Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria il 4  giugno  2019  (del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri).

(GU n. 28 del 2019-07-10)

 

     Ricorso ex art. 127  Cost.  nell'interesse  del  Presidente  del

Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura

generale dello Stato  (codice  fiscale  80224030587),  presso  i  cui

uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e'  ope  legis  domiciliato

(numero        fax        06.96.51.40.00,        indirizzo        PEC

ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it)  nei  confronti   della   Regione

Puglia, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore,

per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli  articoli

1, comma 2; 2, comma 1; 4; 5; 6, commi 1 e 2 lettera k); 7; 9,  commi

1 e 2 lettera d) ed e); 10, comma 2; 13, comma 1; 16, commi  1  e  3;

17, comma 2; 20, commi 2 e 3; della legge regionale Puglia  28  marzo

2019, n. 14,  recante  il  «Testo  unico  in  materia  di  legalita',

regolarita' amministrativa e sicurezza», pubblicata sul B.U.R. Puglia

n. 36 del 1° aprile 2019 in virtu' della deliberazione del  Consiglio

dei ministri in data 20 maggio 2019.

    La  legge  regionale  Puglia  n.  14/2019  presenta   diversi   e

concorrenti profili di contrasto con la Costituzione e con il riparto

di  competenze  tra  Stato  e  regioni  ivi  delineato,  nei  termini

specificati nei motivi che seguono.

Premessa.

    A titolo di premessa il Presidente del Consiglio  ribadisce  che,

come chiarito da  codesta  Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.

35/2012,  «La  promozione  della  legalita',  in  quanto  tesa   alla

diffusione dei valori di civilta' e pacifica  convivenza  su  cui  si

regge la Repubblica, non  e'  attribuzione  monopolistica,  ne'  puo'

divenire oggetto di contesa tra i distinti livelli di legislazione  e

di Governo: e' tuttavia necessario  che  misure  predisposte  a  tale

scopo nell'esercizio di una competenza  propria  della  Regione,  per

esempio nell'ambito dell'organizzazione degli uffici  regionali,  non

costituiscano strumenti di politica criminale,  ne',  in  ogni  caso,

generino interferenze, anche potenziali, con la disciplina statale di

prevenzione e repressione dei reati (sentenza  n.  55  del  2001;  da

ultimo, sentenza n. 325 del 2011)».

    Anche nel presente ricorso non e' in discussione la  possibilita'

per le regioni di promuovere la  cultura  della  legalita'.  Sono  in

discussione la natura e la portata applicativa dei mezzi giuridici  e

amministrativi predisposti  dalla  legge  regionale  impugnata.  Tali

mezzi, appunto per la loro natura e portata, in piu' punti si pongono

infatti come strumenti  diretti  di  politica  criminale  e  generano

interferenze, anche  potenziali,  con  la  disciplina  statale  della

prevenzione e repressione dei  reati,  invadendo  tale  competenza  e

rendendo impossibile l'ulteriore, e fondamentale, competenza  statale

esclusiva  attribuita  dall'art.  118,  comma  3  Cost.  riguardo  al

coordinamento fra Stato e regioni in materia di  ordine  e  sicurezza

pubblica.

    A questo riguardo e' ancora opportuno ribadire in  premessa  che,

sempre alla stregua della sentenza n. 35/2012, «l'ordine  pubblico  e

la sicurezza, ai fini del riparto della competenza legislativa, hanno

per oggetto le «misure inerenti  alla  prevenzione  dei  reati  o  al

mantenimento dell'ordine pubblico» (sentenza  n.  407  del  2002;  in

seguito, ex plurimis, sentenze n. 35 del 2011, n. 226 del 2010, n. 50

del 2008, n. 222 del 2006, n. 428 del 2004).».

    Ne consegue che rientra certamente nella competenza regionale  la

disciplina di misure e attivita' che «in ragione delle loro  rilevate

caratteristiche  e  della  loro  complessiva  finalita',   non   sono

suscettibili di una teorica collocazione nell'ambito della nozione di

«sicurezza pubblica», quale  e'  delineata  dalla  giurisprudenza  di

questa Corte (v. sentenze n. 313 del  2003  e  n.  407  del  2002)  e

rispetto a cui, gia' prima della riforma del titolo V della parte  II

della Costituzione, «la  riserva  allo  Stato  riguarda  le  funzioni

primariamente   dirette   a   tutelare   beni   fondamentali,   quali

l'integrita' fisica  o  psichica  delle  persone,  la  sicurezza  dei

possessi ed ogni altro bene che  assume  prioritaria  importanza  per

l'esistenza stessa dell'ordinamento» (v. sentenza n. 290  del  2001).

Al di la', cioe', dell'ampiezza della nozione di sicurezza  e  ordine

pubblico - quale settore  di  competenza  riservata  allo  Stato,  in

contrapposizione ai compiti di  polizia  amministrativa  regionale  e

locale - e' la  stessa  natura  dell'attivita'  conoscitiva,  in  se'

estranea a tale orizzonte di competenza, ad escludere la possibilita'

che  la  normativa  oggetto  di  censura  incida  sull'assetto  della

competenza statale.» (cosi' la sentenza n. 105/2006).

    In sostanza, quindi, rientreranno  nella  competenza  legislativa

regionale solo le attivita' e le misure (a)  strettamente  riferibili

alla materia «polizia amministrativa regionale e locale»; e, (b)  con

riferimento alla materia delle «misure inerenti alla prevenzione  dei

reati o al  mantenimento  dell'ordine  pubblico»,  essenzialmente  le

attivita' e misure di carattere conoscitivo e di studio.

    Debbono invece escludersi dalla competenza legislativa  regionale

le attivita' e le misure che, anche potenzialmente,  siano  idonee  a

produrre  un  impatto  con  le  attivita'   e   misure   regolatorie,

organizzative, operative attuate dallo Stato e  in  base  alla  legge

statale, nella materia della prevenzione e repressione dei  reati  di

qualsiasi natura e del  mantenimento  dell'ordine  pubblico.  Impatto

che,  essenzialmente,  potra'  consistere  nella  (anche  potenziale)

sovrapposizione o interferenza  delle  attivita'  e  misure  previste

dalla legge regionale con le attivita'  e  misure  contemplate  dalla

legge statale; come appunto avviene per effetto della legge regionale

impugnata, secondo quanto si illustrera' nei motivi che seguono.

    A proposito del raccordo  tra  le  competenze  statali  e  quelle

regionali nella materia della prevenzione e repressione dei reati, va

poi tenuto presente il quadro delineato dal decreto-legge n. 14/2017,

convertito in legge n. 48/2017, che «disciplina, anche in  attuazione

dell'art. 118, terzo comma, della Costituzione, modalita' e strumenti

di coordinamento tra Stato, regioni e province autonome di  Trento  e

Bolzano ed enti locali in  materia  di  politiche  pubbliche  per  la

promozione della sicurezza integrata.» (art. l, comma  1);  sicurezza

integrata che l'art. 1, comma  2,  definisce  come  «l'insieme  degli

interventi assicurati dallo  Stato,  dalle  regioni,  dalle  province

autonome di Trento e Bolzano e dagli enti locali,  nonche'  da  altri

soggetti istituzionali, al fine di concorrere,  ciascuno  nell'ambito

delle  proprie  competenze  e  responsabilita',  alla  promozione   e

all'attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il

benessere delle comunita' territoriali.».

    Come si vede, anche l'attuazione dell'art. 118, comma 3 Cost.  fa

salvi i limiti reciproci delle  competenze  statali  e  regionali  in

materia di sicurezza.

    In tale ambito, che e' quello nel quale intende muoversi la legge

regionale impugnata (tuttavia  incorrendo  nelle  illegittimita'  qui

denunciate),  ai  necessari  interventi  per  garantire   la   tutela

dell'ordine e della sicurezza pubblica  riservati  in  via  esclusiva

allo Stato, si affiancano misure che puntano al  miglioramento  della

vivibilita' del territorio e, piu' in generale,  al  benessere  delle

comunita' locali, che coinvolgono anche le regioni nel rispetto delle

attribuzioni tra i diversi livelli di Governo, cosi'  come  ripartite

dalla Costituzione.

    Segnatamente, nel piu' ampio genus delle politiche  di  sicurezza

che si coordinano ai sensi dell'art.  118,  comma  3  Cost.,  occorre

distinguere  le  cosiddette  «politiche  criminali»,  orientate  alla

prevenzione e repressione dei reati, e la cui disciplina e' riservata

in via esclusiva  alla  legislazione  statale;  dagli  interventi  di

carattere social-preventivo che, muovendo dall'analisi  dei  fenomeni

di devianza e di degrado che emergono  nel  tessuto  socio-economico,

mirano  al  contenimento  dei  fattori  criminogeni  in  contesti  di

illegalita' diffusa, e che possono essere regolamentati  anche  dalla

legislazione regionale.

    Sulla base di queste premesse generali, che  investono  tutte  le

disposizioni regionali qui impugnate e vanno integrate nelle  censure

specificamente dedotte in merito a ciascuna  disposizione  impugnata,

si svolgono quindi i seguenti

 

                                           Motivi

 

1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, e dell'art. 2,

comma 1, della legge regionale per violazione dell'art. 117, comma 2,

lettera h, della Costituzione.

    Gli articoli 1, comma 2, e 2, comma 1, della legge  regionale  in

esame violano la competenza legislativa dello  Stato  in  materia  di

ordine pubblico e sicurezza (ex articolo 117, comma secondo,  lettera

h, della  Costituzione)  nella  parte  in  cui  ricomprendono  tra  i

principi e le finalita' della legge ogni «intervento  necessario  per

contrastare  qualsiasi  fenomeno   di   infiltrazione   del   crimine

organizzato» e l'insieme di «azioni  volte  alla  prevenzione  ed  al

contrasto non repressivo della criminalita' organizzata».

    Si tratta, invero, di  principi  e  finalita'  indicati  in  modo

eccessivamente generico ed ampio, che riguardano di conseguenza anche

attivita'  da  ricondurre  nell'alveo   della   politica   criminale,

sottratta come tale alla cognizione  del  legislatore  regionale  nei

sensi illustrati in premessa.

    Segnatamente, per quanto riguarda i principi indicati all'art. 1,

la legge regionale solo al comma 1 recita che la Regione  Puglia  «in

armonia con i principi costituzionali, nel rispetto delle  competenze

dello Stato e in conformita' con l'ordinamento comunitario,  concorre

allo sviluppo  dell'ordinata  e  civile  convivenza  della  comunita'

regionale  pugliese  e  alla  crescita  della  coscienza  democratica

attraverso un sistema integrato  ...»,  mentre  al  comma  2  non  e'

altrettanto rispettosa della competenza statale laddove  prevede  che

la Regione medesima «promuove e sostiene ogni  intervento  necessario

per contrastare  qualsiasi  fenomeno  di  infiltrazione  del  crimine

organizzato nel tessuto sociale ed economico regionale  e  rimuoverne

le cause», atteso che tali interventi  non  sono  limitati  a  quelli

rientranti nella competenza regionale  prevedendosi  la  possibilita'

per  la  Regione  di  intervenire  mediante   l'adozione   di   «ogni

intervento» per prevenire «qualsiasi fenomeno» di  infiltrazione  del

crimine organizzato, e quindi anche quelli rientranti  nell'attivita'

di tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza rimessi allo Stato.

    In relazione all'art. 2, inoltre, laddove,  al  comma  1,  indica

quale finalita' dell legge quella di  disciplinare  «l'insieme  delle

azioni volte alla prevenzione e  al  contrasto  non  repressivo  alla

criminalita' organizzata», utilizzando il riferimento allo  «insieme»

delle «azioni volte alla prevenzione» e «contrasto  non  repressivo»,

indica in modo eccessivamente ampio le competenze regionali  poiche',

come  detto,  la  tutela  dell'ordine  e  della  sicurezza   pubblica

riservati  allo  Stato  non  comportano  un'attivita'  esclusivamente

repressiva, riguardando anche l'attivita' di  prevenzione  dei  reati

rientrante nella cosiddetta «politica criminale», con la  conseguenza

che la norma invade la competenza statale per difetto di una puntuale

definizione delle finalita' demandate all'ambito regionale  e,  nella

misura  in  cui  esclude  dagli  interventi  regionali  solo   quelli

repressivi, implica una  chiara  rivendicazione  della  competenza  a

disciplinare e attuare interventi preventivi; che invece, come detto,

e come e' pacifico, fanno parte integrante  della  materia  riservata

alla legislazione statale esclusiva.

    Ne' questa genericita' degli  articoli  1  e  2  e'  elisa  dalla

definizione  degli  interventi  prevista  all'art.  3,  perche'  tale

enumerazione non e' tassativa, e le stesse definizioni di prevenzione

primaria, secondaria e terziaria ivi  contenute,  sono  suscettibili,

per la loro aspecificita', di essere lette  in  senso  eccessivamente

ampio per effetto della mancanza  di  una  puntuale  definizione  dei

principi e delle finalita' di cui agli articoli 2 e 3.

2. Illegittimita' costituzionale degli articoli 4  e  5  della  legge

regionale per violazione dell'art. 117, comma  2,  lettera  h,  della

Costituzione.

    I vizi recati dalla  disciplina  di  cui  agli  articoli  1  e  2

censurati ridondano anche sugli articoli 4 e  5,  che  prevedono  gli

strumenti regionali della  «concertazione»  e  del  «piano  regionale

integrato» per l'attuazione delle finalita' connesse  alla  legge  in

oggetto.

    In particolare l'art. 4, prevede, che  la  Regione  favorisce  il

metodo  della  concertazione  quale  strumento  strategico   per   la

«programmazione e l'attuazione degli interventi di cui alla  presente

legge»; l'art. 5 prevede, inoltre, l'adozione di un  piano  regionale

integrato volto  al  contrasto  della  criminalita'  organizzata  per

programmare gli interventi per la «attuazione delle  finalita'  della

presente legge».

    Si  tratta  di  strumenti,  connotati  anche   dalla   democrazia

partecipativa, che la disciplina regionale prevede  in  via  generale

per tracciare  le  linee  degli  interventi  per  il  contrasto  alla

criminalita' organizzata e mafiosa sul territorio regionale, al  fine

di dare  «attuazione»  ai  principi  e  alle  finalita'  della  legge

riguardanti,  come  censurato,  ogni   «intervento   necessario   per

contrastare  qualsiasi  fenomeno   di   infiltrazione   del   crimine

organizzato» (art. 1) e l'insieme di «azioni volte  alla  prevenzione

ed al contrasto non repressivo della criminalita' organizzata»  (art.

2).

    Ne consegue, in via  derivata,  una  invasione  della  competenza

statale anche sotto tali aspetti attuativi per la  esposta  eccessiva

genericita' ed ampiezza che caratterizza l'ambito di azione di questi

strumenti regionali di contrasto alla criminalita', che sono peraltro

all'evidenza inefficaci per l'assolvimento  dei  compiti  prettamente

statali  di  tutela  della  sicurezza  e  dell'ordine   pubblico,   e

potrebbero tradursi fattori di interferenza con  il  pieno  esercizio

delle funzioni amministrative statali in materia.

3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 1 e 2 lettera  k)

della legge della Regione Puglia n. 14/2019 per  violazione  dell'art

117, comma 2, lettera h) e lettera 1) della Costituzione.

    L'art. 6 della legge Regione  Puglia  n.  14/2019  istituisce  la

Fondazione antimafia sociale - Stefano Fumarulo e dispone.

    «1. La Regione, per promuovere e coordinare le iniziative di  cui

alla presente  legge,  promuove  la  costituzione  della  «Fondazione

antimafia  sociale  -  Stefano  Fumarulo»,  per  il   contrasto   non

repressivo  alla  criminalita'  organizzata  e  per   contrastare   i

tentativi di infiltrazione mafiosa nel tessuto sociale ed economico.

    2. La Fondazione antimafia sociale:

        a) raccoglie e valorizza la produzione scientifica  elaborata

da Stefano Fumarulo in relazione allo studio  del  fenomeno  mafioso,

delle sue interrelazioni con i sistemi economici, politici, culturali

e la azioni dell'antimafia sociale;

        b) cura la raccolta e l'analisi delle  norme  in  vigore,  la

documentazione  sulla  presenza  della  criminalita'  organizzata   e

mafiosa presente nel territorio regionale, con l'obiettivo  specifico

di analizzare e studiare evoluzione, modalita' e strumenti operativi,

al fine  di  rendere  efficaci  gli  interventi  di  contrasto  della

criminalita'  mafiosa   e   corruttiva   che   hanno   una   ricaduta

sull'economia del tessuto regionale;

        c) promuove  relazioni  con  organismi  analoghi  attivi  sul

territorio nazionale e negli Stati  aderenti  all'Unione  europea  al

fine   di    raccogliere    informazioni,    dati,    documentazione,

pubblicazioni, studi e ricerche scientifiche  relative  alle  diverse

esperienze sul tema;

        d) partecipa, in accordo con  le  altre  strutture  regionali

connesse alle tematiche trattate, alla redazione  della  proposta  di

Piano regionale integrato di cui all'art. 5;

        e) cura la raccolta di informazioni  sull'analisi  predittiva

in materia di sicurezza urbana per il miglioramento  delle  politiche

di prevenzione in materia di sicurezza, protezione  del  cittadino  e

fenomeni di disordine urbano, in virtu' delle richieste  di  maggiore

sicurezza provenienti dalla cittadinanza;

        f) assicura la  valorizzazione  e  il  costante  monitoraggio

dell'attuazione, coerente e coordinata, delle iniziative di cui  alla

presente legge e la condivisione sistematica dei  risultati  e  delle

attivita', di concerto con le competenti commissioni regionali;

        g) cura la raccolta, la conservazione e la  diffusione  delle

storie di vita delle vittime innocenti del terrorismo e delle  mafie,

tra le nuove generazioni al fine di rafforzare l'identita' collettiva

che si alimenta attraverso il ricordo come impegno civico  contro  le

forme di omerta';

        h) propone azioni  idonee  a  rafforzare  gli  interventi  di

prevenzione e contrasto, con particolare attenzione alle  misure  per

la trasparenza nell'azione amministrativa e nel settore dei  servizi,

lavori e  forniture  e  nel  settore  edile  e  delle  costruzioni  a

committenza  sia  pubblica  sia   privata,   attraverso   l'attivita'

dell'Osservatorio legalita' che  monitora  il  fenomeno  del  crimine

mafioso e organizzato nel territorio regionale, di cui all'art. 7;

        i) predispone una relazione annuale sulla propria  attivita',

propone  interventi  volti  a  favorire  la   conoscibilita',   anche

attraverso la rete internet, dei presidi di trasparenza e  legalita',

adottati   nei   settori   economici   e   amministrativi    ritenuti

particolarmente esposti alle infiltrazioni criminali. In particolare,

la Fondazione antimafia sociale,  svolge  attivita'  di  impulso  per

l'attuazione della normativa regionale attivando strumenti di analisi

e proponendo soluzioni;

        j) collabora alla costruzione di percorsi di ricerca storica,

antropologica,  sociologica,  pedagogica,  economica,   giuridica   e

statistica per l'evoluzione, e le azioni di prevenzione  e  contrasto

adottate   dalla   Repubblica,   le   modalita'   di   azione   delle

organizzazioni criminali. Incoraggia interventi a favore delle scuole

di ogni ordine e grado e delle universita',  per  rendere  i  giovani

consapevoli  dei  danni  che  la  corruzione  e  le  mafie  procurano

all'economia legale;

        k) predispone, d'intesa con l'Agenzia dei beni confiscati, la

banca  dati  dei  beni  confiscati  alla   criminalita'   organizzata

esistenti sul territorio regionale, accessibile a tutti; nella  banca

dati devono essere  individuati,  attraverso  la  georeferenziazione,

tutti i beni ed  videnziate,  oltre  alle  generalita'  del  soggetto

destinatario  della  confisca,  anche  la  natura,  l'estensione,  il

valore,  la  destinazione  d'uso  dei  singoli  beni.  In   caso   di

concessione del  bene  a  terzi,  indipendentemente  dalla  finalita'

perseguita, nella banca dati devono  essere  inseriti  anche  i  dati

identificativi  del  terzo  concessionario,  la   descrizione   della

tipologia dell'attivita' svolta sul bene, gli  estremi  dell'atto  di

concessione, la durata e la data di scadenza;

        l) formula, nelle materie di propria competenza  e  anche  su

propria iniziativa, osservazioni e pareri su progetti di legge.

    3. La Giunta Regionale emana gli atti amministrativi al  fine  di

formalizzare e rendere operativa la istituzione della  Fondazione,  e

disciplina le modalita' organizzative e individua le strutture  della

Regione  chiamate  a   collaborare   all'esercizio   delle   funzioni

attribuite alla Fondazione antimafia sociale.

    4. La Fondazione antimafia sociale, nel rispetto della  normativa

vigente in materia di riservatezza, rende disponibili  i  dati  e  le

informazioni relativi  alla  propria  attivita'  attraverso  la  loro

pubblicazione su un portale dedicato.».

    La disposizione in esame, in termini generali, viola  il  riparto

di competenze legislative tra Stato e regioni in  materia  di  ordine

pubblico e sicurezza in primo luogo laddove promuove la  costituzione

della fondazione «per il contrasto non repressivo  alla  criminalita'

organizzata e per contrastare i tentativi  di  infiltrazione  mafiosa

nel tessuto sociale ed economico».

    Tali attivita' sono da ricomprendere nell'ambito  della  politica

criminale sottratta alla competenza del legislatore regionale.

    Si e' visto nella premessa che esulano dalla competenza regionale

le attivita' e le misure che presentino un impatto, anche potenziale,

sulle attivita' e misure  di  carattere  regolatorio,  organizzativo,

operativo dettate dalla legge statale nel campo della  prevenzione  e

repressione  dei   reati.   Tali   attivita'   e   misure   rientrano

integralmente nella competenza esclusiva statale ex art.  117,  comma

2, lettera h) Cost.

    Non vi e' dubbio che costituire un ente (tra l'altro,  di  natura

incerta, non essendo chiaro, in particolare in base a quanto  dispone

il comma 3 dell' art. 6,  se  la  costituenda  «Fondazione  antimafia

sociale  Stefano  Fumarulo»  sia  un  ente  pubblico  o  una  persona

giuridica privata) preposto alle «iniziative ... per il contrasto non

repressivo  alla  criminalita'  organizzata  e  per   contrastare   i

tentativi di infiltrazione mafiosa nel tessuto sociale ed  economico»

(cosi l'art. 6, comma 1), sia una misura di  carattere  concretamente

organizzativo  e  operativo  nel  campo  della  prevenzione  e  della

repressione della criminalita'.

    Il fatto che le funzioni dell'ente siano enunciate nel comma 1 in

termini cosi  ampi  e  generici  non  evita,  e  anzi  essenzialmente

determina, il vizio di illegittimita' costituzionale qui  denunciato.

Uno  spettro  cosi'  ampio  di  attivita',  potenzialmente  estese  a

qualsiasi forma di prevenzione della criminalita', posto che le  sole

forme di contrasto escluse sono quelle «non repressive»,  implica  la

rivendicazione della competenza regionale ad intervenire attivamente,

appunto, nel campo della prevenzione della criminalita'; il che, come

si e' visto in premessa, certamente esula dalla competenza  regionale

e fa part integrante della materia riservata in esclusiva allo Stato.

    Questa considerazione e' confermata  dalla  specificazione  delle

funzioni  attribuite  all'ente,  che  si  trova  nel  comma  2.  Tali

funzioni,  al  di  la'  dell'apparente  analiticita'  con  cui   sono

descritte, presentano un oggetto particolarmente ampio, per  lo  meno

in potenza.

    E' il caso, in particolare, della previsione del comma 2, lettera

h), che attribuisce all'ente un potere di proposta (non si  specifica

diretta a chi, e quindi potenzialmente anche ad organi dello  Stato),

di «azioni idonee a rafforzare gli interventi  di  prevenzione  e  di

contrasto»   della   criminalita'   organizzata,   con    riferimento

particolare alla trasparenza dell'azione amministrativa e ai  settori

edile e  delle  commesse  pubbliche;  e  precisa  che  cio'  avverra'

attraverso l'Osservatorio legalita' di cui all'art. 7, del  pari  qui

impugnato con il motivo che segue.

    Non  vi  e'  dubbio  che  la  proposta  di   azioni,   cioe'   di

provvedimenti concreti, idonee al rafforzamento della prevenzione del

crimine organizzato invada  in  modo  immediato  il  perimetro  delle

attivita'  operative  di  prevenzione  di  tale  crimine;   attivita'

indiscutibilmente riservate allo Stato.

    La previsione dell'art. 6, comma 2, lettera h), e' quindi viziata

dalla medesima illegittimita' che colpisce l'art. 7, con cui  sta  in

connessione inscindibile. Sicche' essa andra' dichiarata  illegittima

in via conseguenziale.

    Del pari viziata e', poi, la previsione di cui all'art. 6,  comma

2, lettera k), secondo  cui  la  costituenda  fondazione  predispone,

d'intesa  con  l'Agenzia  nazionale  per   l'amministrazione   e   la

destinazione dei beni  sequestrati  e  confiscati  alla  criminalita'

organizzata  (ANBSC),  una  banca  dati  dei  beni  confiscati   alla

criminalita'  organizzata   esistenti   sul   territorio   regionale,

accessibile a tutti.

    Al riguardo va osservato che la violazione dell'art. 117, comma 2

lettera h e' di particolare rilievo in  quanto  e'  pacifico  che  la

prevenzione della criminalita' organizzata compete allo Stato ex art.

117, comma 2, lettera h), ed e' stata  disciplinata,  essenzialmente,

dal codice antimafia (decreto legislativo n. 159/2011).

    La predisposizione di una banca dati  dei  beni  confiscati  alla

criminalita'  organizzata  nel  territorio  pugliese  si   sovrappone

all'analoga struttura operante  presso  l'ANBSC  in  base  a  precise

disposizioni di legge.

    Invero, la normativa di cui al decreto  legislativo  n.  159/2011

(Codice antimafia), con apposita sezione  dedicata  al  funzionamento

dell'ANBSC, e con precise disposizioni che regolamentano  i  rapporti

dell'Agenzia con l'Autorita' giudiziaria, ha imposto l'adozione di un

sistema informativo funzionale al necessario raccordo tra i  soggetti

a vario titolo interessati al processo di gestione e destinazione  di

beni sottoposti a misura ablatoria.

    L'entrata in vigore del decreto del Presidente della Republica n.

233/2011, emanato in attuazione delle disposizioni  di  cui  all'art.

113, comma 1, lettera c) del Codice antimafia,  ha  regolamentato  la

disciplina dei  flussi  informativi  necessari  per  l'esercizio  dei

compiti attribuiti all'Agenzia, da effettuarsi per via  telematica  a

cura dell'Autorita' giudiziaria.

    Per ottemperare alle prescrizioni normative ora  richiamate,  nel

2013 l'ANBSC si e' dotata della banca dati  ReGIO,  connessa  tramite

cooperazione  applicativa,  concertata   con   il   Ministero   della

giustizia, con i sistemi informativi del Ministero  della  giustizia.

La cooperazione applicativa nasce al fine  dell'instaurazione  di  un

passaggio diretto di dati tale da consentire la conoscenza  da  parte

dell'ANBSC dell'insieme  dei  beni  confiscati  nell'ambito  di  ogni

singolo procedimento giudiziario (penale  o  prevenzione)  che  possa

consentire all'ANBSC di svolgere  la  propria  azione  di  competenza

nelle  fasi  che  la  vedono  responsabile  della  gestione  e  della

destinazione dei beni.

    L'ANBSC  ha  ideato  e  rilasciato  la   piattaforma   telematica

«OpenReGIO»  ai  fini  della  riorganizzazione  ed  innovazione   dei

processi  operativi  di  competenza  dell'ANBSC,  anche  mediante  la

creazione di un rapporto diretto e basato sul web con  i  coadiutori,

le prefetture, l'Agenzia del demanio, gli enti territoriali, il mondo

delle associazioni.

    L'accesso  ai  dati,  secondo  i  vari   livelli   di   sicurezza

predisposti  in  relazione  alle   caratteristiche   dell'utente   e'

regolamentato da apposito disciplinare  di  funzionamento  sottoposto

all'attenzione dell'AGID e del Garante per  la  protezione  dei  dati

personali.

    La  piattaforma  e'  stata  implementata  con  dati  analitici  e

documentali. Cio' ha permesso di  re-inventariare  ex  novo  tutti  i

procedimenti giudiziari in carico all'Agenzia ed  i  beni  confiscati

ancora in gestione.

    Inoltre, l'ANBSC intende rafforzare e pubblicare in chiave  «open

data»  (dati  aperti)  tutto  il   proprio   patrimonio   informativo

ostensibile, negli anni accumulato dai diversi attori che  nel  corso

delle diverse vigenze legislative detenevano la responsabilita' della

gestione  e/o  destinazione  dei  beni   confiscati   (amministratori

giudiziari, Demanio, prefetture, Agenzia del demanio, ANBSC).

    Il  principio  dei  dati  aperti   rilasciati   dalle   pubbliche

amministrazioni in forme disaggregate, tali da poter essere correlati

con altri archivi di dati e liberi da ogni vincolo al riutilizzo,  fa

parte del piu' ampio principio  dell'amministrazione  aperta  o  open

government; vale a dire un modello di amministrazione  che  cerca  di

rendere procedimenti e  decisioni  piu'  trasparenti  e  aperti  alla

partecipazione dei cittadini.

    Coerentemente quindi con i principi dell'open  government  ed  in

coerenza anche con le iniziative governative in materia, tra cui,  da

ultimo, l'Agenda digitale ed il piano di crescita  digitale,  l'ANBSC

sta operando  per  creare  tutte  le  precondizioni  necessarie  alla

pubblicazione, in formato open, di tutte le informazioni relative  ai

beni confiscati, alla loro destinazione ed alloro riutilizzo.

    L'iniziativa, che nella  fase  iniziale  ha  riguardato  le  sole

aziende sequestrate e  confiscate  perverra',  alla  sua  conclusione

(programmata per  il  corrente  anno  2019),  alla  pubblicazione  in

formato  open  di  ogni  altra  informazione  riguardante  le   altre

tipologie di beni, quali beni  mobili  registrati,  beni  finanziari,

beni immobili (fabbricati e terreni), beni mobili di pregio.

    L'evidente sovrapposizione della ipotizzata banca dati  regionale

a quanto  le  norme  statali  e  l'azione  amministrativa  dell'ANSBC

prevedono e attuano, rende palese  l'incompetenza  della  Regione  in

materia. Incompetenza che, comunque,  sussisterebbe  anche  senza  la

illustrata sovrapposizione, poiche' la banca dati dei beni confiscati

costituisce uno  strumento  indispensabile  per  l'efficiente  e,  in

particolare, unitario svolgimento  dei  compiti  dell'ANSBC  e  degli

altri soggetti istituzionali (autorita' giudiziaria, prefetture, enti

locali) preposti ad applicare  il  codice  antimafia,  specificamente

nella parte relativa alle  misure  di  prevenzione  patrimoniale.  La

banca  dati  in  questione  non  puo',  quindi,  essere  gestita  che

dall'Agenzia   nazionale   e   avere   estensione   nazionale.   Ogni

frammentazione   territoriale   interferirebbe   con   l'azione    di

prevenzione  dei  fenomeni  mafiosi,  notoriamente  non  limitati   a

determinate aree del paese.

    Sotto altro aspetto, il  comma  2,  lettera  k)  dell'art.  6  e'

illegittimo perche'  il  codice  antimafia  all'art.  112,  comma  4,

lettera m), dispone che ANBSC, previo parere  motivato  del  Comitato

consultivo di indirizzo, possa sottoscrivere convenzioni o protocolli

con  le  pubbliche  amministrazioni,  regioni,  enti  locali,  ordini

professionali, enti ed associazioni per  le  finalita'  indicate  dal

codice stesso. Ma, da un lato, cio' implica che l'iniziativa di  tali

convenzioni debba provenire  dall'ANSBC,  e  che  comunque  l'oggetto

delle convenzioni sia l'azione  di  competenza  dell'Agenzia  stessa;

laddove la disposizione in esame prevede che l'iniziativa dell'intesa

provenga dalla ipotizzata Fondazione regionale  e,  soprattutto,  che

l'oggetto dell'intesa siano le funzioni della  Fondazione  stessa,  e

non dell'Agenzia.

    E' palese come la norma, in questa parte,  venga  a  condizionare

l'organizzazione e  il  funzionamento  dell'Agenzia,  prevedendo  che

questa  operi  a  supporto  di  un  ente  esterno  assumendo  vincoli

convenzionali finalizzati ad agevolare l'azione di quest'ultimo e non

le finalita' istituzionali dell'Agenzia.

    Dall'altro lato, dal contenuto  del  citato  art.  6,  come  gia'

avvertito, non si evince la natura  della  Fondazione  in  esame.  In

particolare, il comma 3 dell'art. 6 non prevede che l'attivita' della

Fondazione sia finanziata dal bilancio regionale, ne' quali  siano  e

come siano  composti  gli  organi  della  Fondazione,  che  non  sono

indicati dalla legge regionale e dovranno essere  individuati,  senza

alcun criterio preventivamente fissato dalla legge, da generici «atti

amministrativi» della Giunta regionale.

    Cio' non consente di qualificare la Fondazione come ente pubblico

regionale, e, anzi, depone per la sua natura di soggetto  di  diritto

privato. Il che ulteriormente interferisce con le funzioni  pubbliche

dell'Agenzia, che sotto il decisivo aspetto  della  individuazione  e

catalogazione dei beni confiscati non possono, evidentemente,  essere

condivise  con  privati.  Cio'  che  e'  confermato  dalla   qualita'

prevalentemente pubblica dei soggetti  con  i  quali,  ai  sensi  del

citato 112, comma 4, lettera m) del codice antimafia, l'Agenzia  puo'

stipulare convenzioni.

    La violazione del riparto di  competenze  in  materia  di  ordine

pubblico e sicurezza e'  infine  di  tutta  evidenza  nella  prevista

menzione nella ipotizzata banca dati delle «generalita' del  soggetto

destinatario della confisca».

    Tale disposizione si sovrappone agli  obblighi  di  pubblicazione

specificamente previsti dall'art. 48, comma 3, lettera c), del Codice

antimafia ai sensi del quale  «gli  enti  territoriali  provvedono  a

formare un apposito elenco dei beni confiscati  ad  essi  trasferiti,

che viene aggiornato con cadenza mensile. L'elenco, reso pubblico nel

sito  internet  istituzionale  dell'ente,  deve  contenere   i   dati

concernenti la consistenza, la  destinazione  e  l'utilizzazione  dei

beni nonche', in caso di assegnazione a terzi, i dati  identificativi

del concessionario e gli estremi, l'oggetto e la durata dell'atto  di

concessione.».

    Oltre alla violazione dell'art. 117, comma 2, lettera  h),  sotto

il profilo della sovrapposizione alle funzioni degli enti locali  ora

ricordate, in questa parte la disposizione confligge anche con l'art.

117, comma 2, lettera l) Cost., nella parte in cui, attribuendo  alla

legislazione statale esclusiva la disciplina dell'ordinamento civile,

attribuisce a tale competenza esclusiva la  disciplina  sulla  tutela

dei dati personali.  La  pubblicazione  accessibile  a  tutti,  nella

ipotizzata banca  dati  regionale,  delle  generalita'  del  soggetto

destinatario  della  confisca,  incide  infatti,  palesemente,  sulla

tutela di dati personali (per giunta,  di  natura  «sensibile»),  dei

quali viene prevista la indiscriminata divulgazione.

    Nella parte in cui prevede,  invece,  la  divulgazione  dei  dati

identificativi  dei  concessionari  dei  beni  confiscati,  la  norma

regionale si sovrappone alla previsione statale appena riportata, che

assegna tale competenza ai comuni.

4.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  7  della  legge  della

Regione Puglia n. 1412019 per  violazione  dell'art.  117,  comma  2,

lettera h della Costituzione.

    L'art. 7 dispone l'istituzione, in seno alla  Fondazione  di  cui

all'art. 6 ora esaminato, dell'Osservatorio legalita'.

    Secondo l'art. 7,

    1. La Fondazione di cui all'art. 6  istituisce,  quale  struttura

interna, l'Osservatorio legalita'.

    2. L 'Osservatorio e' composto da sette componenti:

        a) cinque componenti, di  cui  due  in  rappresentanza  delle

minoranze consiliari, nominati dal Consiglio regionale;

        b)  un  componente  designato  dal   direttore   dell'Ufficio

scolastico   regionale,   in   rappresentanza    delle    istituzioni

scolastiche;

        c)   un   componente   designato   dall'assessore   regionale

competente,  in  rappresentanza  del  mondo  delle  associazioni  che

svolgono attivita' di educazione  alla  legalita'  e  contrasto  alla

criminalita'.

    3. I  componenti  dell'Osservatorio  devono  essere  soggetti  di

riconosciuta esperienza nel  campo  del  contrasto  dei  fenomeni  di

stampo  mafioso  e  della  criminalita'  organizzata  sul  territorio

pugliese nonche' della promozione della legalita' e della trasparenza

e assicurare indipendenza di giudizio e azione rispetto alla pubblica

amministrazione e alle  organizzazioni  politiche.  Non  possono  far

parte dell'Osservatorio e, se gia' nominati decadono, coloro i  quali

siano stati condannati, anche con  sentenza  non  definitiva,  per  i

reati previsti nei titoli II e  III  del  libro  secondo  del  codice

penale.

    4. L'Osservatorio e' organismo consultivo in materia di contrasto

e di prevenzione dei fenomeni di criminalita' organizzata e di stampo

mafioso, nonche' di  promozione  della  cultura  della  legalita',  a

supporto  della  Giunta  regionale,  della   commissione   consiliare

competente, nonche' degli altri organismi consiliari.

    5. L'Osservatorio redige  una  relazione  annuale  sull'attivita'

svolta da inviare al Presidente della Regione  e  al  Presidente  del

Consiglio    regionale.     L'Osservatorio     inoltre     predispone

documentazione, aperta alla fruizione  dei  cittadini,  sui  fenomeni

connessi al crimine organizzato e mafioso, con specifico riguardo  al

territorio regionale, al fine di  favorire  iniziative  di  carattere

culturale, per la raccolta  di  materiali  e  per  la  diffusione  di

conoscenze  in  materia  mediante  apposita  pubblicazione  sui  siti

internet della Regione e del Consiglio regionale.

    6. L'incarico di componente dell'Osservatorio e' svolto a  titolo

gratuito».

    La disposizione viola l'art. 117, comma 2, lettera g)  e  lettera

h) Cost.

    Nel prevedere l'instaurazione  in  seno  alla  Fondazione  di  un

osservatorio di  legalita',  definito  genericamente  come  organismo

consultivo in materia di contrasto e di prevenzione dei  fenomeni  di

criminalita' organizzata e  di  stampo  mafioso  la  norma  regionale

genera sovrapposizioni  e  interferenze  con  gli  organismi  statali

deputati ad intervenire sulle materie di ordine e sicurezza pubblica.

    Al riguardo codesta Corte costituzionale ha sancito il  principio

secondo cui «le  forme  di  collaborazione  e  di  coordinamento  che

coinvolgono compiti e attribuzioni di organi dello Stato non  possono

essere  disciplinate  unilateralmente   e   autoritativamente   dalle

Regioni; nemmeno l'esercizio della loro  potesta'  legislativa:  esse

debbono trovare il loro fondamento e il  loro  presupposto  in  leggi

statali che le prevedono o le consentano, in  accordi  tra  gli  enti

interessati» (sent. n. 134/2004).

    Sotto  questo  profilo,   nella   parte   in   cui   prevede   la

partecipazione  all'Osservatorio  di  un  componente  designato   dal

direttore dell'Ufficio scolastico regionale (comma 2, lettera b)), la

disposizione in esame viola, quindi, l'art. 117, comma 2, lettera  g)

Cost., che riserva alla competenza statale esclusiva l'organizzazione

degli organi dello Stato. Infatti, con  tale  disposizione  la  legge

regionale unilateralmente impone un obbligo di partecipazione  ad  un

organismo regionale ad un organo statale quale  l'Ufficio  scolastico

regionale.

    Ma piu' in generale, nella parte in cui configura  l'Osservatorio

come uno strumento preposto a supportare la  Giunta  e  il  Consiglio

regionali nell'attivita' di «contrasto e di prevenzione dei  fenomeni

di criminalita' organizzata  e  di  stampo  mafioso»  (comma  4),  la

disposizione invade la competenza statale  esclusiva  in  materia  di

ordine e sicurezza pubblica (art. 117, comma 2, lettera h)).

    La previsione di strutture attivamente  operanti  nel  campo  del

contrasto e prevenzione suddetti interferisce infatti in modo diretto

con la competenza statale esclusiva a  disciplinare  tali  attivita'.

Ne'  potrebbe   obiettarsi   che   il   comma   4   limita   l'azione

dell'Osservatorio a funzioni consultive della Giunta e del  Consiglio

regionali. La consulenza alla Giunta  e  al  Consiglio  in  relazione

all'azione di prevenzione e contrasto della criminalita'  organizzata

presuppone, infatti,  la  rivendicazione  da  parte  del  legislatore

regionale della competenza  degli  organi  regionali  ad  intervenire

direttamente in tale campo (l'azione di contrasto e di  prevenzione),

che invece esula dalle competenze della Regione.

    La genericita'  del  riferimento  ad  ogni  possibile  azione  di

contrasto e di  prevenzione  dimostra  il  carattere  invasivo  della

previsione  qui  impugnata,  che   potrebbe   essere   ricondotta   a

legittimita' costituzionale solo se specificasse  in  modo  chiaro  e

tassativo (il che non fa) gli ambiti in cui la Giunta e il Consiglio,

e i loro eventuali organi di consulenza, possono intervenire riguardo

ai fenomeni di criminalita' organizzata; e lo facesse precisando  che

si tratta di ambiti che escludono del tutto qualsiasi azione  diretta

di contrasto e di prevenzione.

5. Illegittimita' costituzionale dell'art. 9,  comma  1  e  comma  2,

lettera d) ed e) della legge della  Regione  Puglia  n.  14/2019  per

violazione dell'art. 117, comma 2, lettera h della Costituzione.

    L'art. 9 della legge regionale n. 14/2019 dispone «Interventi per

la promozione di politiche locali per la legalita' e il contrasto  al

crimine organizzato e mafioso».

    Esso prevede:

    «1. La Regione Puglia valorizza il ruolo degli  enti  locali  nel

perseguimento  degli  obiettivi  della  presente   legge   e   adotta

specifiche  iniziative  per  valorizzare  e  diffondere  le  migliori

politiche locali per la trasparenza, la legalita' e il  contrasto  al

crimine organizzato e mafioso.

    2. La Regione istituisce, con  apposito  regolamento  da  emanare

entro il termine di novanta giorni dalla data di  entrata  in  vigore

della presente legge, un rating di buone prassi degli enti locali  in

materia di antimafia sociale, finalizzato a riconoscere e valorizzare

le migliori iniziative attuate dagli enti locali per il perseguimento

degli obiettivi della presente legge, con particolare riferimento a:

        a)  pubblicazione  dell'anagrafe  degli  eletti  e  di  altre

informazioni tese a garantire la piena trasparenza patrimoniale degli

amministratori;

        b) attuazione, a livello locale, del rating di legalita'  per

le imprese,  previsto  dal  decreto-legge  24  gennaio  2012,  n.  1,

convertito, con modificazioni, dalla  legge  24  marzo  2012,  n.  27

(Disposizioni  urgenti  per  la  concorrenza,   lo   sviluppo   delle

infrastrutture e la competitivita');

        c) la migliore attuazione  delle  disposizioni  di  legge  in

materia di trasparenza e anticorruzione;

        d) promozione della conoscenza e del riuso sociale  dei  beni

confiscati alla criminalita' organizzata;

        e) attuazione di iniziative di contrasto al gioco d'azzardo e

alla proliferazione delle sale  da  gioco  in  aree  sensibili  delle

citta'.

    3. La Regione Puglia promuove specifiche azioni formative rivolte

ad amministratori, dirigenti e funzionari degli enti locali sui  temi

della prevenzione e del contrasto  civile  alle  infiltrazioni  della

criminalita' organizzata  e  mafiosa,  del  riuso  sociale  dei  beni

confiscati, della diffusione della cultura della  legalita'  e  della

responsabilita'. In particolare, la Regione  Puglia  promuove  azioni

formative rivolte agli agenti di  polizia  locale  per  diffondere  e

implementare competenze  specialistiche  di  lettura  e  monitoraggio

delle dinamiche presenti sul territorio, al  fine  di  accrescere  la

capacita' di prevenzione e contrasto dei fenomeni criminali, volte  a

diffondere la cultura dell'etica pubblica e a prevenire la corruzione

e gli altri reati  contro  la  pubblica  amministrazione  nell'ambito

della programmazione dell'offerta formativa rivolta al personale.

    La disposizione quanto al comma 1  viola  l'art.  117,  comma  2,

lettera h) Cost., ancora una  volta  perche'  prevede  l'interferenza

diretta  della  Regione  nelle  «politiche  locali»  finalizzate   al

«contrasto al crimine organizzato e mafioso». La  previsione  che  la

Regione adotti «specifiche iniziative»  volte  ad  attuare  politiche

locali di contrasto al crimine organizzato e mafioso implica infatti,

per  il  suo  carattere  aperto  e  indeterminato,  per  lo  meno  la

possibilita'  (si  e'  visto  in  premessa  che  e'  sufficiente  una

interferenza anche meramente potenziale con  le  competenze  statali)

che  la   Regione   adotti   misure   di   carattere   immediatamente

organizzativo o operativo tese ad attuare il suddetto  contrasto.  Il

che, con ogni evidenza, impinge nella competenza statale esclusiva in

materia, e crea il pericolo, nella delicata materia, di  interferenze

e contrasti tra Stato e Regione.

    Ancora una volta va rilevato che la genericita'  del  riferimento

ad ogni possibile iniziativa di politica locale  di  contrasto  e  di

prevenzione dimostra  il  carattere  invasivo  della  previsione  qui

impugnata,   che   potrebbe   essere   ricondotta   a    legittimita'

costituzionale solo se specificasse in modo chiaro  e  tassativo  (il

che non fa) gli ambiti in cui tali iniziative  sono  previste;  e  lo

facesse precisando che si tratta di ambiti che  escludono  del  tutto

qualsiasi azione diretta di contrasto e di prevenzione.

    Quanto al comma 2, lettera e),  l'art.  9  invade  la  competenza

statale in materia di ordine e sicurezza pubblica nella parte in  cui

prevede azioni della Regione nel campo del «riuso  sociale  dei  beni

confiscati alla criminalita' organizzata».

    Invero, il codice antimafia  contiene  una  disciplina  esaustiva

dell'impiego e destinazione dei  beni  confiscati  alla  criminalita'

organizzata. Tale fase, successiva all'adozione ed  esecuzione  della

misura  di  prevenzione,  non  e'  meno  essenziale  di   tali   fasi

preliminari. La fase dell'impiego e destinazione dei beni  confiscati

assicura, infatti, la definitiva fuoriuscita dei beni confiscati  dal

circuito   dell'economia   illecita,   e   il   loro    reinserimento

nell'economia  lecita  (si  pensi  alle  aziende  confiscate)  o   in

attivita' e progetti socialmente utili (si pensi all'impiego  sociale

o culturale degli immobili confiscati). In tal modo,  la  fase  della

destinazione finale dei beni confiscati concorre in  modo  essenziale

al conseguimento dell'obiettivo proprio delle misure  di  prevenzione

patrimoniale, che e' appunto la riconduzione dei  profitti  criminali

all'economia lecita o all'utilita' sociale.

    Anche la disciplina  di  tale  fase  costituisce,  quindi,  parte

integrante  della  competenza  statale  esclusiva   in   materia   di

prevenzione  e  repressione  del  crimine  organizzato,   nella   sua

particolare  attuazione   attraverso   le   misure   di   prevenzione

patrimoniale.

    Ed infatti il codice antimafia, all'art. 47 comma 1,  attribuisce

in esclusiva all'ANBSC ogni decisione  sulla  destinazione  dei  beni

immobili e dei beni aziendali confiscati. E  all'art.  48,  comma  3,

specifica in  modo  analitico  le  destinazioni  che  l'Agenzia  puo'

assegnare a tali beni. In particolare, la lettera c)  prevede  che  i

beni  in  questione  possano  essere  «c)  trasferiti  per  finalita'

istituzionali o sociali ovvero economiche, con vincolo  di  reimpiego

dei proventi per finalita' sociali, in via prioritaria, al patrimonio

indisponibile del comune ove l'immobile e' sito, ovvero al patrimonio

indisponibile della provincia, della  citta'  metropolitana  o  della

regione. Gli enti  territoriali  provvedono  a  formare  un  apposito

elenco  dei  beni  confiscati   ad   essi   trasferiti,   che   viene

periodicamente aggiornato con cadenza  mensile.».  E  che  «Gli  enti

territoriali, anche consorziandosi o attraverso associazioni, possono

amministrare  direttamente  il  bene  o,  sulla  base   di   apposita

convenzione, assegnarlo in  concessione,  a  titolo  gratuito  e  nel

rispetto dei principi di trasparenza, adeguata pubblicita' e  parita'

di  trattamento,  a  comunita',  anche   giovanili,   ad   enti,   ad

associazioni  maggiormente  rappresentative  degli  enti  locali,  ad

organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto  1991,  n.

266, a cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381,

o  a  comunita'  terapeutiche  e  centri  di  recupero  e   cura   di

tossicodipendenti di cui al testo unico delle  leggi  in  materia  di

disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,

cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui

al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre  1990,  n.  309,

nonche' alle associazioni di protezione  ambientale  riconosciute  ai

sensi dell'art. 13 della legge 8 luglio 1986, n.  349,  e  successive

modificazioni, ad altre tipologie di cooperative purche' a mutualita'

prevalente, fermo restando il requisito della mancanza dello scopo di

lucro, e agli  operatori  dell'agricoltura  sociale  riconosciuti  ai

sensi delle disposizioni vigenti nonche' agli enti parco nazionali  e

regionali. La convenzione disciplina la durata, l'uso  del  bene,  le

modalita'  di  controllo  sulla  sua  utilizzazione,  le   cause   di

risoluzione del rapporto e le  modalita'  del  rinnovo.  I  beni  non

assegnati a seguito di procedure di evidenza pubblica possono  essere

utilizzati dagli  enti  territoriali  per  finalita'  di  lucro  e  i

relativi  proventi  devono  essere  reimpiegati  esclusivamente   per

finalita' sociali. Se entro  due  anni  l'ente  territoriale  non  ha

provveduto all'assegnazione o all'utilizzazione del  bene,  l'Agenzia

dispone  la  revoca  del  trasferimento  ovvero  la  nomina   di   un

commissario con poteri sostitutivi.».

    La lettera d) del comma 3 dell'art. 48 prevede, poi, che  i  beni

confiscati  possano  essere  «d)   trasferiti   prioritariamente   al

patrimonio  indisponibile  dell'ente  locale  o  della  regione   ove

l'immobile e' sito, se confiscati per il reato di cui all'art. 74 del

citato  testo  unico  approvato  con  decreto  del  Presidente  della

Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, qualora richiesti per le finalita'

di cui  all'art.  129  dello  stesso  decreto  del  Presidente  della

Repubblica. Se entro due anni l'ente territoriale destinatario non ha

provveduto alla destinazione del bene, l'Agenzia  dispone  la  revoca

del trasferimento ovvero la  nomina  di  un  commissario  con  poteri

sostitutivi».

    Come  si  vede,  la  legge  statale,  anche  con   finalita'   di

coordinamento  ex  art.  118,  comma  3  Cost.,  disciplina  in  modo

particolarmente analitico tutte le  forme  di  destinazione  o  riuso

sociale  dei  beni  confiscati,  e  incentra  tale   disciplina,   in

particolare, sul ruolo degli enti territoriali.

    A fronte di cio', e' evidente come manchi qualsiasi spazio per un

intervento legislativo e amministrativo regionale che  tenda,  a  sua

volta, come intende fare il comma 2, lettera  d),  qui  in  esame,  a

disciplinare il riuso sociale dei beni in questione  da  parte  degli

enti locali.

    Quanto alla lettera e)  del  comma  2  dell'art.  9  della  legge

regionale impugnata, nella  parte  in  cui  prevede  che  la  Regione

determini le buone prassi in materia di iniziative degli enti  locali

nel contrasto al gioco d'azzardo e alla proliferazione delle sale  da

gioco, invade a sua  volta  un  campo  interamente  e  analiticamente

disciplinato  dalla  legge  statale,  sempre  in   attuazione   della

competenza esclusiva ex art. 117, comma  2,  lettera  h),  attesa  la

stretta  correlazione  intercorrente  tra  la  disciplina  del  gioco

d'azzardo  e  la  prevenzione  e   repressione   della   criminalita'

organizzata.

    Invero, le disposizioni del testo unico del 1931  in  materia  di

pubblica sicurezza sono state piu' volte aggiornate nel  corso  degli

anni: ad esempio la legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria  per  il

2006, art. 1, commi 525 ss), al fine di  contrastare  i  fenomeni  di

illegalita' connessi  alla  distribuzione  on  line  dei  giochi  con

vincite in denaro, attribuisce in  particolare  all'Azienda  autonoma

Monopoli di Stato la puntuale regolamentazione del settore  (vedi  ad

esempio il decreto 27 luglio 2011) e l'inibizione dei siti web  privi

delle autorizzazioni previste, o che svolgono attivita' in  contrasto

con  la  disciplina  vigente.  Il  decreto-legge  n.  98   del   2011

(convertito nella legge n. 111 del 2011), nel ribadire il divieto  di

partecipazione ai giochi pubblici con vincita in denaro ai minori  di

18 anni, inasprisce le  sanzioni,  di  natura  pecuniaria  ovvero  di

sospensione dell'esercizio o di revoca in caso di commissione di  tre

violazioni nell'arco di  tre  anni  (I  controlli,  stando  a  quanto

riferito dal Governo in sede  di  interrogazione  parlamentare,  sono

stati circa 38.000 nel 2013 e  oltre  20.000  nel  2014).  Lo  stesso

provvedimento  detta  anche  norme  piu'  severe  sui  requisiti  dei

concessionari di  giochi  pubblici  e  disposizioni  per  contrastare

l'evasione, l'elusione fiscale e il riciclaggio (commi 20 ss.).

    La legge n. 88 del 2009, art. 24, commi 12 ss (legge  comunitaria

per il 2008), oltre a nuovi requisiti dei soggetti che richiedono  la

concessione ed un inasprimento delle sanzioni, prevede l'adozione  di

strumenti ed accorgimenti per l'esclusione dall'accesso al  gioco  on

line da parte di minori, nonche' l'esposizione del  relativo  divieto

in modo  visibile  negli  ambienti  virtuali  di  gioco  gestiti  dal

concessionario (comma 17, lettera e). Con il c.d. «conto di gioco» di

cui al comma 19 (per  la  cui  apertura  occorre  fornire  il  codice

fiscale) si crea una sorta di  autolimitazione  obbligatoria  per  il

giocatore, che stabilisce i propri  limiti  di  spesa  settimanale  o

mensile, con conseguente inibizione dell'accesso al sistema  in  caso

di raggiungimento  della  soglia  predefinita.  Per  i  giocatori  e'

prevista  anche  la  facolta'  di  auto-esclusione   dal   sito   del

concessionario, con conseguente  impedimento  ad  un  nuovo  accesso.

L'anagrafe  dei  conti  di  gioco  consente  anche  il   monitoraggio

dell'attivita' di ciascun giocatore. Con la legge  n.  220  del  2010

(art. 1, commi 78 ss) viene rivisto lo schema di convenzione tipo per

le concessioni per l'esercizio e la  raccolta  dei  giochi  pubblici,

anche al fine di contrastare la diffusione  del  gioco  irregolare  o

illegale in Italia e le infiltrazioni della criminalita'  organizzata

nel settore,  di  tutelare  la  sicurezza,  l'ordine  pubblico  ed  i

consumatori,  specie  minori  d'eta'  (sulla  legittimita'  di   tali

restrizioni all'attivita' di organizzazione  e  gestione  dei  giochi

pubblici affidati in  concessione,  si  veda  anche  la  sentenza  di

codesta Corte costituzionale n. 56 del 2015).

    Un intervento piu' organico in materia e' stato effettuato con il

decreto-legge n. 158 del 2012 (il c.d.  decreto  Balduzzi  convertito

nella legge n. 189 del 2012) che affronta diverse tematiche.

    Con riguardo ai profili sanitari, si prevede l'aggiornamento  dei

livelli  essenziali  di  assistenza  (LEA)   con   riferimento   alle

prestazioni  di  prevenzione,  cura  e  riabilitazione  rivolte  alle

persone affette da ludopatia (art. 5, comma 2). In attuazione di tale

disposizione, e' stato approvato il Piano d'azione nazionale.

    Per contenere i messaggi pubblicitari, si vieta l'inserimento  di

messaggi  pubblicitari  di  giochi  con  vincite  in   denaro   nelle

trasmissioni   televisive   e   radiofoniche   nonche'   durante   le

rappresentazioni teatrali o cinematografiche non vietate  ai  minori.

Sono anche proibiti i messaggi pubblicitari di giochi con vincite  in

denaro su  giornali,  riviste,  pubblicazioni,  durante  trasmissioni

televisive  e  radiofoniche,  rappresentazioni   cinematografiche   e

teatrali, nonche' via internet,  che  incitano  al  gioco  ovvero  ne

esaltano la sua pratica, ovvero che hanno al loro interno dei minori,

o che non avvertono del  rischio  di  dipendenza  dalla  pratica  del

gioco. La pubblicita' deve riportare in modo chiaramente visibile  la

percentuale di probabilita' di vincita che il soggetto ha nel singolo

gioco.  Per  i  trasgressori  (sia  il  committente   del   messaggio

pubblicitario  sia  il  proprietario  del  mezzo   di   comunicazione

interessato) vi e' una sanzione amministrativa da 100.000  a  500.000

euro (art. 7, commi 4 e 4-bis).

    Avvertimenti sul rischio di dipendenza dalla  pratica  di  giochi

con vincite in denaro e sulle relative probabilita' di vincita devono

essere riportati su schedine e tagliandi dei giochi; su apparecchi di

gioco (c.d. AWP - Amusement with prizes), cioe' quegli apparecchi che

si attivano con l'introduzione di monete o con strumenti di pagamento

elettronico; nelle sale con videoterminali (c.d. VLT . Video  lottery

terminal); nei punti di vendita di scommesse  su  eventi  sportivi  e

non; nei siti internet destinati all'offerta di giochi con vincite in

denaro. In caso di inosservanza di tali disposizioni e'  prevista  la

sanzione amministrativa di 50.000 euro (art. 7, commi 5 e 6).

    Il Ministero dell'istruzione segnala l'importanza del  gioco  del

responsabile   agli   istituti   primari   e   secondari   ai    fini

dell'organizzazione di campagne informative  ed  educative  sul  tema

(art. 7, comma 5-bis).

    Viene ribadito il divieto di ingresso ai minori di anni 18  nelle

aree destinate al gioco con  vincite  in  denaro  interne  alle  sale

Bingo, nelle aree ovvero nelle sale in cui sono installati apparecchi

VLT e nei  punti  vendita  in  cui  si  esercita  -  quale  attivita'

principale - quella  di  scommesse.  Il  titolare  dell'esercizio  e'

tenuto ad  identificare  i  minori  di  eta'  mediante  richiesta  di

esibizione di un documento di identita', tranne nei casi  in  cui  la

maggiore eta' sia manifesta (art. 7, comma 8) (come gia'  detto,  per

la violazione del divieto di partecipazione  a  giochi  d'azzardo  da

parte dei minori il decreto-legge n. 98  del  2011,  art.  24,  commi

20-22, ha previsto l'applicazione  di  sanzioni  pecuniarie  e  della

chiusura dell'esercizio commerciale da 10 a 30 giorni).

    E' prevista l'intensificazione dei controlli sul  rispetto  della

normativa (art. 7, comma 9) ed una «progressiva  ricollocazione»  dei

punti della rete fisica di raccolta dei punti gioco per  tener  conto

della presenza  nel  territorio  di  scuole,  strutture  sanitarie  e

ospedaliere, luoghi di  culto,  centri  socio-ricreativi  e  sportivi

(art. 7, comma 10), regolamenti in materia, dando luogo anche  ad  un

forte contenzioso.

    In  base  al  decreto  Balduzzi  e'  stato  istituito  infine  un

osservatorio per valutare le misure piu' efficaci per contrastare  la

diffusione del gioco d'azzardo e il fenomeno della dipendenza  grave.

Tale Osservatorio,  inizialmente  istituito  presso  l'Agenzia  delle

dogane  e  dei  monopoli  e'  stato  successivamente  trasferito   al

Ministero della salute ai sensi della legge n. 190  del  2014  (legge

finanziaria per il 2015), che ne modifica anche la composizione,  per

assicurare la presenza di esperti e di rappresentanti delle  regioni,

degli enti locali e delle associazioni operanti in materia.

    La legge di stabilita' per il 2016 (legge n. 208 del 2015) ha poi

introdotto norme per sanzionare l'impiego dei c.d. totem  (apparecchi

che permettono di collegarsi con piattaforme per il gioco on line) ed

avviare un processo di contenimento del numero  delle  slot  machine.

Sono  state  poi  approvate  anche  disposizioni   limitative   della

pubblicita', con riferimento sia agli orari in  cui  sono  vietati  i

messaggi pubblicitari nelle  tv  generaliste  (in  pratica  i  canali

presenti dai numeri 1 a 9 del telecomando: vedi a  tale  riguardo  il

decreto  ministeriale  pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  dell'8

agosto 2016) sia ai contenuti dei messaggi stessi.  E'  stato  infine

attribuito  alla  Conferenza  unificata  Stato  autonomie  locali  il

compito di dettare Linee guida sulle  caratteristiche  dei  punti  di

vendita ove si svolge il gioco  pubblico  e  la  loro  ricollocazione

territoriale; tale Intesa e' stata raggiunta  nella  riunione  del  7

settembre 2017.

    E' quindi evidente come la materia del gioco d'azzardo, dal punto

di vista della sua connessione con l'ordine e la sicurezza  pubblica,

sia interamente disciplinata a livello statale, e come  le  forme  di

coordinamento gli  enti  territoriali  si  debbano  concordare  nella

Conferenza unificata Stato-autonomie locali.

    Cio' esclude ogni spazio per una legislazione regionale che, come

quella qui in esame, intenda unilateralmente  prescrivere  agli  enti

locali  prassi  amministrative  nel  campo  del  contrasto  al  gioco

d'azzardo e alla proliferazione delle sale da gioco.

    Va sottolineato, in proposito, che codesta  Corte  costituzionale

ha sempre ammesso interventi legislativi (concorrenti) delle  Regioni

in materia di gioco d'azzardo soltanto sulla  base  della  competenza

legislativa regionale in materia sanitaria; e quindi nel circoscritto

ambito   della   prevenzione   e   cura   delle   ludopatie,   intese

esclusivamente come fenomeni  patologici.  Si  veda,  da  ultimo,  in

questo senso la sentenza di codesta Corte n. 108/2017, relativa  alla

legge regionale pugliese n. 43/2013.

    In particolare, secondo questa sentenza, gli  interventi  attuati

dalla Regione con quella  legge  non  comportavano  alcuna  invasione

della competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordine pubblico

e sicurezza». Essi, infatti, non avevano la finalita' di «contrastare

il gioco illegale, ne' per disciplinare direttamente le modalita'  di

installazione e di  utilizzo  degli  apparecchi  da  gioco  leciti  e

nemmeno per individuare i giochi leciti», ma trovavano invece il loro

fondamento nella materia della «tutela della salute», nella quale  le

regioni possono legiferare nel rispetto dei  principi  dettati  dalla

legislazione statale «per evitare la prossimita' delle sale  e  degli

apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove  si  radunano  soggetti

ritenuti psicologicamente piu' esposti  all'illusione  di  conseguire

vincite e facili guadagni e, quindi, al  rischio  di  cadere  vittime

della «dipendenza da gioco d'azzardo»: fenomeno da tempo riconosciuto

come vero e proprio disturbo  del  comportamento,  assimilabile,  per

certi versi, alla tossicodipendenza e all'alcoolismo».

    E'   quindi   evidente   l'illegittimita'    costituzionale    di

disposizioni, come quella qui in  esame,  che  intendano  intervenire

nella materia con finalita' di ordine e sicurezza pubblica, e non con

finalita' strettamente sanitaria.

6. Illegittimita' costituzionale dell'art. 10,  commi  1  e  2  della

legge della Regione Puglia n. 14/2019 per violazione  dell'art.  117,

comma 2, lettera h) della Costituzione.

    Infine, per le ragioni gia' analiticamente esposte nel motivo che

precede a proposito dell'art. 9, comma  2,  lettera  d)  della  legge

regionale impugnata, viola l'art. 117,  comma  2,  lettera  h)  Cost.

anche l'art. 10 della legge stessa, in particolare nei commi 1 e 2.

    L'art. 10 della legge regionale n.  14/2019  dispone  «Interventi

per la valorizzazione di beni  immobili  e  aziende  confiscati  alla

criminalita' organizzata e mafiosa», e nei commi 1 e 2 prevede:

    «1. La Regione Puglia promuove interventi per la valorizzazione e

il  riuso  dei  beni  immobili  e  delle  aziende   confiscate   alla

criminalita' organizzata e mafiosa allo scopo di trasformare i  mezzi

e i proventi dell'economia  criminale  in  risorse  per  la  coesione

sociale della comunita', per la creazione di  occupazione  e  per  lo

sviluppo sostenibile del territorio, attraverso:

        a)  attivita'  di  assistenza  tecnica   agli   enti   locali

assegnatari di tali beni e sostegno a progetti per il recupero  e  il

riuso sociale dei beni e delle aziende confiscate;

        b)  iniziative  per  la  raccolta,  la  catalogazione  e   la

diffusione   delle   informazioni   relative   ai   beni   confiscati

immediatamente disponibili per progetti di riuso sociale;

        c) azioni di sensibilizzazione degli enti locali territoriali

per incentivare il riuso sociale dei  beni  confiscati  iscritti  nel

loro patrimonio anche attraverso la concessione a organizzazioni  del

terzo  settore  con  bando  di  evidenza  pubblica;   promozione   di

interventi formativi sul tema del riuso sociale dei beni  confiscati,

destinati  ad  amministratori  e  dipendenti  pubblici,  operatori  e

aspiranti imprenditori sociali;

        d) promozione di eventi e iniziative per il  coordinamento  e

la messa in rete di enti  locali,  associazioni,  imprese  sociali  e

altri attori protagonisti di esperienze  di  riuso  sociale  di  beni

confiscati;

        e)   sostegno   a    progetti    per    il    recupero,    la

rifunzionalizzazione e il riuso sociale dei beni confiscati capaci di

generare occasioni di crescita economica e sociale in una prospettiva

di  auto  sostenibilita'  nel  tempo,  anche  attraverso   specifiche

premialita' nei bandi e nelle iniziative regionali a  supporto  delle

organizzazioni del terzo settore;

        f) erogazione di contributi per la rimozione di ostacoli  che

impediscano il riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati;

        g) azioni di coinvolgimento  della  comunita'  locale,  delle

organizzazioni di categoria e degli attori sociali pubblici e privati

in azioni di accompagnamento e tutoraggio dei progetti di riuso.

    2. La Regione puo' riconoscere una premialita' a quei progetti le

cui attivita' prevedono il riutilizzo sociale dei beni immobili e  il

miglior riutilizzo delle aziende confiscate, in particolare di quelle

agricole, confiscati alla criminalita' organizzata e mafiosa. A  tale

scopo, nel rispetto della normativa vigente, la Regione  promuove  la

stipula di intese e accordi di collaborazione con  gli  organi  dello

Stato, altri enti pubblici e privati, nonche' associazioni e soggetti

che  gestiscono  i  beni  confiscati,  allo  scopo  di  coordinare  e

promuovere il migliore utilizzo di beni  e  aziende  confiscate  alla

criminalita'.

    E' palese la totale  sovrapposizione  di  queste  previsioni  con

quelle recate dall'art. 48 del codice antimafia illustrato nel motivo

che precede.

    Si richiamano, quindi, come parte integrante del presente motivo,

quelle previsioni e il relativo commento.

    In  definitiva,  la  legge  statale,  anche  con   finalita'   di

coordinamento  ex  art.  118,  comma  3  Cost.,  disciplina  in  modo

particolarmente analitico tutte le  forme  di  destinazione  o  riuso

sociale  dei  beni  confiscati,  e  incentra  tale   disciplina,   in

particolare, sul ruolo degli enti territoriali.

    A fronte di cio', e' evidente come manchi qualsiasi spazio per un

intervento legislativo e amministrativo regionale che  tenda,  a  sua

volta, come intende fare l'art. 10, commi 1  e  2  qui  in  esame,  a

disciplinare il riuso sociale dei beni in questione  da  parte  degli

enti locali.

    Il comma 1 si sofferma, in particolare,  sull'assistenza  tecnica

agli enti locali e sulla sensibilizzazione di questi in relazione  al

riuso dei beni confiscati (lettere a), b), c)); e sul sostegno, anche

finanziario, ai progetti di riuso adottati dai  vari  attori  sociali

pubblici e privati coinvolti (lettere d), e), f)  g)).  Il  comma  2,

invece, prevede che la Regione  promuova  intese  e  convenzioni  con

organi pubblici, anche statali,  e  con  altri  soggetti  pubblici  e

privati, per «promuovere il  migliore  utilizzo  di  beni  e  aziende

confiscate alla criminalita'».

    Queste  previsioni  chiaramente  interferiscono,  duplicandole  o

condizionandone l'attuazione, con quelle del gia' riportato art.  48,

comma 3, lettera c) e d) del codice antimafia. In particolare, ci  si

riferisce alla parte del comma 3, lettera c) in cui la legge  statale

prevede che «Gli enti territoriali, anche consorziandosi o attraverso

associazioni, possono amministrare direttamente il bene o, sulla base

di apposita convenzione, assegnarlo in concessione, a titolo gratuito

e nel rispetto dei principi di trasparenza,  adeguata  pubblicita'  e

parita' di trattamento, a comunita', anche  giovanili,  ad  enti,  ad

associazioni  maggiormente  rappresentative  degli  enti  locali,  ad

organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto  1991,  n.

266, a cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381,

o  a  comunita'  terapeutiche  e  centri  di  recupero  e   cura   di

tossicodipendenti di cui al testo unico delle  leggi  in  materia  di

disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,

cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui

al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre  1990,  n.  309,

nonche' alle associazioni di protezione  ambientale  riconosciute  ai

sensi dell'art. 13 della legge 8 luglio 1986, n.  349,  e  successive

modificazioni, ad altre tipologie di cooperative purche' a mutualita'

prevalente, fermo restando il requisito della mancanza dello scopo di

lucro, e agli  operatori  dell'agricoltura  sociale  riconosciuti  ai

sensi delle disposizioni vigenti nonche' agli enti parco nazionali  e

regionali. La convenzione disciplina la durata, l'uso  del  bene,  le

modalita'  di  controllo  sulla  sua  utilizzazione,  le   cause   di

risoluzione del rapporto e le  modalita'  del  rinnovo.  I  beni  non

assegnati a seguito di procedure di evidenza pubblica possono  essere

utilizzati dagli  enti  territoriali  per  finalita'  di  lucro  e  i

relativi  proventi  devono  essere  reimpiegati  esclusivamente   per

finalita' sociali.».

    L'ampiezza  degli  interventi  di  sostegno,  e  con   cio',   di

orientamento, dei progetti di riuso dei beni confiscati,  nonche'  di

promozione della stipula di convenzioni per il riuso, che l'art.  10,

commi 1 e  2  della  legge  regionale  prefigura,  chiaramente  rende

possibile,  se  non  certo,  che  gli  interventi  regionali  possano

interferire, o sostituirsi integralmente, agli interventi previsti in

modo  analitico  dalla  legge  statale.  E,  in  questo  modo,  rende

possibile  che  tali  interventi   regionali   si   traducano   nella

vanificazione pratica della competenza statale in materia; laddove e'

essenziale, per la gia' illustrata connessione organica tra il  riuso

dei  beni  confiscati  e  le  finalita'  proprie  delle   misure   di

prevenzione patrimoniale, che i poteri di destinazione, di  indirizzo

e di controllo degli organi dello Stato, e in particolare dell'ANBSC,

in materia di riuso, conservino la propria completa estensione.

7. Illegittimita' costituzionale dell'art. 13 della  legge  regionale

Puglia n. 14/2019 - Contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost.

    7.1  L'art.  13  della  legge  regionale  Puglia  n.  14/2019  e'

rubricato «Sostegno  psicologico  e/o  psichiatrico  e  diritto  alla

salute», e dispone quanto segue:

    «1.  Agli  invalidi  vittime  della  mafia,  della   criminalita'

organizzata, del terrorismo, del dovere, individuati nei modi di  cui

alla legge n. 302/1990 e ai loro familiari conviventi e' riconosciuto

il diritto all'assistenza psicologia e/o psichiatrica a carico  della

Regione  Puglia,  da  esercitarsi  presso  le   strutture   sanitarie

pubbliche o convenzionate.

    2.  Gli  invalidi  vittime  della   mafia,   della   criminalita'

organizzata, del terrorismo e del dovere, individuati nei modi di cui

alla legge n.  302/1990  e  i  familiari,  inclusi  i  familiari  dei

deceduti, limitatamente al coniuge e ai  figli  e,  in  mancanza  dei

predetti, ai genitori, sono esenti dalla  partecipazione  alla  spesa

per ogni tipo di prestazione sanitaria fruita presso le strutture del

Servizio sanitario nazionale o le  strutture  private  accreditate  e

farmaceutica nonche' dall'obbligo di  pagare  la  differenza  tra  il

prezzo  di  rimborso  dei  medicinali  generici  e  il  prezzo  delle

specialita' medicinali, coperte da brevetto».

    7.2  Tale  previsione  assegna,  in  sostanza,  i  benefici   ivi

previsti, a soggetti non ricompresi tra i beneficiari dalla normativa

statale cui fa diretto riferimento, ponendo  a  carico  del  Servizio

sanitario regionale (e tramite esso di quello nazionale)  prestazioni

che non sono ricomprese tra  le  cure  mediche  che  costituiscono  i

livelli essenziali di assistenza (L.E.A.) stabiliti  dalla  normativa

statale (da ultimo  il  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei

ministri del 12 gennaio 2017, recante  «Definizione  e  aggiornamento

dei livelli essenziali di assistenza, di cui all 'art.  1,  comma  7,

del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502»), in violazione del

principio del contenimento  della  spesa  pubblica  sanitaria,  quale

principio generale di coordinamento della finanza pubblica  ai  sensi

dell'art. 117, terzo comma, Cost.

    Ed infatti il decreto del Presidente della Repubblica n. 243/2006

(recante  il  «Regolamento  concernente  termini   e   modalita'   di

corresponsione delle  provvidenze  alle  vittime  del  dovere  ed  ai

soggetti  equiparati,  ai  fini  della  progressiva  estensione   dei

benefici gia' previsti in favore delle vittime della  criminalita'  e

del terrorismo, a norma  dell'art.  1,  comma  565,  della  legge  23

dicembre 2005, n. 266»), pur ai  fini  della  progressiva  estensione

alle vittime del dovere dei benefici gia' previsti  in  favore  delle

vittime della criminalita' e del  terrorismo,  riconosce  il  diritto

all'esenzione dal pagamento del ticket per ogni tipo  di  prestazione

sanitaria e il diritto  all'assistenza  psicologica  a  carico  dello

Stato solamente alle vittime stesse e ai  loro  familiari  superstiti

(art. 4, comma 1, lettera a), n. 2, e lettera c), n. 2).

    Dal   tenore   letterale   della    surrichiamata    disposizione

regolamentare statale si evince pertanto con chiarezza che il diritto

all'esenzione dal ticket sanitario e  all'assistenza  psicologica  e'

limitato ai «familiari superstiti»,  nozione  che,  per  definizione,

implica il decesso della vittima della criminalita' e del terrorismo.

Tanto e' vero che la citata disposizione del decreto  del  Presidente

della Repubblica n. 243/2006 rinvia, per  il  diritto  all'esenzione,

direttamente all'art. 15 della legge n. 302/1990, e  non  all'art.  9

della legge n. 206/2004, il  quale  include  (solo  questo)  tra  gli

aventi diritto a tale beneficio anche i  «familiari»  degli  invalidi

vittime degli atti di terrorismo che non siano deceduti.

    Pertanto, a tenore delle vigenti disposizioni statali,  nel  caso

in cui l'assistito (cui sia stato riconosciuto lo status  di  vittima

della criminalita' e del terrorismo) non  sia  deceduto,  il  diritto

all'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria e il  diritto

all'assistenza psicologica non potrebbero essere estesi  al  relativo

coniuge o ai relativi figli.

    7.3  Orbene,  l'intervento  normativo   della   Regione   Puglia,

includendo  tra  i  destinatari  dei   benefici   de   quibus   anche

genericamente i «familiari conviventi»  dell'assistito,  e  non  solo

quelli superstiti, configura i medesimi quale  livello  ulteriore  di

assistenza (c.d. «extra-L.E.A.»).

    E' parimenti configurabile come livello ulteriore  di  assistenza

il riconoscimento a tutte le categorie di invalidi di cui  sopra  del

diritto all'esenzione dall'obbligo di pagare  la  differenza  tra  il

prezzo  di  rimborso  dei  medicinali  generici  e  il  prezzo  delle

specialita' medicinali coperte da brevetto.

    Si ricorda, infatti, che  l'art.  15  della  legge  n.  302/1990,

prevedendo che i cittadini  italiani  che  abbiano  subito  ferite  o

lesioni in conseguenza dello svolgersi nel territorio dello Stato  di

atti di terrorismo  o  di  eversione  dell'ordine  democratico  siano

esentati dal  pagamento  del  ticket  sanitario  per  le  prestazioni

sanitarie, fa riferimento ad un istituto (quello appunto  del  ticket

sanitario) che non e' assimilabile alla differenza tra il prezzo  dei

medicinali generici e il prezzo delle specialita' medicinali  coperte

da brevetto.

    Per tali ragioni si ritiene che l'art. 13 della  legge  regionale

Puglia n. 14/2019, laddove  pone  a  carico  del  Servizio  sanitario

pubblico prestazioni non previste  dal  decreto  del  Presidente  del

Consiglio dei ministri del 12 gennaio  2017,  e  dunque  dal  decreto

legislativo n. 502/1992, violi il principio  del  contenimento  della

spesa pubblica sanitaria, quale principio generale  di  coordinamento

della finanza pubblica ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.

    Giova d'altronde rimarcare che la Regione Puglia e' impegnata nel

Piano di rientro dal disavanzo sanitario, e non puo' dunque garantire

livelli di assistenza ulteriori  rispetto  a  quelli  previsti  dalla

normativa statale di riferimento, oggi fissati dal richiamato decreto

del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  del  12  gennaio  2017,

vigendo il divieto di effettuare spese  non  obbligatorie,  ai  sensi

dell'art. 1, comma 174, della legge n. 311/2004.

    Al riguardo, e'  appena  il  caso  di  richiamare  il  principio,

reiteratamente affermato da codesta  Corte  costituzionale,  per  cui

«l'autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore  della

tutela della salute ed in particolare nell'ambito della gestione  del

servizio sanitario puo' incontrare limiti alla luce  degli  obiettivi

della finanza pubblica e del contenimento della spesa»,  viepiu'  «in

un quadro di esplicita condivisione  da  parte  delle  regioni  della

assoluta necessita' di contenere i disavanzi del  settore  sanitario»

(cfr. sentenze n. 104 del 2013, n. 91 del 2012 e n. 193 del 2007).

    Anche sotto tale profilo emerge indiscutibile il contrasto con  i

principi fondamentali di coordinamento  della  finanza  pubblica,  in

violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.

8. Illegittimita' costituzionale dell'art. 16, commi  1  e  3,  della

legge regionale Puglia n. 14/2019 - Contrasto con l'art. 117, secondo

comma, lettera h) Cost.

    8.1 Lo sconfinamento delle competenze  legislative  regionali  in

quelle connesse alla potesta' punitiva dello Stato,  emerge  altresi'

dalla lettura dell'art. 16 della legge regionale Puglia  n.  14/2019,

ove, al comma 1, si prevede che «nell'attuazione delle  politiche  di

prevenzione e contrasto dei fenomeni di  illegalita'  in  materia  di

tutela dell'ambiente, connessi o derivanti da attivita' criminose  di

tipo organizzato e mafioso, la Regione  promuove  la  conclusione  di

accordi e la stipula di convenzioni con le autorita' statali operanti

sul territorio regionale nel settore ambientale (...)».

    Anche  a   voler   prescindere   dalla   evidente   vaghezza   ed

indeterminatezza delle  modalita'  attuatine  di  siffatta  norma,  e

financo delle finalita' connesse alla stipula dei predetti accordi  o

convenzioni,  i  cui  contenuti,  se   non   debitamente   delineati,

potrebbero   comportare   possibili   sconfinamenti   nelle    scelte

legislative statali (ed unicamente statali) in ordine al contrasto al

crimine  organizzato,  ed  incidere  sull'attivita'  delle  Forze  di

Polizia, ne risulta evidente l'interferenza con l'art.  117,  secondo

comma, lettera h), Cost.  che  assegna  alla  competenza  legislativa

statale esclusiva la materia dell'ordine pubblico e della sicurezza.

    Occorre al riguardo ricordare che il perseguimento  della  tutela

dell'ordine  pubblico  e   della   sicurezza   «e'   affidato   dalla

Costituzione, con l'art. 117,  secondo  comma,  lettera  h),  in  via

esclusiva allo Stato, mentre le regioni possono cooperare a tal  fine

solo mediante misure ricomprese  nelle  proprie  attribuzioni»  (cfr.

sentenza n. 63 del 2016 e sentenza n. 35 del 2012): e  la  previsione

regionale de qua risulta  incidere  indebitamente  in  tale  settore,

viepiu'  allorche'   richiama   l'attuazione   delle   politiche   di

prevenzione e contrasto dei fenomeni di  illegalita'  in  materia  di

tutela dell'ambiente», che eccedono manifestamente dall'ambito  della

propria competenza legislativa, appartenendo oltre  tutto  la  tutela

dell'ambiente alla competenza statale esclusiva ex art. 117, comma 2,

lettera s).

    8.2 Analoga censura va rivolta alla previsione del  comma  3  del

medesimo art. 16 della legge regionale Puglia n.  14/2019,  il  quale

prevede che la Regione adotti «entro novanta  giorni  dalla  data  di

entrata in vigore della presente  legge  un  atto  di  indirizzo  per

rafforzare la prevenzione e il contrasto  della  corruzione  e  degli

altri fenomeni di illegalita' nel settore sanitario».

    Anche in questo settore, infatti,  si  rientra  indiscutibilmente

nell'ambito della competenza esclusiva statale in materia  di  ordine

pubblico e sicurezza, sicche'  nessuna  competenza  la  Regione  puo'

legittimamente auto-ascriversi in termini anche solo di  «indirizzo»,

atteso che le linee  programmatiche  in  subiecta  materia  sono  per

l'appunto di esclusiva competenza del legislatore statale.

    Pertanto, anche il comma  3  dell'art.  16  si  pone  in  patente

contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.

9. Illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 2,  della  legge

regionale Puglia n. 14/2019  -  Contrasto  con  l'art.  117,  secondo

comma, lettera h), Cost.

    Anche l'art.  17,  comma  2,  della  legge  regionale  Puglia  n.

14/2019, presenta profili di illegittimita' costituzionale  consimili

a quelli di cui al precedente motivo di ricorso, allorche' disciplina

il ricorso allo strumento dei «protocolli di legalita'».

    La  menzionata  disposizione  regionale  prevede  invero  che  la

Regione  Puglia  possa  promuovere  la  stipula  dei  «protocolli  di

legalita'  tra  prefetture  e  amministrazioni  aggiudicatrici,   per

potenziare gli strumenti di  prevenzione  e  contrasto  dei  fenomeni

corruttivi e delle  infiltrazioni  mafiose,  nella  realizzazione  di

opere e prestazione di servizi, in materia urbanistica e di  edilizia

privata, (...) al fine di:

        a) garantire la regolarita' dei cantieri e il rispetto  della

normativa in materia di lavoro e sicurezza dei lavoratori;

        b) dare piena e concreta attuazione ai piani  di  prevenzione

della corruzione ai  sensi  della  legge  6  novembre  2012,  n.  190

(Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione  e

dell'illegalita' nella pubblica amministrazione);

        c) confrontare  e  condividere  valutazioni  e  proposte  tra

istituzioni, associazioni e cittadini;

        d)   diffondere   tra   la   cittadinanza    la    conoscenza

dell'esistenza di misure di sostegno nazionali e regionali in  favore

delle vittime del reato di usura o di estorsione».

    Giova in proposito specificare come l'utilizzazione dei  predetti

strumenti  (i  «protocolli  di  legalita'»),  cosi'   come   previsti

dall'art. 1, comma 17, della legge n. 190/2012, sia rimessa alla mera

discrezionalita'  della  singola  stazione   appaltante,   che   puo'

inserirli all'interno dei propri bandi  di  gara,  avvisi  o  lettere

d'invito: ed infatti la  anzidetta  previsione  statale  dispone  con

estrema chiarezza che «le stazioni appaltanti possono prevedere negli

avvisi, bandi di gara o lettere di invito  che  il  mancato  rispetto

delle clausole contenute nei protocolli di legalita' o nei  patti  di

integrita' costituisce causa di esclusione dalla gara».

    Pertanto, la configurazione di una potesta' legislativa regionale

di tal segno,  in  realta'  incidente  sugli  autonomi  rapporti  tra

prefetture ed  amministrazioni  aggiudicatrici,  risulta  lesiva  del

riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni, cosi'  come

delineato dall'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., atteso che

la  normativa  in  materia  di  «anticorruzione»  presenta   evidenti

connessioni con la materia dell'ordine pubblico  e  della  sicurezza,

riservata in via esclusiva al legislatore statale.

10. Illegittimita' costituzionale dell'art. 20, commi 2  e  3,  della

legge regionale Puglia n. 14/2019 - Contrasto con l'art. 117, secondo

comma, lettera Cost.

    10.1 L'art. 20, commi 2 e 3,  della  legge  regionale  Puglia  n.

14/2019, prevede quanto segue:

    «2. La Regione e i comuni affidano alle aziende per la casa e per

l'abitare le funzioni di classificazione, ripristino, assegnazione  e

manutenzione ordinaria e  straordinaria  del  patrimonio  immobiliare

utilizzabile o riconvertibile a uso  abitativo  nell'ambito  di  beni

immobili  sequestrati  o  confiscati  ai  sensi  del  vigente  codice

antimafia.

    3. Per le finalita' e l'attuazione di quanto previsto al comma  2

la Regione Puglia promuove la stipula di un protocollo  d'intesa  con

l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei  beni

sequestrati e confiscati alla criminalita'».

    Anche tali previsioni si pongono in contrasto con  la  competenza

esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza,  di  cui

all'art. 117, secondo comma,  lettera  h),  Cost.,  segnatamente  nel

settore  del  contrasto  alla  criminalita'  organizzata,  per   come

delineata  nel  c.d.  «Codice  antimafia»  (decreto  legislativo   n.

159/2011), dalla norma pure espressamente richiamato.

    Come  noto,  infatti,  l'anzidetto  Codice   statale   disciplina

dettagliatamente  la  gestione  dei  beni  sequestrati  e  confiscati

(articoli 40 e ss.), attribuendo le relative competenze all'autorita'

giudiziaria, la quale puo' avvalersi di amministratori  giudiziari  e

dell'attivita' di  ausilio  e  supporto  dell'Agenzia  nazionale  per

l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati

alla criminalita' organizzata (di cui agli articoli  110  e  ss.  del

medesimo decreto legislativo n.  159/2011).  E'  appena  il  caso  di

ricordare che, tra i  compiti  istituzionali  dell'Agenzia  nazionale

appena menzionata, rientrano i seguenti (comma 2 dell'art. 110):

        «b) ausilio dell'autorita' giudiziaria nell'amministrazione e

custodia  dei  beni  sequestrati  nel  corso  del   procedimento   di

prevenzione di cui al libro I,  titolo  III;  ausilio  finalizzato  a

rendere possibile,  sin  dalla  fase  del  sequestro,  l'assegnazione

provvisoria dei beni immobili e delle aziende per fini  istituzionali

o sociali agli enti, alle associazioni  e  alle  cooperative  di  cui

all'art. 48, comma 3,  ferma  restando  la  valutazione  del  giudice

delegato sulla modalita' dell'assegnazione;

        c) ausilio dell'autorita' giudiziaria nell'amministrazione  e

custodia dei beni sequestrati nel corso dei procedimenti penali per i

delitti di cui agli articoli 51, comma 3-bis, del codice di procedura

penale  e  12-sexies  del  decreto-legge  8  giugno  1992,  n.   306,

convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n.  356,  e

successive  modificazioni;  ausilio  svolto  al   fine   di   rendere

possibile, sin dalla fase del sequestro,  l'assegnazione  provvisoria

dei beni immobili e delle aziende per fini  istituzionali  o  sociali

agli enti, alle associazioni e alle cooperative di cui  all'art.  48,

comma 3, del presente decreto,  ferma  restando  la  valutazione  del

giudice delegato sulla modalita' dell'assegnazione;

        d) amministrazione e destinazione, ai sensi dell'art. 38, dei

beni confiscati, dal provvedimento di confisca emesso dalla corte  di

appello, in esito del procedimento di prevenzione di cui al libro  I,

titolo III;

        e) amministrazione,  dal  provvedimento  di  confisca  emesso

dalla corte di appello nonche' di sequestro  o  confisca  emesso  dal

giudice dell'esecuzione, e destinazione dei beni  confiscati,  per  i

delitti di cui agli articoli 51, comma 3-bis, del codice di procedura

penale  e  12-sexies  del  decreto-legge  8  giugno  1992,  n.   306,

convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n.  356,  e

successive modificazioni, nonche' dei beni definitivamente confiscati

dal giudice dell'esecuzione;

        f) adozione di iniziative e di provvedimenti necessari per la

tempestiva assegnazione e destinazione  dei  beni  confiscati,  anche

attraverso la nomina, ove necessario, di commissari ad acta».

    10.2 La previsione regionale qui in discorso, prevede in sostanza

l'assegnazione di funzioni e compiti in subiecta materia alle aziende

regionali ivi indicate, proprio in relazione  a  beni  sequestrati  e

confiscati a norma del  ripetuto  decreto  legislativo  n.  159/2011:

aziende  regionali  che  -  merita  precisare  -  sono  le  strutture

regionali deputate alla edilizia pubblica e sociale, derivanti  dalla

trasformazione dei precedenti istituti autonomi per le case popolari,

trasformazione operata dalla legge regionale Puglia n. 22/2014, e  le

quali - giusta l'art. 6  di  tale  legge  regionale  -  «svolgono  le

funzioni tecnico-amministrative  relative  all'edilizia  residenziale

pubblica e sociale e  subentrano  nei  rapporti  giuridici  attivi  e

passivi gia' facenti capo agli ex IACP».

    Appare dunque indiscutibile,  anche  alla  luce  delle  pregresse

esperienze di normativa regionale  intervenuta  in  materia  di  beni

sequestrati e confiscati nella  giurisprudenza  costituzionale  (cfr.

sentenza n. 34 del  2012),  che  le  disposizioni  regionali  qui  in

commento  si  pongano  in  frontale  contrasto  con   la   competenza

legislativa statale esclusiva  nel  settore  dell'ordine  pubblico  e

della sicurezza (art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.).

 

                                         P. Q. M.

 

    Per tutto quanto sopra dedotto e considerato  il  Presidente  del

Consiglio dei ministri, come  in  epigrafe  rappresentato,  difeso  e

domiciliato, ricorre alla Ecc.ma Corte  costituzionale  affinche'  la

stessa voglia dichiarare - in accoglimento delle suesposte  deduzioni

- la illegittimita' costituzionale degli  articoli  1,  comma  2;  2,

comma 1; 4; 5; 6, commi 1 e 2 lettere h) e k); 7;  9,  commi  1  e  2

lettere d) ed e); 10, commi 1 e 2; 13, comma 1; 16, commi 1 e 3;  17,

comma 2; 20, commi 2 e 3; della legge regionale Puglia 28 marzo 2019,

n. 14, recante il «Testo unico in materia di  legalita',  regolarita'

amministrativa e sicurezza».

    Si deposita la seguente documentazione:

        1) copia autentica dell'estratto del  verbale  relativo  alla

deliberazione del Consiglio dei ministri  del  20  maggio  2019,  con

l'allegata relazione;

        2) copia della legge regionale Puglia 28 marzo 2019,  n.  14,

recante  il  «Testo  unico  in  materia  di  legalita',   regolarita'

amministrativa e sicurezza», pubblicata sul B.U.R. Puglia n.  36  del

1° aprile 2019.

 

Roma, 30 maggio 2019

Avvocati dello Stato: Aiello - Venturini - Caselli

 

 

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