentato e difeso, per mandato  in  calce
al presente atto, dall'avv. Lucia Bora dell'Avvocatura della  Regione
Toscana, elettivamente domiciliato in  Roma,  corso  Italia  n.  102,
presso lo studio dell'avv. Giovanni Pasquale Mosca; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore,  per
la dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  3,
commi 40, 41, 42, 43 della legge  15  luglio  2009,  n.  94,  recante
«Disposizioni in  materia  di  sicurezza  pubblica»,  per  violazione
dell'articolo 117, secondo comma, lettera  h),  quarto  comma,  sesto
comma Cost., anche sotto il  profilo  della  violazione  della  leale
collaborazione. 
    Nella Gazzetta Ufficiale n. 170 del 24 luglio  2009,  supplemento
ordinario e' stata pubblicata la legge n. 94 del 15 luglio 2009. 
    Le impugnate disposizioni sono lesive delle competenze  regionali
per i seguenti motivi di 
                            D i r i t t o 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 40, 41 e  42  per
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera h), e quarto  comma,
anche sotto il profilo della violazione  del  principio  della  leale
collaborazione. 
    I commi da 40 a 43 dell'art. 3 contengono  disposizioni  volte  a
disciplinare la collaborazione di associazioni di  privati  cittadini
nella gestione  della  sicurezza  urbana  ed  al  fine  di  prevenire
situazioni di disagio sociale. 
    Piu' in particolare, il comma 40 prevede che «I  sindaci,  previa
intesa con il prefetto, possono  avvalersi  della  collaborazione  di
cittadini non armati al fine di segnalare alle Forze di polizia dello
Stato o locali eventi  che  possano  arrecare  danno  alla  sicurezza
urbana ovvero situazioni di disagio sociale». 
    Il comma 41 precisa che le predette associazioni  «sono  iscritte
in apposito elenco tenuto a cura del  prefetto,  previa  verifica  da
parte dello stesso, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la
sicurezza pubblica, dei requisiti necessari previsti dal  decreto  di
cui al comma 43. Il prefetto provvede, altresi',  al  loro  periodico
monitoraggio, informando dei risultati il comitato». 
    Il comma 42 ulteriormente  specifica  che  «Tra  le  associazioni
iscritte nell'elenco di cui al comma 41 i sindaci si avvalgono in via
prioritaria, di quelle costituite tra gli appartenenti,  in  congedo,
alle Forze dell'ordine, alle Forze armate e agli  altri  Corpi  dello
Stato. Le associazioni diverse da queste ultime sono  iscritte  negli
elenchi solo se non siano destinatarie, a nessun titolo,  di  risorse
economiche a carico della finanza pubblica». 
    Il successivo comma 43 attribuisce ad  un  decreto  del  Ministro
dell'interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata
in vigore della legge n. 94/2009 medesima, il compito di  determinare
gli ambiti operativi delle disposizioni di cui  ai  commi  40  e  41,
nonche' i requisiti per l'iscrizione nell'elenco e  le  modalita'  di
tenuta dei relativi elenchi. 
    Le impugnate disposizioni presentano  profili  di  illegittimita'
costituzionale. 
    La giurisprudenza  costituzionale,  infatti,  anche  prima  della
riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione,  ha  chiarito
che la materia «sicurezza»  deve  essere  letta  ed  interpretata  in
inscindibile connessione con l'attribuzione  in  materia  di  «ordine
pubblico» e, sostanzialmente, va ricondotta proprio  a  quest'ultima,
rientrandovi   esclusivamente   gli   interventi   finalizzati   alla
prevenzione dei reati ed al mantenimento dell'ordine pubblico. 
    Piu' precisamente, nella sentenza n.  290  del  25  luglio  2001,
codesta ecc.ma Corte ha statuito che «L'art. 159, comma 2, del d.lgs.
n. 112 del 1998 precisa che le funzioni e  i  compiti  amministrativi
relativi all'ordine pubblico e alla sicurezza pubblica concernono  le
misure preventive e repressive dirette  al  mantenimento  dell'ordine
pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali  e
degli interessi pubblici primari sui  quali  si  regge  l'ordinata  e
civile convivenza nella comunita' nazionale, nonche'  alla  sicurezza
delle istituzioni, dei  cittadini  e  dei  loro  beni.  E'  opportuno
chiarire  che  tale  definizione  nulla  aggiunge  alla  tradizionale
nozione di ordine pubblico  e  sicurezza  pubblica  tramandata  dalla
giurisprudenza di questa Corte, nella quale  la  riserva  allo  Stato
riguarda  le  funzioni  primariamente   dirette   a   tutelare   beni
fondamentali, quali l'integrita' fisica o psichica delle persone,  la
sicurezza dei  possessi  ed  ogni  altro  bene  che  assume  primaria
importanza per l'esistenza  stessa  dell'ordinamento.  E'  dunque  in
questo senso che deve essere  interpretata  la  locuzione  "interessi
pubblici primari" utilizzata nell'art. 159, comma  2:  non  qualsiasi
interesse  pubblico  alla  cui  cura  siano  preposte  le   pubbliche
amministrazioni,  ma  soltanto   quegli   interessi   essenziali   al
mantenimento  di  una  ordinata  convivenza  civile.   Una   siffatta
precisazione e' necessaria ad impedire che una smisurata  dilatazione
della nozione di sicurezza e  ordine  pubblico  si  converta  in  una
preminente competenza statale in relazione a tutte le  attivita'  che
vanificherebbe ogni ripartizione di compiti tra autorita' statali  di
polizia e autonomie locali» . 
    Tale orientamento e' stato confermato anche dopo la  riforma  del
Titolo V della Costituzione. 
    In particolare, nella sentenza n. 407 del  2002,  codesta  ecc.ma
Corte ha sottolineato che per  definire  il  concetto  di  «sicurezza
pubblica» «e' sufficiente constatare che il contesto specifico  della
lettera h)  del  secondo  comma  dell'art.  117  [ordine  pubblico  e
sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale], -  che
riproduce pressoche' integralmente l'art. 1, comma 3 lettera l) della
legge n. 59 del 1997 - induce, in ragione della connessione  testuale
con "ordine pubblico"  e  dell'esclusione  esplicita  della  "polizia
amministrativa locale", nonche' in base  ai  lavori  preparatori,  ad
un'interpretazione restrittiva della nozione di "sicurezza pubblica".
Questa infatti, secondo un tradizionale indirizzo di questa Corte, e'
da  configurare,  in   contrapposizione   ai   compiti   di   polizia
amministrativa regionale e locale, come settore riservato allo  Stato
relativo alle  misure  inerenti  alla  prevenzione  dei  reati  o  al
mantenimento dell'ordine pubblico» (seguono  lo  stesso  orientamento
anche le pronunce successive: cfr., per esempio, le sentenze  n.  428
del 29 dicembre 2004; n. 105 del 17 marzo 2006; n. 222 del 13  giugno
2006; n. 237 del 22 giugno 2006; n. 196 del l° luglio 2009). 
    A fronte degli interventi ricadenti nell'ambito della nozione  di
«sicurezza  pubblica»,  in  quanto  tali  rimessi   alla   competenza
legislativa esclusiva statale ai  sensi  dell'articolo  117,  secondo
comma, lettera h), Cost., stanno dunque  gli  interventi  di  polizia
amministrativa locale che, in base al combinato  disposto  dei  commi
secondo, lettera h) e  quarto  della  Costituzione,  rientrano  nella
sfera della potesta' legislativa esclusiva residuale delle regioni. 
    Infatti, la lettera h) del secondo comma dell'articolo 117  della
Costituzione  attribuisce  alla  competenza  legislativa  statale  la
materia  dell'«ordine  pubblico  e  sicurezza,  ad  esclusione  della
polizia amministrativa locale». 
    Di conseguenza, non essendo tale ultima  materia  ricompresa  tra
quelle di cui al terzo comma  dello  stesso  articolo,  vale  a  dire
nell'elenco delle materie di  competenza  concorrente  Stato-regioni,
essa  ricade  nell'ambito  delle  materie  di  competenza   esclusiva
residuale regionale. 
    Peraltro, gia' l'art. 159 del decreto legislativo n. 112  del  31
marzo 1998 («Conferimento di funzioni e compiti amministrativi  dello
Stato alle regioni ed agli enti locali,  in  attuazione  del  capo  I
della legge 15 marzo 1997, n. 59») aveva previsto che «1. Le funzioni
ed i compiti  amministrativi  relativi  alla  polizia  amministrativa
regionale e locale concernono le misure dirette a d evitare  danni  o
pregiudizi che possono essere arrecati ai soggetti giuridici ed  alle
cose nello svolgimento di attivita' relative alle materie nelle quali
vengono esercitate le competenze, anche  delegate,  delle  regioni  e
degli enti locali, senza che ne risultino lesi o messi in pericolo  i
beni e gli interessi tutelati  in  funzione  dell'ordine  pubblico  e
della sicurezza pubblica. 2. Le funzioni ed i compiti  amministrativi
relativi all'ordine pubblico e sicurezza pubblica di cui all'articolo
1, comma 3, lettera l), della legge 15 marzo 1997, n. 59,  concernono
le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell'ordine
pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali  e
degli interessi pubblici primari sui  quali  si  regge  l'ordinata  e
civile convivenza nella comunita' nazionale, nonche'  alla  sicurezza
delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni». 
    La Regione Toscana ha esercitato le proprie competenze in materia
attraverso l'emanazione della legge regionale n. 12 del 3 aprile 2006
(«Norme in materia di polizia comunale e provinciale»), la quale, «in
conformita' a  quanto  previsto  dall'articolo  117,  secondo  comma,
lettera h), della  Costituzione,  detta  disposizioni  concernenti  i
requisiti  essenziali  di  uniformita'  per  l'organizzazione  e   lo
svolgimento, anche in forma  associata,  delle  funzioni  di  polizia
amministrativa  locale  tramite  strutture   di   polizia   comunale,
denominata polizia municipale, e di polizia provinciale [...]»  (art.
1). 
    La possibilita' di partecipazione di associazioni di volontariato
alla «polizia amministrativa locale», quindi, era gia' stata prevista
dalla legislazione regionale. 
    Piu' in  particolare,  l'articolo  7  di  detta  legge  regionale
prevede che «1. I comuni e le province possono stipulare  convenzioni
con le associazioni di volontariato  iscritte  nel  registro  di  cui
all'articolo 4 della legge regionale 26 aprile  1993,  n.  28  (Norme
relative ai rapporti delle  organizzazioni  di  volontariato  con  la
regione, gli enti locali e gli altri enti pubblici - Istituzione  del
registro  regionale  delle   organizzazioni   del   volontariato)   e
successive modificazioni, per realizzare  collaborazioni  tra  queste
ultime  e  le  strutture  di  polizia  locale  rivolte   a   favorire
l'educazione alla convivenza, al senso civico  e  al  rispetto  della
legalita'. [...]». 
    La  normativa  impugnata   incide   sulla   suddetta   disciplina
legislativa regionale,  vanificando  il  ruolo  ed  i  compiti  delle
associazioni di volontariato ivi previste; cio'  non  e'  compatibile
con il  riparto  della  potesta'  legislativa  come  delineato  nella
Costituzione, anche alla luce  dell'interpretazione  fornitane  dalla
giurisprudenza costituzionale. 
    Infatti, il comma 40, utilizzando  due  espressioni  notevolmente
ampie - «sicurezza urbana» e «situazioni  di  disagio  sociale»  - si
rivela suscettibile di svuotare di contenuto, e quindi vanificare, le
competenze residuali esclusive regionali in materia, da un  lato,  di
polizia amministrativa locale, e, dall'altro, di politiche sociali. 
    In particolare, con riferimento  alla  «sicurezza  urbana»,  essa
puo' essere ricondotta alla competenza statale solo se e nella misura
in cui sia intesa come  sicurezza  delle  citta',  in  modo  tale  da
rispettare la  giurisprudenza  costituzionale  richiamata,  in  forza
della quale, si ripete, la competenza legislativa  esclusiva  statale
in  materia  di  «sicurezza  pubblica»  deve   intendersi   in   modo
restrittivo,  cioe'  limitata  agli   interventi   finalizzati   alla
prevenzione dei reati ed al mantenimento dell'ordine pubblico. 
    Tanto e' vero che  la  definizione  di  «sicurezza  urbana»  data
dall'articolo 1 del decreto del Ministro dell'interno  del  5  agosto
2008 («Incolumita' pubblica e sicurezza urbana: definizione e  ambiti
di applicazione»), attuativo del decreto-legge n. 92  del  23  maggio
2008 («Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica»), convertito,
con modificazioni, in legge 24 luglio 2008, n. 125, e' stata ritenuta
sostanzialmente conforme  al  dettato  costituzionale  nella  recente
sentenza costituzionale n. 196 del 1°  luglio  2009,  ma  solo  nella
misura in cui il decreto ministeriale 5 agosto 2008 rinvia e fa salvo
l'articolo 117, secondo comma, lettera h) della  Costituzione,  cosi'
come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale. 
    La predetta pronuncia ha deciso,  tra  l'altro,  il  ricorso  per
conflitto di attribuzioni promosso nei confronti del  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  dalla  Provincia  autonoma  di  Bolzano  in
relazione al decreto del Ministro  dell'interno  del  5  agosto  2008
(«Incolumita' pubblica e sicurezza urbana: definizione  e  ambiti  di
applicazione»), attuativo del decreto-legge n. 92 del 23 maggio  2008
(«Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica»), convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 24 luglio 2008, n. 125. 
    Ebbene,  la  Corte  ha  ritenuto   sostanzialmente   conforme   a
Costituzione detta normativa regolamentare  in  quanto  essa  «ha  ad
oggetto esclusivamente la tutela  della  sicurezza  pubblica,  intesa
come attivita' di prevenzione e repressione dei reati:  non  solo  la
titolazione del decreto-legge  n.  92  del  2008  si  riferisce  alla
"sicurezza pubblica", ma,  nelle  premesse  al  decreto  ministeriale
oggetto del presente  giudizio,  si  fa  espresso  riferimento,  come
fondamento giuridico dello stesso,  al  secondo  comma,  lettera  h),
dell'art. 117 Cost., il quale, secondo la  giurisprudenza  di  questa
Corte, attiene appunto alla prevenzione dei reati e alla  tutela  dei
primari interessi pubblici sui quali si  regge  l'ordinata  e  civile
convivenza nella comunita' nazionale (sentenze n. 237 e 222 del 2006,
n. 383 del 2005)». 
    Detta sentenza, quindi, segue perfettamente l'orientamento  ormai
consolidato   della   giurisprudenza   costituzionale   piu'    volte
richiamato,   per   il   quale,   appunto,   deve    accedersi    «ad
un'interpretazione restrittiva della nozione di "sicurezza pubblica".
Questa infatti, secondo un tradizionale orientamento di questa Corte,
e'  da  configurare,  in  contrapposizione  ai  compiti  di   polizia
amministrativa regionale e locale, come settore riservato allo  Stato
relativo alle  misure  inerenti  alla  prevenzione  dei  reati  o  al
mantenimento  dell'ordine  pubblico  (sentenza  n.  290  del   2001)»
(sentenza n. 407 del 2002). 
    La generica espressione usata dall'art. 3, comma 40 di «sicurezza
urbana», invece, non specifica i suddetti limiti e, quindi, viene  ad
essere molto estesa, sino a ricomprendere anche gli interventi  volti
a migliorare le condizioni  di  vivibilita'  nei  centri  urbani,  la
convivenza civile e la coesione sociale. In tale ampia  dizione  sono
incluse le attivita' di prevenzione e lotta al degrado urbano,  volte
a favorire un ordinato sviluppo delle relazioni sociali ed economiche
e una ordinata e civile  convivenza  della  comunita'  regionale,  le
quali invece  devono  essere  ricondotte  nell'ambito  di  competenza
regionale, in quanto espressione di polizia amministrativa locale. 
    Per tali  motivi,  la  formulazione  del  comma  40  non  risulta
assolutamente  conforme  a  tale  giurisprudenza  costituzionale,  in
quanto  eccessivamente  ampia  e  percio'  e'  incostituzionale   per
violazione dell'art. 117 Cost. 
    Ragionamento in tutto e per tutto analogo puo' essere svolto  con
riferimento all'espressione «situazioni di disagio sociale». 
    Si tratta di una locuzione notoriamente ardua da definire in modo
compiuto. Infatti, si puo' intendere per «disagio sociale»  (cfr.  il
Rapporto del maggio 2001 che presenta i  risultati  di  una  indagine
svolta dal Ciriec per conto dell'Osservatorio Regionale  sul  Mercato
del Lavoro (ORML) della Regione Toscana) «la situazione -  prolungata
nel tempo - in cui il soggetto, per specifiche condizioni, non e'  in
grado di utilizzare pienamente le proprie risorse e  le  opportunita'
offerte dalla societa', e alternativamente e/o contemporaneamente  si
isola o suscita rigetto da parte della societa' stessa; si  manifesta
cioe' come problema sociale per la soluzione del quale e'  opportuno,
e talvolta indispensabile, un intervento». 
    Si tratta, quindi,  inevitabilmente,  di  una  definizione  molto
ampia, dovuta al fatto che molteplici possono essere le cause che, da
sole oppure combinandosi variamente  fra  loro,  possono  condurre  a
situazioni  di  disagio  sociale.   Puo'   trattarsi,   infatti,   di
ristrettezze  economiche,  difficolta'   familiari,   disoccupazione,
malattie o invalidita', solitudine, eta', sesso,  carenze  culturali,
estraneita', tossicodipendenza, maltrattamenti, ecc. 
    E' chiaro, quindi, che, in  relazione  al  «disagio  sociale»  si
intersecano tra loro molteplici settori ed attivita' di  prevenzione,
di assistenza, di recupero, ecc. E' altrettanto evidente, pero',  che
le modalita' di prestare rimedio  a  tali  situazioni  disagiate  ben
possono ricondursi alla sfera delle  «politiche  sociali»,  la  quale
ricade, per costante giurisprudenza costituzionale, nella  competenza
legislativa residuale esclusiva regionale.  (cfr.,  ex  pluribus,  la
sentenza n. 50 del 7 marzo 2008). 
    A nulla rileverebbe, in questo caso, invocare la lettera  m)  del
secondo comma dell'art. 117 della Costituzione, che attribuisce  alla
competenza  legislativa  esclusiva  statale  la  «determinazione  dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti  civili  e
sociali  che  devono  essere  garantiti  su   tutto   il   territorio
nazionale». 
    E' chiaro, infatti, che le associazioni di  cui  ai  commi  40  e
seguenti   della   legge   n.   94/2009   non   operano   nell'ambito
dell'erogazione di «servizi», ma, per cosi' dire, «a monte»,  vale  a
dire svolgono attivita' di prevenzione del disagio sociale. 
    Ebbene, evidentemente una siffatta attivita' rientra nella  sfera
della competenza legislativa residuale esclusiva regionale in materia
di «politiche sociali». Infatti, non e'  (logicamente,  prima  ancora
che giuridicamente) pensabile interpretare detta materia nel senso di
attribuire alle  regioni  il  solo  compito  di  intervenire  in  via
successiva, cioe' quando le situazioni di disagio sono ormai insorte,
lasciando   la   determinazione    della    disciplina    applicabile
all'attivita' di prevenzione allo Stato. 
    In conclusione, sia l'espressione «sicurezza urbana»  sia  quella
di  «disagio  sociale»,  sono  locuzioni  eccessivamente   ampie   ed
omnicomprensive,  quindi  suscettibili  di  invadere  le   competenze
regionali. 
    Le  impugnate  disposizioni  risultano  ancor  piu'   palesemente
contrastanti con il dettato costituzionale se  si  considera  che  il
comma 42 prevede quali requisiti debbano avere, «in via prioritaria»,
le associazioni di cui al comma 40, mentre  il  successivo  comma  41
attribuisce al prefetto (cioe' ad un  rappresentante  del  Governo  a
livello territoriale)  il  compito  di  provvedere  alla  tenuta  del
registro delle medesime  associazioni,  nonche'  al  controllo  della
sussistenza  dei  requisiti  richiesti  per   l'iscrizione,   ed   al
monitoraggio delle associazioni stesse. Il tutto  previo  parere  del
Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica,  ma  senza
coinvolgimento alcuno delle regioni, neppure nella forma «debole» del
parere della Conferenza Stato-regioni. 
    Si tratta di una palese  violazione  della  potesta'  legislativa
residuale esclusiva regionale in  tema  di  politiche  sociali  e  di
polizia amministrativa locale, in  quanto  e'  chiaro  che,  in  tali
materie, compete alle regioni medesime la fissazione delle regole  da
seguire per la tenuta dei registri delle associazioni coinvolte,  per
cio' che attiene alle condizioni che  devono  essere  soddisfatte  ai
fini, appunto, dell'iscrizione, ecc. 
    Ed infatti, come gia' visto, la Regione Toscana vi ha  provveduto
con l'art. 7 della legge regionale n.  12  del  3  aprile  2006,  che
rinvia alla legge regionale n. 28 del 26 aprile 1993. 
    D'altra parte non appare possibile una lettura  delle  norme  che
permetta di evitare la lesione delle competenze regionali. 
    Non si puo' infatti pensare che il ricorso alle  associazioni  di
privati volontari sia  previsto  nei  limiti  di  cui  all'art.  117,
secondo  comma,  lettera  h),  Cost.  perche'  cio'   significherebbe
affidare a privati cittadini una funzione  necessariamente  pubblica,
quale  quella  della  prevenzione  dei  reati  e   del   mantenimento
dell'ordine pubblico. E' percio' inevitabile che la dizione del comma
40 viene sia estesa, determinando un'indebita invasione statale delle
incomprimibili  attribuzioni  regionali,  nella  misura  in  cui   la
collaborazione di  privati  cittadini  nelle  funzioni  ed  attivita'
connesse alla «polizia amministrativa locale» (lo stesso dicasi anche
per le «politiche sociali»,  nella  specie  della  prevenzione  delle
situazioni di disagio sociale) e' rimessa - sostanzialmente  in  modo
integrale - a determinazioni  legislative  e  regolamentari  statali,
senza alcun coinvolgimento delle regioni, neppure in forma «ridotta»,
cioe' tramite l'intervento della Conferenza Stato-regioni. 
    Le  norme  impugnate  sono  ulteriormente  illegittime  sotto  il
profilo della violazione del principio di leale collaborazione. 
    Nessuna delle  disposizioni  impugnate,  infatti,  prevede  alcun
coinvolgimento delle regioni,  neppure  nella  forma  dell'intervento
della Conferenza Stato-regioni, e cio' nonostante  il  fatto  che  si
tratti  di  ambiti  decisamente  complessi,  nei  quali   spesso   le
competenze statali e quelle regionali si intersecano. 
    E' chiaro, pero',  che  anche  con  riferimento  alla  «sicurezza
urbana» ed alla prevenzione delle «situazioni di disagio sociale»  il
principio di leale collaborazione  riveste  una  notevole  rilevanza,
proprio per l'elevata possibilita' di un intreccio di competenze. 
    In  particolare,  per  cio'  che  attiene  alla  «sicurezza»,  la
giurisprudenza  costituzionale  ha   affermato   che   «[...]   nella
prospettiva di una completa ed articolata attuazione del principio di
leale  collaborazione  tra  istituzioni   regionali   e   locali   ed
istituzioni statali - piu' volte riconfermato da questa Corte  -  non
puo' escludersi "che l'ordinamento statale persegue  opportune  forme
di coordinamento tra Stato ed enti territoriali in materia di  ordine
e  sicurezza  pubblica"  (v.  sentenza  n.  55  del   2001),   volte,
evidentemente, a migliorare le condizioni di sicurezza dei  cittadini
e del territorio, "auspicabili" e suscettibili  di  trovare  il  loro
fondamento anche "in accordi fra gli  enti  interessati",  oltre  che
nella legislazione statale (v. sentenza n. 134 del 2004)» (cosi',  la
sentenza n. 105 del 17 marzo 2006). 
    La  necessita'  di   un   coordinamento   nella   materia   della
«sicurezza», del resto, emerge in modo  incontrovertibile  dal  testo
dell'art. 118, terzo comma della Costituzione, che prevede l'adozione
di una legge statale per  disciplinare  forme  di  coordinamento  fra
Stato e regioni, tra l'altro, nelle  materie  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera h), della Costituzione. 
    La predetta esigenza  di  coordinamento,  peraltro,  si  presenta
ancor piu' accentuata nel caso in esame. 
    La coesistenza di distinte associazioni di volontariato  operanti
sul medesimo territorio, che svolgono specifiche  funzioni,  regolate
da norme che propongono differenti modelli  organizzativi,  tra  loro
incompatibili, comporterebbe un elevato grado di incertezza non  solo
normativa ma anche e soprattutto applicativa, con evidente confusione
sia nei cittadini sia negli operatori stessi. 
    La stessa esigenza di coordinamento sussiste, a  tutta  evidenza,
anche con riferimento alla prevenzione delle  situazioni  di  disagio
sociale, trattandosi, anche in tal caso, di  ambito  coinvolgente  in
modo spesso complesso sia le competenze statali che quelle regionali. 
    In   conclusione,    le    disposizioni    impugnate    risultano
costituzionalmente illegittime per violazione dell'art. 117,  secondo
comma, lettera h), e quarto comma, Cost. 
2)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  3,   comma   43,   per
violazione dell' art. 117, sesto comma, Cost. 
    L'impugnata  disposizione  si  inserisce   tra   le   norme   che
disciplinano  la  partecipazione  di  privati   alla   tutela   della
«sicurezza urbana» ed alla prevenzione delle «situazioni  di  disagio
sociale», attribuendo  ad  un  decreto  ministeriale  il  compito  di
determinare «gli ambiti operativi delle disposizioni di cui ai  commi
40 e 41, i requisiti per l'iscrizione nell'elenco e sono disciplinate
le modalita' di tenuta dei relativi elenchi». 
    Detta disposizione, pero', non fa alcun riferimento ai limiti  di
cui all'articolo 117, secondo comma, lettera  h),  Cost.,  cioe'  non
limita il suo ambito applicativo alle sole ipotesi di associazioni di
volontariato operanti nella prevenzione dei reati e nel  mantenimento
dell'ordine pubblico (del resto, come sopra  rilevato,  e'  difficile
interpretare in tali limiti le norme impugnate). 
    Di conseguenza, essa risulta costituzionalmente illegittima nella
misura in cui attribuisce una potesta' regolamentare  allo  Stato  in
una materia di competenza legislativa residuale esclusiva regionale. 
    Infatti, l'articolo 117, sesto comma, della Costituzione  prevede
che «La potesta' regolamentare spetta allo  Stato  nelle  materie  di
legislazione  esclusiva,  salva  delega  alle  regioni.  La  potesta'
regolamentare spetta alle regioni in ogni altra materia». 

        
      
                              P. Q. M. 
    Si confida che la Corte costituzionale dichiari  l'illegittimita'
costituzionale dell'articolo 3, commi 40, 41, 42 e 43 della legge  15
luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni  in  materia  di  sicurezza
pubblica», per violazione dell'articolo 117, secondo  comma,  lettera
h), quarto comma, sesto comma, Cost. anche  sotto  il  profilo  della
violazione del principio della leale cooperazione. 
        Firenze-Roma, addi' 21 settembre 2009 
                           Avv. Lucia Bora 
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                            M a n d a t o 
    Il sottoscritto, nella sua qualita'  di  Presidente  pro  tempore
della  Giunta  della  Regione  Toscana,  delega  a  rappresentarlo  e
difenderlo nel presente giudizio, l'avv. Lucia  Bora  dell'Avvocatura
della Regione Toscana conferendo alla stessa ogni piu' ampia facolta'
di legge, ivi compresa quella di accettare la rinuncia  all'azione  o
ai singoli atti, nonche' di farsi  eventualmente  sostituire.  Elegge
domicilio presso lo studio dell'avv. Giovanni Pasquale Mosca in Roma,
corso Italia n. 102. 
                   Il Presidente: Claudio Martini 
    E' autentica: Avv. Lucia Bora 

        

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