Ricorso n. 68 del 15 luglio 2004 (Regione Emilia-Romagna)
N. 68 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 15 luglio 2004.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 15 luglio 2004 (della Regione Emilia-Romagna)
(GU n. 35 dell'8-9-2004)
Ricorso della Regione Emilia Romagna, in persona del presidente
della giunta regionale pro tempore Vasco Errani, autorizzato con
deliberazione della giunta regionale 5 luglio 2004, n. 1336,
rappresentata e difesa, come da procura rogata dal notaio Federico
Stame del Collegio di Bologna con atto n. 48322 di rep. del 6 luglio
2004, dagli avvocati prof. Giandomenico Falcon e Luigi Manzi di Roma,
con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via
Confalonieri n. 5,
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.lgs. 23 aprile
2004, n. 124, Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia
di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell'articolo 8, della
legge 14 febbraio 2003, n. 30, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
n. 110 del 12 maggio 2004, con riferimento alle seguenti
disposizioni:
art. 1, comma 1; art. 2; art.3, commi da 1 a 4; art. 4;
art. 5, commi da 1 a 3; art. 6, commi 1 e 3; art. 7; art. 8; art. 10,
commi 1, 3 e 4; art. 11, commi 1, 4, 5 e 6; art. 12; art. 14, comma
2; art. 15, comma 1; art. 16, commi 1 e 2; art. 17, commi 1 e 2;
art. 18, per violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost. e del
principio di leale collaborazione, nei modi o per i profili di
seguito illustrati.
F a t t o
Il decreto legislativo n. 124 del 2004, qui impugnato nelle
disposizioni sopra indicate e' stato emanato in attuazione della
legge n. 30 del 2003, ed in particolare dell'art. 8 di essa, recante
Delega al Governo per la razionalizzazione delle funzioni ispettive
in materia di previdenza sociale e di lavoro.
Questa disposizione, «allo scopo di definire un sistema organico
e coerente di tutela del lavoro con interventi omogenei», delegava il
Governo «ad adottare, nel rispetto delle competenze affidate alle
regioni, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali ed entro il termine di un anno dalla data di entrata in
vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi per il
riassetto della disciplina vigente sulle ispezioni in materia di
previdenza sociale e di lavoro, nonche' per la definizione di un
quadro regolatorio finalizzato alla prevenzione delle controversie
individuali di lavoro in sede conciliativa, ispirato a criteri di
equita' ed efficienza» (comma 1).
I principi direttivi fissati al Governo erano i seguenti:
«a) improntare il sistema delle ispezioni alla prevenzione e
promozione dell'osservanza della disciplina degli obblighi
previdenziali, del rapporto dl lavoro, del trattamento economico e
normativo minimo e dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale, anche valorizzando l'attivita' di
consulenza degli ispettori nei confronti dei destinatari della citata
disciplina;
b) definizione di un raccordo efficace fra la funzione di
ispezione del lavoro e quella di conciliazione delle controversie
individuali;
c) ridefinizione dell'istituto della prescrizione e diffida
propri della direzione provinciale del lavoro;
d) semplificazione dei procedimenti sanzionatori amministrativi
e possibilita' di ricorrere alla direzione regionale del lavoro;
e) semplificazione della procedura per la soddisfazione dei
crediti di lavoro correlata alla promozione di soluzioni conciliative
in sede pubblica;
f) riorganizzazione dell'attivita' ispettiva del Ministero del
lavoro e delle politiche sociali in materia di previdenza sociale e
di lavoro con l'istituzione di una direzione generale con compiti di
direzione e coordinamento delle strutture periferiche del Ministero
ai fini dall'esercizio unitario della predetta funzione ispettiva,
tenendo altresi' conto della specifica funzione di polizia
giudiziaria dell'ispettore del lavoro;
g) razionalizzazione degli interventi ispettivi di tutti gli
organi di vigilanza, compresi quelli degli istituti previdenziali,
con attribuzione della direzione e del coordinamento operativo alle
direzioni regionali e provinciali del lavoro sulla base delle
direttive adottate dalla direzione generale di cui alla lettera f)».
La legge n. 30/2003 si occupava della vigilanza, in realta',
anche nell'art. 1, comma 2, lett. d) fissando, fra i criteri
direttivi relativi al mercato del lavoro, quello del «mantenimento da
parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla
vigilanza in materia di lavoro...».
Come si vede, la norma delegante dell'art. 8, nonostante un
formale richiamo al «rispetto delle competenze affidate alle
regioni», ignorava completamente il ruolo che la Costituzione assegna
alle regioni nella materia della tutela del lavoro, nella quale
certamente rientra la vigilanza sul lavoro, come attestato
espressamente dallo stesso art. 8 legge n. 30/2003 («allo scopo di
definire, un sistema organico e coerente di tutela del lavoro con
interventi omogenei»). Per questi motivi l'art. 8, come altre
disposizioni della legge n. 30/2003, e' stato impugnato (insieme
all'art. 1, comma 2, lett. d) da questa regione con ricorso
n. 43/2003, che sara' discusso avanti a codesta ecc.ma Corte il 12
ottobre 2004.
E' da sottolineare che la vigilanza sul lavoro rientra nella
materia, «tutela del lavoro» non tanto in quanto strumentale ad una
materia di base regionale, quanto piuttosto per il proprio contenuto
intrinseco e per le caratteristiche della materia «tutela del
lavoro».
Resta senz'altro vero (come e' da tempo pacifico nella
giurisprudenza costituzionale) che la disciplina e l'attivita'
sanzionatoria ha carattere strumentale rispetto alla materia di base
[da ultimo v. sent. n. 12/2004. «E' orientamento saldo nella
giurisprudenza di questa Corte che la competenza sanzionatoria
amministrativa non e' in grado di autonomizzarsi come materia in se',
ma accede alle materie sostanziali» (cfr. sentenze n. 361 del 2003;
n. 28 del 1996; n. 85 del 1996; n. 187 del 1996; n. 115 del 1995;
n. 60 del 1993)]; e uguale carattere ha ovviamente la vigilanza
rispetto alla stessa attivita' sanzionatoria; e, in effetti, le
funzioni di vigilanza e la relativa disciplina e gestione sono state
sempre e pacificamente considerate parte integrante di ciascuna
materia regionale anche sotto il vigore del precedente Titolo V.
Dunque, la diciplina della vigilanza sul rispetto delle norme
amministrative di competenza regionale in materia di tutela del
lavoro spetta senz'altro alle regioni.
Ma il senso della materia «tutela del lavoro» e' in realta', ben
piu' ampiamente, quello di affidare alle regioni, nel rispetto dei
principi fondamentali statali, la disciplina e l'allocazione di tutte
le funzioni amministrative di vigilanza sul rispetto della normativa
volta a tutelare il lavoratore, di qualsiasi tipo esso sia,
amministrativa regionale, amministrativa statale (ad es.,
previdenziale), civilistica o proveniente dalla contrattazione
collettiva.
Per propria essenza, la materia «tutela del lavoro» comprende
tutta l'attivita' pubblicistica funzionale alla difesa della
regolarita', stabilita' e sicurezza del lavoro, e dunque anche quella
volta a garantire il rispetto delle norme civilistiche. In questo
caso bisogna, cioe', distinguere fra apparato sanzionatorio
civilistico (quali le sanzioni di nullita' o di invalidita), di
competenza statale, e apparato sanzionatorio di tipo amministrativo,
di competenza regionale (salva, naturalmente, la determinazione
statale dei principi fondamentali).
Il d.lgs. n. 124 del 2004 conferma in pieno i timori espressi
dalla regione con il ricorso n. 43/2003, ridisciplinando la materia
della vigilanza in materia di lavoro e previdenza sociale senza alcun
riconoscimento della competenza legislativa regionale risultante
dall'art. 117, comma 3, e dall'art. 118, comma 2, e senza alcuna
considerazione del principio di sussidiarieta' di cui all'art. 118,
comma 1, Cost. Non solo si detta una normativa direttamente operativa
e dettagliata in materia concorrente, ma ancor prima si allocano
direttamente le funzioni amministrative in materia di competenza
regionale (salva la determinazione dei principi fondamentali) e si
individua nello Stato l'ente competente all'esercizio della
vigilanza, senza che sussista alcuna esigenza unitaria, come conferma
chiaramente il fatto che gli organi statali titolari dalla funzione
sono poi, in definitiva, gli organi periferici: organi statali che a
termini dl Costituzione neppure dovrebbero esistere.
Per queste ragioni, che ora si illustreranno con riferimento alle
varie norme impugnate, il d.lgs. n. 124 del 2004 risulta illegittimo
e lesivo della sfera costituzionale di competenza della Regione
Emilia-Romagna.
D i r i t t o
1. - Illegittimita' dell'art. 1, comma 1, primo periodo, e
dell'art. 6, comma 1, per violazione dell'art. 117, comma 3, e
dell'art. 118, commi 1 e 2.
Le norme centrali del decreto, quelle che costituiscono
l'ossatura fondamentale della disciplina qui contestata, sono
l'art. 1, comma 1, primo periodo e l'art. 6, comma 1.
La prima disposizione stabilisce che «il Ministero del lavoro e
delle politiche sociali assume e coordina, nel rispetto delle
competenze affidate alle regioni ed alle province autonome, le
iniziative di contrasto del lavoro sommerso e irregolare, di
vigilanza in materia di rapporti di lavoro e dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale, con particolare
riferimento allo svolgimento delle attivita' di vigilanza mirate alla
prevenzione e alla promozione dell'osservanza delle norme di
legislazione sociale, del lavoro ivi compresa l'applicazione dei
contratti collettivi di lavoro e della disciplina previdenziale»
(enfasi aggiunta).
L'art. 6, comma 1, assegna poi alle strutture periferiche del
Ministero del lavoro la competenza a svolgere le funzioni di
vigilanza, stabilendo che «le funzioni di vigilanza in materia di
lavoro e di legislazione sociale sono svolte dal personale ispettivo
in forza presso le direzioni regionali e provinciali del lavoro».
L'art. 1, comma 1, contiene - come la norma delegante - un
richiamo alle competenze regionali che risulta del tutto formale,
dato che in nessun altro punto il decreto si preoccupa di tener conto
di quelle competenze, cosicche' si puo' trunquillamente dire che le
regioni sono totalmente ignorate dal d.lgs. n. 124/2004.
Le disposizioni appena citate sono quelle centrali perche' sono
quelle che confermano la competenza amministrativa del Ministero del
lavoro, mentre gli artt. 117, comma 3, e 118, comma 2, imponevano
allo Stato di intervenire nella materia della vigilanza sul lavoro
solo con la determinazione di propri principi fondamentali, lasciando
alle Regioni spazio per la disciplina di dettaglio e, soprattutto,
consentendo alle regioni l'esercizio della potesta' di allocazione
delle funzioni amministrative ad esse assegnata dall'art. 118, comma
2, intestandole a propri organi o al giusto livello di
amministrazione locale, secondo il principio di sussidiarieta'.
E' infatti ormai pacifico, dopo le sentt. n. 303/2003 e
n. 6/2004, che nelle materie di competenza regionale concorrente o
residuale lo Stato puo' autoassegnarsi e regolare funzioni
amministrative solo in presenza di effettive esigenze di esercizio
unitario e nel rispetto dei principi di proporzionalita' e leale
collaborazione.
Tali esigenze di esercizio unitario implicano, logicamente, che
l'alterazione delle competenze legislative in nome del principio di
susidiarieta' possa avvenire solo assegnando funzioni ad organi
statali centrali, perche' la competenza degli organi statali
periferici smentisce ipso facto l'esistenza di un'esigenza di
esercizio unitario. Se una funzione amministrativa in una materia
regionale, puo' essere svolta a livello periferico, spetta alle
regioni individuare il livello istituzionale adeguato (art. 118,
comma 2); in generale se una funzione amministrativa puo' essere
svolta a livello periferico, la competenza degli organi statali e'
esclusa dall'art. 118, comma 1, salvo casi eccezionali
(sull'illegittimita' di una norma statale attributiva di competenza
ad un organo statale periferico la sent. n. 13 del 2004 dl codesta
Corte costituzionale).
L'art. 1, comma 1, primo periodo, stabilisce la competenza
amministrativa del Ministero in materia di vigilanza sul lavoro e
l'art. 6 precisa che le concrete funzioni dl vigilanza sono svolte
dagli organi periferici. Dunque, queste norme violano gli artt. 117,
comma 3, 118, comma 1 e 2, della Costituzione, per le ragioni appena
illustrate.
Sembra invece evidente che, dopo l'introduzione della competenza
legislativa delle regioni in materia di tutela del lavoro, la
legislazione statale avrebbe dovuto mettere a disposizione delle
regioni gli uffici periferici statali, nel senso che avrebbe dovuto
prevedere il trasferimento degli uffici stessi a favore delle
regioni, o in ipotesi degli enti indicati dalle regioni come titolari
della competenza amministrativa in materia.
La Costituzione assegna direttamente alle regioni il potere di
assegnare le funzioni amministrative, e nulla impedisce alle regioni
di istituire autonomamente propri uffici per esercitare una funzione
amministrativa in una materia regionale (v. la sent n. 13/2004). E'
chiaro, pero', che una razionale riorganizzazione
dell'amministrazione pubblica e, soprattutto, un'evidente esigenza di
contenimento dei costi - che oggi assume rilievo costituzionale anche
attraverso le disposizioni interposte relative al patto di stabilita'
in sede comunitaria - presuppongono che, nelle materie regionali, gli
uffici statali periferici siano trasferiti agli enti indicati dalle
leggi regionali come titolari della relativa funzione.
Nel momento in cui e' intervenuto innovativamente nella materia
della vigilanza sul lavoro, lo Stato avrebbe appunto prevedere questo
passaggio di uffici e funzioni (oltre a dettare il quadro dei
principi fondamentali della materia).
La fondatezza di questa conclusione risulta confermata dalla
considerazione che, nel caso di specie, sarebbe impossibile
rispettare lo schema delineato dalla sent. n. 303 del 2003, non
essendo pensabile che si raggiunga un'intesa fra Stato e regione in
relazione alla minuta e frequente attivita' di controllo.
L'attrazione allo Stato di funzioni amministrative si giustifica in
casi particolari (nei quali, appunto, ha senso la codeterminazione
dell'atto), non certo per l'ordinaria attivita' di vigilanza sul
lavoro.
Per quanto riguarda la parte dell'art. 1, comma 1, che fa
riferimento alla «vigilanza in materia... dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale», occorre rinviare
a quanto gia' detto in narrativa circa l'estensione della materia
«tutela del lavoro», che comprende tutta l'attivita' pubblicistica
funzionale alla difesa della regolarita', stabiliti e sicurezza del
lavoro, e dunque anche quella volta a garantire il rispetto delle
norme civilistiche. Allo Stato spetta determinare i livelli
essenziali e disciplinare le eventuali sanzioni civili (come, ove ve
ne fossero, quelle penali); l'attivita' amministrativa di vigilanza
e' invece oggetto di potesta' concorrente (con possibilita', per lo
Stato, di attivare il potere sostitutivo ex art. 120 Cost. ove ne
ricorrano i presupposti).
Si consideri, inoltre, che la determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni non e' di per se' una «materia», ma un
compito statale che pertiene di regola a materie regionali, come in
campo sanitario, o assistenziale, o scolastico. Ma la competenza
statale si limita a tale compito, mentre la materia rimane quella pur
«incisa» dalle determinazioni statali.
Ne risulta che non esiste una autonoma vigilanza in materia di
«determinazione dei livelli essenziali», ma una funzione di vigilanza
in materia di tutela del lavoro.
Dunque, si conferma la violazione dell'art. 117, comma 3, e
dell'art. 118, commi 1 e 2.
2. - Illegittimita' dell'art. 6, comma 3, primo periodo, per
violazione dell'art. 118, comma 1.
L'art. 6, comma 3, stabilisce che «le funzioni ispettive in
materia di previdenza ed assistenza sociale sono svolte anche dal
personale di vigilanza dell'INPS, dell'INAIL, dell'ENPALS e degli
altri enti per i quali sussiste la contribuzione obbligatoria,
nell'ambito dell'attivita' di verifica del rispetto degli obblighi
previdenziali e contributivi».
La disposizione presuppone che le funzioni ispettive in materia
di previdenza sociale siano svolte dagli organi periferici statali e
dagli organi periferici degli enti previdenziali.
Nonostante che in questo caso la materia «vigilata» appartenga
alla competenza statale, ad avviso della ricorrente regione la norma
viola in ogni caso l'art. 118, comma 1.
Infatti, il principio di sussidiarieta' di cui alla disposizione
costituzionale opera anche in relazione alle materie statali (come
gia' affermato nel ricorso contro la legge delega: v. ultima frase
del motivo n. 3). Per ragioni corrispondenti a quelle esposte al
punto 1, la connessione esistente tra lavoro e previdenza dovrebbe
risolversi, sul piano amministrativo, con l'unificazione delle
funzioni in capo alle strutture degli enti autonomi, restando allo
Stato e agli enti parastatali le funzioni «unitarie».
Se infatti esistono, nelle materie statali di cui all'art. 117,
comma secondo, settori - quali la difesa o la pubblica sicurezza - in
cui per evidenti ragioni lo Stato deve organizzare e conservare un
apparato direttamente e territorialmente operativo, le stesse ragioni
non esistono affatto per il settore della vigilanza sulla previdenza
sociale, nel quale sono invece evidenti le relazioni di accessorieta'
all'organizzazione generale della vigilanza in materia di tutela di
lavoro, che - come sopra illustrato - compete alle regioni.
3. - Illegittimita' degli artt. 2, 3, commi da 1 a 4, 4, 5, commi
da 1 a 3.
Gli artt. 2, 3, 4 e 5 assegnano funzioni di coordinamento a
strutture statali di vario tipo. La legittimita' di queste norme
risulta collegata a quella degli artt. 1 e 6: se queste disposizioni
sono, come la ricorrente Regione ritiene, illegittime, anche le norme
che disciplinano il coordinamento delle funzioni oggetto degli
artt. 1 e 6 risultano affette da illegittimita' «derivata».
In particolare, l'art. 2 prevede l'istituzione, con regolamento
ex art. 17, comma 4-bis, legge n. 400/1988, di «una una direzione
generale con compiti di direzione e coordinanento delle attivita'
ispettive svolte dai soggetti che effettuano vigilanza in materia di
rapporti di lavoro, di livelli essenziali delle pretazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale e di legislazione sociale, compresi gli
enti previdenziali» (comma 1). Il comma 2 prevede, oltre
all'attivita' di coordinamento svolta dalla direzione, l'emanazione
di «direttive» da parte del Ministro, ed il comma 3 prevede riunioni
strumentali all'attivita' direttiva del Ministro stesso.
Tenuto conto delle altre norme del decreto, l'art. 2 prevede
un'attivita' di coordinamento e direzione dell'attivita' di vigilanza
svolta tagli organi periferici dello Stato e degli enti
previdenziali. Dunque, la sua illegittimita' e' conseguente a quella
delle norme che mantengono le funzioni di quegli organi (v. supra).
E' da precisare, peraltro, che, poiche' l'art. 2 richiama
genericamente i «soggetti che effettuano vigilanza», esso potrebbe
essere riferito anche ad organi regionali o degli enti autonomi,
qualora codesta Corte accogliesse le censure di cui sopra: in questo
caso, esso sarebbe illegittimo perche', nelle materie di cui
all'art. 117, commi 3 e 4, non e' piu' ammesso un potere
amministrativo statale di indirizzo e coordinamento (v. la sent.
n. 329/2003: «E' da escludere la permanenza in capo allo Stato del
potere di emanare atti di indirizzo e coordinamento in relazione alla
materia de qua [tutela salute], anche alla luce di quanto
espressamente disposto dall'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno
2003, n. 131...»). In subordine, ove si ravvissassero esigente di
coordinamento fondate sul principio di sussidiuarieta', l'art. 2
sarebbe in ogni caso illegittimo per violazione del principio di
leale collaborazione, perche' non si prevede l'intesa della
Conferenza Stato-regioni per l'esercizio della funzione di
coordinamento.
L'art. 3 prevede un altro organo di coordinamento, la Commissione
centrale di coordinamento dell'attivita' di vigilanza, che va
convocata dal Ministro «qualora si renda opportuno coordinare a
livello nazionale l'attivita' di tutti gli organi impegnati sul
territorio nelle azioni di contrasto del lavoro sommerso e
irregolare, per i profili diversi da quelli di ordine e sicurezza
pubblica di cui al secondo periodo dell'art. 1,... al fine di
individuare gli indirizzi e gli obiettivi strategici, nonche' le
priorita' degli interventi ispettivi» (comma 1). I commi 2 e 3
disciplinano la composizione della Commissione. Il comma 4 dispone
che «alla Commissione centrale di coordinamento dell'attivita' di
vigilanza puo' essere attribuito il compito di definire lo modalita'
di attuazione e di funzionamento della banca dati di cui all'art. 10,
comma 1, e di definire le linee di indirizzo per la realizzazione del
modello unificato di verbale di rilevazione degli illeciti in materia
di lavoro, di previdenza e assistenza obbligatoria ad uso degli
organi di vigilanza, nei cui confronti la direzione generale ai sensi
dell'art. 2, esercita un'attivita' di direzione e coordinamento».
A parte i dubbi su rapporti intercorrenti fra la Direzione
generale e la Commissione centrale, l'art. 3, comma 1, risulta
illegittimo per le ragioni esposte in relazione all'art. 2 (cioe' per
illegittimita' «derivata», se il coordinamento riguarda organi
statali, o per illegittimita' del potere di coordinamento o, in
subordine, della mancata previsione di un'intesa, se esso riguarda
organi regionali); a loro volta, i commi 2 e 3 sono legati al
comma 1, in quanto norme «strumentali».
Quanto al comma 4, esso detta norme collegate a quello di cui
all'art 10, comma 1 e comma 4. La gestione della «banca dati» puo'
effettivamente considerarsi una funzione «unitaria» in materia
regionale, ma il comma 4, prima parte, risulta illegittimo perche'
non prevede l'intesa con la conferenza Stato-regioni, in violazione
del principio di leale collaborazione e della sent. n. 303/2003.
Invece, il comma 4, seconda parte (che prevede il «modello unificato
di verbale di rilevazione degli illeciti») risulta ad avviso della
regione illegittimo per le ragioni esposte in relazione all'art. 2
(cioe' per illegittimita' «derivata», se il modello deve essere usato
da organi statali o parastatali, o per l'illegittimita' della
definizione di un modello unico che vincola gli organi regionali o,
in subordine, della mancata previsione di un'intesa nel momento della
definizione delle «linee di indirizzo» di cui al comma 4).
Infine, si segnala un particolare profilo di illegittimita'
dell'art. 3, comma 2. Esso, infatti, prevede fra i membri della
Commissione il Coordinatore nazionale delle aziende sanitarie locali.
Si tratta di una figura inedita all'interno del nostro ordinamento
giuridico, che, a quanto si capisce, dovrebbe svolgere una funzione
di coordinamento in materia regionale (tutela della salute). La legge
delega, tuttavia, non attribuiva al Governo il potere di creare un
tale organo, in una materia (quella sanitaria) che oltretutto non e'
oggetto della disciplina in questione. L'art. 3, comma 2, dunque,
prevede al di fuori della delega un organo statale con funzioni di
coordinamento di enti pararegionali con conseguente violazione degli
att. 76 e 117, comma 3, Cost.
Inoltre, e' evidente che eventuali esigenze di coordinamento del
sistema sanitario non possono essere costituzionalmente soddisfatte
con una simile figura di «coordinatore», del tutto avulsa dal sistema
degli organi rappresentativi responsabili ad ogni livello
dell'attivita' amministrativa.
L'art. 4 prevede un'attivita' di coordinamento a livello
regionale, ad opera delle direzioni regionali del lavoro (comma 1) e
delle commissioni regionali di coordinamento dall'attivita' di
vigilanza (comma 2). Esso e' affetto da iilegittimita' «derivata» se
il coordinamento riguarda organi statali o parastatali; se esso
riguarda organi non statali, l'illegittimita' e' ancora piu' evidente
che nel caso degli artt. 2 e 3, perche' qui manca addirittura il
carattere unitario della funzione. Non si vede perche' un
coordinamento svolto a livello regionale deve essere svolto da organi
statali. Nelle materie regionali spetta alla legge regionale sia
allocare le funzioni di concreta vigilanza sia allocare le funzioni
di coordinamento. Dunque, risultano violati gli artt. 117, comma 3, e
118, commi 1 e 2, Cost. In subordine, l'art. 4, commi 1 e 2, e'
illegittimo per mancata previsione di un'intesa con la regione
interessata. L'illegittimita' del comma 2 «trascina» con se' quella
dei commi 3 e 4, che riguardano la composizione della commissione
regionale di coordinamento.
Si segnala, nel comma 3, la previsione del Coordinatore regionale
delle aziende sanitarie locali, che risulta illegittima per i
medesimi motivi esposti a proposito del Coordinatore nazionale delle
aziende sanitarie locali, ed inoltre per ragioni corrispondenti a
quelle appena esposte sul generale coordinamento regionale.
Il comma 5, infine, prevede un'attivita' informativa della
Commissione regionale funzionale all'esercizio del potere di
direttiva del Ministro del lavoro: per l'illegittimita' di questa
norma si puo', dunque, rinviare a quanto detto in relazione all'art.
2, commi 2 e 3, che prevedono questo potere di direttiva.
Infine, l'art. 5 si occupa del Coordinamento provinciale
dell'attivita' di vigilanza. Il comma 1 prevede il coordinamento da
parte delle direzioni provinciali del lavoro (che, a dire il vero,
dovrebbero confluire negli Uffici territoriali del Governo ex artt.
11 e 47, comma 2, d.lgs. n. 300/99 e art. 1 comma 2, lettera e)
d.P.R. n. 287/2001). Il comma 2 stabilisce che, «qualora si renda
opportuno coordinare, a livello provinciale, l'attivita' di tutti gli
organi impegnati nell'azione di contrasto del lavoro irregolare, i
CLES» (Comitati per il lavoro e l'emersione del sommerso, previsti
dal d.l. n. 210/2002, conv. in legge n. 266/2002) integrati da alcuni
soggetti, «forniscono, in conformita' con gli indirizzi espressi
dalla Commissione centrale di cui all'art. 3, indicazioni utili ai
fini dell'orientamento dell'attivita' di vigilanza». Il comma 3
prevede poi che «il CLES redige, con periodicita' trimestrale una
relazione sullo stato del mercato del lavoro e sui risultati della
attivita' ispettiva nella provincia di competenza», e al termine di
ogni anno «redige una relazione annuale di sintesi».
L'art. 5, comma 1, viola gli artt. 117, comma 3, 118, commi 1 e
2, per le stessa ragioni esposte in relazione all'art. 4, commi 1 e
2, ulteriolmente aggravate dal carattere appunto provinciale del
coordinamento.
Quanto ai commi 2 e 3, essi affidano funzioni amministrative
nella materia della tutela del lavoro e le affidano ad un organo
locale statale, come costringono a pensare non solo la prevenienza
della maggior parte dei suoi elementi, ma anche la sua istituzione
presso un organo statale ed il potere di nomina affidato ad un organo
statale (il prefetto; v. il nuovo art. 1-bis, legge n. 383/2001),
conseguente violazione degli artt. 117, comma 3, e 118, commi 1 e 2,
Cost.
4 - Illegittimita' dell'art. 7.
L'art. 7 indica i vari compiti del personale ispettivo. Come per
altre disposizioni del decreto, la sua illegittimita' e' strettamente
collegata a quella dell'art. 6, comma 1, e si puo' dunque rinviare al
punto 1. L'llegittimita' e' confermata anche dal fatto che, se si
giustificasse una funzione statale in materia regionale, sarebbe
necessaria un'intesa con la regione, ma questo schema non e'
praticabile per la minuta e frequente attivita' ispettiva.
Se poi l'art. 7 venisse riferito a ispettori non statali (a
seguito della eventuale declaratoria di illegittimita' delle
disposizioni sulla competenza statale), esso sarebbe illegittimo in
quanto recante norme di dettaglio.
5 - Illegittimita' dell'art. 8.
L'art. 8 stabilisce che «le direzioni regionali e provinciali del
lavoro organizzano, mediamite il proprio personale ispettivo,
eventualmente anche in concorso con i CLES o con le commissioni
regionali e provinciali per la emersione del lavoro non regolare,
attivita' di prevenzione e promozione, su questioni di ordine
generale, presso i datori di lavoro, finalizzata al rispetto della
normativa in materia lavoristica e previdenziale, con particolare
riferimcnto alle questioni di maggior rilevanza sociale, nonche' alle
novita' legislative e interpretative» (comma 1); il comma 2 completa
la disciplina.
Il comma 3, poi, dispone che «la direzione generale e le
direzioni regionali e provinciali del lavoro, anche d'intesa con gli
enti previdenziali, propongono a enti, datori di lavoro e
associazioni, attivita' di informazione ed aggiornamento, da
svolgersi, a cura e spese di tali ultimi soggetti, mediante stipula
di apposita convenzione», aggiungendo che «lo schema di convenzione
e' definito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore del presente decreto».
I primi due commi disciplinano attivita' che rientrano nella
materia «tutela del lavoro» e, assegnando funzioni amministrative ad
organi statali periferici, violano gli artt. 117, comma 3, e 119,
commi 1 e 2, Cost. Il comma 3 sembra attenere piu' alla formazione
che alla tutela del lavoro e, dunque, ricade in una materia di
potesta' regionale piena, con conseguente violazione - oltre che
dell'art. 118 - dell'art. 117, comma 4 (in subordine, del comma 3).
Se, in denegata ipotesi, la prima parte del comma 3 fosse considerata
legittima, la seconda parte sarebbe pur sempre illegittima per
violazione del principio di leale collaborazione, mancando qualsiasi
coinvolgimento regionale per la definizione dello schema di
convenzione.
Il comma 4 prevede che «la direzione provinciale del lavoro,
sentiti gli organismi preposti, sulla base di direttive del Ministro
del lavoro e delle politiche sociali, fornisce i criteri volti a
uniformare l'azione dei vari soggetti abilitati alla certificazione
dei rapporti di lavoro ai sensi degli articoli 75 e seguenti, del
decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276». Anche tale norma
rientra nella materia tutela del lavoro (alla quale e' funzionale la
certificazione dei rapporti) e, attribuendo funzioni ammistrative ad
organi statali periferici, viola gli artt. 117, comma 3, e 118,
comuni 1 e 2; ne' pare giustificato il potere ministeriale di
direttiva, non essendo piu' ammessa la funzione di indirizzo e
coordinamento (su cio' v. supra), e in ogni caso non essendone
neppure prima della riforma ammesso l'esercizio con atto meramente
ministeriale.
Se, in denegata ipotesi, codesta Corte ritenesse legittima la
previsione delle direttive ministeriali (da rivolgere, pero', ad
organi non statali), il comma 4 sarebbe pur sempre lesivo perche' le
direttive ministeriali sono elaborate senza coinvolgimento regionale,
in violazione del principio di leale collaborazione.
Il comma 5 affida le attivita' previste dai primi 3 commi agli
enti prevideuziali: per esso valgono le censure esposte in relazione
ai primi 3 commi, essendo indubbio che in materia de qua e' sempre
tutela del lavoro e formazione, e non previdenza sociale. In ogni
caso, poi, come gia' esposto, il principio di sussidiarieta' vale
anche per le materie statali.
6 - Illegittimita' dell'art 10, commmi 1, ultima frase, 3 e 4.
L'art. 10, comma 1, dispone che «al fine di razionalizzare gli
interventi ispettivi di tutti gli organi di vigilanza sul territorio,
e' istituita, ... nell'ambito delle strutture del Ministero del
lavoro e dalle politiche sociali ed avvalendosi delle risorse del
Ministero stesso, una banca dati telematica che raccoglie le
informazioni concernenti i datori di lavoro ispezionati, nonche'
informazioni o approfondimenti sulle dinamiche del mercato del lavoro
e su tutte le materie oggetto di aggiornamento e di formazione
permanente del personale ispettivo»; si precisa che «alla banca dati,
che costituisce una sezione riservata dalla borsa continua nazionale
del lavoro di cui all'art. 15 del decreto legislativo 10 settembre
2003, n. 276, hanno accesso esclusivamente le amministrazioni che
effettuano vigilanza ai sensi del presente decreto», e si aggiunge
che «con successivo decreto del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, ... sentito il Ministro per l'innovazione e le tecnologie,
previo parere del Centro nazionale per l'informatica nella pubblica
amministrazione, vengono definite le modalita' di attuazione e di
funzionamento della predetta banca dati».
La ricorrente regione non contesta l'esistenza di una banca dati
centrale; naturalmente, qualora risultasse, come la ricorrente
regione ritiene, fondata la competenza regionale in tema di
vigilanza, la banca dati dovrebbe essere considerata accessibile
anche alle regioni. Sia consentito osservare, anzi, che sarebbe
paradossale che l'ente cosituzionalmente competente in materia di
tutela del lavoro non possa accedere alla banca dati centrale.
E' pero' illegittimo l'ultimo periodo del comma 1, in quanto non
prevede un'intesa dalla Conferenza Stato-regioni sul d.m. che regola
la banca dati, pur incidendo questa su una materia di competenza
regionale ne risulta violato il principio di leale collaborazione.
Sono poi illegittimi i commi 3 e 4. Il comma 3 attribuisce
funzioni amministrative particolari alle direzioni regionali del
lavoro, con conseguente violazione degli artt. 3, comma 3, e 118,
commi 1 e 2, Cost.
Il comma 4 stabilisce che, «con decreto del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali, ... di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, sentiti i direttori generali di INPS e
INAIL, e' adottato un modello unificato di verbale di rilevazione
degli illeciti ad uso degli organi dl vigilanza in materia di lavoro
e di previdenza e assistenza obbligatoria nei cui confronti la
direzione generale, ai sensi dall'art. 2, esercita un'attivita' di
direzione e coordinamento».
La illegittimita' di questa norma e' collegata a quella delle
norme attributive delle funzioni di vigilanza. Qualora, in denegata
ipotesi, risultasse legittima la previsione del modello unificato
anche nella prospettiva di una competenza regionale alla vigilanza,
il comma 4 sarebbe illegittimo per la mancanza di un'intesa con la
Conferenza Stato-regioni, cioe' per violazione del principio di leale
collaborazione.
7 - Illegittimita' dell'art. 11, commi 1, 4, secondo periodo, 5 e
6.
I commi 1 e 6 dell'art. 11 attribuiscono competenza in materia di
conciliazione amministrativa ad un funzionario della direzione
provinciale del lavoro (su istanza delle parti - comma 1 - o su
iniziativa dell'ispettore stesso: comma 6). Il comma 4, secondo
periodo, dispone che «al fine di verificare l'avvenuto versamento dei
contributi previdenziali e assicurativi» (a seguito della
conciliazione), «le direzioni provinciali del lavoro trasmettono agli
enti previdenziali interessati la relativa documentazione»; il comma
5 aggiunge che, «nella ipotesi di mancato accordo ovvero di assenza
di una o di entrambe le parti convocate, attestata da apposito
verbale, la direzione provinciale del lavoro da' seguito agli
accertamenti ispettivi».
Anche queste norme sono affette da illegittimita' «derivata», nel
senso che la loro illegittimita' «segue» quella delle norme che
mantengono agli organi statali periferici la competenza in materia di
vigilanza.
Ne' si potrebbe dire che la competenza a svolgere la
conciliazione amministrativa dovrebbe comunque spettare allo Stato,
anche se la vigilanza spettasse alle regioni: su questo punto ci si
e' gia' soffermati nel punto 2 del ricorso n. 43/2003, riguardante
l'art. 1, comma 2, lettera c), legge n. 30/2003, che prevedeva il
«mantenimeto da parte dello Stato delle fuzioni amministrative
relative alla conciliazione delle controversie di lavoro individuali
e plurime». In quella sede si e' osservato che «la riserva statale
della disciplina e dell'esercizio di funzioni amministrative
tipicamente legate al territorio, come quelle qui in questione, non
potrebbe giustificarsi attraverso l'attribuzione che la Cosituzione
fa al solo Stato della materia «giurisdizione e norme processuali»
(art. 117, secondo comma, lettera l). Infatti, si e' ancora
osservato, «e' la stessa disposizione impugnata a precisare che si
tratta qui delle funzioni amministrative relative alla conciliazione
delle controversie di lavoro: siamo dunque palesemente e per espressa
ammissione al di fuori della materia della giurisdizione affidata
allo Stato». Senz'altro ci sono «nessi e raccordi fra la
conciliazione in via amministrativa e la successiva eventuale fase
giurisdizionale: come ad esempio quando la legge sancisce la
obbligatorieta' di una previa fase di conciliazione amministrativa, o
quando si regoli il rapporto tra questa e la decorrenza dei termini
proccesuali»: a ben vedere, «si tratta in entrambi i casi di norme
destinate ad essere applicate nel successivo eventuale processo, e
dunque di norme processuali riservate allo Stato». Questa
interferenza «certamente legittima lo Stato a dettare, quali principi
fondamentali di materia, i lineamenti di base della conciliazione
quale fase necessariamente previa a1 successivo eventuale ricorso
giurisdizionale», ma «all'interno di quel quadro la disciplina
propria della conciliazione amministrativa considerata in se stessa,
e la sua concreta gestione, non partecipano affatto del carattere
giuridizionale, e dunque fanno a pieno titolo parte della materia
regionale tutela del lavoro».
Per gli stessi argomenti si puo' ribadire che l'art. 11, comm1 1,
4, secondo periodo, 5 e 6, d.lgs. n. 124/2004 viola gli artt. 117,
comma 3, e 118, commi 1 e 2.
8 - Illegittimita' dell'art. 12, commi 1, 2, primo periodo, 3, in
parte qua, e 4.
L'art. 12 commi 1 e 2, primo periodo, assegna funzioni
amministrative (diffida e tentativo di conciliazione) alle direzioni
provinciali del lavoro, a tutela dei crediti patrimonali dei
lavoratori. Rientrando le norme nella materia tutela del lavoro,
risultano violati gli artt. 117, comma 3, e 118, commi 1 e 2, Cost.,
per le ragioni esposte nel punto 1. Per le medesime ragioni e'
illegittimo il comma 3, la' dove prevede una funzione amministrativa
del direttore della direzione provinciale del lavoro.
Il comma 4, poi, stabilisce che contro la diffida «e' ammesso
ricorso davanti al Comitato regionale per i rapporti di lavoro di cui
all'art. 17»: anche questa norma assegna ad un organo statale
periferico una funzione amministrativa e la regola nel dettaglio,
violando i parametri appena menzionati.
9 - Illegittimita' dell'art. 14, comma 2, prima frase.
L'art. 14 stabilisce che «le disposizioni impartite dal personale
ispettivo in materia di lavoro e di legislazione sociale, nell'ambito
dell'applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole
disposizioni di legge un apprezzamento discrezionale, sono esecutive»
(comma 1), e che «contro le disposizioni dl cui al comma 1 e' ammesso
ricorso, entro quindici giorni, al direttore della direzione
provinciale del lavoro» (comma 2).
L'illegittimita' di quest'ultima norma «segue» quella delle norme
che mantengono la competenza sulla vigilanza al personale statale.
Qualora il «personale ispettivo» non sia statale, l'art. 14, comma 2,
prima frase sarebbe illegittimo in quanto assegna ad un organo
statale periferico la competenza a decidere i ricorsi amministrativi
in materia regionale, in violazione degli artt. 117, comma 3, e 118,
commi 1 o 2, per le ragioni esposte nel punto 1.
10 - Illegittimita' dell'art 15, comma 1, primo periodo.
L'art. 15, comma 1, statuisce che, «con riferimento alle leggi in
materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione e'
affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro,
qualora il personale ispettivo rilevi violazioni di carattere penale,
punite con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero con
la sola ammenda, impartisce al contravventore una apposita
prescrizione obbligatoria al sensi degli articoli 20 e 21 del decreto
legislativo 19 dicembre 1994, n. 758»: il primo periodo di quista
disposizione e' illegittimo perche' presuppone e conferma la
competenza degli organi statali periferici sulla vigilanza in materia
di lavoro, per le ragioni esposte nel punto 1.
11 - Illegittimita' dell'art. 16, commi 1 e 2.
L'art. 16, comma 1, prevede la possibilita' di un ricorso
amministrativo avanti alle direzioni regionali del lavoro, contro le
ordinanze delle direzioni provinciali; il comma 2 regola la
procedura. Anche in questo caso, l'illegittimita' dei commi 1 e 2
«segue» quella delle norme attributive delle funzioni di vigilanza
alle direzioni provinciali: si puo' dunque rinviare al punto 1.
12 - Illegittimita' dell'art. 17, commi 1 e 2.
L'art. 17, comma 1, stabilisce che «presso la direzione regionale
del lavoro e' costituito il Comitato regionale per i rapporti di
lavoro, composto dal direttore della direzione regionale del lavoro,
che la presiede, dal direttore regionale dell'INPS e dal direttore
regionale dell'INAIL»; il comma 2 dispone che «tutti i ricorsi
avverso gli atti di accertamento e le ordinanze-ingiunzioni delle
direzioni provinciali del lavoro e avverso i verbali di accertamento
degli istituti previdenziali e assicurativi che abbiano ad oggetto la
sussistenza o la qualificazione dei rapporti di lavoro, vanno
inoltrati alla direzione regionale del lavoro e sono decisi, con
provvedimento motivato, dal Comitato di cui al comma 1», regolando
poi la relativa procedura.
La materia in questione e' sempre la vigilanza sul lavoro e,
quindi, la «tutela del lavoro», per le ragioni esposte nella parte in
Fatto. Dunque, i commi 1 e 2 sono illegittimi, perche' mantengono e
assegnano sanzioni amministrative ad organi statali periferici in
materia regionale, violando gli artt. 117, comma 3, e 118, commi 1 e
2, per i motivi illustrati nel punto 1.
13 - Illegittimita' dell'art. 18.
L'art. 18 si occupa della formazione del personale ispettivo,
statale e parastatale. La norma e' affetta da illegittimita'
«derivata» dall'illegittimita' delle norme che mantengono la
competenza degli organi periferici statali.
La prima parte della norma potrebbe anche essere riferita a
personale ispettivo regionale, ma essa sarebbe pur sempre illegittima
perche' interviene in materia di competenza regionale piena
(formazione professionale), in violazione dell'art. 117, comma 4.
P. Q. M.
Chiede voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il
ricorso, dichiarando l'illegittimita' delle seguenti disposizioni del
d.lgs. n. 124 del 2004: art. 1, comma 1; art. 2; art. 3, commi da 1 a
4; art. 4; art 5, commmi da 1 a 3; art. 6, commi 1 e 3; art. 7; art.
8; art. 10, commi 1, 3 e 4; art. 11, commi 1, 4, 5 e 6; art. 12; art.
14, comma 2; art. 15, comma 1; art. 16, commi 1 e 2; art. 17, commi 1
e 2; art. 18, nelle parti, nei termini e sotto i profili esposti nel
presente ricorso.
Padova-Roma, addi' 8 luglio 2004
Prof. avv. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi