Ricorso n.67 del 5 giugno 2019 (del Presidente del Consiglio dei Ministri)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 5 giugno 2019 (del Presidente del Consiglio dei ministri).
(GU n. 30 del 2019-07-24)
Ricorso ex art. 127 della Costituzione del Presidente del
Consiglio dei ministri rappresentato e difeso per legge
dall'Avvocatura generale dello Stato (codice fiscale 80188230587)
presso i cui uffici e' domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi,
12;
Contro la Regione Valle d'Aosta, in persona del presidente della
regione pro tempore, domiciliato per la carica presso il Palazzo
regionale in Piazza Deffeyes, 1 - 11100 Aosta;
Per la declaratoria di illegittimita' costituzionale della legge
regionale del 27 marzo 2019, n. 1 recante modificazioni alla legge
regionale 24 dicembre 2018, n. 12 (legge di stabilita' regionale per
il triennio 2019/2021) pubblicata sul BUR n. 15 2 aprile 2019, come
da delibera del Consiglio dei ministri adottata nella seduta del 30
maggio 2019.
In data 2 aprile 2019 e' stata pubblicata sul B.U.R. n. 15 della
Regione Valle d'Aosta, la legge regionale del 29 marzo 2019 n. 1
intitolata Modificazioni alla legge regionale 24 dicembre 2018, n. 12
(Legge di stabilita' regionale per il triennio 2019/2021), e altre
disposizioni urgenti.
L'art. 1, comma 4 della predetta legge dispone quanto segue:
«Art. 1 (Modificazioni all'art. 6 della legge regionale 24
dicembre 2018, 12).
[...].
"5-bis. Per l'anno 2019, gli enti locali possono avvalersi di
personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti
di collaborazione coordinata e continuativa nel limite del 70 per
cento della media della spesa sostenuta nel triennio 2007/2009 per le
medesime finalita'."».
L'art. 2 dispone poi quanto segue:
«Art. 2 (Contribuzione facoltativa a favore della previdenza
complementare).
1. Ai consiglieri regionali eletti a decorrere dalla XV
legislatura che ne facciano richiesta e' trattenuto, a titolo di
contribuzione previdenziale, un importo pari all'8,80 per cento
dell'indennita' di carica di cui all'art. 2, comma 1, della l.r. n.
33/1995, da versare a sostegno della rispettiva previdenza
complementare indicata dal Consigliere unitamente alla contribuzione
a carico del Consiglio regionale, fissata nella misura del 24,20 per
cento.
2. Il versamento della contribuzione di cui al comma 1 non e'
effettuato nel caso in cui il Consigliere sia titolare di pensione
diretta.
3. La contribuzione a carico del Consiglio regionale di cui al
comma 1 e' versata per un periodo massimo di 15 anni, tenuto conto
anche degli anni di mandato esercitati dal Consigliere
antecedentemente alla XV legislatura.».
Il Presidente del Consiglio ritiene che le disposizioni contenute
negli articoli 1, comma 4 e 2 della legge siano illegittime per
contrasto con diverse disposizioni costituzionali (indicate in
relazione a ciascun articolo impugnato); pertanto propone questione
di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 127, comma 1 Cost.
per i seguenti
Motivi
L'art. 1, comma 4, nell'inserire il comma 5-bis all'art. 6 della
l.r. n. 12/2018, attribuisce agli enti locali la facolta', per il
2019, di avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni
ovvero contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel
limite del 70% della media della spesa sostenuta nel triennio
2007-2009 per le medesime finalita'.
Ebbene la predetta disposizione contrasta con varie disposizioni
normative statali.
In primo luogo ai sensi del combinato disposto di cui agli
articoli 5, comma 1, lettera a) e 22, comma 8, del decreto
legislativo n. 75/2017, che hanno introdotto il comma 5-bis all'art.
7, del decreto legislativo n. 165/2001, e' stato fatto divieto alle
amministrazioni pubbliche di stipulare i contratti di collaborazione
coordinata e continuativa, a decorrere dal 1° luglio 2019.
Inoltre, la disposizione non e' in linea con la disciplina posta
dall'art. 7, comma 6, del decreto legislativo n. 165/2001, che, anche
dopo la modifica ex art. 1, comma 147, della legge n. 228/2012,
limita la possibilita' per la pubblica amministrazione di ricorrere
ai contratti di collaborazione, e cio' al fine di scongiurare alla
radice il rischio di ricorso abuso alle collaborazioni esterne pur in
presenza di un elevato numero di dipendenti pubblici (cfr. Corte
costituzionale, sentenza n. 43/2016).
La disposizione regionale, pertanto, contrasta con la riserva
esclusiva posta a favore del legislatore statale, dall'art. 117,
secondo comma, lettera l) della Costituzione in materia di
ordinamento civile.
Tale conclusione non potrebbe essere superata invocando la
potesta' legislativa regionale sull'ordinamento degli uffici e degli
enti dipendenti dalla Regione (art. 2, Statuto speciale) o quella di
integrare e attuare le leggi della Repubblica (successivo art. 3).
Ed in effetti - malgrado alcune risalenti contrarie pronunce del
giudice del merito (ad esempio la sentenza dell'11 settembre 2005 del
tribunale di Aosta che aveva affermato la competenza regionale in
materia di personale degli enti locali sulla base della ritenuta
esistenza di una riserva ai sensi dell'art. 73 del decreto
legislativo n. 29/1993 (ora art. 70, comma 1, del decreto legislativo
n. 165/2001 cit.) - la Corte costituzionale ha ormai chiarito da
tempo che il rapporto di impiego alle dipendenze di regioni ed enti
locali, in quanto privatizzato ai sensi dell'art. 2 del decreto
legislativo n. 165 del 2001, e' pur sempre retto dalla disciplina
generale dei rapporti di lavoro (Corte cost. sentenza n. 95 del 21
marzo 2007). Ne consegue che la legge statale, in tutti i casi in cui
intervenga a conformare gli istituti del rapporto di impiego
attraverso norme che si impongono all'autonomia privata con il
carattere dell'inderogabilita', costituisce un limite gravante anche
sui rapporti di impiego dei dipendenti delle regioni a statuto
speciale e, dunque, sulla relativa competenza residuale regionale in
materia, e cio' per «l'esigenza, connessa al principio costituzionale
di eguaglianza, di garantire l'uniformita' nel territorio nazionale
delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra
privati» (sentenze n. 234 e 106 del 2005; n. 282 del 2004).
Inoltre, l'art. 9, comma 28 del decreto-legge n. 78/2010 prevede
in generale un limite del 50% della spesa sostenuta per le stesse
finalita' nel 2009 e all'ultimo capoverso, solo per le
amministrazioni che nel 2009 non hanno sostenuto spese per le
finalita' previste ai sensi del presente comma, consente di computare
il limite in parola (del 50%) con riferimento alla media sostenuta
per le stesse finalita' nel triennio 2007-2009.
Al riguardo, da un'interrogazione dei dati relativi al costo per
lavoro flessibile sostenuto dalla regione Valle d'Aosta nel 2009, non
risulta che la stessa ricada nella possibilita' prevista dall'ultimo
capoverso dell'art. 9, comma 28 del decreto-legge n. 78/2010, dal
momento che la Regione risulta aver sostenuto tali tipologie di
spesa, il che impedisce di avvalersi della facolta' prevista
dall'art. 9, comma 28 citato.
Dunque l'applicazione della disposizione regionale in esame
comporterebbe maggiori oneri dato che, dai calcoli effettuati sui
dati estrapolati dal conto annuale, il 70% della media della spesa
sostenuta nel triennio 2007/2009 risulta maggiore rispetto al 50%
della spesa sostenuta per le stesse finalita' nel 2009.
Giova ribadire che le disposizioni di cui all'art. 9, comma 28
del decreto-legge n. 78/2010 costituiscono principi generali ai fini
del coordinamento della finanza pubblica e per il contenimento della
spesa pubblica, cui la Regione, pur nel rispetto della sua autonomia,
non puo' derogare.
Cio' posto, si ritiene che la disposizione regionale in esame si
ponga anche in contrasto con la potesta' legislativa statale in
materia di coordinamento della finanza pubblica di cui all'art. 117,
terzo comma, della Costituzione, conclusione non contraddetta dalla
sentenza della Corte n. 260/2013.
L'art. 2 della legge in parola dispone modificazioni all'art.
5-bis della legge regionale 22 dicembre 2017, n. 21, in materia di
procedure selettive interne, prevedendo, in particolare, la
sostituzione - nella rubrica e nel comma 1 dello stesso art. 5-bis -
delle parole «per il triennio 2018/2020» con le seguenti: «per il
triennio 2019/2021».
Tale modifica ha l'effetto di determinare la proroga di un anno
della disciplina relativa alle progressioni verticali prevista
dall'art. 22, comma 15, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n.
75, che prevede che «Per il triennio 2018-2020, le pubbliche
amministrazioni, al fine di valorizzare le professionalita' interne,
possono attivare, nei limiti delle vigenti facolta' assunzionali,
procedure selettive per la progressione tra le aree riservate al
personale di ruolo, fermo restando il possesso dei titoli di studio
richiesti per l'accesso dall'esterno. Il numero di posti per tali
procedure selettive riservate non puo' superare il 20 per cento di
quelli previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni
consentite per la relativa area o categoria. In ogni caso,
l'attivazione di dette procedure selettive riservate determina, in
relazione al numero di posti individuati, la corrispondente riduzione
della percentuale di riserva di posti destinata al personale interno,
utilizzabile da ogni amministrazione ai fini delle progressioni tra
le aree di cui all'art. 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001.
Tali procedure selettive prevedono prove volte ad accertare la
capacita' dei candidati di utilizzare e applicare nozioni teoriche
per la soluzione di problemi specifici e casi concreti. La
valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni,
l'attivita' svolta e i risultati conseguiti, nonche' l'eventuale
superamento di precedenti procedure selettive, costituiscono titoli
rilevanti ai fini dell'attribuzione dei posti riservati per l'accesso
all'area superiore».
Il sopra riportato art. 22, comma 15, introduce una particolare
ipotesi di progressione verticale (per un tempo delimitato: il
triennio 2018/2020), che costituisce una deroga rispetto alla
disciplina ordinaria prevista dall'articolo 52, comma 1-bis, del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, secondo il quale: «( ... )
Le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico,
ferma restando la possibilita' per l'amministrazione di destinare al
personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per
l'accesso dall'esterno, una riserva di posti comunque non superiore
al 50 per cento di quelli messi a concorso. La valutazione positiva
conseguita dal dipendente per almeno tre anni costituisce titolo
rilevante ai fini della progressione economica e dell'attribuzione
dei posti riservati nei concorsi per l'accesso all'area superiore».
In sintesi, «l'art. 22 (rubricato: Disposizioni di coordinamento
e transitorie), comma 15 del decreto di riforma del pubblico impiego
(Decreto Madia) reintroduce, in buona sostanza, ancorche' per un
periodo limitato, le progressioni verticali, attraverso la previsione
di concorsi interamente riservati al personale interno, cosi' come
previsto dalla previgente normativa (ante Riforma Brunetta),
piuttosto che mediante riserva di posti in concorsi pubblici» (cfr.
Corte conti, Sez, contr., delib. 23 marzo 2018, n. 42).
Orbene, la giurisprudenza costituzionale e' costante
nell'affermare che, in materia di pubblico impiego, «gli interventi
legislativi che ( ... ) dettano misure relative a rapporti lavorativi
gia' in essere» devono essere ricondotti alla competenza esclusiva
statale in materia di ordinamento civile.
Nel caso di specie, l'art. 2 della legge regionale in oggetto
contiene un'estensione dell'efficacia temporale della disciplina
contenuta nell'art. 22, comma 15, del decreto legislativo n. 75 del
2017, incompatibile con l'art. 117, secondo comma, lettera l) della
Costituzione, dal momento che prevede, per l'anno 2021, una
disciplina delle progressioni di carriera del personale dipendente
(nella specie, le c.d. progressioni verticali tra le aree mediante
concorsi interamente riservati) difformi da quelle previste dal
legislatore nazionale.
Inoltre la disposizione in esame, nel contemplare
un'ultrattivita', per il solo territorio regionale, della disciplina
derogatoria delle previsioni di cui all'art. 52, comma 1-bis, del
decreto legislativo n. 165 del 2001, contenuta nell'art. 22, comma
15, del decreto legislativo n. 75 del 2017 finisce per introdurre una
disciplina di favore per il personale della sola Regione Valle
d'Aosta, incompatibile sia con l'art. 3 della Costituzione, sia con
gli articoli 51, primo comma, e 97, quarto comma, della Carta
fondamentale.
Infatti, poiche' la disciplina speciale contenuta nel prefato
art. 22, comma 15, nel perseguire l'obbiettivo di valorizzare le
professionalita' interne alle pubbliche amministrazione, realizza
(sia in ragione della sua temporaneita', sia in considerazione del
numero limitato di posti destinato ai concorsi cd. riservati) un
ragionevole bilanciamento tra i principi di uguaglianza di cui
all'art. 3 della Costituzione, quello secondo cui «tutti i cittadini
dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e
alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i
requisiti stabiliti dalla legge» di cui all'art. 51, primo comma,
della Costituzione e quelli di buon andamento ed imparzialita' della
pubblica amministrazione e di accesso al pubblico impiego mediante
concorso di cui all'art. 97 della Costituzione, non sembra possibile
dubitare del fatto che esso debba essere qualificato come «principio
dell'ordinamento giuridico della Repubblica» cui deve uniformarsi la
Regione nell'esercizio della potesta' legislativa nelle materie di
cui all'art. 2 della legge costituzionale n. 4 del 1948.
Sebbene in passato il giudice delle leggi abbia ritenuto
ammissibili procedure integralmente riservate (cosi' sentenze n. 228
del 1997, n. 477 del 1995 e ordinanza n. 517 del 2002), comunque
sempre in considerazione della specificita' delle fattispecie che di
volta in volta venivano in rilievo (ed esigendo, inoltre, che le
stesse fossero coerenti con il principio del buon andamento
dell'amministrazione), la piu' recente giurisprudenza costituzionale
ha sottolineato come sia necessario, affinche' «sia assicurata la
generalita' della regola del concorso pubblico disposta dall'art. 97
Cost.», che «l'area delle eccezioni» alla regola sancita dal suo
primo comma sia «delimitata in modo rigoroso» (cosi' la sentenza n.
363 del 2006; nonche', piu' di recente, la sentenza n. 215 del 2009)
(cfr. Corte costituzionale, 17 marzo 2010, n. 100).
Per quanto precede, le disposizioni regionali contenute all'art.
1, comma 4 ed all'art. 2, oltre ai parametri costituzionali citati,
eccedono dalla competenza legislativa esclusiva della Regione di cui
all'art. 2 dello Statuto della Valle d'Aosta (Legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 4).
Per i motivi esposti le norme regionali sopra indicate devono
essere impugnati dinanzi alla Corte costituzionale ai sensi dell'art.
127 della Costituzione.
P.Q.M.
Si chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia
dichiarare costituzionalmente illegittimi e conseguentemente
annullare gli articoli 1, comma 4 ed 2 della legge regionale n. 1 del
27 marzo 2019, per i motivi illustrati nel presente ricorso.
Con l'originale notificato del ricorso si depositera':
1. estratto della delibera del Consiglio dei ministri 6
settembre 2018.
Roma, 31 maggio 2019
L'Avvocato dello Stato: De Socio