Ricorso n. 68 del 19 giugno 2015 (Presidente del Consiglio dei ministri)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 19 giugno 2015 (del Presidente del Consiglio dei
ministri).
(GU n. 34 del 2015-08-26)
Per la Presidenza del Consiglio dei Ministri (C.F. …),
in persona del Presidente p.t., ex lege rappresentato e difeso
dall'Avvocatura Generale dello Stato (C.F. …) presso i cui
uffici domicilia in Roma, Via dei Portoghesi nr. 12, fax …
pec … ,
Nei confronti della Regione Umbria, in persona del Presidente
della Giunta Regionale pro tempore, per la dichiarazione di
illegittimita' costituzionale della Legge n. 11 del 9 aprile 2015
pubblicata sul BUR n. 21 del 15 aprile 2015, recante: "Testo unico in
materia di sanita' e servizi sociali".
La legge della regione Umbria 9 aprile 2015, n. 11, recante
"Testo unico in materia di Sanita' e Servizi sociali", presenta
profili d'illegittimita' costituzionale con riferimento all'art. 26,
comma 1 (in relazione all'articolo 117, terzo comma, della
Costituzione), all'art. 33 ( in relazione all'art. 97 e all'articolo
117, terzo comma, della Costituzione), all'art. 153 (in relazione
all'art. 97 e all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione),
all'art. 154 comma 2 (in relazione all'articolo 117, terzo comma,
della Costituzione), all'art. 211 (in relazione all'articolo 117,
terzo comma, della Costituzione), all'art. 215, commi 3 e 5 (in
relazione all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione),
all'art. 219, comma 2 (in relazione all'articolo 117, terzo comma,
della Costituzione), all'art. 225 (in relazione all'articolo 117,
terzo comma, della Costituzione), e all'art. 239 (in relazione
all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione).
La legge regionale in esame, secondo quanto previsto dall'art. 1,
riunisce in un testo unico le disposizioni delle legge regionali in
materia di Sanita' e Servizi sociali, ai sensi dell'articolo 40 dello
Statuto regionale e in attuazione della legge regionale 16 settembre
2011, n. 8 (Semplificazione amministrativa e normativa
dell'ordinamento regionale e degli Enti locali territoriali).
Al riguardo occorre premettere che:
a) l'art. 40 dello Statuto dell'Umbria prevede che:
"1. L'Assemblea legislativa autorizza con legge la Giunta a
redigere, entro un tempo stabilito, progetti di testi unici di
riordino e di semplificazione delle disposizioni riguardanti uno o
piu' settori omogenei. La legge determina l'ambito del riordino e
della semplificazione e fissa i criteri direttivi, nonche' gli
adempimenti procedurali a cui la Giunta si deve conformare".
2. Nel termine assegnato dalla legge la Giunta presenta
all'Assemblea il progetto di testo unico delle disposizioni di legge.
Il progetto e' sottoposto all'approvazione finale dell'Assemblea con
sole dichiarazioni di voto.
3. Le proposte di legge tendenti a modificare gli atti
legislativi oggetto di riordino e di semplificazione e presentate nel
periodo prefissato per la predisposizione del progetto di testo
unico, sono discusse ed approvate solo sotto forma di proposte di
modifica della legge di autorizzazione.
4. Le disposizioni contenute nei testi unici possono essere
abrogate solo con previsione espressa; la approvazione di deroghe, di
modifiche e di integrazioni deve essere testuale e prevedere, previa
verifica del coordinamento formale, l'inserimento delle nuove norme
nel testo unico.
5. Nelle materie oggetto del testo unico legislativo, la Giunta,
nel rispetto dei criteri di riordino e semplificazione fissati dalla
legge e acquisito il parere favorevole della Commissione competente,
approva il testo unico delle disposizioni regolamentari di esecuzione
di quelle autorizzate e provvede alla redazione di un testo unico
compilativo, con l'indicazione per ogni disposizione della relativa
fonte, legislativa o regolamentare"
b) Sulla legittimita' di detta norma statutaria si e' pronunciata
la Corte Costituzionale con la sentenza n.378/2004, affermando che
"l'articolo in contestazione prevede che il Consiglio conferisca alla
Giunta un semplice incarico di presentare allo stesso organo
legislativo regionale, entro termini perentori, un 'progetto di testo
unico delle disposizioni di legge' gia' esistenti in 'uno o piu'
settori omogenei', progetto che poi il Consiglio dovra' approvare con
apposita votazione, seppure dopo un dibattito molto semplificato" e
aggiunge inoltre che "Ben puo' uno statuto regionale prevedere uno
speciale procedimento legislativo diretto soltanto ad operare sulla
legislazione regionale vigente, a meri fini "di riordino e di
semplificazione". La stessa previsione di cui al terzo comma
dell'art. 40, relativa al fatto che eventuali proposte di revisione
sostanziale delle leggi oggetto del procedimento per la formazione
del testo unico, che siano presentate nel periodo previsto per
l'espletamento dell'incarico dato alla Giunta, debbano
necessariamente tradursi in apposita modifica della legge di
autorizzazione alla redazione del testo unico, sta a confermare che
ogni modifica sostanziale della legislazione da riunificare spetta
alla legge regionale e che quindi la Giunta nella sua opera di
predisposizione del testo unico non puo' andare oltre al mero
riordino e alla semplificazione di quanto deliberato in sede
legislativa dal Consiglio regionale.
c) E' fuor di dubbio dunque che la disposizione statutaria, e la
richiamata sentenza della Corte Costituzionale, pur consentendo una
particolare procedura per la redazione di testi unici a fini di
riordino e semplificazione, presuppongono che le norme oggetto della
raccolta siano costituzionalmente legittime e quindi rispettose sia
del corretto assetto di competenze tra Stato e Regioni, sia della
legislazione comunitaria che, ai sensi dell'articolo 117, primo
comma, della Costituzione, vincola l'esercizio della potesta'
legislativa anche delle Regioni.
d) Peraltro anche la legge regionale n. 8 del 2011
(Semplificazione amministrativa e normativa dell'ordinamento
regionale e degli Enti locali territoriali), richiamata dall'art. 1
della legge regionale in esame, che autorizza la Giunta regionale a
presentare al Consiglio regionale un progetto di testo unico, prevede
espressamente, all'art. 6, che nelle materie di legislazione
concorrente la Giunta regionale si debba attenere al rispetto dei
principi fondamentali contenuti nella legislazione statale di
settore.
Pertanto il Testo Unico regionale, approvato dall'Assemblea
regionale, ai sensi della richiamata norma Statutaria e quindi con
apposita votazione, seppure dopo un dibattito molto semplificato,
soggiace al controllo di legittimita' svolto dal Governo
nell'esercizio del potere che l'art. 127, primo comma, Cost., gli
riconosce, di impugnare di fronte alla Corte Costituzionale le leggi
regionali.
Sulla scorta di tali considerazioni, numerose norme contenute
nella legge regionale in esame, recante "Testo unico in materia di
Sanita' e Servizi sociali", ancorche' riproduttive di norme regionali
contenute in precedenti leggi regionali, risultano impugnabili sia
alla luce del mutato quadro normativo di riferimento, sia perche',
come affermato da consolidata giurisprudenza costituzionale, l'omessa
impugnazione, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, di
precedenti norme analoghe "non ha alcun rilievo, dato che l'istituto
dell'acquiescenza non e' applicabile nel giudizio di legittimita'
costituzionale in via principale" (cfr. C.Cost. sent. n.139/2013).
In particolare presentano profili di illegittimita'
costituzionale, per i motivi di seguito specificati, le seguenti
disposizioni:
1) L'articolo 26, comma 1, della legge regionale prevede che "Il
Direttore generale delle aziende sanitarie regionali e' nominato dal
Presidente della Giunta regionale, su conforme deliberazione della
Giunta stessa, tra soggetti che non abbiano compiuto il
sessantacinquesimo anno di eta', [....]".
Tale disposizione si pone in contrasto con i principi
fondamentali in materia di tutela della salute di cui all'art. 3-bis,
comma 3, del decreto legislativo n.502/1992, che, nel prevedere le
modalita' ed i requisiti di nomina del direttore generale, non
stabilisce alcun limite di eta' per il conferimento dell' incarico.
Pertanto l'art. 26, comma 1, della legge regionale in esame,
nell'introdurre, ai fini della nomina del direttore generale, un
ulteriore requisito rispetto a quelli previsti dalla disciplina del
richiamato articolo 3-bis, comma 3, del d.lgs. n. 502/1992, da
considerarsi quale principio fondamentale della legislazione statale
in materia di tutela della salute, viola l'articolo 117, terzo comma,
della Costituzione.
2) L'articolo 33 della legge regionale in esame, nel disciplinare
la composizione e i compiti del collegio sindacale presso le aziende
sanitarie regionali e presso le aziende ospedaliero universitarie, al
comma 3, prevede che " [....] Il Collegio sindacale e' composto da
cinque membri, designati uno dalla regione, uno dal Ministro
dell'economia e delle Finanze, uno dal Ministero della salute, uno
dal Ministro dell'Istruzione, dell'Universita' e della Ricerca e uno
dall'Universita' degli Studi di Perugia".
Tale disposizione regionale si pone in contrasto con i principi
fondameritali in materia di tutela della salute di cui al d. lgs. n.
502/1992. Infatti l'art. 3-ter, comma 3, di detto decreto, come
modificato dall'articolo 1, comma 574, della legge n. 190/2014 (legge
di stabilita' 2015), stabilisce che: "Il collegio sindacale dura in
carica tre anni ed e' composto da tre membri, di cui uno designato
dal presidente della giunta regionale, uno dal Ministro dell'economia
e delle finanze e uno dal Ministro della salute [...]".
La disposizione regionale in esame, altresi', contrasta l'art. 2,
comma 1, lett. g), del d.l. n. 174/2012 che, nell'ambito delle norme
di riduzione dei costi della politica, prevede che venga data
attuazione alle regole stabilite dall'art. 6, comma 5, del d.l. n.
78/2010 riguardanti la riduzione dei componenti degli organi di
amministrazione e controllo.
L'articolo 33, comma 3, della legge regionale in esame, pertanto,
prevedendo una composizione del collegio sindacale delle aziende
ospedaliero universitarie composta da cinque membri, e quindi piu'
ampia rispetto alla composizione prevista dalle suddette disposizioni
statali, viola i principi fondamentali della legislazione statale
recati dall'articolo 117, terzo comma, della Costituzione sia in
materia di tutela della salute, sia in materia di coordinamento di
finanza pubblica.
Occorre, altresi', considerare che la legge di stabilita' 2015,
sopra citata, ha dato piena attuazione alle disposizioni del nuovo
Patto della Salute 20142016 di cui all'Intesa stipulata in sede di
Conferenza Stato-Regioni, nella seduta del 10 luglio 2014, ai sensi
dell'articolo 8, comma 6, della legge n. 131/2003.
Con specifico riguardo alla materia in questione, la predetta
intesa, infatti, all'articolo 13, rubricato "controlli", ha disposto,
al comma 1, che "in linea con quanto previsto dall'articolo 6, comma
5, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ed al fine di
rafforzare il ruolo dei collegi sindacali delle aziende sanitarie e
garantirne una composizione coerente con le disposizioni del presente
Patto, Governo e Regioni convengono che detti collegi siano composti
da tre componenti, di cui uno designato dal Presidente della giunta
regionale, uno dal Ministro dell'economia e delle finanze ed uno dal
Ministro della salute".
3) L'articolo 153 della legge regionale in esame, al comma 1,
prevede l'istituzione, presso la Giunta Regionale, della Consulta
tecnico-scientifica per il sistema regionale del sangue, alla quale
e' affidato, in particolare, il compito di elaborare: a) i programmi
promozionali da attivarsi attraverso i mass-media; b) gli interventi
di educazione sanitaria diretti a particolari fasce di popolazione;
c) le proposte dirette alla migliore tutela dei donatori; d) le
proposte concernenti indicazioni per l'aggiornamento degli operatori
sul piu' razionale impiego delle risorse trasfusionali.
Il comma 3 del medesimo articolo disciplina la composizione della
Consulta, prevedendo che alla stessa partecipano: a) l'assessore
regionale alla sanita' o suo delegato, che la presiede; b) i
responsabili dei centri trasfusionali, presenti sul territorio
regionale; c) cinque esperti designati dalle associazioni dei
donatori volontari del sangue individuate con atto della Giunta
regionale sulla base della rispettiva rappresentativita'; d) un
funzionario della Direzione regionale competente della Giunta
regionale, e da questa designato.
La predetta disposizione regionale si pone in contrasto con i
principi fondamentali in materia di tutela della salute di cui alla
legge 21 ottobre 2005, n. 219, recante "principi generali per
l'organizzazione delle attivita' trasfusionali", e, in particolare,
con l'art. 6, comma 1, lettera c), di detta legge n. 219/2005, che
affida tutte le funzioni di coordinamento della rete trasfusionale
regionale alle Strutture regionali di coordinamento (SRC), da
individuarsi, in base al medesimo articolo 6, comma 1, mediante
appositi accordi da stipularsi in sede di Conferenza Stato-Regioni.
A tale previsione e' stata attuazione con l'Accordo Stato Regioni
del 13 ottobre 2011, il quale definisce la Struttura regionale di
coordinamento (SRC), prevedendo quanto segue: "La Struttura regionale
di coordinamento (SRC) e' una struttura tecnico organizzativa della
Regione/Provincia Autonoma che garantisce lo svolgimento delle
attivita' di supporto alla programmazione regionale in materia di
attivita' trasfusionali e di coordinamento e controllo
tecnico-scientifico della rete trasfusionale regionale, in sinergia
con il Centro Nazionale Sangue". Esso, inoltre, affida alla SRC le
"attivita' di coordinamento del sistema sangue regionale in tutti gli
ambiti definiti dalla normativa vigente in materia di attivita'
trasfusionali, al fine di garantire il costante perseguimento degli
obiettivi di sistema, rendere omogenei i livelli di qualita',
sicurezza, standardizzazione e contribuire al perseguimento
dell'appropriatezza in medicina trasfusionale su tutto il territorio
della Regione/Provincia Autonoma".
La Regione, tra l'altro, con delibera della Giunta Regionale n.
1767 del 27/12/2012, ha gia' istituito la SRC, nel rispetto della
richiamata normativa statale.
Pertanto, l'art. 153, della legge regionale in esame, affidando
alla richiamata Consulta tecnico-scientifica le funzioni che la
citata normativa nazionale attribuisce alla Struttura regionale di
coordinamento, contrasta con la medesima normativa statale e viola
l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in materia di tutela
della salute.
La medesima disposizione regionale in esame, inoltre, determina
una duplicazione di organi e competenze, pregiudicando l'efficacia
dell'attivita' di coordinamento, che, invece, in un settore delicato
come quello delle attivita' trasfusionali, risulta di centrale
importanza e, pertanto, viola il principio di buon andamento della
P.A. di cui all'art. 97 della Costituzione. L'art. 153 della legge
regionale contrasta, altresi', con i principi di coordinamento di
finanza pubblica recati dall'art. 6 del d.l. n. 78/2010 ai sensi del
quale e' prevista una riduzione dei costi degli apparati
amministrativi e, pertanto viola l'art. 117, terzo comma, Cost., in
materia di coordinamento di finanza pubblica.
4) L'articolo 154, comma 2, della legge regionale in esame
prevede che "[....] la Regione eroga contributi all'Associazione
Volontari Italiani del Sangue (AVIS) regionale e alle altre
associazioni esistenti e costituite nella Regione, ai sensi
dell'articolo 7 della legge 21 ottobre 2005, n. 219 (Nuova disciplina
delle attivita' trasfusionali e della produzione nazionale degli
emoderivati)". Il comma 4 del medesimo articolo aggiunge che " la
Giunta-regionale, con proprio atto, stabilisce i criteri per
l'erogazione dei contributi di cui al comma 2. I contributi sono
erogati dalla Giunta stessa con proprio atto entro il 31 gennaio di
ogni anno, sulla base di idoneo programma di attivita' da parte dei
soggetti di cui al comma 2, da presentare entro il 30 novembre
dell'anno precedente".
Le suddette disposizioni regionali si pongono in contrasto con i
principi fondamentali in materia di tutela della salute di cui alla
legge 21 ottobre 2005, n. 219, recante "principi generali per
l'organizzazione delle attivita' trasfusionali". In particolare
l'art. 6, comma 1, lett. b), stabilisce che con apposito accordo, da
sancirsi ai sensi degli articoli 2 e 4 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n.281, venga adottato uno schema tipo per la stipula di
convenzioni con le Associazioni e Federazioni di donatori di sangue,
per permettere la partecipazione delle stesse alle attivita'
trasfusionali. Si prevede inoltre che tale schema tipo individua
anche le tariffe di rimborso delle attivita' associative uniformi su
tutto il territorio nazionale.
A tal riguardo, occorre osservare che l'accordo in sede di
Conferenza Stato-Regioni del 20 marzo 2008 ha dato attuazione alla
suddetta disposizione di legge, nel pieno rispetto del principio di
leale collaborazione. L'articolo 9 di tal accordo, rubricato
"rapporti economici", dispone, al comma 1, che "per lo svolgimento
dell'attivita' effettuate dalle Associazioni e Federazioni di
donatori, in base al presente schema di convenzione, le regioni e le
province autonome, garantiscono il rimborso dei costi della attivita'
associative nonche' della eventuale attivita' di raccolta, come da
allegato "A", parte integrante del presente accordo, ritenuti come
livello minimo uniforme su tutto il territorio nazionale".
Sia la norma di cui all'articolo 6, comma 1, lettera b), della
legge n. 219/2005, sia il richiamato Accordo attuativo, dunque, fanno
riferimento al "rimborso dei costi" delle attivita' associative.
Pertanto l'art. 154, comma 2, della legge regionale in esame,
prevedendo l'erogazione di generici "contributi" alle Associazioni, e
non quantificando il rimborso dei costi secondo la determinazione
prevista nel citato accordo attuativo, valido sul territorio
nazionale, contrasta con i principi fondamentali in materia di tutela
della salute di cui al citato articolo 6, comma 1, lettera b), della
legge n. 291/2005 e viola l'art. 117, terzo comma, della
Costituzione.
5) L'articolo 210, comma 2, della legge regionale in esame,
prevede che " [....] il proprietario deve provvedere entro centoventi
giorni dalla nascita o comunque, entro dieci giorni dal possesso,
all'iscrizione dell'animale all'anagrafe di cui al comma 1
contestualmente all'apposizione del codice di riconoscimento, di cui
all'art. 211". Tale articolo 211 stabilendo che "il codice di
riconoscimento e' impresso mediante tatuaggio o con altro metodo
comunque indelebile e chiaramente leggibile", risulta in contrasto
con il DPCM 28 febbraio 2003, che recepisce l'Accordo recante
disposizioni in materia di benessere degli animali da compagnia e
pet-therapy, stipulato nella seduta della Conferenza Stato-Regioni
del 6 febbraio 2003, in adempimento dell'obbligo internazionale
derivante dalla sottoscrizione da parte dell'Italia della
"Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione degli animali
da compagnia", approvata a Strasburgo il 13 novembre 1987.
In particolare, l'articolo 4 del richiamato Accordo,
integralmente recepito dal DPCM in questione, prevede che le regioni
si impegnino ad adottare misure dirette a ridurre il fenomeno del
randagismo mediante "l'introduzione del microchip, come unico sistema
ufficiale di identificazione dei cani, a decorrere dal 1° gennaio
2005".
Inoltre, tale DPCM, nel richiamare il citato accordo, prevede,
all'articolo 1, comma 2, l'impegno, da parte del Governo e delle
regioni, ciascuno per la parte di propria competenza, ad adottare
misure in grado di identificare gli animali mediante l'utilizzo di
appositi microchips.
La disposizione di cui all'articolo 211 della legge regionale in
esame, pertanto, prevedendo il sistema del tatuaggio come codice di
riconoscimento dei cani, in luogo del microchip, contrasta con il
richiamato DPCM del 28 febbraio 2003 e disattende l'obbligo
internazionale posto a base dell'Accordo Stato Regioni del 6 febbraio
2003 e del richiamato DPCM del 28 febbraio 2003, in violazione
dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione, che vincola al
rispetto degli obblighi internazionali anche l'esercizio della
potesta' legislativa delle Regioni.
La disposizione regionale in esame viola, altresi', i principi
fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della
salute (nella specie, della sanita' animale) di cui all'articolo 117,
terzo comma, della Costituzione.
6) l'articolo 215 della legge regionale in esame, rubricato
"randagismo", al comma 3 stabilisce che i cani vaganti catturati,
regolarmente tatuati, devono essere restituiti al proprietario; il
comma 5 del medesimo articolo prevede l'obbligo di tatuaggio per i
cani vaganti privi di tale contrassegno.
Tali disposizioni risultano in contrasto con il predetto DPCM 28
febbraio 2003, che recepisce l'Accordo recante disposizioni in
materia di' benessere degli animali da compagnia e pet-therapy,
stipulato nella seduta della Conferenza Stato-Regioni del 6 febbraio
2003, in adempimento dell'obbligo internazionale derivante dalla
sottoscrizione da parte dell'Italia della "Convenzione del Consiglio
d'Europa per la protezione degli animali da compagnia", approvata a
Strasburgo il 13 novembre 1987.
In particolare, l'articolo 4 del richiamato Accordo,
integralmente recepito dal DPCM in questione, prevede che le regioni
si impegnino ad adottare misure dirette a ridurre il fenomeno del
randagismo mediante "l'introduzione del microchip, come unico sistema
ufficiale di identificazione dei cani, a decorrere dal 1° gennaio
2005".
Inoltre, tale DPCM, nel richiamare il citato accordo, prevede,
all'articolo 1, comma 2, l'impegno, da parte del Governo e delle
regioni, ciascuno per la parte di propria competenza, ad adottare
misure in grado di identificare gli animali mediante l'utilizzo di
appositi microchips.
L'art. 215 della legge regionale in esame, pertanto, nel
prevedere l'obbligo del tatuaggio dei cani randagi, anziche'
l'obbligo del microchip, contrasta con il richiamato DPCM del 28
febbraio 2003 e disattende l'obbligo internazionale posto a base
dell'Accordo Stato Regioni del 6 febbraio 2003 e del m DPCM del 28
febbraio 2003, in violazione dell'articolo 117, primo comma, della
Costituzione, che vincola al rispetto degli obblighi internazionali
anche l'esercizio della potesta' legislativa delle Regioni.
La disposizione regionale in esame viola, altresi', i principi
fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della
salute (nella specie, della sanita' animale) di cui all'articolo 117,
terzo comma, della Costituzione.
7) l'articolo 219, comma 2, della legge regionale in esame che
disciplina le sanzioni per l'omesso tatuaggio (e non per l'omesso
impianto microchip), risulta in contrasto con il citato DPCM 28
febbraio 2003, che recepisce l'Accordo recante disposizioni in
materia di benessere degli animali da compagnia e pet-therapy,
stipulato nella seduta della Conferenza Stato-Regioni del 6 febbraio
2003, in adempimento dell'obbligo internazionale derivante dalla
sottoscrizione da parte dell'Italia della "Convenzione del Consiglio
d'Europa per la protezione degli animali da compagnia", approvata a
Strasburgo il 13 novembre 1987.
In particolare, l'articolo 4 del richiamato Accordo,
integralmente recepito dal DPCM in questione, prevede che le regioni
si impegnino ad adottare misure dirette a ridurre il fenomeno del
randagismo mediante "l'introduzione del microchip, come unico sistema
ufficiale di identificazione dei cani, a decorrere dal 1° gennaio
2005".
Il DPCM 28 febbraio 2003, infatti, nel richiamare il citato
accordo, prevede, all'articolo 1, comma 2, l'impegno, da parte del
Governo e delle regioni, ciascuno per la parte di propria competenza,
ad adottare misure in grado di identificare gli animali mediante
l'utilizzo di appositi microchips.
La disposizione di cui all'articolo 219, comma 2, della legge
regionale in esame, pertanto, prevedendo l'irrogazione di sanzioni
solo per l'omesso tatuaggio e non anche per l'omesso impianto
microchip, contrasta con il suddetto DPCM del 28 febbraio 2003 e
disattende l'obbligo internazionale posto a base dell'Accordo Stato
Regioni del 6 febbraio 2003 e del richiamato DPCM del 28 febbraio
2003, in violazione dell'articolo 117, primo comma, della
Costituzione, che vincola al rispetto degli obblighi internazionali
anche l'esercizio della potesta' legislativa delle Regioni.
La disposizione regionale in esame viola, altresi', i principi
fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della
salute (nella specie, della sanita' animale) di cui all'articolo 117,
terzo comma, della Costituzione.
8) L'articolo 225 della legge regionale citata, al comma 1,
stabilisce che "Il medico veterinario che nell'esercizio delle
proprie attivita' accerti in qualsiasi modo, anche senza l'ausilio di
analisi strumentali, l'avvelenamento di specie animale domestica o
selvatica, e' tenuto - utilizzando apposita scheda - a darne
comunicazione entro ventiquattro ore alla polizia provinciale,
all'Azienda USL competente per territorio e al Sindaco del Comune
dove e' stato rinvenuto l'animale".
Tale disposizione regionale contrasta con l'ordinanza del
Ministero della salute 10 febbraio 2012, recante "Norme sul divieto
di utilizzo e di detenzione di esche o di bocconi avvelenati". Tale
ordinanza, che e' espressione dei principi fondamentali in materia di
tutela della salute, introdotti dal d.lgs. n. 174/2000, in attuazione
della direttiva 98/8/CE in materia immissione sul mercato di biocidi,
all'art. 2, comma 1, prevede che "il medico veterinario che, sulla
base di una sintomatologia conclamata, emette diagnosi di sospetto
avvelenamento di un esemplare di specie animale domestica o
selvatica, ne da' immediata comunicazione al sindaco e al Servizio
veterinario dell'azienda sanitaria locale territorialmente
competente". In base a tale disposizione, dunque, la comunicazione al
sindaco e al Servizio veterinario dell'azienda sanitaria locale
territorialmente competente deve essere effettuata dal medico
veterinario anche sulla base del mero "sospetto di avvelenamento",
sulla base dei una sintomatologia conclamata, e cio' per ovvie
ragioni di precauzione a tutela della salute. Pertanto l'articolo
225, comma 1, della legge regionale in esame, nel prevedere che la
comunicazione deve essere effettuata dal medico solo in caso di
"accertato avvelenamento" contrasta con la predetta disposizione
statale che obbliga il medico veterinario a segnalare anche i casi di
mero sospetto di avvelenamento, e viola l'articolo 117, terzo comma,
della Costituzione, in materia di tutela della salute.
9) L'articolo 239 della legge regionale in esame, nel dettare
norme inerenti le farmacie, prevede che "la pianta organica delle
farmacie e' approvata dall'Assemblea Legislativa su proposta della
Giunta regionale, nel rispetto dei parametri individuati dalla
normativa nazionale".
Al riguardo, occorre evidenziare che il quadro normativo
nazionale in materia di potenziamento del servizio di distribuzione
farmaceutica e di accesso alla titolarita' delle farmacie, demanda ai
Comuni, e non gia' alla regione, la competenza ad istituire le nuove
sedi farmaceutiche.
In particolare, l'articolo 11, comma 1, lettera c) del
decreto-legge n.1/2012 nel modificare l'articolo 2 della legge n.
475/1968, stabilisce che "[.....] Ogni comune deve avere un numero di
farmacie in rapporto a quanto disposto dall'articolo 1 [della legge
n. 475/1968 ai sensi del quale "Il numero delle autorizzazioni e'
stabilito in modo che vi sia una farmacia ogni 3.300 abitanti" (comma
2)]. Al fine di assicurare una maggiore accessibilita' al servizio
farmaceutico, il comune, sentiti l'azienda sanitaria e l'Ordine
provinciale dei farmacisti competente per territorio, identifica le
zone nelle quali collocare le nuove farmacie, al fine di assicurare
un'equa distribuzione sul territorio, tenendo altresi' conto
dell'esigenza di garantire l'accessibilita' del servizio farmaceutico
anche a quei cittadini residenti in aree scarsamente abitate". Il
comma 2 del medesimo articolo 11 aggiunge che "Ciascun comune, sulla
base dei dati ISTAT sulla popolazione residente al 31 dicembre 2010 e
dei parametri di cui al comma 1, individua le nuove sedi
farmaceutiche disponibili nel proprio territorio e invia i dati alla
regione entro e non oltre trenta giorni dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto".
Ne deriva che, ferma restando una peculiare competenza delle
regioni o delle provincie autonome di Trento e di Bolzano ad
assicurare l'espletamento del concorso straordinario finalizzato
all'assegnazione delle sedi farmaceutiche disponibili, viene
espressamente attribuita ai Comuni la competenza ad individuare dette
sedi. Cio' trova ulteriore conferma nel successivo comma 9 del
richiamato articolo 11, il quale espressamente prevede che "Qualora
il comune non provveda a comunicare alla regione o alla provincia
autonoma di Trento e di Bolzano l'individuazione delle nuove sedi
disponibili entro il termine di cui al comma 2 del presente articolo,
la regione provvede con proprio atto a tale individuazione entro i
successivi sessanta giorni".
Dal tenore letterale di quest'ultima disposizione si evince
manifestamente che una possibile competenza della regione
all'individuazione delle sedi farmaceutiche riveste un carattere
eccezionale che si giustifica solo innanzi ad una eventuale inerzia
da parte del comune, contrariamente a quanto espressamente previsto
all'articolo 239 della legge regionale citata.
Pertanto l'art. 239 della legge regionale in esame, nel derogare
alle richiamate norme statali (art. 11 del decreto-legge, n. 1/2012 e
articolo 1 della legge n. 475/1968) che affidano ai comuni le
predette funzioni amministrative, volte ad assicurare una maggiore
accessibilita' al servizio farmaceutico, anche da parte dei cittadini
residenti in aree scarsamente abitate, nonche' a garantire un'equa
distribuzione sul territorio delle sedi farmaceutiche, viola l'art.
117, terzo comma, della Costituzione, in materia di tutela della
salute.
P.Q.M.
Viene proposto il presente ricorso, come deliberato dal Consiglio
dei Ministri in data 11 giugno 2015.
Si conclude pertanto affinche' sia dichiarata l'illegittimita'
costituzionale nei sensi sopra esposti della legge della Regione
Umbria n. 11 del 9.4.2015 pubblicata nel B.U.R. n. 21 del 15.4.2015.
Roma, 12 giugno 2015
L'Avvocato dello Stato: Enrico De Giovanni