Ricorso n. 68 del 7 giugno 2013 (Presidente del Consiglio dei Ministri)
~~Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria l'11 giugno 2013 (del Presidente del Consiglio dei
ministri).
(GU n. 32 del 7.8.2013)
Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri (C.F.
…), rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello
Stato (C.F. …), presso i cui Uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12 e' domiciliato - Fax … - PEC
…
Nei confronti della Regione Toscana in persona del Presidente
della Giunta regionale pro tempore per la dichiarazione di
illegittimita' costituzionale della legge della regione Toscana del 5
aprile 2013 n. 13, pubblicata sul B.U.R. n. 14 del 10 aprile 2013,
recante «Disposizioni in materia di commercio in sede fissa e di
distribuzione di carburanti. Modifiche alla L.R. n. 28/2005 e alla
L.R. n. 52/2012», negli artt. 2-3-5-6-16 e 18.
Le disposizioni riportate in epigrafe vengono impugnate, giusta
delibera del Consiglio dei Ministri In data 31 maggio 2013, perche'
in contrasto con gli artt. 41 e 117, primo e secondo comma, della
Costituzione, in relazione ai principi in materia di tutela della
concorrenza e dell'ordinamento civile, nonche' con la normativa
statale e comunitaria di riferimento.
1) Si premette che con la legge n. 13/2013, il legislatore
regionale si e' proposto di emendare le modifiche apportate alla
legge regionale n. 28/2005, «Codice del Commercio. Testo Unico in
materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche,
somministrazione di alimenti e bevande, vendita di stampa quotidiana
e periodica e distribuzione di carburanti», con la L.R. n. 52/2012
censurata con precedente ricorso dal Governo negli artt. 11, 12, 13,
14, 15, 17, 18, 19, 20 39 e 41.
Da un esame comparativo della legge n. 52/2012 e n. 13/2013 si
evince tuttavia che il legislatore regionale e' incorso negli stessi
errori gia' segnalati a codesta Ecc.ma Corte con il precedente
ricorso in quanto le modifiche apportate con la legge n. 13/2013 non
elidono i dubbi di illegittimita' costituzionale a suo tempo
evidenziati.
La disciplina di dettaglio tesa a rivedere, tra l'altro, alcuni
aspetti del commercio, quali quelli relativi al rilascio e/o alla
modifica delle autorizzazioni, alla vendita di beni, alle distanze
tra gli esercizi commerciali ed infine alla vendita di carburante
sembra infatti presentare profili di illegittimita' nelle
disposizioni in epigrafe indicate, in relazione ai principi di tutela
della concorrenza e di ordinamento civile.
In dettaglio si premette che il punto 1 della delibera
dell'impugnativa relativa alla legge toscana 13/2013 riprende gli
stessi motivi del punto 3 della l.r. 52/2012; il punto 2 della
delibera dell'impugnativa relativa alla legge toscana 13/2013
riprende gli stessi motivi del punto 1 della l.r. 52/2012; il punto 4
della delibera dell'impugnativa relativa alla legge toscana 13/2013
riprende gli stessi motivi del punto 4 della l.r. 52/2012. Cio' posto
si osserva che:
2) L'articolo 2, che sostituisce integralmente l'articolo
18-septies della L.R. 7 febbraio 2005 n. 28, e' rubricato «requisiti
obbligatori per le grandi strutture di vendita», dispone: «1. I
requisiti obbligatori delle grandi strutture di vendita sono i
seguenti:
a) elementi obbligatori per tutte le grandi strutture di vendita:
1) dotazione di una classificazione energetica, di cui al
decreto del Ministro dello sviluppo economico 26 giugno 2009 (Linee
guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici),
superiore o uguale alla classe energetica globale B;
2) produzione di energia termica da fonte rinnovabile senza
emissione in atmosfera tale da garantire il rispetto dei livelli
minimi prestazionali indicati nell'allegato 3, comma 1, lettera c), e
al comma 2, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione
della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da
fonti rinnovabili, recanti modifica e successiva abrogazione delle
direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), fermo restando quanto prescritto
nello stesso allegato 3, comma 5, aumentati del 10 per cento qualora
l'attivita' commerciale insista su uno dei comuni di cui all'allegato
4 (Individuazione dei Comuni tenuti all'adozione del Piano di Azione
Comunale "PAC" ai sensi dell'art. 12 comma 2, lettera a), della
Delib.G.R. 6 dicembre 2010, n. 1025 (Zonizzazione e classificazione
del territorio regionale ai sensi della L.R. 9/2010 e al d.lgs. n.
155/2010 ed individuazione della rete regionale di rilevamento della
qualita' dell'aria - Revoca Delib.G.R. 27/2006, 337/2006, 21/2008,
1406/2001,1325/2003);
3) potenza elettrica degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili obbligatoriamente installati sopra, all'interno o nelle
relative pertinenze dell'attivita' commerciale tale da garantire il
rispetto di quanto previsto per gli edifici di cui all'allegato 3,
comma 3, lettera c), del d.lgs. 28/2011, aumentati del 5 per cento
qualora l'attivita' commerciale insista su uno dei comuni di cui
all'allegato 4 della del.g.r. 1025/2010;
4) collaborazione con associazioni di volontariato sociale
per la realizzazione di progetti di raccolta e ridistribuzione a
soggetti deboli dei prodotti alimentari invenduti e comunque non
scaduti;
5) attivazione di specifici programmi per la limitazione
della produzione di rifiuti, la riduzione di imballaggi monouso e di
shopper in plastica, la vendita di prodotti a mezzo erogatori alla
spina, l'uso di sistemi di riuso per imballaggi secondari e terziari
in plastica do legno ed altre modalita' proposte dal richiedente;
6) realizzazione di apposite aree di servizio destinate alla
raccolta dzfferenziata ed allo stoccaggio dei rifiuti prodotti
dall'esercizio;
7) attivazione di un sistema di gestione dei rifiuti da
apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), limitatamente agli
esercizi che commerciano prevalentemente tali prodotti.
b) elementi obbligatori, aggiuntivi a quelli di cui alla lettera
a), per le grandi strutture con superficie di vendita superiore a
4.000 metri quadrati:
1) protezione dei bersagli piu' esposti all'inquinamento da
polveri attraverso fasce verdi di protezione adeguatamente
piantumate. Verifica degli apporti inquinanti prodotti dagli impianti
della struttura da realizzare e dalle emissioni del traffico
afferente, nel rispetto di quanto previsto dal decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri 28 marzo 1983 (Limiti massimi di
accettabilita' delle concentrazioni e di esposizione relativi ad
inquinanti dell'aria nell'ambiente esterno) e dal decreto del
Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n, 203 (Attuazione delle
direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti
norme in materia di qualita' dell'aria, relativamente a specifici
agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti
industriali, ai sensi dell'art. 15 della legge 16 aprile 1987, numero
183);
2) valutazione degli effetti acustici cumulativi all'interno
della struttura ed all'esterno, con riferimento ai bersagli ritenuti
significativi, in relazione agli obiettivi e livelli di qualita'
definiti dalla legge 26 ottobre 1995, n. 447 (Legge quadro
sull'inquinamento acustico), dal decreto legislativo 19 agosto 2005,
n. 194 (Attuazione della direttiva 2002/49/CE relativa alla
determinazione e alla gestione del rumore ambientale) e dal decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri 14 novembre 1997
(Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore);
3) progetto per la raccolta di almeno il 50 per cento delle
acque meteoriche attraverso la realizzazione di una vasca di recupero
di dimensioni adeguate al fabbisogno di operazioni quali
l'annaffiatura, il lavaggio delle aree ed ogni forma di riuso per la
quale non sia richiesta l'acqua potabile;
4) esistenza di servizi di trasporto pubblico per il
collegamento dell'area dove e' insediata la struttura, in relazione
agli orari di attivita' della stessa ovvero, in assenza o ad
integrazione del servizio pubblico, esistenza di servizi di trasporto
privato;
5) nel caso in cui l'area di insediamento della struttura non
disponga delle infrastrutture previste dallo strumento urbanistico,
esistenza di apposita convenzione sottoscritta dal comune e dal
richiedente, per la realizzazione delle infrastrutture stesse,
contenente la subordinazione dell'avvio dell'attivita' alla piena
funzionalita' delle infrastrutture; 6) realizzazione di spazi
destinati ai bambini, attrezzati anche per l'igiene e la cura degli
stessi.
2. I requisiti di cui al comma 1, lettera a), numeri 1 e 2, non
si applicano agli ampliamenti della superficie di vendita inferiori
al 20 per cento ed alle modifiche di' settore merceologico».
In via preliminare si rileva che la disposizione, che contiene
una serie variegata di prescrizioni, e' strutturata in due parti
poiche' opera una distinzione nell'ambito della unitaria categoria
"grandi strutture di vendita" tra quelle con superficie di vendita
minore o maggiore di mq. 4.000, per introdurre solo a carico delle
seconde prescrizioni ulteriori, peraltro prive di giustificazione.
Gia' sotto questo profilo dunque si ravvisa una ingiustificata
limitazione al principio della parita' concorrenziale.
In dettaglio poi, la norma subordina il rilascio
dell'autorizzazione commerciale per grande struttura di vendita al
possesso di numerosi requisiti obbligatori che riguardano tuttavia
profili estranei all'attivita' commerciale, quali ad esempio: la
collaborazione con associazioni di volontariato sociale per la
realizzazione di progetti di raccolta e ridistribuzione a soggetti
deboli dei prodotti alimentari invenduti e comunque non scaduti (sub
4); l'attivazione di specifici programmi per la limitazione della
produzione di rifiuti, la riduzione di imballaggi monouso e di
shopper in plastica, la vendita di prodotti a mezzo erogatori alla
spina, l'uso di sistemi di riuso per imballaggi secondari e terziari
in plastica e/o legno ( sub 5); la realizzazione di apposite aree di
servizio destinate alla raccolta differenziata ed allo stoccaggio dei
rifiuti prodotti dall'esercizio (sub 6); l'attivazione di un sistema
di gestione dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche
(RAFE) limitatamente agli esercizi che commerciano prevalentemente
tali prodotti (sub 7).
La disciplina regionale, inoltre, e' ancora piu' vincolante per
le strutture oltre i 4000 mq, poiche' richiede (comma 1, lettera b)
in tali ipotesi il possesso di ulteriori requisiti, oltre a quelli
precedentemente esposti, quali per esempio:
un progetto per la raccolta di almeno il 50 % delle acque
meteoriche attraverso la realizzazione di una vasca di recupero di
dimensioni adeguate al fabbisogno di operazioni quali l'annaffiatura,
il lavaggio delle aree ed ogni forma di riuso per la quale non sia
richiesta l'acqua potabile;
la disponibilita' a favore dell'utenza di servizi di
trasporto pubblico per il collegamento dell'area dove e' insediata la
struttura ovvero, in assenza o ad integrazione del servizio pubblico,
nell'esistenza di servizi di trasporto privato;
la realizzazione di spazi destinati ai bambini, gestiti da
apposito personale, attrezzati anche per l'igiene e la cura degli
stessi.
Le norme introdotte ora nell'ordinamento regionale toscano, come
quelle analoghe gia' al vaglio della Corte costituzionale,
introducono pertanto una disciplina discriminatoria che incide
direttamente sul confronto concorrenziale nonche' penalizzante e poco
logica, perche' gravante solo sulle Grandi Strutture di vendita ed in
tale ambito ancora piu' sugli esercizi con superficie maggiore di
4000 mq, che, nei diversi mercati interessati, condiziona
negativamente la programmazione quantitativa dell'offerta, in
contrasto con le esigenze di salvaguardia della concorrenza, in
violazione degli artt. 41 e l'art. 117, comma 1 e comma 2 lett. e)
della Costituzione, atteso che la previsione di requisiti a tal punto
stringenti per il rilascio dell'autorizzazione commerciale, risulta
lesiva della concorrenza poiche' rende piu' gravoso per gli operatori
attivi in Toscana ottenere detta autorizzazione, determinando in tal
modo un evidente svantaggio competitivo. Cio' senza tacere come la
fissazione di requisiti particolari a livello solo regionale tende ad
ostacolare il libero esercizio della liberta' di iniziativa
economica, nonche', di seguito, il corretto ed omogeneo sviluppo del
mercato unico europeo, introducendo un regime peculiare vigente solo
a livello della regione toscana.
Ne' potrebbe affermarsi che il richiamo all'art. 117 comma 1
lett. e) sia inesatto.
Infatti non e' dubbio che la disposizione in esame non e' diretta
a regolare la materia del "commercio" in se' per se', ma piuttosto
quella dei rapporti fra gli esercenti il commercio e le grandi
strutture di vendita, poiche' tende in sostanza alla realizzazione di
un regime di vendita tale da non consentire pari opportunita' per
ogni esercizio. Per tale motivo, la disposizione censurata lungi dal
poter rientrare nell'ambito della materia "commercio", di competenza
residuale regionale, appartiene invece all'ambito della "tutela della
concorrenza", materia di competenza legislativa esclusiva statale, ai
sensi dell'articolo 117, comma 2, lett. e), della Costituzione.
In realta' la normativa regionale censurata oblitera sia i
recenti interventi statali in punto di liberalizzazione, sia i
consolidati principi dell'ordinamento comunitario secondo cui le
deroghe al principio di libera prestazione dei servizi sono
sostanzialmente ammessi per motivi di interesse generale, laddove non
discriminatorie e improntate ad un criterio di proporzionalita'.
La normativa statale di riferimento, in subjecta materia, e'
costituita in particolare dall'art. 31, comma 2, legge 22 dicembre
2011 n. 214, a mente del quale "costituisce principio generale
dell'ordinamento nazionale la liberta' di apertura di nuovi esercizi
commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o
altri vincoli di qualsiasi natura e che le Regioni e gli enti locali
adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma
entro il 30 settembre 2012".
La Corte costituzionale, intervenuta a chiarire la ratio di tale
disposizione, ha avuto modo di precisare di recente (sentenza del 19
dicembre 2012 n. 299) che «una regolamentazione delle attivita'
economiche ingiustificatamente intrusive - cioe' non necessaria e
sproporzionata rispetto alla tutela dei beni costituzionalmente
protetti-genera inutili ostacoli alle dinamiche economiche, a
detrimento degli interessi degli operatori economici, dei consumatori
e degli stessi lavoratori e, dunque, in definitiva reca danno alla
stessa utilita' sociale. L'eliminazione degli inutili oneri
regolamentari, mantenendo pero' quelli necessari alla tutela di
superiori beni costituzionali, e' funzionale alla tutela della
concorrenza e rientra a questo titolo nelle competenze del
legislatore statale».
Trattasi di giurisprudenza consolidata, atteso che piu' volte la
Corte costituzionale ha espressamente posto quale finalita' della
disciplina in materia di commercio, tra le altre, quelle di
realizzare «la trasparenza del mercato, la concorrenza, la liberta'
di impresa e la libera circolazione delle merci», «l'efficienza, la
modernizzazione e lo sviluppo della rete distributiva, nonche'
l'evoluzione tecnologica dell'offerta» (cfr. sent. Corte Cost. n.
430/07).
Ed e' palese come la norma in esame si ponga in contrasto con i
citati principi che hanno carattere generale perche' pongono le
finalita' della disciplina in materia di commercio, ed al cui
rispetto deve tendere anche la legislazione regionale.
3) L'articolo 3, che ha modificato l'articolo 19 L.R. 7 febbraio
2005 n. 28, dispone che «1. L'apertura, il trasferimento di sede e
l'ampliamento della superficie di vendita di un centro commerciale
sono soggetti ad autorizzazione rilasciata dal SUAP competente per
territorio, secondo le condizioni e le procedure stabiliti,
rispettivamente, per le medie o per le grandi strutture di vendita.
L'autorizzazione abilita alla realizzazione complessiva del centro e
ne stabilisce la superficie di vendita, suddivisa tra settori
merceologici».
2. Dopo il comma 1 dell'articolo 19 della L.R. n. 28/2005 e'
inserito il seguente: «1-bis. La modifica, quantitativa o
qualitativa, di settore merceologico di un centro commerciale e'
soggetta a SCIA da presentare al SUAP competente per territorio,
purche' la struttura presenti tutti i requisiti previsti dalla
normativa statale e regionale in materia di medie o grandi strutture
di vendita. In caso contrario, alla modifica di settore merceologico
si applica il comma 1.».
In sostanza secondo la nuova disposizione l'apertura, il
trasferimento di sede, l'ampliamento della superficie di vendita di
un centro commerciale sono soggetti ad autorizzazione espressa
rilasciata dal SUAP competente per territorio, secondo le condizioni
e le procedure stabiliti rispettivamente per le medie e le grandi
strutture di vendita. Il comma 2 prevede poi che debba presentarsi la
SCIA solo per l'ipotesi di modifica del settore merceologico.
Le nuove disposizioni si pongono in contrasto con il principio di
semplificazione amministrativa sancito dalla normativa statale di
riferimento contenuta nell'art. 19 legge 7 agosto 1990 n. 241, in
base ai quale ogni atto di autorizzazione o licenza per l'esercizio
di un'attivita' commerciale e/o imprenditoriale e' sostituito da una
segnalazione (S.C.I.A.) dell'interessato, e nell'art. 31 Legge 22
dicembre 2011 n. 214 che, in un ottica di semplificazione, ha abolito
i regimi autorizzativi espressi, con la sola esclusione degli
interessi pubblici piu' sensibili indicati dalla Direttiva Servizi.
L'intervento statale ha introdotto una sostanziale liberalizzazione,
per cui i regimi autorizzatori non costituiscono piu' la regola ma
un'ipotesi del tutto residuale, in quanto possono essere istituiti o
mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse
generale, ma sempre nel rispetto dei principi di non discriminazione
e di proporzionalita'.
La Regione Toscana oblitera invece il vincolo recato da tali
nuovi principi e condiziona nuovamente e in modo evidentemente
anacronistico l' apertura, il trasferimento di sede e anche
l'ampliamento della superficie ad un regime autorizzatorio non piu'
richiesto agli altri operatori del settore operanti aliunde,
imponendo agli operatori commerciali che esercitano nel territorio
toscano oneri maggiori e piu' impegnativi rispetto a quelli previsti
dalla normativa statale, e cio' senza che sia dato conto delle
ragioni sottese a tale scelta.
D'altra parte la stessa Corte costituzionale (cfr. Corte cost. n.
282 del 2009 e n. 336 del 2005) ha avuto modo piu' volte di precisare
che il principio di semplificazione, di derivazione comunitaria (cfr.
direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno,
attuata nell'ordinamento italiano con d.lgs. 26 marzo 2010 n. 59),
appartiene al novero dei principi fondamentali.
Qualora si analizzi la natura giuridica della SCIA e la connessa
disciplina e' agevole rilevare che essa, quale espressione del
generale principio di semplificazione, teso a sveltire i rapporti tra
privato e P.A. in un'ottica di collaborazione basata su atti di
autocertificazione ovvero di mera segnalazione, ha un ambito
applicativo diretto alla generalita' dei cittadini tale da costituire
livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m) Cost.
(cosi' Corte Cost, 27 giugno 2012 n. 164). Se dunque il legislatore
statale tende alla abolizione delle fattispecie autorizzatorie appare
evidente come al contrario l'intervento legislativo regionale si
ponga in contrasto con l'art. 117 comma 2, lettere e) e m) della
Costituzione, atteso che limiti di tal fatta vengono imposti solo
agli operatori locali, cosi' posti in posizione di svantaggio, sia
sul piano concorrenziale che su quello delle prestazioni
amministrative, rispetto ai soggetti omologhi operanti sul resto del
territorio nazionale.
A conferma di cio' e' poi da rilevare come la stessa
giurisprudenza costituzionale e amministrativa abbia piu' volte
disposto la disapplicazione delle disposizioni legislative regionali
eventualmente in conflitto con i ricordati principi, dovendosi
quest'ultime considerarsi recessive rispetto alle corrispondenti
disposizioni statali, le quali sono invece immediatamente applicatili
senza che vi sia necessita' di' un loro recepimento espresso, (cfr.
Corte Cost. n.150/2011; TAR aiuti Venezia Giulia, Sez. I, 13 dicembre
2007 n. 76).
4) L'articolo 5, comma 2, modifica l'articolo 19 quater della
Legge regionale n. 28/2005, sostituendone il comma 2 , prevedendo che
"Le merci poste in vendita in outlet recano il solo prezzo finale di
vendita, tranne che nelle ipotesi di vendite straordinarie e
promozionali, cui si applicano gli articoli da 88 a 96".
La norma regionale, nell'obbligare gli esercizi commerciali che
vendono in outlet ad una precisa modalita' di esposizione del prezzo
di vendita, eccede dalle competenze regionali in materia di commercio
poiche' va ad incidere sui principi della trasparenza dei prezzi e,
di seguito, delle informazioni al consumatore.
Sotto questo profilo la disposizione in esame non puo' ritenersi
rientrare nella sfera della normativa sul commercio poiche' involge
invece aspetti che attengono alla tutela dei consumatori, che
esorbitano dalla disciplina del commercio andando a ricadere in sfere
di competenza riservate allo Stato. La materia e' infatti
disciplinata dal decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice
del consumo), che, all'art. 2, comma 2, lettera c), annovera fra i
diritti fondamentali del consumatore quello ad una adeguata
informazione sul prodotto. Il medesimo codice detta inoltre la
disciplina dei prezzi, nella parte II, titolo II, dedicata alle
informazioni al consumatore.
Come affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n.n. 191
del 2012 e 66/2013, la disciplina contenuta nel codice del consumo
attiene alla materia del diritto civile, riservata alla competenza
esclusiva dello Stato ex art. 117 comma 2 Cost.
La previsione regionale, inoltre, imponendo agli esercizi
commerciali outlet, ricadenti nel territorio regionale, una precisa
modalita' di esposizione del prezzo di vendita elimina la
possibilita' di un confronto dei prezzi attuabile tra esercizi che
vendono lo stesso prodotto, cosi' elidendo un importante strumento di
tutela del consumatore rispondente ad una politica di trasparenza nel
commercio.
Sotto tale aspetto appare quindi anche lesiva del principio, piu'
volte evidenziato dalla Corte costituzionale (cfr. sentenze n. 299
del 19 dicembre 2012; n. 27 del 13 febbraio 2013;n. 68/2013), che le
normative regionali in materia di commercio si adeguino ai criteri di
liberalizzazione delle attivita' commerciali anche in relazione alle
disposizioni normative in tema di concorrenza.
Per tali motivi, la norma regionale in esame eccede dalle
competenze regionali risultando invasiva delle competenze esclusive
dello Stato in materia di tutela della concorrenza e di ordinamento
civile, di cui all'art.117, secondo comma , lettere e) ed I) della
Costituzione.
5) L'articolo 6 reca modifiche all'articolo 19-quinquies
introdotto nella L.R. 28/2005 dall'art. 20 l.r. n. 52/2012.
Si e' gia' detto che l'art. 20,che prevede, oltre alle gia'
esistenti tipologie, le strutture di vendita in forma aggregata, e'
stato oggetto di censura da parte del Governo.
La norma, come ora modificata dalla l.r. n. 13/2013, che ha
soppresso la lett. c) del comma 6 ed introdotto un comma 6-bis,
prevede:
medie strutture di vendita adiacenti tra loro, anche
verticalmente, o insediate a distanza reciproca inferiore a 120 metri
lineari;
medie strutture di vendita adiacenti tra loro ad una grande
struttura di vendita, anche verticalmente o insediate a distanza
inferiore a 120 metri lineari da una grande struttura di vendita;
le grandi strutture di vendita adiacenti «tra loro, anche
verticalmente, o insediate a distanza reciproca inferiore a 120 metri
lineari».
Le descritta previsione introduce limitazioni relative alle
distanze tra esercizi commerciali, si' pone in contrasto con la
normativa statale e comunitaria vigente, costituita in particolare
dall'articolo 34 Legge 214/2011 secondo cui «la disciplina delle
attivita' economiche e' improntata al principio di liberta' di
accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le esigenze
imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e
compatibili con l'ordinamento comunitario, che possono giustificare
l'introduzione di previ atti amministrativi di assenso o
autorizzazione o di controllo, nel rispetto del principio di
proporzionalita'».
Con il precedente ricorso si era anche avuto riguardo al
contrasto con l'art. 1, DL n. 1/2012 convertito in legge n. 27/2012.
Tali norme statali hanno recepito le prescrizioni della Direttiva
comunitaria 2006/123CE, cosi abrogando le norme che pongono divieti e
restrizioni economiche e vietando in particolare l'imposizione di
distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate
all'esercizio di un'attivita' economica. Anche in questo caso deve
rilevarsi quindi che la Regione Toscana appare non essersi conformata
ai principi stabiliti dal legislatore nazionale, introducendo
nuovamente regole restrittive e discrininatorie, in contrasto con gli
artt 41 e 117,comma 1 e co.2 lett. e) della Costituzione.
6) L'articolo 16, nel sostituire il comma 1 dell'articolo 54-bis
(Impianti senza gestore) della legge n. 28/2005, dispone che "Nelle
aree montane di cui all'articolo 50, comma 1, lettera h-bis) e
insulari, carenti del servizio di distribuzione di carburanti possono
essere installati anche nuovi impianti dotati esclusivamente di
apparecchiature self-service pre-pagamento senza la presenza del
gestore, a condizione che ne sia garantita un'adeguata sorveglianza
secondo le modalita' stabilite dal comune".
La norma regionale dunque ha condizionato alla presenza di una
adeguata sorveglianza la possibilita' di installare nuovi impianti
dotati esclusivamente di apparecchiature self-service pre-pagamento
senza la presenza del gestore anche in aree al di fuori dei centri
abitati, seppure per le sole aree montane e insulari, carenti del
servizio di distribuzione carburanti.
La norma statale di riferimento e' costituita dall'art. 28, comma
7, del d.l. 6 luglio 2011 n. 98, convertito con legge 16 luglio 2011,
n. 111 (come modificato ed integrato dall'art.18, comma 1, di. 24
gennaio 2012 n. 1, conv. con modificazioni dalla 1. 24 marzo 2012, n.
27). Essa vieta l'imposizione di qualunque limitazione
all'installazione degli impianti di self-service senza la presenza
del gestore al di fuori dei centri abitati, disponendo che "Non
possono essere posti specifici vincoli all'utilizzo di
apparecchiature per la modalita' di rifornimento senza servizio con
pagamento anticipato, durante le ore in cui e' contestualmente
assicurata la possibilita' di rifornimento assistito dal personale, a
condizione che venga effettivamente mantenuta e garantita la presenza
del titolare della licenza di esercizio dell'impianto rilasciata
dall'ufficio tecnico di finanza o di suoi dipendenti o collaboratori.
Nel rispetto delle norme di circolazione stradale, presso gli
impianti stradali di distribuzione carburanti posti al di fuori dei
centri abitati, quali definiti ai sensi del codice della strada o
degli strumenti urbanistici comunali, non possono essere posti
vincoli o limitazioni all'utilizzo continuativo, anche senza
assistenza, delle apparecchiature per la modalita' di rifornimento
senza servizio con pagamento anticipato».
Diversamente, la disposizione regionale dispone genericamente che
gli impianti di distribuzione di carburante in modalita' self-service
debbano comunque avere forme di assistenza per cui contrasta
apertamente con l'obiettivo di liberalizzazione di cui al citato art.
28, comma 7, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, (e successive modifiche) che
ha liberalizzato gli impianti completamente automatizzati al di fuori
dei centri abitati.
Anche in questo caso la illegittimita' costituzionale della
disposizione si coglie nella violazione della competenza esclusiva
dello Stato in materia di tutela della concorrenza di cui
all'articolo articolo 117, secondo comma, lettera e) della
Costituzione. E' palese infatti come la previsione regionale
costituisca un appesantimento, sia in termini economici che
organizzativi, per l'operatore toscano rispetto al collega di altra
regione.
7) L'articolo 18, che sostituisce il comma 3 dell'articolo 84
(Orario degli impianti di distribuzione dei carburanti) della legge
n. 28/2005, dispone che:
"3. Durante l'orario di apertura nell'impianto deve funzionare
almeno un erogatore di benzina e un erogatore di gasolio in modalita'
servito, con l'esclusione del collegamento con l'accettatore di
banconote o almeno un'apparecchiatura self-service post-pagamento".
2. Dopo il comma 3 dell'articolo 84 della L.R. n. 28/2005 e'
inserito il seguente: "3-bis. Durante l'orario di apertura
dell'impianto deve essere garantita l'assistenza al rifornimento
diretto da parte del gestore o dei suoi dipendenti o collaboratori,
qualora richiesto, nonche' l'assistenza al rifornimento a favore di
persone con disabilita' di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme
per il diritto al lavoro dei disabili). La possibilita' della
richiesta dell'assistenza al rifornimento diretto deve essere
pubblicizzata mediante apposito cartello predisposto secondo le
indicazioni del comune.».
In sostanza la norma impone che durante l'orario di apertura
dell'impianto funzioni contestualmente il servizio sia in modalita'
servito che in modalita' self-service, ancora una volta in contrasto
con il dettato dell'articolo 28 del citato d.l. n. 28/2011 che invece
tende ad eliminare quanto piu' possibile vincoli e/o restrizioni.
Infatti, la norma statale non impone la contestualita' del
servizio in modalita' servito e in modalita' self-service, ma dispone
che, durante le ore in cui e' contestualmente assicurata la
possibilita' di rifornimento assistito dal personale, non possono
essere apposti vincoli all'utilizzo di apparecchiature per la
modalita' di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato.
Anche tale previsione, pertanto, risulta in contrasto con
l'articolo 28, comma 7 del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98,
configurando, quindi, violazione dell'art. 117, secondo comma,
lettera e) della Costituzione.
8) Dall'analisi svolta emerge come la normativa esaminata si
ponga in contrasto con l'art. 117 comma I e II, Cost., laddove viene
ad eliminare solo in ambito regionale i vincoli e i limiti posti
dalla disciplina statale in punto di regolazione di aspetti
fondamentali delle attivita' commerciali, mentre e' certo che il
legislatore regionale avrebbe dovuto limitarsi a richiamare la norma
statale piuttosto che intervenire di nuovo su aspetti gia'
compiutamente regolati a livello generale, con l'effetto di porre a
carico unicamente degli operatori della regione Toscana previsioni
limitative, contenenti in definitiva veri e propri obblighi.
Le ingiustificate limitazioni evidenziate pongono la legislazione
regionale in contrasto con i principi statali generali vigenti in
materia, tesi invece verso la concreta realizzazione del principio di
"libera concorrenza" per quanto concerne la regolamentazione delle
grandi strutture di vendita, nonche' degli impianti di distribuzione
carburanti, principio la cui osservanza e' stata ripetutamente
riaffermata dalla Corte costituzionale, quale mezzo per «realizzare
la trasparenza del mercato, la concorrenza, la liberta' d'impresa e
la libera circolazione delle merci, ... in un processo di
modernizzazione», cosi' corte Cost. n. 430/2007).
La norma regionale in esame al contrario, ponendo i vincoli sopra
evidenziati, determina una non giustificabile disparita' di
trattamento con i soggetti esercenti la medesima attivita' nelle
altre zone del territorio nazionale, cosi da eccedere dalle
competenze regionali, incidendo sull'assetto concorrenziale del
commercio, e da invadere la competenza statale in materia di tutela
della concorrenza di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera e)
Cost
Ne' potrebbe argomentarsi, in senso contrario, che essendo la
«tutela della concorrenza» una materia «trasversale», la disposizione
regionale censurata sarebbe legittima in quanto espressione della
competenza legislativa concorrente o residuale delle regioni. Osta
infatti a tale conclusione il rilievo per cui interventi legislativi
regionali di tal genere presuppongono una necessaria sintonia con la
realta' regionale, che nella specie appare assente.
Per tali motivi non pare revocabile in dubbio che le norme
censurate contrastino con il principio di libera concorrenza, intesa
quale pari opportunita' e corretto ed uniforme funzionamento del
mercato, tanto piu' qualora le si esaminino alla luce dei principi
fissati dalla giurisprudenza costituzionale in materia, per cui
"l'espressione "tutela della concorrenza" comprende, tra l'altro, le
misure legislative di promozione che mirano ad aprire un mercato o a
consolidarne l'apertura, eliminando barriere all'entrata, riducendo
od eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacita'
imprenditoriale e della competizione tra imprese, e, in generale,
vincoli alle modalita' di esercizio delle attivita' economiche. In
tale maniera vengono perseguite finalita' di ampliamento dell'area di
libera scelta sia dei cittadini che delle imprese" (Corte cost. n.
430/2007).
Ed e' sufficiente esaminare le disposizioni regionali alla luce
di tale consolidato orientamento, per verificare come esse violino il
concetto di tutela della concorrenza sopra delineato, poiche' tendono
a creare limiti e barriere all'accesso al mercato ed alla libera
esplicazione dell'attivita' imprenditoriale in maniera del tutto
discriminatoria senza alcuna valida ragione, giustificata da
particolari esigenze regionali, ad essa sottesa.
D'altra parte deve ritenersi che il medesimo obbligo affermato
dalla giurisprudenza comunitaria a carico degli Stati membri, "tenuti
in virtu' dell'art. 4, par. 3, TUE, a non mantenere e non adottare
misure legislative o regolamentari suscettibili di eliminare
l'effetto utile delle norme sulla concorrenza applicabili alle
imprese'', (crfr. Ledere, 229/83, sent. 10 gennaio 1985; Vlaamse
Reisbureaus, 311/85, sent. 1° ottobre 1987; Van Eycke, 267/86, sent.
21 settembre 1988; Ahmed Saeed, 66/86, sent. 11 aprile 1989; Inno c.
ATAB, 13/77, sent. 145 novembre 1977; Commissione c. Italia, C-35/96,
sent. 18 giugno 1998), debba del pari sussistere a carico del
legislatore regionale, anche nella considerazione che la
determinazione, per via legislativa e in generale, di limiti alla
liberta' di iniziativa economica privata deve ritenersi di competenza
esclusiva statale, ex art. 117, comma 2, lett e), sussistendo, in
relazione alle liberta' in materia economica ( artt. 41 ss. Cost.),
una implicita riserva di legge (sul punto, cfr. tra tante Corte cost.
n. 9/1973; 97/1969).
P.Q.M.
Alla luce di quanto sopra esposto si conclude affinche' sia
dichiarata l'illegittimita' costituzionale della legge della regione
Toscana del 5 aprile 2013 n. 13, pubblicata sul B.U.R. n. 14 del 10
aprile 2013 recante "Disposizioni in materia di commercio in sede
fissa e di distribuzione di carburanti. Modifiche alla L.R. n.
28/2005 e alla L.R. n. 52/2012 negli artt. 2; 3; 5; 6; 16; 113.
Roma, 5 giugno 2013
L'avvocato dello Stato: Ranucci