N.   69  RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 14 giugno 2006

 
Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 14 giugno 2006 (della Regione Toscana)
 

(GU n. 28 del 12-7-2006)


    
Ricorso  per  la  Regione  Toscana,  in  persona  del  Presidente
pro-tempore,  autorizzato  con delibera della giunta regionale n. 379
del  29 maggio 2006, rappresentata e difesa, come da mandato in calce
al  presente  atto,  dall'avv. Lucia Bora dell'Avvocatura regionale e
dall'avv. Fabio Lorenzoni del Foro di Roma, elettivamente domiciliata
presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via del Viminale n. 43;

    Contro  il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, per
la   dichiarazione   di  illegittimita'  costituzionale  del  decreto
legislativo   3  aprile  2006,  n. 152,  recante  «Norme  in  materia
ambientale»,  attuativo  della legge delega 15 dicembre 2004, n. 308,
pubblicato  nella  Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 88 del 14
aprile   2006,  supplemento  ordinario  n. 96/2006,  con  particolare
riferimento agli articoli:
        3,  comma 4; 6, comma 6; 17; 7, commi 3 e 8; 10, commi 3 e 5;
25,  comma  1,  lettera a); 35, comma 1, lettera b); 42, commi 1 e 3;
25,  comma  1,  lettera b); 51 comma 3; 57, commi 4 e 6; 58, comma 3,
lettere a) e d); 61, comma 1, lettere d) ed e); 63; 64; 65; 75, comma
5;  77,  comma  5;  87,  comma 1; 91, commi 2 e 6; 113, comma 1; 114,
comma  1;  116;  148,  comma 5; 146, comma 6; 154; 155; 159, comma 2;
160,  comma 2, lettera f); 160, comma 2, lettera g); 181, commi 7, 8,
9,  10  e  11; 183, comma 1, lettere f) e q); 185, comma 1; 186; 189,
commi  1  e 3; 195, comma 1, lettera f), comma 2, lettere b), e), l),
m),  s);  196,  comma 1, lettera d); 199, commi 9 e 10; 201, comma 6;
203, comma 2, lettera c); 202, comma 1; 208, comma 19; 212, commi 2 e
3;  214,  commi 2 e 3; 215, commi 1, 3 e 4; 216, commi 1, 3 e 4; 238,
commi  3,  6,  7,  8, 9 e 10; 242, commi 2, 3, 4, 5, 7; 240, comma 1,
lettera b);  252,  commi  3  e 4, per contrasto con gli artt. 11, 76,
117,   118  e  119  della  Costituzione  e  del  principio  di  leale
collaborazione, per i profili di seguito indicati.
    Con  d.lgs.  3  aprile  2006,  n. 152,  recante «Norme in materia
ambientale»,  il  Governo  ha  dato  attuazione  alla legge delega 15
dicembre 2004, n. 308, recante »Delega al Governo per il riordino, il
coordinamento   e   l'integrazione   della  legislazione  in  materia
ambientale e misure di diretta applicazione».
    Il  Governo  ha  elaborato  un  testo unico comprendente tutte le
norme  in  materia  ambientale,  e  cioe':  le  norme concernenti gli
aspetti  della  valutazione  degli  effetti  sull'ambiente di piani o
programmi  (VAS),  di  progetti  od  opere  (VIA)  e l'autorizzazione
integrata  ambientale  (IPPC) [parte seconda]; le norme in materia di
difesa  del  suolo,  di  tutela  delle  acque  dall'inquinamento e la
gestione  delle risorse idriche [parte terza]; le norme in materia di
rifiuti  e  bonifiche  [parte  quarta]; le norme in materia di tutela
dell'aria  [parte  quinta];  ed infine, le norme in materia di tutela
risarcitoria per il danno all'ambiente [parte sesta].
    Restano  escluse  da  detto  testo  unico  la gestione delle aree
protette  nonche'  la  conservazione  e  l'utilizzo sostenibile delle
specie  protette  di  flora  e  fauna  (cfr.  c.d. Direttiva Habitat,
92/43/CEE, attuata in Italia con d.P.R. n. 357/1997, non abrogato dal
testo  unico  in  esame),  le quali continuano ad essere disciplinate
dalle specifiche normative di riferimento.
    Detto  decreto  non  si  e'  tuttavia  limitato  a coordinare e/o
riordinare  la  normativa  dei  diversi  settori su menzionati, ma e'
intervenuto con una disciplina del tutto innovativa.
    D'altra  parte,  la materia disciplinata con il decreto in parola
involge  profili  sicuramente  attinenti  la tutela dell'ambiente, ma
anche  materie  soggette  alla  competenza  legislativa concorrente e
residuale delle regioni, quali la materia del governo del territorio,
la  tutela  della  salute,  la  valorizzazione  dei  beni culturali e
ambientali, l'agricoltura, lo sviluppo economico.
    A tale proposito la Corte costituzionale, alla luce del rinnovato
dato  costituzionale  ad  opera  della  riforma  del  Titolo  V della
Costituzione  con  legge  cost. n. 3/2001, ha chiarito che la materia
della  tutela  dell'ambiente coinvolge profili aventi un'incidenza su
una  pluralita'  di  interessi  e  di  oggetti, che non ricadono solo
nell'esclusiva  competenza  statale,  ma attengono anche a molteplici
ambiti  di competenza regionale; la materia dell' ambiente, «piu' che
una "materia" in senso stretto, rappresenta un compito nell'esercizio
del  quale  lo  Stato  conserva  il  potere  di  dettare  standard di
protezione  uniformi  validi  in tutte le regioni e non derogabili da
queste, cio' non esclude affatto la possibilita' che leggi regionali,
emanate    nell'esercizio   della   potesta'   concorrente   di   cui
all'art. 117,   terzo   comma,   della   Costituzione,  o  di  quella
"residuale" di cui all'art. 117, quarto comma, possano assumere fra i
propri scopi anche finalita' di tutela ambientale» (cfr. Corte cost.,
sent.  n. 307/2003  punto  5 del Considerato in diritto; nello stesso
senso anche sent. nn. 407/2002; 222/2003; 62/2005 e 232/2005).
    Pertanto  l'intervento  del  legislatore  statale  in  materia di
ambiente  deve svolgersi nel rispetto delle prerogative delle regioni
costituzionalmente   garantite,  assicurando  alle  stesse  un  ruolo
primario  anche  in considerazione del delicato intreccio tra diverse
materie, di competenza statale e regionale.
    Il  decreto in esame non sembra, invece, raccordarsi con il nuovo
quadro costituzionale e, sotto molti aspetti, le competenze regionali
risultano   compresse   (anche   rispetto   al  quadro  normativo  di
riferimento antecedente la riforma del Titolo V, ed in particolare al
riparto  di  funzioni  delineato  dal d.lgs. n. 112/1998); inoltre il
decreto,  sotto  molti  profili  appare  in  contrasto  con la stessa
normativa   comunitaria   in  materia  di  ambiente;  tutto  cio'  in
violazione  quindi  degli  artt. 11,  76,  117, 118 e 119 Cost. ed in
generale dei principi costituzionali di sussidiarieta', adeguatezza e
di leale collaborazione.
    A)  La  parte  prima  contiene  disposizioni  generali;  la parte
seconda   disciplina  le  procedure  per  la  valutazione  ambientale
strategica  (VAS),  per  la valutazione di impatto ambientale (VIA) e
per  l'autorizzazione  ambientale integrata (IPPC). Con riferimento a
tali due parti si contestano i seguenti articoli:
    A.1)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 3,  comma  4, per
violazione  degli artt. 117 e 118 Cost. - Violazione del principio di
leale cooperazione.
    La norma in esame prevede che, per le modifiche e le integrazioni
delle  norme  tecniche  in  materia  ambientale, provveda il Ministro
dell'ambiente  e della tutela del territorio attraverso l'adozione di
uno   o   piu'   regolamenti   ministeriali,  ai  sensi  della  legge
n. 400/1998.
    Non  puo'  negarsi  che  tali norme tecniche, costituendo i nuovi
parametri di riferimento per l'esercizio delle funzioni in materia di
tutela  e valorizzazione dell'ambiente, sono destinate ad incidere in
maniera   rilevante   anche  sullo  svolgimento  di  altre  funzioni,
attinenti  al  governo del territorio, alla tutela della salute, alla
valorizzazione  dei  beni  culturali  ed  ambientali,  riservate alla
potesta'  concorrente delle regioni, ai sensi dell'art. 117, comma 3,
Cost.
    Come  gia'  sopra  rilevato,  secondo  l'insegnamento della Corte
costituzionale,  l'intervento  del  legislatore statale in materia di
ambiente  deve svolgersi nel rispetto delle prerogative delle regioni
costituzionalmente   garantite,  assicurando  alle  stesse  un  ruolo
primario,  anche in considerazione del delicato intreccio tra diverse
materie, di competenza statale e regionale.
    Trattandosi quindi della disciplina di aspetti che incidono sotto
molteplici  profili  con  l'esercizio  di  funzioni  attribuite  alle
regioni,  l'intervento  statale,  a  maggior  ragione attraverso atti
amministrativi  quali sono i regolamenti, e' ammissibile soltanto nei
termini  e  alle condizioni stabilite dalla Corte costituzionale gia'
con  la  sentenza  n. 303/2003  (poi successivamente ribadite, tra le
altre,  con  le  sentenze  n. 6/2004  e 383/2005), e cioe' prevedendo
adeguati meccanismi concertativi con le regioni.
    In   particolare   con   la   sentenza   n. 383/2005   la   Corte
costituzionale  ha sottolineato che l'esercizio da parte «dello Stato
di  un  delicato  potere amministrativo, per di piu' connesso con una
molteplicita'  di  altre  funzioni  regionali, quanto meno in tema di
tutela  della  salute  e  di  governo  del  territorio,  deve  essere
accompagnato  dalla  previsione  di  un'intesa in senso forte fra gli
organi  statali  e  le  regioni  e  le province autonome direttamente
interessate.  (...)  La  sicura  indiretta incidenza sul territorio e
quindi   sui  relativi  poteri  regionali,  rende  costituzionalmente
obbligata  la  previsione  di un'intesa in senso forte fra gli organi
statali  e  il  sistema delle autonomie territoriali rappresentato in
sede di conferenza unificata».
    Nella  stessa  pronuncia  la  Corte  costituzionale  precisa  che
«nell'attuale  situazione,  infatti,  come questa Corte ha piu' volte
ribadito  a  partire dalla sentenza n. 303 del 2003 (cfr., da ultimo,
le  sentenze  n. 242  e  n. 285  del 2005), tali intese costituiscono
condizione    minima    e   imprescindibile   per   la   legittimita'
costituzionale  della  disciplina legislativa statale che effettui la
"chiamata  in  sussidiarieta'"  di  una  funzione  amministrativa  in
materie  affidate alla legislazione regionale, con la conseguenza che
deve  trattarsi  di  vere e proprie intese "in senso forte", ossia di
atti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili
con  decisione  unilaterale  di  una  delle  parti.  In  questi casi,
pertanto,   deve   escludersi   che,   ai  fini  del  perfezionamento
dell'intesa,  la  volonta'  della  regione  interessata  possa essere
sostituita  da una determinazione dello Stato, il quale diverrebbe in
tal  modo  l'unico attore di una fattispecie che, viceversa, non puo'
strutturalmente ridursi all'esercizio di un potere unilaterale».
    Infine,  con  la  sentenza n. 62/2005, la Corte costituzionale ha
precisato  che,  pur  nell'esercizio di funzioni in materia di tutela
ambientale,  di  competenza esclusiva statale, «quando gli interventi
individuati  come  necessari  e  realizzati  dallo stato, in vista di
interessi   unitari   di  tutela  ambientale,  concernono  l'uso  del
territorio,   e  in  particolare  la  realizzazione  di  opere  e  di
insediamenti  atti  a  condizionare  in  modo rilevante lo stato e lo
sviluppo  di singole aree, l'intreccio, da un lato, con la competenza
regionale concorrente in materia di governo del territorio, oltre che
con  altre  competenze  regionali,  dall'altro lato con gli interessi
delle  popolazioni  insediate  nei  rispettivi  territori, impone che
siano  adottate modalita' di attuazione degli interventi medesimi che
coinvolgano, attraverso opportune forme di collaborazione, le regioni
sul  cui territorio gli interventi sono destinati a realizzarsi (cfr.
sentenza n. 303 del 2003)».
    Per  contro  la  norma  in  esame prevede il potere unilaterale e
discrezionale  del  Ministro dell'ambiente di modificare ed integrare
le  norme  tecniche  in  materia  ambientale,  attraverso atti aventi
natura  regolamentare,  tuttavia  incidendo,  in  tal  modo, anche su
materie   soggette  alla  potesta'  regionale,  e  cio'  senza  alcun
coinvolgimento delle regioni e/o della Conferenza Stato-regioni.
    La  mancata previsione di un coinvolgimento regionale comporta la
violazione  degli  artt. 117  e  118  Cost.  e del principio di leale
collaborazione,  in  quanto  le  regioni  risultano del tutto escluse
dalla   determinazione   dei   criteri   tecnici  in  esame,  benche'
l'applicazione  concreta di detti criteri incida incontestabilmente -
come  gia'  detto  - sulle competenze regionali in materia di governo
del  territorio,  tutela  della  salute  e  valorizzazione  dei  beni
culturali ed ambientali.
    A.2)   Illegittimita'   costituzionale  dell'art. 6,  comma  6  e
dell'art. 17 per violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
    Si  contestano  gli articoli in epigrafe indicati, nella parte in
cui  non prevedono la partecipazione delle regioni al procedimento di
valutazione  strategica  (VAS)  di  piani  e  programmi di competenza
statale.
    L'art. 6 disciplina la Commissione statale tecnico-consultiva cui
compete  l'istruttoria  per  le  valutazioni  ambientali  di  piani e
programmi (VAS), nonche' di progetti (VIA), di competenza statale. Al
comma  6,  l'articolo  in  esame  stabilisce  che,  in  ragione degli
specifici  interessi  regionali  di  volta  in  volta  coinvolti,  la
sottocommissione  sia integrata da un esperto designato dalla regione
interessata.
    E'  evidente  che secondo quanto disposto dalla norma in esame in
merito  alla  composizione  e  al  funzionamento  di detto organo, la
regione ha un ruolo eventuale e del tutto marginale all'interno della
Commissione:  la partecipazione regionale infatti e' subordinata alla
previa  dichiarazione  di  interesse  richiesta  di volta in volta al
Ministro dell'ambiente e alla nomina di un esperto.
    La  partecipazione  alla Commissione «allargata» e' l'unica forma
di   intervento   della   regione  nel  procedimento  di  valutazione
strategica (VAS) di piani e programmi di competenza statale, prevista
dal decreto in esame, e quindi l'unica occasione che ha la regione di
esprimere le proprie determinazioni in ordine ad aspetti che, oltre a
riguardare  problematiche  ambientali,  incidono  direttamente  sulla
programmazione e sull'uso del proprio territorio.
    L'art. 17  del  decreto, infatti, che descrive l'iter procedurale
finalizzato all'espressione del giudizio di compatibilita' ambientale
del  piano  e/o  programma  di competenza statale, non prevede alcuna
partecipazione  o  consultazione  delle  regioni alla valutazione dei
piani o programmi, come e' invece previsto per il procedimento di VIA
statale,  nel  quale  le  regioni  sono  necessariamente  chiamate ad
esprimere  il  proprio  parere  sul  progetto  di opera ed intervento
esaminato (cfr. art. 36, comma 4 del decreto in esame).
    Ne'  puo'  sostenersi  che  le  prerogative  costituzionali delle
regioni  siano adeguatamente garantite attraverso il meccanismo delle
«consultazioni»  descritte  all'art. 10  di detto decreto, secondo il
quale  «chiunque ne abbia interesse puo' prendere visione del piano o
programma   e   del   relativo   rapporto   ambientale  depositati  e
pubblicizzati  a  norma dei commi 1, 2, 3» e «puo' presentare proprie
osservazioni  anche fornendo nuovi o ulteriori elementi conoscitivi e
valutativi».  E'  infatti evidente che in sede di dette consultazioni
le  regioni sono parificate alla stregua di qualsiasi soggetto, anche
privato  cittadino, che esprime le proprie considerazioni sul piano o
programma, e non viene in alcun modo assicurato il necessario momento
collaborativo    con    l'Amministrazione   regionale,   quale   ente
rappresentativo degli interessi di tutta la comunita' di riferimento,
in  ordine  ad aspetti di propria competenza, quali la valorizzazione
ambientale, il governo del territorio e la tutela della salute.
    Cio'  e'  tanto  piu'  grave  se  si  considera che l'art. 33 del
decreto,  recante  la  disciplina  sulla  relazione  tra  VAS  e VIA,
prevede,  ulteriormente,  che «Per progetti di opere ed interventi da
realizzarsi  in  attuazione  di  piani  o programmi gia' sottoposti a
valutazione  ambientale  strategica, e che rientrino tra le categorie
per  le  quali e' prescritta la valutazione di impatto ambientale, in
sede  di  esperimento  di  quest'ultima  costituiscono dati acquisiti
tutti  gli  elementi positivamente valutati in sede di valutazione di
impatto  strategico  o  comunque  decisi  in sede di approvazione del
piano o programma».
    In  base alla disposizione appena richiamata, quindi, nel caso in
cui  la  regione  si  trovi  ad  effettuare la valutazione di impatto
ambientale  (VIA)  di  un  progetto di opera od intervento di propria
competenza,  che  sia  ricompreso all'interno di un piano o programma
gia'  sottoposto  a  valutazione  strategica  in  sede  statale, alle
regioni viene ad essere precluso sindacare aspetti gia' positivamente
valutati  in occasione del procedimento di VAS statale, procedimento,
si  ripete,  che  non  contempla una reale ed adeguata partecipazione
della regione interessata.
    Da  tutto  quanto  sopra  discende  pertanto  la violazione degli
artt. 117 e 118 Cost.
    Si evidenzia ulteriormente il contrasto della disciplina in esame
con  la  Direttiva  2001/42/CE  (recante la disciplina concernente la
valutazione   degli   effetti   di   determinati  piani  e  programmi
sull'ambiente),  che  -  contrariamente a quanto stabilito dal d.lgs.
n. 152/2006  -  sottolinea con forza il ruolo della partecipazione ai
procedimenti di VAS dei soggetti istituzionali, competenti in materia
ambientale  e  territoriale  e, conseguentemente, il contrasto con la
legge  delega n. 308/2004 e, in particolare, con i principi e criteri
di  cui  alle  lettere e) ed f), secondo i quali il nuovo testo unico
avrebbe  dovuto  dare, da un lato, «piena e coerente attuazione delle
direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela
dell'ambiente  e  di contribuire in tale modo alla competitivita' dei
sistemi   territoriali   e   delle   imprese,  evitando  fenomeni  di
distorsione  della  concorrenza»;  e,  dall'altro,  «affermazione dei
principi  comunitari  di prevenzione, di precauzione, di correzione e
riduzione  degli  inquinamenti e dei danni ambientali e del principio
"chi inquina paga"».
    Da cio' discende pertanto anche la violazione dell'art. 11 Cost.,
per  il  contrasto con il diritto comunitario e, quindi, dell'art. 76
Cost. per eccesso di delega.
    A.3)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 7,  comma  3  per
violazione  degli  artt. 117  e 118 Cost. Violazione del principio di
leale cooperazione.
    La norma in esame prevede che siano sottoposti a VAS, oltre che i
piani  e  programmi indicati al precedente comma 2 dell'art. 7, anche
quei  piani  e  programmi  contenenti  la  definizione  del quadro di
riferimento  per la realizzazione di opere, le quali, pur non essendo
sottoposte a VIA, possono avere effetti significativi sull'ambiente e
sul   patrimonio   culturale,  secondo  un  giudizio  espresso  dalla
sottocommissione statale competente per la VAS.
    In base a tale disposizione, quindi, e' la sottocommissione (alla
quale, si ripete, la regione interessata partecipa, in via eventuale,
solo  attraverso  la  figura  di  un  esperto)  che  ha  il potere di
indicare,  caso  per  caso,  gli  ulteriori  piani  da  sottoporre  a
valutazione   ambientale  strategica,  senza  distinguere  tra  piani
statali e regionali.
    Sara'  quindi  lo  Stato,  attraverso l'organo tecnico citato, ad
indicare,  di  volta in volta, quale, anche tra i piani regionali non
ricompresi  tra  i  casi  elencati  nel  testo unico in esame, sia da
sottoporre  a  giudizio  di  compatibilita'  ambientale.  E' evidente
pertanto  che  tale  individuazione  e'  espressione  della  volonta'
unilaterale  dello  Stato,  senza che la regione partecipi in maniera
effettiva a tale decisione: cio' determina una sicura ingerenza nelle
competenze regionali costituzionalmente garantite, prima fra tutte in
materia  di  governo del territorio, ingerenza illegittima, in quanto
non  e'  previsto,  con riferimento ai piani regionali, il necessario
momento  dell'intesa  con  la  regione interessata (cfr. Corte cost.,
sentenze  n. 303  del 2003; n. 6/2004, n. 62, n. 242, n. 285 e n. 383
del  2005,  tutte  gia' citate); cio' in violazione degli artt. 117 e
118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
    A.4)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 7,  comma  8  per
violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
    Con   la  norma  in  esame  vengono  sottratti  alla  valutazione
strategica  i  piani  e programmi relativi ad interventi di telefonia
mobile,  gia'  soggetti  alle  disposizioni  di  cui  all'art. 87 del
decreto legislativo n. 259/2003.
    Preliminarmente  va rilevato che detta esclusione e' innanzitutto
irrazionale,  in  quanto  detti  piani sono immotivatamente esonerati
dalla  valutazione  ambientale  strategica  (VAS),  al pari dei piani
destinati  a  scopi  di  difesa nazionale ed ai piani finanziari e di
bilancio;  ed  infatti  la  previsione  in  parola  non  trova  alcun
riscontro  nella  normativa  comunitaria,  ed  in  particolare  nella
direttiva  comunitaria  2001/42/CE  gia' citata, cui lo Stato, con il
d.lgs. n. 152/2006, asserisce invece di dare attuazione.
    Ne'  detta  esclusione  si  giustifica con il rinvio all'art. 87,
d.lgs.  n. 259/2003: tale articolo infatti disciplina il procedimento
di  autorizzazione per l'installazione di infrastrutture per impianti
radioelettrici  e  per la modifica delle caratteristiche di emissione
degli stessi impianti; in particolare l'articolo in parola stabilisce
che,  ai  fini dell'autorizzazione del progetto, deve preliminarmente
essere  effettuato  un  controllo  della  compatibilita' del progetto
stesso  con  i  limiti  di  emissione,  i  valori di attenzione e gli
obiettivi   di   qualita'  stabiliti  dalla  legge.  Tuttavia,  detto
procedimento   autorizzatorio  riguarda  specificatamente  i  singoli
progetti   per   impianti   radioelettrici  e,  conseguentemente,  il
peculiare  giudizio  di  compatibilita'  ivi  descritto,  puo' essere
considerato una sorta di VIA «speciale» su un determinato intervento.
    L'art. 7,  comma  8,  del  decreto in esame, invece, si riferisce
espressamente  ad atti di pianificazione e programmazione riguardanti
la   globalita'  degli  interventi  da  attuarsi  su  una  parte  e/o
sull'intero   territorio   nazionale,   i   quali  vengono  esonerati
«dall'onere»   della   valutazione   dell'impatto   ambientale  (VAS)
conseguente all'attuazione di detti piani o programmi.
    Tale  disposizione contrasta con la direttiva 2001/42/CE (cfr. in
particolare   l'art. 3,  comma  8  della  direttiva),  in  violazione
dell'art. 11  Cost.  e,  conseguentemente, contrasta con i principi e
criteri  direttivi  individuati dalla legge delega n. 308/2004 - cio'
in  violazione  dell'art. 76  Cost. per eccesso di delega - la quale,
come  visto,  all'art. 1,  comma  8,  lettere  e) ed f), prescrive il
rispetto,  per  i  decreti  delegati,  della normativa comunitaria in
materia di ambiente.
    Le  violazioni  sopra  eccepite  incidono quindi sulle competenze
regionali  costituzionalmente  garantite  in  materia  di governo del
territorio  e  tutela  della  salute, ex art. 117, comma 3 e art. 118
Cost.,  le  quali  risultano  senz'altro  compromesse  dalla  mancata
previsione  della  valutazione  ambientale  strategica  degli atti di
pianificazione in materia di telefonia mobile.
    A.5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 10, commi 3 e 5, per
violazione degli 117 e 118 Cost.
    L'art. 10,   comma   3,   del  d.lgs.  n. 152/2006,  dispone  che
dell'avvenuto   invio  e  del  deposito  del  piano  e  programma  da
sottoporre  a  VAS,  di  cui  al  precedente  comma 2 dell'art. 10 in
questione,  «deve  essere  data  notizia  a  mezzo  stampa secondo le
modalita'  stabilite  con  apposito regolamento, che assicura criteri
uniformi  di  pubblicita'  per tutti i piani e programmi sottoposti a
valutazione   ambientale   strategica,  garantendo  che  il  pubblico
interessato  venga  in  tutti  i  casi  adeguatamente  informato.  Il
medesimo  regolamento  stabilisce  i  casi  e  le  modalita'  per  la
contemporanea  pubblicazione  totale  o  parziale  in  internet della
proposta  di  piano  o  programma  e relativo rapporto ambientale. Il
regolamento   deve   essere   emanato   con   decreto   del  Ministro
dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio entro novanta giorni
dalla  data  di  entrata  in  vigore della parte seconda del presente
decreto.  Fino all'entrata in vigore del regolamento le pubblicazioni
vanno  eseguite  a  cura  e spese dell'interessato in un quotidiano a
diffusione  nazionale  ed in un quotidiano a diffusione regionale per
ciascuna regione direttamente interessata».
    La su citata previsione del comma 3 prescrive che le modalita' di
pubblicazione  totale  e/o parziale del piano o progetto sottoposto a
VAS  siano stabilite con regolamento ministeriale: anche in tal caso,
pertanto,  si  stabilisce  la  competenza  unilaterale  dello Stato a
fissare  le  regole valide anche per le regioni, e per i procedimenti
di   valutazione   strategica   regionali,   senza   prevedere  alcun
coinvolgimento   delle   stesse,   anche   attraverso  la  Conferenza
Stato-regioni.
    Con  il  regolamento  citato  lo  Stato  non  si limita a dettare
«standard  minimi inderogabili» in materia di ambiente ma, in base al
dettato  della  norma  in  esame,  lo  stesso  viene  autorizzato  ad
intervenire  con  una normativa dettagliata e puntuale a disciplinare
le forme di pubblicita' valide per tutti i procedimenti di VAS, anche
regionali.
    E' evidente che, nel momento in cui tali regole sono destinate ad
operare  anche  per i procedimenti di VAS regionale, si determina una
rilevante  ingerenza  nella  potesta'  regionale  di  disciplinare  i
procedimenti di propria competenza.
    Il  regolamento in parola si presenta come atto unilaterale dello
Stato,  senza alcun coinvolgimento delle regioni; ne' viene previsto,
come invece per i procedimenti di VIA regionale (art. 43, comma 4 del
decreto), la possibilita' per le regioni di stabilire forme ulteriori
di pubblicita' rispetto a quelle stabilite dallo Stato.
    Cio'  assume  peculiare  rilievo alla luce di quanto disposto dal
successivo  quinto  comma  dello  stesso  art. 10  che  prevede che i
depositi  e  le  pubblicazioni effettuate per la VAS sostituiscono ad
ogni   effetto   le   modalita'   di  informazione  e  partecipazione
eventualmente previste, in via ordinaria, dalle procedure di adozione
e  approvazione  di  detti  piani  e programmi, anche regionali; tale
ulteriore  disposizione  conferma  la  grave  ingerenza statale nelle
materie  di  competenza  delle  regioni  come l'approvazione di piani
territoriali ed urbanistici, e dei relativi procedimenti. E' pertanto
evidente  la  violazione dell'art. 117, commi 3 e 4, Cost. e art. 118
Cost.  L'intervento  statale  dovrebbe  infatti limitarsi a dettare i
criteri generali al fine di garantire l'adeguatezza dell'informazione
al  pubblico,  e  non  dettare le specifiche modalita' di pubblicita'
vincolanti anche per i procedimenti di VAS regionali.
    In  ogni caso, l'illegittimita' di un intervento regolamentare in
tale  materia,  non  puo'  ritenersi  superata  neanche alla luce del
principio  di  sussidiarieta',  in quanto, nel caso di specie, manca,
comunque,  il  momento  dell'intesa con le regioni, in violazione del
principio  di  leale  collaborazione, ritenuto necessario dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 303/2003, gia' citata (orientamento
poi   ribadito,   come  gia'  visto,  con  le  sentenze  della  Corte
costituzionale n. 6/2004, n. 62, n. 242, n. 285 e n. 383 del 2005).
    A.6)   Illegittimita'   costituzionale   dell'art. 25,  comma  1,
lettera a);  dell'art. 35, comma 1, lettera b), dell'art. 42, commi 1
e 3, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    L'art. 25  in  epigrafe  citato  prevede  che  siano sottoposti a
valutazione  di  impatto  ambientale  (VIA)  in  sede statale anche i
progetti  aventi  impatto interregionale; tale previsione e' ribadita
inoltre  dall'art. 35,  comma  1,  lettera b),  il  quale conferma la
competenza  statale  per  le  opere  o gli interventi localizzati sul
territorio  di  piu'  regioni  e/o che comunque possano avere impatti
rilevanti  su  piu'  regioni,  e dall'art. 42, commi 1 e 3, ove viene
descritto il procedimento attraverso il quale la regione, nel caso di
opere a valenza interregionale, deve dichiararsi incompetente.
    In  base  alle  disposizioni sopra richiamate, la quasi totalita'
delle  procedure  di VIA possono essere attribuite allo Stato: non e'
chi  non  veda,  infatti, la genericita' e/o l'indeterminatezza della
disciplina  in  esame nell'indicare la competenza statale in ordine a
progetti  di  opere  ed interventi localizzati sul territorio di piu'
regioni o che possono avere impatti rilevanti su piu' regioni.
    Dette  disposizioni  rafforzano  oltremodo l'ambito di competenza
statale  in materia di VIA: fin'ora, infatti, le opere aventi impatti
interregionali erano sottoposti a forme di codecisione tra le regioni
coinvolte,  si  procedeva  cioe'  tramite intesa tra tutte le regioni
interessate (cosi' art. 20 della l.r. Toscana n. 79/1998).
    Con  la  disciplina  in esame si attua invece un accentramento di
tali  funzioni,  senza peraltro prevedere, per detti procedimenti, la
necessaria intesa con le regioni, le quali sono chiamate ad esprimere
un  mero  parere,  come  per tutti gli altri interventi sottoposti ad
autorizzazione  statale  (cfr.  art. 36,  comma  4,  del decreto): si
ripete  che  i  profili  che  vengono  in rilievo nella disciplina in
oggetto  riguardano  non  solo la materia della tutela ambientale, ma
incidono sicuramente sull'utilizzo del territorio, sulla tutela della
salute  e  sulla valorizzazione dei beni ambientali, tutte materie di
competenza  regionale.  Non puo' pertanto essere negata la necessita'
di   prevedere   adeguate   forme  di  partecipazione  delle  regioni
interessate   ai   procedimenti  in  questione,  secondo  i  principi
stabiliti con la nota sentenza della Corte costituzionale n. 303/2003
(cfr.  anche  la sentenza della Corte costituzionale n. 62/2005, gia'
citata).
    Di qui i vizi eccepiti.
    A.7)   Illegittimita'   costituzionale   dell'art. 25,  comma  1,
lettera b) per violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
    La  disposizione  in esame stabilisce che nei casi di valutazione
di  impatto  ambientale  (VIA)  non statale, tale valutazione compete
«all'autorita'  individuata  dalla regione o dalla provincia autonoma
con  propria  legge, tenuto conto delle attribuzioni della competenza
al  rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione delle varie opere
ed  interventi  e  secondo  le procedure dalla stessa stabilite sulla
base  dei  criteri  direttivi di cui al capo III del presente titolo,
ferme restando le disposizioni comuni di cui al presente capo I».
    La norma appare di non facile interpretazione.
    Se  il  suo  significato e' quello di dare delle mere indicazioni
alle  regioni  circa la scelta dell'ente in capo al quale allocare il
procedimento di valutazione di impatto ambientale, allora il rispetto
delle competenze regionali appare garantito.
    Viceversa,  se  le  regioni  fossero  obbligate  ad attribuire il
procedimento  di  VIA  all'ente  titolare  del potere autorizzatorio,
allora  si avrebbe una diretta ingerenza nella potesta' delle regioni
di allocare le funzioni e, quindi, di scegliere il livello di governo
piu'  idoneo  ad  esercitare  la  VIA,  in  palese  violazione  degli
artt. 117 e art. 118 Cost.
    Si  osserva,  inoltre,  che  allocare in capo al medesimo ente il
potere  autorizzatorio dell'opera o del progetto e contemporaneamente
la  competenza  alla  valutazione  dell'impatto sull'ambiente di tale
opera,  si pone in evidente contrasto con la normativa comunitaria ed
in particolare con la direttiva 85/337/CEE (recante la disciplina dei
procedimenti  di VIA su progetti pubblici e privati), la quale impone
innanzitutto  che  «gli  effetti di un progetto sull'ambiente debbono
essere  valutati  per  proteggere la salute umana, contribuire con un
migliore   ambiente   alla   qualita'   della   vita,  provvedere  al
mantenimento della varieta' delle specie e conservare la capacita' di
riproduzione  dell'ecosistema  in  quanto risorsa essenziale di vita»
(undicesimo considerando della Premessa). L'art. 3 delle direttiva in
esame,  poi,  prevede  espressamente che «La valutazione dell'impatto
ambientale  individua,  descrive  e  valuta, in modo appropriato, per
ciascun  caso  particolare  e  a  norma degli articoli da 4 a 11, gli
effetti diretti e indiretti di un progetto sui seguenti fattori:
        l'uomo, la fauna e la flora;
        il suolo, l'acqua, l'aria, il clima e il paesaggio;
        i beni materiali ed il patrimonio culturale;
        l'interazione  tra i fattori di cui al primo, secondo e terzo
trattino».
    Ed   infatti,   oggi  -  conformemente  alle  finalita'  indicate
dall'ordinamento  comunitario - la maggior parte delle autorizzazioni
sono  rilasciate  dagli  enti  locali,  comuni  e province, mentre la
valutazione  dell'incidenza  sull'ambiente di dette opere spetta alla
regione.  Cio'  proprio a maggiore garanzia delle valenze ambientali,
quali  -  secondo il disposto della Direttiva citata - l'ecosistema e
la  conservazione  delle specie, che evidentemente hanno implicazioni
sovracomunali e/o sovraprovinciali.
    Si  eccepisce  pertanto  ulteriormente la violazione dell'art. 11
Cost.  e,  quindi  dell'art. 76 Cost. per eccesso di delega: la legge
delega   n. 308/2004,  infatti,  come  gia'  evidenziato,  impone  il
rispetto  della  normativa  comunitaria  in  materia ambientale (cfr.
art. 1, comma 8, lettere e) ed f) legge n. 308/2004).
    A.8)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 51  comma  3, per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    La  norma  in  esame  dispone  che «Le norme tecniche integrative
della  disciplina  di  cui  al  titolo  III  della  parte seconda del
presente  decreto,  concernenti  la  redazione degli studi di impatto
ambientale  e  la  formulazione  dei  giudizi  di  compatibilita'  in
relazione a ciascuna categoria di opere, sono emanate con decreto del
Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  previa  deliberazione del
Consiglio  dei  ministri,  su  proposta  del Ministro dell'ambiente e
della  tutela  del  territorio, di concerto con i Ministri competenti
per materia e sentita la Commissione di cui all'art. 6».
    Detta  norma  prevede,  ancora  una  volta, che le norme tecniche
integrative della disciplina sulla VIA, siano emanate con decreto del
Presidente  del Consiglio, su proposta del Ministro dell'ambiente, di
concerto  con  i Ministri competenti per materia, e «solo» sentita la
Commissione  statale  di  cui all'art. 6, cui peraltro la regione, si
ripete,   partecipa  solo  in  via  eventuale  attraverso  la  figura
dell'esperto.
    Anche nel caso in esame, pertanto, lo Stato detta unilateralmente
una disciplina che va ad incidere non solo sulla materia della tutela
dell'ambiente  ma  che  ha sicure ricadute anche su materie, quali il
governo  del  territorio,  la tutela della salute e la valorizzazione
dei beni ambientali e culturali, di competenza regionale concorrente,
ai  sensi  dell'art. 117,  comma  3,  Cost., senza prevedere adeguati
meccanismi  di  concertazione con le regioni, attraverso l'intesa con
la Conferenza Stato-regioni.
    Come gia' evidenziato al punto A.1) del presente ricorso, dato il
complesso  intreccio  di  materie, anche di competenza regionale, che
vengono  in  rilievo  nella  determinazione  di dette norme tecniche,
l'intervento   dello   Stato  e'  ammissibile  solo  alle  condizioni
individuate  dalla  Corte, costituzionale con la sentenza n. 303/2003
(e successivamente con le sentenze n. 6/2004, n. 62, n. 242, n. 285 e
n. 383  del  2005,  gia'  citate),  e  cioe' prevedendo la necessaria
intesa con la Conferenza Stato-regioni.
    L'omessa  previsione  dell'intesa  determina quindi la violazione
degli artt. 117, 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
    B)  Gli  artt. 57,  58, 61, 63, 64, 65 sono collocati nella parte
terza,  sezione  prima,  contenente le norme in materia di difesa del
suolo e lotta alla desertificazione.
    Questa  si  compone  di due titoli: il primo concernente principi
generali  e  il  riparto  di  competenze  ed  il  secondo relativo ai
distretti idrografici, agli strumenti e agli interventi.
    Tali   norme  attengono  alla  difesa  del  suolo  che,  in  base
all'art. 117  Cost.,  rientra  nella materia «governo del territorio»
soggetta  a  potesta'  legislativa  concorrente  e in cui, quindi, lo
Stato  puo'  dettare i principi fondamentali, cui devono attenersi le
regioni nell'elaborazione delle proprie normative.
    Invece  questa e' una delle parti del decreto maggiormente lesiva
della  competenza  regionale  in  materia  di governo del territorio,
perche'  incide sulla pianificazione territoriale ed anche sugli atti
di  programmazione regionali, dettando una disciplina puntuale. Tanto
premesso  si  ravvisano  i  seguenti  profili  di  contrasto  con  le
prerogative regionali:
    B.1)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 57, quarto e sesto
comma,  per  violazione  degli  artt. 117  e 118 Cost. Violazione del
principio della leale collaborazione.
    L'art. 57  elenca  le  funzioni  del Presidente del Consiglio dei
Ministri  e  del Comitato dei ministri per gli interventi nel settore
della difesa del suolo.
    In  particolare  tale  Comitato  opera  presso  la Presidenza del
Consiglio  dei  ministri;  e'  presieduto dal Presidente stesso ed e'
composto  dal  Ministro  dell'ambiente e della tutela del territorio,
dai  Ministri  delle  infrastrutture  e  trasporti,  delle  attivita'
produttive,  delle  politiche  agricole  e  forestali, per gli affari
regionali  e per i beni e le attivita' culturali nonche' dal delegato
del  Presidente  del  Consiglio dei Ministri in materia di protezione
civile.
    Al  Comitato  sono  attribuite  funzioni  di  alta vigilanza e di
coordinamento  del  programma  nazionale  di  intervento  con  quelli
regionali e degli altri enti pubblici nazionali.
    In  tale  contesto  il quarto comma dispone che per assicurare il
necessario  coordinamento tra le diverse amministrazioni interessate,
«il  Comitato  dei  ministri  propone  gli  indirizzi delle politiche
settoriali direttamente o indirettamente connesse con gli obiettivi e
i  contenuti  della  pianificazione  di  distretto  e  ne verifica la
coerenza nella fase di approvazione dei relativi atti».
    Tale disposizione e' molto estesa.
    Infatti, leggendo il successivo art. 65, che indica gli obiettivi
e  i contenuti del piano di distretto, e' agevole verificare che tale
piano   presenta   connessioni   con  le  piu'  importanti  politiche
settoriali    rientranti    in   ambiti   di   competenza   regionale
(utilizzazione  delle  risorse forestali, agrarie, estrattive; pesca;
navigazione; risorse idriche).
    Ebbene, la norma in esame attribuisce al Comitato dei ministri il
compito di proporre (per l'approvazione con d.P.C.m.) indirizzi delle
politiche  settoriali connesse con i contenuti del piano di distretto
e  cio'  anche  ove  tale  connessione  sia  solo indiretta: cosi' si
attribuisce   all'Amministrazione  statale  un  rilevante  potere  di
indirizzo  che potra' essere rivolto anche nei confronti dei piani di
settore    di   competenza   regionale,   con   conseguente   lesione
dell'art. 117 Cost.
    E'  in  ogni caso violato l'art. 118 Cost. perche' non si prevede
che   i   suddetti   indirizzi   siano   definiti   previo   adeguato
coinvolgimento  delle  regioni  interessate  che  poi  sono  tenute a
recepire ed adeguarsi agli indirizzi stessi.
    A  tale  proposito  non  puo'  infatti  ritenersi  sufficiente la
previsione  del sesto comma della disposizione, ove si stabilisce che
«i  principi  degli  atti  di  indirizzo  e  coordinamento  di cui al
presente  articolo sono definiti sentita la Conferenza permanente per
i  rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento
e Bolzano».
    In  primo  luogo  non e' chiaro se anche le proposte di indirizzi
elaborate  dal  Comitato  dei  ministri ricadano nella previsione del
citato  sesto  comma,  non  trattandosi,  propriamente, di un atto di
indirizzo e coordinamento.
    In  ogni  caso  gli  indirizzi  che  il  Comitato e' abilitato ad
elaborare  diventano  poi  idonei  a  condizionare  le  scelte  delle
politiche   settoriali   della  regione  e  percio'  il  procedimento
concertativo  necessario  per la leale collaborazione dovrebbe essere
seguito  per l'adozione degli indirizzi e non solo dei principi degli
atti  di  indirizzo, come invece dispone la norma; cio' anche perche'
non si comprende in che cosa consistano «i principi degli indirizzi».
    Inoltre   la  norma  prevede  solo  il  parere  della  Conferenza
Stato-regioni,  insufficiente  a  garantire  il  reale  ed  effettivo
coinvolgimento  delle  regioni,  stante  la  forte interferenza che i
suddetti   indirizzi   vengono  ad  avere  sui  piani  di  competenza
regionale.
    Percio' appare incostituzionale, per violazione degli artt. 117 e
118  Cost.,  anche  il  sesto comma la' dove non prevede l'intesa (in
luogo  del  parere)  per la definizione degli indirizzi (in luogo dei
soli principi degli atti di indirizzo) di cui al quarto comma.
    La  lesione  eccepita sussiste anche per un ulteriore profilo: e'
previsto  che  il  Comitato  «verifica  la  coerenza  delle politiche
settoriali»,  nella  fase di approvazione dei relativi atti; cosi' si
introduce  una  forma  di  controllo  di  atti  regionali,  in cui si
esprimono   le   politiche   settoriali,  non  prevista  dalle  norme
costituzionali  e  idonea  a  interferire  nelle decisioni adottate a
livello   regionale,   con  conseguente  ulteriore  violazione  degli
artt. 117 e 118 Cost.
    B.2)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 58,  terzo comma,
lettere  a)  e  d),  per  violazione  degli  artt. 117  e 118 Cost. -
Violazione del principio della leale collaborazione.
    L'art. 58  elenca  le  competenze  del  Ministero dell'ambiente e
della  tutela  del  territorio;  tra  queste  attribuisce al medesimo
Ministero:
        la  programmazione,  il  finanziamento  e  il controllo degli
interventi in materia del suolo (lettera a);
        l'identificazione  delle  linee fondamentali dell'assetto del
territorio  nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali
e  alla difesa del suolo, nonche' con riguardo all'impatto ambientale
dell'articolazione  territoriale  delle  reti infrastrutturali, delle
opere  di  competenza  statale  e  delle  trasformazioni territoriali
(lettera d).
    Le  suddette competenze attribuite al Ministero appaiono invasive
delle attribuzioni regionali in materia di governo del territorio.
    Infatti    la   lettera a)   riguarda   la   programmazione,   il
finanziamento  e  controllo  di  tutti  gli  interventi in materia di
difesa del suolo, attribuiti omnicomprensivamente al Ministero, senza
alcun  ruolo  delle regioni alle quali e' riconosciuto un mero potere
di  proposta  e  di osservazione da esercitarsi in sede di Conferenza
Stato-regioni (art. 59).
    La   lettera d)   presenta   un'interferenza   rilevante  con  le
attribuzioni  regionali  in materia di governo del territorio perche'
alloca  in  capo  al  Ministro,  senza  alcuna intesa con la regione,
l'identificazione   delle   linee   fondamentali   dell'assetto   del
territorio  con  riguardo  all'impatto  ambientale dell'articolazione
territoriale delle reti infrastrutturali.
    Ne'  puo'  obiettarsi  che  la  norma  si  riferisce  alle «linee
fondamentali».   Queste,  infatti,  riguardano  l'impatto  ambientale
dell'articolazione  territoriale delle reti infrastrutturali; cio' in
sostanza  significa  che  si  danno i criteri per l'allocazione delle
reti  infrastrutturali  che,  come  e' noto, sono le opere di maggior
incidenza sul territorio, con invitabili ripercussioni sulla potesta'
regionale in materia.
    La  situazione  e'  pertanto  analoga a quella decisa dalla Corte
costituzionale  nella sentenza n. 303/2003, in riferimento alle opere
infrastrutturali strategiche, ove la Corte ha riconosciuto essenziale
che  in tutte le fasi, dalla programmazione di tali opere strategiche
sino  all'approvazione  dei  relativi progetti, sia prevista una fase
concertativa  tra  lo Stato e le regioni, stante l'interferenza della
realizzazione  di  dette opere con le competenze regionali in materia
di governo del territorio.
    Nel  caso  in esame non si prevede l'intesa; percio' sono violati
gli articoli 117 e 118 Cost.
    B.3)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 61,  primo comma,
lettere d) ed e) per violazione degli artt. 76 e 117 Cost.
    L'articolo  elenca  le  competenze  delle regioni. In generale si
rileva   che  le  stesse  vengono  esautorate  delle  loro  peculiari
competenze  in  materia di governo del territorio; alla regione, come
pure  agli  enti locali, vengono attribuite soltanto alcune attivita'
attuativo-gestionali,  peraltro  in applicazione di decisioni assunte
in sede statale.
    Questo e' un considerevole sostanziale passo indietro rispetto al
decentramento  attuato  con  il d.lgs. n. 112/1998 e alla riforma del
Titolo  V  della  Costituzione  ed ha pesanti ricadute per la regione
Toscana  che  ha  elaborato  fondamentali  atti  di  pianificazione e
programmazione   settoriale,  impostati  su  una  stretta  logica  di
concertazione istituzionale con gli enti locali.
    Piu'   in  particolare,  la  disposizione  elenca  le  competenze
regionali;  tra  queste  la  lettera d) prevede che le regioni per la
parte  di  propria  competenza  dispongono  la redazione e provvedono
all'approvazione  e  all'esecuzione  dei progetti, degli interventi e
delle  opere da realizzare nei distretti idrografici, istituendo, ove
occorra, gestioni comuni; la lettera e) prevede che le regioni per la
parte  di  propria  competenza  provvedono  all'organizzazione  e  al
funzionamento  del  servizio  di polizia idraulica ed a quelli per la
gestione  e  la  manutenzione  delle  opere  e  degli  impianti  e la
conservazione dei beni.
    A  tale  proposito  il  d.lgs.  n. 112/1998 aveva trasferito alle
regioni funzioni e compiti in tale ambito; in particolare:
        i servizi di polizia idraulica e pronto intervento nonche' la
gestione dei relativi impianti erano stati trasferiti alle regioni ai
sensi dell'art. 89, lettera c);
        la manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere e degli
impianti  nel  settore  e  la  conservazione  dei beni costituiva una
funzione  trasferita (art. 89. lettera g) relativa alla polizia delle
acque;
        la   progettazione,  realizzazione  e  gestione  delle  opere
idrauliche  di  qualsiasi natura era funzione trasferita alle regioni
ai sensi dell'art. 89, lettera a).
    Considerando  che  la legge delega n. 308/2004 individuava, tra i
principi  direttivi,  che  i  futuri decreti legislativi si sarebbero
conformati  al  rispetto  delle attribuzioni regionali, come definite
dal  d.lgs.  n. 112/1998  (art. 1, comma 8), e' ravvisabile un palese
contrasto,  sui  punti  richiamati,  tra  il contenuto della delega e
quello  della  disposizione in esame del decreto legislativo. Infatti
le  norme  affermano che le regioni «per la parte di loro competenza»
dispongono    la    redazione   e   provvedono   all'approvazione   e
all'esecuzione  dei  progetti,  degli  interventi  e  delle  opere da
realizzare nei distretti idrografici, nonche' svolgono il servizio di
polizia  idraulica,  di  piena  e  pronto  intervento  idraulico,  la
gestione  e manutenzione delle opere; cio' in contrasto con il d.lgs.
n. 112/19998  dove  queste funzioni erano interamente trasferite alle
regioni.
    In     generale,    attraverso    questa    tecnica    normativa,
l'Amministrazione   statale   si   riappropria  delle  funzioni  gia'
esercitate da tempo dalle regioni (e dagli enti locali cui le regioni
hanno  nel  tempo  attribuito  tali  funzioni,  in  applicazione  del
principio di sussidiarieta).
    Per    i   citati   motivi   le   impugnate   disposizioni   sono
incostituzionali per contrasto con gli artt. 76 e 117 Cost.
    B.4)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 63, per violazione
degli  articoli  76, 117 e 118 Cost. - Violazione del principio della
leale collaborazione.
    L'art. 63  sopprime  le  vigenti  autorita' di bacino e, al primo
comma,  prevede  che  in  ogni  distretto  idrografico  sia istituita
l'Autorita'  di  bacino  distrettuale, ente pubblico non economico, i
cui    organi    sono   il   Segretario   generale,   la   Segreteria
tecnico-operativa,   la  Conferenza  istituzionale  permanente  e  la
Conferenza  operativa  di  servizi.  Il secondo comma dispone che con
d.P.C.m.  entro  trenta  giorni dalla data di entrata in vigore della
parte  terza  del  decreto, saranno definiti i criteri e le modalita'
per  l'attribuzione  o il trasferimento del personale e delle risorse
patrimoniali   e   finanziarie   dalle  vecchie  autorita'  ai  nuovi
organismi.
    Il  terzo  comma  prevede  la soppressione, secca ed immediata, a
partire  dal  30 aprile 2006 delle Autorita' di bacino previste dalla
legge  n. 183/1989;  e'  altresi' stabilito che il d.P.C.m. di cui al
secondo   comma   disciplinera'   il   trasferimento  di  funzioni  e
regolamentera' il periodo transitorio.
    Il  quarto  comma  disciplina  il  funzionamento della Conferenza
istituzionale permanente. Essa e' presieduta e convocata dal Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio; vi partecipano lo stesso
Ministro,   quello   delle  infrastrutture  e  dei  trasporti,  delle
attivita'  produttive,  delle  politiche agricole e forestali, per la
funzione pubblica, per i beni e le attivita' culturali, gli assessori
delle  regioni interessate dal distretto idrografico, il delegato del
dipartimento  della  Protezione  civile.  La Conferenza istituzionale
permanente delibera a maggioranza.
    Il   quinto   comma  definisce  le  competenze  della  Conferenza
permanente, che e' il rilevante organo decisionale dell'Autorita'. In
particolare  essa adotta i criteri ed i metodi per l'elaborazione del
piano  di bacino, individua i tempi e le modalita' per l'adozione del
piano   di   bacino  che  potra'  articolarsi  in  piani  riferiti  a
sub-bacini, adotta il piano di bacino, determina quali componenti del
piano  stesso costituiscono interesse esclusivo delle singole regioni
e  quali  costituiscono  interessi  comuni  a piu' regioni, controlla
l'attuazione delle previsioni del piano di bacino.
    Il  sesto  comma  disciplina  la Conferenza operativa di servizi,
composta  dai  rappresentanti  degli stessi Ministeri che fanno parte
della  Conferenza  istituzionale  permanente,  delle  regioni  e  del
Dipartimento   della   protezione   civile;   anch'essa   delibera  a
maggioranza  e  provvede all'attuazione ed esecuzione delle decisioni
assunte  dalla  Conferenza  istituzionale  permanente e al compimento
degli atti gestionali.
    Il  settimo comma stabilisce che le Autorita' di bacino elaborano
i  piani di bacino; esprimono parere sulla coerenza con gli obiettivi
del  piano  di  bacino  di tutti i piani e programmi, compresi quelli
regionali,   relativi   alla   difesa  del  suolo,  alla  lotta  alla
desertificazione,  alla  tutela  delle  acque  e  alla gestione delle
risorse   idriche;   elaborano   analisi  delle  caratteristiche  del
distretto, dell'impatto delle attivita' umane sullo stato delle acque
superficiali  e sulle acque sotterranee, nonche' un'analisi economica
dell'utilizzo idrico.
    Il  comma  ottavo  prevede  infine  che  le  Autorita'  di bacino
coordinano  e sovrintendono le attivita' e le funzioni di titolarita'
dei consorzi di bonifica integrale.
    Le  suddette  disposizioni  ledono  le  attribuzioni regionali in
materia di difesa del suolo e, quindi, di governo del territorio, che
l'art. 117  Cost. attribuisce alla potesta' legislativa concorrente e
in  cui quindi deve potersi applicare la disciplina regionale emanata
in  attuazione  dei  principi  stabiliti  dal legislatore statale; le
stesse  violano  altresi'  l'art. 118  Cost.  perche'  non  prevedono
adeguati  e  sufficienti  meccanismi concertativi idonei a compensare
l'interferenza  della  disciplina  in ambiti materiali riservati alle
regioni,  come, appunto, e' per il governo del territorio e la difesa
del suolo ivi rientrante.
    Infatti  sono  state  soppresse le Autorita' di bacino di rilievo
nazionale  istituite  dalla legge n. 183/1989 che rappresentavano gli
organismi di leale cooperazione tecnica ed istituzionale tra lo Stato
e  le  regioni;  in  loro  vece sono istituite le Autorita' di bacino
distrettuale, organismi burocratici, emanazione diretta del Ministero
dell'ambiente,  in  cui  le regioni partecipano con rappresentanti in
seno alla Conferenza istituzionale e alla Conferenza operativa.
    Pero'  le due suddette Conferenze decidono a maggioranza e quindi
l'incisivita'  dei  ruolo  regionale  e'  condizionato dal numero dei
rappresentanti   espressi   dalle  regioni,  rispetto  alla  cospicua
presenza di rappresentanti statali (che sono sette).
    Come  meglio  verra'  successivamente  evidenziato, il territorio
della  Regione  Toscana  e'  quasi  interamente  compreso  nel Bacino
distrettinale Appennino Settentrionale (insieme a parti delle Regioni
Liguria,  Umbria,  Marche  ed  Emilia-Romagna);  vi  e' poi il bacino
distrettuale pilota del Serchio, interamente in Toscana.
    Ebbene, nel primo dei suddetti bacini (Appennino Settentrionale),
le regioni sono in minoranza (sei a sette); nel bacino del Serchio la
regione   Toscana   sara'   sempre   parimenti   in   minoranza   (un
rappresentante regionale a fronte dei sette statali).
    Percio' il suddetto meccanismo sara' sempre inidoneo a permettere
un'effettiva  partecipazione  regionale ed una elaborazione congiunta
Stato/regioni  in  merito  alle  rilevanti  decisioni  adottate dalla
Conferenza istituzionale.
    In  particolare  si sono sopra richiamati i compiti che il quinto
comma  affida  alla  Conferenza  istituzionale:  e'  evidente  che le
relative  determinazioni  si  ripercuotono  direttamente sulle scelte
della  pianificazione  territoriale  delle  regioni  e  cio' non solo
perche'  la Conferenza adotta il piano di bacino, ma anche perche' la
stessa  Conferenza  determina  le  componenti  del  piano che sono di
interesse  regionale  ed interregionale, cosi' stabilendo l'ambito di
competenza delle regioni.
    Il  rispetto  della  attribuzioni regionali in materia di governo
del  territorio  richiederebbe  o  che  le  autorita'  di  bacino  si
limitassero a dettare criteri ed indirizzi generali per la difesa del
suolo,  che  poi  le  regioni  dovrebbero  disciplinare, articolare e
specificare nella propria legislazione e negli atti di pianificazione
territoriale,  ovvero, almeno, che nelle autorita' di bacino vi fosse
sempre  una  paritaria  partecipazione  regionale,  tale  da  rendere
effettiva  la  possibilita' delle regioni di incidere sulle decisioni
interferenti  con  l'assetto  territoriale regionale, in applicazione
del principio della leale cooperazione.
    L'art. 63  in  esame con risponde, invece, ad alcuno dei suddetti
criteri: infatti i commi quinto, sesto, settimo ed ottavo non pongono
in  capo  all'autorita' di bacino solo compiti di indirizzo, ma anche
compiti  puntuali e specifici di programmazione, gestione e controllo
idonei   a  sovrapporsi  alle  scelte  regionali.  Significativi,  ad
esempio,  sono  i  compiti previsti dal quinto comma, lettera c), che
rimette all'Autorita' in questione la decisione delle parti del piano
che siano o meno di interesse regionale o, ancora, i compiti previsti
dal  settimo  comma, lettera b), per cui l'Autorita' medesima esprime
parere  di coerenza dei piani e programmi regionali con gli obiettivi
del piano di bacino.
    D'altra  parte,  come  gia'  rilevato, le disposizioni del citato
articolo  non  garantiscono  che  le  decisioni  assunte in seno alle
Conferenza,  sia  istituzionale che operativa, siano il frutto di una
paritaria  codeterminazione  che sarebbe invece necessaria, stante la
pesante  interferenza delle decisioni assunte con gli ambiti affidati
alla competenza costituzionale regionale.
    Percio'  le disposizioni contenute nell'art. 63 sono lesive degli
artt. 117 e 118 Cost. e del principio della leale cooperazione.
    Tali  norme costituzionali sono altresi' specificatamente violate
dai medesimo art. 63, comma quinto, lettera c), ove si prevede che la
Conferenza  istituzionale  determini  quali  componenti  del piano di
bacino  costituiscono  interesse  esclusivo  delle  singole regioni e
quali  costituiscono  interessi comuni a piu' regioni: da cio' deriva
che  le  competenze  regionali  vengono  a  dipendere dalle decisioni
assunte dalla Conferenza, mentre i bacini regionali ed interregionali
dovrebbero  essere  delimitati  in  base ad oggettivi criteri tecnici
(cioe' la dimensione ed i caratteri naturali del bacino idrografico),
che  rappresentano  il  riferimento  essenziale  per  ogni  azione di
pianificazione,  programmazione  e  gestione della difesa del suolo e
del ciclo delle acque.
    Particolarmente   lesiva  e'  infine  la  disposizione  contenuta
nell'art. 63,  comma terzo, ove si prevede che le autorita' di bacino
previste  dalla  legge  n. 183/1989  sono soppresse a far data dal 30
aprile  2006  e  le  relative  funzioni  sono  esercitate dalle nuove
Autorita'  di  bacino  distrettuale;  a  tal fine e' stabilito che il
decreto  previsto  al  secondo  comma  disciplini il trasferimento di
funzioni e regolamenti il periodo transitorio (si tratta del d.P.C.m.
che deve essere adottato entro trenta giorni dalla data di entrata in
vigore del nuovo d.lgs.).
    La  norma  lede le attribuzioni regionali perche' ha soppresso le
autorita'  di  bacino  esistenti  (le  quali esercitano, in base alla
legislazione  regionale,  nei  bacini  regionali  ed  interregionali,
rilevanti  funzioni  amministrative  volte  a  garantire  il corretto
utilizzo  del  territorio  nelle  zone soggette a rischio idraulico),
entro  il  30  aprile  e  a quella data non risultavano costituite le
nuove  autorita'  di  distretto.  Non  solo,  ma  non e' ancora stato
emanato  il  d.P.C.m. di disciplina della fase transitoria, cosi' che
non   e'  noto  il  procedimento  da  seguire  per  la  gestione  dei
procedimenti attualmente pendenti.
    Cio'  determina una evidente incisione delle competenze regionali
in  materia  di  difesa  del  suolo  come  disciplinate  dalla  legge
regionale,  con  conseguente  ulteriore lesione degli artt. 117 e 118
Cost.
    L'impugnato  art. 63  inoltre  e' incostituzionale per violazione
dell'art. 76  Cost.,  in  quanto  non  rispetta i criteri della legge
delega.  Infatti quest'ultima (legge n. 308/2004) delegava il Governo
ad  emanare  decreti  di  «riordino, coordinamento od integrazione» e
quindi  a  redigere  testi  unici  compilativi  e  ricognitivi per il
coordinamento  e la semplificazione delle norme di settore; stabiliva
altresi'  che  i  decreti  legislativi  avrebbero dovuto rispettare i
principi  e  le  norme  comunitarie e le competenze per materia delle
amministrazioni  statali,  nonche'  le  attribuzioni  delle regioni e
degli  enti  locali,  come  definite  ai  sensi  dell'art. 117  della
Costituzione,  della  legge  15  marzo  1997,  n. 59  e  del  decreto
legislativo 31 marzo 1998 n. 112.
    L'impugnata   disposizione   sovverte   invece   le  attribuzioni
regionali  previste  dal decreto legislativo n. 112/1998; inoltre con
la  medesima norma il decreto ha apportato modifiche sostanziali alla
disciplina  vigente,  disponendo una radicale riforma delle Autorita'
di   bacino  che  determina  uno  sconvolgimento  dell'assetto  delle
competenze   tra   Stato   e   regioni,   in   violazione  di  quanto
esplicitamente  previsto  dall'art. 1,  commi  1  e  8,  della  legge
n. 308/2004.
    Dette violazioni della legge di delega comportano, come rilevato,
la  lesione  di prerogative regionale, con conseguente ammissibilita'
del profilo proposto.
    B.5)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 64, per violazione
degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
    L'art. 64  prevede  i  nuovi  bacini distrettuali, che sono otto:
Sardegna,  Sicilia  e  Serchio; gli altri cinque riaccorpano tutto il
territorio rimanente della penisola.
    Il  territorio  della Toscana, come gia' sopra rilevato, e' quasi
interamente compreso nel Bacino distrettuale Appennino settentrionale
(insieme   a   parti   delle   regioni  Liguria,  Umbria,  Marche  ed
Emilia-Romagna).
    E'  stato poi costituito il Bacino distrettuale pilota del bacino
idrografico del Serchio, interamente nella nostra regione.
    Il  territorio della Toscana fa poi parte dei Bacini distrettuali
Padano  per  la porzione di bacino del Po (insieme alle Regioni Valle
d'Aosta,   Piemonte,   Liguria,  Lombardia,  Veneto,  Emilia-Romagna,
Provincia  autonoma  Trento) e Appennino Centrale per la porzione del
bacino  del  Tevere  (insieme  alle  Regioni  Lazio, Umbria, Abruzzo,
Marche, Molise, Emilia-Romagna).
    Tale  delimitazione  legislativa dei distretti idrografici appare
costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 11, 76, 117
e 118 Cost.
    Per  i  motivi  gia'  rilevati al precedente punto, si ravvisa la
violazione   dell'art. 76  Cost.,  in  quanto  la  legge  n. 308/2004
delegava il Governo ad emanare decreti di «riordino, coordinamento od
integrazione»   e   quindi  a  redigere  testi  unici  compilativi  e
ricognitivi  per il coordinamento e la semplificazione delle norme di
settore;  stabiliva  altresi'  che  i  decreti  legislativi avrebbero
dovuto  rispettare  i principi e le norme comunitarie e le competenze
per  materia  delle  amministrazioni statali, nonche' le attribuzioni
delle   regioni   e   degli  enti  locali,  come  definite  ai  sensi
dell'art. 117  della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e
del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
    L'impugnata  disposizione  invece  apporta  modifiche sostanziali
alla  vigente  disciplina  perche' ridelimita i bacini idrografici in
violazione  di  quanto esplicitamente previsto dall'art. 1, commi 1 e
8, della legge n. 308/2004.
    Dette  violazioni  della legge di delega comportano la lesione di
prerogative  regionali,  con  conseguente  ammissibilita' del profilo
proposto.
    Inoltre  l'individuazione  degli otto nuovi distretti idrografici
prescinde   dalla  dimensione  del  bacino  idrografico,  che  invece
rappresenta   il   riferimento   essenziale   per   ogni   azione  di
pianificazione,  programmazione  e  gestione della difesa del suolo e
del  ciclo delle acque. E' irrazionale e non consente un buon governo
del  territorio  suddividere  l'Italia  appenninica  in tre distretti
(settentrionale,   centrale  e  meridionale),  posti  a  cavallo  del
crinale,  in  quanto  non  vi  sono  ragioni  per valutare insieme le
problematiche  territoriali  della difesa del suolo e delle acque dei
versanti  tirrenico  ed  adriatico, separati e non omogenei l'uno con
l'altro.  L'individuazione dei distretti operata dalle norme in esame
e'  percio'  irrazionale e contrastante con i principi espressi dalla
direttiva  2000/60/CE,  che  definisce  i  distretti idrografici come
bacini  omogenei  specie  in relazione alle finalita' della direttiva
stessa,  e  quindi agli obiettivi di qualita' e di bilancio idrico da
garantire.
    Tale   violazione   della  normativa  comunitaria  determina  una
violazione  dell'att.  11  Cost.  che la regione e' legittimata a far
valere  con il presente ricorso in quanto l'irrazionale delimitazione
dei  distretti,  conseguenza  dell'eccepita  violazione,  sovverte le
competenze  regionali  sinora esercitate e vanifica l'esercizio delle
attribuzioni regionali in materia di difesa del suolo.
    La   nuova   delimitazione   dei   bacini   distrettuali   incide
pesantemente sulle attribuzioni regionali anche perche' si sopprimono
i  bacini  regionali  in essi ricompresi, in violazione dell'art. 117
Cost.
    Inoltre  tale nuova delimitazione e' stata decisa unilateralmente
dall'Amministrazione statale, senza alcuna procedura concertativa con
regioni   interessate,  nonostante  l'interferenza  suddetta  con  le
attribuzioni regionali.
    Percio' quand'anche volesse ammettersi che sussistano esigenze di
carattere  unitario  che in nome della sussidiarieta' giustificano il
disposto   accorpamento   dei   distretti   idrografici,   resterebbe
l'illegittimita'  della  previsione  per  il  mancato  coinvolgimento
regionale   nella   prevista  nuova  delimitazione,  con  conseguente
violazione anche dell'art. 118 Cost.
    Per i suddetti motivi sussistono le illegittimita' denunciate.
    B.6)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 65, per violazione
degli  artt. 76, 117 e 118 Cost. -- Violazione del principio di leale
cooperazione.
    La  norma  disciplina  il  piano di bacino distrettuale che e' lo
strumento con cui sono pianificate, programmate e dettate le azioni e
le  norme  d'uso  finalizzate  alla conservazione, alla difesa e alla
valorizzazione  del  suolo e alla corretta utilizzazione delle acque.
Tale  piano  e'  predisposto dall'Autorita' di bacino distrettuale (e
per essa e' adottato dalla conferenza istituzionale la quale delibera
a  maggioranza)  ed  ha  un  contenuto  esteso,  non limitato ai soli
aspetti idrogeologici.
    In particolare il piano indica anche:
        le  opere necessarie, distinte in funzione «del perseguimento
degli  obiettivi  di  sviluppo sociale ed economico o di riequilibrio
territoriale  nonche' del tempo necessario per assicurare l'efficacia
degli interventi» (comma terzo, lettera d), punto 4);
        «l'utilizzazione delle risorse idriche, agrarie, forestali ed
estrattive» (comma terzo, lettera e);
        le  opere  di  protezione,  consolidamento e sistemazione dei
litorali marini che sottendono il distretto idrografico (comma terzo,
lettera h);
        il   rilievo   conoscitivo  delle  derivazioni  in  atto  con
specificazione degli scopi energetici, idropotabili, irrigui od altri
e delle portate (comma terzo, lettera p);
        il  piano  delle  possibili  utilizzazioni  future sia per le
derivazioni  che  per altri scopi, distinte per tipologie d'impiego e
secondo le quantita' (terzo comma, lettera r).
    La  norma  dispone  anche che le disposizioni del piano di bacino
hanno  carattere immediatamente vincolante e che entro dodici mesi le
autorita'  competenti  (regioni  comprese)  devono  adeguare  i piani
territoriali  ed  i programmi regionali quali, in particolare, quelli
relativi  alle attivita' agricole, zootecniche, agroforestali, tutela
della  qualita'  delle  acque,  gestione dei rifiuti, tutela dei beni
ambientali, bonifica (commi quarto e quinto).
    Il sesto comma dispone che le regioni emanano le disposizioni per
l'attuazione  del  piano  nel settore urbanistico e comunque, decorsi
novanta  giorni  dalla  pubblicazione  del  piano di bacino, gli enti
locali  sono  tenuti  in  ogni  caso ad adeguarsi alle previsioni del
piano di bacino.
    Il  settimo  comma stabilisce che in attesa dell'approvazione del
piano  di  bacino  le  autorita'  di  bacino  adottano  le  misure di
salvaguardia   e   prevede   un   potere  sostitutivo  del  Ministero
dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio  in  caso di mancata
attuazione  o di inosservanza di tali misure da parte delle regioni e
degli enti locali.
    Tale  art. 65 si pone in contrasto con le competenze regionali in
materia  di difesa del suolo e quindi di governo del territorio. Cio'
per diversi motivi.
    Innanzitutto perche', in considerazione dell'esteso contenuto del
piano, si va ad un accentramento in capo allo Stato delle funzioni di
pianificazione,  programmazione  e gestione di funzioni di competenza
regionale;  il piano infatti arriva a definire anche gli obiettivi di
sviluppo  sociale ed economico, l'uso delle risorse idriche, agrarie,
forestali  ed  estrattive,  nonche'  funzioni  gia'  attribuite  alle
regioni  dal  decreto  legislativo  n. 112/1998  che  quindi  vengono
ricondotte  in  capo  allo  Stato:  si  tratta  in  particolare delle
funzioni  di  cui alle sopra richiamate lettere h), p), r), che erano
di  competenza  regionale  (in virtu', rispettivamente, dell'art. 89,
primo comma, lettere h) e i) del decreto 112/1998.
    Non  solo;  il  piano di bacino si sovrappone, proprio per il suo
esteso  oggetto, al contenuto che dovrebbe essere specifico dei piani
di   tutela   delle  acque,  previsti  dal  successivo  art. 121,  di
competenza regionale.
    Tutti  i suddetti rilievi determinano la violazione dell'art. 117
Cost.
    Inoltre  la  lesione  sussiste  per  la  procedura  prevista  per
l'approvazione del piano.
    Questo   infatti  e'  adottato  a  maggioranza  dalla  Conferenza
istituzionale  e  poi,  dopo  l'esperimento  del procedura di VAS, e'
approvato  con  decreto  del  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
sentita  la  Conferenza  Stato-regioni  (ai sensi dell'art. 57, primo
comma p.2).
    Il  piano  di  bacino  ha  effetti  molto  penetranti  sia  sulla
pianificazione   territoriale  che  sulla  programmazione  regionale:
infatti  i  piani  ed  i  programmi  di sviluppo socio-economici e di
assetto ed uso del territorio devono essere coordinati e comunque non
in  contrasto  con  il piano di bacino approvato; a tal fine entro 12
mesi  dall'approvazione  del  piano,  le  autorita'  competenti (enti
locali  e regioni comprese, ognuno per la propria competenza), devono
adeguare  i  rispettivi  piani  territoriali  e  programmi regionali,
quali,  in  particolare,  quelli  relativi  alle  attivita' agricole,
zootecniche ed agroforestali, alla tutela della qualita' delle acque,
alla  gestione  dei  rifiuti, alla tutela dei beni ambientali ed alla
bonifica (commi quarto e quinto); per tali finalita' le regioni entro
novanta  giorni dalla pubblicazione del piano emanano le disposizioni
per  la  sua  attuazione  e,  in  mancanza, gli enti interessati sono
comunque tenuti a rispettarne le prescrizioni.
    E'  pertanto  certo  che il piano di bacino prevale sugli atti di
programmazione e di pianificazione territoriale; in considerazione di
tale efficacia, il procedimento di formazione dovrebbe coinvolgere le
regioni,  nel  rispetto  della leale cooperazione, secondo i principi
stabiliti  dalla  Corte costituzionale in merito all'applicazione del
criterio della sussidiarieta'.
    Vero  e'  che  l'adozione  del piano e' disposta dalla Conferenza
istituzionale;  tuttavia  in  questo  organismo,  per i distretti che
essenzialmente    interessano    la    Regione   Toscana   (Appennino
settentrionale  e  del  Serchio),  le  regioni sono in minoranza (sei
rappresentanti  regionali  a  fronte  dei sette statali nel primo; un
rappresentante  regionale  a  fronte dei sette statali nel secondo) e
pertanto  le  prescrizioni, anche quelle che piu' incidono sugli atti
territoriali  e  di  programmazione  regionale,  ben  possono  essere
approvate  in  via definitiva, in dissenso della regione interessata.
Sarebbe  invece  necessaria  una  procedura  idonea  a  garantire una
paritaria  codeterminazione  delle  decisioni  incidenti sull'assetto
territoriale della regione.
    Per  lo  stesso  motivo insufficiente appare il mero parere della
Conferenza previsto preliminarmente all'adozione del piano.
    Sussiste  pertanto la denunciata violazione degli artt. 117 e 118
Cost.,  tenendo  anche  conto che la Corte costituzionale, nella gia'
citata  sentenza  n. 85/1990 pur nella vigenza del precedente assetto
costituzionale,  ha  rilevato  che «non puo' rinvenirsi una qualsiasi
giustificazione  sul  piano  costituzionale  per dare alle amplissime
determinazioni di pianificazione del predetto Comitato istituzionale,
relative  all'assetto  idrogeologico,  alla  conservazione,  difesa e
valorizzazione  del  suolo e utilizzazione delle acque, una incidenza
diretta  ed  automatica di modifica degli strumenti di pianificazione
urbanistica, tanto piu' con carattere permanente».
    Il   sesto  comma  prevede  che  le  regioni  emanino  norme  per
l'attuazione del piano di bacino nel settore urbanistico; tuttavia si
prescinde  da tale intervento regionale se non avvenuto entro novanta
giorni,  con  efficacia  diretta  delle prescrizioni urbanistiche del
piano  di  bacino  per  gli  enti  territorialmente interessati. Tale
previsione   appare   lesiva  delle  attribuzioni  regionali  perche'
determina un termine incongruo ed eccessivamente breve per dettare le
norme  necessarie  per  l'attuazione urbanistica del piano di bacino:
considerando   la   complessita'  dei  problemi  e  la  vastita'  del
territorio regionale non e' detto che in novanta giorni sia possibile
dettare  le  norme  suddette.  La  norma  pone invece il termine come
perentorio,  perche'  in  assenza  di tale intervento regionale se ne
prescinde,  con  un  rapporto  diretto  tra  il piano di bacino e gli
strumenti  urbanistici  degli  enti locali, totalmente scavalcando la
pianificazione  territoriale regionale. Certo la norma di chiusura e'
indispensabile;  tuttavia  occorrerebbe  un termine congruo ovvero la
possibilita'  che  la regione segnali all'autorita' statale i casi in
cui  non  e'  possibile  rispettare  il  termine,  indicando i motivi
affinche'  possa  essere valutata la concessione di ulteriore termine
di adempimento.
    La  secca  formulazione  della norma appare pertanto in contrasto
con  il  principio  della  leale cooperazione e determina una lesione
delle  competenze urbanistiche regionali costituzionalmente garantite
ai sensi dell'art. 117 Cost.
    Anche la disposizione di cui al settimo comma presenta molteplici
interferenze con il governo del territorio.
    E'  infatti previsto che in attesa dell'approvazione del piano di
bacino  l'autorita'  adotta le misure di salvaguardia con particolare
(ma non solo) riferimento, schematicamente: alle situazioni in atto e
potenziali  di  degrado del sistema fisico; alle direttive cui devono
uniformarsi  la  difesa  del  suolo, la sistemazione idrogeologica ed
idraulica   e   l'utilizzazione   delle   acque  e  dei  suoli;  alle
prescrizioni,  vincoli,  opere  idrauliche,  idraulico  forestali, di
forestazione,  di bonifica, di consolidamento dei terreni finalizzati
alla  conservazione  del  suolo; alla normativa ed interventi volti a
regolare  l'estrazione  dei  materiali  litoidi dal demanio fluviale,
lacuale  e  marittimo;  all'indicazione  delle zone da assoggettare a
speciali   vincoli   e   prescrizioni  in  rapporto  alle  specifiche
condizioni  idrogeologiche. Dal sintetico contenuto riportato risulta
evidente  che  le  misure  di  salvaguardia incidono sull'assetto del
territorio  e, quindi, sulla potesta' legislativa e di pianificazione
regionale.
    La  norma  prevede  che  in  caso  di  mancata  attuazione  o  di
inosservanza  da  parte  delle regioni ed enti locali delle misure di
salvaguardia,  ove  possa  derivare  un grave danno al territorio, il
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, previa diffida,
possa  sostituirsi  alle  amministrazioni  competenti,  adottando  le
necessarie  misure  provvisorie  di salvaguardia, anche con efficacia
inibitoria delle opere.
    Tale previsione si presenta incostituzionale.
    Si   prevede   infatti   il   ricorso   al   potere   sostitutivo
ordinariamente   in   tutti   i  casi  di  mancata  attuazione  o  di
inosservanza  da  parte delle regioni delle misure di salvaguardia e,
quindi,  non  solo  nei  casi di inerzia regionale (ipotesi in cui si
comprende la sostituzione), ma anche nei casi in cui la regione abbia
manifestato   il   suo   motivato   dissenso  sull'ipotesi  formulata
dall'Autorita'  statale,  chiedendo  soluzioni  alternative. Cosi' si
ammette  il superamento del dissenso attraverso la mera sostituzione,
in  contrasto  con  il  principio  piu'  volte  ribadito  dalla Corte
costituzionale  per  cui e' necessaria la previsione di un'intesa tra
lo  Stato  e  la  regione  tutte le volte in cui l'intervento statale
abbia  un  impatto con le funzioni regionali, come nel caso in esame,
in  cui  le  suddette misure di salvaguardia incidono sul governo del
territorio,  sul  turismo, sulla valorizzazione dei beni culturali ed
ambientali.
    La  norma in esame, con la previsione dell'intervento sostitutivo
nell'attuazione  delle  misure  di salvaguardia, si pone in contrasto
con  il  suddetto  orientamento  espresso dalla Corte costituzionale,
violando  gli  artt. 117  e  118  Cost.  ed  il principio della leale
cooperazione,  cio'  perche' l'attivazione di tale potere sostitutivo
e'  ammessa  non  solo  a  fronte di una totale inerzia regionale, ma
anche  a  fronte di una generica mancata attuazione che puo' derivare
da  una  giustificata non condivisione delle misure che impattano sul
territorio.  In  tal  caso  l'applicazione  del  principio  di  leale
collaborazione  richiede  di  trovare  una soluzione condivisa tra lo
Stato  e  la  regione  e  non  certo  di  prevedere  la  sostituzione
dell'Amministrazione regionale.
    Quand'anche  si  riconduca  il  potere  sostitutivo  alla  logica
generale  della sussidiarieta', resta comunque che nei casi in cui il
conseguimento  delle esigenze unitarie interferisce in modo rilevante
con  ambiti  materiali  di  competenza  regionale  (cio'  che avviene
sicuramente  nel  caso  in  esame)  deve  essere  previsto  a livello
legislativo un idoneo meccanismo di collaborazione.
    Infine,  anche  con riferimento alla norma in esame, per i motivi
gia'   rilevati   al  precedente  punto,  si  ravvisa  la  violazione
dell'art. 76  Cost.,  in  quanto  la  legge  n. 308/2004  delegava il
Governo   ad   emanare   decreti   di   «riordino,  coordinamento  od
integrazione»   e   quindi  a  redigere  testi  unici  compilativi  e
ricognitivi  per il coordinamento e la semplificazione delle norme di
settore;  stabiliva  altresi'  che  i  decreti  legislativi avrebbero
dovuto  rispettare  i principi e le norme comunitarie e le competenze
per  materia  delle  amministrazioni statali, nonche' le attribuzioni
delle   regioni   e   degli  enti  locali,  come  definite  ai  sensi
dell'art. 117  della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e
del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
    L'impugnata   disposizione   disciplina  in  modo  innovativo  il
contenuto  e l'efficacia dei piani di bacino, in violazione di quanto
esplicitamente  previsto  dall'art. 1,  commi  1  e  8,  della  legge
n. 308/2004.
    Dette  violazioni  della legge di delega comportano la lesione di
prerogative  regionale,  con  conseguente  ammissibilita' del profilo
proposto.
    C)  La seconda Sezione della parte terza riguarda la tutela delle
acque  dall'inquinamento;  la terza sezione e' relativa alla gestione
delle  risorse  idriche  e  all'organizzazione  del  servizio  idrico
integrato.   In   tale  ambito  appaiono  lesive  delle  attribuzioni
regionali costituzionalmente garantite le seguenti disposizioni:
    C.1)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 75,  comma 5, per
violazione dell'art. 119 Cost.
    Il comma 5 dell'art. 75 impone alle regioni di assicurare la piu'
ampia  divulgazione  delle informazioni sullo stato di qualita' delle
acque  nonche'  di  trasmettere  al  Dipartimento  tutela delle acque
interne e marine dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i
servizi  tecnici (APAT) i dati conoscitivi e le informazioni relative
all'attuazione  del  d.lgs.  n. 152/2006,  e  quelli prescritti dalla
disciplina  comunitaria,  secondo  le modalita' che verranno indicate
con  decreto  del  Ministro  dell'abiente, di concerto con i Ministri
competenti,  d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato e le regioni.
    Ne  consegue  che,  al  fine di ottemperare agli obblighi imposti
dalla   disposizione  in  esame  le  regioni  devono  necessariamente
attivare,  con  oneri  rilevanti  a proprio carico, azioni dirette ad
effettuare una serie di indagini conoscitive sullo «stato di qualita'
delle   acque»   nonche'   azioni  dirette  al  monitoraggio  e  alla
elaborazione dei dati e delle informazioni acquisite; cio' al fine di
poter   evidenziare,  come  richiesto  dalla  norma,  il  livello  di
attuazione  del  decreto legislativo n. 152/2006, nonche' il rispetto
degli obblighi di derivazione comunitaria.
    E'   innegabile   che  gli  obblighi  informativi  oggetto  della
disposizione  impugnata  non siano collegati a funzioni proprie delle
regioni ma siano esplicazione della potesta' legislativa riconosciuta
allo    Stato   dall'art. 117,   secondo   comma   lettera s)   della
Costituzione.
    L'acquisizione   delle  informazioni  e'  infatti  finalizzata  a
consentire  un  controllo  da  parte  dello  Stato sul rispetto degli
standard  di tutela ambientali imposti dallo stesso e dalla comunita'
europea,  controllo  che  rappresenta il diretto corollario di quello
che  e' il nucleo essenziale della materia «tutela ambientale». Se e'
vero,  infatti,  come piu' volte affermato dalla Corte costituzionale
(sent.  nn. 407/2002,  96/2003,  259/2004)  che  la  materia  «tutela
ambientale»  e'  una  materia  di  tipo  «trasversale»  che consente,
comunque,  alle  regioni  di curare i propri interessi funzionalmente
collegati  con  quelli  ambientali,  e' anche vero che l'attivita' di
rilevazione  dei  dati  e  delle  informazioni  richieste rappresenta
esplicazione  del  potere  statale  di  controllare il rispetto degli
standard  di  tutela  uniformi,  individuati  al  fine  garantire  le
esigenze di protezione e tutela dell'ambiente.
    Tali   compiti   vengono   positivamente  assunti  dalla  regione
ricorrente,  in  attuazione del principio di collaborazione; tuttavia
gli stessi risultano particolarmente onerosi.
    Il  legislatore  statale  non  ha  accompagnato l'imposizione dei
predetti  obblighi  informativi  con  l'individuazione  delle risorse
necessarie  a  farvi  fronte.  E  cio' in palese violazione di quanto
disposto dall'art. 119 Cost.
    L'art. 119, comma 5 della Costituzione dispone, infatti, che «per
provvedere  a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni
lo  Stato  destina  risorse aggiuntive» a favore di comuni, province,
citta' metropolitane e regioni.
    Secondo  il  novellato  art. 119 Cost., infatti, le regioni hanno
«autonomia  finanziaria di entrata e di spesa» (primo comma) e godono
di  risorse  autonome  (secondo  comma).  Come  rilevato  dalla Corte
costituzionale:  «Tributi  ed  entrate  proprie,  da  essi  stabiliti
secondo   principi   di   coordinamento   della   finanza   pubblica,
compartecipazione  al  gettito  di  tributi statali riscossi sul loro
territorio  e accesso al fondo perequativo per i territori con minore
capacita' fiscale, da utilizzarsi senza vincoli di destinazione, sono
le  risorse  che  debbono  consentire  a  regioni  ed  enti locali di
finanziare  integralmente  le  funzioni  pubbliche  loro  attribuite»
(Corte cost. 16/2004).
    Qualora, invece, lo Stato imponga ad enti locali (nella specie le
regioni)  di  provvedere  a scopi diversi dal normale esercizio delle
loro  funzioni,  deve contestualmente indicare i mezzi finanziari per
farvi fronte.
    In  mancanza  viene  vanificata  l'essenza  stessa dell'autonomia
finanziaria  riconosciuta  alle regioni dalla Costituzione dovendo le
stesse  distogliere  le  entrate  destinate  a  coprire  le  funzioni
pubbliche  loro  attribuite  per  destinarle a fronteggiare gli oneri
derivanti  dalle funzioni diverse ed ulteriori ad esse attribuite dal
legislatore statale.
    La  disposizione  in  esame, pertanto, nella parte in cui prevede
che   le   regioni   debbano   porre   in   essere   azioni   dirette
all'acquisizione   di   informazioni   finalizzate   al  controllo  e
monitoraggio sullo stato di qualita' delle acque, nonche' sullo stato
di  attuazione del d.lgs. n. 452/2006 e della disciplina comunitaria,
senza  destinare le risorse aggiuntive necessarie a coprire gli oneri
conseguenti, viola l'autonomia finanziaria delle regioni riconosciuta
alle stesse dall'art. 119 Cost.
    C.2)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 77, quinto comma,
per  violazione  degli  artt. 117  e  118  Cost.  --  Violazione  del
principio della leale cooperazione.
    Il  comma  quinto  della  disposizione  in  esame  prevede che la
designazione di un corpo idrico artificiale o fortemente modificato e
le  relative motivazioni siano esplicitamente menzionate nei piani di
bacino  (di  emanazione  statale,  secondo quanto previsto dal d.lgs.
n. 152/2006).
    Prosegue  la  norma  riconoscendo alle regioni la possibilita' di
definire  un  corpo  idrico  artificiale  o  fortemente modificato in
presenza  di  alcune  condizioni  individuate  nel  corpo della norma
medesima.
    La disposizione appare poco chiara in particolare sul significato
da  attribuire  al  termine  «designazione».  In  una prima accezione
sembrerebbe  ricondursi  al legislatore statale «l'individuazione del
corpo  idrico  artificiale  o  fortemente  modificato»  attraverso lo
strumento  del  piano di bacino; in una seconda accezione il piano di
bacino  si  limiterebbe  a  riportare  un  elenco  dei corpi idrici o
fortemente modificati, la cui designazione sarebbe, invece, demandata
all'ambito regionale.
    Se  e'  vero  che  i  commi  successivi dell'articolo riconoscono
competenze in capo alle regioni tali da far propendere per la seconda
interpretazione,   (il   comma  6  prevede  che  le  regioni  possano
motivatamente  stabilire  termini  diversi  per  i  corpi  idrici che
presentano  condizioni tali da non consentire il raggiungimento dello
stato  di «buono» il comma 7 prevede che le regioni possano stabilire
obiettivi  di  qualita'  ambientale  meno  rigorosi  per taluni corpi
idrici,  qualora  ricorrano  alcune  particolari condizioni) e' anche
vero  che  la  norma appare nella sostanza ambigua. L'interpretazione
secondo  la  quale la designazione del corpo idrico competerebbe allo
Stato  ricondurrebbe  in  capo  allo stesso un'attivita' strettamente
finalizzata a politiche di uso del territorio, per loro stessa natura
riconducibili  alla  materia  del  «governo del territorio» riservata
dall'art. 117, comma terzo alla legislazione concorrente.
    Rientrano,  infatti,  nell'ambito  del  «governo  del territorio»
secondo  la  definizione  piu'  volte data dalla Corte costituzionale
«l'insieme  delle norme che consentono di identificare e graduare gli
interessi   in   base  ai  quali  possono  essere  regolati  gli  usi
ammissibili  del  territorio» (cfr. sentenze n. 196 del 2004 e n. 307
del 2003).
    Anche volendo configurare un'avocazione da parte dello Stato, per
esigenze  di unitarieta', delle funzioni amministrative di competenza
delle   regioni,   la   norma   non  si  sottrarrebbe  a  censure  di
illegittimita' costituzionale.
    L'assunzione  in  sussidiarieta',  quale  deroga  al  sistema  di
competenze  disegnato  dalla  Costituzione,  deve infatti sottostare,
secondo l'orientamento piu' volte espresso dalla Corte costituzionale
(sent. n. 303/2003) al principio di «leale collaborazione», principio
che  impone  che la funzione venga amministrata attraverso accordi ed
intese   con  le  regioni  espropriate.  Detto  principio  non  trova
riconoscimento nella norma impugnata non essendo, la designazione del
corpo  idrico,  subordinata ad intese con i livelli regionali, ma, al
contrario, e' ricondotta unilateralmente nell'ambito della competenza
statale.
    La  norma,  pertanto,  qualora la «designazione» del corpo idrico
artificiale   o   fortemente   modificato   debba   intendersi   come
individuazione  dello  stesso da parte dello Stato, viola il disposto
degli  artt. 117  e  118  Cost.  nonche'  del  principio  della leale
cooperazione.
    C.3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 87, primo comma, per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    La  norma prevede che le regioni, d'intesa con il Ministero delle
politiche  agricole  e  forestali,  designino nell'ambito delle acque
marine  costiere e salmastre che sono sede di banchi e di popolazioni
naturali  di  molluschi  bivalvi  e  gasteropodi,  quelle richiedenti
protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo degli
stessi  e  per  contribuire  alla  buona  qualita' dei prodotti della
molluschicoltura  direttamente  commestibili  per  l'uomo.  La  norma
appare diretta a perseguire duplici fini. Da una parte e' finalizzata
ad  assicurare  che  le acque marine e salmastre, sede di popolazioni
naturali  di molluschi bivalvi e gasteropodi, rispondano ai requisiti
di   qualita'   richiamati  dal  successivo  art. 88;  dall'altra  e'
finalizzata  ad  assicurare  la  buona  qualita'  dei  prodotti della
molluschicoltura direttamente commestibili per l'uomo.
    In  riferimento  alla  disposizione in esame vengono, pertanto in
rilievo  interessi  diversi  affidati ora alla tutela del legislatore
statale  (tutela  dell'ambiente),  ora alla legislazione concorrente,
(tutela  della  salute) ora alla legislazione residuale delle regioni
(agricoltura).
    A  tale  ultimo  proposito  la  Corte  costituzionale ha definito
«nocciolo duro della materia agricoltura» cio' che «ha a che fare con
la  produzioni  di  vegetali  ed animali destinati all'alimentazione»
(sent. n. 12/2004).
    La riconduzione della disposizione nella materia dell'agricoltura
trova,  peraltro,  conforto  anche  nell'individuazione del Ministero
delle  politiche  agricole  e  forestali  quale  Ministro  competente
all'intesa.
    Non  sembra compatibile con il riparto delle competenze delineato
dal  titolo V della Costituzione la subordinazione della designazione
ad un'intesa con i livelli statali.
    E'  incompatibile  in riferimento alle materie riconducibili alla
legislazione  residuale  (agricoltura),  laddove  la  Costituzione ha
inteso  affidare  alle  regioni la cura degli interessi coinvolti; e'
incompatibile   in   riferimento   alle  materie  riconducibili  alla
legislazione  concorrente (tutela della salute e dell'alimentazione),
laddove, come ribadito dalla Corte costituzionale (sent. n. 282/2002)
compete allo Stato la sola fissazione dei principi fondamentali e non
anche  determinazioni  di  dettaglio,  quale  e' invece quella che in
esame.
    La  designazione  delle  acque  che  ottemperano  ai requisiti di
qualita' (indicati come standard uniformi dallo Stato) e che possono,
pertanto,   essere   destinate  alla  molluschicoltura  e'  attivita'
operativa e di dettaglio il cui esercizio e' riconducibile all'ambito
regionale.
    Ne'  possono  qui  invocarsi  i  principi  di  sussidiarieta'  ed
adeguatezza  di  cui  all'art. 118,  primo  comma della Costituzione,
nella  loro  attitudine  ascensionale, in base ai quali lo Stato puo'
riservare   a   se'   funzioni   amministrative  (e  conseguentemente
legislative)  in  deroga  al riparto delle competenze individuato dal
titolo V della Costituzione.
    Come  piu' volte ribadito dalla Corte costituzionale l'assunzione
in  sussidiarieta',  quale  deroga al sistema di competenze delineato
dalla  Costituzione,  deve sottostare a due specifiche condizioni: in
primo   luogo   la   riconducibilita'   allo   Stato  della  funzione
amministrativa   (e   di  conseguenza  di  quella  legislativa)  deve
rispondere a criteri di proporzionalita' e ragionevolezza; in secondo
luogo  la  funzione  in  esame  deve  essere  amministrata secondo il
principio  di  leale collaborazione e dunque attraverso intese con le
regioni  espropriate  della  loro  competenze  (sent. 303/2003; sent.
6/2004).
    Se   si   applicano   i  menzionati  criteri  in  relazione  alla
disposizione  in  oggetto si rileva come questa, pur contemplando una
concertazione   tra   livello  regionale  e  statale,  non  trova  un
ragionevole   fondamento   tale  da  giustificare  l'esigenza  di  un
esercizio unitario della stessa.
    Cio'  appare  ancora  piu'  evidente  tenendo  conto del contesto
normativo in cui la norma e' collocata.
    L'art. 84, comma primo, infatti, in riferimento alla designazione
«delle  acque  dolci  che  richiedono  protezione e miglioramento per
essere  idonee  alla  vita  dei  pesci»  riserva  allo  Stato la sola
individuazione   dei   requisiti  cui  le  acque  devono  rispondere,
(requisiti  riportati  nella  Tabella  1/B dell'allegato 2 alla parte
terza  del  decreto  medesimo) ma affida la designazione delle stesse
alle  regioni, senza subordinarne l'esercizio ad intese con i livelli
statali.
    E'  irragionevole,  quindi,  il diverso trattamento riservato dal
legislatore  statale  alle  acque  destinate  alla vita dei pesci e a
quelle destinate alla vita dei molluschi.
    Va  evidenziato,  infine,  che  l'art. 87  modifica l'art. 14 del
d.lgs.   n. 152/1999,  (normativa  che  viene  abrogata  dal  decreto
legislativo oggetto di impugnazione) che, in un quadro costituzionale
in cui le competenze regionali erano indubbiamente inferiori a quelle
desumibili  dall'attuale 117 Cost., non subordinava l'esercizio della
funzione regionale ad intese con i livelli statali.
    Il  primo  comma  dell'articolo,  pertanto,  nella  parte  in cui
prevede   l'intesa  con  il  Ministero  delle  politiche  agricole  e
forestali, viola il disposto degli articoli 117 e 118 Cost.
    C.4)  Illegittimita' costituzionale dell'art. 91, secondo e sesto
comma,  per  violazione degli artt. 117 e 118 Cost. -- Violazione del
principio di leale cooperazione.
    Il  comma  primo  dell'art. 91 procede ad un prima individuazione
delle  cosi'  dette  «aree sensibili», ovvero di aree particolarmente
esposte ad inquinamento.
    Il  secondo  comma,  demanda  l'individuazione  di ulteriori aree
sensibili  al  Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio,
sentita  la  Conferenza  Stato-regioni.  Parallelamente  il comma sei
riconosce  al  Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio,
il  potere  di  procedere,  sentita la Conferenza Stato-regioni, alla
reidentificazione  delle  aree  sensibili  e  dei  rispettivi  bacini
drenanti  che  contribuiscono  all'inquinamento  delle aree medesime.
L'ambito  di  intervento  della  norma  e' riconducibile alla materia
dell'ambiente;   tuttavia,   come  piu'  volte  rilevato,  la  tutela
ambientale  e'  un  valore  costituzionalmente  protetto in ordine al
quale possono legittimamente aversi interventi regionali.
    L'orientamento  della  Corte  costituzionale  assume  qui un piu'
profondo  significato  se  si  tiene conto del delicato intreccio tra
diverse   materie   di   competenza   statale   e   regionale:  dalla
individuazione  delle  aree sensibili discendono, infatti, risvolti a
livello  di  politiche del territorio che attengono piu' propriamente
alla  materia  del  «governo  del  territorio»  e della «tutela della
salute»  in  relazione  alle  quali  l'art. 117  Cost. riconosce alle
regioni una competenza legislativa concorrente.
    Si  pensi, a titolo d'esempio, alla scelta di sistemi depurativi,
alla  localizzazione  degli  impianti  di  depurazione,  al possibile
utilizzo delle aree.
    Se  la scelta dello Stato di avocare a se' la suddetta competenza
non  appare  illegittima  costituzionalmente,  a  fronte  dei riparto
operato   dal   nuovo   titolo   V   della  Costituzione,  in  quanto
funzionalmente  collegata  all'individuazione delle aree maggiormente
bisognevoli di interventi diretti a limitare le cause di inquinamento
e  a  tutelare conseguentemente l'ambiente, e' anche vero, per quello
che  e'  stato  fin qui esposto, che incidendo l'individuazione delle
aree  anche nell'ambito delle politiche del territorio e tutela della
salute,  la disposizione non dovrebbe limitarsi a prevedere l'obbligo
per  lo  Stato  di  sentire  la Conferenza Stato-regioni, ma dovrebbe
richiedere l'acquisizione di un'intesa con la stessa.
    Piu'  volte,  infatti,  la  Corte costituzionale ha ribadito che,
qualora  per  esigenza di esercizio unitario vengono attratte insieme
alla  funzione  amministrativa funzioni legislative, deve essere dato
il  dovuto  risalto  alle  «attivita' concertative e di coordinamento
orizzontale,  ovverosia le intese, che devono essere condotte in base
al principio di lealta» (sent. n. 303/2003).
    In   particolare,   in  riferimento  alla  materia  della  tutela
ambientale  la  Corte  costituzionale  ha  affermato  che «quando gli
interventi  individuati  come  necessari e realizzati dallo Stato, in
vista di interessi unitari di tutela ambientale, concernono l'uso del
territorio,   e  in  particolare  la  realizzazione  di  opere  e  di
insediamenti  atti  a  condizionare  in  modo rilevante lo stato e lo
sviluppo  di singole aree, l'intreccio, da un lato, con la competenza
regionale concorrente in materia di governo del territorio, oltre che
con  altre  competenze  regionali,  dall'altro lato con gli interessi
delle  popolazioni  insediate  nei  rispettivi  territori, impone che
siano  adottate modalita' di attuazione degli interventi medesimi che
coinvolgano, attraverso opportune forme di collaborazione, le regioni
sul  cui  territorio  gli  interventi  sono  destinati a realizzarsi»
(sent. n. 62/2005).
    La  disposizione, pertanto, nella parte in cui non prevede che il
processo codecisionale sia garantito attraverso un'intesa fra Stato e
regioni viola il disposto degli artt. 117 e 118 Cost.
    C.5)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 113, primo comma e
dell'art. 114, primo comma per violazione dell'art. 117 Cost.
    Il   primo   comma  dell'art. 113  dispone  che,  ai  fini  della
prevenzione  dei  rischi  idraulici  ed ambientali le regioni, previo
parere  del  Ministero  dell'ambiente  e della tutela del territorio,
disciplinano  e attuano le forme di controllo degli scarichi di acque
meteoriche  di  dilavamento  provenienti  da  reti  fognarie separate
nonche'  i  casi  in  cui  le  immissioni  delle  acque meteoriche di
dilavamento siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa
l'eventuale autorizzazione.
    Il  primo  comma  dell'art. 114  dispone  che  le regioni, previo
parere  del  Ministero  dell'ambiente  e  della tutela del territorio
adottino  apposita  disciplina in materia di restituzione delle acque
utilizzate  per  la  produzione idroelettrica, per scopi irrigui e in
impianti  di  potabilizzazione,  nonche'  delle  acque  derivanti  da
sondaggi  o  perforazioni  diversi da quelli relativi alla ricerca ed
estrazione  di idrocarburi, al fine di garantire il mantenimento o il
raggiungimento   degli  obiettivi  di  qualita'  di  cui  al  decreto
medesimo.
    Le  norme non chiariscono la natura del «parere» statale. Qualora
allo  stesso  si  riconosca  una natura obbligatoria e vincolante, in
grado  quindi di condizionare l'attivita' legislativa regionale, esso
si   tradurrebbe   in   un'indebita   ingerenza   dello  Stato  nella
determinazioni  regionali  finalizzate  alla cura di interessi che la
Costituzione  ha  affidato  alle  regioni  medesime,  in relazione al
governo del territorio.
    Piu'  in  particolare la Corte costituzionale ha affermato che la
subordinazione  della  potesta' legislativa o regolamentare regionale
ad  atti statali di natura amministrativa non trova riconoscimento in
alcuna  disposizione  costituzionale  e  viola palesemente l'art. 117
Cost.;  anzi, tale principio risulterebbe oggi rafforzato, risultando
inibita  in  radice  alla fonte secondaria statale la possibilita' di
vincolare  l'esercizio  della potesta' legislativa (sentenze n. 303 e
n. 267 del 2003).
    Analoghe  argomentazioni  possono addursi in riferimento al primo
comma  dell'art. 114,  dove  l'attivita' legislativa regionale appare
indirizzata   oltre  che  a  normare  nell'ambito  del  «governo  del
territorio» (uso delle risorse idriche) e nella materia della «tutela
ambientale»,  anche  a tutelare interessi piu' propriamente attinenti
alla  materia  dell'agricoltura»  (demandata dall'art. 117 Cost. alla
competenza esclusiva residuale delle regioni).
    Risulta,  pertanto,  incompatibile  con  l'attuale titolo V della
Costituzione  e  con  il riparto di competenze in esso contemplato la
subordinazione  della  potesta' legislativa ad atti di tipo secondari
(e  tanto piu' a pareri) che tendono, comunque a sovvertire il rigido
riparto delle competenze individuato dal titolo V medesimo.
    C.6)  Illegittimita' costituzionale dell'art. 116, per violazione
degli  artt. 117  e 118 Cost. -- Violazione del principio della leale
cooperazione.
    La  disposizione  prevede l'iter per l'adozione dei «programmi di
misura» e «delle misure supplementari» definite dall'allegato 11 alla
parte terza del d.lgs. n. 152/2006.
    In  base  alla  disposizione  in esame i programmi di misura sono
predisposti   dalle   regioni   e   sottoposti   per   l'approvazione
all'Autorita'  di  bacino  (statale).  Qualora l'Autorita' ritenga le
misure  previste  non sufficienti a garantire il raggiungimento degli
obiettivi  previsti,  ne  individua le cause e indica alle regioni le
modalita'  per  il  riesame,  invitandole  ad apportare le necessarie
modifiche.
    La  procedura  prevede,  quindi,  un  coinvolgimento  dei livelli
regionali,  chiamati  a predisporre i programmi di misura e le misure
supplementari,  ma  poi attribuisce sostanzialmente le decisioni allo
Stato  che  le  esercita  attraverso  l'Autorita' di bacino, a cui e'
demandata l'approvazione dei programmi e delle misure.
    Considerando  che i programmi di misura e le misure supplementari
rappresentano uno strumento operativo e di attuazione delle direttive
comunitarie  con cui le regioni esprimono scelte destinate a ricadere
fortemente  sul  governo  del  territorio, e' evidente che il modello
procedimentale   previsto   nella   disposizione   in  esame,  basato
sull'approvazione  da parte dell'Autorita' di bacino, non consente un
confronto  paritario  fra  i  vari interessi coinvolti e non risulta,
pertanto, rispettoso delle competenze riconosciute alle regioni dalla
Costituzione.  In  realta', esercitando un cosi' penetrante potere di
vigilanza,  lo  Stato attrae a se' funzioni amministrative attraverso
meccanismi   unilaterali   di   soluzione   dei   conflitti  (mancata
approvazione) e non, invece, attraverso modelli concertativi aderenti
al  principio  di  leale  collaborazione  piu' volte richiamato dalla
Corte costituzionale.
    La   disposizione,   pertanto,   nella   parte   in  cui  prevede
l'approvazione  dei  programmi  e delle misure supplementari da parte
dell'Autorita'   di   bacino  e'  illegittima  per  violazione  degli
artt. 117 e 118 Cost. nonche' del principio della leale cooperazione.
    C.7)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 148, comma quinto,
per violazione dell'art. 117 Cost.
    La  disposizione  detta  norme  relative  all'Autorita' d'ambito,
struttura  dotata  di  personalita'  giuridica, costituita in ciascun
ambito  territoriale  delimitato dalla competente regione, alla quale
viene  trasferito l'esercizio delle competenze in materia di gestione
delle risorse idriche.
    Il primo comma della norma, prevede l'obbligatoria partecipazione
degli  enti locali alle Autorita' d'ambito; il comma 5 ribadisce tale
obbligo  ma  introduce alcune deroghe; in particolare l'adesione alla
gestione unica del servizio integrato e' facoltativa per i comuni con
popolazione  fino a 1000 abitanti inclusi nel territorio di comunita'
montane  a  condizione  che  la  gestione  sia  operata  direttamente
dall'amministrazione  comunale ovvero tramite una societa' a capitale
interamente pubblico e controllata dallo stesso comune.
    Le  disposizioni  sono  lesive  della  competenza  legislativa in
materia di servizi pubblici locali.
    E'  noto  che  la Corte costituzionale ha operato una distinzione
all'interno   dei  servizi  pubblici  locali  tra  quelli  dotati  di
rilevanza economica e quelli che ne sono sprovvisti.
    Mentre   questi   ultimi  possono  ricondursi  nelle  materie  di
competenza  esclusiva  residuale delle regioni ai sensi dell'art. 117
Cost.,  comma  quarto,  per  quelli a rilevanza economica lo Stato e'
legittimato a porre principi in virtu' della sua competenza esclusiva
in materia di tutela della concorrenza.
    «L'accoglimento  di  questa  interpretazione comporta da un lato,
che  l'indicato  titolo  di legittimazione statale e' riferibile solo
alle disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalita'
di  gestione e l'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica  e  dall'altro  lato  che solo le predette disposizioni non
possono essere derogate da norme regionali» (sent. n. 272/2004).
    La  disciplina  della  composizione  delle Autorita' d'ambito non
appare  riconducibile  nei  confini  di  competenza statale delineati
dalla  Corte  costituzionale: la previsione di eventuali deroghe alla
gestione  unica,  per particolari enti territoriali ed in particolari
circostanze,   non   concretizza  una  misura  volta  a  tutelare  la
concorrenza;  al  contrario  l'individuazione delle ipotesi di deroga
alla   gestione   unica  del  servizio  e'  strettamente  connessa  a
valutazioni  sulle  caratteristiche  e sulle tipologie degli enti che
insistono  sul  territorio nonche' a valutazioni sull'opportunita' ed
economicita'  di gestioni separate che non possono che competere alla
regioni  in  virtu' delle attribuzioni alle stesse riconosciute dalla
Costituzione in materia di servizi pubblici locali.
    E  cio' appare ancora piu' evidente se si richiama l'orientamento
della  Corte costituzionale in materia di tutela della concorrenza in
base al quale una dilatazione massima di tale competenza rischierebbe
di  vanificare  lo  schema  di  riparto dell'art. 117 Cost., che vede
attribuite  alla  potesta'  legislativa residuale e concorrente delle
regioni   materie  la  cui  disciplina  incide  innegabilmente  sullo
sviluppo  economico;  l'intervento  statale  si giustifica, pertanto,
solo   in   ragione   della   sua   rilevanza  macroeconomica  (sent.
n. 14/2004).
    La   disposizione  in  esame  risulta,  pertanto  invasiva  delle
competenze regionali in materia di servizi pubblici locali e viola il
disposto dell'art. 117 Cost.
    C.8)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 149, sesto comma,
per violazione dell'art. 117 Cost.
    L'art. 149,   comma  6,  prevede  che  il  Piano  di  ambito  sia
trasmesso,  entro dieci giorni dalla deliberazione di approvazione da
parte  dell'Autorita'  di  ambito,  alla  regione,  all'Autorita'  di
vigilanza  sulle  risorse  idriche  e  sui  rifiuti  e  al  Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio. L'Autorita' di vigilanza
puo'  notificare all'Autorita' d'ambito i propri rilievi e le proprie
osservazioni entro novanta giorni, dettando prescrizioni in relazione
ai  livelli  minimi  di  servizio  individuati  quali obiettivi della
gestione  e  al  piano  finanziario  con particolare riferimento alla
capacita'   dell'evoluzione   tariffaria  di  garantire  l'equilibrio
economico della gestione.
    Occorre  in  primo  luogo  soffermarsi  sul  contenuto  del Piano
d'ambito e le finalita' cui lo stesso e' destinato a soddisfare.
    Il  primo  comma dispone che il Piano d'ambito sia costituito dai
seguenti atti:
        ricognizione delle infrastrutture;
        programma degli interventi;
        modello gestionale ed organizzativo;
        piano economico-finanziario.
    Di  seguito la norma entra piu' nel dettaglio sui vari aspetti di
contenuto  del  Piano d'ambito, prevedendo che lo stesso individui la
consistenza  delle  strutture  da  affidare  al gestore; il programma
degli  interventi  di manutenzione straordinaria e le nuove opere per
garantire   l'efficienza  del  servizio;  l'andamento  dei  costi  di
gestione  e  di investimento; la previsione della tariffa, al fine di
garantire  il  raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario e
il  rispetto  dei  principi  di efficacia, efficienza ed economicita'
della  gestione;  la struttura operativa mediante la quale il Gestore
assicura il servizio all'utenza e la realizzazione degli interventi.
    A  ben  vedere  il  contenuto  del  Piano  d'ambito  consente  di
ricondurlo  in  parte  alla  materia dei servizi pubblici ed in parte
alla  materia  del governo del territorio (basti pensare al programma
delle manutenzioni e degli investimenti).
    Non  e'  quindi compatibile con il regime del riparto legislativo
delineato  dal  titolo V della Costituzione la trasmissione del Piano
d'ambito  alla  Autorita'  di  vigilanza  sulle risorse idriche e sui
rifiuti.  L'Autorita',  prevista  e  disciplinata  dall'art. 159  del
decreto impugnato, presenta una composizione fortemente sbilanciata a
favore  dei  rappresentanti ministeriali (come si dira' di seguito in
riferimento  all'impugnazione  dell'art. 159)  tale  da comportare di
fatto  un'attrazione  al  livello statale delle competenze attribuite
dalla Costituzione alle regioni.
    Il  controllo  da  parte  dell'Autorita'  di  vigilanza,  la  sua
legittimazione   ad   imporre  prescrizioni  non  si  legittimano  in
relazione  alle  competenze riconosciute allo Stato nella materia dei
servizi  pubblici  locali  ne'  tanto meno in relazione competenze ad
esso  riconosciute in materia del governo del territorio: infatti, in
riferimento  ai  servizi  pubblici  locali,  si  richiama quanto gia'
evidenziato  in  relazione  all'art. 148  Cost., circa l'orientamento
della  Corte  costituzionale  in materia di servizi pubblici locali a
rilevanza economica, che riconosce la competenza statale a legiferare
nella materia solo nei limiti delle disposizioni generali finalizzate
alla tutela della concorrenza (sent. n. 272/2004).
    In  riferimento,  invece,  agli  aspetti attinenti la materia del
governo  del  territorio,  qui  lo  Stato  puo'  dettare  i  principi
fondamentali  lasciando  interamente  le  determinazioni di dettaglio
alla disciplina regionale (sent. n. 282/2002).
    L'art. 149,  comma  6  non rispetta i suddetti criteri e percio',
nella  parte  in cui prevede un controllo sul Piano d'ambito ad opera
dell'Autorita'  di  vigilanza  sulle  risorse  idriche e sui rifiuti,
viola il disposto dell'art. 117 Cost.
    C.9)  Illegittimita' costituzionale dell'art. 154, per violazione
degli artt. 117 e 119 Cost.
    L'art. 154  istituisce  la  tariffa per il servizio idrico, quale
corrispettivo  del servizio idrico integrato, e fissa i parametri con
cui  questa  deve essere determinata prescrivendo che si debba tenere
conto  della  qualita'  della  risorsa idrica e del servizio fornito,
delle  opere e degli adeguamenti necessari, dell'entita' dei costi di
gestione   delle  opere,  dell'adeguatezza  della  remunerazione  del
capitale   investito   e   dei   costi  di  gestione  delle  aree  di
salvaguardia,  nonche'  di una quota parte dei costi di funzionamento
dell'Autorita'  d'ambito,  in  modo  che  sia assicurata la copertura
integrale  dei  costi  di  investimento  e  di  esercizio  secondo il
principio del recupero dei costi e «chi inquina paga».
    Di  seguito  la  disposizione  determina  le competenze attuative
attribuendo:
        al  Ministro  dell'ambiente e della tutela del territorio, su
proposta  dell'Autorita'  di  vigilanza  sulle  risorse idriche e sui
rifiuti,  il  compito di definire con decreto «le componenti di costo
per  la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i
vari settori d'impiego dell'acqua»;
        al Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il
Ministro  dell'ambiente «al fine di assicurare un'omogenea disciplina
sul territorio nazionale» il compito di stabilire i «criteri generali
per   la   determinazione  da  parte  delle  regioni  dei  canoni  di
concessione  per  l'utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi
ambientali   e  dei  costi  della  risorsa  e  prevedendo,  altresi',
riduzione  del  canone nell'ipotesi in cui il concessionario attui un
riuso  delle  acque  reimpiegando  le  acque  risultanti  a valle del
processo   produttivo   o  di  una  parte  dello  stesso  o,  ancora,
restituisca  le  acque  di  scarico  con  le medesime caratteristiche
qualitative di quelle prelevate».
    Vengono  in  rilievo  poteri  ministeriali sovraordinati a quelli
delle  regioni,  in  violazione delle competenze ad esse riconosciute
dal titolo V della Costituzione.
    In particolare la disposizione, disciplinando aspetti concernenti
la  tariffa  per  il servizio, si inserisce nella materia dei servizi
pubblici  locali  riservata  alla  potesta'  residuale  delle regioni
(sent.  n. 272/2004;  sent. n. 29/2006) e viola, pertanto il disposto
dell'art. 117  Cost.;  ne'  sussiste  un  titolo  su  cui  fondare la
competenza statale (sent. n. 335/2005).
    La  norma  in  esame  si  presenta, peraltro, come incoerente con
l'evoluzione  della  stessa legislazione statale: e' incomprensibile,
ad  esempio  l'omissione  tra  i  criteri per la determinazione della
tariffa,  «degli  obiettivi  di  miglioramento  della  produttivita»,
parametro invece previsto dall'art. 13 della legge n. 36/1994.
    Una  tale  carenza  viene  a  configurare  una  tariffa  autonoma
rispetto  ad un controllo sulla gestione, eliminando la necessita' di
un  miglioramento  progressivo  in  termini  di  efficienza, previsto
invece dalla normativa precedente.
    Tale  norma  viola,  altresi',  l'art. 119 Cost., primo e secondo
comma,  in  quanto  invasiva  dell'autonomia finanziaria e tributaria
delle  regioni,  incidendo  la stessa su un'entrata la cui disciplina
ricade nella competenza regionale.
    C.10) Illegittimita' costituzionale dell'art. 155, per violazione
degli artt. 117 e 119 Cost.
    La  norma  dispone  in merito alle tariffe riferite ai servizi di
pubblica  fognatura e di depurazione ed opera un rinvio al meccanismo
di determinazione individuato dal precedente art. 154.
    Anche  tale  norma  viola  gli  artt. 117  e  119  Cost.,  per le
argomentazioni svolte in relazione all'art. 154, cui si rinvia.
    C.11) Illegittimita' costituzionale dell'art. l59, secondo comma,
per  violazione  degli  artt. 117  e  118  Cost.  --  Violazione  del
principio della leale cooperazione.
    La  norma  disciplina la composizione dell'Autorita' di vigilanza
sulle  risorse  idriche e sui rifiuti. L'Autorita' va a sostituire il
Comitato  per  la  vigilanza  sull'uso  delle  risorse idriche di cui
all'art. 21  della  legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni materia
di  risorse  idriche)  e  presenta  una  struttura  notevolmente piu'
complessa rispetto a quella delineata dalla legge n. 36/1994.
    In  particolare  l'Autorita'  agisce  attraverso  tre  organi: il
Comitato  esecutivo ed il Consiglio (articolato nella sezione risorse
idriche  e nella sezione rifiuti). Il Consiglio si compone di tredici
membri,  oltre  al  Presidente,  nominati  con decreto del Presidente
della  Repubblica  su  deliberazione  del  Consiglio dei ministri. Di
questi il Presidente e nove membri sono nominati su proposta in parte
del  Ministro dell'ambiente, in parte del Ministro dell'economia e in
parte   dal   Ministro   della  funzione  pubblica  e  dell'attivita'
produttive;   mentre   solo   quattro   membri  vengono  nominati  su
designazione  della  Conferenza  dei Presidenti delle regioni e delle
province autonome.
    Tutte  le  proposte  di  nomina  sono  sottoposte al parere delle
Commissioni parlamentari.
    E'  innegabile che la composizione appare fortemente sbilanciata,
a   favore  della  componente  statale  e  comporta,  nei  fatti,  un
illegittimo  utilizzo  del  potere  da  parte  dello Stato che viene,
cosi',   a  menomare  la  sfera  di  attribuzioni  costituzionalmente
garantite  alle  regioni  in materia di servizi pubblici locali. Cio'
appare  evidente  se  si esaminano i compiti attribuiti all'Autorita'
elencati  al successivo art. 160, compiti che si spingono molto oltre
quelle  che  venivano riconosciuti, in riferimento al Comitato per la
vigilanza delle risorse idriche, dall'art. 21 della legge n. 36/l994.
Mentre  infatti  la  legge  n. 36/1994  riconosceva  al  Comitato  un
generico   compito   di   vigilare   sull'efficacia,   efficienza  ed
economicita'   del  servizio,  sulla  regolare  determinazione  della
tariffa  nonche'  sulla tutela dell'interesse dell'utente, l'art. 160
attribuisce  all'Autorita' compiti che per loro stessa natura tendono
ad  incidere in interessi connessi ad ambiti di competenza regionale.
E'  il  caso  di ricordare qui i compiti di vigilanza sull'integrita'
delle  reti  e degli impianti, l'esercizio di poteri di acquisizione,
accesso  ed  ispezioni alla documentazione, l'attivita' di consulenza
nelle  materie  a  favore  delle Autorita' d'ambito e delle pubbliche
amministrazioni  (con  una inopportuna sovrapposizione di competenze)
nonche'  la  specificazione  dei  livelli  generali di qualita' ed il
controllo sull'adozione da parte dei gestori di una carta di servizio
pubblico  (quest'ultime  due  competenze  sono  oggetto  di  autonoma
impugnazione).
    Il  complesso dei compiti attribuiti all'Autorita' vede coinvolti
una  pletora  di  interessi riconducibili ora alla competenza statale
(tutela della concorrenza, tutela dell'ambiente), ora alla competenza
concorrente   delle   regioni   (governo  del  territorio)  ora  alla
competenza  esclusiva  regionale  (disciplina  del  servizio pubblico
economico).  Va,  a  tal  proposito,  richiamato l'orientamento della
Corte costituzionale, in materia di servizi pubblici aventi rilevanza
economica,  che  ravvisa  la  competenza  dello Stato, concernente la
tutela  della  concorrenza,  nella  potesta'  di  fissare  solo norme
generali vincolanti per le regioni.
    E'  innegabile  che  con  una  composizione come quella delineata
dall'art. 159,  comma  2,  non garantisce il contemperamento di tutti
gli  interessi coinvolti, ma riconduce nella sostanza tutte le scelte
ad  un  unico  centro di interesse: quello statale senza garantire un
adeguato  coinvolgimento  di  tutti  i livelli di governo titolari di
potesta' costituzionalmente attribuite.
    La composizione dell'Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche
e  sui  rifiuti,  in quanto non riconosce adeguata rappresentativita'
agli  interessi  regionali, viola l'ambito di competenza alle regioni
riconosciuto   dagli  artt. 117  e  118  della  Costituzione  in  via
residuale  e  in  via concorrente e viola altresi' il principio della
leale cooperazione.
    C.11) Illegittimita' costituzionale dell'art. 160, secondo comma,
lettera f) e lettera g), per violazione dell'art. 117 Cost.
    Come  sopra gia' evidenziato l'art. 160 elenca i compiti affidati
all'Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti.
    In   particolare   la   lettera f)   demanda   all'Autorita'   la
specificazione  dei  livelli generali di qualita' riferiti ai servizi
da  prestare nel rispetto dei regolamenti del Ministero dell'ambiente
e  della  tutela  del  territorio  che  disciplinano  la  materia; la
lettera g) demanda alla medesima Autorita' il controllo sull'adozione
da   parte  dei  gestori  di  una  carta  di  servizio  pubblico  con
l'indicazione di standard dei singoli servizi nonche' la verifica del
rispetto della carta medesima.
    In  entrambi  i  casi  si  tratta  di  disposizioni che tendono a
menomare  la  sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita alle
regioni   in  materia  servizi  pubblici  locali,  laddove  la  Corte
costituzionale ha riconosciuto una competenza residuale alle regioni,
comprimibile dallo Stato solo in virtu' di azioni volte a tutelare la
concorrenza   mediante  disposizioni  di  carattere  generale  (sent.
n. 272/2004; sent. n. 29/2006).
    La  Regione  Toscana  si  e'  da  tempo  dotata di una disciplina
organica  in  esecuzione  della  legge n. 36/1994, sia in riferimento
alla   gestione  del  servizio  idrico:  l.r.  n. 81/1995  (Norme  di
attuazione della legge 5 gennaio 1994, n. 36 «Disposizioni in materia
di   risorse  idriche»,  l.r.  n. 26/1997  (Norme  di  indirizzo  per
l'organizzazione  del  servizio  idrico integrato in attuazione degli
articoli  11  e  12  della  legge  5  gennaio  1994,  n. 36)  sia  in
riferimento  alla gestione dei rifiuti: l.r. n. 25/1998 (Norme per la
gestione  dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati), e successive
modificazioni.
    In  base  alle suddette normative (in particolare gli artt. 7 e 8
della l.r. n. 81/1995 e l'art. 26 della l.r. n. 25/1988) il controllo
viene  demandato alle Autorita' d'ambito, cui compete la verifica del
raggiungimento   degli  standard  economici,  qualitativi  tariffari,
standard  che  vengono  fissati  negli  atti  di  concessione e nelle
convenzioni  con  i  soggetti  gestori  (art. 7,  comma  3 della l.r.
n. 81/1995).
    L'art. 160,  comma  2,  lettera f)  viola,  pertanto,  il riparto
normativo   disegnato   dal   titolo   V   della   Costituzione.   Se
l'individuazione  degli  standard  per  la gestione del servizio puo'
ricondursi  alla  competenza statale (laddove lo Stato e' chiamato ad
interventi  diretti  ad  assicurare  la  tutela  della  concorrenza),
tant'e'  che la norma richiama le norme regolamentari in materia, non
si   vede   perche'  la  specificazione  degli  stessi  debba  essere
attribuita all'Autorita' di vigilanza che, stante la sua composizione
fortemente   sbilanciata  a  favore  della  componente  statale,  non
garantisce  il rispetto degli interessi e delle competenze attribuite
dalla Costituzione alle regioni.
    Le  stesse  argomentazioni  si  ripropongono  in  relazione  alla
lettera g)  del medesimo articolo, laddove si demanda ad un organismo
a  prevalente  composizione  statale  il controllo sulla gestione del
servizio  pubblico.  Questo dovrebbe, invece, naturalmente ricondursi
alla sfera di attribuzione delle regioni che vi provvedono attraverso
le   Autorita'  d'ambito  alle  quali  e'  demandato  il  compito  di
individuare,  con  le  forme  stabilite  dallo  Stato, il gestore del
servizio,  nonche'  di  controllare  la regolarita' e correttezza del
servizio medesimo.
    D)  Parte  Quarta  del  d.lgs.  n. 152/2006, recante le «Norme in
materia  di  gestione  dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati»,
introduce  una  disciplina  innovativa,  in sostituzione dell'attuale
normativa  ambientale, con una meno rigorosa, che si caratterizza, da
un  lato,  per  numerose violazioni degli obblighi comunitari nonche'
per  eccesso  di  delega  legislativa con evidente pregiudizio per le
attribuzioni  costituzionali  delle  regioni  e,  dall'altro,  per la
lesione diretta delle competenze regionali.
    In  particolare, anticipando quanto si puntualizzera' nei singoli
motivi,  con  la  parte  quarta  del  testo  unico  qui  impugnato il
legislatore delegato ha fortemente ristretto l'ambito di applicazione
della  normativa  sui  rifiuti  attraverso le definizioni di «materia
prima  secondaria»  (art. 183,  comma  1,  lettera q),  di  «raccolta
differenziata»  (art. 183, comma 1, lettera f); la deregolamentazione
o  privatizzazione  della  definizione  dei  metodi  di  recupero dei
rifiuti   (gli   accordi   di  programma  di  cui  all'art. 181),  la
definizione  delle  terre  e rocce da scavo (art. 186), la disciplina
delle bonifiche (artt. 242 e ss.).
    La   sottrazione   dal   regime  dei  rifiuti  e  delle  relative
autorizzazioni  e  controlli  di molte sostanze o materiali che nella
precedente  disciplina  vi  erano  assoggettati,  oltre  a  violare i
principi  comunitari  e  i  criteri  direttivi  contenuti nella legge
delega,  ha  importanti ricadute nelle attribuzioni regionali, atteso
che, come ha piu' volte sottolineato codesta ecc.ma Corte, la materia
dei  rifiuti,  sebbene rientri nella competenza esclusiva statale, va
ad  incidere  su  interessi  la  cui  tutela  e'  attribuita  in  via
concorrente  alle regioni, quali il governo del territorio, la tutela
della  salute,  importando per cio' stesso la necessita' di garantire
in  capo alle regioni un importante ruolo nella disciplina e gestione
dei  rifiuti, cosi' come, peraltro, era riconosciuto dalla precedente
normativa  in  materia, tra cui il d.lgs. n. 22/1997. Tanto premesso,
si ricorre avverso le seguenti disposizioni.
    D.1)  Illegittimita' costituzionale dell'art. 181, commi 7, 8, 9,
10  e  11  e dell'art. 183, comma 1, lettera q), per violazione degli
artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
    L'art. 18,  nel  disciplinare  il  c.d.  «Recupero  dei rifiuti»,
prevede  al  comma  7  la  possibilita'  per  «i  soggetti  economici
interessati  o  le  associazioni  di  categoria  rappresentative  dei
settori   interessati,   anche  con  riferimento  ad  interi  settori
economici  e produttivi» di stipulare con il Ministro dell'ambiente e
della  tutela  del  territorio «appositi accordi di programma ... per
definire  i  metodi di recupero dei rifiuti destinati all'ottenimento
di materie prime secondarie, di combustibili o di prodotti».
    Tali  accordi,  continua  la  disposizione in parola, «fissano le
modalita'  e  gli  adempimenti amministrativi per la raccolta, per la
messa  in  riserva,  per  il  trasporto  dei  rifiuti,  per  la  loro
commercializzazione,   anche   tramite  il  mercato  telematico,  con
particolare riferimento a quello del recupero realizzato dalle Camere
di  commercio,  e  per i controlli delle caratteristiche e i relativi
metodi   di   prova;   i   medesimi   accordi   fissano  altresi'  le
caratteristiche  delle  materie  prime secondarie, dei combustibili o
dei  prodotti  ottenuti,  nonche' le modalita' per assicurare in ogni
caso  la  loro  tracciabilita'  fino  all'ingresso  nell'impianto  di
effettivo impiego».
    I  successivi  commi 8, 9, 10 e 11 dell'art. 181, disciplinano le
modalita' procedurali per la stipula, approvazione e pubblicazione di
tali accordi di programma.
    Alle predette disposizioni si ricollega la definizione delle c.d.
«materie  prime  secondarie»,  da intendersi, ai sensi dell'art. 183,
comma 1, lettera q), la «sostanza o materia avente le caratteristiche
stabilite ai sensi dell'art. 181».
    La previsione di accordi di programma per il recupero dei rifiuti
nei termini di cui all'art. 181 si pone in contrasto con la normativa
comunitaria  in  materia  di  rifiuti  nonche'  con la legge delega e
quindi,  conseguentemente,  contrasta con gli arti. 11, 76, 117 e 118
della Costituzione.
    Detti  accordi  di  programma consentono, infatti, di derogare al
sistema  normativo  previgente  (in parte trasfuso nello stesso testo
unico)  in  materia di rifiuti, istituendo una contrattazione diretta
tra  privati e Amministrazione statale idonea ad escludere dal regime
dei  rifiuti  e  dalle  relative  procedure  di  autorizzazione  e di
controllo  tutta  una  serie  di  materiali  o  sostanze - tra cui le
materie prime secondarie - nonche' i metodi di recupero dei rifiuti e
le  modalita'  per  la  raccolta,  per  la  messa  in riserva, per il
trasporto  e  commercializzazione dei rifiuti, che nella legislazione
vigente e nel diritto comunitario invece vi sono assoggettati.
    Questa  deregolamentazione o privatizzazione della disciplina del
recupero dei rifiuti, avendo come naturale conseguenza la sottrazione
dal  regime  di rifiuti di molte sostanze e materie sulla base di una
mera  contrattazione,  si pone in evidente contrasto con la direttiva
comunitaria  n. 75/442/CEE,  cosi'  come  modificata  dalla direttiva
n. 91/156/CEE,  laddove  prevede  all'art. 11 che il generale obbligo
dell'autorizzazione  per  lo svolgimento di attivita' di recupero dei
rifiuti  (art. 10)  possa  essere derogato solo «qualora le autorita'
competenti  abbiano  adottato  per  ciascun  tipo  di attivita' norme
generali  che fissano i tipi e le quantita' di rifiuti e le quantita'
di  rifiuti  e  le  condizioni  alle  quali  l'attivita'  puo' essere
dispensata     dall'autorizzazione     dovranno     essere    fissate
necessariamente   dai   predetti   accordi   di   programma  anziche'
dall'autorita' competente, come richiesto a livello comunitario.
    D'altra  parte,  per  le  ragioni  sopra  esposte,  il  combinato
disposto  di  cui  agli  articoli 181, commi 7, 8, 9, 10 e 11, e 181,
comma  1,  lettera q),  si pone in contrasto con i principi e criteri
direttivi  individuati  dall'art. 1,  comma  8,  della  legge  delega
n. 308/2004  e,  in particolare, con i principi e criteri di cui alle
lettere e) ed f), secondo i quali il nuovo testo unico avrebbe dovuto
dare,  da  un  lato,  «piena  e  coerente  attuazione delle direttive
comunitarie,   al   fine  di  garantire  elevati  livelli  di  tutela
dell'ambiente  e  di contribuire in tale modo alla competitivita' dei
sistemi   territoriali   e   delle   imprese,  evitando  fenomeni  di
distorsione  della  concorrenza»;  e,  dall'altro,  «affermazione dei
principi  comunitari  di prevenzione, di precauzione, di correzione e
riduzione  degli  inquinamenti e dei danni ambientali e dei principio
"chi inquina paga"».
    Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione.
    Violazioni  che  si  ripercuotono sulle competenze costituzionali
della  regione  in materia di valorizzazione ambientale, tutela della
salute  e  governo del territorio, dal momento che molte categorie di
rifiuti,  nonche'  i  metodi  del  loro  recupero,  le  modalita'  di
raccolta,  di trasporto e di commercializzazione, verranno, con detti
accordi  di  programma,  dispensati dall'assoggettamento ai poteri di
autorizzazione,  controllo e pianificazione dell'Amministrazione, con
evidenti pregiudizi per la sicurezza dell'intera collettivita'.
    In  particolare,  e' di tutta evidenza, la lesione delle funzioni
in  materia  di  governo del territorio delle regioni, posto che tali
accordi  di  programma dovranno prevedere l'individuazione dei luoghi
ove  effettuare il recupero dei rifiuti, andando cosi' a vincolare la
destinazione  urbanistica di tali siti finalizzati al recupero, senza
alcun intervento da parte delle regioni interessate.
    Da qui la violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    D.2)   Illegittimita'   costituzionale  dell'art. 183,  comma  1,
lettera f), per violazione degli artt. 11, 76, 117 Cost.
    L'art. 183,   comma   1,   lettera f),   definisce  la  «raccolta
differenziata»   come   «la   raccolta  idonea,  secondo  criteri  di
economicita',  efficacia,  trasparenza ed efficienza, a raggruppare i
rifiuti  urbani  in frazioni merceologiche omogenee, al momento della
raccolta  o,  per  la  frazione  organica umida, anche al momento del
trattamento,   nonche'   a   raggruppare  i  rifiuti  di  imballaggio
separatamente  dagli  altri  rifiuti urbani, a condizione che tutti i
rifiuti sopra indicati siano effettivamente destinati al recupero».
    In  altri  termini,  ammette  -  contrariamente  alla  precedente
normativa in materia - la possibilita' di procedere al raggruppamento
dei  rifiuti  urbani  in  frazioni  merceologiche omogenee anche, con
riferimento  alla frazione organica umida, in momento successivo alla
raccolta.
    Tale previsione si pone in contrasto con la normativa comunitaria
in   materia  di  rifiuti  nonche'  con  la  legge  delega  e  suindi
conseguentemente,  contrasta  con  gli  artt.  11,  76  e  117  della
Costituzione.
    Si  deve,  infatti,  rilevare  che,  operando  una  cernita della
frazione  organica  umida  al momento del trattamento del rifiuto, si
produrra'  come  effetto  quello  di  ottenere un compost di qualita'
inferiore  rispetto  a  quello  ottenibile  con  la separazione della
frazione organica umida al momento della raccolta, con la prevedibile
riduzione   dell'appetibilita'   di   impiego   del  materiale  cosi'
recuperato  e  suo  conseguente  afflusso  in  discarica  o  verso la
termovalorizzazione.
    Appare  quindi  evidente  come tale disposizione non persegua (ma
anzi  si  ponga  in  antitesi  con)  l'obiettivo  comunitario  di cui
all'art. 3  della direttiva 75/442/CEE, secondo il quale le normative
nazionali  devono  essere  tese  al  recupero  dei  rifiuti  mediante
riciclo,  reimpiego  o  riutilizzo,  dal  momento  che, sebbene possa
apparire come un'estensione dell'ambito della raccolta differenziata,
il raggruppamento della frazione organica umida dei rifiuti urbani al
momento  del trattamento (e non gia' al momento della raccolta) avra'
come  naturale  effetto,  da  un  lato, l'abbandono dell'attivita' di
recupero  al  momento  della  raccolta, in quanto meno dispendiosa in
termini  di risorse da dedicare; e, dall'altro, un degradamento della
qualita'  dei  materiali  ottenuti  (il  c.d.  compost)  tale  da non
consentire  una  loro  appetibilita'  da  parte  del mercato e quindi
conseguentemente   tale   da   farli  ritornare  nel  circuito  delle
discariche e/o termovalorizzatori.
    Conseguentemente, per le ragioni sopra esposte, l'art. 183, comma
1,  lettera f),  si  pone  in  contrasto  con  i  principi  e criteri
direttivi  individuati  dall'art. 1,  comma  8,  della  legge  delega
n. 308/2004  e,  in particolare, con i principi e criteri di cui alle
lettere  e)  ed  f),  gia'  richiamati anche nei precedenti motivi di
ricorso.
    Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione.
    Violazioni  che  si  ripercuotono sulle competenze costituzionali
della  regione  in  materia  di  tutela  della  salute  e governo del
territorio,  dal  momento  che,  come  si  e'  visto,  aumenteranno i
materiali  da  conferire  in discarica o alla termovalorizzazione con
evidenti  pregiudizi  sul  potere  di pianificazione delle regioni in
tema  di impianti per la gestione dei rifiuti, ma anche sull'ambiente
e sulla salute dell'intera collettivita'.
    D.3)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 185, comma 1, per
violazione degli artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
    L'art. 185  detta  i  limiti al campo di applicazione della Parte
quarta  del  d.lgs.  n. 152/2006,  disponendo  che «non rientrano nel
campo  di  applicazione  della  parte  quarta del presente decreto» i
rifiuti ivi elencati.
    Tale previsione si pone in contrasto con la normativa comunitaria
in  materia  di  rifiuti  nonche'  con  la  legge  delega  e  quindi,
conseguentemente,   contrasta  con  gli  artt. 11,  76  e  117  della
Costituzione.
    Pervero,   in   spregio   a   quanto  richiesto  dalla  direttiva
75/442/CEE,   i   rifiuti   di  cui  all'art. 185  vengono  sottratti
dall'applicazione della disciplina in materia di gestione dei rifiuti
a  prescindere  da  qualsiasi valutazione circa la sussistenza di una
loro disciplina in specifiche disposizioni di legge.
    Dispone,  infatti,  l'art. 2 della direttiva 75/442/CEE che «sono
esclusi dal campo di applicazione della presente direttiva:
        a) ...;
        b) qualora gia' contemplati da altra normativa:
        I) i rifiuti radioattivi;
        II)  i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione,
dal   trattamento,   dall'ammasso   di   risorse   minerali  o  dallo
sfruttamento delle cave;
        III)  le  carogne  ed  i  seguenti  rifiuti agricoli: materie
fecali  ed  altre  sostanze  naturali  e  non  pericolose  utilizzate
nell'attivita' agricola;
        IV)  le  acque  di  scarico,  esclusi  i  rifiuti  allo stato
liquido;
        V) i materiali esplosivi in disuso».
    Sebbene  la  normativa  comunitaria  sia chiara nel richiedere la
sussistenza  di  una  espressa  e speciale disciplina affinche' certe
tipologie   di   materiale   possano  essere  escluse  dal  campo  di
applicazione  della  normativa  sui  rifiuti,  e  nonostante che tale
principio  fosse  stato recepito dal precedente legislatore nazionale
con  l'art. 8  del d.lgs. n. 22/1997, l'odierno legislatore nazionale
ha  completamente dimenticato di riportare la locuzione «qualora gia'
contemplati  da  altra normativa» (o, per usare le parole del decreto
Ronchi:   «in  quanto  disciplinati  da  specifiche  disposizioni  di
legge»).
    La mancata riproduzione della previsione della sussistenza di una
disciplina  speciale  affinche' determinati materiali siano sottratti
dalla  disciplina  normativa  sui  rifiuti non ha un valore meramente
formalistico, ma importa degli effetti concreti in palese spregio sia
per  la  tutela  dell'ambiente  che per le prerogative e attribuzioni
regionali.
    Pervero,  la  mancata  riproduzione della locuzione «qualora gia'
contemplati  da  altra  normativa»  fara'  si' che i rifiuti elencati
dallo  stesso  art. 185 saranno sottratti dal regime autorizzatorio e
di  controllo  proprio  dei  rifiuti  nel  caso in cui manchi o venga
abrogata  la  specifica  disciplina  di  legge  che  ne disciplina la
specifica gestione.
    Per queste ragioni, l'art. 185, comma 1, si pone in contrasto con
i  principi  e  criteri  direttivi  individuati dall'art. 1, comma 8,
della  legge  delega  n. 308/2004 e, in particolare, con i richiamati
principi e criteri di cui alle lettere e) ed f).
    Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione.
    Violazioni  che  si  ripercuotono sulle competenze costituzionali
della regione in materia di tutela dell'ambiente, tutela della salute
e  governo  del  territorio,  dal  momento che molti rifiuti potranno
essere  dispensati  dall'assoggettamento ai poteri di autorizzazione,
controllo  e  pianificazione  riconosciuti in capo alle regioni dalla
normativa  comunitaria e dalla legislazione nazionale previgente, con
evidenti   pregiudizi   per   la   sicurezza   e  salute  dell'intera
collettivita'  nonche'  per  le  attribuzioni regionali in materia di
governo del territorio e di tutela della salute.
    D.4)  Illegittimita' costituzionale dell'art. 186, per violazione
degli artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
    L'art. 186   disciplina   le  c.d.  «terre  e  rocce  da  scavo»,
sottraendole  in via generale dalla disciplina in materia di gestione
dei  rifiuti,  dal  momento  che ai sensi del primo comma «le terre e
rocce  da  scavo,  anche  di gallerie, ed i residui della lavorazione
della   pietra   destinate   all'effettivo  utilizzo  per  reinterri,
riempimenti,  rilevati  e  macinati non costituiscono rifiuti e sono,
percio',  esclusi  dall'ambito di applicazione della parte quarta del
presente  decreto  solo  nel  caso  in cui, anche quando contaminati,
durante  il  ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle
attivita'   di   escavazione,   perforazione   e   costruzione  siano
utilizzati,  senza  trasformazioni  preliminari, secondo le modalita'
previste  nel progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale
ovvero,  qualora  il  progetto  non  sia  sottoposto a valutazione di
impatto  ambientale,  secondo  le  modalita'  previste  nel  progetto
approvato  dall'autorita'  amministrativa  competente,  ove  cio' sia
espressamente previsto, previo parere delle Agenzie regionali e delle
province  autonome  per  la  protezione  dell'ambiente, sempreche' la
composizione  media dell'intera massa non presenti una concentrazione
di  inquinanti  superiore  ai  limiti  massimi  previsti  dalle norme
vigenti e dal decreto di cui al comma 3».
    I   successivi  commi  dell'art. 186  disciplinano  le  modalita'
procedurali  per  la  determinazione dei limiti massimi accettabili e
delle  analisi  dei  materiali  ai fini della loro caratterizzazione,
nonche'   le   definizioni   di   ciclo   produttivo,  di  reinterri,
riempimenti, rilevati e macinati.
    In  particolare,  il  terzo  comma  prevede  che «il rispetto dei
limiti  di cui al comma 1 puo' essere verificato, in alternativa agli
accertamenti  sul sito di produzione, anche mediante accertamenti sui
siti  di deposito, in caso di impossibilita' di immediato utilizzo. I
limiti  massimi  accettabili  nonche'  le  modalita'  di  analisi dei
materiali ai fini della loro caratterizzazione, da eseguire secondo i
criteri  di  cui  all'Allegato  2 del titolo V della parte quarta del
presente   decreto,   sono   determinati  con  decreto  del  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio da emanarsi entro novanta
giorni  dall'entrata  in  vigore  della  parte  quarta  del  presente
decreto,  salvo  limiti  inferiori previsti da disposizioni speciali.
Sino  all'emanazione  del predetto decreto continuano ad applicarsi i
valori  di  concentrazione  limite accettabili di cui all'Allegato 1,
tabella  1,  colonna  B,  del  decreto  del Ministro dell'ambiente 25
ottobre 1999, n. 471».
    Tale  sottrazione  dal  regime dei rifiuti delle terre e rocce da
scavo si pone in contrasto con la normativa comunitaria in materia di
rifiuti  nonche'  con  la  legge  delega  e quindi, conseguentemente,
contrasta con gli artt. 11, 76 e 117 e 118 della Costituzione.
    Pervero,  la  definizione  di  terre  e  rocce  da scavo e la sua
esclusione  dalla  disciplina  in  materia di gestione dei rifiuti si
pone  in  contrasto  con la definizione di rifiuti di cui all'art. 1,
comma  1,  lettera a),  direttiva  75/442/CEE cosi' come interpretata
dalla  Corte  di  giustizia  europea con le sentenze rese nelle cause
C-4l8/1997  e C-419/1997 - «Arco», C-9/00 - «Palin Granit»; C-114/01,
«AvestaPolarit  Chrome»;  e  C-457/02,  «Niselli»,  la quale e' ferma
nell'affermare che la nozione di rifiuto non puo' essere interpretata
in senso restrittivo.
    D'altra  parte,  la  predetta  disciplina,  avendo  come naturale
conseguenza la sottrazione dal regime dei rifiuti delle terre e rocce
di  scavo,  si  pone  in evidente contrasto anche con l'art. 11 della
stessa  direttiva  comunitaria  n. 75/442/CEE,  cosi' come modificata
dalla  direttiva  n. 91/156/CEE,  laddove  prevede  che  il  generale
obbligo  dell'autorizzazione  per  lo  svolgimento  di  attivita'  di
recupero dei rifiuti (art. 10) possa essere derogato solo «qualora le
autorita'  competenti  abbiano adottato per ciascun tipo di attivita'
norme  generali  che  fissano  i  tipi e le quantita' di rifiuti e le
condizioni    alle   quali   l'attivita'   puo'   essere   dispensata
dall'autorizzazione».
    Nel  caso di specie, invece, il legislatore nazionale esclude dal
regime  dei rifiuti e dalle relative procedure di autorizzazione e di
controllo  le  terre  e  rocce  di  scavo  - che ai sensi del diritto
comunitario  dovrebbero  invece  esservi  assoggettati - senza alcuna
predeterminazione  delle  quantita'  di  rifiuti  necessaria  per  la
dispensa dall'autorizzazione.
    D'altra  parte,  per le ragioni sopra esposte, l'art. 186 si pone
in   contrasto   con  i  principi  e  criteri  direttivi  individuati
dall'art. 1,   comma   8,   della  legge  delega  n. 308/2004  e,  in
particolare,  con i richiamati principi e criteri di cui alle lettere
e) ed f).
    Peraltro,  si  deve  osservare  anche  la  violazione dei criteri
direttivi  di cui all'art. 1, comma 8, lettera a), b), h) e i), della
legge delega n. 308/2004, secondo i quali il nuovo testo unico doveva
garantire  la  salvaguardia,  tutela  e  miglioramento della qualita'
dell'ambiente e della protezione della salute umana; il conseguimento
di  maggiore  efficienza  e  tempestivita'  dei controlli ambientali,
nonche'  la  certezza  delle  sanzioni  in  caso  di violazione delle
disposizioni  a  tutela dell'ambiente; la previsione di misure idonee
ad assicurare l'efficacia dei controlli e dei monitoraggi ambientali;
nonche'  garantire  una  piu'  efficace  tutela in materia ambientale
anche mediante il coordinamento e l'integrazione della disciplina del
sistema sanzionatorio.
    In  denegata  ipotesi,  l'esclusione delle rocce e terre da scavo
dal  regime dei rifiuti, comunque, dovrebbe limitarsi alle ipotesi di
effettivo  utilizzo,  progettualmente  previsto,  di detti materiali.
Contrariamente,  il  comma  5  dell'art. 186 richiede l'obbligo della
redazione del progetto solo per le destinazioni a differenti cicli di
produzione  industriale  dei  materiali di risulta, e non piu' - come
invece  prescriveva  la previgente normativa (cfr. legge n. 443/2001,
cosi'  come modificata dalla legge n. 306/2003) - anche per gli altri
utilizzi.  Cio'  contrasta  con  la normativa comunitaria, cosi' come
interpretata  da  pacifica  giurisprudenza  comunitaria;  si  veda in
particolare  la  sentenza C.G.C.E., 11 novembre 2004, causa C- 457/02
Niselli, nella quale si afferma «l'obbligo di interpretare la nozione
di  rifiuti  in  maniera estensiva per limitare gli inconvenienti o i
danni  inerenti  alla  loro  natura», essendo in ogni caso necessario
garantire  la  finalita' perseguita dalla direttiva 75/442, ovverosia
«la  tutela  della  salute  umana  e dell'ambiente contro gli effetti
nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell'ammasso e
del  deposito  dei  rifiuti».  Nella  stessa  sentenza  si afferma la
possibilita'  di  escludere  le terre e rocce da scavo dal novero dei
rifiuti  «a  condizione  che  il  suo  riutilizzo  sia  certo,  senza
trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione» e
non risulta dunque sufficiente l'esistenza dell'astratta possibilita'
di  riutilizzare  una sostanza, ma e' invece assolutamente necessaria
una probabilita' di riutilizzo talmente alta da assurgere al rango di
certezza (nello stesso senso la sentenza C.G.C.E. del 18 aprile 2002,
causa  C-9/00  Palin  Granit e Vegmassalon, in cui si afferma che «il
detentore  di  detriti  derivanti  dallo  sfruttamento di una cava di
pietra,  depositati  a  tempo indeterminato in attesa di un possibile
utilizzo,  si  disfa  o ha deciso di disfarsi di tali detriti i quali
devono,  di  conseguenza,  essere  qualificati  come rifiuti ai sensi
della direttiva 75/442».
    Inoltre,   la   disciplina  di  cui  all'art. 186  non  e'  stata
coordinata  con  il d.m. n. 471/1999 concernente la bonifica dei siti
inquinati, decreto richiamato al terzo comma della norma.
    Infatti  l'art. 186  in  esame  stabilisce che, per esonerare dai
rifiuti  le  terre  e  le  rocce  da  scavo,  si  debba guardare alla
«composizione  media  dell'intera massa» che «non deve presentare una
concentrazione  di  inquinanti  superiore  ai limiti massimi previsti
dalle  norme  vigenti  e  dal  decreto di cui al comma 3»: ovvero non
superiore  ai  valori  di  concentrazione  limite  accettabili di cui
all'Allegato  1,  tabella  1,  colonna  B,  del  decreto del Ministro
dell'ambiente    25    ottobre   1999,   n. 471   (applicabile   fino
all'emanazione del nuovo decreto ministeriale).
    Il  richiamato d.m. n. 471/1999, con riferimento alle metodologie
di rilevazione dell'inquinamento ai fini delle bonifiche, dispone che
«i  risultati  delle analisi effettuate sulla frazione granulometrica
passante  al  vaglio  2 mm sono riferiti alla totalita' dei materiali
secchi».
    Percio', mentre ai fini delle bonifiche il rispetto dei limiti di
cui  al  d.m.  n. 471/1999  si  verifica analizzando il sottovaglio e
riferendo  i  risultati  alla totalita' dei materiali secchi, in base
all'art. 186  il  discrimine  tra  rifiuto  e  non rifiuto si basa su
analisi   rapportate   alla  composizione  media  dell'intera  massa,
ottenendo cosi' dei risultati del tutto diversi, atteso che nel primo
caso  il  livello  di  contaminazione  del sottovaglio sara' riferito
all'intera  massa  dei  rifiuti,  mentre  nella  seconda  ipotesi  il
medesimo  livello di inquinanti trovati nel sottovaglio dovra' essere
riferito  alla  media  della  intera  massa,  con il risultato di una
«diluizione» del livello degli inquinanti.
    Da  cio'  deriva la paradossale conseguenza che la medesima massa
di  terre  e  rocce  di scavo, legittimamente allocata in un sito, ai
sensi dell'art. 186, in quanto conforme ai limiti ex d.m. n. 471/1999
perche' calcolati con riferimento alla composizione media dell'intera
massa,  non  sarebbe  conforme  agli  stessi  limiti fissati dal d.m.
n. 471/1999  per  le  bonifiche,  perche'  calcolati  con riferimento
all'intera  massa  e  non  alla  sua  media  e  pertanto  si dovrebbe
procedere in un secondo momento alla bonifica di detto sito.
    Cio'  determina gravi ripercussioni sulle competenze regionali in
materia  di governo del territorio e di tutela della salute in quanto
le   terre  e  rocce  da  scavo  vengono  dispensate  dai  poteri  di
autorizzazione,  pianificazione  e controllo attribuiti alle regioni,
imponendo  poi  a  queste ultime l'obbligo di procedere alla bonifica
del sito, che non risulta conforme ai valori-soglia stabiliti ai fini
della bonifica stessa dal citato d.m. n. 471/1999.
    Detta illegittimita' non e' superata con l'emanazione del decreto
ministeriale  di  cui  all'art. 186, comma 3, atteso che quest'ultimo
determina  «i  limiti  massimi  accettabili  nonche'  le modalita' di
analisi  dei  materiali  ai  fini  della  loro  caratterizzazione, da
eseguire  secondo  i criteri di cui all'Allegato 2 del titolo V della
parte quarta del presente decreto».
    Pervero, il richiamato allegato 2, nel dettare i criteri generali
per  la  caratterizzazione  dei  siti  contaminati ai fini della loro
bonifica,  dispone,  al  capoverso dedicato alle «Analisi chimica dei
terreni»,  che  «ai  fini  di  ottenere l'obiettivo di ricostruire il
profilo  verticale della concentrazione degli inquinanti del terreno,
i  campioni  da  portare  in  laboratorio dovranno essere privi della
frazione  superiore a 2 cm (da scartare in campo) e le determinazioni
analitiche  in  laboratorio dovranno essere condotte sull'aliquota di
granulometria inferiore a 2 cm. La concentrazione del campione dovra'
essere  determinata  riferendosi alla totalita' dei materiali secchi,
comprensiva anche dello scheletro».
    Pertanto,  anche  con  l'emanazione  del  decreto ministeriale di
fissazione  dei  limiti  massimi  accettabili  e  delle  modalita' di
analisi  dei  materiali ai fini della loro caratterizzazione si avra'
in  insanabile  contrasto  tra  quanto disposto per il recupero delle
terre   e  rocce  di  scavo  e  le  norme  sulla  bonifica  dei  siti
contaminati.
    Ed, infatti, il d.m. 2 maggio 2006, recante «Criteri, procedure e
modalita'  per  il  campionamento  e l'analisi delle terre e rocce da
scavo,  ai  sensi  dell'art. 186,  comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006,
n. 152» e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 10 maggio 2006, n. 107,
da  un  lato,  all'art. 3,  comma  3,  dispone che «le determinazioni
analitiche  in  laboratorio dovranno essere condotte sull'aliquota di
granulometria  inferiore a 2 mm»; e, dall'altro, all'art. 5, comma 1,
fissa  i  limiti  massimi  accettabili rinviando alle «concentrazioni
soglia  di  contaminazione  nel  suolo e nel sottosuolo riferiti alla
specifica  destinazione  d'uso  dei  siti  da  bonificare», ovvero ai
limiti  previsti per le bonifiche dalla tabella 1, colonna B (siti ad
uso  commerciale  e  industriale), dell'allegato 5 del Titolo V della
parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
    Percio',  anche  con  l'emanazione del d.m. 2 maggio 2006, non e'
stato  superato  l'effetto  paradossale,  e  lesivo  delle competenze
regionali  in  materia  di  governo  del territorio e di tutela della
salute, di far considerare non rifiuto una massa di terra e roccia da
scavo  e  quindi di consentirne l'allocazione sul territorio, perche'
le  analisi sono state rapportate alla composizione media dell'intera
massa, e di rendere poi necessaria la bonifica di quel territorio per
superamento  dei  limiti  previsti  ai  fini  della  bonifica stessa,
rapportati  alla  totalita' dei materiali secchi. Sussistono pertanto
le denunciate illegittimita'.
    D.5)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 189, commi 1 e 3,
degli artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
    L'art. 189  disciplina  il c.d. Catasto dei rifiuti, riproducendo
quasi  pedissequamente,  salvo alcuni aspetti che qui interessano, le
disposizioni di cui all'art. 11 della legge n. 22/1997.
    Il  primo  comma  non  prevede piu' la necessaria audizione della
Conferenza  permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e
province  autonome  di  Trento  e Bolzano per la riorganizzazione del
Catasto  dei  rifiuti,  istituito  dall'art. 3  del  decreto-legge  9
settembre  1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9
novembre 1988, n. 475.
    Il  comma  3  dell'art. 189  esonera  i produttori di rifiuti non
pericolosi  dall'obbligo  di presentare il c.d. MUD di cui alla legge
n. 70/1994,  ossia di comunicare annualmente alle Camere di commercio
le  quantita' e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto di
raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti.
    L'art. 189,  comma 1, si pone in contrasto con gli articoli 117 e
118  della  Costituzione,  atteso  che,  come  ha  rilevato  la Corte
costituzionale  (cfr.  sent. n. 407/2002), allorquando il legislatore
nazionale  interviene  in una materia (nel caso di specie, i rifiuti)
ove  gli  interessi  ambientali si sovrappongono con quelli di tutela
del  territorio  e  della  tutela  della  salute  e  sicurezza  della
popolazione, e' necessario il coinvolgimento delle Regioni attraverso
l'intesa con la Conferenza unificata.
    Inoltre  l'art. 189,  comma  1,  si pone in contrasto anche con i
principi  e  criteri direttivi della legge delega, laddove vincola il
legislatore    delegato    al    rispetto    dell'assetto   normativo
amministrativo  e  al riparto delle competenze vigenti, atteso che la
Regione  Toscana  ha  gia'  esercitato le funzioni ad essa attribuite
disciplinandole  con legge e con strumenti di pianificazione generale
e particolare.
    Il  successivo terzo comma dell'art. 189 si pone in contrasto con
la  normativa  comunitaria in materia di rifiuti nonche' con la legge
delega;  in  particolare  l'esonero  dei  produttori  di  rifiuti non
pericolosi  dall'obbligo  di  presentare  il  c.d.  MUD  si  pone  in
contrasto  con  il  combinato disposto di cui agli artt. 6 e 14 della
direttiva  75/442/CEE,  che  richiede  l'istituzione  di un'autorita'
competente  a cui fornire le informazioni di cui all'art. 14 relative
a tutti i tipi di rifiuti senza alcuna esclusione.
    Per le ragioni sopra esposte, l'art. 189 si pone in contrasto con
i  principi  e  criteri  direttivi  individuati dall'art. 1, comma 8,
della  legge  delega  n. 308/2004 e, in particolare, con i richiamati
principi e criteri di cui alle lettere e) ed f).
    Da qui la violazione degli arti. 11 e 76 della Costituzione.
    Violazioni  che  si  ripercuotono  sulle competenze della regione
costituzionalmente  riconosciute  dagli  articoli  117 e 118 Cost. in
materia  di tutela della salute e governo del territorio, dal momento
che  la  dispensa  delle imprese e gli enti che producono rifiuti non
pericolosi  dalla  comunicazione annuale al Catasto dei rifiuti va ad
incidere  sui  poteri  di  autorizzazione, controllo e pianificazione
riconosciuti  in  capo  alle  regioni  dal  combinato  disposto della
normativa comunitaria e della legislazione nazionale previgente.
    D.6)   Illegittimita'   costituzionale  dell'art. 195,  comma  1,
lettera f),  comma  2, lettere b), e), l), m) e s), e art. 196, comma
1,  lettera d),  per  violazione  degli  artt. 117  e  118  Cost.  --
Violazione del principio di leale cooperazione.
    L'art. 195   individua   le  competenze  dello  Stato  con  forte
pregiudizio   per  le  attribuzioni  delle  regioni  con  particolare
riferimento  all'attivita'  programmatoria  e pianificatoria, nonche'
con  vanificazione  della  competenza  regionale in materia di tutela
della  salute,  di  governo  del  territorio,  dei  servizi pubblici,
ponendosi  cosi'  in  contrasto  con  gli  articoli  117  e 118 della
Costituzione.
    E'   innanzitutto  illegittima  la  lettera f)  del  primo  comma
dell'art. 195,   nella   parte   in   cui   attribuisce   allo  Stato
«l'individuazione,  nel  rispetto  delle  attribuzioni costituzionali
delle  regioni,  degli  impianti  di  recupero  e  di  smaltimento di
preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e
lo sviluppo del paese», dal momento che tale individuazione avverra',
-  contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte costituzionale (cfr.
sent.   n. 303/2003)  -  sulla  base  di  una  mera  audizione  della
Conferenza  unificata  di  cui  all'art. 8 del decreto legislativo 28
agosto  1997,  n. 281,  e  non  gia'  previa  intesa  con  la regione
interessata.  Intesa  che,  invece,  si  rende  necessaria, in quanto
l'individuazione   degli   impianti  di  recupero  e  smaltimento  di
preminente  interesse  nazionale  andra'  inevitabilmente ad incidere
sulle   prerogative   costituzionali  delle  regioni  in  materia  di
ambiente, salute e, in particolare, governo del territorio.
    La compressione delle attribuzioni regionali e' manifesta se solo
si  considera  che  l'art. 196, comma 1, lettera d), attribuisce alla
«competenza  delle  regioni, nel rispetto dei principi previsti dalla
normativa  vigente  e  dalla  parte  quarta del presente decreto, ivi
compresi quelli di cui all'articolo 195:
        (...)
        d)  l'approvazione  dei  progetti  di  nuovi  impianti per la
gestione  dei  rifiuti,  anche  pericolosi,  e  l'autorizzazione alle
modifiche degli impianti esistenti, fatte salve le competenze statali
di cui all'articolo 195, comma 1, lettera f)».
    Dal   combinato   disposto   di  cui  agli  artt. 195,  comma  1,
lettera f), e 196, comma 1, lettera d), si desume che gli impianti di
recupero  e  di smaltimento di preminente interesse nazionale saranno
individuati,  localizzati,  approvati  direttamente dallo Stato senza
alcun  coinvolgimento  della  regione,  con  conseguente  illegittima
compressione  dei  propri  poteri  in materia di salute e governo del
territorio.
    Del pari illegittime, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.,
sono  le  lettere  b),  e),  l),  m) ed s) dell'art. 195, comma 2, in
quanto  consentono  allo  Stato  di dettare norme di dettaglio in una
materia  che si intreccia con materie o attribuzioni regionali, quali
la   tutela   della   salute,   i   servizi  pubblici,  i  poteri  di
pianificazione,  andando a comprimere e pregiudicare indebitamente il
potere  di  pianificazione  riconosciuto  alle  regioni  dalle  norme
costituzionali  e  dalla pregressa legislazione in materia ambientale
senza prevedere alcuna intesa con le regioni.
    Dispone  infatti  l'art. 195,  comma 2, lettere b), e), l), m) ed
s), che «sono inoltre di competenza dello Stato:
        (...)
        b)   l'adozione   delle   norme   e   delle   condizioni  per
l'applicazione delle procedure semplificate di cui agli articoli 214,
215  e  216, ivi comprese le linee guida contenenti la specificazione
della  relazione  da  allegare  alla  comunicazione  prevista da tali
articoli;
        (...)
        e)    la    determinazione    dei   criteri   qualitativi   e
quali-quantitativi  per  l'assimilazione,  ai  fini  della raccolta e
dello  smaltimento,  dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani derivanti
da  enti e imprese esercitate su aree con superficie non superiore ai
150  metri  quadri  nei  comuni con popolazione residente inferiore a
10.000  abitanti,  o  superficie non superiore a 250 metri quadri nei
comuni  con  popolazione  residente  superiore a 10.000 abitanti. Non
possono essere di norma assimilati ai rifiuti urbani i rifiuti che si
formano  nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime
e  di  prodotti  finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle
mense,  negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori
o comunque aperti al pubblico;
        (...)
        l)  la definizione del modello e dei contenuti del formulario
di  cui all'art. 193 e la regolamentazione del trasporto dei rifiuti,
ivi  inclusa  l'individuazione  delle  tipologie  di  rifiuti che per
comprovate  ragioni  tecniche, ambientali ed economiche devono essere
trasportati con modalita' ferroviaria;
        m)  l'individuazione  delle  tipologie  di  rifiuti  che  per
comprovate  ragioni tecniche, ambientali ed economiche possono essere
smaltiti direttamente in discarica;
        s)  l'individuazione della misura delle sostanze assorbenti e
neutralizzanti,   previamente   testate  da  Universita'  o  Istituti
specializzati,  di  cui  devono  dotarsi  gli impianti destinati allo
stoccaggio,   ricarica,  manutenzione,  deposito  e  sostituzione  di
accumulatori  alfine  di  prevenire  l'inquinamento  del  suolo,  del
sottosuolo  e  di  evitare danni alla salute e all'ambiente derivanti
dalla  fuori  uscita  di  acido,  tenuto conto della dimensione degli
impianti,  del numero degli accumulatori e del rischio di sversamento
connesso alla tipologia dell'attivita' esercitata».
    Da qui la violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    D.7)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 199, commi 9 e 10,
per violazione degli artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
    L'  art. 199 disciplina i piani regionali di gestione dei rifiuti
e  al  comma  9  prevede  in  capo  al solo Stato e non anche, in via
preliminare,  in capo alle regioni, il potere sostituivo all'orquando
«le  autorita'  competenti non realizzino gli interventi previsti dal
piano  regionale  nei  termini  e  con  le modalita' stabiliti e tali
omissioni  possano  arrecare  un grave pregiudizio all'attuazione del
piano medesimo».
    Tale disposizione viola gli art. 117 e 118 della Costituzione, in
quanto,  come  piu'  volte  rilevato dalla Corte costituzionale (cfr.
sent.  n. 43/2004),  anche  le regioni hanno il potere di sostituirsi
agli  enti  inadempienti, nelle materie di competenza regionale, come
nel  caso  di  specie,  dal  momento che si verte su materia che va a
intrecciarsi  con  materie  di  competenza  regionale quale la tutela
della salute, il governo del territorio, nonche' alle attribuzioni di
programmazione e pianificazione proprie delle regioni.
    E  nel  caso  di  specie  e' necessario un preliminare intervento
sostitutivo  da  parte  della  regione, dal momento che in Toscana le
funzioni  amministrative  e i compiti in materia tutela dell'ambiente
dagli  inquinamenti  e gestione dei rifiuti, risorse idriche e difesa
del  suolo  conferite  alla regione dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112,
sono state attribuite agli enti locali (comuni e province) con ll.rr.
nn. 88/1098 e 25/1998.
    Del  pari illegittima per violazione degli articoli 11, 76, 117 e
118 della Costituzione, e' l'art. 199, comma 10, perche', da un lato,
individua il contenuto dei provvedimenti in via sostitutiva di cui al
comma  9  anche  nell'ipotesi  in  cui,  come  si e' visto, il potere
sostitutivo   ricade   nella  competenza  regionale;  e,  dall'altro,
nell'individuare il contenuto di detti provvedimenti sostitutivi, non
riprende  la  disposizione  di  cui all'art. 22, comma 10, lettera c)
della  legge  n. 22/1997, che consentiva l'introduzione di sistemi di
deposito cauzionale obbligatorio dei contenitori.
    Invero  cosi'  facendo,  il  legislatore  nazionale,  oltre a non
riconoscere  il  potere  sostitutivo in capo alla regione, si pone in
contrasto  con  la  direttiva  comunitaria  n. 75/442/CEE, cosi' come
modificata  dalla  direttiva  n. 91/156/CEE,  laddove prevede, tra le
finalita'  della normativa sui rifiuti, la prevenzione o la riduzione
della produzione e nocivita' dei rifiuti. Invero, la previsione di un
deposito  cauzionale  costituisce  un  ottimo  deterrente all'aumento
della produzione e nocivita' dei rifiuti.
    Per  le  ragioni sopra esposte, l'art. 199, comma, 10, si pone in
contrasto con i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1,
comma  8,  della  legge  delega  n. 308/2004 e, in particolare, con i
citati principi e criteri di cui alle lettere e) ed f).
    Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione.
    Violazioni  che  si  ripercuotono sulle competenze costituzionali
della regione in materia di tutela dell'ambiente, tutela della salute
e governo del territorio, e quindi nella violazione degli artt. 117 e
118   Cost.,  dal  momento  che  la  mancata  previsione  del  potere
sostitutivo in capo alla regione e la mancata previsione dell'obbligo
di  depositi  cauzionali  vanno  inevitabilmente  a  pregiudicare  le
attribuzioni  regionali  in  tema  di  controllo e pianificazione del
territorio e di tutela sanitaria.
    D.8)   Illegittimita'   costituzionale  dell'art. 201,  comma  6,
dell'art.  203,  comma  2, lettera c), per violazione degli artt. 11,
76, 117, 118 Cost.
    L'art. 201  reca la disciplina del servizio di gestione integrata
dei  rifiuti  urbani  e  al  comma  6 stabilisce che «la durata della
gestione  da  parte dei soggetti affidatari, non inferiore a quindici
anni,  e'  disciplinata  dalle  regioni  in  modo  da  consentire  il
raggiungimento di obiettivi di efficienza, efficacia ed economicita».
    Analogamente, l'art. 203, nel dettare lo schema tipo di contratto
di  servizio  che  regola  i  rapporti  tra le Autorita' d'ambito e i
soggetti  affidatari  del servizio integrato, stabilisce, al comma 2,
lettera c),  che tale contratto che deve prevedere, tra le altre, «la
durata dell'affidamento, comunque non inferiore a quindici anni».
    La  previsione  di una durata minima quindicennale delle gestioni
integrate  dei  rifiuti  urbani si pone in contrasto con la normativa
comunitaria  in  materia  di  rifiuti  nonche'  con la legge delega e
quindi,  conseguentemente,  contrasta con gli artt. 11, 76, 117 e 118
della Costituzione.
    In  particolare,  una durata di 15 anni per le gestioni integrate
dei  rifiuti  si  pone  in  conflitto  con  la  direttiva comunitaria
n. 75/442/CEE,  cosi'  come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE,
laddove, all'art. 5, prevede che gli Stati membri adottino le «misure
appropriate  per  la  creazione  di  una rete integrata e adeguata di
impianti  di  smaltimento,  che  tenga  conto  delle  tecnologie piu'
perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi» e che
«tale  rete deve inoltre permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno
degli  impianti appropriati piu' vicini, grazie all'utilizzazione dei
metodi  e  delle  tecnologie piu' idonei a garantire un alto grado di
protezione dell'ambiente e della salute pubblica».
    Il conflitto con la normativa comunitaria si estrinseca, in altri
termini,  nel  fatto  che  un'autorizzazione  quindicennale  non puo'
consentire di perseguire l'obiettivo di tenere conto delle tecnologie
piu'  perfezionate  a  disposizione  e  di  utilizzare  i metodi e le
tecnologie  piu'  idonee  a  garantire  un  alto  grado di protezione
ambientale e della salute pubblica.
    Prevedere  una  durata quindicennale senza alcuna precisazione in
merito  all'onere  di  tenere  costantemente aggiornate le tecnologie
utilizzate per la gestione dei rifiuti, si traduce inevitabilmente in
un   grave   danno  all'ambiente  e  alla  sicurezza  dei  cittadini.
Pregiudizio che con la precedente normativa veniva scongiurato con la
previsione   di  una  durata  quinquennale  dell'autorizzazione  alla
gestione  integrata  dei  rifiuti, dal momento che in sede di rinnovo
dell'autorizzazione l'autorita' competente ai rilascio procedeva alla
valutazione  e  confronto  delle  tecnologie  utilizzate  con  quelle
esistenti  sul  mercato  al  fine  di individuare le «tecnologie piu'
perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi».
    Per   le   ragioni   sopra  esposte,  le  impugnate  disposizioni
contrastano  con  la  citata  direttiva  comunitaria  nonche'  con  i
principi  e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, della
legge  delega  n. 308/2004 e, in particolare, con i citati principi e
criteri  di cui alle lettere e) ed f), nella parte in cui prevede una
durata quindicennale dell'autorizzazione.
    Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione.
    Violazioni  che  si  ripercuotono  sulle competenze in materia di
tutela  della  salute  e  governo  del  territorio costituzionalmente
garantite alle regioni ai sensi degli artt. 117 e 118 Cost.
    D.9)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 202, comma 1, per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    L'art. 202,   nel  disciplinare  l'affidamento  del  servizio  di
gestione  integrata  dei  rifiuti  urbani,  prevede  al  comma  1 che
«l'Autorita' d'ambito aggiudica il servizio di gestione integrata dei
rifiuti  urbani  mediante  gara  disciplinata  dai  principi  e dalle
disposizioni   comunitarie,   in   conformita'   ai  criteri  di  cui
all'art. 113,  comma  7,  del  decreto  legislativo  18  agosto 2000,
n. 267,  nonche'  con riferimento all'ammontare del corrispettivo per
la  gestione svolta, tenuto conto delle garanzie di carattere tecnico
e  delle  precedenti  esperienze  specifiche dei concorrenti, secondo
modalita' e termini definiti con decreto dal Ministro dell'ambiente e
della  tutela  del territorio nel rispetto delle competenze regionali
in materia».
    Tale  disposizione  e' in contrasto con gli artt. 117 e 118 della
Costituzione,  perche' incide sulla competenza regionale attinente ai
servizi  pubblici  locali. Come gia' evidenziato sopra al punto C.7),
nei  servizi  dotati  di  rilevanza  economica,  lo  Stato puo' porre
disposizioni  di  carattere generale (C. cost. sent. n. 272/2004); la
norma  impugnata  invece rinvia al decreto ministeriale il compito di
dettare  una  minuziosa  disciplina  delle  procedure  da seguire per
l'affidamento   del  servizio  di  gestione  integrata  dei  rifiuti,
ponendosi  in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte
costituzionale,  secondo la quale i vincoli posti dallo Stato «devono
essere   configurati  in  modo  consono  all'esistenza  di  sfere  di
autonomia,  costituzionalmente  garantite, rispetto a cui l'azione di
coordinamento  non puo' mai eccedere i limiti, al di la' dei quali si
trasformerebbe    in   attivita'   di   direzione   o   in   indebito
condizionamento  dell'attivita'  degli  enti  autonomi»  (Corte cost.
sent. n. 376/2003).
    Peraltro,  la  lesione  delle  attribuzioni regionali di cui agli
artt. 111  e 118 Cost., conseguente alla previsione che l'affidamento
del  servizio  avvenga  sulla base delle modalita' e termini definiti
con  decreto ministeriale, non viene meno per il solo fatto di essere
stato previsto «il rispetto delle competenze regionali in materia» da
parte  del  Ministero  al  momento della stesura di dette modalita' e
termini  di  affidamento della gestione integrata dei rifiuti urbani.
Infatti,  trattandosi  di  materia  che  coinvolge  anche  materie di
competenza   regionale   (governo  del  territorio,  salute,  servizi
pubblici),  dovrebbe  quanto  meno  essere  richiesta l'intesa con le
regioni per poter incidere sulle prerogative regionali.
    D.10)  Illegittimita' costituzionale dell'art. 208, comma 10, per
violazione degli artt. 111, 118 Cost.
    L'art. 208  disciplina  la  c.d. autorizzazione unica per i nuovi
impianti  di  smaltimento  e  di recupero dei rifiuti e, al comma 10,
prevede  che «ove l'autorita' competente non provveda a concludere il
procedimento  di  rilascio  dell'autorizzazione unica entro i termini
previsti  al  comma  8,  si  applica  il  potere  sostitutivo  di cui
all'art. 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112».
    A   fronte   dell'inadempimento   nell'esercizio  della  suddetta
funzione, la norma prevede dunque un diretto potere sostitutivo dello
Stato  (l'art. 5  del  d.lgs.  n. 112/1998  disciplina infatti questo
potere sostitutive statale).
    Tale  disposizione  viola gli artt. 117 e 118 della Costituzione,
in quanto, come piu' volte ha ricordato la Corte costituzionale (cfr.
sent.  n. 43/2004),  anche  le regioni hanno il potere di sostituirsi
agli  enti  inadempienti  nelle materie di competenza regionale, come
nel  caso  di  specie,  dal  momento che si verte su materia che va a
intrecciarsi  con  materie  di  competenza regionale (la tutela della
salute,  il governo del territorio, le attribuzioni di programmazione
e pianificazione proprie delle regioni).
    E   nel  caso  di  specie  si  rende  necessario  un  preliminare
intervento  sostitutivo  da  parte  della regione, dal momento che in
Toscana  le  funzioni  amministrative  e  i compiti in materia tutela
dell'ambiente  dagli  inquinamenti  e  gestione  dei rifiuti, risorse
idriche e difesa del suolo conferite alla regione dal d.lgs. 31 marzo
1998,  n. 112  sono  state  attribuite  agli  enti  locali  (comuni e
province) con ll.rr. nn. 88/1998 e 25/1998.
    Ne'  puo'  sostenersi che l'art. 208 va interpretato nel senso di
non  consentire  alle  regioni  l'attribuzione agli enti locali delle
funzioni  amministrative  e dei compiti ad essa conferite dallo Stato
in  materia  tutela  dell'ambiente  dagli inquinamenti e gestione dei
rifiuti, risorse idriche e difesa del suolo.
    Tale   tesi   ermeneutica  -  tesa  a  riconoscere  un  carattere
vincolante e inderogabile all'attribuzione in capo alle regione delle
funzioni  autorizzatorie ex art. 208 d.P.R. n. 152/2006 - si porrebbe
in  palese  contrasto  oltre  che con l'art. 117 anche con l'art. 118
della  Costituzione  perche'  nella  disposizione  impugnata  non  e'
rinvenibile  alcuna  valutazione  circa  le  esigenze unitarie che ai
sensi   dell'art. 118  Cost.  legittimerebbero  l'attribuzione  delle
funzioni amministrative a un livello superiore rispetto ai comuni.
    D.11)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 212, commi 2 e 3,
per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    L'art. 212  disciplina  l'Albo  nazionale dei gestori ambientali,
prevedendo  che  l'iscrizione  presso  di  esso  «e' requisito per lo
svolgimento  delle  attivita'  di raccolta e trasporto di rifiuti non
pericolosi  prodotti  da  terzi,  di  raccolta e trasporto di rifiuti
pericolosi,  di  bonifica  dei  siti, di bonifica dei beni contenenti
amianto, di commercio ed intermediazione dei rifiuti senza detenzione
dei  rifiuti stessi, nonche' di gestione di impianti di smaltimento e
di  recupero di titolarita' di terzi e di gestione di impianti mobili
di   smaltimento  e  di  recupero  di  rifiuti,  nei  limiti  di  cui
all'art. 208, comma 15».
    I  commi  2  e  3  dell'art. 212  sono  stati modificati rispetto
all'art. 30  del  d.lgs. n. 22/1997, prevedendo un aumento del numero
dei  componenti statali nel Comitato nazionale e delle organizzazioni
sindacali  e  delle  categorie  economiche relativamente alle sezioni
regionali o provinciali dell'Albo.
    Tali disposizioni si pongono in contrasto con gli artt. 117 e 118
della  Costituzione in quanto, prevedendo una diminuzione di peso dei
rappresentanti regionali in seno al Comitato nazionale e alle sezioni
regionali,  ledono  le prerogative delle regioni in materia di tutela
della  salute  e  del governo del territorio, in considerazione delle
importanti   funzioni   svolte  dall'Albo  in  materia  di  procedure
semplificate  per  la gestione dei rifiuti di cui agli articoli 214 e
seguenti  del  testo  unico  dell'ambiente,  che  attribuiscono  alla
sezione   regionale   dell'Albo,  anziche'  alle  province,  funzioni
istruttorie   ed  autorizzatorie  in  materia  di  autosmaltimento  e
recupero dei rifiuti.
    In  altri  termini, il passaggio delle funzioni amministrative in
merito  all'autorizzazione all'autosmaltimento e recupero dei rifiuti
dalle  province  all'Albo nazionale dei gestori ambientali importera'
inevitabilmente un pregiudizio all'attivita' di controllo, in quanto,
da   un   lato,  si  perderanno  le  professionalita'  e  il  network
professionale  creatosi  sotto  la precedente disciplina in seno alle
province  e  alla  regione; e, dall'altro, non e' previsto un congruo
peso  regionale  in seno all'Albo idoneo a incidere sulla definizione
degli   indirizzi   da   seguire   per   l'esercizio  delle  funzioni
amministrative in parola.
    Tutto  cio'  si risolve quindi in una lesione, compressione delle
sopra     indicate     prerogative    ed    attribuzioni    regionali
costituzionalmente riconosciute.
    D.12)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 214, commi 2 e 3,
per violazione degli artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
    Gli  articoli  214,  215  e  216  disciplinano  le c.d. procedure
semplificate   per   lo   smaltimento  e  recupero  dei  rifiuti  non
pericolosi.
    L'art. 214,  comma  2, prevede che con decreto ministeriale siano
adottate per ciascun tipo di attivita' le norme, che fissano i tipi e
le  quantita'  di  rifiuti,  e  le  condizioni  in base alle quali le
attivita'  di  smaltimento  di  rifiuti non pericolosi effettuate dai
produttori  nei  luoghi  di produzione degli stessi e le attivita' di
recupero di cui all'Allegato C alla parte quarta del presente decreto
sono  sottoposte alle procedure semplificate di cui agli articoli 215
e  216. Con la medesima procedura si provvede all'aggiornamento delle
predette norme tecniche e condizioni.
    Il  terzo  comma,  invece, stabilisce che «il comma 2 puo' essere
attuato  anche  secondo  la  disciplina  vigente  per  gli accordi di
programma  di  cui  agli  articoli  181  e  206  e nel rispetto degli
orientamenti comunitari in materia».
    La  previsione  di  accordi  di programma in materia di procedure
semplificate per lo smaltimento e il recupero del rifiuti nei termini
di cui all'art. 181 si pone in contrasto con la normativa comunitaria
in  materia  di  rifiuti  nonche'  con  la  legge  delega  e  quindi,
conseguentemente,  contrasta  con  gli  artt. 11, 76, 117 e 118 della
Costituzione.
    Detti   accordi  di  programma  consentono,  infatti,  come  gia'
rilevato  al  precedente punto D.1), di derogare al sistema normativo
previgente (in parte trasfuso nello stesso testo unico) in materia di
rifiuti,   istituendo   una  contrattazione  diretta  tra  privati  e
Amministrazione  statale idonea ad escludere dal regime dei rifiuti e
dalle  relative  procedure di autorizzazione e di controllo tutta una
serie  di  materiali  o sostanze che nella legislazione vigente e nel
diritto comunitario invece vi sono assoggettati.
    Questa  deregolamentazione  o  privatizzazione  della  disciplina
dello  smaltimento  e  del recupero dei rifiuti, avendo come naturale
conseguenza  la sottrazione dal regime di rifiuti di molte sostanze e
materie  sulla  base  di una mera contrattazione, si pone in evidente
contrasto  con  la  direttiva  comunitaria  n. 75/442/CEE, cosi' come
modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE, laddove prevede all'art. 11
che  il  generale  obbligo  dell'autorizzazione per lo svolgimento di
attivita'  di  recupero  dei  rifiuti (art. 10) possa essere derogato
solo  «qualora  le  autorita' competenti abbiano adottato per ciascun
tipo di attivita' norme generali che fissano i tipi e le quantita' di
rifiuti e le condizioni alle quali l'attivita' puo' essere dispensata
dall'autorizzazione».
    Violazione  di  tutta evidenze se solo si considera che - al pari
di  quanto  previsto  dall'art. 181,  comma 9 - le norme generali che
fissano  i  tipi e le quantita' di rifiuti e le condizioni alle quali
l'attivita'   puo'  essere  dispensata  dall'autorizzazione  dovranno
essere fissate necessariamente dai predetti accordi di programma anzi
che dall'autorita' competente come richiesto a livello comunitario.
    Per  le  ragioni  sopra  esposte, l'art. 214, comma 3, si pone in
contrasto con i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1,
comma  8,  della  legge  delega  n. 308/2004 e, in particolare, con i
citati principi e criteri di cui alle lettere e) ed f).
    Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione.
    Violazioni  che  si  ripercuotono sulle competenze costituzionali
della regione in materia di tutela dell'ambiente, tutela della salute
e  governo  del territorio, dal momento che una congerie di categorie
di  rifiuti  verranno,  con  detti  accordi  di programma, dispensati
dall'assoggettamento   dei  poteri  di  autorizzazione,  controllo  e
pianificazione  riconosciuti  in  capo  alle  regioni  dal  combinato
disposto  della  normativa comunitaria e della legislazione nazionale
previgente,  con  evidenti  pregiudizi  per  la sicurezza dell'intera
collettivita'. In particolare, e' di tutta evidenza, la lesione delle
funzioni   pianificatorie  delle  regioni  laddove  tali  accordi  di
programma  prevedano  l'individuazione  dei  luoghi ove effettuare il
recupero  dei  rifiuti,  andando  cosi'  a  vincolare la destinazione
urbanistica di tali siti destinati al recupero senza alcun intervento
da parte delle regioni interessate.
    Stante  tale  incidenza con le competenze regionali in materia di
tutela della salute e governo del territorio, il decreto ministeriale
di cui al secondo comma dell'art. 214 dovrebbe essere adottato previa
intesa  con  le  regioni,  intesa invece non prevista con conseguente
sussistenza  delle  denunciate  illegittimita',  per violazione degli
artt. 117 e 118 Cost.
    D.13)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 215, commi 1, 3 e
4,  e  art. 216, commi 1, 3 e 4, per violazione degli artt. 117 e 118
Cost.
    Gli articoli 215 e 216 disciplinano le procedure semplificate con
particolare  riferimento  alle  attivita'  di  autosmaltimento e alle
operazioni  di recupero, attribuendo alla Sezione regionale dell'Albo
nazionale  dei gestori ambientali di cui all'art. 212 le funzioni che
la precedente legislazione attribuiva alle province (cfr., artt. 32 e
33 del d.lgs. n. 22/1997).
    I  commi  1  e  3  di  entrambi gli articoli 215 e 216 prevedono,
infatti,  che la regione regionale dell'Albo e' competente a ricevere
la  comunicazione di inizio delle attivita' ed iscriverle in apposito
registro  all'uopo  tenuto dallo stesso Albo, nonche' a verificare la
sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti.
    La  scelta  di sottrarre dalla competenza provinciale la tenuta e
il  controllo  delle  comunicazioni  di  inizio  delle  attivita'  di
smaltimento  e  recupero  nelle  procedure  semplificate e' del tutto
irrazionale  ed  illogica  e non certo ispirata alla semplificazione,
tant'e' che i commi 4 degli artt. 215 e 216 prevedono che «qualora la
sezione  regionale  dell'Albo accerti il mancato rispetto delle norme
tecniche  e  delle  condizioni di cui al comma 1, la medesima sezione
propone  alla  provincia  di  disporre  con provvedimento motivato il
divieto  di  inizio  ovvero  di  prosecuzione  dell'attivita». Non si
semplifica  attribuendo  il  potere  di  controllo a un soggetto e il
potere sanzionatorio ad un altro soggetto.
    Come gia' rilevato, il suddetto albo esercitera' i propri poteri,
da  un  lato, alla luce del decreto di cui all'art. 214, comma 2, con
cui  il  Ministero  adottera' per ciascun tipo di attivita' le norme,
che fissano i tipi e le quantita' di rifiuti, e le condizioni in base
alle  quali  le  attivita'  di  smaltimento di rifiuti non pericolosi
effettuate  dai produttori nei luoghi di produzione degli stessi e le
attivita'  di  recupero  di  cui all'Allegato C alla parte quarta del
presente  decreto  sono sottoposte alle procedure semplificate di cui
agli  articoli  215 e 216; e, dall'altro, sulla base degli accordi di
programma di cui agli articoli 181 e 206.
    In sostanza, pertanto, sono previsti:
    una  deregolamentazione  o  privatizzazione  della disciplina del
recupero  dei  rifiuti  attraverso  gli  accordi  di  programma,  che
consentono  una  contrattazione diretta tra privati e Amministrazione
statale  idonea  ad escludere dal regime dei rifiuti e dalle relative
procedure  di  autorizzazione  e  di  controllo  tutta  una  serie di
materiali  o  sostanze  che  nella legislazione vigente e nel diritto
comunitario invece vi sono assoggettati;
    il  conferimento  del  controllo  circa  il  rispetto delle norme
generali  contenute  negli accordi di programma (che fissano i tipi e
le  quantita'  di rifiuti e le condizioni alle quali l'attivita' puo'
essere dispensata dall'autorizzazione) ad un organo (l'Albo) posto al
di  fuori  della  pubblica  amministrazione in luogo delle originarie
province, prevedendo per giunta una diminuzione del peso regionale in
seno  agli  organi direttivi a livello regionale e nazionale di detto
Albo.
    Tutto  cio'  si  ripercuote sulle competenze costituzionali della
regione  in  materia  di  tutela  della  salute  e  del  governo  del
territorio,  dal momento che, da un lato, molti rifiuti verranno, con
detti  accordi  di  programma,  dispensati  dall'assoggettamento  dei
poteri     di     autorizzazione,    controllo    e    pianificazione
dell'Amministrazione  regionale;  e,  dall'altro, tale dispensa sara'
autorizzata  da un soggetto (l'Albo) in relazione al quale la regione
non  ha alcun potere di indirizzo e controllo, avendo avuto diminuita
la  presenza  dei propri rappresentanti in seno agli organi direttivi
dell'Albo stesso.
    Con  le  norme  che  qui  si  impugnano, pertanto, il legislatore
nazionale  ha  esautorato  la  regione  delle  importanti funzioni in
materia  di  tutela  della salute e sicurezza nonche' del governo del
territorio,   non  potendo  piu'  esercitare  il  proprio  potere  di
indirizzo  e  controllo  in  dette  materie di competenza legislativa
concorrente.
    D.14) Illegittimita' costituzionale dell'art. 238, commi 3, 6, 7,
8, 9 e 10, per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost.
    L'art.  238  disciplina  la  tariffa  per la gestione dei rifiuti
urbani.
    Il comma 3 dispone che «la tariffa e' determinata, entro tre mesi
dalla  data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 6, dalle
Autorita' d'ambito ed e' applicata e riscossa dai soggetti affidatari
del servizio di gestione integrata sulla base dei criteri fissati dal
regolamento di cui al comma 6».
    I   commi  da  6  a  10  disciplinano  le  competenze  attuative,
disponendo che:
        «6.  Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio,
di  concerto  con  il Ministro delle attivita' produttive, sentiti la
Conferenza  Stato-regioni  e  le  province  autonome  di  Trento e di
Bolzano,  le  rappresentanze  qualificare degli interessi economici e
sociali  presenti  nel Consiglio economico e sociale per le politiche
ambientali (CESPA) e i soggetti interessati, disciplina, con apposito
regolamento  da  emanarsi  entro  sei  mesi  dalla data di entrata in
vigore  della  parte quarta del presente decreto e nel rispetto delle
disposizioni  di  cui  al presente articolo, i criteri generali sulla
base  del  quali  vengono  definite  le  componenti dei costi e viene
determinata  la  tariffa,  anche con riferimento alle agevolazioni di
cui  al  comma  7,  garantendo  comunque  l'assenza  di  oneri per le
autorita' interessate.
        7. Nella determinazione della tariffa possono essere previste
agevolazioni  per  le  utenze  domestiche e per quelle adibite ad uso
stagionale  o non continuativo, debitamente documentato ed accertato,
che  tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di
utenza  e  territoriali. In questo caso, nel piano finanziario devono
essere  indicate  le  risorse  necessarie  per  garantire l'integrale
copertura dei minori introiti derivanti dalle agevolazioni, secondo i
criteri fissati dal regolamento di cui al comma 6.
        8. Il  regolamento  di cui al comma 6 tiene conto anche degli
obiettivi  di  miglioramento della produttivita' e della qualita' del
servizio fornito e del tasso di inflazione programmato.
        9. L'eventuale  modulazione  della  tariffa tiene conto degli
investimenti  effettuati dai comuni o dai gestori che risultino utili
ai fini dell'organizzazione del servizio.
        10. Alla  tariffa  e'  applicato un coefficiente di riduzione
proporzionale  alle quantita' di rifiuti assimilati che il produttore
dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata
dal  soggetto  che  effettua  l'attivita'  di  recupero  dei  rifiuti
stessi».
    Il  predetto quadro normativo e' illegittimo per violazione degli
artt. 117, 118, 119 della Costituzione.
    In  merito, si richiamano le argomentazioni gia' sopra richiamate
in  relazione  alla  tariffa dei servizi idrici (art. 154), rilevando
che   i   diversi   poteri   normativi   riconosciuti   al  Ministero
dall'art. 238  vanno  illegittimamente  a  ingerire  sulla competenza
legislativa  propria  delle  regioni  in  materia di servizi pubblici
locali   (C.   cost.   sent.   n. 272/2004   e  n. 29/2006),  nonche'
sull'autonomia finanziaria regionale, perche' incidenti su un'entrata
la cui disciplina ricade nella competenza regionale.
    In  subordine, allorquando si ritenesse nelle prerogative statali
la disciplina della tariffa per la gestione dei rifiuti, le impugnate
norme  si  pongono in contrasto con gli articoli 117 e 118, in quanto
non  e'  stata  prevista  l'intesa  con la regione, necessaria invece
allorquando  il  legislatore nazionale interviene in una materia (nel
caso   di   specie,  i  rifiuti)  ove  gli  interessi  ambientali  si
sovrappongono  con  quelli  di  tutela  del territorio e della tutela
della salute (cfr. sent. n. 407/2002).
    D.15)   Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 240,  comma  1,
lettera b)  e  dell'art,  242,  commi 2, 3, 4, 5 per violazione degli
artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
    Il  Titolo  V  della  Parte  quarta del testo unico sull'ambiente
disciplina la bonifica di siti inquinati.
    L'art. 240 dette le definizioni necessarie per l'applicazione dei
Titolo   V,   tra  le  quali,  al  comma  1,  lettera b),  quella  di
«concentrazioni   soglia   di  contaminazione  (CSC):  i  livelli  di
contaminazione  delle  matrici ambientali che costituiscono valori al
di  sopra  dei  quali  e'  necessaria la caratterizzazione del sito e
l'analisi di rischio sito specifica, come individuati nell'Allegato 5
alla  parte  quarta  del  presente  decreto.  Nel caso in cui il sito
potenzialmente  contaminato  sia  ubicato  in  un'area interessata da
fenomeni  antropici o naturali che abbiano determinato il superamento
di  una o piu' concentrazioni soglia di contaminazione, queste ultime
si  assumono  pari al valore di fondo esistente per tutti i parametri
superati».
    L'art.   242   disciplina,  invece,  le  procedure  operative  ed
amministrative  per  procedere  alla  bonifica  dei  siti  inquinati,
disponendo che «al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in
grado di contaminare il sito, il responsabile dell'inquinamento mette
in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e
ne  da'  immediata  comunicazione  ai sensi e con le modalita' di cui
all'art. 304, comma 2» [comma 1].
    Dopo   di   che,   ai   sensi   del  comma  2,  «il  responsabile
dell'inquinamento,  attuate  le  necessarie  misure  di  prevenzione,
svolge,  nelle  zone  interessate  dalla  contaminazione, un'indagine
preliminare  sui  parametri  oggetto dell'inquinamento e, ove accerti
che  il  livello  delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC)
non   sia   stato   superato,   provvede  al  ripristino  della  zona
contaminata,  dandone  notizia,  con  apposita autocertificazione, al
comune  ed alla provincia competenti per territorio entro quarantotto
ore    dalla    comunicazione.   L'autocertificazione   conclude   il
procedimento  di notifica di cui al presente articolo, ferme restando
le  attivita'  di  verifica  e  di  controllo da parte dell'autorita'
competente da effettuarsi nei successivi quindici giorni».
    Il    successivo    terzo   comma   trasferisce   la   competenza
autorizzatoria   delle   bonifiche   dalla   regione  al  comune,  in
difformita'  a quanto previsto dall'art. 17 del d.lgs. n. 22/1997. Ed
infatti  si legge che «qualora l'indagine preliminare di cui al comma
2  accerti  l'avvenuto  superamento  delle  CSC  anche  per  un  solo
parametro, il responsabile dell'inquinamento ne da' immediata notizia
al   comune  ed  alle  province  competenti  per  territorio  con  la
descrizione  delle  misure  di prevenzione e di messa in sicurezza di
emergenza  adottate,  Nei  successivi  trenta  giorni,  presenta alle
predette   amministrazioni,  nonche'  alla  regione  territorialmente
competente  il  piano  di  caratterizzazione  con  i requisiti di cui
all'Allegato 2 alla parte quarta del presente decreto. Entro i trenta
giorni  successivi  la  regione,  convocata la conferenza di servizi,
autorizza  il  piano  di caratterizzazione con eventuali prescrizioni
integrative. L'autorizzazione regionale costituisce assenso per tutte
le opere connesse alla caratterizzazione, sostituendosi ad ogni altra
autorizzazione,  concessione,  concerto,  intesa, nulla osta da parte
della pubblica amministrazione».
    Il   successivo  quarto  comma  dispone  che  «sulla  base  delle
risultanze della caratterizzazione, al sito e' applicata la procedura
di  analisi  del  rischio  sito specifica per la determinazione delle
concentrazioni soglia di rischio (CSR)». I criteri per l'applicazione
della  procedura di analisi di rischio sono riportati nell'Allegato 1
alla   parte   quarta   dei   presente   decreto.   Entro   sei  mesi
dall'approvazione   del   piano  di  caratterizzazione,  il  soggetto
responsabile  presenta  alla  regione  i  risultati  dell'analisi  di
rischio  che  saranno  approvati  da  apposita  conferenza di servizi
convocata dalla regione.
    Qualora   gli  esiti  della  procedura  dell'analisi  di  rischio
dimostrino  che  la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito
e' inferiore alle concentrazioni soglia di rischio, la conferenza dei
servizi,  con  l'approvazione del documento dell'analisi del rischio,
dichiara  -  ai  sensi  del  quinto comma - concluso positivamente il
procedimento,  potendo  prescrivere lo svolgimento di un programma di
monitoraggio  sul  sito  circa  la  stabilizzazione  della situazione
riscontrata  in  relazione  agli  esiti  dell'analisi  di  rischio  e
all'attuale destinazione d'uso del sito.
    Tale  complesso  sistema  normativo  delle  bonifiche  si pone in
contrasto  con la normativa comunitaria in materia di rifiuti nonche'
con  la  legge  delega  e quindi, conseguentemente, contrasta con gli
artt. 11,  76, 117 e 118 della Costituzione, atteso che l'individuata
procedura  operativa  ed  amministrativa  per  la  bonifica  dei siti
inquinati ha come naturale conseguenza un pregiudizio derivante da un
minor  rigore  nella  tutela  ambientale  e  una  compressione  delle
attribuzioni  regionali in materia di tutela della salute nonche' del
governo del territorio.
    In  particolare,  si  contesta  l'art. 242, in epigrafe indicato,
nella  parte  in  cui  collega  l'obbligo di bonifica per il soggetto
inquinatore,  agli  esiti  della  procedura  di analisi del rischio -
svolta  peraltro  dallo stesso soggetto che ha inquinato - cosi' come
descritta  dall'Allegato  1  alla parte quarta del decreto. In base a
tale  Allegato  1,  infatti,  l'analisi  del  rischio sito specifica,
finalizzata   alla  determinazione  delle  concentrazioni  soglia  di
rischio,  e'  ancorata a parametri del tutto incerti e non oggettivi:
da  cio'  deriva  che  l'inquinatore potra' effettuare un'analisi del
rischio  piu'  favorevole ai propri interessi, evitando la successiva
fase di bonifica.
    In   altri   termini,   l'art. 242,   demanda   al   responsabile
dell'inquinamento  - previo svolgimento, nelle zone interessate dalla
contaminazione,  di  un'indagine  preliminare  sui  parametri oggetto
dell'inquinamento  -  la  valutazione  del  superamento  o meno delle
concentrazioni    soglia   di   contaminazione   (CSC)   e,   quindi,
conseguentemente,  la  valutazione  se provvedere al ripristino della
zona  contaminata  (dandone notizia, con apposita autocertificazione,
al comune ed alla provincia competenti per territorio) oppure di dare
immediata   notizia   al  comune  ed  alle  province  competenti  per
territorio  con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa
in sicurezza di emergenza adottate.
    Appare  evidente  che  una  tale  disposizione  si pone in aperto
contrasto   con   la   normativa   comunitaria  a  tutela  dei  suoli
dall'inquinamento,  dal  momento che a fronte dell'inquinamento di un
sito  si  demanda  alla  discrezionalita'  dell'inquinatore la scelta
della procedura piu' appropriata nel caso di specie.
    L'Ente  pubblico  competente,  se  in  disaccordo  con  l'analisi
prodotta  dal  soggetto,  potra'  non  approvare lo studio, ma a quel
punto dovra' decidere:
        se  procedere d'ufficio alla bonifica del sito, con ben poche
probabilita'   di   recuperare  le  spese  sostenute,  anche  in  via
giudiziaria (data l'incertezza dei parametri di riferimento; peraltro
con   prevedibile  aumento  del  contenzioso  tra  Ente  pubblico  ed
imprese), e cio' comportera' gravi ripercussioni sull'erario;
        ovvero,  non procedere alla bonifica, con gravi ripercussioni
sul territorio e sulla tutela della salute dei cittadini.
    Le  disposizioni  qui  impugnate pertanto si pongono in contrasto
con   gli   artt. 117  e  118  della  Costituzione.  Risulta  inoltre
compromesso    il   principio   comunitario   «chi   inquina   paga»;
conseguentemente,  la  norma  contrasta  con  i  principi  e  criteri
direttivi  individuati  dall'art. 1,  comma  8,  della  legge  delega
n. 308/2004  e,  in particolare, con i principi e criteri di cui alle
lettere  e)  ed f), secondo i quali il nuovo testo unico doveva dare,
da un lato, «piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie,
al  fine  di  garantire  elevati livelli di tutela dell'ambiente e di
contribuire In tale modo alla competitivita' dei sistemi territoriali
e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza»;
e,  dall'altro, «affermazione dei principi comunitari di prevenzione,
di  precauzione,  di  correzione e riduzione degli inquinamenti e dei
danni ambientali e del principio "chi inquina paga"».
    D'altra  parte  le  norme  qui  impugnate si pongono in contrasto
anche  con i principi e criteri direttivi di cui alle lettere b) e h)
dell'art. 1, comma 8, della legge delega n. 308/2004, secondo i quali
avrebbe  dovuto  essere  perseguito  il  «conseguimento  di  maggiore
efficienza e tempestivita' dei controlli ambientali, nonche' certezza
delle  sanzioni  in  caso  di  violazione delle disposizioni a tutela
dell'ambiente»  e la «previsione di misure che assicurino l'efficacia
dei   controlli   e   dei  monitoraggi  ambientali,  incentivando  in
particolare i programmi di controllo sui singoli impianti produttivi,
anche  attraverso il potenziamento e il miglioramento dell'efficienza
delle autorita' competenti». Obiettivi che, come si e' visto non sono
stati perseguiti, anzi sono stati palesemente pregiudicati.
    Da  qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione, che
si  ripercuote  sulle  competenze  costituzionali  della  regione  in
materia di governo del territorio e tutela della salute.
    Considerazioni  analoghe  valgono  con  riferimento all'art. 240,
comma 1, lettera b), nella parte in cui prevede che, nelle ipotesi in
cui  un  sito  potenzialmente  contaminato  sia  ubicato  in  un'area
interessata  da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato
il superamento di una o piu' concentrazioni soglia di contaminazione,
per tale specifico sito tali «valori soglia» coincidono con il valore
di  fondo  esistente  nel  Sito,  con riferimento a tutti i parametri
superati.
    Cio'  determina  gravi  incertezze sulle modalita' di rilevamento
dei  valori  di fondo e, conseguentemente, sui valori di riferimento,
con  evidenti  gravi  ripercussioni  sulla  tutela della salute e sul
governo del territorio.
    D.16)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 242, comma 7, per
violazione degli artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
    Nell'ambito   della   disciplina  delle  procedure  operative  ed
amministrative  per  procedere  alla  bonifica  dei  siti  inquinati,
l'art. 242, comma 7, prevede, in merito alle garanzie finanziarie che
devono  essere prestate a favore della regione per la realizzazione e
l'esercizio   degli   impianti  previsti  dal  progetto  di  bonifica
medesimo,  che  «con  il provvedimento ... e' fissata l'entita' delle
garanzie  finanziarie, in misura non superiore al cinquanta per cento
del  costo  stimato  dell'intervento,  che  devono essere prestate in
favore  della  regione per la corretta esecuzione ed il completamento
degli interventi medesimi».
    La   disposizione,  dunque,  limita  il  quantum  della  garanzia
finanziaria «in misura non superiore al cinquanta per cento del costo
stimato  dell'intervento»:  essa,  oltre ad essere norma di dettaglio
incompatibile  con le competenze regionali in materia di tutela della
salute, del governo del territorio e dei servizi pubblici, si pone in
contrasto  con  i  principi  comunitari  di  tutela  ambientale  e in
particolare  con  il  principio  «chi  inquina paga», dal momento che
consente  a  chi  ha  procurato  un  inquinamento  di  non offrire la
garanzia finanziaria integrale per la bonifica dei sito.
    Dalla  violazione  delle direttive comunitarie segue il contrasto
con  i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8,
della  legge  delega  n. 308/2004  e,  in  particolare,  con  i  gia'
richiamati principi e criteri di cui alle lettere e) ed f).
    Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione.
    Peraltro,  la  previsione  di  un  tetto  massimo per le garanzie
finanziarie  si  pone  in contrasto anche con i principi direttivi di
cui  alle  lettere  c),  f) ed i) del comma 8 dell'art. 1 della legge
n. 308/2004,   secondo   i   quali  il  testo  unico  avrebbe  dovuto
conformarsi a:
        «c) invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica;
        (...)
        f) affermazione  dei  principi  comunitari di prevenzione, di
precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni
ambientali e del principio "chi inquina paga";
        (...)
        i) garanzia di una piu' efficace tutela in materia ambientale
anche mediante il coordinamento e l'integrazione della disciplina del
sistema  sanzionatorio,  amministrativo  e  penale,  fermi restando i
limiti  di  pena  e  l'entita'  delle  sanzioni  amministrative  gia'
stabiliti dalla legge».
    Palese  appare la violazione del principio «chi inquina paga», ma
altrettanto  evidenti  sono  le  violazioni degli altri due principi.
Infatti, una minore garanzia finanziaria per le procedure di bonifica
importera'  necessariamente  un  aggravio  degli oneri a carico della
finanza  pubblica, attesa la difficolta', manifestatasi negli anni di
esperienza  in materia, di recuperare le spese di bonifica quando non
sono  debitamente  garantite  con  fideiussioni.  D'altra  parte, una
riduzione  delle garanzie importa anche una riduzione della tutela in
materia  ambientale  con  particolare riferimento alla disciplina del
sistema sanzionatorio.
    D.17)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 252, commi 3 e 4,
per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    L'art. 252  disciplina i c.d. siti di interesse nazionale ai fini
della  bonifica,  prevedendo  che mentre alla loro individuazione «si
provvede  con  decreto  del Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio,  d'intesa  con le regioni interessate, secondo i seguenti
principi e criteri direttivi [...]»; ai fini della perimetrazione del
sito  (terzo comma) e' sufficiente sentire «i comuni, le province, le
regioni  e  gli  altri enti locali, assicurando la partecipazione dei
responsabili  nonche'  dei  proprietari  delle aree da bonificare, se
diversi dai soggetti responsabili».
    Il  quarto  comma  prevede  che  «la procedura di bonifica di cui
all'art. 242  dei  siti  di  interesse  nazionale  e' attribuita alla
competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio,
sentito  il  Ministero  delle  attivita'  produttive»,  senza  alcuna
previsione   di  una  intesa  con  le  regioni  (come  era  stabilito
all'art. 17, comma 14, d.lgs. n. 22/1991).
    La  mancata  previsione  dell'intesa con la regione ai fini della
perimetrazione  e dell'approvazione di bonifica dei progetti dei siti
di  interesse  nazionale si pone in contrasto con gli artt. 117 e 118
della  Costituzione,  atteso  che  tale  funzione si ripercuote sulle
competenze  costituzionali  della  regione in materia di tutela della
salute  ed  anche in materia di governo del territorio; basti pensare
che  tali attivita' vincolano la destinazione urbanistica dei siti di
interesse  nazionale  da  bonificare, senza alcun intervento da parte
delle regioni interessate.
                              P. Q. M.
    Si   conclude  affinche'  l'ecc.ma  Corte  costituzionale  voglia
dichiarare   costituzionalmente   illegittime   le  disposizioni  qui
impugnate del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia
ambientale», per le ragioni e sotto i profili illustrati nel presente
ricorso.
    Si  deposita  la  delibera  della  giunta regionale n. 379 del 29
maggio 2006.
        Firenze-Roma, addi' 9 giugno 2006
               Avv. Lucia Bora - Avv. Fabio Lorenzoni

 
 
 
 

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