Ricorso n. 68 del 10 giugno 2006 (Regione Calabria)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 10 giugno 2006 , n. 68
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 10 giugno 2006 (della Regione Calabria)
(GU n. 27 del 5-7-2006)
Ricorso per la Regione Calabria, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, on. Agazio Loiero, autorizzato a proporre il presente ricorso con delibera della giunta regionale n. 293 del 2 maggio 2006 (doc. 1), integrata dalla delibera della giunta regionale n. 381 del 29 maggio 2006 (doc. 2), rappresentato e difeso, per procura a margine del presente atto - ed in conformita' al decreto dirigenziale n. 999 del 4 maggio 2006, numero interno (doc. 3) - dall'avv. Maria Grazia Bottari, con domicilio eletto in Roma, presso lo studio dell'avv. Achille Buonafede, alla via Zanardelli n. 20; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore; avverso e per la declaratoria di illegittimita' costituzionale: dell'intero decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante "Norme in materia ambientale", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 14 aprile 2006, n. 88, supplemento ordinario n. 96, nonche' delle seguenti disposizioni del medesimo decreto legislativo: artt. 3 (comma 2), 4 (comma 1), 5 (comma 1, lettere q) e r)), 6 commi da 6 a 8) da 7 a 22, da 26 a 34, 39, da 43 a 47, 50, 51 (comma 1), 55 (comma 4), 57, 58, 59, 61, 63, 64, 65, 67 (commi da 2 a 6), 68, 69 (commi 2 e 3), 70, 72, 73, 75, 87, 91 (commi 2 e 6), 101 (comma 7), 113 (comma 1), 114, 116, 119, 120, 121 (comma 4), 122, 123, 132, 135 (comma 2), 136, da 144 a 146, da 147 a 158, 159, 160, 176 (comma 1), 181 (commi 3, secondo periodo, e da 5 a 12), 186, 189 (commi 1, secondo periodo, e 3), 195 [comma 1, lettere f), g) e t), comma 2, lettera b) (in ordinamento disposto con l'art. 196, comma 1, lettera m), ed in combinato disposto con l'art. 195, comma 4)], 197 (comma 1), da 199 a 207, da 208 a 211, 212 (commi 2 e 3), 214 (commi 3 e 5), 215 (commi 3, 4, 5 e 6), 216 (commi da 3 a 7 e da 10 a 15), 221 (commi da 4 a 9) 222, 223, 224, 233, 234, 235, 236, 238 (comma 6 e, per la parte in cui rinviano al comma 6, commi 3, 5, 7 e 8), da 239 a 253, 265 (comma 3), 267 (comma 4, lettera a), 269, (commi 2, 3, 7 e 8), 281 (comma 10), 284, 287 e da 299 a 318; allegati I, II, e V alla Parte seconda, 4 alla Parte quarta, IX alla Parte quinta, da 1 a 5 alla Parte sesta; nonche' per la declaratoria di illegittimita' costituzionale, previa sospensione: degli articoli 4, comma 1, 5, comma 1, lettere q) e r), da 7 a 22, 28, 31, comma 4, 39, 63, 64, da 299 a 318; e degli allegati I e II alla Parte seconda e da 1 a 5 alla Parte sesta del medesimo decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. F a t t o Con decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 aprile 2006, n. 88, supplemento ordinario n. 96, concernente "Norme in materia ambientale", il Governo ha esercitato la delega ad esso conferita con legge 15 dicembre 2004, n. 308, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2004, n. 302, supplemento ordinario n. 187, recante "Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione". Invero, la legge delega aveva previsto, in considerazione della disomogeneita' della materia assoggettata ad intervento, la emanazione "entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di uno o piu' decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative nei [...] settori e materie [elencati] anche mediante la redazione di testi unici" (art. 1, comma 1). Le medesime esigenze, connesse alla "trasversalita" della materia "ambiente" (che, come precisato in numerosi interventi di codesta ecc.ma Corte, non e' configurabile alla stregua di una vera e propria "materia" di competenza legislativa esclusiva dello Stato), avevano indotto il legislatore a prevedere che i decreti delegati avrebbero dovuto individuare "gli ambiti nei quali la potesta' regolamentare e' delegata alle regioni, ai sensi del sesto comma dell'art. 117 della Costituzione" (art. 1, comma 2). Contestualmente, si era stabilito che i decreti legislativi di cui al comma 1 sarebbero stati "adottati su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, con il Ministro per le politiche comunitarie e con gli altri Ministri interessati, sentito il parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281" (art. 1, comma 3). Infine, e per quanto qui interessa, il comma 8 del medesimo art. 1, nel definire i criteri direttivi cui i decreti delegati avrebbero dovuto attenersi, ha espressamente previsto che i decreti legislativi di cui al comma 1 si sarebbero conformati, "nel rispetto dei principi e delle norme comunitarie e delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonche' delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e fatte salve le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e del principio di sussidiarieta', ai [...] principi e criteri direttivi generali" specificamente elencati (art. 1, comma 8). In data 3 aprile 2006, il decreto legislativo oggetto della presente impugnazione e' stato emanato. La decisione di disattendere i principi ispiratori della legge delega, non solo (e non tanto) riducendo ad un unico corpus normativo la variegata "materia ambientale", pur avendo la possibilita' di adottare distinti decreti legislativi, ma soprattutto disattendendo ogni onere connesso al necessario rispetto del principio di leale cooperazione tra Stato, regioni ed enti locali, cui si uniformava il citato comma 8 dell'art. 1 della legge n. 308 del 2004, e' stata perseguita dal Governo con intenzionalita' e pervicacia, cosi' come risulta dalla semplice esposizione dei fatti che segue. Per l'esame del corposo schema di decreto, ai fini dell'acquisizione del parere della Conferenza Stato-regioni ed autonomie locali, il Governo ha "concesso" agli enti interessati solo sedici giorni (tanti ne sono trascorsi dal 29 novembre 2005, data della trasmissione dell'articolato alle regioni, fino al 15 dicembre 2005, data di discussione dell'argomento in sede di Conferenza unificata): e cio' a fronte di un testo legislativo composto da ben 318 articoli, oltre a molti allegati. Questi ultimi, pur costituendo elementi necessari di valutazione in relazione all'impatto della normativa sulle sfere di competenza normativa e/o amministrativa degli enti regionali e locali, sono peraltro stati trasmessi agli enti interessati solo in data 7 dicembre 2005, a pochi giorni dalla data fissata per la discussione del testo in Conferenza (docc. 4 e 5). In data 13 dicembre 2005, il Presidente della Conferenza delle regioni, on. Vasco Errani, in sede di riunione tecnico-preparatoria della seduta della Conferenza unificata del 15 dicembre 2005, richiedeva ai rappresentanti del Governo di rinviare la data per la discussione dello schema di decreto legislativo in Conferenza unificata (doc. 6). Con successiva nota fax a firma del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, on. Altero Matteoli, il Governo rifiutava di accordare il rinvio, confermando l'ordine del giorno della seduta del 15 dicembre 2005 (doc. 7). Il rifiuto della richiesta di rinvio - pur approfonditamente motivata, sulla base di specifiche esigenze connesse alla esiguita' del tempo disponibile per l'esame, alla rilevanza della materia da trattare ed all'enorme mole dell'articolato (cfr. il verbale della riunione tecnica del 13 dicembre 2005, sub doc. 8) - veniva giustificato alla luce della (pretestuosa) motivazione di seguito riportata: "il Governo non intende concedere deroghe al termine fissato dalla legge per l'esame delle commissioni competenti, considerata la durata dei termini previsti dalla legge n. 308 del 2004 e valutato altresi' il periodo di durata residua" della legislatura parlamentare. Con il che, si rendeva palese che il fine ultimo perseguito dal Governo, con il ritardo nella trasmissione del testo e con il successivo rifiuto di qualunque ipotesi di rinvio della discussione in Conferenza unificata, era solo quello di evitare ogni interferenza delle regioni e delle autonomie locali sul risultato finale. E' chiaro infatti che il riferimento al "termine fissato dalla legge per l'esame delle commissioni competenti" non poteva che costituire un pretesto, peraltro del tutto inconferente, per respingere una richiesta seria ed ampiamente giustificata dalla necessita' dell'effetivo rispetto del principio di leale cooperazione. Ad aggravare lo iato tra le pretese governative ed una corretta dinamica procedimentale, in occasione della riunione della Conferenza unificata del 15 dicembre 2006, il Viceministro alle attivita' produttive, on. Francesco Nucara, giustificava il rifiuto di una nuova richiesta di rinvio - ribadita in quella sede dal Presidente della Conferenza delle regioni - sulla base della ulteriore (ma anch'essa pretestuosa) motivazione secondo cui il termine per l'esercizio della delega sarebbe scaduto il giorno stesso (cfr. verbale della seduta, sub doc. 9), trascurando di considerare che l'infondatezza di una motivazione siffatta (a prescindere dall'impossibilita' del rispetto del termine in ogni caso, ove la scadenza fosse stata quella indicata dal Ministro) era evincibile dal chiaro tenore letterale dell'art. 1 della legge delega, che fissava in diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge (e dunque dall'11 gennaio 2005) la data ultima per l'esercizio della delega da parte del Governo. In un clima siffatto, nessun parere veniva espresso (ne' poteva esserlo) da parte dei rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali. Nonostante la mancata acquisizione del parere, in data 19 gennaio 2006, il Consiglio dei ministri approvava "in via definitiva" il decreto legislativo (doc. 10), salvo poi doverlo riapprovare - ancora "in via definitiva" il 10 febbraio 2006 (doc. 11), successivamente all'emanazione del parere (negativo) da parte della Conferenza unificata, avvenuta in data 26 gennaio 2006 (doc. 12). Occorre a tal proposito aggiungere - ancora in punto di fatto - che, in occasione della seduta della Conferenza del 26 gennaio, i rappresentanti del Governo si erano limitati a "prendere atto" del parere negativo espresso dalle istanze regionali e locali, senza alcun ulteriore approfondimento circa il merito del parere. Cio' vale a sottolineare che, a fronte di serie obiezioni, di metodo e di merito, allegate dai rappresentanti delle regioni ed autonomie locali, nessuna motivazione veniva espressa dai rappresentanti del Governo in ordine alla mancata considerazione del parere del negativo. In ogni caso, ed indipendentemente dal vulnus che e' derivato al principio di leale cooperazione dalla semplice presa d'atto del parere negativo da parte del Governo, occorre aggiungere che il testo approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri non sarebbe comunque stato quello sul quale il parere della Conferenza unificata era stato richiesto ed espresso in data 26 gennaio 2006. In data 15 marzo 2006, infatti, il Presidente della Repubblica chiedeva al Governo alcuni chiarimenti sia in ordine al procedimento di formazione che in ordine al merito di alcune disposizioni del decreto legislativo, nel testo approvato in Consiglio dei ministri in data 19 gennaio 2006. In data 29 marzo 2006, il Consiglio dei ministri approvava quindi, per la terza volta "in via definitiva", quello che sarebbe divenuto il decreto legislativo n. 152 del 2006, con alcune modifiche rispetto al testo in precedenza approvato. Da tutto quanto sin qui esposto risulta palese che il decreto legislativo impugnato e' stato emanato in violazione del principio di leale cooperazione tra Stato, regioni ed autonomie locali. Alla causa di illegittimita' costituzionale dell'intero atto per vizi procedimentali si aggiungono, peraltro, numerose fattispecie di illegittimita', relative sia ai rapporti tra il decreto legislativo e la legge di delega, sia alla lesione delle sfere di competenza legislativa, regolamentare ed amministrativa delle regioni e degli enti locali. Il decreto legislativo impugnato deve dunque essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, previa sospensione degli effetti delle norme meglio indicate in epigrafe, nella sua interezza o, quantomeno, per i profili che qui di seguito si indicheranno, in relazione alle norme individualmente indicate in epigrafe, per i seguenti motivi di D i r i t t o A) Illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 14 aprile 2006, n. 152, nel suo complesso, in conseguenza di vizi del procedimento di formazione. L'esposizione che precede, nella quale si da' conto del contesto nel quale il decreto legislativo n. 152 del 2006 e' stato approvato, evidenzia che il procedimento seguito si e' caratterizzato per una costante svalutazione del principio di leale cooperazione, tale da addivenire ad un vero e proprio rifiuto di ascoltare punti di vista diversi rispetto a quello governativo (e della maggioranza parlamentare), con inevitabile pregiudizio dei canoni cooperativi che la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte ha riconosciuto, ormai da tempi risalenti, essere cardini dei regionalismo italiano. La illegittimita' costituzionale del decreto legislativo n. 152 del 2006 nel suo complesso discende proprio da questa indifferenza nei confronti del principio sopra citato, indifferenza che si e' tradotta una chiara lesione delle attribuzioni costituzionali delle regioni (oltre che degli enti locali). In particolare, la illegittimita' costituzionale in discorso trova la propria manifestazione, non tanto nel mancato rispetto di questa o di quella disposizione regolante il procedimento da seguire (donde la non piena pertinenza dell'invocazione dell'art. 76 della Costituzione alla stregua di un parametro di costituzionalita), quanto nel contrasto con un principio (quello, appunto, di leale cooperazione), la cui portata trascende le enunciazioni linguistiche contenute nella legge 15 dicembre 2004, n. 308, e che si ricollega direttamente alle esigenze di sistema mirabilmente sintetizzate nella sentenza n. 422 del 2002 (resa, tra l'altro, avendo riguardo ai parametri costituzionali precedenti alla riforma costituzionale del 2001): "quando si abbia a che fare con competenze necessariamente e inestricabilmente connesse, il principio di "leale collaborazione" - che proprio in materia di protezione di beni ambientali e di assetto del territorio trova un suo campo privilegiato di applicazione - richiede la messa in opera di procedimenti nei quali tutte le istanze costituzionalmente rilevanti possano trovare rappresentazione". L'espressione qui posta in corsivo risulta centrale per chiarire i termini della illegittimita' costituzionale dell'intero decreto legislativo impugnato: codesta ecc.ma Corte, infatti, ha assai opportunamente parlato di "messa in opera", e non di (semplice) "previsione", sottolineando con cio' l'insufficienza della predisposizione di garanzie puramente formali di partecipazione, e la indefettibilita' di una serie di comportamenti che, nel corso del procedimento, offrano alle istanze costituzionalmente rilevanti la effettiva possibilita' di essere rappresentate. Ora, appare quanto meno problematico coniugare l'impostazione fatta propria dalla giurisprudenza costituzionale con l'atteggiamento tenuto nella fattispecie qui analizzata dal Governo. Un Governo che ha agito con l'intento (neppure troppo velato) di rendere sostanzialmente impossibile la emanazione del parere da parte della Conferenza unificata: approvato in Consiglio dei ministri il 18 novembre 2005, si e' atteso sino al 29 per trasmettere il testo alle regioni (gli allegati al testo sono stati resi disponibili soltanto il 7 dicembre); adempiuto l'onere della comunicazione, si e' ritenuto di dover iscrivere il parere sullo schema di decreto legislativo all'ordine del giorno della seduta del 15 dicembre, costringendo i rappresentanti degli enti infrastatuali a chiedere un rinvio; l'opposizione del Governo ad una eventualita' siffatta ha condotto al blocco dell'attivita' in sede di Conferenza, testimoniato dalla mancata espressione del parere nella seduta predetta. Lo stesso Governo, una volta raggiunto lo scopo di approvare inaudita altera parte il testo del decreto, ha reso l'intervento - di segno negativo - della Conferenza unificata tendenzialmente inutile, come dimostra il mero ossequio formale della "presa d'atto" da parte del Governo nel corso della seduta della Conferenza unificata del 26 gennaio 2006 e la iterazione della approvazione "definitiva" in Consiglio dei ministri del testo del decreto il 10 febbraio 2006 (seconda approvazione che, come era purtroppo prevedibile, non si e' in alcun modo configurata come una presa in considerazione del punto di vista espresso dai rappresentanti dei livelli infra-statuali). Non sfugge che comportamenti scarsamente rispettosi dell'esigenza di assicurare una effettiva dialettica nell'ambito del procedimento non sempre sono stati ritenuti sufficienti ad integrare gli estremi della sussistenza di un vizio formale di illegittimita' costituzionale. Cio' detto, a prescindere dalla inusitata gravita' dei comportamenti registrati con riferimento alla formazione del decreto legislativo n. 152 del 2006 (gravita' che va ben oltre lo "scarso rispetto", integrando piu' propriamente l'"assoluto disinteresse" per la dialettica in seno al procedimento), non mancano importanti prese di posizione da parte della giurisprudenza costituzionale, tutte finalizzate a proteggere i soggetti chiamati ad emanare pareri nell'ambito di procedimenti concludentisi con la decisione di soggetti diversi. La necessita' di richiedere il parere regionale qualora esso sia configurato come obbligatorio e' stata sottolineata nella sentenza n. 70 del 1987, con cui e' stato annullato il d.l. n. 677 del 1981, in quanto contrastante con l'allora quarto comma dell'art. 54 dello Statuto della regione Sardegna, ai termini del quale le disposizioni in materia finanziaria dello statuto medesimo possono "essere modificate con leggi della Repubblica su proposta del Governo o della regione, in ogni caso sentita la regione". Con la sentenza n. 354 del 1994, e' stata affrontata la questione di legittimita' costituzionale originata dalla mancata corrispondenza dell'atto finale allo schema di decreto inviato per il parere alle commissioni parlamentari ed alla Conferenza Stato-regioni; nel caso di specie, le disposizioni impugnate sono state effettivamente caducate, anche se non tanto censurando il vizio procedimentale, bensi' per la illegittima qualificazione come "norme di riforma" ad esse attribuita. Piu' di recente, la sentenza n. 110 dei 2001 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del decreto legislativo n. 96 del 1999, in quanto emanato in violazione del procedimento previsto per la sua approvazione dalla legge di delega: in particolare, si e' stabilito che il decreto non poteva trovare applicazione per la regione Veneto, in quanto il potere sostitutivo del Governo - previsto per il caso di mancata approvazione da parte delle regioni di una legge volta ad individuare le funzioni da trasferire o da delegare agli enti locali - era stato esercitato senza aver previamente richiesto l'emissione dei prescritto parere da parte della regione. Particolarmente significative sono anche le affermazioni contenute nella sentenza n. 37 del 1989, la quale, in relazione all'esercizio della funzione obbligatoria nell'ambito del procedimento di formazione dei decreti di attuazione degli statuti speciali, ha dichiarato incostituzionali due disposizioni del d.P.R. n. 527 del 1987 che erano state inserite in sede di approvazione da parte del Governo senza essere state sottoposte al parere della Commissione paritetica prevista dall'art. 107 dello statuto del Trentino-Alto Adige. Analogamente, nella sentenza n. 94 del 1995, si e' riconosciuta l'illegittimita' costituzionale della modifica di una disposizione avvenuta successivamente all'emissione del parere da parte della medesima Commissione paritetica. Infine, non puo' non sottolinearsi come dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte emerga altresi' la necessita' di far luogo a pareri, anche indipendentemente dalla loro esplicita previsione nella disciplina di formazione dell'atto normativo primario: a tal proposito, deve segnalarsi la sentenza n. 398 del 1998, che reca dispositivi di incostituzionalita' derivanti dalla circostanza che la normativa incidesse sulle competenze delle regioni senza che le stesse fossero state poste in grado di pronunciarsi, nella forma di un parere, sulla sua adozione. E' alla luce dei precedenti qui passati sommariamente in rassegna che si ritiene di dover concludere nel senso che il decreto legislativo n. 152 del 2006, per il suo essere stato emanato a seguito di un procedimento caratterizzato dalla violazione del principio di leale cooperazione, e', nella sua integralita', costituzionalmente illegittimo per vizio formale. B) Illegittimita' costituzionale di parti e disposizioni del decreto legislativo 14 aprile 2006, n. 152. Oltre all'invalidita' del decreto legislativo n. 152 del 2006 derivante da vizi procedimentali, debbono farsi valere, in subordine, ulteriori gravi ragioni di illegittimita' costituzionale, che riguardano singole disposizioni o addirittura parti dei decreto medesimo. B.1) Parte prima (Disposizioni comuni). Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2. In questa parte, e segnatamente all'art. 2, enunciando le finalita' che il decreto legislativo impugnato persegue, si evidenzia come non esista un unico titolo competenziale cui fare riferimento, bensi' una pluralita' di competenze tra loro compenetrate. In quest'ottica, e' significativo che l'art. 2, comma 1, individui come "obiettivo primario" la "promozione dei livelli di qualita' della vita umana", da realizzare attraverso "la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell'ambiente e l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali": l'obiettivo primario pare dunque riconducibile, per l'essenziale, alla materia "tutela della salute" (art. 117, terzo comma, della Costituzione), mentre gli strumenti attraverso cui perseguirlo richiamano le due materie della "tutela dell'ambiente" (art. 117, secondo comma, lettera s) e dei "governo del territorio" (art. 117, terzo comma). Come si vede, lo stesso legislatore delegato ha riconosciuto, in linea di principio, la sussistenza di una pluralita' di competenze, di natura diversa, cio' che impone di operare una valutazione circa la validita' delle singole discipline approntate che sia strutturata sulla base della "concorrenza di competenze", sull'assunto che, come evidenziato da codesta ecc.ma Corte, "per la composizione di siffatte interferenze la Costituzione non prevede espressamente un criterio ed e' quindi necessaria l'adozione di principi diversi: quello di leale collaborazione, che per la sua elasticita' consente di aver riguardo alle peculiarita' delle singole situazioni, ma anche quello della prevalenza, [...] qualora appaia evidente l'appartenenza dei nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre" (sentenza n. 50 del 2005, poi, sul punto, ripetutamente ripresa). Sulla scorta di questi rilievi, e' chiaramente censurabile la disposizione di cui all'art. 3, comma 2, del decreto legislativo impugnato, per violazione dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione. La lesione delle competenze legislative della regione appare evidente, in quanto, ai termini della disposizione costituzionale appena citata (oltre che per giurisprudenza consolidata), lo Stato puo' adottare atti di natura regolamentare soltanto nelle materie di sua competenza esclusiva. Nella specie, la disposizione impugnata non lascia adito a dubbi di sorta, nella misura in cui prevede che, "entro due anni dalla data di pubblicazione del presente decreto legislativo, con uno o piu' regolamenti da emanarsi ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, adotta i necessari provvedimenti per la modifica e l'integrazione dei regolamenti di attuazione ed esecuzione in materia ambientale, nel rispetto delle finalita', dei principi e delle disposizioni di cui al presente decreto". In via dei tutto subordinata, qualora la disposizione impugnata dovesse essere interpretata come riferita unicamente alla materia "tutela dell'ambiente", ascrivibile alla competenza esclusiva statale nei termini configurati dalla giurisprudenza costituzionale, vi sarebbe una palese violazione del principio di leale cooperazione, poiche' la indeterminatezza del contenuto degli emanandi regolamenti e comunque la contiguita' della competenza statale con le competenze regionali esigono che su questi si pronunci, in sede di parere, la Conferenza unificata. B.2) Parte seconda (Procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione d'impatto ambientale (VIA) e per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC). Illegittimita' costituzionale degli artt. 4, comma 1, 5, comma 1, lettere q) e r), 6, commi da 6 a 8, da 7 a 22, da 26 a 34, 39, da 43 a 47, 50 e 51, comma 1, e degli allegati I. II e V alla Parte seconda. a) La disciplina delle valutazioni ambientali e' un chiaro esempio di come la "tutela dell'ambiente", materia "trasversale" (secondo l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte, a far tempo almeno dalla sentenza n. 407 del 2002), si compenetra con altre materie. Per quanto attiene alla VAS, la tutela dell'ambiente si inserisce nel procedimento di approvazione di piani e programmi di intervento sul territorio: e' allora inequivocabile la compresenza, al fianco della materia "tutela dell'ambiente", della materia "governo del territorio", di competenza concorrente, senza poter trascurare l'obiettivo di fondo per la quale la valutazione ambientale e' configurata, vale a dire quello di garantire agli abitanti il diritto all'ambiente salubre, uno degli ambiti fondamentali nei quali si estrinseca il diritto alla salute che l'art. 117 della Costituzione, al terzo comma, declina come "tutela della salute", affidandolo alla cura concorrente di Stato e regioni. La concorrenza delle competenze "tutela della salute", "governo del territorio" e "tutela dell'ambiente" e' rintracciabile, in termini sostanzialmente congruenti, per la VIA, nella quale la tutela dell'ambiente si inquadra nel procedimento di approvazione di progetti di opere ed interventi. Nel caso specifico, deve peraltro sottolinearsi come il legislatore delegante abbia posto un ulteriore limite al Governo, in sede di emanazione del decreto legislativo, derivante dalla necessita' di tener conto dello stato della legislazione inveratasi nel corso degli anni. Viene in rilievo, in particolare, l'art. 1, comma 8, della legge, sulla base del quale il Governo deve legiferare "nel rispetto dei principi e delle norme comunitarie e delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonche' delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, [...] e del principio di sussidiarieta". Dal brano appena citato si ricava chiaramente un ruolo fondamentale, ai fini dell'individuazione di un punto fermo per le competenze regionali, e' da ascrivere al decreto legislativo n. 112 del 1998, il cui mancato rispetto, sub specie di "arretramento" delle ragioni dell'autonomia, si traduce in una violazione dell'art. 76 della Costituzione, violazione all'evidenza ex se incidente sulle attribuzioni regionali. Ora, stante la portata assunta dal decreto legislativo n. 112 del 1998, non puo' non evidenziarsi il suo art. 71, il quale, per un verso, indica espressamente (e tassativamente) le opere soggette a VIA di competenza statale (comma 1) e, per l'altro, presuppone la vigenza di leggi regionali in materia di VIA, a dimostrazione della sussistenza - gia' anteriormente alla riforma dei Titolo V della Parte seconda della Costituzione - di titoli legittimanti una disciplina autenticamente regionale. Tenendo conto di quanto si e' venuti dicendo, alla situazione di "concorrenza di competenze" indicata non puo' che applicarsi cio' che codesta ecc.ma Corte ha, in analoga fattispecie (sebbene in altro contesto normativo), rilevato con la sentenza n. 219 del 2005, la' dove ha escluso che potesse "ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri, che rend[esse] dominante la relativa competenza legislativa", deducendo la necessita' di "ricorrere al canone della "leale collaborazione" che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle regioni, a salvaguardia delle loro competenze". Seguendo l'insegnamento della giurisprudenza costituzionale, le disposizioni della Parte seconda del decreto legislativo impugnato sono soggette ad un giudizio in merito alla prevalenza dell'uno o dell'altro titolo competenziale. Si avra' modo di rilevare - infra, sub (c) e (d) - che tale prevalenza, tanto nel caso della VAS quanto nel caso della VIA, spetta a materie di competenza concorrente. Ponendosi, tuttavia, per il momento nell'ottica della sussistenza di una "concorrenza di competenze" su base paritaria, di fronte all'insistere di una materia "trasversale" ("tutela dell'ambiente") e due materie concorrenti ("governo del territorio" e "salute"), il canone cui informare l'intera produzione legislativa non puo' che essere quello della leale cooperazione, che impone di garantire alle regioni una partecipazione effettiva ed efficace, declinata essenzialmente nella forma dell'intesa, sia al procedimento formativo dell'atto di disciplina della materia sia ai procedimenti amministrativi che ne susseguano. In un contesto siffatto, una formazione "unilaterale" da parte dello Stato, quale e' indiscutibilmente quella recata dal decreto legislativo n. 152 del 2006, non puo' trovare cittadinanza se non per quanto specificamente (e rigorosamente) riguarda la enucleazione di principi affatto fondamentali, sulla cui base articolare una normativa che, per le parti che non siano di puro dettaglio (in ordine alle quali esigenze di funzionalita', ancor prima che di sistema, impongono che la competenza normativa spetti all'ente competente sul piano amministrativa), si connotino per una tendenziale codecisione degli atti. A conferma della impossibilita' per lo Stato di agire in via esclusiva, giungendo a specificazioni che superano la dimensione della normativa di principio puo' addursi la stessa configurazione dell'unica materia rilevante nel caso di specie che sia compresa nell'elenco del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione. La predisposizione di standards di tutela uniformi, infatti, e' il limite entro il quale e' definibile - sulla scia della giurisprudenza costituzionale - la materia "tutela dell'ambiente" come materia di competenza di spettanza dello Stato (e' in tal senso inequivocabile il tenore testuale del brano seguente della sentenza n. 407 del 2002, poi costantemente ribadito: "i lavori preparatori relativi alla lettera s) del nuovo art. 117 della Costituzione inducono [...] a considerare che l'intento del legislatore sia stato quello di riservare comunque allo Stato il potere di fissare standards di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. In definitiva, si puo' quindi ritenere che riguardo alla protezione dell'ambiente non si sia sostanzialmente inteso eliminare la preesistente pluralita' di titoli di legittimazione per interventi regionali diretti a soddisfare contestualmente, nell'ambito delle proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato"). Da quanto precede, la conclusione cui deve giungersi e' che tutte le disposizioni di dettaglio contenute nella Parte seconda del decreto legislativo impugnato - disposizioni che verranno individuate infra, sub (c) e (d) - sono inficiate dalla loro contrarieta' con i commi secondo, lettera s), e terzo dell'art. 117 della Costituzione, oltre che con l'art. 118 della Costituzione e con il principio di leale cooperazione. Cio' per un duplice ordine di motivi, tra loro alternativi: le disposizioni recanti una disciplina di minuto dettaglio evidenziano sic et simpliciter una esorbitanza posta in essere dal legislatore statale rispetto alle proprie competenze; le disposizioni di carattere piu' generale, che non possono pero' essere definite alla stregua di principi fondamentali (potendo, al piu', indicarsi come espressione di standards di tutela uniformi), presentano il vizio discendente dall'essere state approvate senza dar corso alla dovuta procedura di codecisione. Cosi' ricostruito il quadro competenziale relativo alle procedure di valutazione ambientale, le disposizioni censurande contrastano altresi' con il quinto comma del medesimo articolo, nella parte in cui stabilisce che "le regioni [...], nelle materie di loro competenza, [...] provvedono all'attuazione ed all'esecuzione [...] degli atti dell'Unione europea [...]". Cio' in quanto - come espressamente sancito all'art. 4, comma 1, del decreto legislativo impugnato - la disciplina posta in essere costituisce attuazione "della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente" (lettera a), e "della direttiva 85/337/CEE del Consiglio del 27 giugno 1985, concernente la valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata ed integrata con la direttiva 97/11/CE del Consiglio del 3 marzo 1997 e con la direttiva 2003/35/CE del Parlamento e dei Consiglio, del 26 maggio 2003 e della direttiva 96/61/CE del 24 settembre 1996 recepita con il decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, in materia di prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento" (lettera b). Per quanto si e' visto, e' chiaro che l'attuazione integrale delle direttive fuoriesce dalle competenze dello Stato, cui spetta soltanto l'attuazione pro parte. La centralita' del principio cooperativo nella ricostruzione delle attribuzioni costituzionali rispettive di Stato e regioni si esprime attraverso procedimenti, ma non puo' non esprimersi anche - anzi, in primo luogo - sul piano organico. E' sulla base di questa constatazione che deve censurarsi, per violazione del principio in parola, l'art. 6, limitatamente ai commi da 6 a 8. La doglianza si incentra sulla mancata previsione di una effettiva partecipazione dei rappresentanti delle autonomie territoriali alla Commissione tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali. Al riguardo, e' sufficiente constatare la rilevanza che assumono le funzioni di carattere generale attribuite alla Commissione dall'art. 6, comma 2 ("supporto tecnico-scientifico per l'attuazione delle norme di cui alla parte seconda del presente decreto"), e dal comma 4, lettera c) ("prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento"), per censurare la mancanza di una rappresentanza permanente delle autonomie in un organo la cui attivita' incide su settori ("tutela della salute", "governo del territorio", "tutela dell'ambiente") tali da rendere indefettibile una presenza istituzionale di regioni ed enti locali. Tanto premesso, appare chiara la incostituzionalita' dei commi 6, 7 e 8, alla luce dei quali ciascuna regione deve assumersi l'onere di dimostrare di volta in volta lo specifico interesse regionale coinvolto dall'esercizio di una attivita' soggetta alle norme di cui alla Parte seconda del decreto impugnato per poter partecipare ai lavori della Commissione. All'evidenza, l'interesse della regione e' immanente alla stessa logica del titolo del decreto sull'impatto ambientale, per cui la semplice eventualita' della loro partecipazione viola il principio di leale e paritetica cooperazione tra Stato ed autonomie territoriali. c) Con precipuo riguardo alla disciplina della VAS, debbono individuarsi tre diversi profili di illegittimita' costituzionale, riferiti ora all'integralita' della normativa ora ad alcune disposizioni. (\alpha ) La prima ragione di illegittimita' costituzionale, assolutamente pregiudiziale e' quella derivante dall'avvenuta patente violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, sotto il profilo del mancato rispetto del presupposto del potere legislativo governativo dato dal "tempo limitato". Il decreto legislativo impugnato, adottato sulla base della delegazione contenuta nella legge n. 308 del 2004, per la parte in cui costituisce recepimento della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, non puo' che essere ritenuto radicalmente illegittimo. La previsione della legge n. 308 del 2004, secondo cui il Governo era delegato a "garantire il pieno recepimento della direttiva 2001/42/CE" (art. 1, comma 9, lettera f) e' stata infatti abrogata per incompatibilita' dall'art. 19 della legge 18 aprile 2005, n. 62, ai termini del quale "il Governo e' [stato] delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo di recepimento della direttiva 2001/42/CE [...]". La legge n. 62 del 2005, in buona sostanza, e' intervenuta per limitare lo spatium decidendi del legislatore delegato, vincolandolo a provvedere entro il giorno 10 novembre 2005 (sei mesi dopo l'entrata in vigore della legge, avvenuta in data 11 maggio 2005), e sulla base di principi e criteri direttivi - indicati anch'essi al comma 1 dell'art. 19 - parzialmente difformi da quelli individuati dalla legge n. 308 del 2004. Sulla scorta di un orientamento ormai consolidato, nessun dubbio sussiste sulla efficacia immediata delle disposizioni deleganti - da tener distinte, ovviamente, da quelle che pongono principi e criteri direttivi, la cui efficacia e' subordinata all'entrata in vigore del decreto legislativo (cfr., ad es., V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, II. 1. Le fonti normative. VI ed., Padova, CEDAM, 1993, p. 96) -, donde l'impossibilita' di propugnare, in assenza di clausole a cio' rivolte nella legge n. 62 del 2005, una sorta di "reviviscenza" della delega di cui alla legge n. 308 del 2004, una volta spirato infruttuosamente il termine di cui alla legge n. 62. D'altra parte, l'assenza, nel preambolo del decreto legislativo impugnato, di ogni riferimento all'art. 19 della legge n. 62 del 2005, lungi dal poter avallare una inammissibile lettura in questo senso, altro non e' che il frutto di una "dimenticanza voluta" della vera fonte del potere delegato che e' stato tardivamente esercitato: la' dove la legge n. 62 del 2005 non poneva problemi di legittimita' costituzionale dell'atto posto in essere, essa non e' stata, infatti, dimenticata, come dimostra l'avvenuta abrogazione del suo art. 30 da parte dell'art. 48, comma 1, lettera n), del decreto legislativo n. 152 del 2006. Il vizio ora denunciato ha evidenti ricadute sulla sfera di competenza delle regioni: le ragioni della lesivita' - esposte supra, sub (a), ed infra, sub (\beta ) e (\gamma ) - consentono il richiamo a quella giurisprudenza costituzionale (ampiamente consolidata sia prima che dopo la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione) secondo cui, "nel giudizio promosso in via principale, il vizio di eccesso di delega puo' essere addotto solo quando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle attribuzioni costituzionali delle regioni o province autonome ricorrenti" (sentenza n. 303 del 2003). Alle ragioni di lesivita' enunciate deve aggiungersi il rilievo che il mancato esercizio della delega legislativa, associato ad un suo tardivo ed illegittimo esercizio, ha creato una situazione di confusione nella quale l'attivita' amministrativa (oltre che, ovviamente, quella normativa) delle regioni ha dovuto ovviare ad un inadempimento di obblighi comunitari (il termine per l'attuazione della direttiva e' stato fissato, dall'art. 13 della medesima, al 21 luglio 2004) ed e' destinata - in assenza di una declaratoria di illegittimita' costituzionale da parte di codesta ecc.ma Corte - ad adeguarsi ad una disciplina inevitabilmente instabile, soggetta cioe' a piu' che probabili future questioni di legittimita' costituzionale in via incidentale. E' del resto pacifico, anche nella giurisprudenza costituzionale, che la certezza del diritto, valore di "importanza fondamentale per il funzionamento dello Stato democratico" (sentenza n. 422 del 1995), giustifica, di per se', un intervento caducatorio che miri a preservare questo "cardine della civile convivenza" (sentenza n. 155 del 1990). A tal proposito codesta ecc.ma Corte non ha mancato di sottolinearlo, proprio in sede di giudizio in via principale, e proprio con precipuo riferimento ai rapporti tra ordinamento interno ed ordinamento comunitario: "poiche' nei giudizi di costituzionalita' in via principale l'oggetto dei giudizio stesso, non e' una norma in quanto applicabile, ma una norma di per se' lesiva delle competenze costituzionalmente garantite alle regioni (nel caso di impugnazione di leggi statali da parte delle regioni) o ex se violatrice di norme costituzionali (nel caso di impugnazione di leggi regionali da parte dello Stato) - tanto che in tali giudizi possono essere contestate anche disposizioni di legge non ancora efficaci o ad efficacia differita [...] - non si rinviene, come invece nei giudizi in via incidentale, alcun ostacolo processuale in grado di precludere alla Corte la piena salvaguardia, con proprie decisioni, dei valore costituzionale della certezza e della chiarezza normativa di fronte a ipotesi di contrasto di una norma interna con una comunitaria. Ne' e' senza significato la considerazione che, dati i ricordati caratteri dei giudizio in via principale, la "non applicabilita'" della norma interna confliggente con quella comunitaria rappresenterebbe, nei casi in cui il contrasto normativo si palesasse nell'ambito di quel giudizio, una garanzia inadeguata rispetto al soddisfacimento del dovere, fondato sull'art. 5 del Trattato di Roma e sull'art. 11 della Costituzione, di dare pieno e corretto adempimento agli obblighi comunitari" (sentenza n. 94 del 1995, ma, nel medesimo senso, anche la sentenza n. 384 del 1994). Anche in ragione di quanto da ultimo dedotto, la conclusione cui deve addivenirsi e' quella della illegittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 76 della Costituzione, degli artt. da 7 a 22 del decreto legislativo impugnato, dell'art. 4, comma 1, lettera a), del decreto medesimo, nonche' degli allegati I e II alla Parte seconda. Ad infirmare una siffatta conclusione non giova neppure invocare il disposto dell'art. 1 della legge n. 62 del 2005, che delega il Governo "ad adottare, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B": se e' vero, infatti, che nell'elenco di cui all'allegato B compare anche la direttiva 2001/42/CE, e' altrettanto vero che la norma di cui all'art. 19 e' da ritenersi prevalente rispetto a quella di cui all'art. 1, in quanto norma speciale. Il criterio di risoluzione delle antinomie secondo cui lex specialis derogat generali e' di per se' sufficiente a confermare l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 che costituiscono attuazione della direttiva 2001/42/CE. Quand'anche, tuttavia, si ritenesse - inammissibilmente - insussistente il rapporto di specialita', e si giungesse, dunque, all'applicazione dell'art. 1 (e non dell'art. 19) della legge n. 62 del 2005, la conclusione necessitata resterebbe quella della illegittimita' costituzionale. Cio' in quanto il procedimento di formazione del decreto legislativo disegnato dall'art. 1 della legge n. 62 differisce profondamente da quello seguito nella specie (in - peraltro non piena, come si e' visto supra, sub [A] - consonanza con la delega di cui alla legge n. 308 del 2004): a tacere di altre differenze, basti citare i commi 2 e 6 dell'art. 1 della legge n. 62, recanti prescrizioni palesemente non rispettate in sede di emanazione dei decreto legislativo n. 152 del 2006. Dal comma 2 emerge, infatti, una discrasia significativa in merito ai soggetti proponenti: "i decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell'art. 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente dei Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della direttiva". Dal mancato rispetto dei comma 6 si deduce, invece, una palese compressione delle prerogative regionali, giacche', ai termini della disposizione in discorso, "in relazione a quanto disposto dall'articolo 117, quinto comma, della Costituzione, i decreti legislativi eventualmente adottati nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano entrano in vigore, per le regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la propria normativa di attuazione, alla data di scadenza del termine stabilito per l'attuazione della normativa comunitaria e perdono comunque efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione e provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e, nelle materie di competenza concorrente, dei principi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato". A suggello dell'attenzione verso le ragioni delle autonomie territoriali, si aggiunge, ancora al comma 6, che "i decreti legislativi recano l'esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole delle disposizioni in essi contenute". Nulla di tutto questo e' contemplato nel decreto legislativo n. 152 del 2006, a testimonianza ulteriore del disinteresse mostrato dallo Stato nei confronti degli altri livelli di governo (ma, verrebbe da dire, anche nei confronti della sua stessa opera, vista la totale elusione di ogni prescrizione dettata soltanto un anno prima dell'emanazione dei decreto legislativo impugnato). (\beta ) Con riferimento al merito della normazione, le considerazioni svolte sub (a) debbono qui essere specificate ed integrate, sottolineando preliminarmente che il Titolo III, Capo III, dei decreto legislativo n. 112 del 1998, concernente la "Protezione della natura e dell'ambiente, tutela dell'ambiente dagli inquinamenti e gestione dei rifiuti", non contempla, tra i "Compiti di rilievo nazionale" (art. 69), gli ambiti di materia da sottoporre alla VAS descritti dall'art. 7, commi 1, 2 (fatta eccezione per la lettera b) e 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006; da cio' consegue che tutte le fasi procedimentali contenute negli artt. da 8 a 14, che recano disposizioni procedimentali comuni in materia di VAS, si risolvono in attivita' di gestione del territorio riconducibile, nei suo complesso, ad aspetti di dettaglio di una disciplina sotto molti profili collegata alla competenza concorrente in materia di "governo del territorio", per la quale un ordinato riparto delle competenze legislative ed amministrative rende necessitata una disciplina posta in essere dallo Stato, per i procedimenti amministrativi di propria spettanza, e direttamente (ed interamente) dalle regioni, per gli altri procedimenti amministrativi. La illegittimita' costituzionale degli artt. da 8 a 14 ingenera altresi' la invalidita' dell'art. 22, nella parte in cui prevede che siffatti articoli si irripongano al legislatore regionale nella disciplina della VAS in sede regionale. Ad evitare la declaratoria di illegittimita' costituzionale di tutti gli articoli menzionati, l'effetto pregiudizievole nei confronti delle attribuzioni costituzionali delle regioni non puo' essere rimosso attraverso l'incostituzionalita' del solo art. 22, sull'assunto che, in tal modo, le disposizioni di cui agli artt. da 8 a 14 verrebbero ad imporsi, allora, soltanto alla VAS in sede statale: a cio' osta finanche la titolazione del Capo I, che, nel riferirsi a "disposizioni comuni in materia di VAS", ha, per sua natura, una portata generale, insuscettibile di limitazioni in via ermeneutica. Qualora l'impostazione qui espressa non fosse accolta, le argomentazioni svolte sub (a), relativamente alla eventuale sussistenza di una "concorrenza di competenze", imporrebbero comunque la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni: l'art. 9, che, nei commi 2, secondo periodo, 4 e 6, specifica in modo estremamente dettagliato i contenuti dei rapporto ambientale (nel quale, ai termini del primo periodo dei comma 2, "debbono essere individuati, descritti e valutati gli effetti significativi che l'attuazione del piano o del programma proposto potrebbe avere sull'ambiente e sul patrimonio culturale, nonche' le ragionevoli alternative che possono adottarsi in considerazione degli obiettivi e dell'ambito territoriale dei piano o del programma stesso"); l'allegato I alla Parte seconda del decreto legislativo impugnato, oggetto di rinvio da parte dell'art. 9, comma 2, che si sofferma sul minuto dettaglio delle informazioni da inserire nel rapporto ambientale; l'art. 10, commi 2, secondo periodo, e 3, che specifica nel dettaglio le forme di pubblicita' di un documento, quale la sintesi non tecnica, che dovrebbe consentire (almeno secondo il legislatore statale) ai soggetti interessati una adeguata informazione circa il piano o il programma proposto; l'art. 12, commi 2, 3 e 4, che si sofferma in maniera analitica (ed ultronea rispetto all'obiettivo di dare una normativa quadro) sulle modalita' mediante le quali operare il giudizio di compatibilita' ambientale e, conseguentemente, procedere all'approvazione del piano o del programma proposto; l'art. 14, comma 3, che rinvia all'art. 10, comma 3 (anch'esso censurato), per la specificazione delle forme di pubblicita' da adottare in caso di adozione di misure correttive sollecitate a seguito di controlli sugli effetti ambientali derivanti dall'attuazione dei piani e dei programmi approvati. Le norme censurate possono essere tutte ricondotte alla regolamentazione di aspetti di dettaglio, con l'eccezione, forse, dell'art. 12, commi 2, 3 e 4, i cui contenuti non possono comunque assurgere al rango di principi fondamentali: la loro determinazione, dunque, avrebbe dovuto essere "concordata" con le istanze regionali, al fine di rendere effettivo il dovere di cooperare lealmente cui si e' fatto riferimento supra, sub (a). (\gamma ) Alcune disposizioni concernenti la VAS sono inficiate dal mancato rispetto del principio di leale cooperazione. Tali sono, in particolare, gli artt. 16 e 17, che nel disciplinare la VAS in sede statale omettono qualunque possibilita' di intervento di istanze regionali nel procedimento che conduce all'approvazione del piano o dei programma proposto. Come e' ovvio, un piano o un programma che abbia potenzialmente effetti sull'ambiente, se anche richiede l'autorizzazione da parte di organi statali, non puo' certo dirsi indifferente per quei livelli di governo sul cui territorio incida: viene qui pienamente in evidenza la "concorrenza di competenze", che si concretizza proprio negli effetti di una valutazione che, avendo come canone di riferimento l'"ambiente", non puo' prescindere dalla considerazione per altri interessi parimenti meritevoli di tutela, quali la salute collettiva ed un corretto governo del territorio. d) La disciplina della VIA presenta anch'essa diversi profili di illegittimita' costituzionale, ora inquadrabili nei rapporti tra decreto legislativo e legge di delega ora direttamente nel contrasto con il riparto di competenze esaminato sub (a). (\alpha ) Discorso in buona parte analogo a quello condotto con riferimento alla direttiva 2001/42/CE puo' essere svolto avendo riguardo alla direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, in tema di partecipazione dei pubblico nell'elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale. Un primo aspetto da sottolineare e' che la legge n. 308 del 2004 non ha incluso questa direttiva tra quelle la cui attuazione veniva delegata al Governo (cfr. l'art. 1, comma 9, lettera f), donde la violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione. Se anche si volesse ritenere - peraltro con non poche difficolta' - una siffatta omissione "sanata" dal disposto dell'art. 1, comma 8, lettera e), della legge (che annovera tra i principi e criteri generali della delega la "piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitivita' dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza"), residuerebbe comunque il problema dell'intervenuta modifica della delega ad opera dell'art. 1 della legge n. 62 del 2005, che ha inserito anche la direttiva 2003/35/CE tra quelle da attuare. Si riproporrebbero, allora, le stesse doglianze gia' prospettate sub (c), (\alpha ), relativamente alla direttiva 2001/42/CE, con riferimento alle diversita' dei procedimento di formazione delineato dalla legge n. 62 del 2005 e quello seguito nell'emanazione del decreto legislativo n. 152 del 2006. A quanto gia' rilevato con specifico riguardo ai commi 2 e 6 dell'art. 1, potrebbe qui aggiungersi il mancato rispetto di quanto prescritto dal comma 4, secondo cui "gli schemi di decreti legislativi recanti attuazione [tra le altre] della direttiva 2003/35/CE [...] sono corredati della relazione tecnica di cui all'art. 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi e' richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari che devono essere espressi entro venti giorni". In conclusione, sulla scorta di quanto sin qui detto, non puo' che addivenirsi alla richiesta di una declaratoria di illegittimita' costituzionale che colpisca le disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 che rappresentino attuazione della direttiva 2003/35/CE, e segnatamente degli artt. 4, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole "e con direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003", 5, comma 1, lettere q) e r), 28, 31, comma 4, e 39. Rifacendosi alle considerazioni svolte supra, sub (c), (\alpha ), non puo' ignorarsi il grave danno che la invalidita' appena evidenziata arreca alle attribuzioni costituzionali delle regioni, di talche' nessun difetto di interesse eventualmente addotto puo' precludere una pronuncia di merito di codesta ecc.ma Corte. (\beta ) La "concorrenza di competenze" all'interno della quale la disciplina della VIA si colloca ben puo' essere rappresentata da quanto lo stesso decreto legislativo n. 152 del 2006, all'art. 24, lettera b), stabilisce in ordine alle finalita' cui la procedura di VIA deve ispirarsi, e cioe' la valutazione degli effetti diretti ed indiretti della realizzazione dei progetto "sull'uomo, sulla fauna, sul suolo, sulle acque di superficie e sotterranee, sull'aria, sul clima, sul paesaggio e sull'interazione tra detti fattori, sui beni materiali e sul patrimonio culturale ed ambientale". Da questo elenco, si traggono indicazioni significative in merito ad una eventuale prevalenza di un titolo competenziale rispetto ad un altro: non puo' trascurarsi, in particolare, che il primo elemento considerato ("l'uomo") evoca la competenza in materia di "tutela della salute"; d'altra parte, il richiamo del "suolo", delle "acque", del "paesaggio" sono tutti da ricondurre al "governo dei territorio", mentre la "tutela dell'ambiente", strettamente intesa, compare soltanto all'ultimo posto della lista. Se queste osservazioni suggeriscono la prevalenza (nell'ambito della "concorrenza di competenze") di materie di competenza concorrente, deve riproporsi per la VIA quanto fatto valere in via principale per VAS. Ne discende la illegittimita' costituzionale degli artt. da 26 a 34, che dettano disposizioni procedimentali comuni in materia di VIA, e la correlata illegittimita' costituzionale dell'art. 43, che impone alle regioni il rispetto dei sopra citati articoli. In questa prospettiva, a fortiori illegittimi sono da considerarsi gli artt. da 43 a 47, con i quali e' lo Stato a disciplinare direttamente procedimenti dichiaratamente di competenza regionale, in palese contrasto con le esigenze di funzionalita' e con la logica del sistema che ispira il Titolo V della Parte II della Costituzione. Le stesse previsioni contenute negli articoli ora censurati evidenziano una profonda discrasia rispetto al ruolo che il legislatore statale puo' legittimamente svolgere, e che certo non puo' tradursi, ad esempio, nella disciplina delle condizioni in presenza delle quali si sospendono i lavori (art. 43, comma 5), nella determinazione della durata della proroga dei termini per la conclusione della procedura (art. 44), nella individuazione di esoneri dalla procedura ordinaria (art. 46). Peraltro, se l'impostazione che si e' fatta propria non dovesse venire accolta, quanto rilevato sub (a), relativamente alla eventuale sussistenza di una "concorrenza di competenze", imporrebbe comunque la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni: l'art. 26, commi 2, 3 e 4, con cui viene disciplinata in estremo dettaglio la fase introduttiva del procedimento, specificando le modalita' di trasmissione della domanda alle autorita' interessate, i termini per i pareri di queste e gli effetti dei pareri; l'art. 27, commi da 2 a 7, che puntualizza i contenuti dello studio di impatto ambientale e che disciplina una eventuale fase preliminare nel procedimento autorizzativo; l'allegato V alla Parte seconda del decreto legislativo impugnato, oggetto di rinvio da parte dell'art. 27, comma 2, che specifica ulteriormente le informazioni da inserire nello studio di impatto ambientale; l'art. 28, comma 2, che si sofferma dettagliatamente sulle misure di pubblicita' a carico del committente o del proponente; la stessa disposizione contrasta con l'art. 117, sesto comma, della Costituzione, nella parte in cui, dopo aver stabilito che le modalita' dell'annuncio dell'avvenuto deposito della presentazione della domanda sono stabilite con regolamento dell'"autorita' competente" (lettera b), primo periodo), precisa che il regolamento stesso e' "emanato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio" (lettera b), terzo periodo), lasciando intendere che soltanto quest'ultimo - e non qualunque "autorita' competente" - e' titolare della potesta' regolamentare in materia; una potesta' che e' peraltro esclusa dalla disposizione costituzionale citata, alla luce del riparto di competenze legislative che si e' esaminato; l'illegittimita' costituzionale dell'art. 28, comma 2, lettera b), produce, come conseguenza necessitata, l'illegittimita' costituzionale pro parte qua; delle disposizioni che ad essa rinviano, e segnatamente gli artt. 29, comma 1, primo periodo, l'art. 31, comma 1, e 43, comma 4; l'art. 29, commi da 2 a 5, che dispone in maniera estremamente analitica le modalita' attraverso le quali rendere il procedimento che conduce alla VIA partecipato da parte dei soggetti in vario modo ed in varia misura interessati; l'art. 31, commi da 2 a 4, il quale si sofferma in maniera assai dettagliata (ed ultronea rispetto all'obiettivo di dare una normativa quadro) sulle modalita' mediante le quali operare il giudizio di compatibilita' ambientale; l'art. 32, comma 3, che stabilisce termini e modalita' specifici mediante cui procedere alla verifica dell'impatto ambientale delle opere; l'art. 34, comma 2, il quale individua in maniera minuziosa cio' che e' tenuto a fare il proponente che manifesti la volonta' di ottenere che la procedura di VIA sia integrata nel procedimento per il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale; l'art. 42, comma 2, che fissa criteri eccessivamente rigidi entro i quali le regioni e le province autonome possono definire, per determinate tipologie progettuali e/o aree predeterminate, un incremento delle soglie al di sotto delle quali la VIA non e' richiesta; tale rigidita' e' testimoniata, tra l'altro, dal limite del 20 per cento posto alla variabilita' rispetto ai dati contenuti nell'allegato III della Parte seconda, limite che, ai termini del d.P.R. 12 aprile 1996, era del 30 per cento; l'art. 43, comma 5, che disciplina i casi e le modalita' di sospensione dei lavori in corso ai fini del ripristino delle condizioni di compatibilita' ambientale; l'art. 44, che determina la durata massima della proroga dei termini per la conclusione della procedura di VIA; l'art. 46, nella parte in cui limita eccessivamente l'individuazione, ad opera delle regioni e delle province autonome, le ipotesi di esonero dalla procedura ordinaria e la possibilita' di promuovere procedure semplificate. Le norme censurate possono essere tutte ricondotte alla regolamentazione di aspetti di dettaglio. Soltanto quelle di cui agli artt. 29 e 31 hanno una piu' ampia portata, alla luce della quale, essendo lungi dal potersi parlare di "principi fondamentali", l'istanza cooperativa non poteva essere disconosciuta, come avvenuto nel procedimento di formazione del decreto legislativo n. 152 del 2006, donde l'illegittimita' costituzionale discendente da quanto argomentato supra, sub (a). e) Per concludere sulla Parte seconda del decreto legislativo impugnato, alcune fattispecie di illegittimita' costituzionale sono rintracciabili anche nell'ambito delle "Disposizioni transitorie e finali". (\alpha ) In primo luogo, e' da censurare l'art. 50, il quale stabilisce che, in (mancanza di normative regionali di adeguamento alla Parte seconda del decreto legislativo impugnato, le disposizioni ivi previste si applicano loro integralmente. La ragione dell'illegittimita' costituzionale della disposizione deriva, come e' chiaro, dalla illegittimita' costituzionale di (molte delle) disposizioni contenute nella Parte seconda, nel senso che i vizi sin qui riscontrati si comunicano all'art. 50, che mira ad interinarli, sia pure in una fase transitoria. (beta) E', inoltre, da censurare l'art. 51, comma 1, che prevede l'adozione di regolamenti di semplificazione relativi alle procedure di valutazione ambientale strategica e di valutazione di impatto ambientale. La disposizione viola gli artt. 117 e 118 della Costituzione, in quanto lo Stato puo' delegificare solo materie di sua competenza esclusiva e non gia' materie attribuite alla competenza concorrente regionale (ex plurimis, sentenza 303 del 2003), poiche' il regolamento statale non costituisce fonte idonea ad incidere su competenze legislative della regione. Pertanto, la previsione del regolamento da emanare ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, va dichiarata incostituzionale per la parte in cui si riferisce alla semplificazione dei procedimenti di competenza regionale. B.3) Parte terza - Sezione I (Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione). Illegittimita' costituzionale degli artt. 55, comma 4, 57, 58, 59, 61, 63, 64, 65, 67 (commi da 2 a 6), 68, 69 (commi 2 e 3), 70 e 72. a) Sulla configurazione della "difesa dei suolo", la giurisprudenza costituzionale, gia' nel vigore del testo originario del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, ha incontestabilmente escluso la possibilita' per lo Stato di disciplinare autonomamente la materia: "la difesa del suolo e' una finalita' il cui raggiungimento coinvolge funzioni e materie assegnate tanto alla competenza statale quanto a quella regionale (o provinciale)" (sentenza n. 85 dei 1990, poi ripetutamente confermata), di talche', in tema di difesa del suolo, le regioni disponevano (e dispongono) di "competenze costituzionalmente garantite dagli artt. 117 e 118 della Costituzione e dalle norme interposte" (sentenza n. 97 del 1992). Ponendosi in quest'ottica, codesta ecc.ma Corte ha sottolineato che, "essendo [...] un obiettivo comune allo Stato e alle regioni, la difesa del suolo puo' essere perseguita soltanto attraverso la via della cooperazione fra l'uno e gli altri soggetti" (cosi', ancora, la sentenza n. 85 del 1990). Una siffatta impostazione e' stata ribadita - sia pure incidentalmente - anche nell'ambito del nuovo quadro costituzionale, con specifico riferimento ad una delle attivita' piu' caratterizzanti della difesa del suolo, quale la bonifica: la giurisprudenza costituzionale "aveva gia' ritenuto, nel vigore del previgente Titolo V della Parte II della Costituzione, che la bonifica fosse riconducibile ad una competenza regionale fondamentalmente concorrente, relativa da un lato alla materia dell'agricoltura e foreste, dall'altro, e in un quadro piu' ampio, all'azione pubblica per la difesa del suolo, la tutela e l'uso delle risorse idriche, la tutela dell'ambiente come ecosistema, in una "concezione globale degli interventi sul territorio" (sentenza n. 326 del 1998, sulle orme della sentenza n. 66 del 1992). Rispetto al nuovo testo dell'art. 117, potrebbero venire oggi in rilievo sia la competenza regionale "residuale" che si presta a comprendere molti aspetti della disciplina del settore agricolo (quarto comma), sia, d'altro canto, la competenza esclusiva dello Stato in materia di "tutela dell'ambiente" e "dell'ecosistema" (secondo comma, lettera s), sia infine, in modo piu' comprensivo, la competenza concorrente in tema di "governo del territorio" (terzo comma)" (sentenza n. 282 del 2004; il corsivo e' di chi scrive). Pur senza aver dipanato questo intreccio competenziale (che', d'altra parte, per decidere la controversia nella specie sottopostale cio' non era richiesto), codesta ecc.ma Corte ha offerto una ricostruzione dalla quale si coglie, per un verso, la natura complessa della materia "difesa del suolo" e, per l'altro (e conseguentemente), la concorrenza di diversi titoli competenziali: al fianco della "tutela dell'ambiente", si pongono - quanto meno: in relazione a determinate previsioni, deve infatti prendersi in considerazione anche la "tutela della salute" - l'"agricoltura", di competenza residuale, ed il "governo del territorio", di competenza concorrente. Applicando il gia' ricordato canone decisorio enunciato nella sentenza n. 50 del 2005, la ricerca di un titolo prevalente, sulla scorta del brano riportato (ed in specie del riferimento posto in carattere corsivo), non puo' avere che l'esito secondo cui e' il "governo del territorio" ad imporsi sugli altri, con il che si deve concludere che si verte in una materia concorrente, caratterizzata, tra 1'altro - in ossequio a quanto stabilito a far tempo dalla sentenza n. 85 del 1990 da una forte accentuazione del modulo cooperativo, tale da richiedere una costante dialettica tra i diversi livelli di governo nell'impostazione delle linee generali della politica di difesa del suolo (altrimenti detto: nella fissazione dei principi fondamentali). Il corollario di questa configurazione e' che tutte le disposizioni di dettaglio contenute nella Sezione I della Parte terza del decreto legislativo impugnato sono da ritenersi viziate. b) Ponendosi in quest'ottica, un primo gruppo di censure riguarda quegli articoli nei quali viene esplicitato il concreto riparto competenziale tra i vari livelli di governo. (\alpha ) L'art. 57, relativo alle competenze del Presidente del Consiglio e del Comitato dei ministri per gli interventi nel settore della difesa del suolo, opera un accentramento organizzativo e funzionale che, pur operando nel citato concorso di competenze con prevalenza del "governo del territorio", priva di qualsiasi coinvolgimento le autonomie territoriali. Dell'articolo in questione sono, in particolare, da censurare alcune previsioni che risultano gravemente lesive delle attribuzioni costituzionali delle regioni. Per quanto riguarda l'approvazione, con decreto del Presidente dei Consiglio dei ministri, dei piani di bacino, di cui al comma 1, lettera a), n. 2), la illegittimita' costituzionale deriva dalla violazione del principio di leale cooperazione perpetrata in ragione del fatto che, in ordine ad una decisione tanto rilevante, non ci si puo' limitare al mero parere della Conferenza Stato-regioni, essendo invece necessaria, per la stretta correlazione tra l'esistenza di un piano di bacino e la tutela del territorio regionale, l'acquisizione dell'intesa. Anche la disposizione di cui al comma 1, n. 3), e' costituzionalmente illegittima, per violazione degli artt. 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, in quanto prevede l'attivita' sostitutiva da parte del Governo "in caso di persistente inattivita' dei soggetti ai quali sono demandate le funzioni previste dalla presente sezione". Una siffatta previsione, per la sua genericita', apre allo Stato la possibilita' di agire in via sostitutiva al di fuori delle fattispecie espressamente contemplate nelle disposizioni costituzionali appena menzionate. Queste ultime hanno disegnato in maniera tassativa le ipotesi nelle quali si puo' intervenire in via sostitutiva, in piena coerenza con il nuovo assetto delle competenze legislative ed amministrative introdotte dalla riforma costituzionale: l'inserimento, nel tessuto legislativo, di formule generiche come quella qui oggetto di censura produce un rischio permanente di riappropriazione, da parte dello Stato - in violazione dell'art. 118 della Costituzione -, di attivita' amministrativa di cui esso non ha piu' ne' la titolarita' ne' la responsabilita', una volta affermata la tassativita' delle competenze legislative residuate allo Stato ed una volta scomparso il parallelismo tra funzioni legislative ed amministrative. Sempre nell'art. 57, alcune disposizioni - segnatamente quelle del comma 1, lettera a), n. 4), e del comma 3 - contrastano con gli artt. 117 e 118 della Costituzione, in quanto attribuiscono al Presidente del Consiglio dei ministri (comma 1, lettera a), n. 4) o al Comitato dei ministri (comma 3) il potere di adottare atti di indirizzo e coordinamento, in un settore che, per quanto detto sub (a), rientra tra quelli per i quali il quadro costituzionale successivo alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione e lo stesso art. 8, comma 6, secondo periodo, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. legge La Loggia) escludono che a siffatti atti possa farsi luogo. Nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, infatti, l'adozione di atti di indirizzo e coordinamento produrrebbe l'effetto di sconvolgere l'assetto delle competenze normative, drasticamente dimidiando la posizione costituzionale delle regioni, le cui attribuzioni legislative debbono essere esercitate nel rispetto dei principi fondamentali fissati con legge dello Stato e non gia' nel rispetto di principi fissati da una fonte sublegislativa quale e' l'atto di indirizzo e coordinamento. La illegittimita' costituzionale dei commi 1, lettera a), n. 4), e 3 ingenera, come conseguenza necessitata, anche quella del comma 6, che postula la sussistenza di un potere di indirizzo e coordinamento, disciplinandone l'esercizio. Analogo esito deve avere il vaglio concernente il comma 4, per la parte in cui postula, anch'esso, un potere di indirizzo e coordinamento del Comitato dei ministri. Infine, il comma 3 dell'art. 57 deve essere censurato, per violazione dell'art. 118 della Costituzione, la' dove attribuisce al Comitato dei ministri "funzioni di alta vigilanza", senza neppure specificare l'oggetto su cui tali funzioni vengono esercitate. A tal proposito, deve sottolinearsi come codesta ecc.ma Corte abbia piu' volte ribadito la necessita' di operare un parallelismo tra il potere di vigilanza e la materia cui essa inerisce (si vedano, da ultime, le sentenze nn. 106 del 2006, 63 del 2006 e 384 del 2005), di talche' non puo' prospettarsi l'esercizio in capo allo Stato di questa funzione in un ambito nel quale il principio di sussidiarieta' impone l'attribuzione ai livelli di governo infra-statuali delle funzioni amministrative. L'illegittimita' della previsione ora censurata, d'altra parte, emerge con chiarezza quando venga confrontata con la disciplina previgente. Ai termini dell'art. 4, comma 3, della legge 18 maggio 1989, n. 183, infatti, l'attribuzione delle funzioni di alta vigilanza del Comitato dei ministri non aveva portata generale, ma era limitata a quella "sui servizi tecnici nazionali". L'art. 57, comma 3, segna, dunque, una espansione delle competenze statali (ed un correlativo "arretramento" di quelle regionali), espansione che deve contestarsi anche in virtu' dei precetti contenuti nella legge di delega: l'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, nel fare riferimento ai piu' rilevanti atti legislativi previgenti (legge 15 marzo 1997, n. 59, e decreto legislativo 31 mazzo 1998, n. 112), oltre che alle attribuzioni costituzionali di regioni ed enti locali ed al principio di sussidiarieta', pone - implicitamente ma inequivocabilmente - un argine contro ogni "ritorno indietro", garantendo agli enti infra-statuali, come soglia minima a livello di autonomia, il mantenimento dello status quo. E' in ragione di questa previsione che puo' sottolinearsi che, ogniqualvolta lo Stato si riappropria (come nella fattispecie in discorso) di competenze legislative e/o amministrative gia' conferite agli enti territoriali, va a ledere, per cio' stesso, anche l'art. 76 della Costituzione. L'illegittimita' costituzionale della previsione del potere di "alta vigilanza" si estende anche al comma 4, per la parte in cui concretizza tale potere attraverso la "verifica" della "coerenza nella fase di approvazione" degli atti di pianificazione. (\beta ) Sotto molteplici profili e' da censurare anche l'art. 58, che disegna le competenze dei Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. L'articolo risulta viziato, nel suo complesso, per la violazione del principio di leale cooperazione. In considerazione della marcata incidenza che le competenze del Ministro hanno sulle competenze concorrenti delle regioni, e' evidente - anche in virtu' di quanto rilevato supra, sub (a) - che le istanze rappresentative delle regioni debbono poter partecipare ai procedimenti che si concludano con atti imputabili al Ministro. Una partecipazione che, oltre ad essere generale, deve anche essere modulata in forme tendenzialmente paritarie, e dunque attraverso la previsione di intese, piu' che di pareri. Nell'art. 58, invece, il coinvolgimento delle rappresentanze regionali e' puramente "rapsodico", essendo contemplato soltanto per alcune ipotesi, oltretutto esclusivamente nella forma del parere. La violazione del principio di leale cooperazione si associa, in taluni casi, anche alla violazione dell'art. 76 della Costituzione. Cio' avviene, in particolare, a proposito del comma 3, lettera d), ai termini del quale spetta al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio identificare "le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali e alla difesa del suolo, nonche' con riguardo all'impatto ambientale dell'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali, delle opere di competenza statale e delle trasformazioni territoriali": Un siffatto potere era gia' previsto dall'art. 52, comma 1, del decreto legislativo n. 112 del 1998 come di spettanza statale; il comma 3 del medesimo art. 52, tuttavia, prevedeva che esso venisse esercitato "attraverso intese nella Conferenza unificata". La scomparsa di ogni riferimento a questa istanza di codecisione contrasta, quindi, in maniera evidente con l'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, e, in ultima analisi, con l'art. 76 della Costituzione. Infine, per le ragioni gia' indicate sub (\alpha ), sono da censurare il comma 2, lettera c), ed il comma 3, lettera c), giacche' in essi si attribuisce un potere di indirizzo e coordinamento non piu' esercitabile da parte dell'organo di vertice del Governo, e dunque a fortiori esorbitante rispetto alle attribuzioni di un ministro. (\gamma ) Quanto precede relativamente agli artt. 57 e 58 si riverbera nella illegittimita' costituzionale, per violazione del principio di leale cooperazione, anche dell'art. 59 nel suo complesso. Le disposizioni in esso contenute, infatti, degradano la Conferenza Stato-regioni al ruolo di mero soggetto proponente per gli atti di cui all'art. 57 (lettera a). La Conferenza Stato-regioni e' poi chiamata a formulare semplicemente osservazioni sui piani di bacino (lettera c) e non va oltre l'espressione di pareri sulla ripartizione degli stanziamenti autorizzati da ciascun programma triennale tra i soggetti preposti all'attuazione delle opere e degli interventi individuati dai piani di bacino (lettera d), cio' che - versandosi in una materia di competenza concorrente viola, oltre che il principio di leale cooperazione, anche l'art. 119 della Costituzione, che imporrebbe una intesa sulla ripartizione dei finanziamenti. c) Ancor piu' che nelle disposizioni sin qui censurate, l'avvenuta violazione delle competenze legislative ed amministrative delle regioni emerge in tutta la sua nitidezza dal combinato disposto degli artt. 61 (competenze delle regioni), 63 (Autorita' di bacino distrettuale) e 64 (distretti idrografici) del decreto legislativo n. 152 del 2006. L'intero impianto delineato dalle disposizioni sulle Autorita' di bacino distrettuale e su "i distretti idrografici, gli strumenti, gli interventi" segna un indubbio ed indebito arretramento, per le ragioni delle autonomie, rispetto alla normativa previgente sulla difesa del suolo (legge n. 183 del 1989), recando cosi' un grave ed irreparabile vulnus alla posizione costituzionale delle regioni, in patente dissonanza con il nuovo riparto di competenze delineato dal Titolo V della Parte II della Costituzione, ed in violazione, altresi', del decreto legislativo n. 112 del 1998, ergo dell'art. 1, comma 8, della legge di delega e, in ultima analisi, dell'art. 76 della Costituzione. (\alpha ) Partendo dall'art. 61, la violazione degli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione risulta in maniera evidente ponendo mente alle rilevanti competenze sottratte alle regioni. A tal proposito, quanto mai eloquente e' un confronto tra le previsioni dell'art. 61 e quelle contenute nell'ora abrogato art. 10 della legge n. 183 del 1989. Nell'indicare le funzioni esercitate dalle regioni in materia, l'art. 61 predispone un elenco che, essendo introdotto dalla locuzione "in particolare", parrebbe tassativo, mentre l'elenco di cui all'art. 10 si poneva come esemplificativo, essendo introdotto dalla locuzione "tra l'altro". Al di la' di questa differenza, che potrebbe essere superata, quando non in via interpretativa, attraverso la declaratoria di illegittimita' costituzionale del comma 1 dell'art. 61, limitatamente alle parole ", ed in particolare", cio' che maggiormente rileva e' l'espunzione, dall'elenco dell'art. 61, di due funzioni previste dall'art. 10, e segnatamente quella in base alla quale le regioni "attiva[vano] la costituzione di comitati per i bacini di rilievo regionale e di rilievo interregionale e stabilivano le modalita' di consultazione di enti, organismi, associazioni e privati interessati, in ordine alla redazione dei piani di bacino" (lettera h), e, soprattutto, quella in base alla quale le regioni "delimita[vano] i bacini idrografici di propria competenza" (lettera a). Queste due omissioni sono, di per se', gia' sufficienti a rendere l'art. 61, comma 1, incostituzionale, per la contrarieta' con i parametri sopra indicati. Peraltro, la mancata previsione del potere, per le regioni, di delimitare i bacini idrografici di propria competenza si collega strettamente ad uno dei punti piu' criticabili (e censurabili) dell'intero decreto legislativo n. 152 del 2006, individuabile nel combinato disposto degli artt. 63 e 64. (\beta ) L'art. 63, comma 3, primo periodo, stabilisce che "le autorita' di bacino previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono soppresse a far data dal 30 aprile 2006 e le relative funzioni sono esercitate dalle Autorita' di bacino distrettuale". La soppressione automatica delle autorita' di bacino esistenti e' all'origine di una situazione di pericolosa incertezza, soprattutto per il termine della soppressione, che segue di un solo giorno la data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 152, donde la violazione dell'art. 3 della Costituzione, per il mancato rispetto di qualunque canone di ragionevolezza, con evidenti riflessi sulle attribuzioni costituzionali delle regioni, chiamate a gestire, quanto meno pro parte, una situazione di "vuoto amministrativo" (a tacere, in questa sede, dell'involontaria comicita' di una situazione in cui il termine ad quem per la costituzione delle Autorita' di bacino distrettuale decorre dal sabato - 29 aprile - ed il termine a quo scade la domenica!). La previsione dei comma 3 si completa alla luce del comma 1, secondo cui "in ciascun distretto idrografico di cui all'art. 64 e' istituita l'Autorita' di bacino distrettuale". Sulla base di quanto disposto dal comma 7 dell'art. 63, tali Autorita' di bacino provvedono: "a) all'elaborazione del Piano di bacino distrettuale di cui all'art. 65; b) ad esprimere parere sulla coerenza con gli obiettivi del Piano di bacino dei piani e programmi comunitari, nazionali, regionali e locali relativi alla difesa del suolo, alla lotta alla desertificazione, alla tutela delle acque e alla gestione delle risorse idriche; c) all'elaborazione [...] di un'analisi delle caratteristiche del distretto, di un esame sull'impatto delle attivita' umane sullo stato delle acque superficiali e sulle acque sotterranee, nonche' di un'analisi economica dell'utilizzo idrico". Gli organi di queste nuove Autorita' di bacino sono indicati nel primo periodo del comma 2 dell'art. 63. Trattasi della Conferenza istituzionale permanente, del segretario generale, della segreteria tecnico-operativa e della Conferenza operativa di servizi. Lo stesso comma 2 rinvia, nel secondo periodo, ad un "decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la funzione pubblica, da emanarsi sentita la Conferenza permanente Stato-regioni entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del [...] decreto" legislativo n. 152, per la definizione de "i criteri e le modalita' per l'attribuzione o il trasferimento del personale e delle risorse patrimoniali e finanziarie, salvaguardando i livelli occupazionali, definiti alla data del 31 dicembre 2005, e previa consultazione dei sindacati" (il medesimo decreto del Presidente dei Consiglio dei ministri e' chiamato, ai termini del secondo periodo del comma 3, a disciplinare "il trasferimento di funzioni" ed a regolamentare il periodo transitorio). Ai commi 4, 5 e 6 si disciplinano piu' nel dettaglio la composizione e le funzioni degli organi individuati al comma 2. La Conferenza istituzionale permanente adotta gli atti di indirizzo, coordinamento e pianificazione delle Autorita' di bacino (comma 4, primo periodo), ed esercita le (numerose) funzioni piu' specificamente indicate al comma 5, vale a dire: adozione di criteri e metodi per la elaborazione del Piano di bacino in conformita' agli indirizzi ed ai criteri di cui all'art. 57 (lettera a); individuazione di tempi e modalita' per l'adozione del Piano di bacino (lettera b); determinazione dei componenti del piano che costituiscono interesse esclusivo delle singole regioni e dei componenti per i quali sussistono, invece, interessi comuni a piu' regioni (lettera c); adozione dei provvedimenti necessari per garantire comunque l'elaborazione del Piano di bacino (lettera d); adozione del Piano di bacino (lettera e); controllo sull'attuazione degli schemi previsionali e programmatici del Piano di bacino e dei programmi triennali (lettera f); nomina del segretario generale (lettera g). La Conferenza istituzionale permanente e' presieduta e convocata, "anche su proposta delle amministrazioni partecipanti, dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio su richiesta del segretario generale, che vi partecipa senza diritto di voto" (comma 4, primo periodo). Vi partecipano "i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio, delle infrastrutture e dei trasporti, delle attivita' produttive, delle politiche agricole e forestali, per la funzione pubblica, per i beni e le attivita' culturali o i Sottosegretari dai medesimi delegati, nonche' i Presidenti delle regioni e delle province autonome il cui territorio e' interessato dal distretto idrografico o gli Assessori dai medesimi delegati, oltre al delegato del Dipartimento della protezione civile" (comma 4, secondo periodo). L'organo cosi' composto delibera a maggioranza (comma 4, quarto periodo). Ai termini del comma 6, la Conferenza operativa di servizi e' formata dai rappresentanti dei Ministeri di cui al comma 4, delle regioni e delle province autonome interessate, nonche' da un rappresentante del Dipartimento della protezione civile. Convocata dal segretario generale, che la presiede, provvede, deliberando a maggioranza, all'attuazione ed esecuzione di quanto disposto ai sensi del comma 5, nonche' al compimento degli atti gestionali. Dall'insieme di queste previsioni, emergono svariati profili di illegittimita' costituzionale. Innanzi tutto, l'art. 63, nel suo complesso, viola l'art. 76 della Costituzione, in ragione del mancato rispetto di quanto dalla legge di delega prescritto all'art. 1, comma 1. L'oggetto della delega ivi individuato consiste(va) nel "riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative [...], anche mediante la redazione di testi unici": l'obiettivo perseguito era dunque nulla piu' che una semplice razionalizzazione della legislazione vigente. Nel caso specifico, la lettera c) del comma 9 dell'art. 1 rafforzava l'idea di un tendenziale mantenimento dello status quo, giacche' vi si prevedeva che il Governo dovesse "rimuovere i problemi di carattere organizzativo, procedurale e finanziario che ostacol[assero] il conseguimento della piena operativita' degli organi amministrativi e tecnici preposti alla tutela e al risanamento del suolo e del sottosuolo, superando la sovrapposizione tra i diversi piani settoriali di rilievo ambientale e coordinandoli con i piani urbanistici; valorizzare il ruolo e le competenze svolti dagli organismi a composizione mista statale e regionale; adeguare la disciplina sostanziale e procedurale dell'attivita' di pianificazione, programmazione e attuazione di interventi di risanamento idrogeologico del territorio e della messa in sicurezza delle situazioni a rischio; prevedere meccanismi premiali a favore dei proprietari delle zone agricole e dei boschi che investono per prevenire fenomeni di dissesto idrogeologico, nel rispetto delle linee direttrici del piano di bacino; adeguare la disciplina sostanziale e procedurale della normativa e delle iniziative finalizzate a combattere la desertificazione, anche mediante l'individuazione di programmi utili a garantire maggiore disponibilita' della risorsa idrica e il riuso della stessa; semplificare il procedimento di adozione e approvazione degli strumenti di pianificazione con la garanzia della partecipazione di tutti i soggetti istituzionali coinvolti e la certezza dei tempi di conclusione dell'iter procedimentale". Il riassetto ab imis operato dall'art. 63 (in combinazione, come si vedra', con l'art. 64), non e' dunque in alcun modo giustificabile alla luce della legge di delega, che presupponeva chiaramente un "riordino", ergo una "manutenzione", tendente a migliorare il funzionamento degli organismi esistenti, e non certo alla loro soppressione e sostituzione con altri affatto nuovi. Il vizio di eccesso di delega ha riflessi evidenti sulle attribuzioni costituzionali delle regioni, dal momento che, come si riscontrera' anche infra, l'ordinamento amministrativo introdotto sostituisce quello previsto dalla legge n. 183 del 1989 con un sistema centralistico di gestione delle politiche di tutela idrogeologica del territorio, per di piu' causando un periodo di grave incertezza nella fase transitoria. Piu' in particolare, l'eccesso di delega censurato si collega direttamente alla violazione dell'art, 118 della Costituzione e del principio di leale cooperazione (oltre che alla violazione dell'art. 76 della Costituzione, in ragione del mancato rispetto dell'art. 1, comma 8, della legge di delega). Cio' in quanto, anteriormente al decreto legislativo n. 152 del 2006, la legge n. 183 del 1989 attribuiva alle cure delle regioni la costituzione delle autorita' di bacino di rilievo regionale e di quelle di rilievo interregionale, stabilendo, all'art. 10, comma 1, lettera h), che le regioni avevano il potere di attivare la costituzione di comitati per i bacini di rilievo regionale e di rilievo interregionale e di stabilire le modalita' di consultazione di enti, organismi, associazioni e privati interessati, in ordine alla redazione dei piani di bacino. Analogamente, con riferimento ai bacini di rilievo interregionale, l'art. 15, comma 3, stabiliva che "le regioni territorialmente competenti defini[vano], d'intesa: a) la formazione dei comitato istituzionale di bacino e del comitato tecnico; b) il piano di bacino; c) la programmazione degli interventi; d) le modalita' di svolgimento delle funzioni amministrative per la gestione del bacino, ivi comprese la progettazione, la realizzazione, la gestione e il finanziamento degli incentivi, degli interventi e delle opere". Con riguardo ai bacini nazionali, gli organi delle Autorita' erano caratterizzati, ai sensi dell'art. 12, da una composizione mista e, soprattutto, da regole di funzionamento che garantivano una partecipazione effettiva delle regioni alla politica di gestione. Alla luce di queste previsioni, ben poteva affermarsi che le regioni erano contitolari del governo dei bacini nazionali (configurati come organismi a partecipazione mista Stato-regioni) e titolari, in via tendenzialmente esclusiva, delle funzioni relative ai bacini regionali e interregionali. Oggi, per converso, la aggregazione dei bacini (di cui si dira' infra, sub (\gamma )) ha reso sostanzialmente insignificanti i poteri che alle regioni erano gia' stati attribuiti per i bacini regionali ed interregionali, mentre, per quanto riguarda i bacini nazionali, la posizione delle regioni e' notevolmente deteriore rispetto al passato. In tal senso, deve sottolinearsi come rappresentanti delle regioni siano presenti in netta minoranza nel fondamentale organo decisionale, la Conferenza istituzionale permanente (che nomina anche il Segretario generale), nonche' nella Conferenza operativa. A rendere ancor piu' marginale la posizione delle regioni sono pero' le disposizioni di cui ai commi 4, quarto periodo, e 6, secondo periodo, in base alle quali i due organi appena menzionati deliberano a maggioranza: data la composizione fortemente sperequata degli organi (in cui le regioni hanno un rilievo assolutamente marginale), i rappresentanti regionali non avranno mai la possibilita' di incidere effettivamente ne' di condizionare la politica di gestione delle Autorita' di bacino. Concludendo sull'art. 63, non puo' non evidenziarsi che il rinvio operato, dai commi 2 e 3, ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si pone in contrasto con l'art. 117, sesto comma, della Costituzione. Vertendosi, come si e' avuto modo di rilevare in piu' occasioni, in una materia di competenza concorrente, allo Stato e' precluso l'utilizzo dello strumento regolamentare. D'altra parte, quand'anche si ritenesse cio' che pare tutt'altro che agevole - di poter giustificare una siffatta previsione, dovrebbe comunque constatarsi la violazione del principio di leale cooperazione, derivante dalla previsione di un semplice parere della Conferenza Stato-regioni, organo in seno al quale sarebbe, invece, necessario raggiungere una intesa al fine di incidere, in una materia come il "governo dei territorio", su aspetti tanto rilevanti quanto quelli indicati nelle disposizioni censurate. (\gamma ) Con precipuo riferimento all'art. 64, e' da sottolineare che esso individua un numero estremamente esiguo di distretti idrografici in cui viene ripartito il territorio nazionale. Gli otto distretti individuati, infatti, accorpano i numerosi bacini che gli artt. 14, 15 e 16 della legge n. 183 del 1989 prevedevano (sub specie, rispettivamente, di bacini di rilievo nazionale, di rilievo interregionale e di rilievo regionale), con il risultato di operare una divisione in buona parte arbitraria (in ragione della estensione eccessiva di molti dei bacini istituiti e della variabilita' della loro estensione: si va dal massimo del distretto padano, con una superficie di circa 74.115 kmq, al minimo del distretto del Serchio, di circa 1.600 kmq) e, soprattutto, determinata autonomamente dallo Stato, senza alcun coinvolgimento delle regioni. Se ne deduce l'illegittimita' costituzionale dell'art. 64, nel suo complesso, per il concorrere di diversi ordini di motivi. Innanzi tutto, risulta manifesta la sussistenza di un vizio procedimentale, veicolato dalla violazione del principio di leale cooperazione, verificatosi in sede di approvazione dell'art. 64: le regioni non sono state, infatti, chiamate ad esercitare alcun ruolo nella determinazione concreta dell'ambito dei distretti. In secondo luogo, e' palese la violazione dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza. Quest'ultimo parametro, pur se esterno al Titolo V della Parte II della Costituzione, rileva, nella presente sede, giacche' proprio l'irragionevolezza della delimitazione dei bacini ha conseguenze profondamente pregiudizievoli sulla gestione dei bacini idrografici, di spettanza regionale. In effetti, l'unificazione sotto un'unica autorita' di bacini che, in molti casi, non hanno alcuna correlazione realizza un accentramento privo di qualunque giustificazione, espropriando le regioni delle proprie naturali competenze, in violazione sia della competenza legislativa di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione che del principio di sussidiarieta' di cui all'art. 118. L'indistinto accorpamento dei bacini in poche ed estese aree geografiche oblitera integralmente la ragione stessa del significato di "bacino", che deve essere considerato quale "ecosistema unitario". Viene in rilievo, a tal proposito, quanto disposto dalla direttiva 2000/60/CE, del 23 ottobre 2000, del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque, sulla quale e' opportuno brevemente soffermarsi al fine di dimostrare l'avvenuta violazione - ad opera dell'art. 64 (ma anche, in parte, dell'art. 63) - degli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione. Nel tredicesimo considerando, sull'assunto che "le diverse condizioni ed esigenze riscontrabili all'interno della comunita' richiedono l'adozione di soluzioni specifiche", si sottolinea come sia "opportuno tener conto di tale diversita' nella programmazione e nell'esecuzione di misure atte a garantire la protezione ed un utilizzo sostenibile delle acque nell'ambito del bacino idrografico", donde la necessita' che le decisioni siano "adottate al livello piu' vicino possibile ai luoghi di utilizzo effettivo o di degrado delle acque", il che si traduce nell'impegno a "privilegiare le azioni che rientrino fra le competenze degli Stati membri, attraverso programmi di misure adeguati alle condizioni regionali e locali". Piu' in particolare, il trentatreesimo considerando sancisce "l'obiettivo di ottenere un buono stato delle acque), che "dovrebbe essere perseguito a livello di ciascun bacino idrografico, in modo da coordinare le misure riguardanti le acque superficiali e sotterranee appartenenti al medesimo sistema ecologico, idrologico e idrogeologico". Queste affermazioni di ordine generale trovano una prima, significativa, concretizzazione all'art. 2 della direttiva, che reca le definizioni dei concetti di base: il "bacino idrografico" e' identificato ne "il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare al mare in un'unica foce, a estuario o delta" (n. 13); il "sottobacino" ne "il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare in un punto specifico di un corso d'acqua (di solito un lago o la confluenza di un fiume)" (n. 14); il "distretto idrografico" nell'"area di terra e di mare, costituita da uno o piu' bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere che, a norma dell'art. 3, paragrafo 1, e' definito la principale unita' per la gestione dei bacini idrografici" (n. 15). A sua volta, l'art. 3, par. 1, stabilisce che "gli Stati membri individuano i singoli bacini idrografici presenti nel loro territorio e, ai fini della direttiva, li assegnano a singoli distretti idrografici". Si sottolinea anche che, "ove opportuno, e' possibile accomunare in un unico distretto bacini idrografici di piccole dimensioni e bacini di dimensioni piu' grandi, oppure unificare piccoli bacini limitrofi", avvertendo comunque che, "qualora le acque sotterranee non rientrino interamente in un bacino idrografico preciso, esse vengono individuate e assegnate al distretto idrografico piu' vicino o piu' consono"; analogamente, "le acque costiere vengono individuate e assegnate al distretto idrografico o ai distretti idrografici piu' vicini o piu' consoni". La citazione testuale di questi passi dimostra in maniera inoppugnabile che, nella logica del legislatore comunitario, la regola e' quella della corrispondenza tra l'individuazione del "bacino idrografico" e la perimetrazione del "distretto": e' dunque una eccezione la rottura di questa corrispondenza, da giustificare per ragioni di opportunita', e segnatamente in considerazione dell'omogeneita' dell'ecosistema e/o della piu' efficace gestione discendente dall'assegnazione di bacini limitrofi di diversa dimensione ad un unico distretto idrografico. Una logica di questo tipo e' completamente sovvertita nell'art. 64, che individua macroaree, affidandole alle Autorita' di bacino distrettuale, in modo del tutto disomogeneo, secondo criteri non meglio identificabili, ma che certo non rispondono affatto a quelle ragioni di "opportunita" che la direttiva comunitaria esige. Una siffatta violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione non e' affatto ininfluente sulle attribuzioni proprie delle regioni (donde la censurabilita' in sede di giudizio in via principale). Le dimensioni dei distretti individuati dall'art. 64, infatti, non possono che configurare i distretti stessi alla stregua di enti amministrativi sovraregionali. Se, nella legge n. 183 del 1989, le dimensioni dei bacini erano tali da consentire alle Autorita' di bacino una effettiva capacita' gestionale, il sistema dei "distretti idrografici" posto in essere porta a concepire i bacini regionali ed interregionali (unitamente ai bacini di rilievo nazionale) come enti di decentramento burocratico, per i quali valgono indistintamente compiti e funzioni dettati dallo Stato, con conseguente riappropriazione al centro di attivita' gia' delegate o trasferite e con la vanificazione delle attivita' di gestione, in violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in materia di "governo del territorio" e dell'art. 118 della Costituzione. Altro profilo di illegittimita' costituzionale e' quello relativo alla violazione dell'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, e dunque dell'art. 76 della Costituzione. Va all'uopo sottolineato che l'osservanza del decreto legislativo n. 112 del 1998, cui e' tenuto il legislatore delegato, non consente la riappropriazione di competenze amministrative gia' trasferite ed al riguardo e' sufficiente la lettura del capo IV del decreto n. 112 per verificare che, ai termini dell'art. 88, comma 1, lettera t), allo Stato residuano i poteri di "individuazione e delimitazione dei bacini idrografici nazionali e interregionali", poteri dai quali si e' esorbitato, nella redazione dell'art. 64, andando ad individuare (e, quindi, ad ipostatizzare) anche i bacini regionali esistenti. L'art. 64, infine, contrasta, di nuovo, con l'art. 76 della Costituzione, in conseguenza della violazione dell'art. 1, comma 1, della legge n. 308 del 2004, per le stesse ragioni che sorreggono l'analogo profilo di incostituzionalita' evocato con riguardo all'art. 63. d) I rilievi mossi in riferimento agli artt. 61, 63 e 64 hanno evidenti riflessi anche sugli articoli successivi, che dei primi rappresentano la specificazione e che, dunque, contrastano in maniera patente con la ripartizione delle competenze legislative delineata dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione. (\alpha ) Cio' vale, in primo luogo, per l'art. 65, che disciplina il piano di bacino distrettuale. La illegittimita' costituzionale di tale articolo discende dalla avvenuta centralizzazione della politica di gestione dei bacini. La censura puo' allora essere motivata in chiave di consequenzialita' rispetto alle censure sopra illustrate. Qualora, tuttavia, non si ritenesse l'art. 65 inficiato dalla incostituzionalita' degli artt. 61, 63 e 64, un motivo decisivo di illegittimita' costituzionale sarebbe rintracciabile nella normativa estremamente dettagliata (ben lontana da una formazione puramente di principio) che esso reca. In ulteriore subordine, qualora, per ipotesi, si dovessero ritenere gli artt. 61, 63 e 64 non lesivi delle attribuzioni costituzionali delle regioni, allora l'art. 65 risulterebbe comunque illegittimo, per il fatto di non prevedere - in violazione del principio di leale cooperazione - una partecipazione di istanze regionali nella procedura di approvazione dei piani di bacino: la marginalizzazione sopra riferita della posizione delle regioni nell'ambito della politica di gestione dei bacini renderebbe, infatti, indefettibile una misura che - ancorche' in maniera minimale - garantisse alle regioni la possibilita' almeno di far valere i propri interessi e le proprie esigenze nell'ambito di un procedimento di capitale importanza nel governo dei loro territori (il che e' inequivocabilmente dimostrato dal comma 4 dell'art. 65, secondo cui, per un verso, "le disposizioni del Piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonche' per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso Piano di bacino", e, per altro verso, "i piani e programmi di sviluppo socio-economico e di assetto ed uso del territorio devono essere coordinati, o comunque non in contrasto, con il Piano di bacino approvato"). La illegittimita' costituzionale dell'art. 65 non puo' non comportare la declaratoria di illegittimita' costituzionale ex art. 27, secondo periodo, legge 11 marzo 1953, n. 87, dell'art. 66, che specifica ulteriormente il procedimento che si conclude con l'approvazione del piano di bacino. (\beta ) I motivi che inducono a ritenere incostituzionale l'art. 65 si ripresentano in ordine all'art. 67, che disciplina l'adozione, nelle more dell'approvazione dei piani di bacino, dei piani stralcio di distretto per l'assetto idrogeologico (PAI), all'interno dei quali inserire, in particolare, l'individuazione delle aree a rischio idrogeologico, la perimetrazione delle aree da sottoporre a misure di salvaguardia e la determinazione delle misure medesime. Facendo salvo il principio, esplicitato nel comma 1, in base al quale i piani stralcio si rendono provvisoriamente necessari, cio' che deve essere censurato e' il contenuto dei commi da 2 a 6, che recano disposizioni dirette ad attuare il principio medesimo. Anche in questo caso, l'illegittimita' costituzionale discende dalle considerazioni svolte supra, sub (c); in subordine, il carattere estremamente dettagliato dei commi in esame e' inconciliabile con la titolarita', in capo allo Stato, di un potere legislativo limitato alla fissazione dei principi fondamentali (donde la violazione dell'art. 117 della Costituzione); in ulteriore subordine (qualora gli artt. 61, 63 e 64 non fossero stati caducati), risulterebbe violato il principio di leale cooperazione, in ragione della mancata partecipazione di istanze rappresentative delle regioni al procedimento formativo dei piani stralcio. La illegittimita' costituzionale dell'art. 67, commi da 2 a 6, ha come conseguenza inevitabile quella di rendere incostituzionale anche l'art. 68, che dell'art. 67 rappresenta una specificazione ed una attuazione. e) Il sopra esaminato riparto di competenze legislative tra Stato e regioni in materia di difesa del suolo e di bacini idrografici rende evidente la illegittimita' costituzionale anche di svariate disposizioni contenute nel Capo III del Titolo II. Deve a tal proposito sottolinearsi come le disposizioni sui "programmi di intervento" contenute nei commi 2 e 3 dell'art. 69 siano di estremo dettaglio. Per quanto attiene al comma 2, la specificita', che ingenera la violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, si traduce, altresi', nella violazione dell'art. 119 della Costituzione, in quanto, nella ripartizione delle quote percentuali degli stanziamenti complessivi, si pretende di indirizzare - attraverso vincoli di destinazione contrastanti con l'autonomia finanziaria degli enti infra-statuali - attivita' amministrative che non rientrano nella competenza dello Stato. In merito al comma 3, la previsione per le regioni della possibilita' di provvedere con propri stanziamenti alla realizzazione di opere e di interventi appare fortemente lesiva dell'autonomia finanziaria di spesa riconosciuta dall'art. 119 della Costituzione, in quanto tali stanziamenti sono indebitamente condizionati al previo parere favorevole della Conferenza istituzionale permanente di cui all'art. 63, comma 4. La previsione appare irragionevole, e quindi invasiva delle competenze regionali, poiche' l'irrigidire in modo indifferenziato per tutte le regioni gli interventi finanziari comporta una mancata comprensione delle diversita' territoriali degli enti, i quali debbono poter decidere liberamente in ordine al finanziamento degli interventi necessari per il proprio territorio. Le censure che concernono il carattere estremamente dettagliato delle citate disposizioni dell'art. 69 si ripropongono, a fortiori, con riferimento all'art. 70, che disciplina il procedimento di adozione dei programmi di intervento. Ancora con riguardo agli interventi da progettare (e da finanziare), si segnala la illegittimita' costituzionale dei commi 3 e 5 dell'art. 72. Il comma 3, nel prevedere che il Comitato dei ministri di cui all'art. 57, predispone lo schema di programma nazionale di intervento per il triennio e la ripartizione degli stanziamenti tra le amministrazioni dello Stato e le regioni, individua nella forma del semplice parere il coinvolgimento della Conferenza Stato-regioni. Si verifica, in tal modo, una violazione del principio di leale cooperazione, che richiede una forma di codecisione per attivita' che abbiano riguardo ad ambiti normativi ed amministrativi spettanti alle regioni in base agli artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione. Analoga censura deve essere proposta con riferimento al comma 5 dell'art. 72, nella parte in cui attribuisce al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio il potere di individuare con proprio decreto le opere di competenza regionale, che rivestono grande rilevanza tecnico-idraulica per la modifica del reticolo idrografico principale e del demanio idrico, i cui progetti devono essere sottoposti al parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici. La previsione contrasta, innanzi tutto, con gli artt. 117 e 118 della Costituzione, giacche' attribuisce al Ministro un potere condizionante nei confronti dell'autonomia anche legislativa delle regioni. In via subordinata, si constata una violazione del principio di leale cooperazione, in ragione del fatto che l'esplicita incidenza sulle competenze regionali ad opera del decreto ministeriale vede un coinvolgimento procedimentale delle istanze rappresentative delle regioni limitato alla semplice proposta iniziale della Conferenza Stato-regioni. f) Per concludere sulla Sezione I della Parte terza del decreto legislativo impugnato, una ultima disposizione deve essere annoverata tra quelle invalide. Trattasi del comma 4 dell'art. 55, ai termini del quale l'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) contribuisce allo svolgimento dell'attivita' conoscitiva in tema di difesa del suolo ed ai fini della diffusione dell'informazione ambientale. L'attribuzione all'ANCI del compito di partecipare allo svolgimento dell'attivita' conoscitiva ed alla diffusione dell'informazione ambientale nella quasi totalita' dei settori che si ricollegano alla difesa del suolo e' costituzionalmente illegittima, per violazione dell'art. 118 della Costituzione, in quanto con essa si demanda ad una associazione di categoria, rappresentativa degli interessi dei comuni, un'attivita' che deve, invece, trovare la sua sede naturale, da un lato, nella Conferenza Stato-citta' (organismo istituzionale al quale possono essere demandati, per competenza, compiti ricognitivi e di informazione) e, dall'altro, nel normale esercizio (eventualmente anche in forma associata) delle funzioni amministrative da parte degli enti territoriali. Dalla caducazione del comma 4 deriva, in via consequenziale, l'illegittimita' ex art. 27, secondo periodo, legge n. 87 del 1953 anche del comma 5, che postula l'affidamento all'ANCI della attivita' conoscitiva di cui sopra. B.4) Parte terza - Sezione II (Tutela delle acque dall'inquinamento). Illegittimita' costituzionale degli artt. 73, 75, 87, 91, commi 2 e 6, 101, comma 7, 113, comma 1, 114, 116, 119, 120, 121, comma 4, 122, 123, 132, 135, comma 2, e 136. a) La lettura dell'art. 73 del decreto legislativo impugnato, nel quale si individuano gli obiettivi da perseguire nella disciplina generale per la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee, rende palese la riproponibilita' delle considerazioni svolte supra, sub B.3), in merito alla riconducibilita' della disciplina ad un insieme di titoli competenziali di diversa natura, tra i quali a prevalere e' il "governo del territorio" (si vedano, in particolare, le lettere a), c), d) ed e). Non mancano, peraltro, richiami alla "tutela dell'ambiente" (segnatamente con riferimento alle lettere a), b) e f)ed alla "tutela della salute" (in tal senso, rilevano soprattutto le lettere b), d) ed e). Da questi rilievi, deve riproporsi, sul piano generale, la riconducibilita' della disciplina alla competenza concorrente in tema di "governo del territorio" e, in via gradata, la sussistenza di una "concorrenza di competenze" coinvolgente le tre materie appena indicate. Nel caso specifico, non puo' non sottolinearsi, in via preliminare, che la disciplina contenuta nella Sezione II della Parte terza si appalesa come fortemente condizionata in senso negativo dall'assetto dei bacini idrografici disegnato agli artt. 63 e seguenti. Sull'assunto che l'auspicata declaratoria di illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate supra, sub B.3.c) e B.3.d), non puo' non avere conseguenze, sulla sezione ora in questione, di rilevanza tale da imporre una sua rivisitazione ab imis da parte dei legislatore, in questa sede verranno passate in rassegna le disposizioni sulle quali si ritiene comunque indefettibile un intervento caducatorio da parte di codesta ecc.ma Corte. b) Talune disposizioni sono da censurare per il mancato rispetto del riparto di competenze normative ed amministrative sopra delineato. (\alpha ) L'art. 73, nell'indicare le finalita' delle norme contenute nella sezione sulla tutela delle acque dall'inquinamento, si sofferma, al comma 2, anche sugli strumenti attraverso i quali raggiungere gli obiettivi di cui al comma 1. Per definizione, il comma 2 non puo' recare norme di principio, donde la sua illegittimita' per violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione. Se anche si adottasse la prospettiva della sussistenza di una "concorrenza di competenze", l'enunciazione degli strumenti potrebbe, al piu', essere inquadrata nell'ambito della determinazione di standards di tutela (cio' che appare, peraltro, assai problematico), con il che il comma 2 non potrebbe comunque essere considerato immune da vizi, giacche', in applicazione dei canoni di normazione enunciati supra, sub B.2.a), la redazione di siffatti contenuti normativi avrebbe richiesto una previa intesa con i rappresentanti delle regioni. (\beta ) Radicalmente contrastante con lo spirito, oltre che con la lettera, degli artt. 117, commi secondo, terzo e quarto, e 118 della Costituzione e' la disposizione di cui all'art. 75, comma 1, lettera b), ai termini della quale "le regioni e gli enti locali esercitano le funzioni e i compiti ad essi spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali". L'enunciato normativo mostra chiaramente una concezione del riparto di competenze inconciliabile con il mutato assetto costituzionale, nella misura in cui ignora che le funzioni normative delle regioni e le funzioni amministrative degli enti locali non possono mai essere "determinate", stanti le clausole di cui all'art. 117, quarto comma, ed all'art. 118, primo comma, della Costituzione. L'inserimento, nel tessuto normativo, di previsioni di tal fatta riflette la tendenza dello Stato a restare l'ente cui spettano le competenze "generali"; tendenza che, pero', deve essere avversata proprio per la sua contrarieta' ai citati articoli della Costituzione. (\gamma ) Analogamente viziato risulta l'art. 116, secondo cui le regioni integrano i piani di tutela di cui all'art. 121 con programmi di misure che "sono sottoposti per l'approvazione all'Autorita' di bacino", la quale ultima, "qualora le misure non risultino sufficienti a garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti", e' chiamata ad individuare le cause e ad indicare "alle regioni le modalita' per il riesame dei programmi, invitandole ad apportare le necessarie modifiche, fermo restando il limite costituito dalle risorse disponibili". Alla luce di questa disposizione, si coglie chiaramente l'idea di un'autonomia regionale che viene collocata "sotto tutela" da parte di un ente, quale l'Autorita' di bacino, che e' riconducibile, nella composizione e nelle funzioni, alla sfera di diretta influenza dello Stato (come si confida di aver adeguatamente dimostrato supra, sub B.3.c). L'art. 116, in definitiva, contrasta con gli artt. 114 e 118 della Costituzione, proprio in conseguenza del mancato riconoscimento di una sfera di autonomia della regione, configurata viceversa come una propaggine di un ente di decentramento (l'Autorita' di bacino), ed a questo subordinata (nella misura in cui riceve "istruzioni", "inviti" e "suggerimenti"). (\delta ) L' art. 119, nel dettare norme in materia di recupero dei costi relativi ai servizi idrici, compresi quelli ambientali e relativi alla risorsa, attribuisce il potere di (attuare politiche dei prezzi dell'acqua" alle "Autorita' competenti". Il riferimento generico al titolare di questa attribuzione e' l'unico che si riscontra nell'intero Titolo IV della Sezione II della Parte terza, poiche' in tutti gli altri articoli sono adeguatamente specificate quali siano le "autorita' competenti". In un settore cosi' delicato come e' quello in parola, una tale genericita' appare, di per se', contrastante con l'art. 118 della Costituzione, nella misura in cui e' all'origine di incertezza in ordine alla concreta titolarita' del potere. La natura delle attivita' previste all'art. 119 rende chiara la necessita' di traslitterare l'espressione "Autorita' competenti" in "Regioni (e Province autonome)", giacche' sono questi i livelli di governo chiamati - come evidenziato anche da una interpretazione sistematica del Capo in cui l'art. 119 e' contenuto - ad agire in via amministrativa. Qualora, pero', ad un tale approdo ermeneutico non si giungesse, una declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'articolo in questione, nella parte in cui non attribuisce l'attuazione delle politiche dei prezzi dell'acqua alle regioni, si imporrebbe onde eliminare il contrasto inveratosi con l'art. 118 della Costituzione. La illegittimita' costituzionale dell'art. 119 ha riflessi anche sull'art. 121, comma 4, lettera h), nella parte in cui ad esso fa esplicito rinvio. Il vizio e', in questo caso, da riscontrarsi in relazione all'utilizzo della formula generica "dare attuazione" - priva della specificazione dei soggetti che in concreto sono chiamati a farlo - alle disposizioni concernenti il recupero dei costi dei servizi idrici. Come e' ovvio, l'accoglimento della prospettiva ermeneutica o della questione di legittimita' costituzionale riguardante l'art. 119 farebbe, peraltro, cadere la censura sull'art. 121. (\varepsilon ) L'art. 120 assegna alle regioni il compito di elaborare ed attuare i programmi per la conoscenza e la verifica dello stato qualitativo e quantitativo delle acque superficiali e sotterranee all'interno di ciascun bacino idrografico. La previsione, apparentemente in linea con il ruolo che delle regioni deve necessariamente essere proprio in materia, tradisce una limitazione eccessiva dell'autonomia amministrativa de1le regioni in considerazione di quanto stabilito al comma 2 dell'art. 120. Ai termini del primo periodo, infatti, i programmi "sono adottati in conformita' alle indicazioni di cui all'Allegato 1 alla parte terza". L'allegato e' inusitatamente lungo e dettagliato, tanto da rendere l'attivita' della regione l'espressione, non gia' di una autonomia amministrativa, ma di una funzione operativa ed ausiliaria rispetto ai desiderata di un ente sovraordinato, nella specie ovviamente identificabile nello Stato. L'ottica di sudditanza delle regioni, che anche da questa disposizione emerge, si pone in patente contrasto con l'art. 118 della Costituzione. (\zeta ) Considerazioni analoghe debbono essere svolte in merito all'art. 122, che, dopo aver riconosciuto alle regioni il potere di promuovere "la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all'attuazione della parte terza del [...] decreto, in particolare all'elaborazione, al riesame e all'aggiornamento dei Piani di tutela", si sofferma sui dettagli delle azioni che le regioni debbono intraprendere, violando cosi', in ragione dell'inserimento di norme non di principio, l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, e, in ragione della limitazione eccessiva della discrezionalita' amministrativa regionale, l'art. 118 della Costituzione. (\eta ) L'art. 123 e' inficiato, a sua volta, dal contrasto con l'art. 117 della Costituzione, in quanto in esso non ci si limita a porre il principio in base al quale "contestualmente alla pubblicazione dei Piani di tutela le regioni trasmettono copia di detti piani e di tutti gli aggiornamenti successivi al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio al fine del successivo inoltro alla Commissione europea", ma si vanno anche a dettagliare ulteriormente le modalita', i tempi e gli oggetti specifici delle informazioni da trasmettere, esorbitando cosi' dai poteri legislativi che allo Stato spettano in virtu' del terzo comma dell'art. 117 della Costituzione. c) La maggior parte delle fattispecie di illegittimita' costituzionale deriva dalla violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, associata alla violazione dell'art. 76, a sua volta veicolata dalla violazione dell'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, nella parte in cui impone al legislatore delegato il rispetto delle attribuzioni che delle regioni e degli enti locali sono proprie in virtu' del decreto legislativo n. 112 del 1998. Analogamente, sono inficiate dal mancato rispetto dell'art. 1, comma 8, della legge di delega quelle disposizioni che segnano un "arretramento" della posizione di regioni ed enti locali rispetto a quanto previsto in seno al decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, dal momento che - come si e' avuto modo di sottolineare supra, sub B.3.b), (\alpha ), a proposito del riferimento alla legge n. 183 del 1989 - la ratio inequivocabile della disposizione redatta dal legislatore delegante era quella di impedire ogni "ritorno indietro" rispetto alle acquisizioni gia' consolidate in capo alle autonomie territoriali. (\alpha ) Viene, innanzi tutto, in rilievo l'art. 87, il cui comma 1 cosi' recita: "Le regioni, d'intesa con il Ministero delle politiche agricole e forestali, designano, nell'ambito delle acque marine costiere e salmastre che sono sede di banchi e di popolazioni naturali di molluschi bivalvi e gasteropodi, quelle richiedenti protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo degli stessi e per contribuire alla buona qualita' dei prodotti della molluschicoltura direttamente commestibili per l'uomo". Tale disposizione ripete quella contenuta nell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 1999, in cui, pero', non era prevista l'intesa con il Ministro delle politiche agricole e forestali. Trattandosi di competenza gia' interamente trasferita alle regioni, appare evidente che lo Stato non possa sotterraneamente riappropriarsene attraverso un atto di codeterminazione, di cui non si rinviene alcuna giustificazione, ne' sul piano funzionale ne' su quello del sistema costituzionale di ripartizione delle competenze. (\beta ) Un vizio ancor piu' grave e' da riscontrare in merito all'art. 91, comma 2, che attribuisce al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, sentita la Conferenza Stato-regioni, il potere di emanare un decreto con il quale individuare le aree sensibili ulteriori rispetto a quelle inserite nell'elenco di cui al comma 1. In proposito, va sottolineato che l'individuazione delle "ulteriori aree sensibili" era gia' stata trasferita alle regioni dall'art. 18, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 1999, in piena coerenza con l'art. 80, comma 1, lettera n), del decreto legislativo n. 112 del 1998, che attribuiva allo Stato unicamente "la definizione dei criteri generali per la elaborazione dei piani regionali di risanamento delle acque". Appare, quindi, evidente l'indebita riattrazione allo Stato della competenza in ordine alla individuazione delle "ulteriori aree sensibili", la cui illegittimita' costituzionale puo' essere soltanto mitigata, ma non certo superata, dalla previsione del previo parere (oltretutto non vincolante) in sede di Conferenza Stato-regioni. (\gamma ) Con riferimento all'art. 101, comma 7, deve evidenziarsi come esso assimili alle acque reflue domestiche gli scarichi "provenienti da imprese [...] che esercitano anche attivita' di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, "inserita con carattere di normalita' e complementarieta' funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall'attivita' di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilita" (lettera c). Nella normativa precedente, l'art. 28, comma 7, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 1999 prevedeva una analoga assimilazione, fissando, pero', un preciso rapporto minimo (due terzi) tra materia prima derivante dalla propria produzione e materia prima derivante da produzioni altrui: con la disposizione impugnata il rapporto minimo precisamente individuato viene sostituito da un concetto inevitabilmente elastico quale e' quello della "misura prevalente", che ben puo' prestarsi ad una certa (anche marcata) discrezionalita' applicativa. Ora, una siffatta discrezionalita' e' potenzialmente in grado di tradursi nell'applicazione di livelli di trattamento meno rigorosi, con evidenti effetti negativi sulle caratteristiche di qualita' delle acque del corpo recettore. In questo quadro, l'art. 101, comma 7, si pone come una norma foriera di difficolta' nel raggiungimento degli obiettivi di qualita' che sono stabiliti a livello comunitario (in violazione, dunque, dell'art. 117, primo comma, della Costituzione) e nel "miglioramento della qualita' dell'ambiente" (che pure figura, all'art. 1, comma 8, lettera a), della legge n. 308 del 2004, tra i "principi e criteri direttivi generali", donde la violazione dell'art. 76 della Costituzione). La conseguenza ultima e' quella di incidere negativamente sulle funzioni svolte dalle regioni e dagli enti locali, chiamati a gestire una situazione che, nel mettere a repentaglio il conseguimento dei risultati imposti dal diritto comunitario, e' suscettibile di divenire una situazione emergenziale. (\delta ) Assai significativo del modus procedendi del legislatore delegato e' altresi' l'art. 113, in tema di "acque meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia". Il testo dell'articolo e' apparentemente identico a quello dell'art. 39 del decreto legislativo n. 152 del 1999, ai termini del quale, nell'ottica della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, le regioni erano chiamate a disciplinare le forme di controllo degli carichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate ed i casi in cui puo' essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l'eventuale autorizzazione. L'art. 113, al comma 1, ripete integralmente la disposizione previgente, salvo introdurre l'obbligo, per le regioni, di richiedere il parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio. Si tratta, di nuovo, di un "arretramento" della autonomia regionale, in violazione dei precetti contenuti nella legge di delega, che si inquadra nella prospettiva di collocare le regioni in una posizione di subalternita', nell'azione di governo del territorio, rispetto alle determinazioni di organi statali. Nel caso di specie, la forma di tutela imposta e' particolarmente pesante, giacche' l'intervento statale va a condizionare l'attivita' legislativa delle regioni, in aperto contrasto con il disposto dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione. (\varepsilon ) I rilievi mossi all'art. 113, comma 1, sono integralmente riproponibili con riferimento all'art. 114, comma 1, in materia di "dighe". Nella disposizione si stabilisce che "le regioni, previo parere dei Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, adottano apposita disciplina in materia di restituzione delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica, per scopi irrigui e in impianti di potabilizzazione, nonche' delle acque derivanti da sondaggi o perforazioni diversi da quelli relativi alla ricerca ed estrazione di idrocarburi, al fine di garantire il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualita' di cui al titolo II della parte terza del [...] decreto" legislativo n. 152 del 2006. Una previsione sostanzialmente identica era contenuta nell'art. 40, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 1999, nel quale, pero', difettava un qualunque riferimento alla necessita' di acquisire il parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio. Si e', quindi, nuovamente in presenza dell'introduzione di una forma di anomala "tutela" di un organo statale nei confronti dell'ente regionale, in stridente dissonanza con le prescrizioni della legge di delega, ma soprattutto con il quadro costituzionale successivo alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione. (\zeta ) L'art. 135, comma 2, stabilisce che, "fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ai fini della sorveglianza e dell'accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall'inquinamento provvede il Comando Carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.); puo' altresi' intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono concorrere la Guardia di finanza e la Polizia di Stato". Inoltre, "il Corpo delle capitanerie di porto, Guardia costiera, provvede alla sorveglianza e all'accertamento delle violazioni di cui alla parte terza del [...] decreto quando dalle stesse possano derivare danni o situazioni di pericolo per l'ambiente marino e costiero". La corrispondente disposizione del decreto legislativo n. 152 del 1999 stabiliva che alla sorveglianza ed all'accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall'inquinamento e del relativo danno ambientale concorreva il Corpo forestale dello Stato, in qualita' di forza di polizia specializzata in materia ambientale. Dal confronto tra le due disposizioni emerge, di nuovo, una compressione delle prerogative regionali. Lo stesso art. 135, al comma 1, attribuisce alle regioni la competenza ad accertare gli illeciti amministrativi e ad irrogare le sanzioni amministrative: appare conseguentemente ovvio che dovrebbero essere le regioni ad individuare i soggetti preposti a compiti di polizia amministrativa. Il comma 2 qui censurato, invece, cristallizza i compiti delle diverse forze di polizia, affidando il ruolo centrale a strutture facenti capo allo Stato e relegando ad un ruolo facoltativo e residuale il Corpo forestale, vale a dire quella che, in precedenza, era l'unica forza espressamente contemplata, sia pure come struttura "concorrente" con altre, che le regioni erano ovviamente chiamate a specificare. A chiarire ulteriormente il disegno teso a rendere marginale il ruolo delle regioni, non puo' sfuggire che, ai termini dell'art. 70, lettera c), del decreto legislativo n. 112 del 1998, sono state conferite a regioni ed enti locali "le competenze [...] necessarie all'esercizio delle funzioni di competenza statale". La traslazione, dal Corpo forestale al Comando Carabinieri tutela ambiente, delle funzioni fondamentali in tema di sorveglianza e accertamento di illeciti in violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall'inquinamento rappresenta, allora un tentativo, neppure troppo mascherato, di avocare allo Stato una competenza gia' trasferita agli enti territoriali infra-statuali. d) Per concludere sulla Sezione II della Parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006, debbono individuarsi ulteriori disposizioni affette da illegittimita' costituzionale per motivi diversi da quelli sin qui passati in rassegna. (\alpha ) In primo luogo, merita soffermarsi sul comma 4 dell'art. 75, nel quale si stabilisce che "con decreto dei Ministri competenti per materia si provvede alla modifica degli Allegati alla parte terza del presente decreto per dare attuazione alle direttive che saranno emanate dall'Unione europea, per le parti in cui queste modifichino modalita' esecutive e caratteristiche di ordine tecnico delle direttive dell'Unione europea recepite dalla parte terza del [...] decreto, secondo quanto previsto dall'art. 13, della legge 4 febbraio 2005, n. 11". La disposizione si pone in contrasto, innanzi tutto, con l'art. 117, quinto comma, della Costituzione, poiche' attribuisce, in generale, ad organi statali il compito di dare attuazione a direttive comunitarie che, quanto meno per la parte in cui modificano modalita' esecutive di altre direttive, incidono su aspetti di dettaglio del settore in questione. Come si e' avuto modo di rilevare supra, sub (a), una siffatta attivita' non puo' che spettare, in virtu' degli artt. 117 e 118 della Costituzione, alla cura delle regioni. In questa prospettiva, appare evidente anche la violazione dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione, poiche' si attribuisce un potere regolamentare a ministri in un ambito diverso da quelli individuati nel secondo comma dell'art. 117. In via assolutamente subordinata, l'attribuzione ai ministri del potere di emanare decreti viola il principio di leale cooperazione, nella misura in cui gli atti eventualmente posti in essere, per l'importanza che possono assumere, necessitano, nel loro procedimento di formazione, di un intervento delle istanze rappresentative di regioni ed enti locali. (\beta ) Il precitato art. 91, in tema di "aree sensibili" reca un'ulteriore disposizione inficiata da un vizio di legittimita' costituzionale. Trattasi del comma 6, che attribuisce al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio il compito di provvedere, con proprio decreto, alla riedificazione delle aree sensibili e dei rispettivi bacini drenanti che contribuiscono all'inquinamento delle aree sensibili. Il decreto ministeriale deve essere emanato "sentita la Conferenza Stato-regioni". La natura meramente consultiva dell'intervento della Conferenza risulta contrastante con il principio di leale cooperazione. Cio' in quanto l'incidenza che il decreto ministeriale inevitabilmente ha sul territorio (e sul governo del territorio) regionale rende indefettibile una intesa, che sola puo' consentire alle regioni di far adeguatamente valere i propri interessi. (\gamma ) L'art. 132 prevede, per il caso di mancata effettuazione dei controlli previsti dalla Parte terza del decreto legislativo impugnato, un potere sostitutivo del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nei confronti delle regioni. L'articolo si pone in contrasto con l'art. 120, secondo comma, della Costituzione, anche alla luce di quanto previsto dall'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, nella parte in cui conferisce l'esercizio del potere sostitutivo statale ad un ministro, anziche' all'organo di vertice del Governo nazionale, come esplicitamente richiesto, oltre che dalla giurisprudenza costituzionale (a far tempo dalle sentenze nn. 313 del 2003 e 43 del 2004), dall'art. 8, comma 1, della legge n. 131 del 2003. (\delta ) Infine, l'art. 136 disciplina i "proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie", ponendo alle somme riscosse, e versate all'entrata del bilancio regionale, un vincolo di destinazione che si sostanzia nel fatto che le somme debbono essere finalizzate alle "opere di risanamento e di riduzione dell'inquinamento dei corpi idrici". La previsione di un siffatto vincolo di destinazione risulta costituzionalmente illegittima, in virtu' dell'art. 119 della Costituzione, come dimostrato dalla costante giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte. B.5) Parte terza - Sezione III (Gestione delle risorse idriche). Illegittimita' costituzionale degli artt. da 144 a 146, da 147 a 158, 159 e 160. a) Nel tentativo (giuridicamente vano) di inserire la disciplina della gestione delle risorse idriche nell'ambito di competenze legislative esclusive dello Stato o, quanto meno, di competenze trasversali, l'art. 141, comma 1, del decreto legislativo impugnato afferma l'esistenza di una "concorrenza di competenze" riguardante "la tutela dell'ambiente e della concorrenza e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni del servizio idrico integrato e delle relative funzioni fondamentali di comuni, province e citta' metropolitane". Dato atto che in materia di gestione delle risorse idriche si "realizza un complesso intreccio di interessi e competenze in cura a diversi livelli istituzionali" (sentenza n. 412 del 1994), cio' che non puo' non contestarsi e' la individuazione delle materie coinvolte in questo "intreccio". L'elenco redatto si appalesa, infatti, in parte sovrabbondante ed in parte lacunoso. Nel primo senso, e' da escludere la materia "tutela della concorrenza", da codesta ecc.ma Corte definita alla stregua di "una delle leve della politica economica statale" (sentenza n. 14 del 2004): sebbene "la nozione di tutela della concorrenza abbracci [...] nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato e non esclud[a] interventi promozionali dello Stato", e' indiscutibile che "una dilatazione massima di tale competenza, che non presenta i caratteri di una materia di estensione certa, ma quelli di una funzione esercitabile sui piu' diversi oggetti, rischierebbe di vanificare lo schema di riparto dell'art. 117 Cost., che vede attribuite alla potesta' legislativa residuale e concorrente delle regioni materie la cui disciplina incide innegabilmente sullo sviluppo economico" (ancora, sentenza n. 14 del 2004). Facendo applicazione di questi principi, la stessa giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di circoscrivere la rilevanza della "tutela della concorrenza" ai soli servizi pubblici locali "di rilevanza economica" (sentenza n. 272 del 2004), cio' che esula chiaramente dall'ambito di disciplina di cui alla Sezione III della Parte terza del decreto legislativo impugnato. Analogamente, deve escludersi la rilevanza della materia rappresentata dalle "funzioni fondamentali di comuni, province e citta' metropolitane", giacche' la stessa previsione della definizione (da parte delle regioni) di "ambiti territoriali ottimali", di estensione territorialmente variabili (art. 147 del decreto legislativo impugnato), postula una dimensione territoriale tale da escludere che la gestione dei servizi in questione possa considerarsi "esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale" (sentenza n. 272 del 2004). Nel senso della lacunosita' dell'elenco di cui all'art. 141, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, si pone l'indefettibilita' dell'inserimento della materia "governo del territorio" (in ragione del - peraltro consolidato - collegamento gia' piu' volte evidenziato tra la gestione delle risorse idriche e la materia di competenza concorrente), della materia "tutela della salute" (viste le ricadute che la tutela delle risorse idriche non puo' non avere sul diritto alla salute degli individui, anche inteso come diritto all'ambiente salubre) e, soprattutto, della materia "servizi pubblici locali". A quest'ultimo proposito, non puo' che farsi riferimento alla sentenza n. 222 del 2005, con la quale codesta ecc.ma Corte, avendo riguardo ad un servizio pubblico quale quello di trasporto, ha evidenziato che "non vi e' dubbio che la materia del trasporto pubblico locale rientra nell'ambito delle competenze residuali delle regioni di cui al quarto comma dell'art. 117 Cost.) (l'esistenza di una materia "servizi pubblici locali" come materia di competenza residuale e' stata poi ribadita con la sentenza n. 26 del 2006). Fondandosi sulla rimodulazione operata dell'elencazione contenuta nell'art. 141, comma 1, del decreto legislativo impugnato, la conclusione cui deve addivenirsi e' nel senso della sussistenza, relativamente al "servizio idrico integrato", di una "concorrenza di competenze", che non si risolve nella prevalenza di una materia rispetto ad un'altra. Ne deriva che l'intreccio di competenze trasversali, concorrenti e residuali rende imprescindibile una normazione adottata a seguito di procedimenti che vedano un coinvolgimento degli enti regionali che vada ben oltre il semplice parere, e che si incardini essenzialmente sul modello dell'intesa in senso forte: in ultima analisi, dunque, la illegittimita' costituzionale per il vizio derivante dalla violazione del principio di leale cooperazione che affligge il procedimento seguito nell'approvazione del decreto legislativo n. 152 del 2006 non puo' non colpire l'intero Titolo II della Sezione III della Parte seconda del decreto stesso, ossia gli artt. da 147 a 158. A monte, rispetto all'incostituzionalita' appena rilevata si pone quella degli artt. da 144 a 146. Tali disposizioni dettano i principi generali alla luce dei quali porre in essere la gestione del demanio idrico, segnatamente attraverso l'impegno per il mantenimento dell'equilibrio del bilancio idrico (art. 145) e per il risparmio idrico (art. 146). Essendo in larga misura condizionanti rispetto alla gestione delle risorse idriche dettagliata negli articoli seguenti, le disposizioni di cui agli artt. da 144 a 146 avrebbero necessitato di una partecipazione effettiva delle regioni alla determinazione dei loro contenuti, partecipazione nella specie ben lungi dall'essersi prodotta. Con precipuo riguardo, poi, al comma 3 dell'art. 146, sono da rilevare ulteriori motivi di illegittimita' costituzionale derivanti dalla previsione secondo cui "il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, sentita l'Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e il Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), adotta un regolamento per la definizione dei criteri e dei metodi in base ai quali valutare le perdite degli acquedotti e delle fognature". Siffata disposizione si pone in contrasto con l'art. 117, sesto comma, della Costituzione, per il fatto di prevedere un potere regolamentare in capo allo Stato in un settore non riconducibile ad una materia di competenza esclusiva ex art. 117, secondo comma. In subordine, deve constatarsi una violazione del principio di leale cooperazione, discendente dalla mancata previsione della necessita' di un coinvolgimento dei rappresentanti degli enti regionali. b) Qualora si dovesse ritenere - cio' che peraltro appare difficilmente argomentabile - che il servizio idrico integrato non coinvolga la materia "servizi pubblici locali", o che, comunque, si possa assegnare una prevalenza, tra le materie interessate, alla "tutela dell'ambiente", gli articoli appena censurati risulterebbero parimenti in buona parte illegittimi, in quanto recanti disposizioni di minuto dettaglio, indiscutibilmente ultronee rispetto alla fissazione di standards di tutela uniformi, in contrasto, quindi, con i principi che reggono il riparto delle funzioni amministrative di cui all'art. 118 della Costituzione, nonche' con l'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, nella parte in cui impone al legislatore il rispetto delle attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite all'interno del decreto legislativo n. 112 del 1998. Tra le disposizioni di quest'ultimo decreto, assume particolare importanza quella di cui all'art. 88, comma 1, lettera h), secondo cui hanno rilievo nazionale i compiti relativi "ai criteri per la gestione del servizio idrico integrato": il richiamo ai semplici "criteri" implica, evidentemente, l'impossibilita' per lo Stato di dettagliare la normativa in materia, dovendosi limitare alla predisposizione di un quadro assolutamente generale nel quale le regioni (e, se del caso, gli enti locali) siano lasciati liberi di agire nel modo ritenuto piu' consono alla tutela del proprio territorio ed al soddisfacimento delle esigenze della propria popolazione. (\alpha ) La illegittimita' costituzionale colpisce, innanzi tutto, l'art. 148 nel suo complesso, in quanto esso individua nell'Autorita' d'ambito la struttura cui e' affidata la gestione delle risorse idriche. Si va in tal modo a violare, per un verso, l'art. 118 della Costituzione, nella misura in cui si ipostatizza un certo assetto di competenze amministrative, senza tener conto delle peculiarita' di ciascun territorio, peculiarita' che soltanto in sede di legislazione regionale possono trovare adeguata rispondenza. Per altro verso, si pone in non cale l'art. 86, comma 1, del decreto legislativo n. 112 del 1998, ai termini del quale "alla gestione dei beni del demanio idrico provvedono le regioni e gli enti locali competenti per territorio": non solo, dunque, lo Stato priva gli enti territoriali di poteri amministrativi loro attribuiti dal decreto n. 112 (donde la violazione della legge di delega e, in ultima analisi, dell'art. 76 della Costituzione), ma espropria le regioni di poteri legislativi che il tenore della disposizione citata indicano chiaramente (sia pure implicitamente) come di spettanza regionale (donde la violazione dell'art. 117 della Costituzione). Quand'anche si configurasse l'Autorita' d'ambito alla stregua di uno standard di tutela uniforme (il che sembra assai problematico), resterebbero comunque illegittimi i commi 3 e 5 dell'art. 148, in ragione del contenuto di estremo dettaglio che essi recano: il primo disciplina, infatti, le forme di pubblicazione dei bilanci dell'Autorita' d'ambito, mentre il secondo si diffonde minuziosamente sulla partecipazione all'Autorita', andando cosi' ad incidere su aspetti che non tangono in alcun modo la tutela dell'ambiente, ma che riguardano, semmai, misure organizzative che le regioni debbono poter calibrare in relazione alle peculiarita' del proprio territorio. (\beta ) L'art. 149 e' costituzionalmente illegittimo giacche' in esso si manifestano le velleita' dello Stato di disciplinare l'esercizio delle funzioni amministrative spettanti agli enti infra-statuali. La violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione discende, in primo luogo, dalla previsione dello strumento (il piano d'ambito) e, secondariamente (subordinatamente), dalla specificazione dei contenuti che dello strumento sono propri. La illegittimita' costituzionale del comma 1 ha come conseguenza inevitabile l'incostituzionalita' anche dei commi da 2 a 5, che specificano ulteriormente i contenuti del comma 1. Per quanto attiene al comma 6, il vizio di costituzionalita' e' riscontrabile nella disciplina procedurale assai dettagliata che reca relativamente alle fasi successive alla delibera di approvazione del piano d'ambito. (\gamma ) L'inclusione del servizio idrico integrato dal novero dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (ai sensi dell'art. 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come sostituito dall'art. 35, comma 1, legge 20 dicembre 2001, n. 448, ed indi modificato dall'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e poi dall'art. 4, comma 234, legge 24 dicembre 2003, n. 350) conduce alla illegittimita' costituzionale degli artt. 150, 151 e 153. L'art. 150 reca norme in tema di "scelta della forma di gestione e procedure di affidamento", basandosi essenzialmente sulla disciplina dell'art. 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000, oggetto, non a caso, di molteplici rinvii: sulla scorta delle affermazioni gia' ricordate di codesta ecc.ma Corte, rese nell'ambito della sentenza n. 272 del 2004, si dimostra chiaramente l'intento dilatatorio perseguito dal legislatore statale relativamente alle competenze di cui e' titolare. L'esclusione di ogni rilievo della "tutela della concorrenza" nel settore che ci occupa configura, in effetti, come improponibile una recezione della normativa dal precitato art. 113. La censura dell'art. 150 si riverbera, ovviamente, anche sull'art. 151, che del primo e' prosieguo logico e specificazione, dal momento che disciplina i "rapporti tra autorita' d'ambito e soggetti gestori del servizio idrico integrato". Identica argomentazione sorregge l'incostituzionalita' dell'art. 153, concernente le dotazioni (infrastrutture idriche, immobilizzazioni, attivita' e passivita' relative al servizio) dei soggetti gestori del servizio idrico. (\delta ) L'art. 154 disciplina la "tariffa del servizio idrico integrato", fissando i parametri in base ai quali essa deve essere concretamente determinata. La determinazione della tariffa di un servizio rientra, evidentemente, negli aspetti di pura gestione dello stesso, e dunque non puo' non tradursi in una normativa di minuto dettaglio (sul presupposto - che si e' qui fatto proprio, peraltro solo per ipotesi - che si versi un ambito materiale comunque riconducibile alla competenza trasversale dello Stato). La stessa giurisprudenza costituzionale, d'altro canto, ha chiarito che le tariffe in materia di acque non possono non inquadrarsi nella competenza legislativa regionale. Viene in rilievo, a tal proposito, la sentenza n. 335 del 2005. Una delle questioni sollevate in via principale del Presidente dei Consiglio dei ministri ha riguardato la disposizione legislativa della regione Emilia-Romagna in cui si prevede che, con decreto del Presidente della Giunta, venga stabilito il metodo per la determinazione della tariffa relativa al servizio integrato ed alla gestione dei rifiuti. Il ricorrente aveva argomentato che l'individuazione dei criteri per la determinazione della tariffa in materia di acque costituisce per sua natura sia un livello essenziale di prestazione che deve essere garantito su tutto il territorio nazionale, sia un principio fondamentale in materia di governo del territorio, con la conseguenza che la disposizione impugnata era da ritenersi contrastante con l'art. 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, della Costituzione. Codesta ecc.ma Corte ha disatteso la censura, dichiarando la questione inammissibile "per l'assenza di qualsiasi motivazione in ordine ai parametri costituzionali, peraltro di dubbia pertinenza, meramente invocati dal ricorrente" (il corsivo e' aggiunto, proprio a sottolineare il punto centrale della motivazione per quanto qui interessa). Alla violazione, ad opera dell'art. 154 del decreto legislativo impugnato, degli artt. 117 e 118 della Costituzione si associa quella dell'art. 119, in ragione della compressione che si viene a creare dell'autonomia di entrata costituzionalmente garantita a regioni ed enti locali. Un ultimo, subordinato, profilo di incostituzionalita' concerne specificamente i commi 2 e 3, i quali prevedono, in capo al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del Ministro dell'economia e delle finanze, poteri regolamentari che, per il fatto di incidere su materie diverse da quelle di competenza esclusiva statale, si pongono in contrasto con il sesto comma dell'art. 117 della Costituzione. Le medesime disposizioni, infine (ed in ulteriore subordine), ledono il principio di leale cooperazione, in quanto i poteri regolamentari ivi contemplati non prevedono, nel loro esercizio, alcun coinvolgimento delle istanze rappresentative di regioni ed enti locali. (\varepsilon ) Quanto rilevato in merito all'art. 154 nel suo complesso deve essere riproposto relativamente all'art. 155, che detta i parametri sulla base dei quali fissare la "tariffa del servizio di fognatura e depurazione". Anche l'art. 155, dunque, nel dettare disposizioni specifiche con riferimento al corrispettivo per il servizio prestato in un ambito di competenza legislativa regionale, contrasta con gli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, per le ragioni sopra enunciate. (\zeta ) La illegittimita' costituzionale degli artt. 154 e 155 ingenera l'incostituzionalita' anche dell'art. 156, che, in violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, si occupa della disciplina della riscossione della tariffa, incidendo dunque su un aspetto di ulteriore dettaglio rispetto a quanto previsto negli artt. 154 e 155. c) La compenetrazione delle competenze in materia di gestione delle risorse idriche cui si e' fatto riferimento ha una inevitabile incidenza anche sulle attivita' di vigilanza. A tal proposito, sono da censurare, in particolare, gli artt. 159 e 160 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Tali articoli, infatti, disciplinano le modalita' attraverso cui viene posta in essere l'attivita' di vigilanza, adottando una prospettiva tale per cui e' lo Stato ad avere un monopolio sostanzialmente assoluto. La composizione dell'Autorita' di vigilanza e, soprattutto, i compiti ad essa affidati escludono qualunque intervento regionale che incida su un ambito che incide indiscutibilmente sulle attribuzioni costituzionali alle regioni riconosciute dall'art. 117 e dall'art. 118 della Costituzione. La concentrazione in capo allo Stato della funzione di vigilanza viola, dunque, in primo luogo, il riparto di competenze in materia di gestione del servizio idrico, giacche' non puo' non prospettarsi una contiguita' tra le competenze normative in tema di gestione e quelle in tema di vigilanza. E' la stessa giurisprudenza costituzionale consolidata ad evidenziare una siffatta contiguita', allorche' sottolinea come debba negarsi "che il potere di vigilanza sia autonomo rispetto alla materia cui inerisce" (sentenza n. 106 del 2006), in quanto "la vigilanza e' spesso la fonte dell'individuazione di fattispecie sanzionabili o comunque di carenze che richiedono interventi anche non sanzionatori diretti ad assicurare il rispetto di una determinata disciplina" (cosi', di recente, le sentenze nn. 106 del 2006, 63 del 2006 e 384 del 2005). Analogamente leso e' l'art. 118 della Costituzione, dal momento che lo svolgimento della vigilanza ad opera dello Stato contrasta in maniera evidente con il principio di sussidiarieta', non potendosi negare che il livello regionale di governo e' ampiamente nelle condizioni di assicurare lo svolgimento di questa funzione, ed anzi - per la migliore conoscenza delle peculiarita' del proprio territorio - lo e' in misura certo maggiore rispetto ad una autorita' centrale. La conclusione cui deve addivenirsi e', quindi, quella della formulazione della richiesta a codesta ecc.ma Corte di voler dichiarare la illegittimita' costituzionale dell'intero testo degli artt. 159 e 160 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Se, peraltro, ad una tale declaratoria non si ritenesse di dover giungere, altre ragioni di illegittimita' costituzionale sarebbero rintracciabili con particolare riferimento ai commi 2 e 4 dell'art. 159. Il comma 2 disciplina gli organi e la composizione dell'Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti. Ai termini del terzo periodo del comma in parola, "il consiglio dell'Autorita' e' composto da tredici membri e dal presidente, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione dei Consiglio dei ministri". Nel quarto periodo cosi' si dettagliano le designazioni: "il presidente dell'Autorita' e quattro componenti del Consiglio, dei quali due con funzioni di coordinatore di sezione, sono nominati su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, due su proposta del Ministro dell'economia e' delle finanze, due su proposta del Ministro per la funzione pubblica, uno su proposta del Ministro delle attivita' produttive relativamente alla "Sezione per la vigilanza sui rifiuti" quattro su designazione della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome". Le proposte - in base al quinto periodo - sono previamente sottoposte al parere delle competenti Commissioni parlamentari. Dall'insieme di queste previsioni emerge chiaramente un "arretramento" della posizione assegnata ai rappresentanti regionali. Il confronto e' da condurre con l'art. 21 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, oggetto di espresso rinvio da parte dell'art. 88, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 112 del 1998 (e dunque vincolante, per il legislatore delegato, ai termini dell'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004), sulla base del quale il Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche era composto "da sette membri, nominati con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro dell'ambiente". Di tali componenti, tre erano designati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome e quattro - di cui uno con funzioni di presidente - erano scelti tra persone particolarmente esperte in materia di tutela ed uso delle acque, sulla base di specifiche esperienze e conoscenze del settore (comma 2). In buona sostanza, l'organo di vigilanza sull'uso delle risorse idriche ha visto una partecipazione regionale che, da tre membri designati su sette, si e' ridotta a quattro membri su tredici, passando da una quota pari a circa il 43% ad una inferiore al 31%. Questo ingiustificato ridimensionamento lede le prerogative costituzionali delle regioni, e cio' sia sotto il profilo della violazione dell'art. 118 della Costituzione, sia sotto quello del mancato rispetto del principio di leale cooperazione, per tacere della violazione patente dell'art. 76 della Costituzione che si ricava dal confronto appena condotto. Con precipuo riferimento al comma 4 dell'art. 159, la previsione di un regolamento emanato con decreto del Presidente dei Consiglio dei ministri, mirante a disciplinare "l'organizzazione e il funzionamento, anche contabile, dell'Autorita", si pone in contrasto, in primo luogo, con l'art. 117, sesto comma, della Costituzione. Cio' in quanto, alla luce delle considerazioni svolte in precedenza, la disposizione si traduce nella attribuzione allo Stato di un potere regolamentare in un ambito diverso da quello per cui lo Stato ha competenza legislativa esclusiva. In via subordinata, e' da censurare il mancato coinvolgimento delle istanze rappresentative delle regioni nella approvazione di un regolamento che avrebbe importanti ricadute sulla gestione delle risorse idriche, donde la violazione del principio di leale cooperazione. B.6) Parte terza - Sezione IV (Disposizioni transitorie e finali). Illegittimita' costituzionale dell'art. 176, comma 1. Le argomentazioni sin qui svolte relativamente alla Parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006 rendono evidente l'illegittimita' costituzionale dell'art. 176, comma 1, del decreto medesimo, nella parte in cui stabilisce che "le disposizioni di cui alla parte terza [...] che concernono materie di legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117, comma 3 [recte, terzo], della Costituzione". Il brano riportato, per un verso, viene a suffragare ulteriormente la ricostruzione basata su una concorrenza di competenze che nella presente sede si e' argomentata; per altro verso, pero', l'autoqualificazione alla stregua di norme di principio e' da ritenersi illegittima, nella misura in cui non tiene conto della riscontrabilita' di (molte) disposizioni che, come in precedenza si e' visto, intervengono, disciplinando aspetti eminentemente di dettaglio, su materie di competenza concorrente. B.7) Parte quarta - Titolo I (Gestione dei rifiuti). Illegittimita' costituzionale degli artt. 181, commi 3, secondo periodo, e da 5 a 12, 186, 189, commi 1, secondo periodo, e 3, 195, comma 1, lettere f), g) e t), comma 2, lettera b) (in combinato disposto con l'art. 196, comma 1, lettera m), ed in combinato disposto con l'art. 195, comma 4), 197, comma 1, da 199 a 207, da 208 a 211, 212, commi 2 e 3, 214, commi 3 e 5, 215, commi 3, 4, 5 e 6, e 216, commi da 3 a 7 e da 10 a 15. a)La gestione dei rifiuti e gli ambiti strettamente connessi a questo settore si caratterizzano, al pari di quelli che gia' sono stati analizzati, per un intreccio di competenze di diversa natura: alla materia trasversale "tutela dell'ambiente" debbono aggiungersi, quanto meno, la "tutela della salute" ed il "governo del territorio". Sulla scia della giurisprudenza costituzionale (e segnatamente della sentenza n. 62 del 2005), la indiscutibile concorrenza di competenze deve probabilmente sciogliersi, in linea generale, mediante il riconoscimento di una tendenziale (ma soltanto tendenziale) prevalenza della "tutela dell'ambiente". Cio' detto, tuttavia, costituirebbe semplicemente un fuor d'opera il riconoscere allo Stato una potesta' legislativa tanto ampia da giungere alla disciplina dell'integralita' della materia. A tal proposito, la definizione della "tutela dell'ambiente" come "materia trasversale" sarebbe gia' sufficiente, di per se', a precludere una siffatta conclusione; nella medesima direzione, peraltro, non puo' non sottolinearsi come, in un settore tanto ampio e tanto variegato, emergano, sotto molteplici profili, particolari esigenze connesse alla "tutela della salute" e/o al "governo del territorio", di talche' la potesta' legislativa statale deve essere calibrata (e correlativamente limitata) in ragione delle prerogative costituzionali degli enti regionali. A fornire una testimonianza emblematica della molteplicita' di titoli competenziali coinvolti e', del resto, lo stesso decreto legislativo n. 152 del 2006, il quale, all'art. 177, comma 2, stabilisce che "le regioni e le province autonome adeguano i rispettivi ordinamenti alle disposizioni di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema contenute nella parte quarta del presente decreto entro un anno dalla data di entrata in vigore dello stesso": l'aver circoscritto l'obbligo di adeguamento alle (sole) disposizioni in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema indica inoppugnabilmente, infatti, l'esistenza, all'interno della Parte quarta, anche di disposizioni che a siffatto titolo competenziale non sono riconducibili. In concreto, la necessita' di un approccio basato sul concorso di competenze - variamente combinato, quanto a prevalenza e concorrenza, in ragione dei singoli specifici ambiti normativi - rende costituzionalmente illegittimi, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, (\alpha ) l'art. 181, commi da 5 a 12, (\beta ) l'art. 189, comma 3, (\gamma ) gli artt. da 199 a 207, (\delta ) gli artt. da 208 a 211 e (\varepsilon ) gli artt. 215 e 216. (\alpha ) All'art. 181, i commi da 5 a 12 - in parte oggetto di censura anche per violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione: v. infra, sub (c), (a) - disciplinano in modo estremamente dettagliato le procedure attraverso le quali perseguire il recupero dei rifiuti, mediante il riutilizzo, il reimpiego, il riciclaggio ed altre forme di recupero. La normativa contenuta nelle disposizioni qui censurate appare largamente ultronea rispetto alla esigenza di porre standards uniformi di tutela ambientale su tutto il territorio nazionale, non limitandosi esse ad individuare gli orientamenti generali cui gli operatori debbono attenersi (cio' che viene effettuato ai primi quattro commi dell'art. 181), ma specificando minutamente finanche gli strumenti in base ai quali porre in essere gli obiettivi (gli accordi di programma) e le procedure da seguire. (\beta ) Con riguardo all'art. 189, comma 3, deve sottolinearsi la mutata formulazione della disposizione rispetto a quella precedentemente vigente (art. 11, comma 3, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22): la modifica intervenuta consiste nella esenzione per alcune delle imprese e degli enti che producono rifiuti non pericolosi dall'obbligo di comunicazione annuale alle Camere di commercio le quantita' e le caratteristiche dei rifiuti oggetto di attivita' di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti. L'innovazione contrasta patentemente con la crescente esigenza di ampliare il piu' possibile il monitoraggio dei rifiuti prodotti, ed e' quindi all'origine di una normativa irrazionale, lesiva, per cio' stesso, dell'art. 3 della Costituzione. La illegittimita' costituzionale si apprezza, peraltro, anche in relazione alla compressione dei poteri di controllo che spettano (tra gli altri soggetti, anche) alle regioni, poteri particolarmente caratterizzanti in un ambito incidente sulla "tutela della salute" collettiva, certamente minacciata da una "gestione allegra" dei rifiuti (anche se non pericolosi). E' in tal senso che un alleggerimento degli oneri imposti agli operatori del settore si traduce, sia pure indirettamente, in una lesione non trascurabile delle attribuzioni costituzionali degli enti regionali. (\gamma ) Gli artt. da 199 a 207 disciplinano il servizio di gestione integrata dei rifiuti. La materia si colloca nel punto di intersezione tra diverse competenze normative, tra le quali, certamente, la "tutela dell'ambiente", ma anche la "tutela della salute" ed i "servizi pubblici (regionali e) locali". La concorrenza di competenze trasversali, concorrenti e residuali, nello specifico settore che adesso ci occupa, non puo' essere risolta attraverso il riconoscimento della prevalenza della materia "tutela dell'ambiente", per la semplice ragione che appare vana la ricerca di un titolo competenziale in grado di prevalere sugli altri. Ne deriva l'indefettibilita' dell'adozione di un modulo cooperativo nella elaborazione della disciplina di tutta la materia, e la conseguente illegittimita' costituzionale, per vizio procedurale, degli artt. da 199 a 207, non essendo stati approvati a seguito di un coinvolgimento degli enti territoriali infra-statuali in forme idonee (individuabili nell'intesa). Deve peraltro notarsi che, se anche si intendesse risolvere la concorrenza di competenze attraverso l'attribuzione alla "tutela dell'ambiente" di una posizione di prevalenza, gli articoli censurati non sarebbero comunque immuni da vizi di legittimita', nella misura in cui essi dettano una disciplina di minuto dettaglio, non giustificabile in relazione alla determinazione, da parte dello Stato, di standards di tutela uniformi. In questa prospettiva, sarebbero da censurare, in particolare, le seguenti disposizioni: l'art. 199, comma 3, in quanto disciplina in maniera (estremamente) dettagliata i contenuti dei piani regionali di gestione, annichilendo in tal maniera ogni margine operativo lasciato (e da lasciare) alle regioni; l'art. 199, comma 5, che detta una disciplina analogamente dettagliata in merito ai piani di bonifica delle aree inquinate; l'art. 201, il quale, nel prevedere l'istituzione e nel dettare norme in materia di Autorita' d'ambito, esula dalla predisposizione di standards uniformi di tutela, ed incide direttamente sulla gestione concreta dell'attivita', in forme peraltro piu' invasive di quelle contemplate all'art. 23 del decreto legislativo n. 22 del 1997, donde, tra l'altro, il mancato rispetto dell'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, in relazione all'art. 85 del decreto legislativo n. 112 del 1998, secondo la - costituzionalmente doverosa - ricostruzione dei rapporti tra le fonti piu' ampiamente evocata infra, sub (b); l'art. 202, in quanto la normativa ivi contenuta entra - inammissibilmente - nei minimi dettagli dell'affidamento del servizio di gestione dei rifiuti; gli artt. 203 e 204, la cui illegittimita' costituzionale deriva, come conseguenza, da quella dell'art. 202. Prescindendo dalla illegittimita' discendente dalla impossibilita' di giustificare le normative di cui sopra mediante la loro definizione alla stregua di standards di tutela uniformi, ulteriori ragioni di incostituzionalita' colpiscono alcune delle disposizioni ora in esame: gli artt. 199, comma 8, e 204, comma 3, secondo periodo, contrastano con l'art. 120, secondo comma, della Costituzione, anche alla luce di quanto previsto dall'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, nella parte in cui conferiscono l'esercizio del potere sostitutivo statale nei confronti delle regioni al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, anziche' all'organo di vertice del Governo nazionale, come esplicitamente richiesto, oltre che dalla giurisprudenza costituzionale (a far tempo dalle sentenze nn. 313 del 2003 e 43 del 2004), dall'art. 8, comma 1, della legge n. 131 del 2003; con specifico riguardo all'art. 204, comma 3, secondo periodo, inoltre, deve sottolinearsi la totale assenza di garanzie approntate per l'ente sostituendo, cio' che radica un ulteriore motivo di violazione dell'art. 120, secondo comma, della Costituzione; l'art. 205, comma 6, contrasta con gli artt. 114 e 117 della Costituzione, in quanto, nel prevedere la necessita' per le regioni di legiferare a seguito di una intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, produce un anomalo vincolo amministrativo sulla funzione legislativa regionale; il principio di leale cooperazione non puo' tradursi in una "tutela" statale nei confronti delle regioni, ma deve, viceversa, contemperare le ragioni dell'autonomia con quelle dell'unita', donde l'alternativa teorica tra una intesa con il Governo nel suo complesso ed il mero parere del Ministro dell'ambiente; nel caso di specie, peraltro, l'alternativa non puo' che sciogliersi nel secondo senso, giacche' l'indicazione di "maggiori obiettivi di riciclo e di recupero" costituisce, rispetto alla dettata normativa quadro statale, una azione "aggiuntiva" che la regione deve poter calibrare in relazione alle proprie esigenze ed alle proprie particolarita'; i commi 2 e 3 dell'art. 206 ledono il principio di leale cooperazione, nonche' l'art. 118 della Costituzione, in quanto consentono al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di stipulare accordi e contratti di programma con soggetti pubblici e privati o con le associazioni di categoria, al fine di promuovere l'utilizzo dei sistemi di certificazione ambientale e di attuare programmi di ritiro dei beni di consumo al termine del loro ciclo di utilita', senza coinvolgere in alcun modo le regioni, e cio' nonostante l'impatto che le attivita' previste possono avere - ed effettivamente hanno - sul territorio di queste. (\delta ) Le disposizioni, minuziose piu' che dettagliate, recate dagli artt. da 208 a 211 relativamente alla procedura da seguire per l'ottenimento di autorizzazione per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, per il rinnovo delle autorizzazioni, per le autorizzazioni in ipotesi particolari e per l'autorizzazione di impianti di ricerca e di sperimentazione, sono ben lungi dal potersi sussumere nell'ambito degli standards di tutela uniformi in materia ambientale. Ammesso - e non concesso - che la concorrenza di titoli competenziali (alla "tutela dell'ambiente" debbono aggiungersi, almeno, la "tutela della salute" e l'"industria", di competenza rispettivamente concorrente e residuale) si risolva nella prevalenza della "tutela dell'ambiente", e' evidente che gran parte della normativa contenuta in questi articoli non possa trovare cittadinanza nel sistema delle autonomie disegnato dal nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione (oltre che dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte). Sceverando le disposizioni che, pur con qualche incertezza, possono ricondursi alla fissazione di standards uniformi, la illegittimita' costituzionale deve allora colpire: l'art. 208, commi 3, 4, 6, 8, 9, 11, 12, da 15 a 20, in quanto disciplina la procedura da seguire per l'autorizzazione prevista per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, contemplando, tra l'altro, termini procedimentali generali e di durata delle autorizzazioni (non commisurabili nella loro rigidita' alle peculiarita' regionali), contenuti specifici dell'autorizzazione, adempimenti particolari che vengono richiesti; l'art. 209, commi da 2 a 5 e 7, relativi al rinnovo delle autorizzazioni, per le medesime ragioni che conducono alla illegittimita' costituzionale dei commi sopra indicati dell'art. 208; l'art. 210 nella sua integralita', trattandosi di norma derogatoria rispetto agli artt. 208 e 209, e dunque a fortiori estranea dal concetto di standard di tutela uniforme; l'art. 211, commi da 2 a 5, che, dopo aver posto legittimamente standards particolari per gli impianti di ricerca e di sperimentazione, si sofferma nuovamente sul minuto dettaglio della procedura da seguire e dei termine dell'autorizzazione. L'art. 211, limitatamente al comma 3, presenta anche l'ulteriore motivo di illegittimita' costituzionale derivante dalla violazione degli artt. 118 e 120, secondo comma, della Costituzione. Vi si stabilisce, infatti, che, in caso di mancata approvazione da parte della regione del progetto o della relazione dell'impianto di ricerca o di sperimentazione, l'interessato puo' rivolgersi direttamente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, ponendo in non cale qualunque motivazione che la regione abbia addotto per bloccare l'attivita'. Questo anomalo potere di sostituzione si traduce, dunque, in una deroga ingiustificata al principio di sussidiarieta' (se si riconosce, come e' d'uopo, la competenza regionale a rilasciare l'autorizzazione, non si vede perche' si dia la possibilita' di un "ricorso gerarchico" all'istanza statale), non ricollegabile neppure all'esercizio del potere sostitutivo contemplato in Costituzione, stante la totale assenza di garanzie per l'ente sostituendo. Il comma 4 dell'art. 211 e' anch'esso illegittimo, sotto il profilo della violazione dell'art. 118 della Costituzione (e, in subordine, del principio di leale cooperazione), giacche', in contrasto con il principio di sussidiarieta', assegna direttamente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio la competenza ad autorizzare impianti in caso di rischio di agenti patogeni o di sostanze sconosciute e pericolose dal punto di vista sanitario. La mancata attribuzione alle regioni di questa competenza o, comunque, la totale esclusione delle regioni da questa procedura nega loro la possibilita' di curare adeguatamente gli interessi dei propri territori, perpetuando, cosi', un sistema fortemente centralistico ormai non piu' ammissibile alla luce del mutato quadro costituzionale. (\varepsilon ) Gli artt. 215 e 216, nel dettare procedure semplificate in tema di autosmaltimento e di operazioni di recupero, si pongono al di la' della predisposizione di standards di tutela uniformi in materia ambientale: la stessa predisposizione di "procedure semplificate" e' indice della relativamente scarsa incidenza delle attivita' contemplate sull'ambiente, con il che non puo' che spettare alle regioni la loro regolamentazione. Da censurare sono, in particolare, i commi da 3 a 6 dell'art. 215 ed i commi da 3 a 7 e da 10 a 15 dell'art. 216, tutti recanti una minuta regolamentazione delle procedure da seguire ai fini dell'autosmaltimento e delle operazioni di recupero. b) Nel senso della necessita' di assegnare alle regioni un ruolo rilevante, ben piu' esteso di quello che il decreto legislativo impugnato disegna, si pone finanche la legge di delega, che, attraverso il riferimento alle attribuzioni regionali formalizzate nel testo costituzionale e nel decreto legislativo n. 112 del 1998, intende chiaramente preservare il sistema da normative ipertrofiche da parte statale. In ragione di questo riferimento, debbono menzionarsi almeno tre previsioni che risultano lesive dell'art. 76 della Costituzione, in relazione all'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004. (\alpha ) La prima e' quella, cui gia' si e' fatto richiamo, contenuta all'art. 201, la quale, nel prevedere l'Autorita' d'ambito, ipostatizza una certa organizzazione della gestione dei rifiuti urbani, vincolando le regioni in modo piu' incisivo di quanto previsto all'art. 23 del decreto legislativo n. 22 del 1997, oggetto di rinvio esplicito da parte dell'art. 85 del decreto legislativo n. 112 del 1998, il quale si era limitato a dettare norme assolutamente generali, chiamando i livelli di governo infra-statuali ad una attuazione largamente "discrezionale". Una attuazione di tal sorta risulta assai piu' problematica (per non dire impossibile), alla luce dell'art. 201 del decreto legislativo impugnato, dal momento che esso reca norme tutt'altro che generali circa la struttura dell'Autorita' d'ambito, l'affidamento del servizio, gli obiettivi e la tempistica dell'affidamento. (\beta ) La seconda previsione da censurare e' quella derivante dal combinato disposto degli artt. 195, comma 2, lettera b), e 196, comma 1, lettera m), del decreto legislativo impugnato. Ai termini della prima disposizione, e' di competenza dello Stato "l'adozione delle norme e delle condizioni per l'applicazione delle procedure semplificate di cui agli artt. 214, 215 e 216, ivi comprese le linee guida contenenti la specificazione della relazione da allegare alla comunicazione prevista da tali articoli", mentre in base alla seconda disposizione e' di competenza regionale "la specificazione dei contenuti della relazione da allegare alla comunicazione [...], nel rispetto delle linee guida [...]. Confrontando queste disposizioni con quelle contenute all'art. 19 del decreto legislativo n. 22 del 1997, emerge chiaro l'"arretramento" della posizione delle regioni, giacche' ai sensi della lettera m) del comma 1 dell'articolo ora citato la competenza delle regioni riguardava l'integralita' de "la definizione dei contenuti della relazione da allegare". (\gamma ) Analogo motivo di illegittimita' costituzionale e' riscontrabile in merito all'art. 197, comma 1, la cui formulazione incide negativamente sulle competenze delle province. Sebbene la disposizione non abbia ricadute dirette sulle attribuzioni costituzionali della regione, una siffatta circostanza non puo' valere a negare ingresso, nel giudizio in via principale, alla censura, giacche' codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di chiarire inoppugnabilmente che da stretta connessione [...] tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali" (sentenza n. 417 del 2005 e, anteriormente, sentenza n. 196 del 2004). Nella specie, tale "stretta connessione" e' testimoniata dalla stessa sistematica del decreto legislativo impugnato, che passa in rassegna, dall'art. 195 all'art. 198, le competenze dei vari livelli di governo, sull'assunto della non concepibilita' di una demarcazione netta ed impermeabile tra le diverse attribuzioni, viceversa da considerarsi reciprocamente interferenti. Con riferimento al merito della questione, deve rimarcarsi come l'elenco delle competenze provinciali di cui all'art. 197, comma 1, sia decisamente piu' esiguo rispetto a quello contenuto nell'art. 20 del decreto legislativo n. 22 del 1997: tra le altre competenze eliminate, e' d'uopo segnalare, in particolare, che le province sono state private de "le funzioni amministrative concernenti la programmazione e l'organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale" (art. 19, comma 1, lettera a). c) Altro vizio piu' volte riscontrabile nella Parte quarta del decreto legislativo impugnato e' quello concernente il mancato rispetto di norme comunitarie, donde una violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, violazione che in molte circostanze si riverbera nella lesione di attribuzioni costituzionali delle regioni. (\alpha ) Viene in rilievo, a tal proposito, l'art. 181 del decreto impugnato, il quale, al comma 7, primo periodo, prevede che "i soggetti economici interessati o le associazioni di categoria rappresentative dei settori interessati" possono stipulare con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio appositi accordi di programma volti a definire i metodi di recupero dei rifiuti destinati all'ottenimento di materie prime secondarie, di combustibili o di prodotti. Questa disposizione viene completata, al comma 7, secondo periodo, ed ai commi da 8 a 11, con l'enucleazione della disciplina delle modalita' che presiedono alla stipulazione, all'approvazione ed alla pubblicazione degli accordi di programma. Una siffatta disciplina si pone in contrasto con l'art. 11 della direttiva 2006/12/CE, del 5 aprile 2006, del Parlamento e del Consiglio, relativa ai rifiuti (peraltro ripetitivo per quanto qui interessa, dell'art. 11 della direttiva 91/156/CEE del Consiglio del 18 marzo 1991, che modifica la direttiva 75/442/CEE relativa ai rifiuti), il quale consente agli Stati membri di dispensare dall'autorizzazione richiesta "gli stabilimenti o le imprese che provvedono essi stessi allo smaltimento dei propri rifiuti nei luoghi di produzione" e "gli stabilimenti o le imprese che recuperano rifiuti", ma cio' soltanto a condizione che "le autorita' competenti abbiano adottato per ciascun tipo di attivita' norme generali che fissano i tipi e le quantita' di rifiuti e le condizioni alle quali l'attivita' puo' essere dispensata dall'autorizzazione" e che "i tipi o le quantita' di rifiuti ed i metodi di smaltimento o di recupero siano tali da rispettare le condizioni imposte all'art. 4" della direttiva medesima (secondo cui "gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente"). Il contrasto tra la normativa comunitaria e le disposizioni ora censurate si appalesa evidente tenendo conto della statuizione con cui la Corte di giustizia delle Comunita' europee ha condannato la Repubblica italiana per non aver stabilito, nel decreto 5 febbraio 1998, sull'individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997, quantita' massime di rifiuti, per tipo di rifiuti, che possano essere oggetto di recupero in regime di dispensa dall'autorizzazione (sentenza 7 ottobre 2004, nella causa C-103/02, Commissione contro Repubblica italiana). In sostanza, l'art. 181, ai commi da 7 a 11, veicola una deregulation che e' del tutto priva delle cautele predisposte a livello comunitario, giacche' stimola l'attivita' di soggetti economici ben prima (ed a prescindere dalla circostanza) che le condizioni normative imposte dall'Unione europea siano state ottemperate. In quest'ottica, una particolare importanza assume il comma 6 dello stesso art. 181, il quale, dopo aver previsto che "i metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenere materia prima secondaria, combustibili o prodotti devono garantire l'ottenimento di materiali con caratteristiche fissate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attivita' produttive, ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400" (primo periodo), precisa che "sino all'emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto ministeriale 5 febbraio 1998 ed al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 12 giugno 2002, n. 161" (secondo periodo). Non si esita, dunque, a mantenere in vita - sia pure transitoriamente - un decreto ministeriale che gia' e' stato all'origine di una condanna per l'Italia in sede comunitaria, e che - e' facile prevedere - porra' ulteriori problemi, incrementati dalla circostanza che la sua vigenza si e' adesso associata alla deregulation di cui ai commi da 7 a 11 dell'art. 181. Alla luce dei rilievi che precedono, non puo' che concludersi nel senso della violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, perpetrata dall'art. 181, commi da 6 a 11. A precludere una pronuncia di merito non puo' addursi un ipotetico difetto di interesse da parte delle regioni. La denunciata illegittimita' costituzionale arreca, infatti, un pregiudizio diretto nei confronti delle attribuzioni costituzionali delle regioni, argomentabile sotto due punti di vista. In primo luogo, la invalidita' della disciplina nazionale per contrasto con il diritto comunitario produce inevitabilmente una incertezza nei rapporti giuridici analoga, nella sostanza, a quella evidenziata, a proposito della violazione dell'art. 76 della Costituzione, supra, sub B.2.c), (\alpha ), e B.2.d), (\alpha ). In secondo luogo, la deregulation - resa oltretutto possibile da un accordo con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, senza che le regioni abbiano modo di far adeguatamente valere i propri interessi e le proprie esigenze (donde anche la violazione del principio di leale cooperazione) - si traduce in una deminutio della sfera di attivita' disciplinabili ad opera del potere legislativo, e dunque anche da parte del legislatore regionale, che - come piu' volte evidenziato - e' titolare di rilevanti poteri normativi nel settore in parola. (\beta ) Quanto argomentato con riferimento all'art. 181 conduce alla indefettibilita' di una declaratoria di illegittimita' costituzionale che colpisca i commi 3 e 5 dell'art. 214, relativi alla determinazione delle attivita' e delle caratteristiche dei rifiuti per l'ammissione alle procedure semplificate. In ordine al comma 3, il vizio deriva dal rinvio che la disposizione opera all'art. 181 ed allo strumento dell'accordo di programma, del cui contrasto con la normativa comunitaria e della cui lesivita' per le attribuzioni costituzionali delle regioni gia' si e' detto supra, sub (\alpha ). Relativamente al comma 5, la incostituzionalita' risulta assolutamente analoga (donde la proponibilita' delle medesime motivazioni) a quella gia' riscontrata con riguardo al comma 6 dell'art. 181, giacche' anche nella disposizione ora censurata si perpetua transitoriamente la vigenza del decreto ministeriale 5 febbraio 1998, finche' non vengano adottate, per ciascun tipo di attivita', le norme che fissano i tipi e le quantita' di rifiuti e le condizioni in base alle quali le attivita' di smaltimento di rifiuti non pericolosi e le attivita' di recupero sono sottoposte alle procedure semplificate di cui agli artt. 215 e 216. (\gamma ) Costituzionalmente illegittimo e', infine, l'art. 186 del decreto legislativo impugnato, che esclude dalla nozione di "rifiuto", in linea generale, le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ed i residui della lavorazione della pietra destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati. E' da notare che l'art. 186 ripropone l'eccezione contenuta all'art. 1, commi 17 e 19, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, a proposito della quale pende attualmente un ricorso, proposto il 2 maggio 2005 dalla Commissione delle Comunita' europee contro la Repubblica italiana (causa C-194/05), che e' cosi' argomentato: "la Commissione europea ritiene che la Repubblica italiana, nella misura in cui ha escluso le terre e le rocce da scavo destinate
all'effettivo riutilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, dall'ambito di applicazione della disciplina nazionale sui rifiuti, e' venuta meno agli obblighi che le incombono in virtu' dell'art. 1 (a) della direttiva 75/442/CEE sui rifiuti come modificata dalla direttiva 91/156/CE" (obblighi oggi previsti dall'art. 1 (a) della direttiva 2006/12/CE, del 5 aprile 2006, del Parlamento e del Consiglio, relativa ai rifiuti). La definizione di "rifiuto" accolta in sede comunitaria e' estremamente ampia. In base all'art. 1 (a) della direttiva 2006/12/CE, essa contempla "qualsiasi sostanza od oggetto [...] di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsi"; e se e' vero che la sostanza deve rientrare "nelle categorie riportate nell'allegato I", e' altrettanto vero che in tale allegato, al termine di una pur assai analitica elencazione, si stabilisce che rientra nel novero dei rifiuti "qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate". Ora, una visione tanto ampia contrasta in modo evidente, nella lettera e nello spirito, con l'esclusione stabilita all'art. 186 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il quale, lungi dall'essere animato da una visione espansiva del concetto di rifiuto, si caratterizza per la generalita' dell'eccezione. La constatata violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione si riverbera, nuovamente, sulle attribuzioni costituzionali delle regioni, vuoi per la situazione di incertezza ingenerata dall'antinomia tra fonte interna e fonte comunitaria, vuoi per il fatto che l'esclusione delle terre e rocce da scavo dalla disciplina dei rifiuti si ripercuote negativamente sul potere legislativo regionale in materia di rifiuti, che viene limitato nella propria portata oggettiva. d) Per concludere sul Titolo I della Parte quarta del decreto legislativo impugnato, altre disposizioni debbono essere inserite, per diversi motivi, nella categoria di quelle invalide. (\alpha ) Svariate disposizioni sono da censurare (tra l'altro, anche) per il mancato rispetto del principio di leale cooperazione: l'art. 181, comma 3, secondo periodo, stabilisce che le agevolazioni per le imprese che intendano modificare i propri cicli produttivi, per ridurre la quantita' o la pericolosita' dei rifiuti prodotti ovvero per favorire il recupero di materiali, siano erogate sulla base di modalita', tempi e procedure fissati con decreto del Ministro delle attivita' produttive, "di concerto con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio, dell'economia e delle finanze e della salute"; le regioni non vengono minimamente coinvolte, sebbene la finalita' delle agevolazioni renda palese l'incidenza di queste anche su materie altre rispetto alla "tutela dell'ambiente", quali, segnatamente, la "tutela della salute" e l'"industria", di competenza rispettivamente concorrente e residuale; sulla base di questo concorso di competenze, una prima ragione di incostituzionalita' deriva dalla violazione dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione, derivante dalla previsione dell'esercizio del potere regolamentare da parte dello Stato; in subordine, e' da ritenersi contrastante con l'art. 117, con l'art. 119, quinto comma, della Costituzione e con il principio di leale cooperazione la mancata previsione dell'intesa con la Conferenza Stato-regioni come presupposto dell'azione ministeriale; doglianze relative, in primo luogo, alla violazione dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione e, in subordine, al mancato rispetto del principio di leale cooperazione debbono essere riproposte con riferimento all'art. 189, comma 1, secondo periodo, che attribuisce al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio la competenza a dettare norme di organizzazione del Catasto dei rifiuti, omettendo ogni riferimento ad un intervento regionale, peraltro a fortiori necessitato dalla circostanza che presso le regioni hanno sede le Sezioni regionali del catasto; all'art. 195, comma 1, lettere f) e g), si stabilisce che spettino allo Stato, rispettivamente, l'individuazione degli impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del paese, e la definizione di un piano nazionale di comunicazione e conoscenza ambientale; in entrambi i casi, si fa salvo il rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, con il che si riconosce implicitamente la concorrenza di diversi titoli competenziali (quali la "tutela della salute" e le attivita' produttive); cio' nondimeno, l'intervento delle autonomie territoriali risulta limitato, nelle disposizioni impugnate, ad un mero parere della Conferenza unificata, anziche' tradursi - come imposto dal principio di leale cooperazione - in una intesa che orienti l'operato degli organi statali nelle attivita' sopra menzionate; ancor piu' radicale e' il vizio che inficia l'art. 195, comma 2, lettera b), in combinato disposto con l'art. 195, comma 4, poiche' si prevede che con un decreto ministeriale, adottato senza alcun intervento di istanze rappresentative delle autonomie territoriali, si adottino le norme e le condizioni per l'applicazione delle procedure semplificate di cui agli artt. 214, 215 e 216; la illegittimita' costituzionale del combinato disposto emerge con evidenza - anche sulla scorta delle argomentazioni condotte supra, sub (a), (\varepsilon ) - in conseguenza della violazione dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione e, in subordine, del principio di leale cooperazione. (\beta ) Costituzionalmente illegittima e' la previsione di cui all'art. 195, comma 1, lettera t), secondo cui spetta allo Stato "l'adeguamento della parte quarta del [...] decreto alle direttive, alle decisioni ed ai regolamenti dell'Unione europea". Una siffatta formulazione, in patente contraddizione con il disposto dell'art. 117, quinto comma, della Costituzione, tradisce l'impostazione marcatamente accentratrice del decreto legislativo impugnato. Nella fattispecie, e' significativo che, nello stesso articolo, dapprima si riconosca l'esistenza di attribuzioni costituzionali delle regioni (si vedano, ad esempio, le lettere f) e g) del comma 1), e poi si voglia concentrare nelle mani dello Stato la fase dell'adeguamento del diritto interno agli obblighi comunitari, ignorando cosi' il principio secondo il quale l'adeguamento spetta a Stato e regioni in relazione alle rispettive competenze. (\gamma ) I commi 2 e 3 dell'art. 212 ledono gli artt. 114 e 118 della Costituzione, in ragione della composizione del Comitato nazionale dell'Albo dei gestori ambientali e delle Sezioni regionali e provinciali dell'Albo medesimo. Con riferimento al comma 2, deve evidenziarsi come il Comitato nazionale sia composto di diciannove membri, di cui ben sette (compresi Presidente e vicepresidente) nominati da varie componenti del Governo e soltanto tre dalle regioni: il ruolo di queste ultime e' dunque assolutamente marginale, nonostante l'Albo dei gestori ambientali raccolga i soggetti abilitati a svolgere attivita' che hanno effetti diretti sul territorio regionale e, soprattutto, che ricadono in ambiti di competenza regionale (sub specie di competenze residuali - "commercio" ed "industria" - o di competenze concorrenti - "tutela della salute" e "governo dei territorio" -, come ben dimostra il disposto del comma 5 dell'art. 212 secondo cui "l'iscrizione all'Albo e' requisito per lo svolgimento delle attivita' di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi, di raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi, di bonifica dei siti, di bonifica dei beni contenenti amianto, di commercio ed intermediazione dei rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi, nonche' di gestione di impianti di smaltimento e di recupero di titolarita' di terzi e di gestione di impianti mobili di smaltimento e di recupero di rifiuti". In questa prospettiva, anche il disposto del comma 3 dell'art. 212 deve essere censurato, giacche' le Sezioni regionali e provinciali risultano composte in maniera tale da rendere marginale il ruolo delle singole regioni (chiamate a nominare soltanto il vicepresidente, all'interno di un collegio composto di otto membri, tra cui anche uno designato dal Ministro dell'ambiente e del territorio). B.8) Parte quarta - Titolo II (Gestione degli imballaggi). Illegittimita' costituzionale degli artt. 221, commi da 4 a 9, 222, 223 e 224. a) La tendenza a concentrare nelle mani dello Stato quante piu' competenze possibili trova riscontro anche con riferimento alla disciplina degli imballaggi. Nella gestione degli imballaggi, la pluralita' di interessi e di competenze e' testimoniata, sia pure in forme non del tutto condivisibili (in relazione a quanto esposto supra, sub B.5.a), dal dettato dell'art. 217 del decreto legislativo impugnato, la' dove si evidenzia che la disciplina della gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio persegue gli obiettivi di prevenire e ridurre l'impatto sull'ambiente ed assicurare un elevato livello di tutela dell'ambiente, di garantire il funzionamento del mercato, nonche' di evitare discriminazioni nei confronti dei prodotti importati, di prevenire l'insorgere di ostacoli agli scambi e distorsioni della concorrenza e di garantire il massimo rendimento possibile degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio (comma 1). Per quanto specificamente attiene ai consorzi per la gestione degli imballaggi (e dei rifiuti di imballaggio), debbono dunque riproporsi, per l'essenziale, le argomentazioni dedotte per il servizio di gestione dei rifiuti, esaminato supra, sub B.7.a), (\gamma ): anche per la gestione degli imballaggi, ci si colloca sul punto di intersezione tra varie competenze, di diversa natura ("tutela dell'ambiente", "tutela della salute" e "servizi pubblici regionali e locali"), che richiedono indefettibilmente l'adozione di un modulo cooperativo nella predisposizione della disciplina legislativa, donde l'illegittimita' costituzionale - per il vizio del procedimento di approvazione consistente nel mancato rispetto del principio di leale cooperazione - dell'intera normativa predisposta sul punto, contenuta agli artt. da 217 a 226. b)Anche a voler ritenere - cio' che e' quanto mai problematico - che la gestione degli imballaggi veda una prevalenza, nell'ambito del concorso di competenze, della "tutela dell'ambiente", la trasversalita' di questa materia non appare nel decreto legislativo impugnato rispettata, nella misura in cui sono molte le disposizioni che non possono in alcun modo essere ricondotte alla determinazione di standards di tutela uniformi: l'art. 221, ai commi da 4 a 9, disegna una disciplina degli obblighi dei produttori e degli utilizzatori estremamente dettagliata, ultronea rispetto alla esigenza di predisporre un quadro normativo tale da garantire il rispetto di determinati standards; e' conseguentemente escluso per le regioni ogni potere di modulare la disciplina di questi obblighi in ragione delle peculiarita' del loro territorio e delle esigenze produttive in esso presenti; l'art. 222, nel contemplare gli obblighi della pubblica amministrazione in materia di raccolta differenziata, pretende di applicarsi a tutta la pubblica amministrazione, senza distinguere tra gli enti e gli organi statali e quelli dei livelli di governo infra-statuali, con la conseguenza di incidere su un ambito di competenza residuale delle regioni ("organizzazione amministrativa delle regioni e degli enti pubblici regionali", materia espressamente riconosciuta come residuale a far tempo dalla sentenza n. 380 del 2004) e violare, quindi, il quarto comma dell'art. 117 della Costituzione; a prescindere da questo, pur dirimente, argomento, in via subordinata deve sottolinearsi come l'art. 222 detti, al comma 2, una disciplina di minuto dettaglio, che non puo' in alcun modo tradursi nella determinazione di semplici standards di tutela uniformi, delineando, piuttosto, le procedure da seguire per il raggiungimento degli obiettivi fissati (ergo, degli "standards"); l'art. 223 - salvo quanto si dira' infra, sub (c) - reca, nella sua integralita', una normativa di estremo dettaglio diretta, non a predisporre standards di tutela uniformi, bensi' ad individuare (tra i molti) alcuni strumenti specifici e procedure per il raggiungimento di standards altrove indicati. c) Oltre a quanto gia' si e' visto, l'art. 223 presenta altri profili di illegittimita' costituzionale, inquadrabili essenzialmente nella violazione del principio di sussidiarieta' di cui all'art. 118, primo comma, della Costituzione. La previsione di consorzi tra produttori e recuperatori presenta infatti il limite - certo non secondario - derivante dall'essere i consorzi strutturati su base nazionale. I consorzi, infatti, debbono essere costituiti da produttori e recuperatori "operanti su tutto il territorio nazionale" (art. 223, comma 1, primo periodo, infine); lo statuto dei consorzi deve essere redatto sulla base di uno schema tipo redatto dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attivita' produttive (comma 2, primo periodo), e deve essere approvato dal Ministro dell'ambiente (comma 2, secondo periodo). La dimensione invariabilmente nazionale, ulteriormente testimoniata dalla circostanza che la attivita' dei consorzi si svolge tutta in collegamento con il Consorzio nazionale imballaggi (art. 223, commi da 3 a 6), esclude ogni considerazione per le istanze regionali, le quali si vedono semplicemente ignorate dall'art. 223. A queste considerazioni si aggiunga che la violazione dell'art. 118, primo comma, della Costituzione si associa a quella dell'art. 76 della legge fondamentale, in ragione del mancato rispetto dell'art. 1, comma 8, della legge di delega, che impone al legislatore delegato di conformarsi, tra l'altro, al dettato del decreto legislativo n. 112 del 1998. In questa prospettiva, alla luce dell'art. 85 del decreto legislativo n. 112, si impone al legislatore delegato il rispetto del decreto legislativo n. 22 del 1997, e segnatamente del suo art. 40, che, nel disciplinare i consorzi, non ha previsto la dimensione necessariamente nazionale dell'attivita' dei produttori e dei recuperatori: confrontando questa disciplina con quella dell'art. 223 del decreto impugnato emerge quindi chiaramente l'avvenuta compressione dei poteri regionali, ormai "tagliati fuori" da ogni valutazione cronologicamente collocata nel momento genetico del consorzio e da qualunque predisposizione di misure normative atte a garantire la "serieta" e l'"importanza" del consorzio stesso. d) Alla logica marcatamente centralista della normativa ora in questione non sfugge il mantenimento del Consorzio nazionale imballaggi come fulcro dell'intera attivita' svolta all'interno dei confini nazionali. La costituzionalizzazione del principio di sussidiarieta' impone, in effetti, di adeguare anche questa struttura al mutato quadro costituzionale, riconoscendo il livello regionale come quello maggiormente rispondente all'esercizio di attivita' di gestione sulla base dell'art. 118, primo comma, della Costituzione: il Consorzio nazionale imballaggi, in altri termini, non puo' piu' concentrare su di se' l'integralita' delle funzioni di cui all'art. 224, ma deve essere affiancato da consorzi regionali. Sulla scorta di queste deduzioni, non puo' che chiedersi una declaratoria di incostituzionalita' che colpisca l'art. 224 del decreto legislativo impugnato nella sua integralita' o, in subordine, nella parte in cui non consente alle regioni di creare Consorzi regionali imballaggi, che esercitino, sulla base del principio di sussidiarieta', quelle funzioni previste dall'art. 224, comma 3, che possano essere esercitate a livello regionale (queste ultime sono individuabili, prima facie, nelle funzioni indicate alle lettere b), d), e), h), l) e m). B.9) Parte quarta - Titolo III (Gestione di particolari categorie di rifiuti). Illegittimita' costituzionale degli artt. 233, 234, 235 e 236. Le considerazioni svolte supra, sub B.8.d), in merito al Consorzio nazionale imballaggi, debbono essere riproposte integralmente con riferimento ai consorzi nazionali previsti agli artt. 233, 234, 235 e 236. Ne consegue la richiesta a codesta ecc.ma Corte della declaratoria di illegittimita' costituzionale dei quattro articoli nella loro integralita' o, in subordine: dell'art. 233, nella parte in cui non consente alle regioni di creare consorzi regionali di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti, che esercitino, sulla base del principio di sussidiarieta', quelle funzioni previste dall'art. 233, comma 3, che possano essere esercitate a livello regionale (funzioni prima facie individuabili in quelle indicate alle lettere a) e b); dell'art. 234, nella parte in cui non consente alle regioni di creare consorzi regionali per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene, che esercitino, sulla base del principio di sussidiarieta', quelle funzioni previste dall'art. 234, comma 8, che possano essere esercitate a livello regionale (funzioni prima facie individuabili in quelle indicate alle lettere b), c) e e); dell'art. 235, nella parte in cui non consente alle regioni di creare consorzi regionali per la raccolta e trattamento delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi, che esercitino, sulla base del principio di sussidiarieta', quelle funzioni previste dall'art. 235, comma 4, che possano essere esercitate a livello regionale (funzioni prima facie individuabili in quelle indicate alle lettere a), b), c), e e); dell'art. 236, nella parte in cui non consente alle regioni di creare Consorzi regionali per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati, che esercitino, sulla base del principio di sussidiarieta', quelle funzioni previste dall'art. 236, comma 12, che possano essere esercitate a livello regionale (funzioni prima facie individuabili in quelle indicate alle lettere a), b), c), d), e), g), i, e l). B.10) Parte quarta - Titolo IV (Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani). Illegittimita' costituzionale dell'art. 238, comma 6 e, per la parte in cui rinviano al comma 6, commi 3, 5, 7 e 8. Da quanto si e' venuti dicendo (segnatamente supra, sub B.7.a) in merito alla compresenza di diversi titoli competenziali concernenti la gestione dei rifiuti si deduce l'illegittimita' costituzionale del comma 6 dell'art. 238 (nonche', per la parte in cui rinviano al comma 6, i commi 3, 5, 7 e 8), il quale stabilisce che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio disciplina, "con apposito regolamento", "i criteri generali sulla base dei quali vengono definite le componenti dei costi e viene determinata la tariffa" per la gestione dei rifiuti urbani. Una siffatta disposizione si pone in contrasto con l'art. 117, sesto comma, della Costituzione, nella misura in cui attribuisce allo Stato una potesta' regolamentare in un ambito materiale che non puo' dirsi di sua competenza "esclusiva" (e cio' sia per il concorso di competenze cui si e' fatto piu' volte riferimento sia per la stessa configurazione della "tutela dell'ambiente" alla stregua di una materia "trasversale"). Questo profilo di incostituzionalita' si impone su un secondo, invocabile in via assolutamente subordinata, consistente nel mancato rispetto del principio di leale cooperazione nella disciplina del procedimento di formazione del regolamento di cui al comma 6: viene infatti previsto che l'atto sia emanato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concreto con il Ministro delle attivita' produttive, "sentita" (tra gli altri) la Conferenza Stato-regioni e province autonome. Il rilievo in concreto assunto dal regolamento de quo non puo' non richiedere una concertazione tra Stato e regioni che vada oltre il mero parere in sede di Conferenza, e che dunque si traduca nella prescrizione di una intesa in senso forte. B.11) Parte quarta - Titolo V (Bonifica di siti contaminati). Illegittimita' costituzionale degli artt. da 239 a 253, e dell'allegato 4 alla Parte quarta. a) Ai termini dell'art. 1, comma 1, della legge n. 308 del 2004, il Governo e' stato delegato ad adottare uno o piu' decreti legislativi di "riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative" in vigore. In base a questa previsione, l'art. 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997 e' stato "riordinato" con gli artt. da 239 a 253 del decreto legislativo in questa sede impugnato. Appare quanto mai evidente che la redazione di ben quindici articoli non puo' essere sinonimo di "riordino" ed "integrazione", se riferito ad un solo articolo previgente. Cio' detto in termini "quantitativi", e' indiscutibile che anche sotto il profilo della disciplina concretamente approntata si siano operate profonde rivisitazioni, che sono intervenute sia sul piano della procedura di bonifica sia in merito alla disciplina sostanziale. Solo per fare un esempio, si e' profondamente innovata la disciplina della responsabilita' del proprietario del sito: se nell'art. 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997 nessuna disposizione ad esso faceva esplicitamente riferimento, nel nuovo tessuto normativo sono stati previsti obblighi anche pesanti nei suoi confronti, come ben dimostra, tra gli altri, l'art. 253. Il contenuto marcatamente innovativo del Titolo V della Parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006 rispetto all'art. 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997 non puo' che tradursi in una incostituzionalita' del Titolo medesimo, conseguente alla violazione dell'art. 76 della Costituzione veicolata dall'eccesso di delega indicato poc'anzi. Il vizio denunciato ha chiari riflessi sulle attribuzioni costituzionali delle regioni, sia per il tipo di normativa che e' stata redatta - sulla quale v. infra, sub (b) - sia per il semplice fatto che l'esorbitare da compiti di mero "riordino" ha consentito allo Stato di porre in essere norme che, qualora fossero state previste ab initio come innovative, avrebbero con ogni probabilita' richiesto una partecipazione regionale nel procedimento formativo assai piu' rilevante: tanto e' vero che, qualora la legge di delega avesse consentito al Governo di esercitare la delega in maniera "creativa", il vizio di costituzionalita' sarebbe stato rintracciato immediatamente, in ragione della violazione da parte della legge n. 308 del 2004 del principio di leale cooperazione. b) In via subordinata, molte disposizioni contenute negli artt. da 239 a 253 sono da ritenersi costituzionalmente illegittime per il loro essere in contrasto con l'art. 117 della Costituzione. La disciplina della bonifica dei siti contaminati concerne diversi titoli competenziali, di diversa natura, quali la materia trasversale della "tutela dell'ambiente", il "governo del territorio" e la "tutela della salute", di competenza concorrente, nonche', almeno sotto determinati profili, l'"agricoltura", di competenza residuale. In questo concorso, una competenza, quella del "governo del territorio", appare prevalente, dal momento che il ripristino delle condizioni di salubrita' dei "siti" non puo' che configurarsi come una delle attivita' piu' qualificanti dell'azione di "governo" del suolo, del sottosuolo e delle acque. Ponendosi in un'ottica siffatta, debbono essere censurati, per il loro carattere di dettaglio: l'art. 242, che, lungi dal porre principi fondamentali, va a disciplinare nel minimo dettaglio le procedure operative ed amministrative per l'esecuzione delle opere di bonifica; l'art. 244, che delinea le modalita' di reazione all'evento di superamento dei valori di concentrazione soglia, specificando i comportamenti concreti che le amministrazioni debbono assumere; l'art. 245, che si occupa di modalita' particolari da seguire per interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale; l'art. 248, in materia di controlli sulle opere effettuate, che specifica le forme attraverso cui procedere; l'art. 249 e l'allegato 4 alla Parte quarta, oggetto di rinvio, che disciplinano in maniera minuziosa le procedure semplificate di intervento per le aree contaminate di ridotte dimensioni; l'art. 250, che disciplina le forme ed i presupposti in presenza dei quali la pubblica amministrazione e' chiamata ad agire in via sostitutiva. c) Quasi tutte le disposizioni appena censurate non potrebbero risultare immuni da vizi anche qualora si optasse per una ricostruzione del concorso di competenze tale da non poter indicare una prevalenza, bensi' una concorrenza di competenze in senso stretto. Il carattere estremamente dettagliato che si e' detto proprio degli artt. 242, 244, 245, 248 e 249 e', infatti, tale da escludere la loro riconducibilita' a standards di tutela uniformi, per cui le disposizioni non rientrerebbero comunque in un ambito nel quale lo Stato possa intervenire in forza di almeno uno dei titoli competenziali individuabili (trattasi, nella specie - ovviamente per ipotesi - della "tutela dell'ambiente"). d) Da quanto rilevato supra, sub (b) e (c), consegue anche la illegittimita' costituzionale dell'art. 241, che attribuisce al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attivita' produttive, della salute e delle politiche agricole e forestali, un potere regolamentare in una materia che vede, oltre al concorso di competenze trasversali e concorrenti, anche la presenza ed il grande rilievo della materia di competenza residuale "agricoltura". Alla violazione dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione, deve in subordine aggiungersi la violazione del principio di leale cooperazione, giacche' le regioni non debbono neppure venire consultate nel procedimento di formazione di un atto che inevitabilmente incide su loro competenze. e) Altre disposizioni affette da illegittimita' costituzionale sono i commi 3 e 4 dell'art. 252. Al comma 3 si prevede che la perimetrazione dei siti di interesse nazionale soggetti a bonifica avvenga "sentiti i comuni, le province, le regioni e gli altri enti locali". La mera consultazione risulta gravemente lesiva delle attribuzioni costituzionali delle regioni, le quali debbono poter codecidere con lo Stato, sulla base di una piu' approfondita conoscenza del territorio, una perimetrazione che sia la piu' efficace possibile. La violazione del principio di leale cooperazione che si manifesta al comma 3 si ripropone a fortiori nel comma 4, la' dove si esclude dalla procedura di bonifica ogni intervento regionale. A risultare leso, peraltro, non e' soltanto il principio di leale cooperazione, ma anche l'art. 76, in riferimento all'art. 1, comma 8, della legge di delega, il quale, nel rinviare, tra l'altro, al decreto legislativo n. 112 del 1998, impone il rispetto - grazie al rinvio di cui all'art. 85 del decreto legislativo n. 112 - delle attribuzioni regionali fissate all'art. 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997. Viene all'uopo in rilievo la previsione di cui al comma 14, che per gli interventi di bonifica nazionale richiede l'intesa con la regione territorialmente competente, intesa di cui non v'e' piu' alcuna traccia nell'articolato del decreto legislativo impugnato. B.12) Parte quarta - Titolo VI (Sistema sanzionatorio e disposizioni transitorie e finali). Illegittimita' costituzionale dell'art. 265, comma 3. L'art. 265, comma 3, del decreto legislativo impugnato prevede che un decreto ministeriale individui "le forme di promozione e di incentivazione per la ricerca e per lo sviluppo di nuove tecnologie di bonifica presso le universita', nonche' presso le imprese e i loro consorzi". Sulla scorta di quanto si e' detto supra, sub B.11], appare evidente che il decreto ministeriale interviene in un settore che non e' di competenza esclusiva dello Stato, e cio' tanto piu' tenendo conto che ne1la specie viene in gioco anche la materia, di competenza concorrente, relativa a "ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi". Ne deriva una palese violazione, da un lato, dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione, per essersi lo Stato auto-attribuito un potere regolamentare esorbitante dalle proprie competenze, e, dall'altro lato, dell'art. 119, quinto comma, della Costituzione, per il fatto che lo Stato prevede, senza che ne sussistano le condizioni, incentivi in un ambito competenziale che non e' di propria esclusiva competenza. In subordine, deve sottolinearsi che la procedura di emanazione del decreto non contempla alcun intervento da parte delle regioni, cio' che ingenera una chiara violazione del principio di leale cooperazione. B.13) Parte quinta (Norme in materia di tutela, dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera). Illegittimita' costituzionale degli artt. 267, comma 4, lettera a), 269, commi 2, 3, 7 e 8, 281, comma 10, 284 e 287, e dell'allegato IX alla Parte quinta. a) Con riferimento alla individuazione dei titoli competenziali rilevanti in tema di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera, puo' operarsi un rinvio a quanto argomentato, supra, sub B.7.a), relativamente alla prevalenza (ma non all'esclusivita) della materia "tutela dell'ambiente", nell'ambito di una compenetrazione di competenze che richiede di tenere in adeguato conto - almeno - quella in materia di "tutela della salute". In tal senso, d'altra parte, il d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, ora abrogato dall'art. 280 del decreto legislativo impugnato, ha reso evidente la necessita' di garantire alle regioni un ruolo di primo piano nella tutela dell'aria dall'inquinamento: all'art. 4, infatti, si prevedeva che la tutela dell'ambiente dall'inquinamento atmosferico spettasse alle regioni, che la esercitavano nell'ambito dei principi posti dalla legislazione statale. A titolo esemplificativo, si indicavano le seguenti competenze: "a) la formulazione dei piani di rilevamento, prevenzione, conservazione e risanamento del proprio territorio, nel rispetto dei valori limite di qualita' dell'aria; b) la fissazione di valori limite di qualita' dell'aria, compresi tra i valori limite e i valori guida ove determinati dallo Stato, nell'ambito dei piani di conservazione per zone specifiche nelle quali ritengono necessario limitare o prevenire un aumento dell'inquinamento dell'aria derivante da sviluppi urbani o industriali; c) la fissazione dei valori di qualita' dell'aria coincidenti o compresi nei valori guida, ovvero ad essi inferiori, nell'ambito dei piani di protezione ambientale per zone determinate, nelle quali e' necessario assicurare una speciale protezione dell'ambiente; d) la fissazione dei valori delle emissioni di impianti, sulla base della migliore tecnologia disponibile e tenendo conto delle linee guida fissate dallo Stato e dei relativi valori di emissione" ("in assenza di determinazioni regionali, non [doveva] comunque essere superato il piu' elevato dei valori di emissione definiti nelle linee guida, fatti salvi i poteri sostitutivi degli organi statali"); "e) la fissazione per zone particolarmente inquinate o per specifiche esigenze di tutela ambientale, nell'ambito dei piani di cui al punto a), di valori limite delle emissioni piu' restrittivi dei valori minimi di emissione definiti nelle linee guida, nonche' per talune categorie di impianti la determinazione di particolari condizioni di costruzione o di esercizio; f) l'indirizzo ed il coordinamento dei sistemi di controllo e di rilevazione degli inquinanti atmosferici e l'organizzazione dell'inventario regionale delle emissioni; g) la predisposizione di relazioni annuali sulla qualita' dell'aria da trasmettere ai Ministeri dell'ambiente e della sanita' [...]" (la valenza del d.P.R. n. 203 del 1988 come indicatore fondamentale della ripartizione delle competenze tra lo Stato e le regioni e' stata riconosciuta anche da codesta ecc.ma Corte, segnatamente nelle sentenze nn. 101 del 1989 e 53 del 1991). E' anche in considerazione di questo riferimento "storico" che sono da censurare le disposizioni attraverso le quali il legislatore delegato statale produce una normativa (procedimentale) di minuto dettaglio, non giustificata (in quanto ultronea rispetto all'obiettivo da perseguire) rispetto alla predisposizione di standards di tutela uniformi, oltretutto in ambiti che incidono fortemente sulle garanzie da apprestare alla salute collettiva. A tale riguardo, vengono in particolare rilievo l'art. 269, in tema di prevenzione e limitazione delle emissioni in atmosfera di impianti e attivita' (Titolo I della Parte quinta), e l'art. 284, relativo agli impianti termini civili (Titolo II della Parte quinta). In ordine all'art. 269, deve sottolinearsi che la disciplina dell'autorizzazione alle emissioni in atmosfera richiesta dal gestore di un impianto che produce emissioni alla "autorita' competente" (id est, alla regione o ad altra autorita' indicata con legge regionale) e' tanto dettagliata da vincolare sotto ogni aspetto l'autorita' medesima e, soprattutto, la legge regionale che disegna i compiti e le attivita' dell'autorita'. Sono da censurare, in particolare, i commi 2, 3, 7 e 8: il comma 2 arriva addirittura a tratteggiare lo schema di un modulo da predisporre per la presentazione delle istanze; il comma 3 disciplina nel minimo dettaglio le attivita' che presiedono al rilascio dell'autorizzazione, privando le regioni di qualsiasi margine di modulazione e prevedendo, tra l'altro, un potere sostitutivo da parte dello Stato privo delle garanzie predisposte dall'art. 120, secondo comma, della Costituzione, tra cui spicca la totale omissione di qualunque diffida ad adempiere; il comma 7 "ingabbia" l'autorizzazione (ed il rinnovo dell'autorizzazione) in termini temporali eccessivamente e - soprattutto - inutilmente rigidi, ben potendo lasciarsi alla legislazione regionale il compito di modulare, magari entro "forbici temporali", termini idonei; analogamente a quanto riscontrato per il comma 3, anche il comma 8 reca una disciplina di estremo dettaglio per il caso di sottoposizione di un impianto ad una modifica, vincolando in maniera assoluta l'attivita' normativa ed amministrativa della regione. Per quanto attiene all'art. 284, il carattere estremamente dettagliato della disciplina relativa alla denuncia di installazione o modifica di un impianto termico civile produce gli stessi effetti negativi sulla competenza legislativa delle regioni, che si vedono private della possibilita' di calibrare i procedimenti in ragione delle peculiarita' dei propri territori e delle esigenze che si impongono a tutela della salute degli abitanti degli stessi. Dall'illegittimita' costituzionale dell'art. 284 non puo' non discendere anche quella dell'Allegato IX alla Parte quinta, che e' oggetto di rinvio da parte dell'articolo qui censurato, e che ne costituisce una ulteriore specificazione. b) Sotto altro profilo, e' da censurare l'art. 267, comma 4, lettera a), dei decreto legislativo n. 152 del 2006: nel prevedere la possibilita' per il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di promuovere "misure atte a favorire la produzione di energia elettrica tramite fonti rinnovabili ed al contempo sviluppare la base produttiva di tecnologie pulite, con particolare riferimento al Mezzogiorno", la disposizione consente allo Stato - oltretutto senza alcun coinvolgimento regionale - di porre in essere interventi diretti di ordine finanziario sul territorio, in materie di competenza concorrente, quali il "governo dei territorio", la "tutela della salute", e di competenza residuale, quale la "produzione non-nazionale di energia". Se ne deduce la violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119, quinto comma, della Costituzione, nonche' del principio di leale cooperazione. c) La violazione dell'art. 117, terzo comma ("tutela della salute"), 118 e 3 (principio di ragionevolezza) della Costituzione e' da rintracciarsi in merito all'art. 281, comma 10, nella parte in cui subordina all'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e con il Ministro della salute i provvedimenti generali dalle regioni adottandi "in presenza di particolari situazioni di rischio sanitario o di zone che richiedano una particolare tutela ambientale". L'imposizione dell'intesa spoglia, di fatto, le regioni delle loro responsabilita' di governo del territorio e della salute dei consociati, perpetuando uno schema fortemente accentratore in capo allo Stato di compiti di cui non puo' piu' ritenersi titolare, una volta costituzionalizzato il principio di sussidiarieta'. d) In una logica non dissimile si pone l'art. 287, contrastante sia con l'art. 117 della Costituzione sia, a monte, con l'art. 76, in relazione all'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004. L'articolo in esame disciplina, infatti, l'abilitazione del personale addetto alla conduzione degli impianti termici civili di potenza termica superiore a 0.232 MW, sottraendo cosi' alle regioni - in violazione dell'art. 117 della Costituzione - una competenza legislativa di dettaglio riconducibile alla "tutela della salute" ed alla "tutela e sicurezza del lavoro". Si esautorano inoltre, a beneficio dell'ispettorato provinciale del lavoro, le regioni - in violazione dell'art. 76, oltre che dell'art. 118 della Costituzione - di una funzione loro conferita dall'art. 84, lettera b), del decreto legislativo n. 112 del 1998. B.14) Parte sesta (Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente). Illegittimita' costituzionale degli artt. da 299 a 318, e degli allegati da 1 a 5 alla Parte sesta. a) L'intera Parte sesta del decreto legislativo impugnato ed i cinque allegati ad essa relativi sono da ritenersi, nella loro integralita', costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione. Come gia' si e' avuto modo di argomentare in ordine alla direttiva 2003/35/CE (supra, sub B.2.d), (\alpha ), la direttiva 2004/35/CE non e' contemplata tra quelle di cui la legge n. 308 del 2004 delega al Governo l'attuazione. Ammesso, e non concesso, di poter superare questo - pur dirimente - rilievo, e' di tutta evidenza che l'art. 1 della legge n. 62 del 2005, nel delegare espressamente il Governo ad attuare la direttiva in questione, si impone su ogni norma legislativa all'uopo anteriormente dettata. Ne risulta che, in sede di recepimento, il decreto legislativo n. 152 del 2006 avrebbe dovuto conformarsi alle prescrizioni dettate nell'art. 1 della legge n. 62, cio' che non e' stato fatto: valgono, a tal proposito, le considerazioni gia' svolte sub B.2.c), (\alpha ), e B.2.d), (\alpha ), relativamente al mancato rispetto delle previsioni di cui ai commi 2 e 6 dell'art. 1 della legge n. 62 del 2005. Come riscontrato per la direttiva 2003/35/CE, si impone per l'attuazione della direttiva 2004/35/CE anche il rispetto del comma 4 dell'art. 1 della legge n. 62, donde un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale. In ragione di queste irregolarita' procedurali, deve concludersi nel senso di richiedere a codesta ecc.ma Corte di dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. da 299 a 318 del decreto legislativo impugnato e degli allegati da 1 a 5 alla Parte sesta del decreto medesimo. b) Oltre (ed in subordine rispetto) ai suddetti profili di illegittimita' costituzionale, altri sono rintracciabili in merito a singole disposizioni della Parte sesta. L'impianto normativo su cui la Parte sesta del decreto legislativo impugnato e' strutturata mostra una marcata concentrazione in capo allo Stato delle competenze in materia di tutela contro i danni all'ambiente, trascurando in modo pressoche' totale gli interessi, pur costituzionalmente rilevanti, delle regioni e degli enti locali. Una siffatta impostazione si traduce in una serie di disposizioni che risultano direttamente lesive delle attribuzioni costituzionali degli enti territoriali, in particolare sotto il profilo del mancato rispetto del principio di leale cooperazione. L'allontanamento dal modulo cooperativo si coglie gia' dall'art. 299, comma 2, secondo cui "l'azione ministeriale si svolge normalmente in collaborazione con le regioni, con gli enti locali e con qualsiasi soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo": la disposizione e' da censurare, da un lato, limitatamente alla parola "normalmente", che consente di eludere l'esigenza che pure nella disposizione viene affermata; dall'altro lato, l'illegittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 114 e 118 della Costituzione, deriva dall'aver posto sullo stesso piano gli enti territoriali dotati di autonomia costituzionale e "qualsiasi soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo", con conseguente svilimento della posizione dei primi. Una identica violazione degli artt. 114 e 118 della Costituzione e' rinvenibile nel disposto dell'art. 309, comma 1, anch'esso, conseguentemente, da censurare. La lesione del principio di leale cooperazione e' poi evidente con riguardo all'art. 299, comma 5, nella parte in cui esclude qualsiasi forma di intervento regionale nel procedimento formativo del decreto ministeriale di attuazione della disciplina delle attivita' istruttorie volte all'accertamento del danno ambientale e per la riscossione della somma dovuta per equivalente patrimoniale. In violazione dell'art. 118 della Costituzione e del principio di leale cooperazione, gli artt. 304, comma 3, 305, comma 2, e 306, comma 2, attribuiscono al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio il potere di ordinare interventi incidenti direttamente sul territorio, senza neppure consultare gli enti territoriali interessati. Analogamente, sono affetti da illegittimita' costituzionale gli artt. 312 e 313, che disciplinano l'istruttoria ministeriale per l'emanazione dell'ordinanza ministeriale che ingiunge il ripristino ambientale senza prevedere alcun coinvolgimento degli enti regionali e locali. Infine, l'art. 311 contrasta con gli artt. 24, 114 e 118 della Costituzione, per la mancata attribuzione alle regioni della legittimazione a ricorrere per il risarcimento del danno ambientale, e cio' nonostante l'indubbia incidenza dell'illecito perpetrato sul loro territorio e, di conseguenza (almeno potenzialmente), su tutta una serie di attivita' che le regioni stesse sono chiamate a disciplinare ed a porre in essere. C) Sospensione dell'esecuzione - ai sensi dell'art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, come sostituito dall'art. 9, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131 - di alcune delle disposizioni impugnate. Si confida di aver sufficientemente dimostrato che il decreto legislativo n. 152 del 2006, oltre ad essere esso stesso viziato in radice, reca numerose norme affette da illegittimita' costituzionale, lesive delle attribuzioni costituzionali delle regioni e degli enti locali. Non essendo questa la sede per operare una "graduatoria" circa l'entita' dei vizi riscontrabili, deve comunque sottolinearsi che, soffermandosi sugli effetti concreti delle disposizioni censurate, alcune di queste producono pregiudizi piu' immediatamente avvertibili, tanto che finanche la loro efficacia nelle more del giudizio di legittimita' costituzionale di fronte a codesta ecc.ma Corte si ritiene che debba essere sospesa, onde evitare l'irreparabilita' di situazioni di fatto e di diritto che illegittimamente potrebbero consolidarsi. a) Sospensione degli effetti degli artt. 63 e 64. Le ragioni che fondano la richiesta della declaratoria di illegittimita' costituzionale dei due articoli sono esposte supra, sub B.3.c), (\beta ) e (\gamma ). La previsione della soppressione automatica delle Autorita' di bacino a partire dal 30 aprile 2006, anteriormente, cioe', al completamento della fase transitoria, ingenera l'evidente "rischio di un irreparabile pregiudizio all'interesse pubblico", derivante dall'inevitabile apertura di un periodo di grave incertezza in ordine alla gestione dei bacini idrografici, con la forzata inerzia delle Autorita' esistenti sino al 29 aprile 2006 e con la "naturale" inerzia delle Autorita' istituite a far tempo dal 30 aprile 2006, ma poste in uno stato di quiescenza sino a quando non sara' approvato il - peraltro illegittimo, per quanto si e' detto - decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto ai commi 2 e 3 dell'art. 63. Con precipuo riguardo alla regione Calabria (ma considerazioni analoghe valgono per tutte le regioni), sulla base degli impugnati articoli del decreto legislativo n. 152 del 2006, la legge regionale 29 novembre 1996, n. 35, recante "Costituzione dell'Autorita' di Bacino regionale in attuazione della legge 18 maggio 1989, n. 183, e successive modificazioni ed integrazioni", viene abrogata, senza pero' essere sostituita, nell'immediato, da altra normativa. In una situazione siffatta, le funzioni attribuite alla regione nella materia in questione conoscono una interruzione nel loro esercizio (salvo poi essere svuotate, a regime, per le ragioni che si sono evidenziate in sede di contestazione della legittimita' costituzionale degli articoli di cui ora si chiede la sospensione). Parallelamente, da un diverso punto di vista, gli effetti degli artt. 63 e 64 si sostanziano in una paralisi amministrativa che non puo' non tradursi in una mancata cura degli interessi pubblici. Una cura degli interessi pubblici che, in regioni come la Calabria (ma lo stesso dicasi per molte altre regioni italiane), significa, innanzi tutto, lotta alla siccita' ed alla desertificazione: e' significativo, in tal senso, sottolineare che, adottando lo Standardized Precipitation Index di McKee (ad esiti in tutto comparabili si giunge, peraltro, utilizzando qualunque altro indice), le precipitazioni annue medie risultano tali da indicare buona parte del territorio calabrese come afflitto da siccita' severa o da siccita' estrema; d'altro canto, utilizzando il modello statistico di Winter sulla previsione delle precipitazioni nel lungo periodo, uno scenario realistico avverte che, gia' nel 2030, l'integralita' della fascia costiera ionica e la quasi totalita' della fascia costiera tirrenica avranno un indice di umidita' del suolo tale da essere annoverate tra i climi aridi o semiaridi. La lotta alla desertificazione e', in definitiva, un impegno che non puo' conoscere soste e, soprattutto, e' un impegno che deve contare su una programmazione ed una stabilita' che gli artt. 63 e 64 del decreto legislativo n. 152 del 2006 minano in maniera irreparabile. Scontato e', a questo punto, aggiungere che il pregiudizio irreparabile per l'interesse pubblico si collega direttamente ad un altro pregiudizio preso in considerazione dall'art. 35 della legge n. 87 del 1953, vale a dire quello "grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini". b) Sospensione degli effetti degli artt. da 7 a 22, dell'art. 4, comma 1, lettera a), nonche' degli allegati I e II alla Parte seconda. Le ragioni che fondano la richiesta della declaratoria di illegittimita' costituzionale delle disposizioni sono esposte supra, sub B.2.c), (\alpha ). La richiesta a codesta ecc.ma Corte di intervenire in fase cautelare ordinando la sospensione dell'esecuzione delle disposizioni indicate, in attesa del definitivo giudizio sulla loro illegittimita' costituzionale, e' motivata dal rischio di un "irreparabile pregiudizio [...] all'ordinamento giuridico della Repubblica". Nell'esame delle ragioni che rendono l'insieme delle disposizioni menzionate incostituzionali, sono stati sottolineati due aspetti che incidono pesantemente sulle attribuzioni regionali, quali il pregiudizio arrecato al principio di certezza del diritto e quello del rispetto degli obblighi contratti in sede comunitaria. Questi due aspetti hanno, evidentemente, riflessi sull'ordinamento giuridico della Repubblica nel suo complesso. La certezza del diritto si pone come valore assolutamente basilare dell'ordinamento, al quale qualunque operatore deve tendere. Nel momento in cui disposizioni legislative regolano procedimenti di notevole impatto sociale (come, nel caso in discorso, quello in cui si inquadra la VAS), e' necessario che esse siano dotate di un sufficiente grado di stabilita' (da intendersi, evidentemente non nel senso della immodificabilita' assoluta, ma in quello della sicurezza del loro fondamento giuridico). Una siffatta stabilita' non puo' essere riscontrata - difettando anzi ictu oculi - nell'ipotesi in cui un decreto legislativo sia stato adottato (non semplicemente eccedendo i precetti della delega, ma) in attuazione di una delega che, in conseguenza di una ulteriore attivita' del legislatore parlamentare, non esisteva piu'. Pur senza voler (o poter) appellarsi alla figura giuridica dell'inesistenza, e' chiaro che un vizio di legittimita' tanto grave non puo' non aver riflessi sulla prassi applicativa, come ben dimostra la facile prognosi di giudizi in via incidentale sollevati proprio a tal riguardo. Il giudizio in via principale, per la sua conformazione originaria e per le possibilita' offerte dal novellato art. 35 della legge n. 87 del 1953, consente di evitare il pregiudizio alla coerenza di un ordinamento giuridico nel quale la vigenza di una norma chiaramente illegittima avrebbe l'effetto di abrogare pro tempore norme anteriori incompatibili (ponendo poi il problema della loro reviviscenza), di creare disorientamento negli operatori, chiamati ad applicare in via amministrativa norme in attesa della loro caducazione, di stimolare un contenzioso giurisdizionale finalizzato anche alla proposizione di questioni di legittimita' costituzionale in via incidentale e, in ultima analisi, di privare i cittadini della possibilita' di maturare qualunque affidamento in ordine alla vigenza di una normativa o di un'altra, annichilendo quella che e' la funzione fondamentale del diritto, e cioe' l'orientamento delle condotte dei consociati. Una sospensione degli effetti delle disposizioni consentirebbe, allora, di eludere il pericolo di prassi variegate sul territorio nazionale e, con esse, le conseguenze negative (i "pregiudizi gravi ed irreparabili"), oltre che sull'ordinamento giuridico della Repubblica, anche sull'interesse pubblico e sui diritti dei cittadini. Ad un esito siffatto conduce anche la considerazione che le disposizioni ora in esame rappresentano nominatim l'adeguamento della Repubblica a vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. Se e' vero che l'erroneo adempimento ha una valenza identica all'inadempimento, la vigenza di disposizioni viziate ha l'effetto di precludere ex ante ogni possibile (corretto) adeguamento - anche da parte delle regioni - agli obblighi che incombono all'Italia dalla partecipazione al processo di integrazione comunitaria. L'ordinamento giuridico della Repubblica resta, quindi, soggetto alla contestazione di una responsabilita' in sede comunitaria che costituisce, essa stessa, un grave pregiudizio per la Repubblica, per le conseguenze materiali che ne derivano, oltre che per l'immagine dell'Italia nel consesso europeo. c) Sospensione degli effetti degli artt. 4, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole "e con direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003", 5, comma 1, lettere q) e r), 28, 31, comma 4, e 39. Le ragioni che fondano la richiesta della declaratoria di illegittimita' costituzionale delle disposizioni sono esposte supra, sub B.2.d), (\alpha ). Le argomentazioni che sono state poste alla base della richiesta di sospensione degli effetti delle disposizioni di cui supra, sub (b), debbono essere integralmente confermate in ordine a quelle oggetto della presente richiesta. Il vizio di legittimita' costituzionale che le affligge - pur se derivante da una dinamica normativa parzialmente diversa rispetto a quella evidenziata per l'attuazione della direttiva 2001/42/CE, secondo quanto si confida di aver adeguatamente rilevato supra, sub B.2.d), (\alpha ) - ha natura in tutto e per tutto identica, giacche' anche in tal caso si e' in presenza di disposizioni contenute in un decreto legislativo attuativo di una delega che piu' non esisteva, essendo stata sostituita da un'altra. Anche a proposito delle disposizioni ora in discorso, la loro incidenza su un procedimento di particolare rilievo sociale, quale quello che da' luogo alla VIA, ingenera una situazione gravemente ed irreparabilmente pregiudizievole, sotto i profili sopra enunciati, per l'ordinamento giuridico della Repubblica e, in ultima analisi, anche per l'interesse pubblico e per i diritti dei cittadini. d) Sospensione degli effetti degli artt. da 299 a 318 e degli allegati da 1 a 5 alla Parte sesta. Le ragioni che fondano la richiesta della declaratoria di illegittimita' costituzionale delle disposizioni sono esposte supra, sub B.14.a). La illegittimita' costituzionale delle disposizioni ora in questione ha una matrice assolutamente identica, per quanto rileva, a quella delle disposizioni di cui supra, sub (c). Debbono, dunque, qui nuovamente riproporsi, attraverso un richiamo a quanto gia' evidenziato, i motivi che stanno alla base della richiesta della sospensione degli effetti delle disposizioni censurate sub (b) e (c). A precludere l'assimilabilita' alle fattispecie di grave ed irreparabile pregiudizio per l'ordinamento giuridico della Repubblica, ed indi per l'interesse pubblico e per i diritti dei cittadini, non puo' certamente invocarsi lo scarso rilievo, sul piano sociale, delle disposizioni ora in esame. Vertendo in materia di tutela contro il danno ambientale, e' evidente che queste abbiano un impatto fondamentale sulla gestione, a tutti i livelli (politico, amministrativo, giudiziario e dei privati), del territorio e delle risorse naturali.
P. Q. M. Si richieda a codesta ecc.ma Corte costituzionale: di voler dichiarare costituzionalmente illegittimo l'intero decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante "Norme in materia ambientale", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 14 aprile 2006, n. 88, supplemento ordinario n. 96; nonche', in subordine, di voler dichiarare costituzionalmente illegittime le seguenti disposizioni: artt. 3 (comma 2), 4 (comma 1), 5 (comma 1, lettere q) e r), 6 (commi da 6 a 8), da 7 a 22, da 26 a 34, 39, da 43 a 47, 50, 51 (comma 1), 55 (comma 4), 57, 58, 59, 61, 63, 64, 65, 67 (commi da 2 a 6), 68, 69 (commi 2 e 3), 70, 72, 73, 75, 87, 91 (commi 2 e 6), 101 (comma 7), 113 (comma 1), 114, 116, 119, 120, 121 (comma 4), 122, 123, 132, 135 (comma 2), 136, da 144 a 146, da 147 a 158, 159, 160, 176 (comma 1), 181 (commi 3, secondo periodo, e da 5 a 12), 186, 189 (commi 1, secondo periodo, e 3), 195 [comma 1, lettere f), g) e t), comma 2, lettera b) (in combinato disposto con l'art. 196, comma 1, lettera m), ed in combinato disposto con l'art. 195, comma 4)], (comma 1), da 199 a 207, da 208 a 211, 212 (commi 2 e 3), commi 3 e 5), 215 (commi 3, 4, 5 e 6), 216 (commi da 3 a 7 e da 10 a 15), 221 (commi da 4 a 9), 222, 223, 224, 233, 234, 235, 236, 238 (comma 6, e, per la parte in cui rinviano al comma 6, commi 3, 5, 7 e 8), da 239 a 253, 265 (comma 3), 264 (comma 4, lettera a), 269 (commi 2, 3, 7 e 8, 281 (comma 10), 284, 287 e da 299 a 318; allegati I, II, e V alla Parte seconda, 4 alla Parte quarta, IX alla Parte quinta, da 1 a 5 alla Parte sesta; di voler, altresi', previamente sospendere gli effetti delle seguenti disposizioni: artt. 4, comma 1, lettere q) e r), da 7 a 22, 28, 31, comma 4, 39, 63, 64, da 299 a 318; e degli allegati I e II alla Parte seconda e da 1 a 5 alla Parte sesta. Si depositano in allegato i documenti citati in narrativa. Reggio Calabria - Roma, addi' 5 giugno 2006 Avv. Maria Grazia Bottari