N. 67 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 14 giugno 2005.

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 14 giugno 2005 (del Presidente del Consiglio dei
ministri)

(GU n. 28 del 13-7-2005)


Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
dall'Avvocatura generale dello Stato,

Nei confronti della Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del
suo presidente della giunta, avverso la legge regionale 8 aprile 2005
n. 7, intitolata «Interventi regionali per l'informazione, la
prevenzione e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dalle
molestie morali e psico-fisiche nell'ambiente di lavoro, pubblicata
nel Boll. Uff. n. 15 del 13 aprile 2005.
La determinazione di proposizione del presente ricorso e' stata
approvata dal Consiglio dei ministri nella riunione del 20 maggio
2005 (si depositera' estratto del relativo verbale).
L'art. 1, comma 2, della legge in esame cerca di definire il
cosiddetto «mobbing» con la seguente espressione «molestie morali e
psico-fisiche nell'ambiente di lavoro».
La stessa espressione e' rinvenibile, talvolta con irrilevanti
variazioni lessicali, in altre disposizioni della medesima legge
(anche in quelle introdotte dall'art. 5 di essa). Le parole
«esclusione sociale» sono utilizzate - non e' chiaro con quale
efficacia dell'art. 1, comma 1. Le menzionate espressioni sono
talmente vaghe ed inadeguate da rendere l'anzidetta legge nella sua
interezza, una normativa che nel concreto rimette ad organi da
qualificarsi amministrativi il compito ed il potere di integrare
sostanzialmente il disposto legislativo, anzi di sostituirsi al
legislatore nazionale riconosciuto competente dalla sentenza n. 359
del 2003 di codesta Corte.
Giova rammentare che l'anzidetta nozione di «mobbing» e' molto
piu' ampia della nozione di «molestia» tratteggiata nell'art. 2 par.
2 della direttiva n. 76/207/CEE del Consiglio, come sostituito
dall'art. 1 della direttiva n. 2002/1973/CE (in GUCE n. L. n. 269 del
5 ottobre 2002), sulla parita' di trattamento tra gli uomini e le
donne anche per quanto riguarda le condizioni di lavoro. La nozione
europea di «molestia» riguarda, come quella di «molestia sessuale».
soltanto il comportamento indesiderato «connesso al sesso di una
persona». Cio' e' confermato dal decreto legislativo «di recepimento»
approvato in questi giorni dal Governo in forza dell'art. 17 della
legge 31 ottobre 2003 n. 306, il quale introduce modifiche all'art. 4
della legge 10 aprile 1991 n. 125 mediante inserimento in tale
articolo dei commi 2-bis e 2-ter. La «molestia» nell'accezione
europea puo' essere (non necessariamente e) solo una delle
ipotizzabili modalita' del «mobbing».
Cionondimeno, la disciplina europea (e nazionale di attuazione)
cui si e' accennato appare qui significativa, anche se per un diverso
aspetto: essa affida lo «enforcement», la applicazione concreta delle
norme alla giurisdizione (essenzialmente al giudice civile), e non ad
apparati amministrativi, e men che mai ad incontrollabili (nella
genesi e nell'operare) associazioni di volontari o ad organizzazioni
sindacali aduse alla contrapposizione con la «controparte».
Invece, l'art. 2 della legge in esame prevede «progetti»
presentati da siffatte associazioni ed organizzazioni (o da entita'
similari), progetti che a loro volta possono prevedere l'istituzione
di uffici tendenzialmente stabili denominati «punti di ascolto»;
uffici (e relativi «sportelli») che ovviamente non soltanto ascoltano
ma anche, come stabilito nei successivi artt. 3 e 5, curano - senza
peraltro incisivi poteri inquisitori - una sommaria istruttoria e
«devono... mantenere rapporti costanti con le strutture pubbliche
competenti...», in altre parole redigono ed inoltrano denunce. In
ogni Azienda sanitaria «e' (inoltre) istituito un "punto di ascolto e
assistenza", che avrebbe potuto essere un apparato amministrativo -
istituzionale se non fossero state ammesse «convenzioni» per attivare
incarichi ad esterni, tra i quali "un giuslavorista" (e non due
giuslavoristi, per cosi' dire in contradditorio).
Analoga osservazione potrebbe farsi per la Commissione regionale
di cui all'art. 4, comma 2.
La legge in esame non individua (e quindi non delimita) l'ambito
dello intervento della regione e la tipologia degli «ambienti di
lavoro», e cosi' rende possibili ingerenze (non soltanto della
Regione ma anche di associazioni od organizzazioni) nei rapporti di
lavoro pubblico statale, ad esempio presso un tribunale od un Ufficio
territoriale del Governo (per non dire del personale militarizzato),
con palese invasione della competenza di cui all'art. 117, secondo
comma, lettera G) Cost., «esclusiva» anche nei confronti delle
regioni a statuto speciale.
Nel complesso, la legge che si sottopone a scrutinio, oltre a
disattendere il citato insegnamento di codesta Corte, omette di
considerare la pluralita' degli interessi generali (anche privati)
compresenti e la necessita' di reperire un difficile e delicato
equilibrio tra essi, crea modalita' e strumenti di non garantita
neutralita' per interventi nei rapporti contrattuali di lavoro e
nelle attivita' imprenditoriali e delle pubbliche amministrazioni, ed
inoltre introduce una disciplina «territorialmente differenziata» in
assenza di principi fondamentali unficati.
La legge in esame contrasta dunque anzitutto con gli artt. 4 e 5
della legge cost. 31 gennaio 1963, n. 1, posto che a nessuna delle
materie ivi elencate la legge stessa puo' essere ricondotta (la
materia «lavoro» e' solo nel successivo art. 6, come competenza «di
integrazione e di attuazione»); ed inoltre contrasta con l'art. 117,
secondo comma, lettere G) ed L) (ordinamento civile), con l'art. 118,
primo comma Cost., e con la sentenza n. 359 del 2003 citata.
Del parametro di cui alla predetta lettera G) si e' gia' detto.
Vistoso il contrasto con la riserva allo Stato della produzione
legislativa in materia di ordinamento civile: la legge in esame
incide - come riconosciuto all'art. 1 comma 1 di essa - sui rapporti
civilistici interpersonali, non soltanto di lavoro e di impresa, e
per di piu' incide su essi in modo imprevedibile, in assenza di una
definizione delle tipologie dei «fenomeni» considerati; «fenomeni»
che in pratica inevitabilmente (cfr. anche il comma 2-quater inserito
nell'art. 4 della citata legge n. 125 del 1991) si tramutano in
fattispecie di illecito contrattuale.
In via logicamente subordinata, si rileva che la legge in esame
contrasta con l'art. 117 terzo comma Cost. (tutela della salute,
tutela e sicurezza del lavoro) ed anche con l'art. 6 dello Statuto
menzionato, non essendo essa legge ricollegata a «principi
fondamentali» posti dal Parlamento nazionale, al quale e' riservato
il compito di definire il cosiddetto mobbing, di reperire un
appropriato equilibrio tra i piu' interessi compresenti, ed anche di
disegnare il quadro degli strumenti organizzatori e delle relative
funzioni.
Come noto, altre controversie similari sono state proposte
nell'autunno 2004 nei confronti della Regione Abruzzo e nel maggio
2005 nei confronti della Regione Umbria.

P. Q. M.
Si chiede pertanto che sia dichiarata la illegittimita'
costituzionale della legge sottoposta a giudizio, con ogni
consequenziale pronuncia.
Roma, addi' 1° giugno 2005
Vice Avvocato generale: Franco Favara

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