Ricorso n. 64 del 25 settembre 2009 (Regione Toscana)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 25 settembre 2009 , n. 64
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 25 settembre 2009 (della Regione Toscana).
(GU n. 43 del 28-10-2009)
Ricorso della Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 809 del 21 settembre 2009, rappresentato e difeso, per mandato in calce al presente atto, dall'avv. Lucia Bora dell'Avvocatura della Regione Toscana, elettivamente domiciliato in Roma, corso Italia n. 102, presso lo studio dell'avv. Giovanni Pasquale Mosca; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 3, commi 40, 41, 42, 43 della legge 15 luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica», per violazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera h), quarto comma, sesto comma Cost., anche sotto il profilo della violazione della leale collaborazione. Nella Gazzetta Ufficiale n. 170 del 24 luglio 2009, supplemento ordinario e' stata pubblicata la legge n. 94 del 15 luglio 2009. Le impugnate disposizioni sono lesive delle competenze regionali per i seguenti motivi di D i r i t t o 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 40, 41 e 42 per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera h), e quarto comma, anche sotto il profilo della violazione del principio della leale collaborazione. I commi da 40 a 43 dell'art. 3 contengono disposizioni volte a disciplinare la collaborazione di associazioni di privati cittadini nella gestione della sicurezza urbana ed al fine di prevenire situazioni di disagio sociale. Piu' in particolare, il comma 40 prevede che «I sindaci, previa intesa con il prefetto, possono avvalersi della collaborazione di cittadini non armati al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale». Il comma 41 precisa che le predette associazioni «sono iscritte in apposito elenco tenuto a cura del prefetto, previa verifica da parte dello stesso, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, dei requisiti necessari previsti dal decreto di cui al comma 43. Il prefetto provvede, altresi', al loro periodico monitoraggio, informando dei risultati il comitato». Il comma 42 ulteriormente specifica che «Tra le associazioni iscritte nell'elenco di cui al comma 41 i sindaci si avvalgono in via prioritaria, di quelle costituite tra gli appartenenti, in congedo, alle Forze dell'ordine, alle Forze armate e agli altri Corpi dello Stato. Le associazioni diverse da queste ultime sono iscritte negli elenchi solo se non siano destinatarie, a nessun titolo, di risorse economiche a carico della finanza pubblica». Il successivo comma 43 attribuisce ad un decreto del Ministro dell'interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 94/2009 medesima, il compito di determinare gli ambiti operativi delle disposizioni di cui ai commi 40 e 41, nonche' i requisiti per l'iscrizione nell'elenco e le modalita' di tenuta dei relativi elenchi. Le impugnate disposizioni presentano profili di illegittimita' costituzionale. La giurisprudenza costituzionale, infatti, anche prima della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, ha chiarito che la materia «sicurezza» deve essere letta ed interpretata in inscindibile connessione con l'attribuzione in materia di «ordine pubblico» e, sostanzialmente, va ricondotta proprio a quest'ultima, rientrandovi esclusivamente gli interventi finalizzati alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell'ordine pubblico. Piu' precisamente, nella sentenza n. 290 del 25 luglio 2001, codesta ecc.ma Corte ha statuito che «L'art. 159, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998 precisa che le funzioni e i compiti amministrativi relativi all'ordine pubblico e alla sicurezza pubblica concernono le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunita' nazionale, nonche' alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni. E' opportuno chiarire che tale definizione nulla aggiunge alla tradizionale nozione di ordine pubblico e sicurezza pubblica tramandata dalla giurisprudenza di questa Corte, nella quale la riserva allo Stato riguarda le funzioni primariamente dirette a tutelare beni fondamentali, quali l'integrita' fisica o psichica delle persone, la sicurezza dei possessi ed ogni altro bene che assume primaria importanza per l'esistenza stessa dell'ordinamento. E' dunque in questo senso che deve essere interpretata la locuzione "interessi pubblici primari" utilizzata nell'art. 159, comma 2: non qualsiasi interesse pubblico alla cui cura siano preposte le pubbliche amministrazioni, ma soltanto quegli interessi essenziali al mantenimento di una ordinata convivenza civile. Una siffatta precisazione e' necessaria ad impedire che una smisurata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico si converta in una preminente competenza statale in relazione a tutte le attivita' che vanificherebbe ogni ripartizione di compiti tra autorita' statali di polizia e autonomie locali» . Tale orientamento e' stato confermato anche dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. In particolare, nella sentenza n. 407 del 2002, codesta ecc.ma Corte ha sottolineato che per definire il concetto di «sicurezza pubblica» «e' sufficiente constatare che il contesto specifico della lettera h) del secondo comma dell'art. 117 [ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale], - che riproduce pressoche' integralmente l'art. 1, comma 3 lettera l) della legge n. 59 del 1997 - induce, in ragione della connessione testuale con "ordine pubblico" e dell'esclusione esplicita della "polizia amministrativa locale", nonche' in base ai lavori preparatori, ad un'interpretazione restrittiva della nozione di "sicurezza pubblica". Questa infatti, secondo un tradizionale indirizzo di questa Corte, e' da configurare, in contrapposizione ai compiti di polizia amministrativa regionale e locale, come settore riservato allo Stato relativo alle misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico» (seguono lo stesso orientamento anche le pronunce successive: cfr., per esempio, le sentenze n. 428 del 29 dicembre 2004; n. 105 del 17 marzo 2006; n. 222 del 13 giugno 2006; n. 237 del 22 giugno 2006; n. 196 del l° luglio 2009). A fronte degli interventi ricadenti nell'ambito della nozione di «sicurezza pubblica», in quanto tali rimessi alla competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera h), Cost., stanno dunque gli interventi di polizia amministrativa locale che, in base al combinato disposto dei commi secondo, lettera h) e quarto della Costituzione, rientrano nella sfera della potesta' legislativa esclusiva residuale delle regioni. Infatti, la lettera h) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione attribuisce alla competenza legislativa statale la materia dell'«ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale». Di conseguenza, non essendo tale ultima materia ricompresa tra quelle di cui al terzo comma dello stesso articolo, vale a dire nell'elenco delle materie di competenza concorrente Stato-regioni, essa ricade nell'ambito delle materie di competenza esclusiva residuale regionale. Peraltro, gia' l'art. 159 del decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998 («Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59») aveva previsto che «1. Le funzioni ed i compiti amministrativi relativi alla polizia amministrativa regionale e locale concernono le misure dirette a d evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati ai soggetti giuridici ed alle cose nello svolgimento di attivita' relative alle materie nelle quali vengono esercitate le competenze, anche delegate, delle regioni e degli enti locali, senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni e gli interessi tutelati in funzione dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica. 2. Le funzioni ed i compiti amministrativi relativi all'ordine pubblico e sicurezza pubblica di cui all'articolo 1, comma 3, lettera l), della legge 15 marzo 1997, n. 59, concernono le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunita' nazionale, nonche' alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni». La Regione Toscana ha esercitato le proprie competenze in materia attraverso l'emanazione della legge regionale n. 12 del 3 aprile 2006 («Norme in materia di polizia comunale e provinciale»), la quale, «in conformita' a quanto previsto dall'articolo 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, detta disposizioni concernenti i requisiti essenziali di uniformita' per l'organizzazione e lo svolgimento, anche in forma associata, delle funzioni di polizia amministrativa locale tramite strutture di polizia comunale, denominata polizia municipale, e di polizia provinciale [...]» (art. 1). La possibilita' di partecipazione di associazioni di volontariato alla «polizia amministrativa locale», quindi, era gia' stata prevista dalla legislazione regionale. Piu' in particolare, l'articolo 7 di detta legge regionale prevede che «1. I comuni e le province possono stipulare convenzioni con le associazioni di volontariato iscritte nel registro di cui all'articolo 4 della legge regionale 26 aprile 1993, n. 28 (Norme relative ai rapporti delle organizzazioni di volontariato con la regione, gli enti locali e gli altri enti pubblici - Istituzione del registro regionale delle organizzazioni del volontariato) e successive modificazioni, per realizzare collaborazioni tra queste ultime e le strutture di polizia locale rivolte a favorire l'educazione alla convivenza, al senso civico e al rispetto della legalita'. [...]». La normativa impugnata incide sulla suddetta disciplina legislativa regionale, vanificando il ruolo ed i compiti delle associazioni di volontariato ivi previste; cio' non e' compatibile con il riparto della potesta' legislativa come delineato nella Costituzione, anche alla luce dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale. Infatti, il comma 40, utilizzando due espressioni notevolmente ampie - «sicurezza urbana» e «situazioni di disagio sociale» - si rivela suscettibile di svuotare di contenuto, e quindi vanificare, le competenze residuali esclusive regionali in materia, da un lato, di polizia amministrativa locale, e, dall'altro, di politiche sociali. In particolare, con riferimento alla «sicurezza urbana», essa puo' essere ricondotta alla competenza statale solo se e nella misura in cui sia intesa come sicurezza delle citta', in modo tale da rispettare la giurisprudenza costituzionale richiamata, in forza della quale, si ripete, la competenza legislativa esclusiva statale in materia di «sicurezza pubblica» deve intendersi in modo restrittivo, cioe' limitata agli interventi finalizzati alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell'ordine pubblico. Tanto e' vero che la definizione di «sicurezza urbana» data dall'articolo 1 del decreto del Ministro dell'interno del 5 agosto 2008 («Incolumita' pubblica e sicurezza urbana: definizione e ambiti di applicazione»), attuativo del decreto-legge n. 92 del 23 maggio 2008 («Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica»), convertito, con modificazioni, in legge 24 luglio 2008, n. 125, e' stata ritenuta sostanzialmente conforme al dettato costituzionale nella recente sentenza costituzionale n. 196 del 1° luglio 2009, ma solo nella misura in cui il decreto ministeriale 5 agosto 2008 rinvia e fa salvo l'articolo 117, secondo comma, lettera h) della Costituzione, cosi' come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale. La predetta pronuncia ha deciso, tra l'altro, il ricorso per conflitto di attribuzioni promosso nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri dalla Provincia autonoma di Bolzano in relazione al decreto del Ministro dell'interno del 5 agosto 2008 («Incolumita' pubblica e sicurezza urbana: definizione e ambiti di applicazione»), attuativo del decreto-legge n. 92 del 23 maggio 2008 («Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica»), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 24 luglio 2008, n. 125. Ebbene, la Corte ha ritenuto sostanzialmente conforme a Costituzione detta normativa regolamentare in quanto essa «ha ad oggetto esclusivamente la tutela della sicurezza pubblica, intesa come attivita' di prevenzione e repressione dei reati: non solo la titolazione del decreto-legge n. 92 del 2008 si riferisce alla "sicurezza pubblica", ma, nelle premesse al decreto ministeriale oggetto del presente giudizio, si fa espresso riferimento, come fondamento giuridico dello stesso, al secondo comma, lettera h), dell'art. 117 Cost., il quale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, attiene appunto alla prevenzione dei reati e alla tutela dei primari interessi pubblici sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunita' nazionale (sentenze n. 237 e 222 del 2006, n. 383 del 2005)». Detta sentenza, quindi, segue perfettamente l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza costituzionale piu' volte richiamato, per il quale, appunto, deve accedersi «ad un'interpretazione restrittiva della nozione di "sicurezza pubblica". Questa infatti, secondo un tradizionale orientamento di questa Corte, e' da configurare, in contrapposizione ai compiti di polizia amministrativa regionale e locale, come settore riservato allo Stato relativo alle misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico (sentenza n. 290 del 2001)» (sentenza n. 407 del 2002). La generica espressione usata dall'art. 3, comma 40 di «sicurezza urbana», invece, non specifica i suddetti limiti e, quindi, viene ad essere molto estesa, sino a ricomprendere anche gli interventi volti a migliorare le condizioni di vivibilita' nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale. In tale ampia dizione sono incluse le attivita' di prevenzione e lotta al degrado urbano, volte a favorire un ordinato sviluppo delle relazioni sociali ed economiche e una ordinata e civile convivenza della comunita' regionale, le quali invece devono essere ricondotte nell'ambito di competenza regionale, in quanto espressione di polizia amministrativa locale. Per tali motivi, la formulazione del comma 40 non risulta assolutamente conforme a tale giurisprudenza costituzionale, in quanto eccessivamente ampia e percio' e' incostituzionale per violazione dell'art. 117 Cost. Ragionamento in tutto e per tutto analogo puo' essere svolto con riferimento all'espressione «situazioni di disagio sociale». Si tratta di una locuzione notoriamente ardua da definire in modo compiuto. Infatti, si puo' intendere per «disagio sociale» (cfr. il Rapporto del maggio 2001 che presenta i risultati di una indagine svolta dal Ciriec per conto dell'Osservatorio Regionale sul Mercato del Lavoro (ORML) della Regione Toscana) «la situazione - prolungata nel tempo - in cui il soggetto, per specifiche condizioni, non e' in grado di utilizzare pienamente le proprie risorse e le opportunita' offerte dalla societa', e alternativamente e/o contemporaneamente si isola o suscita rigetto da parte della societa' stessa; si manifesta cioe' come problema sociale per la soluzione del quale e' opportuno, e talvolta indispensabile, un intervento». Si tratta, quindi, inevitabilmente, di una definizione molto ampia, dovuta al fatto che molteplici possono essere le cause che, da sole oppure combinandosi variamente fra loro, possono condurre a situazioni di disagio sociale. Puo' trattarsi, infatti, di ristrettezze economiche, difficolta' familiari, disoccupazione, malattie o invalidita', solitudine, eta', sesso, carenze culturali, estraneita', tossicodipendenza, maltrattamenti, ecc. E' chiaro, quindi, che, in relazione al «disagio sociale» si intersecano tra loro molteplici settori ed attivita' di prevenzione, di assistenza, di recupero, ecc. E' altrettanto evidente, pero', che le modalita' di prestare rimedio a tali situazioni disagiate ben possono ricondursi alla sfera delle «politiche sociali», la quale ricade, per costante giurisprudenza costituzionale, nella competenza legislativa residuale esclusiva regionale. (cfr., ex pluribus, la sentenza n. 50 del 7 marzo 2008). A nulla rileverebbe, in questo caso, invocare la lettera m) del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione, che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva statale la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». E' chiaro, infatti, che le associazioni di cui ai commi 40 e seguenti della legge n. 94/2009 non operano nell'ambito dell'erogazione di «servizi», ma, per cosi' dire, «a monte», vale a dire svolgono attivita' di prevenzione del disagio sociale. Ebbene, evidentemente una siffatta attivita' rientra nella sfera della competenza legislativa residuale esclusiva regionale in materia di «politiche sociali». Infatti, non e' (logicamente, prima ancora che giuridicamente) pensabile interpretare detta materia nel senso di attribuire alle regioni il solo compito di intervenire in via successiva, cioe' quando le situazioni di disagio sono ormai insorte, lasciando la determinazione della disciplina applicabile all'attivita' di prevenzione allo Stato. In conclusione, sia l'espressione «sicurezza urbana» sia quella di «disagio sociale», sono locuzioni eccessivamente ampie ed omnicomprensive, quindi suscettibili di invadere le competenze regionali. Le impugnate disposizioni risultano ancor piu' palesemente contrastanti con il dettato costituzionale se si considera che il comma 42 prevede quali requisiti debbano avere, «in via prioritaria», le associazioni di cui al comma 40, mentre il successivo comma 41 attribuisce al prefetto (cioe' ad un rappresentante del Governo a livello territoriale) il compito di provvedere alla tenuta del registro delle medesime associazioni, nonche' al controllo della sussistenza dei requisiti richiesti per l'iscrizione, ed al monitoraggio delle associazioni stesse. Il tutto previo parere del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, ma senza coinvolgimento alcuno delle regioni, neppure nella forma «debole» del parere della Conferenza Stato-regioni. Si tratta di una palese violazione della potesta' legislativa residuale esclusiva regionale in tema di politiche sociali e di polizia amministrativa locale, in quanto e' chiaro che, in tali materie, compete alle regioni medesime la fissazione delle regole da seguire per la tenuta dei registri delle associazioni coinvolte, per cio' che attiene alle condizioni che devono essere soddisfatte ai fini, appunto, dell'iscrizione, ecc. Ed infatti, come gia' visto, la Regione Toscana vi ha provveduto con l'art. 7 della legge regionale n. 12 del 3 aprile 2006, che rinvia alla legge regionale n. 28 del 26 aprile 1993. D'altra parte non appare possibile una lettura delle norme che permetta di evitare la lesione delle competenze regionali. Non si puo' infatti pensare che il ricorso alle associazioni di privati volontari sia previsto nei limiti di cui all'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. perche' cio' significherebbe affidare a privati cittadini una funzione necessariamente pubblica, quale quella della prevenzione dei reati e del mantenimento dell'ordine pubblico. E' percio' inevitabile che la dizione del comma 40 viene sia estesa, determinando un'indebita invasione statale delle incomprimibili attribuzioni regionali, nella misura in cui la collaborazione di privati cittadini nelle funzioni ed attivita' connesse alla «polizia amministrativa locale» (lo stesso dicasi anche per le «politiche sociali», nella specie della prevenzione delle situazioni di disagio sociale) e' rimessa - sostanzialmente in modo integrale - a determinazioni legislative e regolamentari statali, senza alcun coinvolgimento delle regioni, neppure in forma «ridotta», cioe' tramite l'intervento della Conferenza Stato-regioni. Le norme impugnate sono ulteriormente illegittime sotto il profilo della violazione del principio di leale collaborazione. Nessuna delle disposizioni impugnate, infatti, prevede alcun coinvolgimento delle regioni, neppure nella forma dell'intervento della Conferenza Stato-regioni, e cio' nonostante il fatto che si tratti di ambiti decisamente complessi, nei quali spesso le competenze statali e quelle regionali si intersecano. E' chiaro, pero', che anche con riferimento alla «sicurezza urbana» ed alla prevenzione delle «situazioni di disagio sociale» il principio di leale collaborazione riveste una notevole rilevanza, proprio per l'elevata possibilita' di un intreccio di competenze. In particolare, per cio' che attiene alla «sicurezza», la giurisprudenza costituzionale ha affermato che «[...] nella prospettiva di una completa ed articolata attuazione del principio di leale collaborazione tra istituzioni regionali e locali ed istituzioni statali - piu' volte riconfermato da questa Corte - non puo' escludersi "che l'ordinamento statale persegue opportune forme di coordinamento tra Stato ed enti territoriali in materia di ordine e sicurezza pubblica" (v. sentenza n. 55 del 2001), volte, evidentemente, a migliorare le condizioni di sicurezza dei cittadini e del territorio, "auspicabili" e suscettibili di trovare il loro fondamento anche "in accordi fra gli enti interessati", oltre che nella legislazione statale (v. sentenza n. 134 del 2004)» (cosi', la sentenza n. 105 del 17 marzo 2006). La necessita' di un coordinamento nella materia della «sicurezza», del resto, emerge in modo incontrovertibile dal testo dell'art. 118, terzo comma della Costituzione, che prevede l'adozione di una legge statale per disciplinare forme di coordinamento fra Stato e regioni, tra l'altro, nelle materie di cui all'art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione. La predetta esigenza di coordinamento, peraltro, si presenta ancor piu' accentuata nel caso in esame. La coesistenza di distinte associazioni di volontariato operanti sul medesimo territorio, che svolgono specifiche funzioni, regolate da norme che propongono differenti modelli organizzativi, tra loro incompatibili, comporterebbe un elevato grado di incertezza non solo normativa ma anche e soprattutto applicativa, con evidente confusione sia nei cittadini sia negli operatori stessi. La stessa esigenza di coordinamento sussiste, a tutta evidenza, anche con riferimento alla prevenzione delle situazioni di disagio sociale, trattandosi, anche in tal caso, di ambito coinvolgente in modo spesso complesso sia le competenze statali che quelle regionali. In conclusione, le disposizioni impugnate risultano costituzionalmente illegittime per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera h), e quarto comma, Cost. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 43, per violazione dell' art. 117, sesto comma, Cost. L'impugnata disposizione si inserisce tra le norme che disciplinano la partecipazione di privati alla tutela della «sicurezza urbana» ed alla prevenzione delle «situazioni di disagio sociale», attribuendo ad un decreto ministeriale il compito di determinare «gli ambiti operativi delle disposizioni di cui ai commi 40 e 41, i requisiti per l'iscrizione nell'elenco e sono disciplinate le modalita' di tenuta dei relativi elenchi». Detta disposizione, pero', non fa alcun riferimento ai limiti di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera h), Cost., cioe' non limita il suo ambito applicativo alle sole ipotesi di associazioni di volontariato operanti nella prevenzione dei reati e nel mantenimento dell'ordine pubblico (del resto, come sopra rilevato, e' difficile interpretare in tali limiti le norme impugnate). Di conseguenza, essa risulta costituzionalmente illegittima nella misura in cui attribuisce una potesta' regolamentare allo Stato in una materia di competenza legislativa residuale esclusiva regionale. Infatti, l'articolo 117, sesto comma, della Costituzione prevede che «La potesta' regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle regioni. La potesta' regolamentare spetta alle regioni in ogni altra materia».
P. Q. M. Si confida che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 3, commi 40, 41, 42 e 43 della legge 15 luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica», per violazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera h), quarto comma, sesto comma, Cost. anche sotto il profilo della violazione del principio della leale cooperazione. Firenze-Roma, addi' 21 settembre 2009 Avv. Lucia Bora ----- M a n d a t o Il sottoscritto, nella sua qualita' di Presidente pro tempore della Giunta della Regione Toscana, delega a rappresentarlo e difenderlo nel presente giudizio, l'avv. Lucia Bora dell'Avvocatura della Regione Toscana conferendo alla stessa ogni piu' ampia facolta' di legge, ivi compresa quella di accettare la rinuncia all'azione o ai singoli atti, nonche' di farsi eventualmente sostituire. Elegge domicilio presso lo studio dell'avv. Giovanni Pasquale Mosca in Roma, corso Italia n. 102. Il Presidente: Claudio Martini E' autentica: Avv. Lucia Bora