N. 65 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 24 maggio 2005.

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 24 maggio 2005 (del Presidente del Consiglio dei
ministri)

(GU n. 24 del 15-6-2005)


Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato;

Nei confronti della Regione Umbria in persona del suo presidente
della giunta, avverso la legge regionale 28 febbraio 2005 n. 18,
intitolata «Tutela della salute psico-fisica della persona sul luogo
di lavoro e contrasto dei fenomeni di mobbing» pubblicata nel
Boll.Uff. n. 12 del 16 marzo 2005.
La determinazione di proposizione del presente ricorso e' stata
approvata dal Consiglio dei ministri nella riunione del 6 maggio 2005
(si depositera' estratto del relativo verbale).
L'art. 1 della legge in esame tenta di definire il cosiddetto
«mobbing» con la seguente espressione «molestie morali, persecuzioni
e violenze psicologiche sui luoghi di lavoro». L'espressione e'
talmente vaga ed inadeguata da rendere l'anzidetta legge, nella sua
interezza, una normativa che rimette ad organi amministrativi il
compito ed il potere di integrare sostanzialmente il disposto
legislativo, anzi di sostituirsi al legislatore nazionale
riconosciuto competente dalla sentenza n. 359 del 2003 di codesta
Corte. V'e' di piu': l'art. 5 estende l'ambito per cosi' dire del
cosiddetto «mobbing» ai familiari del lavoratore ed affida alla
giunta regionale una competenza a stabilire, mediante deliberazione a
contenuto sostanzialmente di regolamento, «criteri e modalita» per la
concessione di incentivi alla realizzazione - non e' detto ad opera
di quale organismo - di «supporti e terapie». Inoltre, gli artt. 2,
4, 6, 7 e 8 della legge in esame prevedono strutture amministrative
(osservatorio regionale sul mobbing, apparato «proprio» della
regione, sportelli anti-mobbing presso i comuni avvalimento degli
«enti strumentali»), e tratteggia in modo molto elastico le funzioni
ed i compiti di ciascuna di queste strutture. Malgrado tanta
indeterminatezza (ed in contrasto con essa), l'art. 8 comma 1 della
legge in esame consente, anzi prevede come obbligatorie («sulla base
delle segnalazioni ricevute ... effettua»), ispezioni all'interno dei
luoghi di lavoro, e quindi l'accesso coattivo in tali luoghi, la
ricerca e la ispezione di documenti, l'audizione di persone,
l'ispezione dei singoli ambienti, etc; il tutto ad opera di addetti,
di imprecisato livello (o qualifica) e stato giuridico, al Servizio
di prevenzione e sicurezza (anche il lessico e' significativo).
La legge in esame non individua (e quindi non delimita) l'ambito
dello intervento della regione e la tipologia dei «luoghi di lavoro»,
e cosi' rende possibili ingerenze (non soltanto della regione ma
anche di altre organizzazioni) nei rapporti di lavoro pubblico
statale, ad esempio presso un tribunale od un Ufficio territoriale
del Governo (per non dire del personale militarizzato), con palese
invasione della competenze di cui all'art. 117, secondo comma,
lettera G Cost.
Nel complesso, la legge che si sottopone a scrutinio, oltre a
disattendere il citato insegnamento di codesta Corte, omette di
considerare la pluralita' degli interessi generali (anche privati)
compresenti e la necessita' di reperire un difficile e delicato
equilibrio tra essi, crea uno strumento pervasivo e di non garantita
neutralita' per interventi nei rapporti contrattuali di lavoro e
nelle attivita' imprenditoriali e delle pubbliche amministrazioni, ed
inoltre introduce una disciplina «territorialmente differenziata» in
assenza di principi fondamentali unificati.
La legge in esame contrasta dunque anzitutto con l'art. 117,
secondo comma, lettere G ed L (ordinamento civile), con l'art. 118,
primo comma, Cost., e con la sentenza n. 359 del 2003 citata. Del
parametro di cui alla predetta lettera G si e' gia' detto. Vistoso il
contrasto con la riserva allo Stato della produzione legislativa in
materia di ordinamento civile: la legge in esame incide sui rapporti
civilistici interpersonali, non soltanto di lavoro e di impresa, e
per di piu' incide su essi in modo imprevedibile, in assenza di una
definizione delle tipologie dei «fenomeni» considerati; «fenomeni»
che in pratica inevitabilmente si tramutano in fattispecie di
illecito contrattuale.
La legge in esame contrasta inoltre con l'art. 117, terzo comma,
Cost. (tutela della salute, tutela e sicurezza del lavoro), non
essendo ricollegata a «principi fondamentali» posti dal Parlamento
nazionale, al quale e' riservato il compito di definire il cosiddetto
mobbing, di reperire un appropriato equilibrio tra i piu' interessi
compresenti, ed anche di disegnare il quadro degli strumenti
organizzatori e delle relative funzioni.
Come noto, altra controversia similare e' stata proposta
nell'autunno 2004 nei confronti della Regione Abruzzo.

P. Q. M.
Si chiede che sia dichiarata la illegittimita' costituzionale
della legge sottoposta a giudizio, con ogni consequenziale pronuncia.
Roma, addi' 11 maggio 2005
Il vice Avvocato generale: Franco Favara

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