Ricorso n. 65 del 26 agosto 2014 (Provincia autonona di Trento)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 26 agosto 2014 (della Provincia autonoma di Trento).
(GU n. 45 del 2014-10-29)
Ricorso della Provincia autonoma di Trento (cod. fisc.
…), in persona del Presidente della Giunta provinciale pro
tempore dott. Ugo Rossi, previa deliberazione della Giunta
provinciale 14 luglio 2014, n. 1208 (doc. 1) e delibera di ratifica
del Consiglio provinciale 24 luglio 2014, n. 11 (doc. 2),
rappresentata e difesa, come da procura speciale n. rep. 28039 del 22
luglio 2014 (doc. 3), rogata dal dott. Tommaso Sussarellu, Ufficiale
rogante della Provincia, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon (cod.
fisc. …) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod.
fisc. …) dell'Avvocatura della Provincia di Trento,
nonche' dall'avv. Luigi Manzi (cod. fisc. …) di Roma,
con domicilio eletto presso quest'ultimo in via Confalonieri, n.5,
Roma;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 7, comma
1; dell'articolo 8, commi 4, 6, 7, e 10; dell'articolo 14, commi 1, 2
e 4-ter; dell'articolo 22, comma 2; dell'articolo 46, commi 1, 2, 3 e
6; dell'articolo 47, commi 8, 9, 11 e 12; dell'articolo 50, comma 10,
del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante «Misure urgenti per
la competitivita' e la giustizia sociale. Deleghe al Governo per il
completamento della revisione della struttura del bilancio dello
Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio
e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonche' per
l'adozione di un testo unico in materia di contabilita' di Stato e di
tesoreria», convertito, con modificazioni, nella legge 23 giugno
2014, n. 89, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 143 del 23 giugno
2014;
Per violazione:
degli articoli 8, 9, 16, 103, 104 e 107 del d.P.R. 31 agosto
1972, n. 670 (Statuto speciale), nonche' delle correlative norme di
attuazione;
del titolo VI dello Statuto speciale, in particolare degli
articoli 75, 79, 80 e 81, e delle relative norme di attuazione
(decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268, in particolare articoli
9, 10, 10-bis, 16, 17, 18 e 19);
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, in particolare
articoli 2 e 4;
del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526, in particolare articolo
8;
degli articoli 117, sesto comma, e 120 della Costituzione in
combinato disposto con l'articolo 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3;
nonche' del principio di leale collaborazione, nei modi e per i
profili di seguito illustrati.
Fatto e diritto
Premessa
Il presente ricorso si riferisce ad alcune disposizioni del d.l.
24 aprile 2014, n. 66, ed in particolare all'art. 7 (Destinazione dei
proventi della lotta all'evasione fiscale), all'art. 8 (Trasparenza e
razionalizzazione della spesa pubblica per beni e servizi), all'art.
14 (Controllo della spesa per incarichi di consulenza, studio e
ricerca e per i contratti di collaborazione coordinata e
continuativa), all'art. 22 (Riduzione delle spese fiscali), all'art.
46 (Concorso delle regioni e delle province autonome alla riduzione
della spesa pubblica), all'art. 47 (Concorso delle province, delle
citta' metropolitane e dei comuni alla riduzione della spesa
pubblica) e all'art. 50 (Disposizioni finanziarie).
Poiche' tali disposizioni hanno contenuto eterogeneo, risulta
preferibile evitare una illustrazione generale in fatto, e trattare
invece direttamente delle singole disposizioni impugnate, esponendo
in relazione a ciascuna di esse sia il contenuto che le censure e gli
argomenti in diritto.
E' da precisare, pero', in via preliminare, che il d.l. n.
66/2014 contiene anche una clausola di salvaguardia. Infatti, l'art.
50-bis dispone che «le disposizioni del presente decreto si applicano
alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e
di Bolzano secondo le procedure previste dai rispettivi statuti e
dalle relative norme di attuazione». Con riferimento a clausole di
salvaguardia formulate in tal modo, codesta Corte ha precisato che
«esse sono volte ad escludere la diretta applicazione agli enti ad
autonomia speciale delle disposizioni dettate dal legislatore statale
che non siano compatibili con quanto stabilito negli statuti speciali
e nelle norme di attuazione degli stessi, al di fuori delle
particolari procedure previste dai rispettivi statuti (sentenza n.
193 del 2012)» (v. la sent. n. 229/2013, punto 8.1 del Diritto).
Dunque, la presente impugnazione e' proposta in via cautelativa,
con riferimento a disposizioni che, per il loro contenuto, potrebbero
essere intese come applicabili alla Provincia di Trento nonostante la
clausola di salvaguardia di cui sopra.
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1.
L'art. 7, comma 1, dispone quanto segue:
«le disposizioni di cui all'articolo 2, comma 36, terzo e
quarto periodo, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138,... si
applicano fino all'annualita' 2013 con riferimento alla valutazione
delle maggiori entrate dell'anno medesimo rispetto a quelle del 2012.
Le maggiori entrate strutturali ed effettivamente incassate nell'anno
2013 derivanti dall'attivita' di contrasto all'evasione fiscale,
valutate ai sensi del predetto articolo 2, comma 36, in 300 milioni
di euro annui dal 2014, concorrono alla copertura degli oneri
derivanti dal presente decreto».
Il richiamato art. 2, comma 36, d.l. n. 138/2011 (cosi' come
modificato dall'art. 1, comma 299, legge n. 228/2012), stabilisce, al
terzo periodo, che, «a partire dall'anno 2013, il Documento di
economia e finanza contiene una valutazione, relativa all'anno
precedente, delle maggiori entrate strutturali ed effettivamente
incassate derivanti dall'attivita' di contrasto dell'evasione
fiscale». Nel quarto periodo si stabilisce che «dette maggiori
risorse, al netto di quelle necessarie al mantenimento
dell'equilibrio di bilancio e alla riduzione del rapporto tra il
debito e il prodotto interno lordo, nonche' di quelle derivanti a
legislazione vigente dall'attivita' di recupero fiscale svolta dalle
regioni, dalle province e dai comuni, unitamente alle risorse
derivanti dalla riduzione delle spese fiscali, confluiscono in un
Fondo per la riduzione strutturale della pressione .fiscale e sono
finalizzate al contenimento degli oneri fiscali gravanti sulle
famiglie e sulle imprese, secondo le modalita' di destinazione e di
impiego indicate nel medesimo Documento di economia e finanza»
(enfasi aggiunta).
L'art. 2, comma 36, d.l. n. 138/2011 e' stato impugnato da questa
Provincia con ricorso n. 142/2011, attualmente pendente.
Il primo periodo dell'art. 7, comma 1, d.l. n. 66/2014, in quanto
conferma l'applicazione fino all'annualita' 2013 delle norme
contestate con il succitato ricorso, risulta illegittimo per le
stesse ragioni gia' fatte valere nel ricorso in questione, che di
seguito si ripropongono. Il ricorso n. 142/2011 tracciava in primo
luogo un quadro del regime di autonomia finanziaria provinciale, e
prospettava l'ipotesi che in tale quadro si potesse dare alle
disposizioni impugnate un'interpretazione adeguatrice, come segue:
Quanto alla riserva delle entrate all'erario, conviene in primo
luogo ricordare lo speciale regime di autonomia finanziaria della
Provincia autonoma di Trento, disciplinato dal Titolo VI dello
Statuto di autonomia.
In particolare, l'articolo 75 stabilisce che «sono attribuite
alle province le seguenti quote del gettito delle sottoindicate
entrate tributarie dello Stato, percette nei rispettivi territori
provinciali: a) i nove decimi delle imposte di registro e di bollo,
nonche' delle tasse di concessione governativa;... c) i nove decimi
dell'imposta sul consumo dei tabacchi per le vendite afferenti ai
territori delle due province; d) i sette decimi dell'imposta sul
valore aggiunto, esclusa quella relativa all'importazione...; e) i
nove decimi dell'imposta sul valore aggiunto relativa
all'importazione determinata assumendo a nferimento i consumi finali;
j) i nove decimi del gettito dell'accisa sulla benzina, sugli oli da
gas per autotrazione e sui gas petroliferi liquefatti per
autotrazione erogati dagli impianti di distribuzione situati nei
territori delle due province, nonche' i nove decimi delle accise
sugli altri prodotti energetici ivi consumati; g) i nove decimi di
tutte le altre entrate tributarie erariali, dirette o indirette,
comunque denominate, inclusa l'imposta locale sui redditi, ad
eccezione di quelle di spettanza regionale o di altri enti pubblici»
[...]
Le previsioni del sopra citato art. 75 dello Statuto sono state
completate e meglio definite dalle norme di attuazione di cui al
d.lgs. n. 268/1992. Per quanto qui rileva, l'art. 9 di tale decreto
dispone che «il gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o
dall'istituzione di nuovi tributi, se destinato per legge, per
finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma
1, lettera b), dell'art. 10-bis, alla copertura, ai sensi dell'art.
81 della Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non
continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della
regione o delle province, ivi comprese quelle relative a calamita'
naturali, e' riservato allo Stato, purche' risulti temporalmente
delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale
e quindi quantificabile»; si aggiunge poi che «fuori dei casi
contemplati nel presente articolo si applica quanto disposto dagli
articoli 10 e 10-bis». [...]
Peraltro, l'art. 19-bis dello stesso d.l. n. 138/2011 dispone che
«l'attuazione delle disposizioni del presente decreto nelle regioni a
statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano
avviene nel rispetto dei loro statuti e delle relative norme di
attuazione e secondo quanto previsto dall'articolo 27 della legge 5
maggio 2009, n. 42».
Il comma 1 di quest'ultima disposizione stabilisce che «le
regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di
Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al
conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' ed
all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonche' al
patto di stabilita' interno e all'assolvimento degli obblighi posti
dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e modalita' stabiliti
da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le
procedure previste dagli statuti medesimi, entro il termine di
ventiquattro mesi stabilito per l'emanazione dei decreti legislativi
di cui all'articolo 2 e secondo il principio del graduale superamento
del criterio della spesa storica di cui all'articolo 2, comma 2,
lettera m)».
Non e' esclusa, dunque, un'interpretazione delle disposizioni in
questione nel senso che la riserva all'erario non operi per le somme
relative alla provincia di Trento. Nel senso dell'interpretazione
«adeguatrice» potrebbe far concludere il principio di specialita',
confortato anche da quanto considerato nella sentenza di codesta
Corte n. 152 del 2011, che ha ritenuto l'applicabilita' anche nella
Regione siciliana di norme simili a quelle qui impugnate, che
riservavano all'erario il gettito di tributi compartecipati dalla
Regione Sicilia, «posto che il d.l. in esame non contiene alcuna
formula che possa configurarsi quale clausola di salvaguardia delle
attribuzioni delle Regioni ad autonomia speciale»: clausola che
invece, come ora esposto, in questo caso esiste.
Per il caso in cui l'art. 2, comma 36, terzo e quarto periodo,
fosse ritenuto applicabile alla Provincia di Trento, valevano invece
- come valgono ora - le seguenti censure:
Il quarto periodo risulta, ad avviso della ricorrente
Provincia autonoma, del tutto illegittimo, mentre il terzo periodo e'
impugnato solo in quanto l'attivita' di rilevazione in esso prevista
e' finalizzata all'attuazione del quarto periodo.
Si tratta, infatti, di maggiori entrate che non derivano
dall'aumento delle aliquote o dall'introduzione di nuovi tributi, ma
semplicemente dalla lotta all'evasione, cioe' da un piu' rigoroso
accertamento degli obblighi tributari preesistenti.
Le maggiori entrate che ne derivano sono pur sempre entrate
connesse alle aliquote e ai tributi esistenti, quelli il cui gettito
spetta per i nove decimi alla Provincia secondo le disposizioni
statutarie.
Manca dunque qualunque fondamento per la destinazione ad un Fondo
statale di tali maggiori entrate, che risulta pertanto in frontale
contrasto con lo Statuto.
La fondatezza di tale censura e' confermata anche dalla recente
sent. n. 152/2011, che ha dichiarato "costituzionalmente illegittimo
l'art. 1, comma 6, del d.l. n. 40 del 2010, nella parte in cui
stabilisce che le entrate derivanti dal recupero dei crediti
d'imposta «sono riversate all'entrata del bilancio dello Stato e
restano acquisite all'erario», anche con riferimento a crediti
d'imposta inerenti a tributi che avrebbero dovuto essere riscossi nel
territorio della Regione siciliana". La sentenza stabilisce che "e'
alla Regione siciliana... che spetta, non solo provvedere al detto
recupero, ma anche acquisire il gettito da esso derivante, posto che
tale gettito, lungi dal costituire frutto di una nuova entrata
tributaria erariale, non e' altro che l'equivalente del gettito del
tributo previsto (al di fuori dei casi nei quali e' concesso il
credito d'imposta), che compete alla Regione sulla base e nei limiti
dell'art. 2 del d.PR. n. 1074 del 1965".
La medesima sent. n. 152/2011 ha poi annullato l'art. 3, comma
2-bis, d.l. n. 40/2010, in quanto "la previsione della esclusiva
destinazione a fondi erariali del gettito derivante dalla definizione
agevolata di tali controversie inerenti alla contestazione di tributi
erariali che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio
regionale si pone in contrasto con il principio di cui all'art. 2
delle norme di attuazione, non potendo peraltro neppure ritenersi che
le entrate derivanti dalla richiamata definizione agevolata delle
controversie tributarie siano "entrate nuove".
Per quanto riguarda poi il terzo periodo del comma 36, esso e'
affetto dagli stessi vizi appena illustrati (essendo strettamente
collegato al quarto periodo).
Inoltre, ove in denegata ipotesi dovesse risultare legittimo il
trattenimento delle somme in questione al bilancio dello Stato, esso
risulterebbe illegittimo per violazione del principio di leale
collaborazione, perche' la quantificazione delle maggiori entrate
derivanti dalla lotta all'evasione viene operata senza intesa con la
Provincia di Trento, benche' tale quantificazione incida direttamente
e negativamente sulla dimensione delle risorse che spettano alla
Provincia.
Si puo' qui aggiungere a quanto gia' considerato nel ricorso n.
142/2011 che l'art. 7, comma 1, primo periodo, d.l. n. 66/2014, che
conferma l'applicazione dell'art. 2, comma 36, terzo e quarto
periodo, viola l'art. 75 St. e l'art. 9 d.lgs. n. 268/1992 non solo
per l'evidente ragione che le maggiori entrate in questione non
derivano dall'aumento delle aliquote o dall'introduzione di nuovi
tributi, ma anche perche' la riserva non rispetta affatto i requisiti
posti per la sua legittimita' costituzionale dall'art. 9 d.lgs. n.
268/1992, requisiti sintetizzati dalla sentenza di codesta Corte n.
182/2010. In particolare, dato che il comma 36, quarto periodo,
prevede la confluenza delle maggiori risorse "in un Fondo per la
riduzione strutturale della pressione fiscale", mancano sia la
destinazione a "nuove specifiche spese di carattere non
continuativo", sia la delimitazione temporale, sia la
contabilizzazione distinta, tale non potendosi considerare la
valutazione preventiva di tali entrate nel documento di economia e
finanza.
E' da sottolineare, peraltro, che la sentenza di codesta Corte n.
241 del 2012 ha deciso, con riferimento alle altre quattro Regioni
speciali, le questioni sollevate in relazione all'art. 2, comma 3 e
36, d.l. n. 138/2011. La Corte ha ritenuto che, in virtu' della
clausola di salvaguardia (sopra citata) di cui all'art. 19-bis d.l.
n. 138/2011, le norme del decreto-legge n. 138 del 2011 siano
"inapplicabili agli enti a statuto speciale ove siano in contrasto
con gli statuti e le relative norme di attuazione". Il giudice
costituzionale ha anche sottolineato che l'art. 27 legge n. 42/2009
"pone una vera e propria «riserva di competenza alle norme di
attuazione degli statuti» speciali per la modifica della disciplina
finanziaria degli enti ad autonomia differenziata..., cosi' da
configurarsi quale autentico presidio procedurale della specialita'
finanziaria di tali enti".
La Corte ha dunque verificato se le riserve allo Stato previste
dalle norme qui impugnate fossero o meno consentite dagli Statuti
speciali e dalle norme di attuazione delle Regioni ricorrenti. In
particolare, in relazione alla impugnazione da parte della Regione
Sicilia del comma 36, terzo periodo, la Corte ha osservato (punto 7.4
del Diritto) che, "ove l'evasione abbia ad oggetto entrate tributarie
interamente e nominativamente riservate all'Erario in base alla
normativa statutaria, la questione deve essere dichiarata non
fondata, perche' si verifica la condizione del «rispetto» delle norme
statutarie richiesta dal menzionato art. 19-bis del decreto-legge n.
138 del 2011 ai fini della diretta applicabilita' alle Regioni
speciali della normativa impugnata, con esclusione, dunque, di
qualsiasi violazione di tali parametri". Ove, invece, "l'evasione
abbia ad oggetto entrate non nominativamente riservate allo Stato
dalla normativa di rango statutario, e' necessario valutare [...] se
la riserva del gettito all'Erario sia conforme alla normativa
statutaria siciliana". Secondo la Corte, "nella specie, si e' in
presenza di una entrata tributaria (in quanto effetto dell'attivita'
di contrasto all'evasione fiscale), ma non «nuova» (perche' il
recupero delle somme sottratte al fisco non comporta alcuna modifica
della legislazione fiscale vigente, ne' determina un "nuovo
provento") e, comunque, priva [...] della destinazione specifica
richiesta dal combinato disposto degli artt. 36 dello statuto e 2
delle correlative norme di attuazione in materia finanziaria ai fini
della devoluzione del gettito all'Erario". Poiche' "la riserva allo
Stato di tali somme (non nominativamente destinate allo Stato dallo
statuto speciale) non e' consentita dalla normativa di rango
statutario, il mancato «rispetto» dello statuto comporta, in forza
della clausola di salvaguardia di cui all'art. 19-bis,
l'inapplicabilita' alla Regione ricorrente dell'impugnato terzo
periodo del comma 36 e, quindi, la non fondatezza della questione".
Si ritiene che tale conclusione debba valere anche per la
Provincia di Trento, dato che l'art. 9 d.lgs. n. 268/1992 pone
requisiti ulteriori e piu' stringenti rispetto alla norma di
attuazione dello Statuto siciliano (cioe', all'art. 2 d.P.R. n.
1074/1965, che ammette la riserva all'erario a condizione che si
tratti di "nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con
apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare
particolari finalita' contingenti o continuative dello Stato
specificate nelle leggi medesime").
Poiche' l'art. 7, comma 1, primo periodo, rinvia a norme che
codesta Corte ha gia' dichiarato inapplicabili alle Regioni speciali,
esso e' da ritenere inapplicabile a questa Provincia in virtu'
dell'art. 50-bis d.l. n. 66/2014, che - come visto - contiene una
clausola di salvaguardia delle competenze delle Regioni speciali. La
presente censura, dunque, e' formulata per l'ipotesi in cui, invece,
si ritenesse che la disposizione impugnata del d.l. n. 66/2014
esprima una autonoma intenzione legislativa nel senso della
applicabilita'.
L'art. 7, comma 1, secondo periodo, come visto, dispone che "le
maggiori entrate strutturali ed effettivamente incassate nell'anno
2013 derivanti dall'attivita' di contrasto all'evasione fiscale,
valutate ai sensi del predetto articolo 2, comma 36, in 300 milioni
di euro annui dal 2014, concorrono alla copertura degli oneri
derivanti dal presente decreto". Dunque, rispetto al primo periodo
del comma 1, la norma de qua ha ad oggetto la stessa tipologia di
entrate ma muta dal 2014 (se cosi' si deve intendere la formula
davvero oscura della disposizione) la destinazione della riserva:
mentre nel caso del primo periodo si tratta di un Fondo per la
riduzione strutturale della pressione fiscale, nel caso del secondo
periodo si tratta della "copertura degli oneri derivanti dal presente
decreto". Anche l'art. 7, comma 1, secondo periodo, viola l'art. 75
dello Statuto e l'art. 9 d.lgs. n. 268/1992, per le medesime ragioni
sopra esposte. In sintesi, le entrate derivanti dalla lotta
all'evasione fiscale sono le stesse entrate che spettano pro quota
alla Provincia ai sensi dell'art. 75 St., per cui non e' legittima la
loro riserva allo Stato. Ne' tale riserva puo' giustificarsi ai sensi
dell'art. 9 d.lgs. n. 268/1992, perche' il gettito in questione non
deriva "da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di nuovi
tributi".
Se pure vi derivassero, la riserva allo Stato non sarebbe
legittima in quanto manca la delimitazione temporale, come mostra la
valutazione di tali entrate in 300 milioni annui "dal 2014" e risulta
in ogni caso illegittima la mancata delimitazione della riserva a
quelle che nel d.l. n. 66/2014 possano considerarsi "nuove specifiche
spese di carattere non continuativo".
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 8, commi 4, 6, 7, e 10.
L'art. 8, comma 4, dispone che, "a decorrere dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, le pubbliche amministrazioni
di cui all'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo
2013, n. 33, riducono la spesa per acquisti di beni e servizi, in
ogni settore, per un ammontare complessivo pari a 2.100 milioni di
euro per il 2014 in ragione di: a) 700 milioni di euro da parte delle
regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano; b) 700 milioni
di euro, di cui 340 milioni di euro da parte delle province e citta'
metropolitane e 360 milioni di euro da parte dei comuni; c) 700
milioni di curo, comprensivi della riduzione di cui al comma 11, da
parte delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 11, comma
1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33". Le pubbliche
amministrazioni di cui all'articolo 11, comma 1, d.lgs. n. 33/2013
coincidono con quelle di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001.
L'art. 8, comma 4, stabilisce anche che "le stesse riduzioni si
applicano, in ragione d'anno, a decorrere dal 2015".
Il comma 6 statuisce, poi, che "la determinazione degli obiettivi
di riduzione di spesa per le regioni e le province autonome e'
effettuata con le modalita' di cui all'articolo 46" (peraltro l'art.
46 contiene diverse disposizioni, ragion per cui non e' chiaro a
quale di esse intenda rinviare l'art. 8, comma 6); dal canto suo, il
comma 7 dispone che "la determinazione degli obiettivi di spesa per
le province, i comuni e le citta' metropolitane e' effettuata con le
modalita' di cui all'articolo 47".
Infine, il comma 10 dispone che "le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano possono adottare misure alternative
di contenimento della spesa corrente al fine di conseguire risparmi
comunque non inferiori a quelli derivanti dall'applicazione del comma
4".
I. In primo luogo, i commi 4, 6 e 10 dell'art. 8 violano l'art.
79 dello Statuto, che ad avviso della ricorrente Provincia autonoma
di Trento regola in modo esaustivo i modi in cui la Provincia
concorre "all'assolvimento degli obblighi di carattere finanziario
posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e
dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite
dalla normativa statale" (comma l), al comma 2 stabilisce che "le
misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con
la procedura prevista dall'articolo 104 e fino alla loro eventuale
modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza
pubblica di cui al comma 1" (enfasi aggiunta), e al comma 3 aggiunge
che "non si applicano le misure adottate per le regioni e per gli
altri enti nel restante territorio nazionale". Dunque, l'applicazione
alla Provincia di Trento dell'art. 8, comma 4, che rappresenta una
misura di coordinamento finanziario, si pone in contrasto con l'art.
79 St.
Alla Provincia e' noto che codesta Corte, a partire dalla sent.
n. 221/2013 in poi, ha limitato l'ambito di applicazione dell'art. 79
St., collegandolo al solo patto di stabilita' e dichiarando la
soggezione delle Province autonome ai principi di coordinamento della
finanza pubblica. E' pero' chiaro che l'art. 8, comma 4, non e' una
norma "di materia" avente finalita' di coordinamento finanziario, ma
e' una vera e propria norma di coordinamento diretto della finanza
pubblica. Esso, dunque, non ricadrebbe nell'ambito dell'art. 79,
comma 4, secondo periodo dello Statuto e, dunque, ne risulterebbe
confermata l'inapplicabilita' alla Provincia. Sia tuttavia consentito
sottoporre a codesta Corte una ulteriore riflessione sul significato
da attribuire all'art. 79 St.
Nella sent. n. 221/2013 codesta Corte ha ritenuto che l'art. 79
non regoli anche le misure di coordinamento della finanza pubblica.
Essa ha condiviso la tesi dell'Avvocatura, secondo la quale l'art. 79
"riguarda le modalita' del concorso delle Province autonome agli
obiettivi di finanza pubblica stabiliti con il patto di stabilita'
interno, e non significa che - una volta rispettati i saldi di
bilancio prefissati - la Provincia possa disattendere i principi
generali di coordinamento della finanza pubblica". La "necessita' di
utilizzare il metodo pattizio" sarebbe "espressamente circoscritta
agli obiettivi del patto di stabilita' interno e alla definizione dei
saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo".
La tesi sarebbe anche supportata dal comma 4 dello stesso
articolo, e precisamente dal fatto che, "mentre il primo periodo del
comma 4 del medesimo art. 79 prevede che «le disposizioni statali
relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di
solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto
di stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento alla
regione e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto
previsto dal presente articolo», il successivo periodo - relativo non
al patto di stabilita', ma, piu' in generale, al coordinamento della
finanza pubblica - precisa che «la regione e le province provvedono
alle finalita' di coordinamento della finanza pubblica contenute in
specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando la propria
legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4
e 5» dello Statuto".
Secondo tale decisione, dunque, l'art. 79 dello Statuto speciale
detterebbe "una specifica disciplina riguardante il solo patto di
stabilita' interno", mentre "per le altre disposizioni in materia di
coordinamento della finanza pubblica, la Regione Trentino-Alto Adige
e le Province autonome si conformano alle disposizioni legislative
statali, legiferando entro i limiti stabiliti dallo Statuto, in
particolare agli articoli 4 e 5". Di qui la sentenza trae la
conclusione che "di conseguenza, il citato art. 79 non modifica
l'obbligo della Provincia autonoma di Bolzano di adeguare la sua
legislazione ai principi di coordinamento della finanza pubblica".
Tale giurisprudenza e' stata seguita, tuttavia senza ulteriori
giustificazioni, da ulteriori sentenze: v. le sentt. nn. 127/2014 e
72/2014.
In realta', come alla Provincia autonoma di Trento non sembra si
possa negare ad un ulteriormente approfondito esame della
disposizione, l'art. 79 St. si occupa del coordinamento finanziario
in piu' punti. Esso distingue chiaramente tra norme di coordinamento
finanziario diretto e norme regolatrici delle varie materie con
finalita' di coordinamento finanziario.
L'art. 79, comma 1, prevede che la Provincia faccia fronte agli
obblighi di coordinamento finanziario diretto in diversi modi, e uno
di questi e' il patto di stabilita'. Dunque, il patto di stabilita'
non e' qualcosa di alternativo al coordinamento finanziario ma
contiene regole specifiche di coordinamento finanziario.
Il comma 4, secondo periodo (secondo cui "la regione e le
province provvedono alle finalita' di coordinamento della finanza
pubblica contenute in specifiche disposizioni legislative dello
Stato, adeguando la propria legislazione ai principi costituenti
limiti ai sensi degli articoli 4 e 5"), invece, si occupa delle norme
sulle diverse materie che abbiano finalita' di coordinamento, e per
esse rinvia non ai criteri che valgono per il coordinamento
finanziario relativo alle altre Regioni, ma ai limiti specifici di
ogni materia come indicati dagli artt. 4 e 5 dello Statuto.
Dunque, non risulta esatto affermare - in termini generici - il
vincolo delle Province autonome ai "principi di coordinamento della
finanza pubblica", perche' il vincolo e' espressamente limitato, per
le materie di potesta' primaria, ai limiti di cui all'art. 4 Statuto.
Infatti, i "principi di coordinamento della finanza pubblica"
costituiscono riferimento alla materia concorrente di cui all'art.
117, terzo comma, Cost. ma, se il significato del secondo periodo del
comma 4 dell'art. 79 fosse quello indicato nella sent. n. 221/2013,
non avrebbe senso il riferimento che esso contiene - invece - ai
limiti propri di ciascuna materia provinciale, e dunque per le
competenze primarie ai soli limiti di cui all'art. 4 dello Statuto.
Proprio tale riferimento convince invece che la disposizione del
comma 4, secondo periodo, si riferisce alle norme statali che non
siano direttamente misure di finanza pubblica ma che regolino le
diverse materie con "finalita' di coordinamento della finanza
pubblica": e in relazione a tali norme mantiene la normale ampiezza
della potesta' legislativa provinciale e i normali rapporti tra
legislazione provinciale e legislazione statale.
Dunque, l'art. 79 contiene diverse norme, e fra queste solo il
comma 3 ed il comma 4, primo periodo, concernono specificamente il
patto di stabilita' interno.
Il senso e lo scopo generale della disposizione sono invece
chiariti dal comma 1, che stabilisce chiaramente che "la regione e le
province concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione
e di solidarieta' e all'esercizio dei diritti e dei doveri dagli
stessi derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi di carattere
finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di
stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della
finanza pubblica stabilite dalla normativa statale" nei modi di
seguito specificati. Dunque, l'art. 79 non intende solo definire il
modo in cui la Provincia e lo Stato determinano "gli obblighi
relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi di
bilancio da conseguire in ciascun periodo".
Tali obblighi sono essi stessi - in questa prospettiva - solo una
delle "modalita' di coordinamento della finanza pubblica" con cui la
Provincia concorre all'assolvimento degli obblighi di carattere
finanziario (v. art. 79, comma 1, lett. d); ma l'art. 79 prevede
anche le altre modalita' (lett. a), b) e c) del comma 1), che
complessivamente "costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza
pubblica di cui al comma 1" (art. 79, comma 2, enfasi aggiunta), fra
i quali, appunto, rientrano gli obiettivi posti - come detto - "dalle
altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla
normativa statale".
Dunque, anche all'assolvimento degli obblighi derivanti da tali
"altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla
normativa statale" le Province autonome concorrono (oltre che con le
misure di cui alle lettere a, b e c) "con le modalita' di
coordinamento della finanza pubblica definite al comma 3", ed in
particolare secondo il principio dell'accordo, da esso definito. Ne
consegue che non pare esatto affermare che l'art. 79 "detta una
specifica disciplina riguardante il solo patto di stabilita' interno"
e che le Province autonome restano soggette a tutte le norme statali
recanti principi di coordinamento della finanza pubblica. Come detto
espressamente dallo stesso art. 79, comma 2, la disposizione riguarda
anche e principalmente il concorso agli obiettivi di finanza
pubblica, che rimane disciplinato dallo stesso art. 79, sino a sua
modifica secondo le regole dell'art. 104 Statuto.
Ne risulta l'illegittimita' delle restrizioni apportate dalle
disposizioni impugnate.
In via subordinata, va comunque rilevato che l'art. 8, comma 4,
non rappresenta neppure un principio di coordinamento della finanza
pubblica, in quanto tale disposizione impone un vincolo permanente
("Le stesse riduzioni si applicano, in ragione d'anno, a decorrere
dal 2015") e rigido quanto a risultato quantitativo da raggiungere.
Si puo' ricordare che la sent. n. 193/2012 ha dichiarato illegittimi
l'art. 20, commi 4 e 5, del d.l. n. 98 del 2011, e l'art. 1, comma 8,
del d.l. n. 138 del 2011 perche' facevano venir meno la temporaneita'
dei contributi alla finanza pubblica, e - tramite pronunce
sostitutive - ha limitato i tagli al 2014.
Ed ovviamente la lesione non viene meno per il fatto che ai sensi
del comma 10 la ricorrente Provincia e' autorizzata ad adottare
"misure alternative" di contenimento della spesa corrente, che
producano risparmi "comunque non inferiori": rimane infatti il
meccanismo di permanente limitazione della spesa corrente della
Provincia.
Le disposizioni di cui all'art. 8, comma 4, 6 e 10, dunque,
violano l'autonomia provinciale di spesa e l'art. 117, comma 3, Cost.
II. Quanto sopra esposto si riferisce all'art. 8, commi 4, 6 e
10, nella parte in cui essi limitano la spesa della Provincia,
costringendola a forzosi risparmi.
Qualora, poi, le stesse disposizioni fossero intese - in virtu'
del collegamento con l'art. 50, comma 10 (sul quale v. infra) - nel
senso di imporre una vera e propria sottrazione di risorse alla
Provincia autonoma, mediante la loro acquisizione al bilancio
statale, esse violerebbero anche l'art. 75 dello Statuto, perche'
risorse affluite al bilancio provinciale in esecuzione di tale norma
statutaria sarebbero avocate allo Stato in aperto contrasto con lo
Statuto.
Inoltre, a giustificare tali disposizioni non potrebbe valere
neppure la giurisprudenza costituzionale appena illustrata, perche'
l'art. 8 non si limiterebbe a coordinare la finanza pubblica,
limitando la spesa delle Province, ma disporrebbe una vera e propria
avocazione di risorse dalla Provincia allo Stato. E sembra davvero
evidente che le risorse che lo Statuto, fonte di rango
costituzionale, assegna alla Provincia, non possono essere trasferite
allo Stato mediante fonte avente rango di legge ordinaria, al di
fuori di' quanto previsto dallo Statuto stesso.
Poiche' le norme in questione impongono alla Provincia un
ulteriore contributo alla finanza pubblica in modo unilaterale, in
contrasto con la norma concertata di cui all'art. 79 St. e al di
fuori delle procedure previste dagli artt. 103, 104 e 107 dello
Statuto, l'art. 8, commi 4, 6 e 10, viola anche le norme statutarie
appena citate ed il principio dell'accordo che, come risulta dalla
giurisprudenza costituzionale (v. le sentt. nn. 82/2007, 353/2004,
39/1984, 98/2000, 133/2010), domina il regime dei rapporti finanziari
fra Stato e Regioni speciali. Tale principio emerge chiaramente dal
Titolo VI dello Statuto, dato che le norme di esso sono modificabili
(salva la legge costituzionale di cui' all'art. 103 St., adottata su
parere dei consigli provinciali e regionale) solo "con legge
ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto
di rispettiva competenza, della regione o delle due province" (art.
104) e possono essere attuate e integrate solo con la speciale
procedura paritetica di cui all'art. 107 St. La procedura concertata
di cui all'art. 104 e' stata appunto seguita per le modifiche
apportate dalla legge n. 191/2009 e ora l'art. 79, comma 3, St. ha
codificato il principio consensuale (comunque sempre seguito dalle
leggi statali finanziarie) per la conclusione del patto di
stabilita'. Le sentenze di codesta Corte sopra citate hanno
confermato l'essenzialita' e la generalita' del principio consensuale
nella materia dei rapporti finanziari Stato-Regioni speciali, ed esso
e' stato ribadito anche dall'art. 27 legge n. 42/2009.
In relazione ai comuni situati in provincia di Trento, l'art. 8,
comma 4, lett. b), e comma 7, risulta illegittimo per ragioni
corrispondenti a quelle appena esposte (alle quali, dunque, si rinvia
ad integrazione di quello che ora si dira').
L'art. 79, comma 3, St. dispone che, "fermi restando gli
obiettivi complessivi di finanza pubblica, spetta alle province
stabilire gli obblighi relativi al patto di stabilita' interno e
provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento agli enti
locali", e che "non si applicano le misure adottate per le regioni e
per gli altri enti nel restante territorio nazionale". Dunque, lo
Stato non puo' imporre direttamente tagli di spesa ai comuni
trentini, perche' l'art. 79 St. riserva il potere di coordinamento
finanziario alla Provincia. Si noti che, nel contesto, appare del
tutto ovvio che "le funzioni di coordinamento" di cui si tratta sono,
appunto, le funzioni di coordinamento della finanza pubblica: le
medesime di cui si parla al comma 1.
Inoltre, l'art. 8, comma 4, lett. b) e comma 7, lede anche la
competenza provinciale in materia di finanza locale, prevista dagli
artt. 80 e 81 St. E' da segnalare che l'art. 80 e' stato modificato
dall'art. 1, comma 518, legge n. 147/2013 (approvato ai sensi e per
gli effetti dell'art. 104 dello Statuto di autonomia), e che in forza
di cio' la competenza in questione ha assunto ora carattere primario.
L'art. 80 e' stato attuato dall'art. 17 d.lgs. n. 268/1992, il cui
comma 3 dispone che "nel rispetto delle competenze regionali in
materia di ordinamento dei comuni, le province disciplinano con legge
i criteri per assicurare un equilibrato sviluppo della finanza
comunale, ivi compresi i limiti all'assunzione di personale, le
modalita' di ricorso all'indebitamento, nonche' le procedure per
l'attivita' contrattuale".
E' dunque illegittima la sostituzione della legge statale
nell'esercizio di una competenza propria del legislatore provinciale.
La lesione della competenza provinciale in materia di finanza
locale sarebbe poi aggravata qualora le norme in questione fossero
intese, in virtu' del collegamento con l'art. 50, comma 10, nel senso
di imporre una sottrazione di risorse ai comuni (v. supra): infatti,
le risorse dei comuni provengono in larga misura dalla Provincia (v.
l'art. 81, comma 2, St.).
Ancora, l'art. 8, comma 4, lett. b) e comma 7, viola gli artt.
103, 104 e 107 St. ed il principio dell'accordo in materia
finanziaria, perche' incide unilateralmente sull'autonomia di spesa
dei comuni trentini, in contrasto con il regime finanziario
concertato con la Provincia.
Infine, anche le norme de quibus non sono principi di
coordinamento della finanza pubblica: oltre al carattere permanente
del limite e la sua rigida determinazione quantitativa (gia'
censurati supra), e' da sottolineare che ai comuni non sembra
applicabile l'art. 8, comma 10 ("Le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano possono adottare misure alternative di
contenimento della spesa corrente al fine di conseguire risparmi
comunque non inferiori a quelli derivanti dall'applicazione del comma
4"), e, dunque, il settore in cui operare i tagli risulta vincolato:
cio' implica che le norme in questione limitino una voce di puntuale
di spesa, con ulteriore violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. e
dell'autonomia di spesa comunale.
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 1, 2 e 4-ter.
L'art. 14, comma 1, dispone che, "ad eccezione delle Universita',
degli istituti di formazione, degli enti di ricerca e degli enti del
servizio sanitario nazionale, fermi restando i limiti derivanti dalle
vigenti disposizioni e in particolare le disposizioni di cui
all'articolo 6, comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78,
[...] e all'articolo 1, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n.
101 [...], le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo
l, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, a decorrere
dall'anno 2014, non possono conferire incarichi di consulenza, studio
e ricerca quando la spesa complessiva sostenuta nell'anno per tali
incarichi e' superiore rispetto alla spesa per il personale
dell'amministrazione che conferisce l'incarico, come risultante dal
conto annuale del 2012, al 4,2% per le amministrazioni con spesa di
personale pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all'1,4% per le
amministrazioni con spesa di personale superiore a 5 milioni di
euro".
Analogamente, l'art. 14, comma 2, stabilisce che, "ferme restando
le disposizioni di cui ai commi da 6 a 6-quater dell'articolo 7 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e i limiti previsti
dall'articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78
[...], le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo
1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, con esclusione
delle Universita', degli istituti di formazione, degli enti di
ricerca e degli enti del servizio sanitario nazionale, a decorrere
dall'anno 2014, non possono stipulare contratti di collaborazione
coordinata e continuativa quando la spesa complessiva per tali
contratti e' superiore rispetto alla spesa del personale
dell'amministrazione che conferisce l'incarico come risultante dal
conto annuale del 2012, al 4,5% per le amministrazioni con spesa di
personale pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all'1,1% per le
amministrazioni con spesa di personale superiore a 5 milioni di
euro".
Come si puo' vedere, mentre il gia' censurato art. 8 impone una
riduzione predefinita di spesa, la cui entita' e' fissata in termini
assoluti, l'art. 14, commi 1 e 2, pone all'acquisizione di
prestazioni lavorative esterne un tetto massimo di spesa, determinato
in termini percentuali rispetto alla spesa per il personale
dipendente.
In modo corrispondente a quanto stabilito dall'art. 8, comma 10,
l'art. 14, comma 4-ter, aggiunge che "alle regioni e alle province
autonome di Trento e di Bolzano, alle province e alle citta'
metropolitane e ai comuni, e' comunque concessa, in coerenza e
secondo le modalita' previste al comma 10 dell'articolo 8 e ai commi
5 e 12 dell'articolo 47, la facolta' di rimodulare o adottare misure
alternative di contenimento della spesa corrente, al fine di
conseguire risparmi comunque non inferiori a quelli derivanti
dall'applicazione dei commi 1 e 2 del presente articolo".
La disposizione consente dunque di superare il massimo posto
all'acquisizione di prestazioni esterne, ma impone comunque una
limitazione della spesa.
Dunque, nella sostanza l'art. 14, comma 1, 2 e 4-ter, ha
struttura analoga rispetto alle norme dell'art. 8 gia' impugnate:
anch'esso, infatti, detta norme di coordinamento finanziario diretto
che, qualora ritenute applicabili in provincia di Trento, si pongono
in contrasto con l'art. 79 St., per le ragioni esposte nel punto 2),
sottopunto I.
Inoltre, le norme in questione violerebbero gli artt. 103, 104 e
107 St. ed il principio dell'accordo in materia finanziaria, per i
motivi illustrati sempre nel punto 2. Infine, esse violerebbero anche
l'art. 117, comma 3, Cost. e l'autonomia provinciale di spesa, dato
che anche i limiti di cui all'art. 14 non sono temporanei, in quanto
operano "a decorrere dall'anno 2014" (v. il comma 1 ed il comma 2).
Nella parte in cui le norme in questione si rivolgono agli enti
locali trentini, esse violano gli art. 79, comma 3, 80 e 81 St.,
l'art. 17 d.lgs. n. 268/1992 e gli altri parametri indicati
nell'ultima parte del motivo n. 2, per le ragioni ivi esposte.
Ove poi si dovesse ritenere che il risparmio cosi' imposto alla
Provincia ed ai suoi enti locali non costituisce soltanto una
limitazione della spesa, ma un trasferimento di risorse al bilancio
statale in forza dell'art. 50, comma 10, le impugnate disposizioni di
cui all'art. 14 - in collegamento con quella dell'art. 50, comma 10 -
sarebbero illegittime per le ragioni esposte nel punto 2), sottopunto
II.
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 22, comma 2.
L'art. 22, comma 2 (che sostituisce l'art. 4, comma 5-bis, d.l.
n. 16/2012), prevede che siano individuati con decreto ministeriale
"i comuni nei quali, a decorrere dall'anno di imposta 2014, si
applica l'esenzione di cui alla lettera h) del comma 1 dell'articolo
7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, sulla base
dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)". La norma richiamata
prevede l'esenzione Unici per "i terreni agricoli ricadenti in aree
montane o di collina".
L'art. 22, comma 2, dispone inoltre che "dalle disposizioni di
cui al presente comma deve derivare un maggior gettito complessivo
annuo non inferiore a 350 milioni di euro a decorrere dal medesimo
anno 2014". Da cio' si ricava che il d.m. deve ridurre i comuni
esenti, cioe' qualificare forzosamente non montani o non collinari
comuni che prima erano considerati tali.
La disposizione dispone poi che tale maggior gettito sia
recuperato allo Stato, con modalita' differenziate tra i comuni delle
Regioni ordinarie (e Sicilia e Sardegna) e i comuni delle regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle province autonome di
Trento e di Bolzano: per questi, il recupero avviene "in sede di
attuazione del comma 17 dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre
2011, n. 201".
L'art. 13 d.l. n. 201/2011 regola l'Anticipazione sperimentale
dell'Imu ed il comma 17 dispone che "con le procedure previste
dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le Province autonome
di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero al bilancio statale
del predetto maggior gettito stimato dei comuni ricadenti nel proprio
territorio", aggiungendo pero' che, "fino all'emanazione delle norme
di attuazione di cui allo stesso articolo 27, a valere sulle quote di
compartecipazione ai tributi erariali, e' accantonato un importo pari
al maggior gettito stimato di cui al precedente periodo".
L'art. 22, comma 2, e' impugnato nella parte in cui prevede una
riduzione dei comuni esenti, in quella in cui dispone che il maggior
gettito e' avocato al bilancio dello Stato e nella parte in cui
dispone che il recupero del maggior gettito sia "operato, [...] per i
comuni delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle
province autonome di Trento e di Bolzano, in sede di attuazione del
comma 17 dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201".
La riserva allo Stato di parte del gettito Imu ed il meccanismo
dell'accantonamento sulle quote di compartecipazione ai tributi
erariali spettanti alle Province autonome sono gia' stati contestati
piu' volte da questa Provincia, mediante impugnazione del predetto
art. 13, comma 17, d.l. n. 201/2011 (ricorso n. 34/2012), dell'art.
1, comma 380, lett. h) legge n. 228/2012 (ricorso n. 35/2013), del
d.l. n. 102/2013 (ricorso n. 3/2014), del d.l. n. 133/2013 (ricorso
n. 29/2014) e della legge n. 147/2013 (ricorso n. 14/2014). L'art.
22, comma 2, nella parte in cui prevede l'avocazione del maggior
gettito e ribadisce l'applicazione del meccanismo in questione,
risulta illegittimo per le ragioni gia' esposte nei precedenti
ricorsi, che qui sostanzialmente si riproporranno, precisando che la
sostituzione dell'art. 80 St. ad opera dell'art. 1, comma 518, legge
n. 147/2013 non fa che avvalorare tali censure, dato che la
competenza statutaria provinciale in materia di finanza locale ha ora
assunto rango primario.
In primo luogo, pero', l'art. 22, comma 2, e' illegittimo nella
parte in cui prevede una riduzione dei comuni esenti, per invasione
della potesta' legislativa primaria della Provincia in materia di
tributi locali. Infatti, l'art. 80 dello Statuto (come modificato
dall'art. 1, comma 518, legge n. 147/2013) stabilisce quanto segue:
"1. Le province hanno competenza legislativa in materia di finanza
locale. 2. Nelle materie di competenza, le province possono istituire
nuovi tributi locali. La legge provinciale disciplina i predetti
tributi e i tributi locali comunali di natura immobiliare istituiti
con legge statale, anche in deroga alla medesima legge, definendone
le modalita' di riscossione e puo' consentire agli enti locali di
modificare le aliquote e di introdurre esenzioni, detrazioni e
deduzioni. [...] 4. La potesta' legislativa nelle materie di cui ai
commi 1 e 2 del presente articolo e' esercitata nel rispetto
dell'articolo 4 e dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione
europea".
Dunque, le esenzioni in materia di Ici (ora di Imu) ricadono
chiaramente nella competenza legislativa primaria della Provincia di
Trento. L'art. 80 menziona espressamente l'introduzione delle
esenzioni ma pare ovvio che la competenza provinciale si estende
anche alla eliminazione di una precedente esenzione, come nel caso
della norma qui impugnata. E' percio' del tutto illegittimo che lo
Stato, addirittura con un d.m. non regolamentare, vada ad incidere
sul regime delle esenzioni dall'Ici nei comuni trentini: l'uso del
d.m. implica anche violazione dell'art. 2 d.lgs. n. 266/1992, sia per
la diretta applicabilita' di esso sia perche' l'art. 2, d.lgs. n.
266/1992 preclude atti statali non legislativi nelle materie
provinciali.
Che poi la finanza locale sia materia provinciale non puo' certo
essere dubitato. Essa lo era anche prima della modifica dell'art. 80
Statuto, ma il nuovo testo, oltre a trasformarla in materia di
potesta' primaria, ne definisce meglio l'ambito.
L'art. 80 St., infatti, attribuisce ora al "sistema provinciale"
una nuova competenza, che consente di scegliere una manovra fiscale
complessiva, idonea a favorire la crescita del sistema economico
locale. Tale competenza e' compromessa se lo Stato riduce esso,
arbitrariamente, le esenzioni di un tributo locale. E' chiaro,
infatti, che Provincia e comuni devono tener conto del carico fiscale
dei cittadini, nel momento in cui modulano i tributi locali.
E' chiara dunque la violazione dell'art. 80 dello Statuto.
L'art. 22, comma 2, e' poi illegittimo nella parte in cui prevede
il "recupero del maggior gettito" a favore dello Stato (quarto
periodo del nuovo art. 4, comma 5-bis, d.l. n. 16/2012). Tale norma
viola sia il succitato art. 80 dello Statuto, perche' si sostituisce
alla legge provinciale nella disciplina di un tributo di competenza
provinciale primaria, sia l'art. 81, comma 2, dello Statuto ("Allo
scopo di adeguare le finanze dei comuni al raggiungimento delle
finalita' e all'esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi, le
province di Trento e di Bolzano corrispondono ai consumi stessi
idonei mezzi finanziari, da concordare fra il Presidente della
relativa Provincia ed una rappresentanza unitaria dei rispettivi
comuni"), perche' la sottrazione ai comuni di risorse ad essi
destinate incide sulla finanza comunale, che fa parte della "finanza
allargata" delle Province autonome. In altre parole, qualunque
manovra statale riguardante la finanza comunale ha ripercussioni
sull'autonomia finanziaria della Provincia, che deve far fronte ai
bisogni finanziari dei comuni.
Cio' risulta chiaramente dallo stesso art. 22, comma 2, che -
dopo aver previsto il recupero allo Stato del maggior gettito -
dispone che, nelle autonomie speciali dotate di competenza in materia
di finanza locale, tale recupero avvenga mediante il meccanismo
dell'accantonamento sulle quote di compartecipazione ai tributi
erariali spettanti alle Province autonome. In sostanza, lo Stato
prevede un maggior gettito di un tributo locale, dispone l'avocazione
a se' di tale maggior gettito ma poi pretende di trattenere le
corrispondenti risorse sugli importi che spettano alla Provincia in
base allo Statuto.
La previsione dell'accantonamento si pone chiaramente in
contrasto con l'art. 75 dello Statuto e con l'art. 9 d.lgs. n.
268/1992, perche' pretende di avocare allo Stato risorse di spettanza
provinciale, al di fuori dei casi previsti. Non sussiste, infatti,
alcuna delle condizioni di cui all'art. 9 d.lgs. n. 268/1992: il
maggior gettito non deriva "da maggiorazioni di aliquote o
dall'istituzione di nuovi tributi" (ma dalla esclusione di alcuni
comuni dall'esenzione), non e' destinato per legge alla copertura "di
nuove specifiche spese", non e' temporalmente delimitato ("a
decorrere dal... 2014") e non e' "contabilizzato distintamente nel
bilancio statale".
E' evidente che le risorse che lo Statuto prevede come entrate
provinciali sono cosi' stabilite perche' esse vengano utilizzate
dalla Provincia per lo svolgimento delle sue funzioni costituzionali,
e non perche' esse vengano "accantonate". L'istituto
dell'accantonamento non ha nel sistema statutario cittadinanza
alcuna.
Inoltre, l'art. 22, comma 2, viola l'art. 79 St. perche'
l'avocazione e' disposta con il fine del concorso agli obiettivi di
finanza pubblica, mentre la norma statutaria configura un sistema
completo di concorso delle Province a tali obiettivi, non derogabile
se non con le modalita' previste dallo Statuto, come testualmente
afferma l'art. 79, comma 2. Statuto (v. altresi' il motivo n. 2,
sottopunto I).
Ancora, la norma impugnata viola il principio dell'accordo che
regola i rapporti fra Stato e Regioni speciali in materia finanziaria
(v. il motivo n. 2, sottopunto II).
L'art. 22, comma 2, viola poi gli artt. 103, 104 e 107 St.,
proprio perche' pretende di derogare agli artt. 75 e 79 St. e al
d.lgs. n. 268/1992 con una fonte primaria "ordinaria".
L'art. 107 St. e' violato anche perche' l'art. 13, comma 17, d.l.
n. 201/2011 (richiamato dalla norma qui impugnata) pretende di
vincolare unilateralmente il contenuto delle norme di attuazione.
Infine, l'art. 22, comma 2, viola sostanzialmente anche l'art.
75, lett. g), dello Statuto, che attribuisce alla Provincia "i nove
decimi di tutte le altre entrate tributarie erariali, dirette o
indirette, comunque denominate". Infatti, anche se la norma impugnata
adotta un meccanismo elusivo ed irragionevole (v. intra), la realta'
e' che una quota dell'Imu (relativa a certi terreni e a certi comuni)
e' riservata allo Stato e, dunque, e' un'entrata "erariale". Infatti,
se una quota di Imu e' riservata allo Stato, essa rientra tra le
"entrate tributarie erariali, dirette o indirette, comunque
denominate", di cui all'art. 75, comma 1, lett. g), St., il cui senso
e' esattamente quello di riservare al sistema locale i nove decimi di
tutte le entrate tributarie destinate in via generale allo Stato.
In questi termini, i nove decimi del maggior gettito dovrebbero
spettare alla Provincia, ai sensi dell'art. 75 Statuto: percio'
l'art. 22, comma 2, si pone in contrasto con l'art. 75, comma 1,
lett. g) dello Statuto.
Sia consentito, da ultimo, evidenziare la complessiva
irragionevolezza del meccanismo predisposto dall'art. 22, comma 2.
Mentre le norme impugnate con i ricorsi di questa Provincia sopra
citati prevedevano il versamento di parte dell'Imu allo Stato, con
depauperamento diretto dei comuni e indiretto della Provincia, la
norma de qua dispone un maggior gettito Imu ma, irragionevolmente,
stabilisce che lo Stato riceva l'importo corrispondente dalla
Provincia. Poiche' non c'e' alcuna ragione logica che possa
giustificare tale meccanismo, la norma risulta irragionevole, con
ulteriore lesione indiretta dell'autonomia legislativa e finanziaria
della Provincia (artt. 80 e 81 St.).
5) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 46, commi 1, 2, 3 e 6.
I. L'art. 46, comma 1, stabilisce che "le Regioni a statuto
speciale e le province autonome, in conseguenza dell'adeguamento dei
propri ordinamenti ai principi di coordinamento della finanza
pubblica, introdotti dal presente decreto, assicurano un contributo
alla finanza pubblica pari a quanto previsto nei commi 2 e 3".
Come si vede, il comma 1 non ha di per se' un contenuto autonomo,
limitandosi a "qualificare" il "contributo alla finanza pubblica"
previsto dai commi 2 e 3 come "conseguenza dell'adeguamento dei
propri ordinamenti ai principi di coordinamento della finanza
pubblica".
Ora, sulla problematica generale del rapporto tra lo Statuto, ed
in particolare l'art. 79, e la questione del coordinamento della
finanza pubblica sia consentito di rinviare alle ragioni gia' esposte
nel motivo n. 2 (sottopunto I) del presente ricorso.
Comunque sia di queste, pero', i commi 2 e 3 sono autonomamente
illegittimi per le ragioni di seguito esposte.
II. Il comma 2 modifica l'art. 1, comma 454, legge n. 228/2012.
In particolare, e' sostituita la Tabella di cui al comma 454, lett.
d), che ora prevede, per le Province autonome, un aumento del saldo
programmatico dell'esercizio 2011 di 42 milioni per l'anno 2014 e di
59 milioni per gli anni dal 2015 al 2017 (prima il comma 454, dopo la
modifica operata dal comma 499 dell'art. 1 della legge n. 147/2013,
prevedeva, rispettivamente, un aumento di 25 e di 34 milioni). Il
comma 454 si riferisce anche alle Province autonome in virtu' di
quanto disposto dall'art. 1, comma 455, legge n. 228/2012, come
modificato dall'art. 1, comma 500, legge n. 147/2013.
La ricorrente Provincia autonoma ha gia' impugnato, nel gia'
ricordato ricorso avverso la legge n. 147/2013, sia il comma 499 che
il comma 500 dell'art. 1 legge n. 147/2013. L'art. 46, comma 2,
aggrava la lesione prodotta dalle suddette norme, dal punto di vista
quantitativo, ed e' dunque affetto dai medesimi vizi.
L'accoglimento delle censure prospettate nei precedenti ricorsi
priverebbe quanto ora previsto dall'art. 46, comma 2, del d.l. n. 66
del 2014 del proprio oggetto e del proprio contesto normativo,
rendendolo inapplicabile.
Per tuziorismo, si riportano comunque, riferendole ad esso, le
censure gia' rivolte all'art. 1, comma 499 e 500, legge n. 147/2013,
a loro volta corrispondenti a quelle rivolte alla versione originaria
del comma 455 (e 456) nel ricorso n. 35/2013:
Il comma 455 dispone che, "al fine di assicurare il concorso agli
obiettivi di finanza pubblica, la regione Trentino-Alto Adige e le
province autonome di Trento e di Bolzano concordano con il Ministro
dell'economia e delle finanze, per ciascuno degli anni dal 2013 al
2016, il saldo programmatico calcolato in termini di competenza
mista, determinato aumentando il saldo programmatico dell'esercizio
2011: a) degli importi indicati per il 2013 nella tabella di cui
all'articolo 32, comma 10, della legge 12 novembre 2011, n. 183; b)
del contributo previsto dall'articolo 28, comma 3, del decreto-legge
6 dicembre 2011, n. 201... come rideterminato dall'articolo 35, comma
4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1,... e dall'articolo 4,
comma 11, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16...; c) degli importi
indicati nel decreto del Ministero dell'economia e delle finanze,
relativi al 2013, 2014, 2015 e 2016 [ora anche 2017], emanato in
attuazione dell'articolo 16, comma 3, del decreto-legge 6 luglio
2012, n. 95,...; [ora anche "d) degli importi indicati nella tabella
di cui al comma 454"] d) [ora d-bis)] degli ulteriori contributi
disposti a carico delle autonomie speciali". A tale fine, "entro il
31 marzo di ciascun anno, il presidente dell'ente trasmette la
proposta di accordo al Ministro dell'economia e delle finanze".
Il comma 456 stabilisce che, "in caso di mancato accordo di cui
ai commi 454 e 455 entro il 31 luglio, ... gli obiettivi della
regione Trentino-Alto Adige e delle province autonome di Trento e di
Bolzano sono determinati applicando agli obiettivi definiti
nell'accordo relativo al 2011 i contributi previsti dal comma 455".
Dunque, il comma 455 prevede in teoria l'accordo tra la Provincia
ed il Ministro dell'economia e delle finanze per il patto di
stabilita', ma in realta' stabilisce unilateralmente che il saldo
programmatico "determinato aumentando il saldo programmatico
dell'esercizio 2011" dei contributi previsti da alcune leggi. Il
comma 456 conferma il carattere illusorio della determinazione
concordata del patto, in quanto rende facoltativo l'accordo.
I commi 455 e 456 violano, in primo luogo, l'art. 79, comma 3,
primo periodo dello Statuto (secondo il quale "al fine di assicurare
il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regione e le
province concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli
obblighi relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai
saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo"), che assicura la
natura pattizia della regolazione degli obblighi relativi al patto di
stabilita' interno.
Inoltre, essi violano il principio dell'accordo in materia
finanziaria, risultante dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze
n. 82 del 2007, n. 353 del 2004, n. 39 del 1984, n. 98 del 2000 e n.
133 del 2010)" [su cio' v. il punto 2, sottopunto II, del presente
ricorso].
Risulta dunque evidente, per i motivi indicati, l'illegittimita'
costituzionale anche dell'art. 46, comma 2, d.l. n. 66/2014, in
quanto utilizza i medesimi illegittimi meccanismi normativi.
III. Il comma 3 dell'art. 46 sostituisce l'art. 1, comma 526,
legge n. 147/2013, gia' impugnato da questa Provincia. Nel testo
modificato la disposizione stabilisce che, "con le procedure previste
dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni a
statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano
assicurano un ulteriore concorso alla finanza pubblica per l'importo
complessivo di 440 milioni di euro per l'anno 2014 e di 300 milioni
di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017", e che, "fino
all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto articolo
27, l'importo del concorso complessivo di cui al primo periodo del
presente comma e' accantonato, a valere sulle quote di
compartecipazione ai tributi erariali, secondo gli importi indicati,
per ciascuna regione a statuto speciale e provincia autonoma, nella
tabella seguente [...]", dalla quale risulta, per la Provincia di
Trento, un importo di 36.507.000 e per il 2014 e di 24.891.000 ?¬ per
gli anni 2015-2017. La nuova norma, dunque, aggrava la lesione
arrecata dall'originario art. 1, comma 526, sia dal punto di vista
temporale (il comma 526 riguardava solo il 2014, mentre ora a questo
si aggiungono ulteriori tre anni) sia da quello quantitativo (la
tabella prevedeva, per la Provincia di Trento e per il 2014, un
accantonamento di 19.913.000 euro). Contro di esso, dunque, valgono
le censure gia' svolte contro l'art. l, comma 526, legge n. 147/2013,
che di seguito comunque si riformulano.
In effetti, anche il nuovo comma 526 prevede una riduzione di
spesa a carico delle Regioni speciali ed un rinvio alle norme di
attuazione per l'attuazione di tale previsione; inoltre, esso dispone
sempre - in attesa delle norme di attuazione - un accantonamento
sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali e reca una
tabella che determina la somma da accantonare.
Esso dunque viola gli artt. 75, 79, 103, 104 e 107 dello Statuto
speciale, il principio dell'accordo in materia finanziaria e l'art.
2, comma 108, legge n. 191/2009.
E' innanzi tutto violato l'art. 79 St., per i motivi gia' esposti
nel punto 2, sottopunto I, del presente ricorso, in quanto si dispone
un concorso della Provincia al risanamento della finanza statale, al
di la' di quanto previsto dalla norma statutaria, che definisce in
modo esaustivo gli strumenti con cui la Provincia concorre agli
obiettivi di finanza pubblica. Indipendentemente da cio', il comma
526 (come modificato dall'art. 46, comma 3, d.l. n. 66/2014) altera
unilateralmente l'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e
Provincia di Trento, violando il principio dell'accordo che domina
tali rapporti e gli artt. 103, 104 e 107 dello Statuto, per i motivi
gia' esposti nel punto 2, sottopunto II, del presente ricorso.
Anche il rinvio alle norme di attuazione e' illegittimo, in
quanto l'art. 79 e' modificabile solo con la procedura di cui
all'art. 104 St. e non in sede di attuazione. Inoltre, la norma in
questione determina (illegittimamente) un vincolo di contenuto per le
norme di attuazione, per cui il rinvio alla fonte "concertata" appare
fittizio e contrasta con l'art. 107 St.
Infine, la previsione dell'accantonamento viola l'art. 75, dato
che le somme da esso garantite alla Provincia vengono indebitamente
ridotte. Esso viola altresi' l'art. 2, comma 108, legge n. 191/2009
(approvato ai sensi dell'art. 104 St.: v. l'art. 2, comma 106, legge
n. 191/2009), che, nel dare attuazione all'art. 75 St., ha stabilito
che "le quote dei proventi erariali spettanti alla regione
Trentino-Alto Adige/Südtirol e alle province autonome di Trento e di
Bolzano ai sensi degli articoli 69, 70 e 75" dello Statuto, "a
decorrere dal 1° gennaio 2011, sono riversate dalla struttura di
gestione individuata dall'articolo 22 del decreto legislativo 9
luglio 1997, n. 241, per i tributi oggetto di versamento unificato e
di compensazione, e dai soggetti a cui affluiscono, per gli altri
tributi, direttamente alla regione e alle province autonome sul conto
infruttifero, intestato ai medesimi enti, istituito presso la
tesoreria provinciale dello Stato, nei modi e nei tempi da definire
con apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze,
adottato previa intesa con la regione e le province autonome".
Sono dunque lesivi e costituzionalmente illegittimi sia il
principio stesso del trasferimento di risorse provinciali allo Stato,
sia le modalita' applicative, nei termini sopra esposti.
Va espressamente notato che, benche' la rubrica dell'art. 46
parli di concorso delle regioni e delle province autonome alla
"riduzione della spesa pubblica", la previsione dell'accantonamento
si traduce - ben oltre la semplice riduzione - in una forzosa
acquisizione allo Stato delle risorse che lo statuto di autonomia
garantisce alla Provincia autonoma. Tale, e non altro, e' infatti il
significato del passaggio di risorse da tali autonomie speciali allo
Stato. La lesione si raddoppia: alla violazione dell'autonomia di
spesa si somma l'illegittima sottrazione di risorse.
E' dunque costituzionalmente illegittimo - per diretta violazione
dell'art. 75 dello Statuto - il principio stesso di tale
acquisizione. Infatti l'art. 75 St. attribuisce alle Province quote
del gettito di determinate entrate tributarie dello Stato, percepite
nei rispettivi territori provinciali, e poi "nove decimi di tutte le
altre entrate tributarie erariali, dirette o indirette, comunque
denominate" (comma 1, lett. g), affinche' queste vengano spese
nell'esercizio delle funzioni e competenze costituzionali della
Provincia stessa, e non affinche' lo Stato ne possa disporre a suo
piacimento.
Oltre a prevedere unilateralmente un ulteriore concorso alla
finanza pubblica, in violazione dell'art. 79 St., a predeterminare il
contenuto delle norme di attuazione (in contrasto con l'art. 107 St.)
e a disporre un accantonamento (in contrasto con l'art. 75 St.), il
comma 526 non precisa il criterio di riparto dell'ulteriore concorso
tra le diverse autonomie speciali e, in tal modo, non consente una
verifica di proporzionalita' del riparto stesso. In subordine alle
censure principali va percio' rilevato che, cosi' operando, il comma
526 viola l'art. 3 Cost. (principio di ragionevolezza) e che tale
violazione si traduce in una lesione dell'autonomia finanziaria della
Provincia.
IV. L'art. 46, comma 6, d.l. n. 66/2014 dispone che "le Regioni e
le Province autonome di Trento e Bolzano, in conseguenza
dell'adeguamento dei propri ordinamenti ai principi di coordinamento
della finanza pubblica introdotti dal presente decreto e a valere sui
risparmi derivanti dalle disposizioni ad esse direttamente
applicabili ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, della
Costituzione, assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a
500 milioni di euro per l'anno 2014 e di 750 milioni di euro per
ciascuno degli anni dal 2015 al 2017, in ambiti di spesa e per
importi proposti in sede di autocoordinamento dalle regioni e
province autonome medesime, tenendo anche conto del rispetto dei
tempi di pagamento stabiliti dalla direttiva 2011/7/UE, nonche'
dell'incidenza degli acquisti centralizzati, da recepire con Intesa
sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31
maggio 2014, con riferimento all'anno 2014 ed entro il 31 ottobre
2014, con riferimento agli anni 2015 e seguenti". Dispone inoltre che
in assenza "di tale intesa entro i predetti termini, con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottarsi, previa
deliberazione del Consiglio dei ministri, entro 20 giorni dalla
scadenza dei predetti termini, i richiamati importi sono assegnati ad
ambiti di spesa ed attribuiti alle singoli regioni e Province
autonome di Trento e Bolzano, tenendo anche conto del Pil e della
popolazione residente, e sono eventualmente rideterminati i livelli
di finanziamento degli ambiti individuati e le modalita' di
acquisizione delle risorse da parte dello Stato".
Tale disposizione e' stata attuata, con riferimento al 2014, con
intesa del 29 maggio 2014, recepita con d.m. del 26 giugno 2014, in
base al quale, "per l'anno 2014, il contributo delle Regioni a
statuto ordinario in termini di saldo netto da finanziare per un
importo complessivamente pari a 500 milioni di euro, ai sensi
dell'art. 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, e'
realizzato mediante la riduzione delle seguenti risorse: a) risorse
destinate all'acquisto di materiale rotabile su gomma e di materiale
rotabile ferroviario, nonche' di vaporetti e ferry-boat... per 300
milioni di euro; b) Fondo per lo sviluppo e la coesione... sulla
programmazione 2007-2013 per 200 milioni di euro".
Dunque, l'art. 46, comma 6, contemplerebbe un contributo anche
delle Regioni speciali ma, con riferimento al 2014, gli atti
attuativi hanno previsto solo un contributo delle Regioni ordinarie:
probabilmente essendosi resi conto, in sede di attuazione, che
l'ulteriore inclusione delle autonomie speciali era dovuto ad un
lapsus del legislatore, data l'evidente duplicazione - che altrimenti
si sarebbe verificata - con la contribuzione gia' prevista per esse
dal comma 3.
In ogni modo, la previsione dell'art. 46, comma 6, e' essa stessa
illegittima, nella parte in cui include la Provincia autonoma di
Trento, sotto diversi profili.
Intanto, la' dove presuppone la soggezione della Provincia di
Trento ai "principi di coordinamento della finanza pubblica,
introdotti dal presente decreto", e' illegittima per le ragioni gia'
esposte nel motivo n. 2 (sottopunto I) del presente ricorso.
In secondo luogo, essa, la' dove menziona le "disposizioni ad
esse direttamente applicabili ai sensi dell'articolo 117, comma
secondo, della Costituzione", viola l'art. 10 l. cost. 3/2001, in
base al quale le disposizioni della l. cost. 3/2001 si applicano alle
Regioni speciali solo la' dove siano piu' favorevoli. Poiche' l'art.
117, comma 2, Cost. prevede le materie di competenza esclusiva
statale, in termini generali e' a priori escluso che esso sia
applicabile alle Regioni speciali. Per essere poi piu' precisi, esso
e' suscettibile di applicarsi alle autonomie speciali quando le
competenze statali siano soltanto il risvolto negativo di una nuova
competenza derivante alle autonomie speciali dalla riforma del Titolo
V del 2001: ma e' chiaro che il legislatore del d.l. n. 66/2014 non
aveva in mente simili sottigliezze, e si riferiva illegittimamente a
competenze statali esercitabili come tali in qualunque degli ambiti
di cui all'art. 117, secondo comma, Cost.
L'art. 46, comma 6, poi, viola l'art. 79 St. perche' prevede un
ulteriore contributo alla finanza pubblica da parte della Provincia
di Trento, al di la' di quanto previsto, in termini esaustivi,
dall'art. 79 stesso in relazione al concorso provinciale agli
obiettivi di finanza pubblica (v. il punto 2, sottopunto I, del
presente ricorso). Inoltre, la norma in questione altera
unilateralmente l'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e
Provincia di Trento, violando il principio dell'accordo che domina
tali rapporti e gli artt. 103, 104 e 107 dello Statuto, per i motivi
gia' esposti nel punto 2, sottopunto II, del presente ricorso.
Ne' tale conclusione potrebbe essere mutata per il fatto che il
d.P.C.m. di cui all'ultimo periodo dell'art. 46, comma 6, deve tener
conto "del Pil e della popolazione residente", potendo dunque avere
anche carattere perequativo. Infatti, l'art. 79 dello Statuto regola
anche gli strumenti con cui le Province "concorrono al conseguimento
degli obiettivi di perequnione e di solidarieta' e all'esercizio dei
diritti e dei doveri dagli stessi derivanti". Dunque, l'art. 46,
comma 6, contrasta in particolare con l'art. 79, comma 1, dello
Statuto speciale, in quanto, introducendo ulteriori forme di concorso
alla finanza pubblica ed una ulteriore intesa per la quantificazione
del rispettivo concorso a livello regionale, anche a fini
perequativi, non e' compatibile con l'accordo gia' concluso a norma
dell'articolo 104 dello Statuto speciale, anche per il concorso al
conseguimento degli obiettivi di perequazione ai sensi del predetto
comma 1 dell'articolo 79 dello Statuto.
Ulteriormente, ed in subordine a quanto ora detto, e' illegittima
la previsione di termini decorsi i quali passa direttamente allo
Stato il potere di unilaterale decisione degli stessi oggetti rimessi
all'intesa. Si tratta infatti di una previsione che rende totalmente
virtuale la stessa previsione dell'intesa, e rimette in realta' ogni
decisione allo Stato. Ne' tale passaggio di poteri puo' giustificarsi
in forza dell'art. 120 Cost., sia per difetto dei relativi
presupposti (non essendo affatto in gioco l'unita' giuridica o
economica del paese), sia in quanto - come codesta ecc.ma Corte cost.
ha sottolineato - lo stesso art. 120 si applica alla ricorrente
Provincia solo al di fuori delle materie di garanzia diretta dello
Statuto, acquisite in forza del riformato Titolo V (sent. n.
236/2004).
E' da sottolineare che, secondo l'ultimo periodo dell'art. 46,
comma 6, in mancanza di intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni,
lo Stato non solo determina gli importi spettanti alle singole
regioni ma li assegna anche "ad ambiti di spesa", cosi condizionando
in modo ancora piu' grave l'autonomia di spesa della Provincia, in
contrasto anche con l'art. 117, comma 3, Cost., in base al quale lo
Stato non puo', in sede di coordinamento finanziario, limitare
specifiche voci di spesa.
Inoltre, la previsione del d.P.C.m. in questione implica una
violazione dell'art. 117, comma 6, Cost. e dell'art. 2 d.lgs. n.
266/1992, che precludono l'adozione di atti statali sublegislativi
nelle materie di competenza concorrente (come e' il coordinamento
della finanza pubblica). Ancora, l'ultimo periodo dell'art. 46, comma
6, viola il principio di leale collaborazione la' dove non prevede
che l'adozione del d.P.C.m. avvenga con il coinvolgimento delle
Regioni.
Si sono sin qui contestate talune delle previsioni dell'art. 46,
comma 6, in quanto esse impongono un "contributo alla finanza
pubblica" in termini di riduzione di spesa. Tuttavia, la parte finale
della disposizione, la' dove fa riferimento alla rideterminazione dei
"livelli di finanziamento degli ambiti individuati" e alle "modalita'
di acquisizione delle risorse da parte dello Stato", induce a pensare
che la disposizione potrebbe intendere tali riduzioni di spesa come
trasferimenti di risorse al bilancio dello Stato.
In questo caso, la norma sarebbe ulteriormente ed ancor piu'
gravemente illegittima per violazione dell'art. 75 dello Statuto,
anche in collegamento con l'art. 79, in quanto questo definisce le
misure con le quali la Provincia autonoma concorre "agli obiettivi di
finanza pubblica" (comma 2), e di tutte le ulteriori disposizioni che
assicurano le entrate e l'autonomia finanziaria della ricorrente
Provincia.
6) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 47, commi 8, 9, 11 e
12.
L'art. 47 regola il Concorso delle province, delle citta'
metropolitane e dei comuni alla riduzione della spesa pubblica. Per
la provincia di Trento, tale disposizione - qualora ritenuta
applicabile nonostante la clausola di salvaguardia di cui all'art.
50-bis - rileva solo in relazione ai comuni.
Il comma 8 dell'art. 47 dispone che "i comuni, a valere sui
risparmi connessi alle misure indicate al comma 9, assicurano un
contributo alla finanza pubblica pari a 375,6 milioni di euro per
l'anno 2014 e 563,4 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015
al 2017", e che, "a tal fine, il fondo di solidarieta' comunale, come
determinato ai sensi dell'articolo 1, comma 380-ter della legge 24
dicembre 2012, n. 228, e' ridotto di 375,6 milioni di curo per l'anno
2014 e di 563,4 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al
2017".
In base al comma 9, "gli importi delle riduzioni di spesa e le
conseguenti riduzioni di cui al comma 8 per ciascun comune sono
determinati con decreto del Ministro dell'interno da emanare entro il
termine del 30 giugno, per l'anno 2014 e del 28 febbraio per gli anni
successivi, sulla base dei seguenti criteri: a) per quanto attiene
agli interventi di cui all'articolo 8, relativi alla riduzione della
spesa per beni e servizi, la riduzione e' operata nella misura
complessiva di 360 milioni di euro per il 2014 e di 540 milioni di
curo per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017, proporzionalmente alla
spesa media, sostenuta nell'ultimo triennio, relativa ai codici SIOPE
indicati nella tabella A allegata al presente decreto [...]; b) per
quanto attiene agli interventi di cui all'articolo 15, relativi alla
riduzione della spesa per autovetture di 1,6 milioni di curo, per
l'anno 2014, e di 2,4 milioni di curo per ciascuno degli anni dal
2015 al 2017, la riduzione e' operata in proporzione al numero di
autovetture possedute da ciascun comune comunicato annualmente al
Ministero dell'interno dal Dipartimento della Funzione Pubblica; c)
per quanto attiene agli interventi di cui all'articolo 14 relativi
alla riduzione della spesa per incarichi di consulenza, studio e
ricerca e per i contratti di collaborazione coordinata e
continuativa, di 14 milioni di curo, per l'anno 2014 e di 21 milioni
di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017, la riduzione e'
operata in proporzione alla spesa comunicata al Ministero
dell'interno dal Dipartimento della Funzione Pubblica".
Il comma 11 statuisce che, "in caso di incapienza, sulla base dei
dati comunicati dal Ministero dell'interno, l'Agenzia delle Entrate
provvede al recupero delle predette somme nei confronti dei comuni
interessati all'atto del riversamento agli stessi comuni dell'imposta
municipale propria di cui all'articolo 13 del decreto-legge 6
dicembre 2011, n. 201". Le somme "recuperate sono versate ad apposito
capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato ai fini della
successiva riassegnazione al pertinente capitolo dello stato di
previsione del Ministero dell'interno".
Infine, il comma 12 dispone che "i Comuni possono rimodulare o
adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente, al
fine di conseguire risparmi comunque non inferiori a quelli derivanti
dall'applicazione del comma 9".
Sembra in primo luogo evidente che, applicando le normali regole
di interpretazione, le disposizioni sopra esposte non sono destinate
ad applicarsi ai comuni trentini, la cui condizione di specialita',
sotto il profilo della regolazione della finanza, deriva dalla gia'
illustrata competenza primaria della Provincia, disposta dagli artt.
79, comma 3, 80 e 81 dello Statuto.
Tale interpretazione e' poi avvalorata, oltre che dalla clausola
di salvaguardia di cui all'art. 50-bis, dal fatto che il Fondo di
solidarieta' (che, in base all'art. 47, comma 8, si riduce in modo
corrispondente ai risparmi imposti ai comuni) non e' destinato ai
comuni della provincia di Trento (v. l'art. 1, comma 382, legge n.
228/2012: "Entro il 28 febbraio 2013 il Ministero dell'interno eroga
ai comuni delle Regioni a statuto ordinario ed ai comuni della
Regione Siciliana e della Regione Sardegna un importo, a titolo di
anticipo su quanto spettante per l'anno 2013 a titolo di Fondo di
solidarieta' comunale").
Dunque, i commi 8, 9, 11 e 12 dell'art. 47 sono qui impugnati in
via meramente prudenziale, qualora si ritenga che il comma 8,
riferendosi genericamente ai "comuni", sia applicabile anche ai
comuni trentini.
In questo caso, sarebbe chiaro il contrasto tra le norme
impugnate e l'art. 79, comma 3, dello Statuto speciale. Infatti, le
norme sopra riportate impongono ai comuni di operare una riduzione
delle spese la cui entita' e' determinata nel complesso dalla stessa
legge, e sara' determinata per i singoli enti locali da un decreto
del Ministro dell'interno.
L'art. 79, comma 3, St. dispone che, "fermi restando gli
obiettivi complessivi di finanza pubblica, spetta alle province
stabilire gli obblighi relativi al patto di stabilita' interno e
provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento agli enti
locali", e che "non si applicano le misure adottate per le regioni e
per gli altri enti nel restante territorio nazionale". Dunque, lo
Stato non puo' imporre direttamente tagli di spesa ai comuni
trentini, perche' l'art. 79 St. riserva il potere di coordinamento
finanziario alla Provincia.
Inoltre, i commi 8, 9, 11 e 12 dell'art. 47 lederebbero anche la
competenza provinciale in materia di finanza locale, prevista dagli
artt. 80 e 81 St. (competenza che, per effetto delle modifiche
introdotte nell'art. 80 dall'art. 1, comma 518, legge n. 147/2013, ha
assunto ora carattere primario). L'art. 80 e' stato attuato dall'art.
17 d.lgs. n. 268/1992, il cui comma 3 dispone che "nel rispetto delle
competenze regionali in materia di ordinamento dei comuni, le
province disciplinano con legge i criteri per assicurare un
equilibrato sviluppo della finanza comunale, ivi compresi i limiti
all'assunzione di personale, le modalita' di ricorso
all'indebitamento, nonche' le procedure per l'attivita'
contrattuale".
Sarebbe dunque illegittima la sostituzione della legge statale
nell'esercizio di una competenza propria del legislatore provinciale.
In definitiva, la Provincia e' competente sia per la disciplina
del patto di stabilita' dei rispettivi enti locali sia per le forme
di finanziamento dei medesimi, ragion per cui sarebbe chiaramente
lesiva una disciplina che mira ad imporre una riduzione delle spese
comunali e, in alternativa ("in caso di incapienza"), prevede che
l'Agenzia delle Entrate provveda "al recupero delle predette somme
nei confronti dei comuni interessati all'atto del riversamento agli
stessi comuni dell'imposta municipale propria" di cui all'art. 13
d.l. n. 201/2011 (art. 47, comma 11). Quest'ultima norma
risulterebbe, in particolare, illegittima per le ragioni gia' esposte
con riferimento all'art. 22, comma 2, che pure devolve allo Stato una
parte del gettito Imu.
Inoltre, i commi 9 e 11, in quanto attribuiscono a organi statali
funzioni che si sovrapporrebbero con le competenze degli organi
provinciali, sarebbero altresi' in contrasto con l'articolo 4 d.lgs.
n. 266/1992, poiche' quest'ultimo, nelle materie di competenza delle
Province autonome, riserva ad esse ed ai rispettivi organi
l'esercizio delle correlative funzioni amministrative.
In via ulteriormente subordinata, sempre per l'inopinata ipotesi
che la disposizione risultasse applicabile anche ai comuni della
ricorrente Provincia, sarebbe inoltre illegittima la disposizione di
cui al comma 9, secondo la quale "gli importi delle riduzioni di
spesa e le conseguenti riduzioni di cui al comma 8 per ciascun comune
sono determinati con decreto del Ministro dell'interno", nei termini
temporali e secondo i criteri descritti dalla stessa disposizione,
sopra citata. Infatti, posto in via principale che nessun ulteriore
contributo puo' essere richiesto al di fuori delle descritte
procedure di cui all'art. 79 dello Statuto, quand'anche in denegata
ipotesi fossero dovuti ulteriori contributi a favore dello Stato da
parte dei comuni del territorio trentino, il compito di ripartire tra
i singoli comuni il relativo onere spetterebbe comunque alle Province
autonome ed ai rispettivi organi, sulla base della competenza in
materia di finanza locale di cui agli artt. 79, comma 3, 80 e 81
dello Statuto, nonche' delle regole in tema di rapporti tra fonti
provinciali e fonti statali poste dall'art. 2 d.lgs. n. 266 del 1992
(compresa l'esclusione di fonti secondarie statali) e delle regole
concernenti il divieto di attribuzione di poteri amministrativi ad
organi statali poste dall'art. 4 dello stesso decreto.
7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 50, comma 10.
L'art. 50, intitolato Disposizioni «finanziarie, regola tra
l'altro la copertura finanziaria delle spese disposte dal d.l. n. 66
del 2014.
In particolare, il comma 10 dispone che "agli oneri derivanti
dagli articoli 1, 2, 4, comma 11, 5, 9, comma 9, 16, commi 6 e 7, 27,
comma 1, 31, 32, 35, 36, 45, 48, comma 1, e dal comma 6 del presente
articolo, ad esclusione degli oneri cui si provvede ai sensi del
comma 9 del presente articolo, pari a 6.563,2 milioni di curo per
l'anno 2014, a 6.184,7 milioni di euro per l'anno 2015, a 7.062,8
milioni di euro per l'anno 2016, a 6.214 milioni di euro per l'anno
2017 e a 4.069 a decorrere dall'anno 2018, che aumentano a 7.600,839
milioni di euro per l'anno 2014, a 6.229,8 milioni di euro per l'anno
2015, a 6.236 milioni di curo per l'anno 2017 e a 4.138,7 milioni di
euro a decorrere dall'anno 2018 ai «fini della compensazione degli
effetti in termini di fabbisogno ed indebitamento netto, si provvede
mediante utilizzo delle maggiori entrate e dalle minori spese
derivanti dal presente provvedimento" (enfasi aggiunta).
Che dall'applicazione del d.l. n. 66 del 2014 derivino, anche per
la ricorrente Provincia (e per i comuni e gli altri enti facente
parte del sistema della finanza provinciale), maggiori entrate e
minori spese non e' contestabile. Quanto alle maggiori entrate, in
particolare, cio' deriva dal fatto che per Statuto e' devoluta alla
Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e alle province autonome di
Trento e di Bolzano una quota del gettito derivante dalle entrate
tributarie erariali percette nei rispettivi territori nella
proporzione definita dal medesimo Statuto speciale (articolo 75 del
d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670).
In termini esemplificativi, derivano alla ricorrente Provincia
maggiori entrate da:
1) l'incremento delle imposte sui redditi di cui al d.P.R. 22
dicembre 1986, n. 917, introdotto dall'articolo 3 (Disposizioni in
materia di redditi di natura finanziaria);
2) l'incremento per l'anno 2014 dell'aliquota dell'imposta
sostitutiva delle imposte sui redditi applicata ai fondi pensione
prevista dall'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 5
dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme pensionistiche
complementari), elevata per l'anno 2014 dall'articolo 4, comma 6-ter
(Disposizioni di coordinamento e modifiche alla legge 27 dicembre
2013, n. 147);
3) l'incremento del prelievo fiscale sui prodotti da fumo (a
decorrere dal l ° agosto 2014) previsto dal comma 3 dell'articolo 14
del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, e confermato dall'articolo 5
(Modifiche all'articolo 14 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, e
all'articolo 10 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23);
4) le maggiori entrate derivanti dall'attivita' di contrasto
all'evasione fiscale previste dall'articolo 7 (Destinazione dei
proventi della lotta all'evasione fiscale), nei termini illustrati
dal presente ricorso;
5) le maggiori entrate per imposta sul valore aggiunto
derivanti dalle misure previste dal titolo III (Pagamento dei debiti
delle Pubbliche amministrazioni) del decreto-legge in esame, o
dall'aumento delle accise risultante dal comma 11 dell'articolo 50
(Disposizioni finanziarie) al fine di raggiungere l'obiettivo di
maggior gettito pari a 650 milioni di euro per l'anno 2014;
6) le maggiori entrate, per l'importo complessivo annuo non
inferiore a 350 milioni di euro dal 2014, previste dalla disposizione
del decreto-legge che innova la disciplina sull'esenzione dall'IMQ
per terreni agricoli (sopra descritto articolo 22, comma 2, che
sostituisce il comma 5-bis dell'articolo 4 del decreto-legge 2 marzo
2012, n. 16). Ugualmente, dalle limitazioni poste dal d.l. 66/2014
derivano minori spese. Rilevano qui, in particolare, le limitazioni
derivanti dagli articoli 8, 14 e 15, sui cui profili di
illegittimita' costituzionale ci si e' soffermati nei precedenti
punti del presente ricorso.
In questo quadro, la Provincia autonoma di Trento ritiene, in via
principale, che la disposizione di cui all'art. 50, comma 10, nella
parte in cui stabilisce che "ai fini della compensazione degli
effetti in termini di fabbisogno ed indebitamento netto, si provvede
mediante utilizzo delle maggiori entrate e dalle minori spese
derivanti dal presente provvedimento", vada intesa nel senso che essa
si riferisca alle maggiori entrate che naturalmente, secondo le
regole ordinarie del sistema, siano destinate ad affluire al bilancio
dello Stato, e corrispondentemente alle minori spese che secondo le
regole ordinarie del sistema istituzionale siano destinate a tradursi
in risparmi per il bilancio dello Stato.
In altre parole, alla ricorrente Provincia sembra chiaro che, ove
le singole e specifiche disposizioni del decreto-legge determinino
incrementi di entrate fiscali, a tali entrate vada comunque applicato
l'articolo 75 dello Statuto, il quale riserva alla Regione e Province
autonome di Trento e di Bolzano la pertinente quota del gettito
derivante dalle entrate tributarie erariali percette nei rispettivi
territori. Diversamente potrebbe dirsi solo per effetto di non meno
specifiche riserve all'erario operate dalle medesime disposizioni, in
presenta dei presupposti previsti dallo stesso Statuto e dalle
relative norme di attuazione, sopra piu' volte ricordate.
Ugualmente, eventuali risparmi di spesa cui la Provincia fosse
tenuta sulla base di legittime norme statali non potrebbero che
rimanere assegnate, in ogni modo, al bilancio provinciale, come parte
delle entrate spettanti alla Provincia, in attesa di poter essere
spese una volta venuti meno i vincoli di coordinamento finanziario.
Tutto cio', si badi bene, in forza delle ordinarie regole
interpretative, che vietano di intendere norme generali, di livello
legislativo ordinario, come rivolte a contraddire norme speciali, per
giunta dotate di superiore forza normativa, come le disposizioni
dello Statuto di autonomia. Allo stesso risultato, del resto, si
perviene applicando il canone dell'interpretazione costituzionalmente
conforme. In ogni modo, e' fuor di dubbio che tale interpretazione e'
ulteriormente rafforzata dalla clausola di salvaguardia di cui
all'art. 50-bis, in forza della quale "le disposizioni del presente
decreto si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province
autonome di Trento e di Bolzano secondo le procedure previste dai
rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione".
La presente impugnazione e' dunque formulata in via meramente
cautelativa, per l'ipotesi che il comma 10 dell'articolo 50,
nonostante quanto sopra considerato, dovesse intendersi come diretto
a riservare allo Stato entrate che secondo lo Statuto spettano alle
province autonome, ed in particolare le maggiori entrate e i risparmi
di spesa derivanti dalle disposizioni sopra riportate.
Sarebbe infatti violato, in questo caso, in primo luogo
l'articolo 75 dello Statuto speciale e la normativa di attuazione
statutaria contenuta nel decreto legislativo n. 268 del 1992, che
regolano in modo puntuale le entrate spettanti alle Province autonome
e tassativamente le ipotesi di riserva all'erario di nuove o maggiori
entrate di natura tributaria. Sotto tale specifico profilo, in
particolare, la norma in contestazione apparirebbe evidentemente
priva dei necessari requisiti della delimitazione temporale e della
separata contabilizzazione nel bilancio statale, tale da consentirne
la quantificazione: oltre che, in generale, del requisito della
destinazione a nuove specifiche spese di carattere non continuativo
che non rientrano nelle materie di competenza della regione o delle
province, come richiesto in particolare dall'art. 9 del citato
decreto.
Sarebbero violati inoltre gli articoli 79, 103, 104 e 107 dello
Statuto, per le stesse ragioni gia' esposte al punto 2.
Per quanto riguarda le maggiori entrate o minori spese dei comuni
e comunque degli enti facenti parte della finanza provinciale
sarebbero violati altresi' gli articoli 79, comma 3, 80 e 81 dello
Statuto, nei termini pure sopra illustrati al punto 2.
P.Q.M.
La Provincia autonoma di Trento, come sopra rappresentata e
difesa, chiede:
voglia codesta Corte costituzionale dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 7, comma 1;
dell'articolo 8, commi 4, 6, 7, e 10; dell'articolo 14, commi 1, 2 e
4-ter; dell'articolo 22, comma 2; dell'articolo 46, commi 1, 2, 3 e
6; dell'articolo 47, commi 8, 9, 11 e 12; dell'articolo 50, comma 10,
del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante "Misure urgenti per
la competitivita' e la giustizia sociale. Deleghe al Governo per il
completamento della revisione della struttura del bilancio dello
Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio
e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonche' per
l'adozione di un testo unico in materia di contabilita' di Stato e di
tesoreria", convertito, con modificazioni, nella legge 23 giugno
2014, n. 89, nelle parti, nei termini e sotto i profili esposti nel
presente ricorso.
Prof. avv. Giandomenico Falcon - Avv. Nicolo' Pedrazzoli - Avv. Luigi
Manzi