Ricorso n. 67 del 2 settembre 2014 (Presidente del Consiglio dei ministri)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 2 settembre 2014 (del Presidente del Consiglio dei
ministri).
(GU n. 46 del 2014-11-05)
Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri (C.F.
…) in persona del Presidente p.t., rappresentato e difeso
dall'Avvocatura Generale dello Stato (C.F. …), Fax
… presso i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei
Portoghesi n. 12, PEC … contro la
Regione Veneto in persona del Presidente p.t. (C.F. ...) per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge
regionale del Veneto del 19.6.2014 n. 15 pubblicata nel BUR del
24.6.2014 recante norme relative al "referendum consultivo
sull'autonomia del Veneto", in base alla delibera del Consiglio dei
ministri adottata nella seduta dell'8.8.2014, per violazione degli
artt. 3, 5, 116, 117 e 119 Cost.
Fatto
Con la legge regionale 15/2014 in epigrafe indicata la Regione
Veneto ha dettato una singolare disciplina, articolata tra una
direttiva politica che autorizza il Presidente della Giunta "ad
istaurare con il Governo un negoziato volto a definire il contenuto
di un referendum consultivo finalizzato a conoscere la volonta' degli
elettori del Veneto circa il conseguimento di ulteriori forme di
autonomia delle Regioni", contenuta nell'art. 1 e la previsione piu'
propriamente normativa dell'art. 2 in base alla quale "Qualora il
negoziato non giunga a buon fine entro il termine di cui al comma 2
dell'art. 1 il Presidente e' autorizzato ad indire un referendum
consultivo per conoscere la volonta' degli elettori del Veneto in
ordine" ad una serie di quesiti che si analizzeranno poi
singolarmente, ma tutti variamente riferibili a diversi livelli di
maggiore autonomia.
Come gia' avvenuto per precedenti leggi su referendum
"autonomistici" si chiede a codesta Corte di dichiararne
l'illegittimita' costituzionale, per i seguenti
Motivi
Violazione degli artt. 3, 5, 116, 117 e 119 Cost., nonche' degli
artt. 26 e 27 dello Statuto della Regione Veneto approvato con L.
1/2012, come da delibera del Consiglio dei ministri dell'8.8.2014.
Secondo gli insegnamenti di codesta Corte il referendum
consultivo regionale, pur essendo un prezioso strumento di
partecipazione dell'elettorato alle scelte dei suoi rappresentanti
politici, deve essere amministrato con particolare attenzione laddove
esso si presta ad essere utilizzato indebitamente come un mezzo di
pressione sull'attivita' legislativa del Parlamento, influendo
negativamente sull'azione costituzionale e politica dello Stato
(sent. 256/89).
In particolare codesta Corte ha stigmatizzato il tentativo di far
precedere un referendum consultivo alla proposizione di iniziative di
riforma della Costituzione da parte degli organi politici regionali,
sottolineando il rischio che la manifestazione di una volonta'
popolare, prima della formazione delle scelte del legislatore, alteri
l'ordine procedimentale previsto nell'art. 138 e quindi pregiudichi
l'equilibrio di una determinazione che il Costituente ha costruito
con la massima cura, al fine di garantire che le future riforme
costituzionali siano frutto di un'accurata e ponderata riflessione,
prima all'interno delle Camere, ove si richiedono maggioranze
qualificate ed un duplice passaggio deliberativo, e solo dopo
attraverso una conferma popolare sulla condivisione del testo
approvato da parte dell'intero elettorato nazionale.
Rispetto a tale elaborata trama procedimentale e' stata quindi
considerata anomala ed illegittima una forma di previa consultazione
di una parte limitata dell'elettorato, che rischia di creare fratture
pericolose nell'unita' nazionale, contrapponendo gli elettori, non in
base alla legittima diversa scelta che essi possono fare, ma bensi'
per la appartenenza geografica ad un territorio limitato rispetto
all'intera estensione del Paese.
Alla luce della richiamata giurisprudenza di codesta Corte anche
il nuovo referendum costruito dal legislatore veneto risulta
contrastante con il dettato costituzionale, come si vedra' ora
analizzando i singoli quesiti.
Muovendo per comodita' espositiva dal n. 5 "Vuoi che la Regione
del Veneto diventi una regione a statuto speciale ?" e' agevole
riscontrare che la finalita' del legislatore veneto si pone in
contrasto con l'art. 116 Cost. nel quale sono precisamente
individuate le Regioni a Statuto speciale e per differenza quelle a
Statuto ordinario, come il Veneto.
Risulta peraltro evidente come rispetto a tale quesito il
referendum sia da considerare illegittimo anche poiche', alla stregua
dei precedenti scrutinati da codesta Corte, costituirebbe una forma
di indebito avvio del procedimento previsto nell'art. 138 Cost., con
tutti i rischi che cio' comporterebbe per gli equilibri politici e
costituzionali.
Piu' articolata discussione si richiede per il quesito n. 1 "Vuoi
che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e
condizioni particolari di autonomia?". Esso infatti si ispira in
qualche modo al contenuto dell'art. 116 co. 3 Cost., laddove esso
prevede che "Ulteriori forme e condizioni particolari di
autonomia.....possono essere attribuite ad altre Regioni".
L'apparente conformita' al dettato costituzionale pero' si ferma
qui, poiche' la previsione della Carta costituzionale e' ben piu'
complessa e cautelativa: essa infatti ha dei limiti contenutistici e
delle condizioni procedurali rigorosi ed inderogabili.
Anzitutto le forme di autonomia ammesse riguardano solo le
materie di cui all'art. 117 terzo comma, secondo comma lettera L
limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, e lettere N
ed S.; si tratta quindi di materie analiticamente individuate dalle
quali non si puo' esorbitare senza una legge di revisione
costituzionale ai sensi dell'art. 138.
Pertanto un quesito generico su forme e condizioni particolari di
autonomia che non precisa questi limiti contenutistici, neppure
implicitamente richiamando l'art. 116, appare gravemente elusivo
della cautela espressa da codesta Corte nella gia' richiamata
giurisprudenza, in quanto la prospettazione all'elettorato di un
imprecisato incremento dell'autonomia (tanto piu' contestualmente al
quesito 5 sulla Regione a Statuto speciale) evoca la prospettiva di
riforme molto ampie, suscitando un'aspettativa che non tiene conto
del vincolo costituzionale e riproduce i rischi di squilibri politici
e conflitti sociali e territoriali che si sono sin qui opportunamente
prevenuti ed impediti.
In secondo luogo la configurazione procedurale dell'iter
legislativo previsto nell'art. 116 co. 3 identifica un percorso
"rinforzato" anche se in misura minore rispetto a quello dell'art.
138, poiche' richiede l'approvazione delle Camere a maggioranza
assoluta dei componenti ed una intesa con la Regione interessata,
consentendo di qualificare il previsto ampliamento dell'autonomia
come una revisione costituzionale, sia pure su scala ridotta, il che
rende ancora piu' sensibile la formazione del contenuto della
riforrna rispetto alle suggestioni ed alle pressioni del voto
popolare preventivo, di cui si e' gia' parlato.
E' vero che qui e' specificamente prevista l'iniziativa della
Regione interessata, ma l'art. 116 aggiunge "sentiti gli Enti locali"
conformemente all'impostazione seguita da codesta Corte quando
afferrna che "nel nostro sistema le scelte fondamentali della
comunita' nazionale, che ineriscono al patto costituzionale, sono
riservate alla rappresentanza politica, sulle cui determinazioni il
popolo non puo' intervenire se non nelle forme tipiche previste
dall'art. 138 della Costituzione" (sentenza 496/2000).
Dunque e' palese la violazione dell'art. 116 anche per la parte
in cui formalizzato la raccolta dei consensi delle istanze locali
individuando nei rappresentanti politici della Regione interessata e
degli enti locali i legittimi portatori dell'istanza riformista ed
evitando ancora una volta di coinvolgere un voto popolare, ritenuto
non solo non idoneo a soppesare il significato della riforma ma
soprattutto troppo suscettibile di essere influenzato e di
influenzare a sua volta il corretto iter legislativo.
Gli altri tre quesiti previsti nell'art. 2 in esame hanno un
oggetto comune e possono quindi essere esaminati unitariamente, anche
se variamente articolati: essi riguardano il gettito dei tributi o
piu' genericamente delle fonti di finanziamento riscossi nella
Regione, per i quali si chiede all'elettorato veneto di dichiarare se
voglia trattenerli nell'ambito regionale almeno nella misura dell'80%
e se chieda che non siano soggetti a vincoli di destinazione.
Pur se non applicabile direttamente a questo referendum, il
motivo di inammissibilita' previsto dall'art. 75 Cost., esprime un
principio generale che risulta recepito anche nella legislazione
locale, in quanto gli artt. 26 e 27 dello Statuto della Regione
Veneto, approvato con L. 17.4.2012 n. 1 in base all'art. 114 Cost.,
escludono l'ammissibilita' del referendum consultivo per
l'abrogazione delle leggi tributarie e di bilancio, nonche' delle
leggi i cui contenuti costituiscono adempimento di obblighi
costituzionali, internazionali ed europei.
A cio' si aggiunga che l'art. 117 co. 2 attribuisce allo Stato la
legislazione esclusiva, tra l'altro, in materia di sistema tributario
e perequazione delle risorse finanziarie e l'art. 119 co. 2, nel
prevedere l'applicazione di tributi ed entrate propri da parte degli
Enti locali nonche' la loro compartecipazione al gettito dei tributi
erariali, presuppone la determinazione da parte dello Stato di
principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario.
Vi sono stati in questo ambito numerosi interventi di codesta
Corte che sin dalla sentenza 370/2003 ha segnalato l'urgenza di
realizzare il sistema di finanza regionale; e successivamente la
sentenza n. 37 del 2004_ha indicato come necessario presupposto per
l'attuazione del disegno costituzionale "l'intervento del legislatore
statale, il quale, al fine di coordinare l'insieme della finanza
pubblica, dovra' non solo fissare i principi cui i legislatori
regionali dovranno attenersi, ma anche determinare le grandi linee
dell'intero sistema tributario, e definire gli spazi e i limiti entro
i quali potra' esplicarsi la potesta' impositiva, rispettivamente, di
Stato, Regioni ed enti locali".
In particolare per i tributi locali, la riserva di legge
stabilita dall'articolo 23 della Costituzione comporta la necessita'
di definire l'ambito in cui potra' esplicarsi la potesta'
regolamentare degli enti sub-regionali, sforniti di poteri
legislativi, e il rapporto fra quest'ultima e la legislazione statale
e legislazione regionale per quanto attiene alla disciplina di grado
primario. La Corte ha quindi concluso che "non e' ammissibile, in
materia tributaria, una piena esplicazione di potesta' regionali
autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento
dettata dal Parlamento nazionale". Questa conclusione e' stata
confermata nella sentenze n. 241 del 2004 (sulla delega per la
riforma del sistema fiscale statale) e n. 261 del 2004 (sulla
determinazione delle basi di calcolo dei sovracanoni per la
produzione di energia idroelettrica).
Per quanto poi riguarda la specificazione della nozione di
tributo proprio, codesta Corte ha affermato costantemente che
nell'attuale quadro normativo non si danno tributi che possano essere
definiti propri delle regioni, nel senso inteso dall'articolo 119
della Costituzione. Infatti, attualmente esistono soltanto tributi
istituiti e disciplinati da leggi dello Stato, connotati dalla sola
particolarita' che i loro gettito e' attribuito alle regioni. La
disciplina di questi "tributi regionali" non e' divenuta oggetto di
legislazione concorrente, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma,
della Costituzione, ma appartiene alla competenza esclusiva della
legislazione dello Stato, che disciplina i' casi e i limiti in cui
puo' esplicarsi la potesta' legislativa regionale. Spetta quindi al
legislatore statale la potesta' di dettare norme modificative, anche
nel dettaglio, della disciplina dei tributi locali esistenti. Tale
potesta' deve tuttavia esercitarsi in armonia con i nuovi principi
costituzionali, in particolare, non potrebbe sopprimere, senza
sostituirli, gli spazi di autonomia gia' riconosciuti alle regioni e
agli enti locali dal vigente ordinamento. ne' configurare un sistema
finanziario complessivo che contraddica tali principi (sentenza n. 37
del 2004).
Con sentenza n. 296 del 2003, su ricorso del Governo avverso la
legge della regione Piemonte 5 agosto 2002, n. 20, codesta Corte ha
dichiarato illegittime le disposizioni ivi contenute in materia di
imposta regionale sulle attivita' produttive (IRAP) e di tassa
automobilistica (esenzione dell'Agenzia per lo svolgimento dei giochi
olimpici invernali di Torino 2006 dal pagamento dell'IRAP; esenzione
permanente dal pagamento della tassa automobilistica per gli
autoveicoli alimentati a gas metano; proroga del termine per il
recupero delle tasse automobilistiche regionali dovute per l'anno
1999) e successivamente ha affermato che l'IRAP non puo' qualificarsi
tributo proprio delle Regioni nel senso inteso dell'attuale articolo
119 della Costituzione, e che pertanto queste possono variarne la
disciplina soltanto nei limiti consentiti della normative statale in
proposito, non rilevando in contrario la devoluzione del relativo
gettito alle regioni stesse. Spetta quindi alle regioni soltanto una
limitata facolta' di variare l'aliquota e di disciplinare le
procedure applicative secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 446 del
1997.
Al di la' del fatto che sino ad oggi non si e' realizzato
l'auspicio espresso da codesta Corte per il coordinamento della
finanza pubblica, rimane la configurazione dei principi
costituzionali in materia tributaria secondo un'impostazione molto
precisa e stringente che riconosce allo Stato il compito di regolare
il quadro tributario generale con un'azione di coordinamento che
consenta alle Regioni di avere proprie entrate e di partecipare al
gettito dei tributi erariali riferibili al proprio territorio.
Ne consegue che poiche' allo stato le Regioni non possono
legiferare in questo ambito, esse non possono evidentemente neppure
disporre referendum che eludono per un verso il divieto dell'art. 75
attribuendo all'elettorato regionale un potere che non compete a
quello nazionale e per altro verso violano di per se' l'esclusiva del
potere normativo statale indicendo una consultazione su una materia
che gli artt. 117 e 119 riservano al legislatore nazionale.
Sotto altro profilo emerge anche la violazione degli artt. 3 e 5
della Costituzione poiche' si vorrebbe attribuire ai cittadini veneti
una legittimazione ad esprimersi in materia non consentita a tutti
gli altri cittadini italiani, con violazione del principio di parita'
dinanzi alla legge e si incrinerebbe in modo rilevante anche l'unita'
e l'indivisibilita' della Repubblica che promuove le autonomie
locali, ma non ammette che esse possano pronunciarsi su un tema cosi'
delicato come la devoluzione del gettito delle imposte o la
destinazione delle entrate, suscitando prevedibili movimenti che,
anziche' alimentare la solidarieta' sociale, possono suscitare
tendenze centrifughe o pretese egoistiche nella politica economica.
P.Q.M.
Si chiede che codesta Ecc.ma Corte Costituzionale voglia
dichiarare costituzionalmente illegittima e conseguentemente
annullare, per i motivi tutti ut supra specificati la L. Reg. 15/2014
della Regione Veneto, pubblicata nel BUR n. 62 del 24 giugno 2014,
come da delibera del Consiglio dei Ministri in data 8.8.2014, per
violazione degli artt. 3, 5, 116, 117 e 119 Cost.
Con l'originale notificato del ricorso si depositeranno:
1. estratto della delibera del Consiglio dei ministri 8.8.2014;
2. copia della Legge regionale impugnata;
3. relazione del Ministero degli Affari Regionali.
Roma, 18 agosto 2014
L'Avvocato dello Stato: Polizzi