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N. 69 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 14 giugno 2006
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Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 14 giugno 2006 (della Regione Toscana)
(GU n. 28 del 12-7-2006)
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Ricorso per la Regione Toscana, in persona del Presidente
pro-tempore, autorizzato con delibera della giunta regionale n. 379
del 29 maggio 2006, rappresentata e difesa, come da mandato in calce
al presente atto, dall'avv. Lucia Bora dell'Avvocatura regionale e
dall'avv. Fabio Lorenzoni del Foro di Roma, elettivamente domiciliata
presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via del Viminale n. 43;
Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia
ambientale», attuativo della legge delega 15 dicembre 2004, n. 308,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 88 del 14
aprile 2006, supplemento ordinario n. 96/2006, con particolare
riferimento agli articoli:
3, comma 4; 6, comma 6; 17; 7, commi 3 e 8; 10, commi 3 e 5;
25, comma 1, lettera a); 35, comma 1, lettera b); 42, commi 1 e 3;
25, comma 1, lettera b); 51 comma 3; 57, commi 4 e 6; 58, comma 3,
lettere a) e d); 61, comma 1, lettere d) ed e); 63; 64; 65; 75, comma
5; 77, comma 5; 87, comma 1; 91, commi 2 e 6; 113, comma 1; 114,
comma 1; 116; 148, comma 5; 146, comma 6; 154; 155; 159, comma 2;
160, comma 2, lettera f); 160, comma 2, lettera g); 181, commi 7, 8,
9, 10 e 11; 183, comma 1, lettere f) e q); 185, comma 1; 186; 189,
commi 1 e 3; 195, comma 1, lettera f), comma 2, lettere b), e), l),
m), s); 196, comma 1, lettera d); 199, commi 9 e 10; 201, comma 6;
203, comma 2, lettera c); 202, comma 1; 208, comma 19; 212, commi 2 e
3; 214, commi 2 e 3; 215, commi 1, 3 e 4; 216, commi 1, 3 e 4; 238,
commi 3, 6, 7, 8, 9 e 10; 242, commi 2, 3, 4, 5, 7; 240, comma 1,
lettera b); 252, commi 3 e 4, per contrasto con gli artt. 11, 76,
117, 118 e 119 della Costituzione e del principio di leale
collaborazione, per i profili di seguito indicati.
Con d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia
ambientale», il Governo ha dato attuazione alla legge delega 15
dicembre 2004, n. 308, recante »Delega al Governo per il riordino, il
coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia
ambientale e misure di diretta applicazione».
Il Governo ha elaborato un testo unico comprendente tutte le
norme in materia ambientale, e cioe': le norme concernenti gli
aspetti della valutazione degli effetti sull'ambiente di piani o
programmi (VAS), di progetti od opere (VIA) e l'autorizzazione
integrata ambientale (IPPC) [parte seconda]; le norme in materia di
difesa del suolo, di tutela delle acque dall'inquinamento e la
gestione delle risorse idriche [parte terza]; le norme in materia di
rifiuti e bonifiche [parte quarta]; le norme in materia di tutela
dell'aria [parte quinta]; ed infine, le norme in materia di tutela
risarcitoria per il danno all'ambiente [parte sesta].
Restano escluse da detto testo unico la gestione delle aree
protette nonche' la conservazione e l'utilizzo sostenibile delle
specie protette di flora e fauna (cfr. c.d. Direttiva Habitat,
92/43/CEE, attuata in Italia con d.P.R. n. 357/1997, non abrogato dal
testo unico in esame), le quali continuano ad essere disciplinate
dalle specifiche normative di riferimento.
Detto decreto non si e' tuttavia limitato a coordinare e/o
riordinare la normativa dei diversi settori su menzionati, ma e'
intervenuto con una disciplina del tutto innovativa.
D'altra parte, la materia disciplinata con il decreto in parola
involge profili sicuramente attinenti la tutela dell'ambiente, ma
anche materie soggette alla competenza legislativa concorrente e
residuale delle regioni, quali la materia del governo del territorio,
la tutela della salute, la valorizzazione dei beni culturali e
ambientali, l'agricoltura, lo sviluppo economico.
A tale proposito la Corte costituzionale, alla luce del rinnovato
dato costituzionale ad opera della riforma del Titolo V della
Costituzione con legge cost. n. 3/2001, ha chiarito che la materia
della tutela dell'ambiente coinvolge profili aventi un'incidenza su
una pluralita' di interessi e di oggetti, che non ricadono solo
nell'esclusiva competenza statale, ma attengono anche a molteplici
ambiti di competenza regionale; la materia dell' ambiente, «piu' che
una "materia" in senso stretto, rappresenta un compito nell'esercizio
del quale lo Stato conserva il potere di dettare standard di
protezione uniformi validi in tutte le regioni e non derogabili da
queste, cio' non esclude affatto la possibilita' che leggi regionali,
emanate nell'esercizio della potesta' concorrente di cui
all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, o di quella
"residuale" di cui all'art. 117, quarto comma, possano assumere fra i
propri scopi anche finalita' di tutela ambientale» (cfr. Corte cost.,
sent. n. 307/2003 punto 5 del Considerato in diritto; nello stesso
senso anche sent. nn. 407/2002; 222/2003; 62/2005 e 232/2005).
Pertanto l'intervento del legislatore statale in materia di
ambiente deve svolgersi nel rispetto delle prerogative delle regioni
costituzionalmente garantite, assicurando alle stesse un ruolo
primario anche in considerazione del delicato intreccio tra diverse
materie, di competenza statale e regionale.
Il decreto in esame non sembra, invece, raccordarsi con il nuovo
quadro costituzionale e, sotto molti aspetti, le competenze regionali
risultano compresse (anche rispetto al quadro normativo di
riferimento antecedente la riforma del Titolo V, ed in particolare al
riparto di funzioni delineato dal d.lgs. n. 112/1998); inoltre il
decreto, sotto molti profili appare in contrasto con la stessa
normativa comunitaria in materia di ambiente; tutto cio' in
violazione quindi degli artt. 11, 76, 117, 118 e 119 Cost. ed in
generale dei principi costituzionali di sussidiarieta', adeguatezza e
di leale collaborazione.
A) La parte prima contiene disposizioni generali; la parte
seconda disciplina le procedure per la valutazione ambientale
strategica (VAS), per la valutazione di impatto ambientale (VIA) e
per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC). Con riferimento a
tali due parti si contestano i seguenti articoli:
A.1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 4, per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost. - Violazione del principio di
leale cooperazione.
La norma in esame prevede che, per le modifiche e le integrazioni
delle norme tecniche in materia ambientale, provveda il Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio attraverso l'adozione di
uno o piu' regolamenti ministeriali, ai sensi della legge
n. 400/1998.
Non puo' negarsi che tali norme tecniche, costituendo i nuovi
parametri di riferimento per l'esercizio delle funzioni in materia di
tutela e valorizzazione dell'ambiente, sono destinate ad incidere in
maniera rilevante anche sullo svolgimento di altre funzioni,
attinenti al governo del territorio, alla tutela della salute, alla
valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, riservate alla
potesta' concorrente delle regioni, ai sensi dell'art. 117, comma 3,
Cost.
Come gia' sopra rilevato, secondo l'insegnamento della Corte
costituzionale, l'intervento del legislatore statale in materia di
ambiente deve svolgersi nel rispetto delle prerogative delle regioni
costituzionalmente garantite, assicurando alle stesse un ruolo
primario, anche in considerazione del delicato intreccio tra diverse
materie, di competenza statale e regionale.
Trattandosi quindi della disciplina di aspetti che incidono sotto
molteplici profili con l'esercizio di funzioni attribuite alle
regioni, l'intervento statale, a maggior ragione attraverso atti
amministrativi quali sono i regolamenti, e' ammissibile soltanto nei
termini e alle condizioni stabilite dalla Corte costituzionale gia'
con la sentenza n. 303/2003 (poi successivamente ribadite, tra le
altre, con le sentenze n. 6/2004 e 383/2005), e cioe' prevedendo
adeguati meccanismi concertativi con le regioni.
In particolare con la sentenza n. 383/2005 la Corte
costituzionale ha sottolineato che l'esercizio da parte «dello Stato
di un delicato potere amministrativo, per di piu' connesso con una
molteplicita' di altre funzioni regionali, quanto meno in tema di
tutela della salute e di governo del territorio, deve essere
accompagnato dalla previsione di un'intesa in senso forte fra gli
organi statali e le regioni e le province autonome direttamente
interessate. (...) La sicura indiretta incidenza sul territorio e
quindi sui relativi poteri regionali, rende costituzionalmente
obbligata la previsione di un'intesa in senso forte fra gli organi
statali e il sistema delle autonomie territoriali rappresentato in
sede di conferenza unificata».
Nella stessa pronuncia la Corte costituzionale precisa che
«nell'attuale situazione, infatti, come questa Corte ha piu' volte
ribadito a partire dalla sentenza n. 303 del 2003 (cfr., da ultimo,
le sentenze n. 242 e n. 285 del 2005), tali intese costituiscono
condizione minima e imprescindibile per la legittimita'
costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui la
"chiamata in sussidiarieta'" di una funzione amministrativa in
materie affidate alla legislazione regionale, con la conseguenza che
deve trattarsi di vere e proprie intese "in senso forte", ossia di
atti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili
con decisione unilaterale di una delle parti. In questi casi,
pertanto, deve escludersi che, ai fini del perfezionamento
dell'intesa, la volonta' della regione interessata possa essere
sostituita da una determinazione dello Stato, il quale diverrebbe in
tal modo l'unico attore di una fattispecie che, viceversa, non puo'
strutturalmente ridursi all'esercizio di un potere unilaterale».
Infine, con la sentenza n. 62/2005, la Corte costituzionale ha
precisato che, pur nell'esercizio di funzioni in materia di tutela
ambientale, di competenza esclusiva statale, «quando gli interventi
individuati come necessari e realizzati dallo stato, in vista di
interessi unitari di tutela ambientale, concernono l'uso del
territorio, e in particolare la realizzazione di opere e di
insediamenti atti a condizionare in modo rilevante lo stato e lo
sviluppo di singole aree, l'intreccio, da un lato, con la competenza
regionale concorrente in materia di governo del territorio, oltre che
con altre competenze regionali, dall'altro lato con gli interessi
delle popolazioni insediate nei rispettivi territori, impone che
siano adottate modalita' di attuazione degli interventi medesimi che
coinvolgano, attraverso opportune forme di collaborazione, le regioni
sul cui territorio gli interventi sono destinati a realizzarsi (cfr.
sentenza n. 303 del 2003)».
Per contro la norma in esame prevede il potere unilaterale e
discrezionale del Ministro dell'ambiente di modificare ed integrare
le norme tecniche in materia ambientale, attraverso atti aventi
natura regolamentare, tuttavia incidendo, in tal modo, anche su
materie soggette alla potesta' regionale, e cio' senza alcun
coinvolgimento delle regioni e/o della Conferenza Stato-regioni.
La mancata previsione di un coinvolgimento regionale comporta la
violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale
collaborazione, in quanto le regioni risultano del tutto escluse
dalla determinazione dei criteri tecnici in esame, benche'
l'applicazione concreta di detti criteri incida incontestabilmente -
come gia' detto - sulle competenze regionali in materia di governo
del territorio, tutela della salute e valorizzazione dei beni
culturali ed ambientali.
A.2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 6 e
dell'art. 17 per violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
Si contestano gli articoli in epigrafe indicati, nella parte in
cui non prevedono la partecipazione delle regioni al procedimento di
valutazione strategica (VAS) di piani e programmi di competenza
statale.
L'art. 6 disciplina la Commissione statale tecnico-consultiva cui
compete l'istruttoria per le valutazioni ambientali di piani e
programmi (VAS), nonche' di progetti (VIA), di competenza statale. Al
comma 6, l'articolo in esame stabilisce che, in ragione degli
specifici interessi regionali di volta in volta coinvolti, la
sottocommissione sia integrata da un esperto designato dalla regione
interessata.
E' evidente che secondo quanto disposto dalla norma in esame in
merito alla composizione e al funzionamento di detto organo, la
regione ha un ruolo eventuale e del tutto marginale all'interno della
Commissione: la partecipazione regionale infatti e' subordinata alla
previa dichiarazione di interesse richiesta di volta in volta al
Ministro dell'ambiente e alla nomina di un esperto.
La partecipazione alla Commissione «allargata» e' l'unica forma
di intervento della regione nel procedimento di valutazione
strategica (VAS) di piani e programmi di competenza statale, prevista
dal decreto in esame, e quindi l'unica occasione che ha la regione di
esprimere le proprie determinazioni in ordine ad aspetti che, oltre a
riguardare problematiche ambientali, incidono direttamente sulla
programmazione e sull'uso del proprio territorio.
L'art. 17 del decreto, infatti, che descrive l'iter procedurale
finalizzato all'espressione del giudizio di compatibilita' ambientale
del piano e/o programma di competenza statale, non prevede alcuna
partecipazione o consultazione delle regioni alla valutazione dei
piani o programmi, come e' invece previsto per il procedimento di VIA
statale, nel quale le regioni sono necessariamente chiamate ad
esprimere il proprio parere sul progetto di opera ed intervento
esaminato (cfr. art. 36, comma 4 del decreto in esame).
Ne' puo' sostenersi che le prerogative costituzionali delle
regioni siano adeguatamente garantite attraverso il meccanismo delle
«consultazioni» descritte all'art. 10 di detto decreto, secondo il
quale «chiunque ne abbia interesse puo' prendere visione del piano o
programma e del relativo rapporto ambientale depositati e
pubblicizzati a norma dei commi 1, 2, 3» e «puo' presentare proprie
osservazioni anche fornendo nuovi o ulteriori elementi conoscitivi e
valutativi». E' infatti evidente che in sede di dette consultazioni
le regioni sono parificate alla stregua di qualsiasi soggetto, anche
privato cittadino, che esprime le proprie considerazioni sul piano o
programma, e non viene in alcun modo assicurato il necessario momento
collaborativo con l'Amministrazione regionale, quale ente
rappresentativo degli interessi di tutta la comunita' di riferimento,
in ordine ad aspetti di propria competenza, quali la valorizzazione
ambientale, il governo del territorio e la tutela della salute.
Cio' e' tanto piu' grave se si considera che l'art. 33 del
decreto, recante la disciplina sulla relazione tra VAS e VIA,
prevede, ulteriormente, che «Per progetti di opere ed interventi da
realizzarsi in attuazione di piani o programmi gia' sottoposti a
valutazione ambientale strategica, e che rientrino tra le categorie
per le quali e' prescritta la valutazione di impatto ambientale, in
sede di esperimento di quest'ultima costituiscono dati acquisiti
tutti gli elementi positivamente valutati in sede di valutazione di
impatto strategico o comunque decisi in sede di approvazione del
piano o programma».
In base alla disposizione appena richiamata, quindi, nel caso in
cui la regione si trovi ad effettuare la valutazione di impatto
ambientale (VIA) di un progetto di opera od intervento di propria
competenza, che sia ricompreso all'interno di un piano o programma
gia' sottoposto a valutazione strategica in sede statale, alle
regioni viene ad essere precluso sindacare aspetti gia' positivamente
valutati in occasione del procedimento di VAS statale, procedimento,
si ripete, che non contempla una reale ed adeguata partecipazione
della regione interessata.
Da tutto quanto sopra discende pertanto la violazione degli
artt. 117 e 118 Cost.
Si evidenzia ulteriormente il contrasto della disciplina in esame
con la Direttiva 2001/42/CE (recante la disciplina concernente la
valutazione degli effetti di determinati piani e programmi
sull'ambiente), che - contrariamente a quanto stabilito dal d.lgs.
n. 152/2006 - sottolinea con forza il ruolo della partecipazione ai
procedimenti di VAS dei soggetti istituzionali, competenti in materia
ambientale e territoriale e, conseguentemente, il contrasto con la
legge delega n. 308/2004 e, in particolare, con i principi e criteri
di cui alle lettere e) ed f), secondo i quali il nuovo testo unico
avrebbe dovuto dare, da un lato, «piena e coerente attuazione delle
direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela
dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitivita' dei
sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di
distorsione della concorrenza»; e, dall'altro, «affermazione dei
principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e
riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio
"chi inquina paga"».
Da cio' discende pertanto anche la violazione dell'art. 11 Cost.,
per il contrasto con il diritto comunitario e, quindi, dell'art. 76
Cost. per eccesso di delega.
A.3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 3 per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost. Violazione del principio di
leale cooperazione.
La norma in esame prevede che siano sottoposti a VAS, oltre che i
piani e programmi indicati al precedente comma 2 dell'art. 7, anche
quei piani e programmi contenenti la definizione del quadro di
riferimento per la realizzazione di opere, le quali, pur non essendo
sottoposte a VIA, possono avere effetti significativi sull'ambiente e
sul patrimonio culturale, secondo un giudizio espresso dalla
sottocommissione statale competente per la VAS.
In base a tale disposizione, quindi, e' la sottocommissione (alla
quale, si ripete, la regione interessata partecipa, in via eventuale,
solo attraverso la figura di un esperto) che ha il potere di
indicare, caso per caso, gli ulteriori piani da sottoporre a
valutazione ambientale strategica, senza distinguere tra piani
statali e regionali.
Sara' quindi lo Stato, attraverso l'organo tecnico citato, ad
indicare, di volta in volta, quale, anche tra i piani regionali non
ricompresi tra i casi elencati nel testo unico in esame, sia da
sottoporre a giudizio di compatibilita' ambientale. E' evidente
pertanto che tale individuazione e' espressione della volonta'
unilaterale dello Stato, senza che la regione partecipi in maniera
effettiva a tale decisione: cio' determina una sicura ingerenza nelle
competenze regionali costituzionalmente garantite, prima fra tutte in
materia di governo del territorio, ingerenza illegittima, in quanto
non e' previsto, con riferimento ai piani regionali, il necessario
momento dell'intesa con la regione interessata (cfr. Corte cost.,
sentenze n. 303 del 2003; n. 6/2004, n. 62, n. 242, n. 285 e n. 383
del 2005, tutte gia' citate); cio' in violazione degli artt. 117 e
118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
A.4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 8 per
violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
Con la norma in esame vengono sottratti alla valutazione
strategica i piani e programmi relativi ad interventi di telefonia
mobile, gia' soggetti alle disposizioni di cui all'art. 87 del
decreto legislativo n. 259/2003.
Preliminarmente va rilevato che detta esclusione e' innanzitutto
irrazionale, in quanto detti piani sono immotivatamente esonerati
dalla valutazione ambientale strategica (VAS), al pari dei piani
destinati a scopi di difesa nazionale ed ai piani finanziari e di
bilancio; ed infatti la previsione in parola non trova alcun
riscontro nella normativa comunitaria, ed in particolare nella
direttiva comunitaria 2001/42/CE gia' citata, cui lo Stato, con il
d.lgs. n. 152/2006, asserisce invece di dare attuazione.
Ne' detta esclusione si giustifica con il rinvio all'art. 87,
d.lgs. n. 259/2003: tale articolo infatti disciplina il procedimento
di autorizzazione per l'installazione di infrastrutture per impianti
radioelettrici e per la modifica delle caratteristiche di emissione
degli stessi impianti; in particolare l'articolo in parola stabilisce
che, ai fini dell'autorizzazione del progetto, deve preliminarmente
essere effettuato un controllo della compatibilita' del progetto
stesso con i limiti di emissione, i valori di attenzione e gli
obiettivi di qualita' stabiliti dalla legge. Tuttavia, detto
procedimento autorizzatorio riguarda specificatamente i singoli
progetti per impianti radioelettrici e, conseguentemente, il
peculiare giudizio di compatibilita' ivi descritto, puo' essere
considerato una sorta di VIA «speciale» su un determinato intervento.
L'art. 7, comma 8, del decreto in esame, invece, si riferisce
espressamente ad atti di pianificazione e programmazione riguardanti
la globalita' degli interventi da attuarsi su una parte e/o
sull'intero territorio nazionale, i quali vengono esonerati
«dall'onere» della valutazione dell'impatto ambientale (VAS)
conseguente all'attuazione di detti piani o programmi.
Tale disposizione contrasta con la direttiva 2001/42/CE (cfr. in
particolare l'art. 3, comma 8 della direttiva), in violazione
dell'art. 11 Cost. e, conseguentemente, contrasta con i principi e
criteri direttivi individuati dalla legge delega n. 308/2004 - cio'
in violazione dell'art. 76 Cost. per eccesso di delega - la quale,
come visto, all'art. 1, comma 8, lettere e) ed f), prescrive il
rispetto, per i decreti delegati, della normativa comunitaria in
materia di ambiente.
Le violazioni sopra eccepite incidono quindi sulle competenze
regionali costituzionalmente garantite in materia di governo del
territorio e tutela della salute, ex art. 117, comma 3 e art. 118
Cost., le quali risultano senz'altro compromesse dalla mancata
previsione della valutazione ambientale strategica degli atti di
pianificazione in materia di telefonia mobile.
A.5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 10, commi 3 e 5, per
violazione degli 117 e 118 Cost.
L'art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, dispone che
dell'avvenuto invio e del deposito del piano e programma da
sottoporre a VAS, di cui al precedente comma 2 dell'art. 10 in
questione, «deve essere data notizia a mezzo stampa secondo le
modalita' stabilite con apposito regolamento, che assicura criteri
uniformi di pubblicita' per tutti i piani e programmi sottoposti a
valutazione ambientale strategica, garantendo che il pubblico
interessato venga in tutti i casi adeguatamente informato. Il
medesimo regolamento stabilisce i casi e le modalita' per la
contemporanea pubblicazione totale o parziale in internet della
proposta di piano o programma e relativo rapporto ambientale. Il
regolamento deve essere emanato con decreto del Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio entro novanta giorni
dalla data di entrata in vigore della parte seconda del presente
decreto. Fino all'entrata in vigore del regolamento le pubblicazioni
vanno eseguite a cura e spese dell'interessato in un quotidiano a
diffusione nazionale ed in un quotidiano a diffusione regionale per
ciascuna regione direttamente interessata».
La su citata previsione del comma 3 prescrive che le modalita' di
pubblicazione totale e/o parziale del piano o progetto sottoposto a
VAS siano stabilite con regolamento ministeriale: anche in tal caso,
pertanto, si stabilisce la competenza unilaterale dello Stato a
fissare le regole valide anche per le regioni, e per i procedimenti
di valutazione strategica regionali, senza prevedere alcun
coinvolgimento delle stesse, anche attraverso la Conferenza
Stato-regioni.
Con il regolamento citato lo Stato non si limita a dettare
«standard minimi inderogabili» in materia di ambiente ma, in base al
dettato della norma in esame, lo stesso viene autorizzato ad
intervenire con una normativa dettagliata e puntuale a disciplinare
le forme di pubblicita' valide per tutti i procedimenti di VAS, anche
regionali.
E' evidente che, nel momento in cui tali regole sono destinate ad
operare anche per i procedimenti di VAS regionale, si determina una
rilevante ingerenza nella potesta' regionale di disciplinare i
procedimenti di propria competenza.
Il regolamento in parola si presenta come atto unilaterale dello
Stato, senza alcun coinvolgimento delle regioni; ne' viene previsto,
come invece per i procedimenti di VIA regionale (art. 43, comma 4 del
decreto), la possibilita' per le regioni di stabilire forme ulteriori
di pubblicita' rispetto a quelle stabilite dallo Stato.
Cio' assume peculiare rilievo alla luce di quanto disposto dal
successivo quinto comma dello stesso art. 10 che prevede che i
depositi e le pubblicazioni effettuate per la VAS sostituiscono ad
ogni effetto le modalita' di informazione e partecipazione
eventualmente previste, in via ordinaria, dalle procedure di adozione
e approvazione di detti piani e programmi, anche regionali; tale
ulteriore disposizione conferma la grave ingerenza statale nelle
materie di competenza delle regioni come l'approvazione di piani
territoriali ed urbanistici, e dei relativi procedimenti. E' pertanto
evidente la violazione dell'art. 117, commi 3 e 4, Cost. e art. 118
Cost. L'intervento statale dovrebbe infatti limitarsi a dettare i
criteri generali al fine di garantire l'adeguatezza dell'informazione
al pubblico, e non dettare le specifiche modalita' di pubblicita'
vincolanti anche per i procedimenti di VAS regionali.
In ogni caso, l'illegittimita' di un intervento regolamentare in
tale materia, non puo' ritenersi superata neanche alla luce del
principio di sussidiarieta', in quanto, nel caso di specie, manca,
comunque, il momento dell'intesa con le regioni, in violazione del
principio di leale collaborazione, ritenuto necessario dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 303/2003, gia' citata (orientamento
poi ribadito, come gia' visto, con le sentenze della Corte
costituzionale n. 6/2004, n. 62, n. 242, n. 285 e n. 383 del 2005).
A.6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 1,
lettera a); dell'art. 35, comma 1, lettera b), dell'art. 42, commi 1
e 3, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
L'art. 25 in epigrafe citato prevede che siano sottoposti a
valutazione di impatto ambientale (VIA) in sede statale anche i
progetti aventi impatto interregionale; tale previsione e' ribadita
inoltre dall'art. 35, comma 1, lettera b), il quale conferma la
competenza statale per le opere o gli interventi localizzati sul
territorio di piu' regioni e/o che comunque possano avere impatti
rilevanti su piu' regioni, e dall'art. 42, commi 1 e 3, ove viene
descritto il procedimento attraverso il quale la regione, nel caso di
opere a valenza interregionale, deve dichiararsi incompetente.
In base alle disposizioni sopra richiamate, la quasi totalita'
delle procedure di VIA possono essere attribuite allo Stato: non e'
chi non veda, infatti, la genericita' e/o l'indeterminatezza della
disciplina in esame nell'indicare la competenza statale in ordine a
progetti di opere ed interventi localizzati sul territorio di piu'
regioni o che possono avere impatti rilevanti su piu' regioni.
Dette disposizioni rafforzano oltremodo l'ambito di competenza
statale in materia di VIA: fin'ora, infatti, le opere aventi impatti
interregionali erano sottoposti a forme di codecisione tra le regioni
coinvolte, si procedeva cioe' tramite intesa tra tutte le regioni
interessate (cosi' art. 20 della l.r. Toscana n. 79/1998).
Con la disciplina in esame si attua invece un accentramento di
tali funzioni, senza peraltro prevedere, per detti procedimenti, la
necessaria intesa con le regioni, le quali sono chiamate ad esprimere
un mero parere, come per tutti gli altri interventi sottoposti ad
autorizzazione statale (cfr. art. 36, comma 4, del decreto): si
ripete che i profili che vengono in rilievo nella disciplina in
oggetto riguardano non solo la materia della tutela ambientale, ma
incidono sicuramente sull'utilizzo del territorio, sulla tutela della
salute e sulla valorizzazione dei beni ambientali, tutte materie di
competenza regionale. Non puo' pertanto essere negata la necessita'
di prevedere adeguate forme di partecipazione delle regioni
interessate ai procedimenti in questione, secondo i principi
stabiliti con la nota sentenza della Corte costituzionale n. 303/2003
(cfr. anche la sentenza della Corte costituzionale n. 62/2005, gia'
citata).
Di qui i vizi eccepiti.
A.7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 1,
lettera b) per violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
La disposizione in esame stabilisce che nei casi di valutazione
di impatto ambientale (VIA) non statale, tale valutazione compete
«all'autorita' individuata dalla regione o dalla provincia autonoma
con propria legge, tenuto conto delle attribuzioni della competenza
al rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione delle varie opere
ed interventi e secondo le procedure dalla stessa stabilite sulla
base dei criteri direttivi di cui al capo III del presente titolo,
ferme restando le disposizioni comuni di cui al presente capo I».
La norma appare di non facile interpretazione.
Se il suo significato e' quello di dare delle mere indicazioni
alle regioni circa la scelta dell'ente in capo al quale allocare il
procedimento di valutazione di impatto ambientale, allora il rispetto
delle competenze regionali appare garantito.
Viceversa, se le regioni fossero obbligate ad attribuire il
procedimento di VIA all'ente titolare del potere autorizzatorio,
allora si avrebbe una diretta ingerenza nella potesta' delle regioni
di allocare le funzioni e, quindi, di scegliere il livello di governo
piu' idoneo ad esercitare la VIA, in palese violazione degli
artt. 117 e art. 118 Cost.
Si osserva, inoltre, che allocare in capo al medesimo ente il
potere autorizzatorio dell'opera o del progetto e contemporaneamente
la competenza alla valutazione dell'impatto sull'ambiente di tale
opera, si pone in evidente contrasto con la normativa comunitaria ed
in particolare con la direttiva 85/337/CEE (recante la disciplina dei
procedimenti di VIA su progetti pubblici e privati), la quale impone
innanzitutto che «gli effetti di un progetto sull'ambiente debbono
essere valutati per proteggere la salute umana, contribuire con un
migliore ambiente alla qualita' della vita, provvedere al
mantenimento della varieta' delle specie e conservare la capacita' di
riproduzione dell'ecosistema in quanto risorsa essenziale di vita»
(undicesimo considerando della Premessa). L'art. 3 delle direttiva in
esame, poi, prevede espressamente che «La valutazione dell'impatto
ambientale individua, descrive e valuta, in modo appropriato, per
ciascun caso particolare e a norma degli articoli da 4 a 11, gli
effetti diretti e indiretti di un progetto sui seguenti fattori:
l'uomo, la fauna e la flora;
il suolo, l'acqua, l'aria, il clima e il paesaggio;
i beni materiali ed il patrimonio culturale;
l'interazione tra i fattori di cui al primo, secondo e terzo
trattino».
Ed infatti, oggi - conformemente alle finalita' indicate
dall'ordinamento comunitario - la maggior parte delle autorizzazioni
sono rilasciate dagli enti locali, comuni e province, mentre la
valutazione dell'incidenza sull'ambiente di dette opere spetta alla
regione. Cio' proprio a maggiore garanzia delle valenze ambientali,
quali - secondo il disposto della Direttiva citata - l'ecosistema e
la conservazione delle specie, che evidentemente hanno implicazioni
sovracomunali e/o sovraprovinciali.
Si eccepisce pertanto ulteriormente la violazione dell'art. 11
Cost. e, quindi dell'art. 76 Cost. per eccesso di delega: la legge
delega n. 308/2004, infatti, come gia' evidenziato, impone il
rispetto della normativa comunitaria in materia ambientale (cfr.
art. 1, comma 8, lettere e) ed f) legge n. 308/2004).
A.8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 51 comma 3, per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
La norma in esame dispone che «Le norme tecniche integrative
della disciplina di cui al titolo III della parte seconda del
presente decreto, concernenti la redazione degli studi di impatto
ambientale e la formulazione dei giudizi di compatibilita' in
relazione a ciascuna categoria di opere, sono emanate con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del
Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio, di concerto con i Ministri competenti
per materia e sentita la Commissione di cui all'art. 6».
Detta norma prevede, ancora una volta, che le norme tecniche
integrative della disciplina sulla VIA, siano emanate con decreto del
Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro dell'ambiente, di
concerto con i Ministri competenti per materia, e «solo» sentita la
Commissione statale di cui all'art. 6, cui peraltro la regione, si
ripete, partecipa solo in via eventuale attraverso la figura
dell'esperto.
Anche nel caso in esame, pertanto, lo Stato detta unilateralmente
una disciplina che va ad incidere non solo sulla materia della tutela
dell'ambiente ma che ha sicure ricadute anche su materie, quali il
governo del territorio, la tutela della salute e la valorizzazione
dei beni ambientali e culturali, di competenza regionale concorrente,
ai sensi dell'art. 117, comma 3, Cost., senza prevedere adeguati
meccanismi di concertazione con le regioni, attraverso l'intesa con
la Conferenza Stato-regioni.
Come gia' evidenziato al punto A.1) del presente ricorso, dato il
complesso intreccio di materie, anche di competenza regionale, che
vengono in rilievo nella determinazione di dette norme tecniche,
l'intervento dello Stato e' ammissibile solo alle condizioni
individuate dalla Corte, costituzionale con la sentenza n. 303/2003
(e successivamente con le sentenze n. 6/2004, n. 62, n. 242, n. 285 e
n. 383 del 2005, gia' citate), e cioe' prevedendo la necessaria
intesa con la Conferenza Stato-regioni.
L'omessa previsione dell'intesa determina quindi la violazione
degli artt. 117, 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
B) Gli artt. 57, 58, 61, 63, 64, 65 sono collocati nella parte
terza, sezione prima, contenente le norme in materia di difesa del
suolo e lotta alla desertificazione.
Questa si compone di due titoli: il primo concernente principi
generali e il riparto di competenze ed il secondo relativo ai
distretti idrografici, agli strumenti e agli interventi.
Tali norme attengono alla difesa del suolo che, in base
all'art. 117 Cost., rientra nella materia «governo del territorio»
soggetta a potesta' legislativa concorrente e in cui, quindi, lo
Stato puo' dettare i principi fondamentali, cui devono attenersi le
regioni nell'elaborazione delle proprie normative.
Invece questa e' una delle parti del decreto maggiormente lesiva
della competenza regionale in materia di governo del territorio,
perche' incide sulla pianificazione territoriale ed anche sugli atti
di programmazione regionali, dettando una disciplina puntuale. Tanto
premesso si ravvisano i seguenti profili di contrasto con le
prerogative regionali:
B.1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 57, quarto e sesto
comma, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. Violazione del
principio della leale collaborazione.
L'art. 57 elenca le funzioni del Presidente del Consiglio dei
Ministri e del Comitato dei ministri per gli interventi nel settore
della difesa del suolo.
In particolare tale Comitato opera presso la Presidenza del
Consiglio dei ministri; e' presieduto dal Presidente stesso ed e'
composto dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio,
dai Ministri delle infrastrutture e trasporti, delle attivita'
produttive, delle politiche agricole e forestali, per gli affari
regionali e per i beni e le attivita' culturali nonche' dal delegato
del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di protezione
civile.
Al Comitato sono attribuite funzioni di alta vigilanza e di
coordinamento del programma nazionale di intervento con quelli
regionali e degli altri enti pubblici nazionali.
In tale contesto il quarto comma dispone che per assicurare il
necessario coordinamento tra le diverse amministrazioni interessate,
«il Comitato dei ministri propone gli indirizzi delle politiche
settoriali direttamente o indirettamente connesse con gli obiettivi e
i contenuti della pianificazione di distretto e ne verifica la
coerenza nella fase di approvazione dei relativi atti».
Tale disposizione e' molto estesa.
Infatti, leggendo il successivo art. 65, che indica gli obiettivi
e i contenuti del piano di distretto, e' agevole verificare che tale
piano presenta connessioni con le piu' importanti politiche
settoriali rientranti in ambiti di competenza regionale
(utilizzazione delle risorse forestali, agrarie, estrattive; pesca;
navigazione; risorse idriche).
Ebbene, la norma in esame attribuisce al Comitato dei ministri il
compito di proporre (per l'approvazione con d.P.C.m.) indirizzi delle
politiche settoriali connesse con i contenuti del piano di distretto
e cio' anche ove tale connessione sia solo indiretta: cosi' si
attribuisce all'Amministrazione statale un rilevante potere di
indirizzo che potra' essere rivolto anche nei confronti dei piani di
settore di competenza regionale, con conseguente lesione
dell'art. 117 Cost.
E' in ogni caso violato l'art. 118 Cost. perche' non si prevede
che i suddetti indirizzi siano definiti previo adeguato
coinvolgimento delle regioni interessate che poi sono tenute a
recepire ed adeguarsi agli indirizzi stessi.
A tale proposito non puo' infatti ritenersi sufficiente la
previsione del sesto comma della disposizione, ove si stabilisce che
«i principi degli atti di indirizzo e coordinamento di cui al
presente articolo sono definiti sentita la Conferenza permanente per
i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento
e Bolzano».
In primo luogo non e' chiaro se anche le proposte di indirizzi
elaborate dal Comitato dei ministri ricadano nella previsione del
citato sesto comma, non trattandosi, propriamente, di un atto di
indirizzo e coordinamento.
In ogni caso gli indirizzi che il Comitato e' abilitato ad
elaborare diventano poi idonei a condizionare le scelte delle
politiche settoriali della regione e percio' il procedimento
concertativo necessario per la leale collaborazione dovrebbe essere
seguito per l'adozione degli indirizzi e non solo dei principi degli
atti di indirizzo, come invece dispone la norma; cio' anche perche'
non si comprende in che cosa consistano «i principi degli indirizzi».
Inoltre la norma prevede solo il parere della Conferenza
Stato-regioni, insufficiente a garantire il reale ed effettivo
coinvolgimento delle regioni, stante la forte interferenza che i
suddetti indirizzi vengono ad avere sui piani di competenza
regionale.
Percio' appare incostituzionale, per violazione degli artt. 117 e
118 Cost., anche il sesto comma la' dove non prevede l'intesa (in
luogo del parere) per la definizione degli indirizzi (in luogo dei
soli principi degli atti di indirizzo) di cui al quarto comma.
La lesione eccepita sussiste anche per un ulteriore profilo: e'
previsto che il Comitato «verifica la coerenza delle politiche
settoriali», nella fase di approvazione dei relativi atti; cosi' si
introduce una forma di controllo di atti regionali, in cui si
esprimono le politiche settoriali, non prevista dalle norme
costituzionali e idonea a interferire nelle decisioni adottate a
livello regionale, con conseguente ulteriore violazione degli
artt. 117 e 118 Cost.
B.2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 58, terzo comma,
lettere a) e d), per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. -
Violazione del principio della leale collaborazione.
L'art. 58 elenca le competenze del Ministero dell'ambiente e
della tutela del territorio; tra queste attribuisce al medesimo
Ministero:
la programmazione, il finanziamento e il controllo degli
interventi in materia del suolo (lettera a);
l'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del
territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali
e alla difesa del suolo, nonche' con riguardo all'impatto ambientale
dell'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali, delle
opere di competenza statale e delle trasformazioni territoriali
(lettera d).
Le suddette competenze attribuite al Ministero appaiono invasive
delle attribuzioni regionali in materia di governo del territorio.
Infatti la lettera a) riguarda la programmazione, il
finanziamento e controllo di tutti gli interventi in materia di
difesa del suolo, attribuiti omnicomprensivamente al Ministero, senza
alcun ruolo delle regioni alle quali e' riconosciuto un mero potere
di proposta e di osservazione da esercitarsi in sede di Conferenza
Stato-regioni (art. 59).
La lettera d) presenta un'interferenza rilevante con le
attribuzioni regionali in materia di governo del territorio perche'
alloca in capo al Ministro, senza alcuna intesa con la regione,
l'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del
territorio con riguardo all'impatto ambientale dell'articolazione
territoriale delle reti infrastrutturali.
Ne' puo' obiettarsi che la norma si riferisce alle «linee
fondamentali». Queste, infatti, riguardano l'impatto ambientale
dell'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali; cio' in
sostanza significa che si danno i criteri per l'allocazione delle
reti infrastrutturali che, come e' noto, sono le opere di maggior
incidenza sul territorio, con invitabili ripercussioni sulla potesta'
regionale in materia.
La situazione e' pertanto analoga a quella decisa dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 303/2003, in riferimento alle opere
infrastrutturali strategiche, ove la Corte ha riconosciuto essenziale
che in tutte le fasi, dalla programmazione di tali opere strategiche
sino all'approvazione dei relativi progetti, sia prevista una fase
concertativa tra lo Stato e le regioni, stante l'interferenza della
realizzazione di dette opere con le competenze regionali in materia
di governo del territorio.
Nel caso in esame non si prevede l'intesa; percio' sono violati
gli articoli 117 e 118 Cost.
B.3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 61, primo comma,
lettere d) ed e) per violazione degli artt. 76 e 117 Cost.
L'articolo elenca le competenze delle regioni. In generale si
rileva che le stesse vengono esautorate delle loro peculiari
competenze in materia di governo del territorio; alla regione, come
pure agli enti locali, vengono attribuite soltanto alcune attivita'
attuativo-gestionali, peraltro in applicazione di decisioni assunte
in sede statale.
Questo e' un considerevole sostanziale passo indietro rispetto al
decentramento attuato con il d.lgs. n. 112/1998 e alla riforma del
Titolo V della Costituzione ed ha pesanti ricadute per la regione
Toscana che ha elaborato fondamentali atti di pianificazione e
programmazione settoriale, impostati su una stretta logica di
concertazione istituzionale con gli enti locali.
Piu' in particolare, la disposizione elenca le competenze
regionali; tra queste la lettera d) prevede che le regioni per la
parte di propria competenza dispongono la redazione e provvedono
all'approvazione e all'esecuzione dei progetti, degli interventi e
delle opere da realizzare nei distretti idrografici, istituendo, ove
occorra, gestioni comuni; la lettera e) prevede che le regioni per la
parte di propria competenza provvedono all'organizzazione e al
funzionamento del servizio di polizia idraulica ed a quelli per la
gestione e la manutenzione delle opere e degli impianti e la
conservazione dei beni.
A tale proposito il d.lgs. n. 112/1998 aveva trasferito alle
regioni funzioni e compiti in tale ambito; in particolare:
i servizi di polizia idraulica e pronto intervento nonche' la
gestione dei relativi impianti erano stati trasferiti alle regioni ai
sensi dell'art. 89, lettera c);
la manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere e degli
impianti nel settore e la conservazione dei beni costituiva una
funzione trasferita (art. 89. lettera g) relativa alla polizia delle
acque;
la progettazione, realizzazione e gestione delle opere
idrauliche di qualsiasi natura era funzione trasferita alle regioni
ai sensi dell'art. 89, lettera a).
Considerando che la legge delega n. 308/2004 individuava, tra i
principi direttivi, che i futuri decreti legislativi si sarebbero
conformati al rispetto delle attribuzioni regionali, come definite
dal d.lgs. n. 112/1998 (art. 1, comma 8), e' ravvisabile un palese
contrasto, sui punti richiamati, tra il contenuto della delega e
quello della disposizione in esame del decreto legislativo. Infatti
le norme affermano che le regioni «per la parte di loro competenza»
dispongono la redazione e provvedono all'approvazione e
all'esecuzione dei progetti, degli interventi e delle opere da
realizzare nei distretti idrografici, nonche' svolgono il servizio di
polizia idraulica, di piena e pronto intervento idraulico, la
gestione e manutenzione delle opere; cio' in contrasto con il d.lgs.
n. 112/19998 dove queste funzioni erano interamente trasferite alle
regioni.
In generale, attraverso questa tecnica normativa,
l'Amministrazione statale si riappropria delle funzioni gia'
esercitate da tempo dalle regioni (e dagli enti locali cui le regioni
hanno nel tempo attribuito tali funzioni, in applicazione del
principio di sussidiarieta).
Per i citati motivi le impugnate disposizioni sono
incostituzionali per contrasto con gli artt. 76 e 117 Cost.
B.4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 63, per violazione
degli articoli 76, 117 e 118 Cost. - Violazione del principio della
leale collaborazione.
L'art. 63 sopprime le vigenti autorita' di bacino e, al primo
comma, prevede che in ogni distretto idrografico sia istituita
l'Autorita' di bacino distrettuale, ente pubblico non economico, i
cui organi sono il Segretario generale, la Segreteria
tecnico-operativa, la Conferenza istituzionale permanente e la
Conferenza operativa di servizi. Il secondo comma dispone che con
d.P.C.m. entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della
parte terza del decreto, saranno definiti i criteri e le modalita'
per l'attribuzione o il trasferimento del personale e delle risorse
patrimoniali e finanziarie dalle vecchie autorita' ai nuovi
organismi.
Il terzo comma prevede la soppressione, secca ed immediata, a
partire dal 30 aprile 2006 delle Autorita' di bacino previste dalla
legge n. 183/1989; e' altresi' stabilito che il d.P.C.m. di cui al
secondo comma disciplinera' il trasferimento di funzioni e
regolamentera' il periodo transitorio.
Il quarto comma disciplina il funzionamento della Conferenza
istituzionale permanente. Essa e' presieduta e convocata dal Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio; vi partecipano lo stesso
Ministro, quello delle infrastrutture e dei trasporti, delle
attivita' produttive, delle politiche agricole e forestali, per la
funzione pubblica, per i beni e le attivita' culturali, gli assessori
delle regioni interessate dal distretto idrografico, il delegato del
dipartimento della Protezione civile. La Conferenza istituzionale
permanente delibera a maggioranza.
Il quinto comma definisce le competenze della Conferenza
permanente, che e' il rilevante organo decisionale dell'Autorita'. In
particolare essa adotta i criteri ed i metodi per l'elaborazione del
piano di bacino, individua i tempi e le modalita' per l'adozione del
piano di bacino che potra' articolarsi in piani riferiti a
sub-bacini, adotta il piano di bacino, determina quali componenti del
piano stesso costituiscono interesse esclusivo delle singole regioni
e quali costituiscono interessi comuni a piu' regioni, controlla
l'attuazione delle previsioni del piano di bacino.
Il sesto comma disciplina la Conferenza operativa di servizi,
composta dai rappresentanti degli stessi Ministeri che fanno parte
della Conferenza istituzionale permanente, delle regioni e del
Dipartimento della protezione civile; anch'essa delibera a
maggioranza e provvede all'attuazione ed esecuzione delle decisioni
assunte dalla Conferenza istituzionale permanente e al compimento
degli atti gestionali.
Il settimo comma stabilisce che le Autorita' di bacino elaborano
i piani di bacino; esprimono parere sulla coerenza con gli obiettivi
del piano di bacino di tutti i piani e programmi, compresi quelli
regionali, relativi alla difesa del suolo, alla lotta alla
desertificazione, alla tutela delle acque e alla gestione delle
risorse idriche; elaborano analisi delle caratteristiche del
distretto, dell'impatto delle attivita' umane sullo stato delle acque
superficiali e sulle acque sotterranee, nonche' un'analisi economica
dell'utilizzo idrico.
Il comma ottavo prevede infine che le Autorita' di bacino
coordinano e sovrintendono le attivita' e le funzioni di titolarita'
dei consorzi di bonifica integrale.
Le suddette disposizioni ledono le attribuzioni regionali in
materia di difesa del suolo e, quindi, di governo del territorio, che
l'art. 117 Cost. attribuisce alla potesta' legislativa concorrente e
in cui quindi deve potersi applicare la disciplina regionale emanata
in attuazione dei principi stabiliti dal legislatore statale; le
stesse violano altresi' l'art. 118 Cost. perche' non prevedono
adeguati e sufficienti meccanismi concertativi idonei a compensare
l'interferenza della disciplina in ambiti materiali riservati alle
regioni, come, appunto, e' per il governo del territorio e la difesa
del suolo ivi rientrante.
Infatti sono state soppresse le Autorita' di bacino di rilievo
nazionale istituite dalla legge n. 183/1989 che rappresentavano gli
organismi di leale cooperazione tecnica ed istituzionale tra lo Stato
e le regioni; in loro vece sono istituite le Autorita' di bacino
distrettuale, organismi burocratici, emanazione diretta del Ministero
dell'ambiente, in cui le regioni partecipano con rappresentanti in
seno alla Conferenza istituzionale e alla Conferenza operativa.
Pero' le due suddette Conferenze decidono a maggioranza e quindi
l'incisivita' dei ruolo regionale e' condizionato dal numero dei
rappresentanti espressi dalle regioni, rispetto alla cospicua
presenza di rappresentanti statali (che sono sette).
Come meglio verra' successivamente evidenziato, il territorio
della Regione Toscana e' quasi interamente compreso nel Bacino
distrettinale Appennino Settentrionale (insieme a parti delle Regioni
Liguria, Umbria, Marche ed Emilia-Romagna); vi e' poi il bacino
distrettuale pilota del Serchio, interamente in Toscana.
Ebbene, nel primo dei suddetti bacini (Appennino Settentrionale),
le regioni sono in minoranza (sei a sette); nel bacino del Serchio la
regione Toscana sara' sempre parimenti in minoranza (un
rappresentante regionale a fronte dei sette statali).
Percio' il suddetto meccanismo sara' sempre inidoneo a permettere
un'effettiva partecipazione regionale ed una elaborazione congiunta
Stato/regioni in merito alle rilevanti decisioni adottate dalla
Conferenza istituzionale.
In particolare si sono sopra richiamati i compiti che il quinto
comma affida alla Conferenza istituzionale: e' evidente che le
relative determinazioni si ripercuotono direttamente sulle scelte
della pianificazione territoriale delle regioni e cio' non solo
perche' la Conferenza adotta il piano di bacino, ma anche perche' la
stessa Conferenza determina le componenti del piano che sono di
interesse regionale ed interregionale, cosi' stabilendo l'ambito di
competenza delle regioni.
Il rispetto della attribuzioni regionali in materia di governo
del territorio richiederebbe o che le autorita' di bacino si
limitassero a dettare criteri ed indirizzi generali per la difesa del
suolo, che poi le regioni dovrebbero disciplinare, articolare e
specificare nella propria legislazione e negli atti di pianificazione
territoriale, ovvero, almeno, che nelle autorita' di bacino vi fosse
sempre una paritaria partecipazione regionale, tale da rendere
effettiva la possibilita' delle regioni di incidere sulle decisioni
interferenti con l'assetto territoriale regionale, in applicazione
del principio della leale cooperazione.
L'art. 63 in esame con risponde, invece, ad alcuno dei suddetti
criteri: infatti i commi quinto, sesto, settimo ed ottavo non pongono
in capo all'autorita' di bacino solo compiti di indirizzo, ma anche
compiti puntuali e specifici di programmazione, gestione e controllo
idonei a sovrapporsi alle scelte regionali. Significativi, ad
esempio, sono i compiti previsti dal quinto comma, lettera c), che
rimette all'Autorita' in questione la decisione delle parti del piano
che siano o meno di interesse regionale o, ancora, i compiti previsti
dal settimo comma, lettera b), per cui l'Autorita' medesima esprime
parere di coerenza dei piani e programmi regionali con gli obiettivi
del piano di bacino.
D'altra parte, come gia' rilevato, le disposizioni del citato
articolo non garantiscono che le decisioni assunte in seno alle
Conferenza, sia istituzionale che operativa, siano il frutto di una
paritaria codeterminazione che sarebbe invece necessaria, stante la
pesante interferenza delle decisioni assunte con gli ambiti affidati
alla competenza costituzionale regionale.
Percio' le disposizioni contenute nell'art. 63 sono lesive degli
artt. 117 e 118 Cost. e del principio della leale cooperazione.
Tali norme costituzionali sono altresi' specificatamente violate
dai medesimo art. 63, comma quinto, lettera c), ove si prevede che la
Conferenza istituzionale determini quali componenti del piano di
bacino costituiscono interesse esclusivo delle singole regioni e
quali costituiscono interessi comuni a piu' regioni: da cio' deriva
che le competenze regionali vengono a dipendere dalle decisioni
assunte dalla Conferenza, mentre i bacini regionali ed interregionali
dovrebbero essere delimitati in base ad oggettivi criteri tecnici
(cioe' la dimensione ed i caratteri naturali del bacino idrografico),
che rappresentano il riferimento essenziale per ogni azione di
pianificazione, programmazione e gestione della difesa del suolo e
del ciclo delle acque.
Particolarmente lesiva e' infine la disposizione contenuta
nell'art. 63, comma terzo, ove si prevede che le autorita' di bacino
previste dalla legge n. 183/1989 sono soppresse a far data dal 30
aprile 2006 e le relative funzioni sono esercitate dalle nuove
Autorita' di bacino distrettuale; a tal fine e' stabilito che il
decreto previsto al secondo comma disciplini il trasferimento di
funzioni e regolamenti il periodo transitorio (si tratta del d.P.C.m.
che deve essere adottato entro trenta giorni dalla data di entrata in
vigore del nuovo d.lgs.).
La norma lede le attribuzioni regionali perche' ha soppresso le
autorita' di bacino esistenti (le quali esercitano, in base alla
legislazione regionale, nei bacini regionali ed interregionali,
rilevanti funzioni amministrative volte a garantire il corretto
utilizzo del territorio nelle zone soggette a rischio idraulico),
entro il 30 aprile e a quella data non risultavano costituite le
nuove autorita' di distretto. Non solo, ma non e' ancora stato
emanato il d.P.C.m. di disciplina della fase transitoria, cosi' che
non e' noto il procedimento da seguire per la gestione dei
procedimenti attualmente pendenti.
Cio' determina una evidente incisione delle competenze regionali
in materia di difesa del suolo come disciplinate dalla legge
regionale, con conseguente ulteriore lesione degli artt. 117 e 118
Cost.
L'impugnato art. 63 inoltre e' incostituzionale per violazione
dell'art. 76 Cost., in quanto non rispetta i criteri della legge
delega. Infatti quest'ultima (legge n. 308/2004) delegava il Governo
ad emanare decreti di «riordino, coordinamento od integrazione» e
quindi a redigere testi unici compilativi e ricognitivi per il
coordinamento e la semplificazione delle norme di settore; stabiliva
altresi' che i decreti legislativi avrebbero dovuto rispettare i
principi e le norme comunitarie e le competenze per materia delle
amministrazioni statali, nonche' le attribuzioni delle regioni e
degli enti locali, come definite ai sensi dell'art. 117 della
Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e del decreto
legislativo 31 marzo 1998 n. 112.
L'impugnata disposizione sovverte invece le attribuzioni
regionali previste dal decreto legislativo n. 112/1998; inoltre con
la medesima norma il decreto ha apportato modifiche sostanziali alla
disciplina vigente, disponendo una radicale riforma delle Autorita'
di bacino che determina uno sconvolgimento dell'assetto delle
competenze tra Stato e regioni, in violazione di quanto
esplicitamente previsto dall'art. 1, commi 1 e 8, della legge
n. 308/2004.
Dette violazioni della legge di delega comportano, come rilevato,
la lesione di prerogative regionale, con conseguente ammissibilita'
del profilo proposto.
B.5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 64, per violazione
degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
L'art. 64 prevede i nuovi bacini distrettuali, che sono otto:
Sardegna, Sicilia e Serchio; gli altri cinque riaccorpano tutto il
territorio rimanente della penisola.
Il territorio della Toscana, come gia' sopra rilevato, e' quasi
interamente compreso nel Bacino distrettuale Appennino settentrionale
(insieme a parti delle regioni Liguria, Umbria, Marche ed
Emilia-Romagna).
E' stato poi costituito il Bacino distrettuale pilota del bacino
idrografico del Serchio, interamente nella nostra regione.
Il territorio della Toscana fa poi parte dei Bacini distrettuali
Padano per la porzione di bacino del Po (insieme alle Regioni Valle
d'Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna,
Provincia autonoma Trento) e Appennino Centrale per la porzione del
bacino del Tevere (insieme alle Regioni Lazio, Umbria, Abruzzo,
Marche, Molise, Emilia-Romagna).
Tale delimitazione legislativa dei distretti idrografici appare
costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 11, 76, 117
e 118 Cost.
Per i motivi gia' rilevati al precedente punto, si ravvisa la
violazione dell'art. 76 Cost., in quanto la legge n. 308/2004
delegava il Governo ad emanare decreti di «riordino, coordinamento od
integrazione» e quindi a redigere testi unici compilativi e
ricognitivi per il coordinamento e la semplificazione delle norme di
settore; stabiliva altresi' che i decreti legislativi avrebbero
dovuto rispettare i principi e le norme comunitarie e le competenze
per materia delle amministrazioni statali, nonche' le attribuzioni
delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi
dell'art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e
del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
L'impugnata disposizione invece apporta modifiche sostanziali
alla vigente disciplina perche' ridelimita i bacini idrografici in
violazione di quanto esplicitamente previsto dall'art. 1, commi 1 e
8, della legge n. 308/2004.
Dette violazioni della legge di delega comportano la lesione di
prerogative regionali, con conseguente ammissibilita' del profilo
proposto.
Inoltre l'individuazione degli otto nuovi distretti idrografici
prescinde dalla dimensione del bacino idrografico, che invece
rappresenta il riferimento essenziale per ogni azione di
pianificazione, programmazione e gestione della difesa del suolo e
del ciclo delle acque. E' irrazionale e non consente un buon governo
del territorio suddividere l'Italia appenninica in tre distretti
(settentrionale, centrale e meridionale), posti a cavallo del
crinale, in quanto non vi sono ragioni per valutare insieme le
problematiche territoriali della difesa del suolo e delle acque dei
versanti tirrenico ed adriatico, separati e non omogenei l'uno con
l'altro. L'individuazione dei distretti operata dalle norme in esame
e' percio' irrazionale e contrastante con i principi espressi dalla
direttiva 2000/60/CE, che definisce i distretti idrografici come
bacini omogenei specie in relazione alle finalita' della direttiva
stessa, e quindi agli obiettivi di qualita' e di bilancio idrico da
garantire.
Tale violazione della normativa comunitaria determina una
violazione dell'att. 11 Cost. che la regione e' legittimata a far
valere con il presente ricorso in quanto l'irrazionale delimitazione
dei distretti, conseguenza dell'eccepita violazione, sovverte le
competenze regionali sinora esercitate e vanifica l'esercizio delle
attribuzioni regionali in materia di difesa del suolo.
La nuova delimitazione dei bacini distrettuali incide
pesantemente sulle attribuzioni regionali anche perche' si sopprimono
i bacini regionali in essi ricompresi, in violazione dell'art. 117
Cost.
Inoltre tale nuova delimitazione e' stata decisa unilateralmente
dall'Amministrazione statale, senza alcuna procedura concertativa con
regioni interessate, nonostante l'interferenza suddetta con le
attribuzioni regionali.
Percio' quand'anche volesse ammettersi che sussistano esigenze di
carattere unitario che in nome della sussidiarieta' giustificano il
disposto accorpamento dei distretti idrografici, resterebbe
l'illegittimita' della previsione per il mancato coinvolgimento
regionale nella prevista nuova delimitazione, con conseguente
violazione anche dell'art. 118 Cost.
Per i suddetti motivi sussistono le illegittimita' denunciate.
B.6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 65, per violazione
degli artt. 76, 117 e 118 Cost. -- Violazione del principio di leale
cooperazione.
La norma disciplina il piano di bacino distrettuale che e' lo
strumento con cui sono pianificate, programmate e dettate le azioni e
le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla
valorizzazione del suolo e alla corretta utilizzazione delle acque.
Tale piano e' predisposto dall'Autorita' di bacino distrettuale (e
per essa e' adottato dalla conferenza istituzionale la quale delibera
a maggioranza) ed ha un contenuto esteso, non limitato ai soli
aspetti idrogeologici.
In particolare il piano indica anche:
le opere necessarie, distinte in funzione «del perseguimento
degli obiettivi di sviluppo sociale ed economico o di riequilibrio
territoriale nonche' del tempo necessario per assicurare l'efficacia
degli interventi» (comma terzo, lettera d), punto 4);
«l'utilizzazione delle risorse idriche, agrarie, forestali ed
estrattive» (comma terzo, lettera e);
le opere di protezione, consolidamento e sistemazione dei
litorali marini che sottendono il distretto idrografico (comma terzo,
lettera h);
il rilievo conoscitivo delle derivazioni in atto con
specificazione degli scopi energetici, idropotabili, irrigui od altri
e delle portate (comma terzo, lettera p);
il piano delle possibili utilizzazioni future sia per le
derivazioni che per altri scopi, distinte per tipologie d'impiego e
secondo le quantita' (terzo comma, lettera r).
La norma dispone anche che le disposizioni del piano di bacino
hanno carattere immediatamente vincolante e che entro dodici mesi le
autorita' competenti (regioni comprese) devono adeguare i piani
territoriali ed i programmi regionali quali, in particolare, quelli
relativi alle attivita' agricole, zootecniche, agroforestali, tutela
della qualita' delle acque, gestione dei rifiuti, tutela dei beni
ambientali, bonifica (commi quarto e quinto).
Il sesto comma dispone che le regioni emanano le disposizioni per
l'attuazione del piano nel settore urbanistico e comunque, decorsi
novanta giorni dalla pubblicazione del piano di bacino, gli enti
locali sono tenuti in ogni caso ad adeguarsi alle previsioni del
piano di bacino.
Il settimo comma stabilisce che in attesa dell'approvazione del
piano di bacino le autorita' di bacino adottano le misure di
salvaguardia e prevede un potere sostitutivo del Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio in caso di mancata
attuazione o di inosservanza di tali misure da parte delle regioni e
degli enti locali.
Tale art. 65 si pone in contrasto con le competenze regionali in
materia di difesa del suolo e quindi di governo del territorio. Cio'
per diversi motivi.
Innanzitutto perche', in considerazione dell'esteso contenuto del
piano, si va ad un accentramento in capo allo Stato delle funzioni di
pianificazione, programmazione e gestione di funzioni di competenza
regionale; il piano infatti arriva a definire anche gli obiettivi di
sviluppo sociale ed economico, l'uso delle risorse idriche, agrarie,
forestali ed estrattive, nonche' funzioni gia' attribuite alle
regioni dal decreto legislativo n. 112/1998 che quindi vengono
ricondotte in capo allo Stato: si tratta in particolare delle
funzioni di cui alle sopra richiamate lettere h), p), r), che erano
di competenza regionale (in virtu', rispettivamente, dell'art. 89,
primo comma, lettere h) e i) del decreto 112/1998.
Non solo; il piano di bacino si sovrappone, proprio per il suo
esteso oggetto, al contenuto che dovrebbe essere specifico dei piani
di tutela delle acque, previsti dal successivo art. 121, di
competenza regionale.
Tutti i suddetti rilievi determinano la violazione dell'art. 117
Cost.
Inoltre la lesione sussiste per la procedura prevista per
l'approvazione del piano.
Questo infatti e' adottato a maggioranza dalla Conferenza
istituzionale e poi, dopo l'esperimento del procedura di VAS, e'
approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri,
sentita la Conferenza Stato-regioni (ai sensi dell'art. 57, primo
comma p.2).
Il piano di bacino ha effetti molto penetranti sia sulla
pianificazione territoriale che sulla programmazione regionale:
infatti i piani ed i programmi di sviluppo socio-economici e di
assetto ed uso del territorio devono essere coordinati e comunque non
in contrasto con il piano di bacino approvato; a tal fine entro 12
mesi dall'approvazione del piano, le autorita' competenti (enti
locali e regioni comprese, ognuno per la propria competenza), devono
adeguare i rispettivi piani territoriali e programmi regionali,
quali, in particolare, quelli relativi alle attivita' agricole,
zootecniche ed agroforestali, alla tutela della qualita' delle acque,
alla gestione dei rifiuti, alla tutela dei beni ambientali ed alla
bonifica (commi quarto e quinto); per tali finalita' le regioni entro
novanta giorni dalla pubblicazione del piano emanano le disposizioni
per la sua attuazione e, in mancanza, gli enti interessati sono
comunque tenuti a rispettarne le prescrizioni.
E' pertanto certo che il piano di bacino prevale sugli atti di
programmazione e di pianificazione territoriale; in considerazione di
tale efficacia, il procedimento di formazione dovrebbe coinvolgere le
regioni, nel rispetto della leale cooperazione, secondo i principi
stabiliti dalla Corte costituzionale in merito all'applicazione del
criterio della sussidiarieta'.
Vero e' che l'adozione del piano e' disposta dalla Conferenza
istituzionale; tuttavia in questo organismo, per i distretti che
essenzialmente interessano la Regione Toscana (Appennino
settentrionale e del Serchio), le regioni sono in minoranza (sei
rappresentanti regionali a fronte dei sette statali nel primo; un
rappresentante regionale a fronte dei sette statali nel secondo) e
pertanto le prescrizioni, anche quelle che piu' incidono sugli atti
territoriali e di programmazione regionale, ben possono essere
approvate in via definitiva, in dissenso della regione interessata.
Sarebbe invece necessaria una procedura idonea a garantire una
paritaria codeterminazione delle decisioni incidenti sull'assetto
territoriale della regione.
Per lo stesso motivo insufficiente appare il mero parere della
Conferenza previsto preliminarmente all'adozione del piano.
Sussiste pertanto la denunciata violazione degli artt. 117 e 118
Cost., tenendo anche conto che la Corte costituzionale, nella gia'
citata sentenza n. 85/1990 pur nella vigenza del precedente assetto
costituzionale, ha rilevato che «non puo' rinvenirsi una qualsiasi
giustificazione sul piano costituzionale per dare alle amplissime
determinazioni di pianificazione del predetto Comitato istituzionale,
relative all'assetto idrogeologico, alla conservazione, difesa e
valorizzazione del suolo e utilizzazione delle acque, una incidenza
diretta ed automatica di modifica degli strumenti di pianificazione
urbanistica, tanto piu' con carattere permanente».
Il sesto comma prevede che le regioni emanino norme per
l'attuazione del piano di bacino nel settore urbanistico; tuttavia si
prescinde da tale intervento regionale se non avvenuto entro novanta
giorni, con efficacia diretta delle prescrizioni urbanistiche del
piano di bacino per gli enti territorialmente interessati. Tale
previsione appare lesiva delle attribuzioni regionali perche'
determina un termine incongruo ed eccessivamente breve per dettare le
norme necessarie per l'attuazione urbanistica del piano di bacino:
considerando la complessita' dei problemi e la vastita' del
territorio regionale non e' detto che in novanta giorni sia possibile
dettare le norme suddette. La norma pone invece il termine come
perentorio, perche' in assenza di tale intervento regionale se ne
prescinde, con un rapporto diretto tra il piano di bacino e gli
strumenti urbanistici degli enti locali, totalmente scavalcando la
pianificazione territoriale regionale. Certo la norma di chiusura e'
indispensabile; tuttavia occorrerebbe un termine congruo ovvero la
possibilita' che la regione segnali all'autorita' statale i casi in
cui non e' possibile rispettare il termine, indicando i motivi
affinche' possa essere valutata la concessione di ulteriore termine
di adempimento.
La secca formulazione della norma appare pertanto in contrasto
con il principio della leale cooperazione e determina una lesione
delle competenze urbanistiche regionali costituzionalmente garantite
ai sensi dell'art. 117 Cost.
Anche la disposizione di cui al settimo comma presenta molteplici
interferenze con il governo del territorio.
E' infatti previsto che in attesa dell'approvazione del piano di
bacino l'autorita' adotta le misure di salvaguardia con particolare
(ma non solo) riferimento, schematicamente: alle situazioni in atto e
potenziali di degrado del sistema fisico; alle direttive cui devono
uniformarsi la difesa del suolo, la sistemazione idrogeologica ed
idraulica e l'utilizzazione delle acque e dei suoli; alle
prescrizioni, vincoli, opere idrauliche, idraulico forestali, di
forestazione, di bonifica, di consolidamento dei terreni finalizzati
alla conservazione del suolo; alla normativa ed interventi volti a
regolare l'estrazione dei materiali litoidi dal demanio fluviale,
lacuale e marittimo; all'indicazione delle zone da assoggettare a
speciali vincoli e prescrizioni in rapporto alle specifiche
condizioni idrogeologiche. Dal sintetico contenuto riportato risulta
evidente che le misure di salvaguardia incidono sull'assetto del
territorio e, quindi, sulla potesta' legislativa e di pianificazione
regionale.
La norma prevede che in caso di mancata attuazione o di
inosservanza da parte delle regioni ed enti locali delle misure di
salvaguardia, ove possa derivare un grave danno al territorio, il
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, previa diffida,
possa sostituirsi alle amministrazioni competenti, adottando le
necessarie misure provvisorie di salvaguardia, anche con efficacia
inibitoria delle opere.
Tale previsione si presenta incostituzionale.
Si prevede infatti il ricorso al potere sostitutivo
ordinariamente in tutti i casi di mancata attuazione o di
inosservanza da parte delle regioni delle misure di salvaguardia e,
quindi, non solo nei casi di inerzia regionale (ipotesi in cui si
comprende la sostituzione), ma anche nei casi in cui la regione abbia
manifestato il suo motivato dissenso sull'ipotesi formulata
dall'Autorita' statale, chiedendo soluzioni alternative. Cosi' si
ammette il superamento del dissenso attraverso la mera sostituzione,
in contrasto con il principio piu' volte ribadito dalla Corte
costituzionale per cui e' necessaria la previsione di un'intesa tra
lo Stato e la regione tutte le volte in cui l'intervento statale
abbia un impatto con le funzioni regionali, come nel caso in esame,
in cui le suddette misure di salvaguardia incidono sul governo del
territorio, sul turismo, sulla valorizzazione dei beni culturali ed
ambientali.
La norma in esame, con la previsione dell'intervento sostitutivo
nell'attuazione delle misure di salvaguardia, si pone in contrasto
con il suddetto orientamento espresso dalla Corte costituzionale,
violando gli artt. 117 e 118 Cost. ed il principio della leale
cooperazione, cio' perche' l'attivazione di tale potere sostitutivo
e' ammessa non solo a fronte di una totale inerzia regionale, ma
anche a fronte di una generica mancata attuazione che puo' derivare
da una giustificata non condivisione delle misure che impattano sul
territorio. In tal caso l'applicazione del principio di leale
collaborazione richiede di trovare una soluzione condivisa tra lo
Stato e la regione e non certo di prevedere la sostituzione
dell'Amministrazione regionale.
Quand'anche si riconduca il potere sostitutivo alla logica
generale della sussidiarieta', resta comunque che nei casi in cui il
conseguimento delle esigenze unitarie interferisce in modo rilevante
con ambiti materiali di competenza regionale (cio' che avviene
sicuramente nel caso in esame) deve essere previsto a livello
legislativo un idoneo meccanismo di collaborazione.
Infine, anche con riferimento alla norma in esame, per i motivi
gia' rilevati al precedente punto, si ravvisa la violazione
dell'art. 76 Cost., in quanto la legge n. 308/2004 delegava il
Governo ad emanare decreti di «riordino, coordinamento od
integrazione» e quindi a redigere testi unici compilativi e
ricognitivi per il coordinamento e la semplificazione delle norme di
settore; stabiliva altresi' che i decreti legislativi avrebbero
dovuto rispettare i principi e le norme comunitarie e le competenze
per materia delle amministrazioni statali, nonche' le attribuzioni
delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi
dell'art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e
del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
L'impugnata disposizione disciplina in modo innovativo il
contenuto e l'efficacia dei piani di bacino, in violazione di quanto
esplicitamente previsto dall'art. 1, commi 1 e 8, della legge
n. 308/2004.
Dette violazioni della legge di delega comportano la lesione di
prerogative regionale, con conseguente ammissibilita' del profilo
proposto.
C) La seconda Sezione della parte terza riguarda la tutela delle
acque dall'inquinamento; la terza sezione e' relativa alla gestione
delle risorse idriche e all'organizzazione del servizio idrico
integrato. In tale ambito appaiono lesive delle attribuzioni
regionali costituzionalmente garantite le seguenti disposizioni:
C.1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 75, comma 5, per
violazione dell'art. 119 Cost.
Il comma 5 dell'art. 75 impone alle regioni di assicurare la piu'
ampia divulgazione delle informazioni sullo stato di qualita' delle
acque nonche' di trasmettere al Dipartimento tutela delle acque
interne e marine dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i
servizi tecnici (APAT) i dati conoscitivi e le informazioni relative
all'attuazione del d.lgs. n. 152/2006, e quelli prescritti dalla
disciplina comunitaria, secondo le modalita' che verranno indicate
con decreto del Ministro dell'abiente, di concerto con i Ministri
competenti, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato e le regioni.
Ne consegue che, al fine di ottemperare agli obblighi imposti
dalla disposizione in esame le regioni devono necessariamente
attivare, con oneri rilevanti a proprio carico, azioni dirette ad
effettuare una serie di indagini conoscitive sullo «stato di qualita'
delle acque» nonche' azioni dirette al monitoraggio e alla
elaborazione dei dati e delle informazioni acquisite; cio' al fine di
poter evidenziare, come richiesto dalla norma, il livello di
attuazione del decreto legislativo n. 152/2006, nonche' il rispetto
degli obblighi di derivazione comunitaria.
E' innegabile che gli obblighi informativi oggetto della
disposizione impugnata non siano collegati a funzioni proprie delle
regioni ma siano esplicazione della potesta' legislativa riconosciuta
allo Stato dall'art. 117, secondo comma lettera s) della
Costituzione.
L'acquisizione delle informazioni e' infatti finalizzata a
consentire un controllo da parte dello Stato sul rispetto degli
standard di tutela ambientali imposti dallo stesso e dalla comunita'
europea, controllo che rappresenta il diretto corollario di quello
che e' il nucleo essenziale della materia «tutela ambientale». Se e'
vero, infatti, come piu' volte affermato dalla Corte costituzionale
(sent. nn. 407/2002, 96/2003, 259/2004) che la materia «tutela
ambientale» e' una materia di tipo «trasversale» che consente,
comunque, alle regioni di curare i propri interessi funzionalmente
collegati con quelli ambientali, e' anche vero che l'attivita' di
rilevazione dei dati e delle informazioni richieste rappresenta
esplicazione del potere statale di controllare il rispetto degli
standard di tutela uniformi, individuati al fine garantire le
esigenze di protezione e tutela dell'ambiente.
Tali compiti vengono positivamente assunti dalla regione
ricorrente, in attuazione del principio di collaborazione; tuttavia
gli stessi risultano particolarmente onerosi.
Il legislatore statale non ha accompagnato l'imposizione dei
predetti obblighi informativi con l'individuazione delle risorse
necessarie a farvi fronte. E cio' in palese violazione di quanto
disposto dall'art. 119 Cost.
L'art. 119, comma 5 della Costituzione dispone, infatti, che «per
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni
lo Stato destina risorse aggiuntive» a favore di comuni, province,
citta' metropolitane e regioni.
Secondo il novellato art. 119 Cost., infatti, le regioni hanno
«autonomia finanziaria di entrata e di spesa» (primo comma) e godono
di risorse autonome (secondo comma). Come rilevato dalla Corte
costituzionale: «Tributi ed entrate proprie, da essi stabiliti
secondo principi di coordinamento della finanza pubblica,
compartecipazione al gettito di tributi statali riscossi sul loro
territorio e accesso al fondo perequativo per i territori con minore
capacita' fiscale, da utilizzarsi senza vincoli di destinazione, sono
le risorse che debbono consentire a regioni ed enti locali di
finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite»
(Corte cost. 16/2004).
Qualora, invece, lo Stato imponga ad enti locali (nella specie le
regioni) di provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle
loro funzioni, deve contestualmente indicare i mezzi finanziari per
farvi fronte.
In mancanza viene vanificata l'essenza stessa dell'autonomia
finanziaria riconosciuta alle regioni dalla Costituzione dovendo le
stesse distogliere le entrate destinate a coprire le funzioni
pubbliche loro attribuite per destinarle a fronteggiare gli oneri
derivanti dalle funzioni diverse ed ulteriori ad esse attribuite dal
legislatore statale.
La disposizione in esame, pertanto, nella parte in cui prevede
che le regioni debbano porre in essere azioni dirette
all'acquisizione di informazioni finalizzate al controllo e
monitoraggio sullo stato di qualita' delle acque, nonche' sullo stato
di attuazione del d.lgs. n. 452/2006 e della disciplina comunitaria,
senza destinare le risorse aggiuntive necessarie a coprire gli oneri
conseguenti, viola l'autonomia finanziaria delle regioni riconosciuta
alle stesse dall'art. 119 Cost.
C.2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 77, quinto comma,
per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. -- Violazione del
principio della leale cooperazione.
Il comma quinto della disposizione in esame prevede che la
designazione di un corpo idrico artificiale o fortemente modificato e
le relative motivazioni siano esplicitamente menzionate nei piani di
bacino (di emanazione statale, secondo quanto previsto dal d.lgs.
n. 152/2006).
Prosegue la norma riconoscendo alle regioni la possibilita' di
definire un corpo idrico artificiale o fortemente modificato in
presenza di alcune condizioni individuate nel corpo della norma
medesima.
La disposizione appare poco chiara in particolare sul significato
da attribuire al termine «designazione». In una prima accezione
sembrerebbe ricondursi al legislatore statale «l'individuazione del
corpo idrico artificiale o fortemente modificato» attraverso lo
strumento del piano di bacino; in una seconda accezione il piano di
bacino si limiterebbe a riportare un elenco dei corpi idrici o
fortemente modificati, la cui designazione sarebbe, invece, demandata
all'ambito regionale.
Se e' vero che i commi successivi dell'articolo riconoscono
competenze in capo alle regioni tali da far propendere per la seconda
interpretazione, (il comma 6 prevede che le regioni possano
motivatamente stabilire termini diversi per i corpi idrici che
presentano condizioni tali da non consentire il raggiungimento dello
stato di «buono» il comma 7 prevede che le regioni possano stabilire
obiettivi di qualita' ambientale meno rigorosi per taluni corpi
idrici, qualora ricorrano alcune particolari condizioni) e' anche
vero che la norma appare nella sostanza ambigua. L'interpretazione
secondo la quale la designazione del corpo idrico competerebbe allo
Stato ricondurrebbe in capo allo stesso un'attivita' strettamente
finalizzata a politiche di uso del territorio, per loro stessa natura
riconducibili alla materia del «governo del territorio» riservata
dall'art. 117, comma terzo alla legislazione concorrente.
Rientrano, infatti, nell'ambito del «governo del territorio»
secondo la definizione piu' volte data dalla Corte costituzionale
«l'insieme delle norme che consentono di identificare e graduare gli
interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi
ammissibili del territorio» (cfr. sentenze n. 196 del 2004 e n. 307
del 2003).
Anche volendo configurare un'avocazione da parte dello Stato, per
esigenze di unitarieta', delle funzioni amministrative di competenza
delle regioni, la norma non si sottrarrebbe a censure di
illegittimita' costituzionale.
L'assunzione in sussidiarieta', quale deroga al sistema di
competenze disegnato dalla Costituzione, deve infatti sottostare,
secondo l'orientamento piu' volte espresso dalla Corte costituzionale
(sent. n. 303/2003) al principio di «leale collaborazione», principio
che impone che la funzione venga amministrata attraverso accordi ed
intese con le regioni espropriate. Detto principio non trova
riconoscimento nella norma impugnata non essendo, la designazione del
corpo idrico, subordinata ad intese con i livelli regionali, ma, al
contrario, e' ricondotta unilateralmente nell'ambito della competenza
statale.
La norma, pertanto, qualora la «designazione» del corpo idrico
artificiale o fortemente modificato debba intendersi come
individuazione dello stesso da parte dello Stato, viola il disposto
degli artt. 117 e 118 Cost. nonche' del principio della leale
cooperazione.
C.3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 87, primo comma, per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
La norma prevede che le regioni, d'intesa con il Ministero delle
politiche agricole e forestali, designino nell'ambito delle acque
marine costiere e salmastre che sono sede di banchi e di popolazioni
naturali di molluschi bivalvi e gasteropodi, quelle richiedenti
protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo degli
stessi e per contribuire alla buona qualita' dei prodotti della
molluschicoltura direttamente commestibili per l'uomo. La norma
appare diretta a perseguire duplici fini. Da una parte e' finalizzata
ad assicurare che le acque marine e salmastre, sede di popolazioni
naturali di molluschi bivalvi e gasteropodi, rispondano ai requisiti
di qualita' richiamati dal successivo art. 88; dall'altra e'
finalizzata ad assicurare la buona qualita' dei prodotti della
molluschicoltura direttamente commestibili per l'uomo.
In riferimento alla disposizione in esame vengono, pertanto in
rilievo interessi diversi affidati ora alla tutela del legislatore
statale (tutela dell'ambiente), ora alla legislazione concorrente,
(tutela della salute) ora alla legislazione residuale delle regioni
(agricoltura).
A tale ultimo proposito la Corte costituzionale ha definito
«nocciolo duro della materia agricoltura» cio' che «ha a che fare con
la produzioni di vegetali ed animali destinati all'alimentazione»
(sent. n. 12/2004).
La riconduzione della disposizione nella materia dell'agricoltura
trova, peraltro, conforto anche nell'individuazione del Ministero
delle politiche agricole e forestali quale Ministro competente
all'intesa.
Non sembra compatibile con il riparto delle competenze delineato
dal titolo V della Costituzione la subordinazione della designazione
ad un'intesa con i livelli statali.
E' incompatibile in riferimento alle materie riconducibili alla
legislazione residuale (agricoltura), laddove la Costituzione ha
inteso affidare alle regioni la cura degli interessi coinvolti; e'
incompatibile in riferimento alle materie riconducibili alla
legislazione concorrente (tutela della salute e dell'alimentazione),
laddove, come ribadito dalla Corte costituzionale (sent. n. 282/2002)
compete allo Stato la sola fissazione dei principi fondamentali e non
anche determinazioni di dettaglio, quale e' invece quella che in
esame.
La designazione delle acque che ottemperano ai requisiti di
qualita' (indicati come standard uniformi dallo Stato) e che possono,
pertanto, essere destinate alla molluschicoltura e' attivita'
operativa e di dettaglio il cui esercizio e' riconducibile all'ambito
regionale.
Ne' possono qui invocarsi i principi di sussidiarieta' ed
adeguatezza di cui all'art. 118, primo comma della Costituzione,
nella loro attitudine ascensionale, in base ai quali lo Stato puo'
riservare a se' funzioni amministrative (e conseguentemente
legislative) in deroga al riparto delle competenze individuato dal
titolo V della Costituzione.
Come piu' volte ribadito dalla Corte costituzionale l'assunzione
in sussidiarieta', quale deroga al sistema di competenze delineato
dalla Costituzione, deve sottostare a due specifiche condizioni: in
primo luogo la riconducibilita' allo Stato della funzione
amministrativa (e di conseguenza di quella legislativa) deve
rispondere a criteri di proporzionalita' e ragionevolezza; in secondo
luogo la funzione in esame deve essere amministrata secondo il
principio di leale collaborazione e dunque attraverso intese con le
regioni espropriate della loro competenze (sent. 303/2003; sent.
6/2004).
Se si applicano i menzionati criteri in relazione alla
disposizione in oggetto si rileva come questa, pur contemplando una
concertazione tra livello regionale e statale, non trova un
ragionevole fondamento tale da giustificare l'esigenza di un
esercizio unitario della stessa.
Cio' appare ancora piu' evidente tenendo conto del contesto
normativo in cui la norma e' collocata.
L'art. 84, comma primo, infatti, in riferimento alla designazione
«delle acque dolci che richiedono protezione e miglioramento per
essere idonee alla vita dei pesci» riserva allo Stato la sola
individuazione dei requisiti cui le acque devono rispondere,
(requisiti riportati nella Tabella 1/B dell'allegato 2 alla parte
terza del decreto medesimo) ma affida la designazione delle stesse
alle regioni, senza subordinarne l'esercizio ad intese con i livelli
statali.
E' irragionevole, quindi, il diverso trattamento riservato dal
legislatore statale alle acque destinate alla vita dei pesci e a
quelle destinate alla vita dei molluschi.
Va evidenziato, infine, che l'art. 87 modifica l'art. 14 del
d.lgs. n. 152/1999, (normativa che viene abrogata dal decreto
legislativo oggetto di impugnazione) che, in un quadro costituzionale
in cui le competenze regionali erano indubbiamente inferiori a quelle
desumibili dall'attuale 117 Cost., non subordinava l'esercizio della
funzione regionale ad intese con i livelli statali.
Il primo comma dell'articolo, pertanto, nella parte in cui
prevede l'intesa con il Ministero delle politiche agricole e
forestali, viola il disposto degli articoli 117 e 118 Cost.
C.4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 91, secondo e sesto
comma, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. -- Violazione del
principio di leale cooperazione.
Il comma primo dell'art. 91 procede ad un prima individuazione
delle cosi' dette «aree sensibili», ovvero di aree particolarmente
esposte ad inquinamento.
Il secondo comma, demanda l'individuazione di ulteriori aree
sensibili al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio,
sentita la Conferenza Stato-regioni. Parallelamente il comma sei
riconosce al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio,
il potere di procedere, sentita la Conferenza Stato-regioni, alla
reidentificazione delle aree sensibili e dei rispettivi bacini
drenanti che contribuiscono all'inquinamento delle aree medesime.
L'ambito di intervento della norma e' riconducibile alla materia
dell'ambiente; tuttavia, come piu' volte rilevato, la tutela
ambientale e' un valore costituzionalmente protetto in ordine al
quale possono legittimamente aversi interventi regionali.
L'orientamento della Corte costituzionale assume qui un piu'
profondo significato se si tiene conto del delicato intreccio tra
diverse materie di competenza statale e regionale: dalla
individuazione delle aree sensibili discendono, infatti, risvolti a
livello di politiche del territorio che attengono piu' propriamente
alla materia del «governo del territorio» e della «tutela della
salute» in relazione alle quali l'art. 117 Cost. riconosce alle
regioni una competenza legislativa concorrente.
Si pensi, a titolo d'esempio, alla scelta di sistemi depurativi,
alla localizzazione degli impianti di depurazione, al possibile
utilizzo delle aree.
Se la scelta dello Stato di avocare a se' la suddetta competenza
non appare illegittima costituzionalmente, a fronte dei riparto
operato dal nuovo titolo V della Costituzione, in quanto
funzionalmente collegata all'individuazione delle aree maggiormente
bisognevoli di interventi diretti a limitare le cause di inquinamento
e a tutelare conseguentemente l'ambiente, e' anche vero, per quello
che e' stato fin qui esposto, che incidendo l'individuazione delle
aree anche nell'ambito delle politiche del territorio e tutela della
salute, la disposizione non dovrebbe limitarsi a prevedere l'obbligo
per lo Stato di sentire la Conferenza Stato-regioni, ma dovrebbe
richiedere l'acquisizione di un'intesa con la stessa.
Piu' volte, infatti, la Corte costituzionale ha ribadito che,
qualora per esigenza di esercizio unitario vengono attratte insieme
alla funzione amministrativa funzioni legislative, deve essere dato
il dovuto risalto alle «attivita' concertative e di coordinamento
orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base
al principio di lealta» (sent. n. 303/2003).
In particolare, in riferimento alla materia della tutela
ambientale la Corte costituzionale ha affermato che «quando gli
interventi individuati come necessari e realizzati dallo Stato, in
vista di interessi unitari di tutela ambientale, concernono l'uso del
territorio, e in particolare la realizzazione di opere e di
insediamenti atti a condizionare in modo rilevante lo stato e lo
sviluppo di singole aree, l'intreccio, da un lato, con la competenza
regionale concorrente in materia di governo del territorio, oltre che
con altre competenze regionali, dall'altro lato con gli interessi
delle popolazioni insediate nei rispettivi territori, impone che
siano adottate modalita' di attuazione degli interventi medesimi che
coinvolgano, attraverso opportune forme di collaborazione, le regioni
sul cui territorio gli interventi sono destinati a realizzarsi»
(sent. n. 62/2005).
La disposizione, pertanto, nella parte in cui non prevede che il
processo codecisionale sia garantito attraverso un'intesa fra Stato e
regioni viola il disposto degli artt. 117 e 118 Cost.
C.5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 113, primo comma e
dell'art. 114, primo comma per violazione dell'art. 117 Cost.
Il primo comma dell'art. 113 dispone che, ai fini della
prevenzione dei rischi idraulici ed ambientali le regioni, previo
parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio,
disciplinano e attuano le forme di controllo degli scarichi di acque
meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate
nonche' i casi in cui le immissioni delle acque meteoriche di
dilavamento siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa
l'eventuale autorizzazione.
Il primo comma dell'art. 114 dispone che le regioni, previo
parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio
adottino apposita disciplina in materia di restituzione delle acque
utilizzate per la produzione idroelettrica, per scopi irrigui e in
impianti di potabilizzazione, nonche' delle acque derivanti da
sondaggi o perforazioni diversi da quelli relativi alla ricerca ed
estrazione di idrocarburi, al fine di garantire il mantenimento o il
raggiungimento degli obiettivi di qualita' di cui al decreto
medesimo.
Le norme non chiariscono la natura del «parere» statale. Qualora
allo stesso si riconosca una natura obbligatoria e vincolante, in
grado quindi di condizionare l'attivita' legislativa regionale, esso
si tradurrebbe in un'indebita ingerenza dello Stato nella
determinazioni regionali finalizzate alla cura di interessi che la
Costituzione ha affidato alle regioni medesime, in relazione al
governo del territorio.
Piu' in particolare la Corte costituzionale ha affermato che la
subordinazione della potesta' legislativa o regolamentare regionale
ad atti statali di natura amministrativa non trova riconoscimento in
alcuna disposizione costituzionale e viola palesemente l'art. 117
Cost.; anzi, tale principio risulterebbe oggi rafforzato, risultando
inibita in radice alla fonte secondaria statale la possibilita' di
vincolare l'esercizio della potesta' legislativa (sentenze n. 303 e
n. 267 del 2003).
Analoghe argomentazioni possono addursi in riferimento al primo
comma dell'art. 114, dove l'attivita' legislativa regionale appare
indirizzata oltre che a normare nell'ambito del «governo del
territorio» (uso delle risorse idriche) e nella materia della «tutela
ambientale», anche a tutelare interessi piu' propriamente attinenti
alla materia dell'agricoltura» (demandata dall'art. 117 Cost. alla
competenza esclusiva residuale delle regioni).
Risulta, pertanto, incompatibile con l'attuale titolo V della
Costituzione e con il riparto di competenze in esso contemplato la
subordinazione della potesta' legislativa ad atti di tipo secondari
(e tanto piu' a pareri) che tendono, comunque a sovvertire il rigido
riparto delle competenze individuato dal titolo V medesimo.
C.6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 116, per violazione
degli artt. 117 e 118 Cost. -- Violazione del principio della leale
cooperazione.
La disposizione prevede l'iter per l'adozione dei «programmi di
misura» e «delle misure supplementari» definite dall'allegato 11 alla
parte terza del d.lgs. n. 152/2006.
In base alla disposizione in esame i programmi di misura sono
predisposti dalle regioni e sottoposti per l'approvazione
all'Autorita' di bacino (statale). Qualora l'Autorita' ritenga le
misure previste non sufficienti a garantire il raggiungimento degli
obiettivi previsti, ne individua le cause e indica alle regioni le
modalita' per il riesame, invitandole ad apportare le necessarie
modifiche.
La procedura prevede, quindi, un coinvolgimento dei livelli
regionali, chiamati a predisporre i programmi di misura e le misure
supplementari, ma poi attribuisce sostanzialmente le decisioni allo
Stato che le esercita attraverso l'Autorita' di bacino, a cui e'
demandata l'approvazione dei programmi e delle misure.
Considerando che i programmi di misura e le misure supplementari
rappresentano uno strumento operativo e di attuazione delle direttive
comunitarie con cui le regioni esprimono scelte destinate a ricadere
fortemente sul governo del territorio, e' evidente che il modello
procedimentale previsto nella disposizione in esame, basato
sull'approvazione da parte dell'Autorita' di bacino, non consente un
confronto paritario fra i vari interessi coinvolti e non risulta,
pertanto, rispettoso delle competenze riconosciute alle regioni dalla
Costituzione. In realta', esercitando un cosi' penetrante potere di
vigilanza, lo Stato attrae a se' funzioni amministrative attraverso
meccanismi unilaterali di soluzione dei conflitti (mancata
approvazione) e non, invece, attraverso modelli concertativi aderenti
al principio di leale collaborazione piu' volte richiamato dalla
Corte costituzionale.
La disposizione, pertanto, nella parte in cui prevede
l'approvazione dei programmi e delle misure supplementari da parte
dell'Autorita' di bacino e' illegittima per violazione degli
artt. 117 e 118 Cost. nonche' del principio della leale cooperazione.
C.7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 148, comma quinto,
per violazione dell'art. 117 Cost.
La disposizione detta norme relative all'Autorita' d'ambito,
struttura dotata di personalita' giuridica, costituita in ciascun
ambito territoriale delimitato dalla competente regione, alla quale
viene trasferito l'esercizio delle competenze in materia di gestione
delle risorse idriche.
Il primo comma della norma, prevede l'obbligatoria partecipazione
degli enti locali alle Autorita' d'ambito; il comma 5 ribadisce tale
obbligo ma introduce alcune deroghe; in particolare l'adesione alla
gestione unica del servizio integrato e' facoltativa per i comuni con
popolazione fino a 1000 abitanti inclusi nel territorio di comunita'
montane a condizione che la gestione sia operata direttamente
dall'amministrazione comunale ovvero tramite una societa' a capitale
interamente pubblico e controllata dallo stesso comune.
Le disposizioni sono lesive della competenza legislativa in
materia di servizi pubblici locali.
E' noto che la Corte costituzionale ha operato una distinzione
all'interno dei servizi pubblici locali tra quelli dotati di
rilevanza economica e quelli che ne sono sprovvisti.
Mentre questi ultimi possono ricondursi nelle materie di
competenza esclusiva residuale delle regioni ai sensi dell'art. 117
Cost., comma quarto, per quelli a rilevanza economica lo Stato e'
legittimato a porre principi in virtu' della sua competenza esclusiva
in materia di tutela della concorrenza.
«L'accoglimento di questa interpretazione comporta da un lato,
che l'indicato titolo di legittimazione statale e' riferibile solo
alle disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalita'
di gestione e l'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica e dall'altro lato che solo le predette disposizioni non
possono essere derogate da norme regionali» (sent. n. 272/2004).
La disciplina della composizione delle Autorita' d'ambito non
appare riconducibile nei confini di competenza statale delineati
dalla Corte costituzionale: la previsione di eventuali deroghe alla
gestione unica, per particolari enti territoriali ed in particolari
circostanze, non concretizza una misura volta a tutelare la
concorrenza; al contrario l'individuazione delle ipotesi di deroga
alla gestione unica del servizio e' strettamente connessa a
valutazioni sulle caratteristiche e sulle tipologie degli enti che
insistono sul territorio nonche' a valutazioni sull'opportunita' ed
economicita' di gestioni separate che non possono che competere alla
regioni in virtu' delle attribuzioni alle stesse riconosciute dalla
Costituzione in materia di servizi pubblici locali.
E cio' appare ancora piu' evidente se si richiama l'orientamento
della Corte costituzionale in materia di tutela della concorrenza in
base al quale una dilatazione massima di tale competenza rischierebbe
di vanificare lo schema di riparto dell'art. 117 Cost., che vede
attribuite alla potesta' legislativa residuale e concorrente delle
regioni materie la cui disciplina incide innegabilmente sullo
sviluppo economico; l'intervento statale si giustifica, pertanto,
solo in ragione della sua rilevanza macroeconomica (sent.
n. 14/2004).
La disposizione in esame risulta, pertanto invasiva delle
competenze regionali in materia di servizi pubblici locali e viola il
disposto dell'art. 117 Cost.
C.8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 149, sesto comma,
per violazione dell'art. 117 Cost.
L'art. 149, comma 6, prevede che il Piano di ambito sia
trasmesso, entro dieci giorni dalla deliberazione di approvazione da
parte dell'Autorita' di ambito, alla regione, all'Autorita' di
vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio. L'Autorita' di vigilanza
puo' notificare all'Autorita' d'ambito i propri rilievi e le proprie
osservazioni entro novanta giorni, dettando prescrizioni in relazione
ai livelli minimi di servizio individuati quali obiettivi della
gestione e al piano finanziario con particolare riferimento alla
capacita' dell'evoluzione tariffaria di garantire l'equilibrio
economico della gestione.
Occorre in primo luogo soffermarsi sul contenuto del Piano
d'ambito e le finalita' cui lo stesso e' destinato a soddisfare.
Il primo comma dispone che il Piano d'ambito sia costituito dai
seguenti atti:
ricognizione delle infrastrutture;
programma degli interventi;
modello gestionale ed organizzativo;
piano economico-finanziario.
Di seguito la norma entra piu' nel dettaglio sui vari aspetti di
contenuto del Piano d'ambito, prevedendo che lo stesso individui la
consistenza delle strutture da affidare al gestore; il programma
degli interventi di manutenzione straordinaria e le nuove opere per
garantire l'efficienza del servizio; l'andamento dei costi di
gestione e di investimento; la previsione della tariffa, al fine di
garantire il raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario e
il rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicita'
della gestione; la struttura operativa mediante la quale il Gestore
assicura il servizio all'utenza e la realizzazione degli interventi.
A ben vedere il contenuto del Piano d'ambito consente di
ricondurlo in parte alla materia dei servizi pubblici ed in parte
alla materia del governo del territorio (basti pensare al programma
delle manutenzioni e degli investimenti).
Non e' quindi compatibile con il regime del riparto legislativo
delineato dal titolo V della Costituzione la trasmissione del Piano
d'ambito alla Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche e sui
rifiuti. L'Autorita', prevista e disciplinata dall'art. 159 del
decreto impugnato, presenta una composizione fortemente sbilanciata a
favore dei rappresentanti ministeriali (come si dira' di seguito in
riferimento all'impugnazione dell'art. 159) tale da comportare di
fatto un'attrazione al livello statale delle competenze attribuite
dalla Costituzione alle regioni.
Il controllo da parte dell'Autorita' di vigilanza, la sua
legittimazione ad imporre prescrizioni non si legittimano in
relazione alle competenze riconosciute allo Stato nella materia dei
servizi pubblici locali ne' tanto meno in relazione competenze ad
esso riconosciute in materia del governo del territorio: infatti, in
riferimento ai servizi pubblici locali, si richiama quanto gia'
evidenziato in relazione all'art. 148 Cost., circa l'orientamento
della Corte costituzionale in materia di servizi pubblici locali a
rilevanza economica, che riconosce la competenza statale a legiferare
nella materia solo nei limiti delle disposizioni generali finalizzate
alla tutela della concorrenza (sent. n. 272/2004).
In riferimento, invece, agli aspetti attinenti la materia del
governo del territorio, qui lo Stato puo' dettare i principi
fondamentali lasciando interamente le determinazioni di dettaglio
alla disciplina regionale (sent. n. 282/2002).
L'art. 149, comma 6 non rispetta i suddetti criteri e percio',
nella parte in cui prevede un controllo sul Piano d'ambito ad opera
dell'Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti,
viola il disposto dell'art. 117 Cost.
C.9) Illegittimita' costituzionale dell'art. 154, per violazione
degli artt. 117 e 119 Cost.
L'art. 154 istituisce la tariffa per il servizio idrico, quale
corrispettivo del servizio idrico integrato, e fissa i parametri con
cui questa deve essere determinata prescrivendo che si debba tenere
conto della qualita' della risorsa idrica e del servizio fornito,
delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entita' dei costi di
gestione delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del
capitale investito e dei costi di gestione delle aree di
salvaguardia, nonche' di una quota parte dei costi di funzionamento
dell'Autorita' d'ambito, in modo che sia assicurata la copertura
integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il
principio del recupero dei costi e «chi inquina paga».
Di seguito la disposizione determina le competenze attuative
attribuendo:
al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, su
proposta dell'Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche e sui
rifiuti, il compito di definire con decreto «le componenti di costo
per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i
vari settori d'impiego dell'acqua»;
al Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il
Ministro dell'ambiente «al fine di assicurare un'omogenea disciplina
sul territorio nazionale» il compito di stabilire i «criteri generali
per la determinazione da parte delle regioni dei canoni di
concessione per l'utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi
ambientali e dei costi della risorsa e prevedendo, altresi',
riduzione del canone nell'ipotesi in cui il concessionario attui un
riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a valle del
processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora,
restituisca le acque di scarico con le medesime caratteristiche
qualitative di quelle prelevate».
Vengono in rilievo poteri ministeriali sovraordinati a quelli
delle regioni, in violazione delle competenze ad esse riconosciute
dal titolo V della Costituzione.
In particolare la disposizione, disciplinando aspetti concernenti
la tariffa per il servizio, si inserisce nella materia dei servizi
pubblici locali riservata alla potesta' residuale delle regioni
(sent. n. 272/2004; sent. n. 29/2006) e viola, pertanto il disposto
dell'art. 117 Cost.; ne' sussiste un titolo su cui fondare la
competenza statale (sent. n. 335/2005).
La norma in esame si presenta, peraltro, come incoerente con
l'evoluzione della stessa legislazione statale: e' incomprensibile,
ad esempio l'omissione tra i criteri per la determinazione della
tariffa, «degli obiettivi di miglioramento della produttivita»,
parametro invece previsto dall'art. 13 della legge n. 36/1994.
Una tale carenza viene a configurare una tariffa autonoma
rispetto ad un controllo sulla gestione, eliminando la necessita' di
un miglioramento progressivo in termini di efficienza, previsto
invece dalla normativa precedente.
Tale norma viola, altresi', l'art. 119 Cost., primo e secondo
comma, in quanto invasiva dell'autonomia finanziaria e tributaria
delle regioni, incidendo la stessa su un'entrata la cui disciplina
ricade nella competenza regionale.
C.10) Illegittimita' costituzionale dell'art. 155, per violazione
degli artt. 117 e 119 Cost.
La norma dispone in merito alle tariffe riferite ai servizi di
pubblica fognatura e di depurazione ed opera un rinvio al meccanismo
di determinazione individuato dal precedente art. 154.
Anche tale norma viola gli artt. 117 e 119 Cost., per le
argomentazioni svolte in relazione all'art. 154, cui si rinvia.
C.11) Illegittimita' costituzionale dell'art. l59, secondo comma,
per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. -- Violazione del
principio della leale cooperazione.
La norma disciplina la composizione dell'Autorita' di vigilanza
sulle risorse idriche e sui rifiuti. L'Autorita' va a sostituire il
Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche di cui
all'art. 21 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni materia
di risorse idriche) e presenta una struttura notevolmente piu'
complessa rispetto a quella delineata dalla legge n. 36/1994.
In particolare l'Autorita' agisce attraverso tre organi: il
Comitato esecutivo ed il Consiglio (articolato nella sezione risorse
idriche e nella sezione rifiuti). Il Consiglio si compone di tredici
membri, oltre al Presidente, nominati con decreto del Presidente
della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei ministri. Di
questi il Presidente e nove membri sono nominati su proposta in parte
del Ministro dell'ambiente, in parte del Ministro dell'economia e in
parte dal Ministro della funzione pubblica e dell'attivita'
produttive; mentre solo quattro membri vengono nominati su
designazione della Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle
province autonome.
Tutte le proposte di nomina sono sottoposte al parere delle
Commissioni parlamentari.
E' innegabile che la composizione appare fortemente sbilanciata,
a favore della componente statale e comporta, nei fatti, un
illegittimo utilizzo del potere da parte dello Stato che viene,
cosi', a menomare la sfera di attribuzioni costituzionalmente
garantite alle regioni in materia di servizi pubblici locali. Cio'
appare evidente se si esaminano i compiti attribuiti all'Autorita'
elencati al successivo art. 160, compiti che si spingono molto oltre
quelle che venivano riconosciuti, in riferimento al Comitato per la
vigilanza delle risorse idriche, dall'art. 21 della legge n. 36/l994.
Mentre infatti la legge n. 36/1994 riconosceva al Comitato un
generico compito di vigilare sull'efficacia, efficienza ed
economicita' del servizio, sulla regolare determinazione della
tariffa nonche' sulla tutela dell'interesse dell'utente, l'art. 160
attribuisce all'Autorita' compiti che per loro stessa natura tendono
ad incidere in interessi connessi ad ambiti di competenza regionale.
E' il caso di ricordare qui i compiti di vigilanza sull'integrita'
delle reti e degli impianti, l'esercizio di poteri di acquisizione,
accesso ed ispezioni alla documentazione, l'attivita' di consulenza
nelle materie a favore delle Autorita' d'ambito e delle pubbliche
amministrazioni (con una inopportuna sovrapposizione di competenze)
nonche' la specificazione dei livelli generali di qualita' ed il
controllo sull'adozione da parte dei gestori di una carta di servizio
pubblico (quest'ultime due competenze sono oggetto di autonoma
impugnazione).
Il complesso dei compiti attribuiti all'Autorita' vede coinvolti
una pletora di interessi riconducibili ora alla competenza statale
(tutela della concorrenza, tutela dell'ambiente), ora alla competenza
concorrente delle regioni (governo del territorio) ora alla
competenza esclusiva regionale (disciplina del servizio pubblico
economico). Va, a tal proposito, richiamato l'orientamento della
Corte costituzionale, in materia di servizi pubblici aventi rilevanza
economica, che ravvisa la competenza dello Stato, concernente la
tutela della concorrenza, nella potesta' di fissare solo norme
generali vincolanti per le regioni.
E' innegabile che con una composizione come quella delineata
dall'art. 159, comma 2, non garantisce il contemperamento di tutti
gli interessi coinvolti, ma riconduce nella sostanza tutte le scelte
ad un unico centro di interesse: quello statale senza garantire un
adeguato coinvolgimento di tutti i livelli di governo titolari di
potesta' costituzionalmente attribuite.
La composizione dell'Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche
e sui rifiuti, in quanto non riconosce adeguata rappresentativita'
agli interessi regionali, viola l'ambito di competenza alle regioni
riconosciuto dagli artt. 117 e 118 della Costituzione in via
residuale e in via concorrente e viola altresi' il principio della
leale cooperazione.
C.11) Illegittimita' costituzionale dell'art. 160, secondo comma,
lettera f) e lettera g), per violazione dell'art. 117 Cost.
Come sopra gia' evidenziato l'art. 160 elenca i compiti affidati
all'Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti.
In particolare la lettera f) demanda all'Autorita' la
specificazione dei livelli generali di qualita' riferiti ai servizi
da prestare nel rispetto dei regolamenti del Ministero dell'ambiente
e della tutela del territorio che disciplinano la materia; la
lettera g) demanda alla medesima Autorita' il controllo sull'adozione
da parte dei gestori di una carta di servizio pubblico con
l'indicazione di standard dei singoli servizi nonche' la verifica del
rispetto della carta medesima.
In entrambi i casi si tratta di disposizioni che tendono a
menomare la sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita alle
regioni in materia servizi pubblici locali, laddove la Corte
costituzionale ha riconosciuto una competenza residuale alle regioni,
comprimibile dallo Stato solo in virtu' di azioni volte a tutelare la
concorrenza mediante disposizioni di carattere generale (sent.
n. 272/2004; sent. n. 29/2006).
La Regione Toscana si e' da tempo dotata di una disciplina
organica in esecuzione della legge n. 36/1994, sia in riferimento
alla gestione del servizio idrico: l.r. n. 81/1995 (Norme di
attuazione della legge 5 gennaio 1994, n. 36 «Disposizioni in materia
di risorse idriche», l.r. n. 26/1997 (Norme di indirizzo per
l'organizzazione del servizio idrico integrato in attuazione degli
articoli 11 e 12 della legge 5 gennaio 1994, n. 36) sia in
riferimento alla gestione dei rifiuti: l.r. n. 25/1998 (Norme per la
gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati), e successive
modificazioni.
In base alle suddette normative (in particolare gli artt. 7 e 8
della l.r. n. 81/1995 e l'art. 26 della l.r. n. 25/1988) il controllo
viene demandato alle Autorita' d'ambito, cui compete la verifica del
raggiungimento degli standard economici, qualitativi tariffari,
standard che vengono fissati negli atti di concessione e nelle
convenzioni con i soggetti gestori (art. 7, comma 3 della l.r.
n. 81/1995).
L'art. 160, comma 2, lettera f) viola, pertanto, il riparto
normativo disegnato dal titolo V della Costituzione. Se
l'individuazione degli standard per la gestione del servizio puo'
ricondursi alla competenza statale (laddove lo Stato e' chiamato ad
interventi diretti ad assicurare la tutela della concorrenza),
tant'e' che la norma richiama le norme regolamentari in materia, non
si vede perche' la specificazione degli stessi debba essere
attribuita all'Autorita' di vigilanza che, stante la sua composizione
fortemente sbilanciata a favore della componente statale, non
garantisce il rispetto degli interessi e delle competenze attribuite
dalla Costituzione alle regioni.
Le stesse argomentazioni si ripropongono in relazione alla
lettera g) del medesimo articolo, laddove si demanda ad un organismo
a prevalente composizione statale il controllo sulla gestione del
servizio pubblico. Questo dovrebbe, invece, naturalmente ricondursi
alla sfera di attribuzione delle regioni che vi provvedono attraverso
le Autorita' d'ambito alle quali e' demandato il compito di
individuare, con le forme stabilite dallo Stato, il gestore del
servizio, nonche' di controllare la regolarita' e correttezza del
servizio medesimo.
D) Parte Quarta del d.lgs. n. 152/2006, recante le «Norme in
materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati»,
introduce una disciplina innovativa, in sostituzione dell'attuale
normativa ambientale, con una meno rigorosa, che si caratterizza, da
un lato, per numerose violazioni degli obblighi comunitari nonche'
per eccesso di delega legislativa con evidente pregiudizio per le
attribuzioni costituzionali delle regioni e, dall'altro, per la
lesione diretta delle competenze regionali.
In particolare, anticipando quanto si puntualizzera' nei singoli
motivi, con la parte quarta del testo unico qui impugnato il
legislatore delegato ha fortemente ristretto l'ambito di applicazione
della normativa sui rifiuti attraverso le definizioni di «materia
prima secondaria» (art. 183, comma 1, lettera q), di «raccolta
differenziata» (art. 183, comma 1, lettera f); la deregolamentazione
o privatizzazione della definizione dei metodi di recupero dei
rifiuti (gli accordi di programma di cui all'art. 181), la
definizione delle terre e rocce da scavo (art. 186), la disciplina
delle bonifiche (artt. 242 e ss.).
La sottrazione dal regime dei rifiuti e delle relative
autorizzazioni e controlli di molte sostanze o materiali che nella
precedente disciplina vi erano assoggettati, oltre a violare i
principi comunitari e i criteri direttivi contenuti nella legge
delega, ha importanti ricadute nelle attribuzioni regionali, atteso
che, come ha piu' volte sottolineato codesta ecc.ma Corte, la materia
dei rifiuti, sebbene rientri nella competenza esclusiva statale, va
ad incidere su interessi la cui tutela e' attribuita in via
concorrente alle regioni, quali il governo del territorio, la tutela
della salute, importando per cio' stesso la necessita' di garantire
in capo alle regioni un importante ruolo nella disciplina e gestione
dei rifiuti, cosi' come, peraltro, era riconosciuto dalla precedente
normativa in materia, tra cui il d.lgs. n. 22/1997. Tanto premesso,
si ricorre avverso le seguenti disposizioni.
D.1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 181, commi 7, 8, 9,
10 e 11 e dell'art. 183, comma 1, lettera q), per violazione degli
artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
L'art. 18, nel disciplinare il c.d. «Recupero dei rifiuti»,
prevede al comma 7 la possibilita' per «i soggetti economici
interessati o le associazioni di categoria rappresentative dei
settori interessati, anche con riferimento ad interi settori
economici e produttivi» di stipulare con il Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio «appositi accordi di programma ... per
definire i metodi di recupero dei rifiuti destinati all'ottenimento
di materie prime secondarie, di combustibili o di prodotti».
Tali accordi, continua la disposizione in parola, «fissano le
modalita' e gli adempimenti amministrativi per la raccolta, per la
messa in riserva, per il trasporto dei rifiuti, per la loro
commercializzazione, anche tramite il mercato telematico, con
particolare riferimento a quello del recupero realizzato dalle Camere
di commercio, e per i controlli delle caratteristiche e i relativi
metodi di prova; i medesimi accordi fissano altresi' le
caratteristiche delle materie prime secondarie, dei combustibili o
dei prodotti ottenuti, nonche' le modalita' per assicurare in ogni
caso la loro tracciabilita' fino all'ingresso nell'impianto di
effettivo impiego».
I successivi commi 8, 9, 10 e 11 dell'art. 181, disciplinano le
modalita' procedurali per la stipula, approvazione e pubblicazione di
tali accordi di programma.
Alle predette disposizioni si ricollega la definizione delle c.d.
«materie prime secondarie», da intendersi, ai sensi dell'art. 183,
comma 1, lettera q), la «sostanza o materia avente le caratteristiche
stabilite ai sensi dell'art. 181».
La previsione di accordi di programma per il recupero dei rifiuti
nei termini di cui all'art. 181 si pone in contrasto con la normativa
comunitaria in materia di rifiuti nonche' con la legge delega e
quindi, conseguentemente, contrasta con gli arti. 11, 76, 117 e 118
della Costituzione.
Detti accordi di programma consentono, infatti, di derogare al
sistema normativo previgente (in parte trasfuso nello stesso testo
unico) in materia di rifiuti, istituendo una contrattazione diretta
tra privati e Amministrazione statale idonea ad escludere dal regime
dei rifiuti e dalle relative procedure di autorizzazione e di
controllo tutta una serie di materiali o sostanze - tra cui le
materie prime secondarie - nonche' i metodi di recupero dei rifiuti e
le modalita' per la raccolta, per la messa in riserva, per il
trasporto e commercializzazione dei rifiuti, che nella legislazione
vigente e nel diritto comunitario invece vi sono assoggettati.
Questa deregolamentazione o privatizzazione della disciplina del
recupero dei rifiuti, avendo come naturale conseguenza la sottrazione
dal regime di rifiuti di molte sostanze e materie sulla base di una
mera contrattazione, si pone in evidente contrasto con la direttiva
comunitaria n. 75/442/CEE, cosi' come modificata dalla direttiva
n. 91/156/CEE, laddove prevede all'art. 11 che il generale obbligo
dell'autorizzazione per lo svolgimento di attivita' di recupero dei
rifiuti (art. 10) possa essere derogato solo «qualora le autorita'
competenti abbiano adottato per ciascun tipo di attivita' norme
generali che fissano i tipi e le quantita' di rifiuti e le quantita'
di rifiuti e le condizioni alle quali l'attivita' puo' essere
dispensata dall'autorizzazione dovranno essere fissate
necessariamente dai predetti accordi di programma anziche'
dall'autorita' competente, come richiesto a livello comunitario.
D'altra parte, per le ragioni sopra esposte, il combinato
disposto di cui agli articoli 181, commi 7, 8, 9, 10 e 11, e 181,
comma 1, lettera q), si pone in contrasto con i principi e criteri
direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, della legge delega
n. 308/2004 e, in particolare, con i principi e criteri di cui alle
lettere e) ed f), secondo i quali il nuovo testo unico avrebbe dovuto
dare, da un lato, «piena e coerente attuazione delle direttive
comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela
dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitivita' dei
sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di
distorsione della concorrenza»; e, dall'altro, «affermazione dei
principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e
riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e dei principio
"chi inquina paga"».
Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione.
Violazioni che si ripercuotono sulle competenze costituzionali
della regione in materia di valorizzazione ambientale, tutela della
salute e governo del territorio, dal momento che molte categorie di
rifiuti, nonche' i metodi del loro recupero, le modalita' di
raccolta, di trasporto e di commercializzazione, verranno, con detti
accordi di programma, dispensati dall'assoggettamento ai poteri di
autorizzazione, controllo e pianificazione dell'Amministrazione, con
evidenti pregiudizi per la sicurezza dell'intera collettivita'.
In particolare, e' di tutta evidenza, la lesione delle funzioni
in materia di governo del territorio delle regioni, posto che tali
accordi di programma dovranno prevedere l'individuazione dei luoghi
ove effettuare il recupero dei rifiuti, andando cosi' a vincolare la
destinazione urbanistica di tali siti finalizzati al recupero, senza
alcun intervento da parte delle regioni interessate.
Da qui la violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
D.2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 183, comma 1,
lettera f), per violazione degli artt. 11, 76, 117 Cost.
L'art. 183, comma 1, lettera f), definisce la «raccolta
differenziata» come «la raccolta idonea, secondo criteri di
economicita', efficacia, trasparenza ed efficienza, a raggruppare i
rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee, al momento della
raccolta o, per la frazione organica umida, anche al momento del
trattamento, nonche' a raggruppare i rifiuti di imballaggio
separatamente dagli altri rifiuti urbani, a condizione che tutti i
rifiuti sopra indicati siano effettivamente destinati al recupero».
In altri termini, ammette - contrariamente alla precedente
normativa in materia - la possibilita' di procedere al raggruppamento
dei rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee anche, con
riferimento alla frazione organica umida, in momento successivo alla
raccolta.
Tale previsione si pone in contrasto con la normativa comunitaria
in materia di rifiuti nonche' con la legge delega e suindi
conseguentemente, contrasta con gli artt. 11, 76 e 117 della
Costituzione.
Si deve, infatti, rilevare che, operando una cernita della
frazione organica umida al momento del trattamento del rifiuto, si
produrra' come effetto quello di ottenere un compost di qualita'
inferiore rispetto a quello ottenibile con la separazione della
frazione organica umida al momento della raccolta, con la prevedibile
riduzione dell'appetibilita' di impiego del materiale cosi'
recuperato e suo conseguente afflusso in discarica o verso la
termovalorizzazione.
Appare quindi evidente come tale disposizione non persegua (ma
anzi si ponga in antitesi con) l'obiettivo comunitario di cui
all'art. 3 della direttiva 75/442/CEE, secondo il quale le normative
nazionali devono essere tese al recupero dei rifiuti mediante
riciclo, reimpiego o riutilizzo, dal momento che, sebbene possa
apparire come un'estensione dell'ambito della raccolta differenziata,
il raggruppamento della frazione organica umida dei rifiuti urbani al
momento del trattamento (e non gia' al momento della raccolta) avra'
come naturale effetto, da un lato, l'abbandono dell'attivita' di
recupero al momento della raccolta, in quanto meno dispendiosa in
termini di risorse da dedicare; e, dall'altro, un degradamento della
qualita' dei materiali ottenuti (il c.d. compost) tale da non
consentire una loro appetibilita' da parte del mercato e quindi
conseguentemente tale da farli ritornare nel circuito delle
discariche e/o termovalorizzatori.
Conseguentemente, per le ragioni sopra esposte, l'art. 183, comma
1, lettera f), si pone in contrasto con i principi e criteri
direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, della legge delega
n. 308/2004 e, in particolare, con i principi e criteri di cui alle
lettere e) ed f), gia' richiamati anche nei precedenti motivi di
ricorso.
Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione.
Violazioni che si ripercuotono sulle competenze costituzionali
della regione in materia di tutela della salute e governo del
territorio, dal momento che, come si e' visto, aumenteranno i
materiali da conferire in discarica o alla termovalorizzazione con
evidenti pregiudizi sul potere di pianificazione delle regioni in
tema di impianti per la gestione dei rifiuti, ma anche sull'ambiente
e sulla salute dell'intera collettivita'.
D.3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 185, comma 1, per
violazione degli artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
L'art. 185 detta i limiti al campo di applicazione della Parte
quarta del d.lgs. n. 152/2006, disponendo che «non rientrano nel
campo di applicazione della parte quarta del presente decreto» i
rifiuti ivi elencati.
Tale previsione si pone in contrasto con la normativa comunitaria
in materia di rifiuti nonche' con la legge delega e quindi,
conseguentemente, contrasta con gli artt. 11, 76 e 117 della
Costituzione.
Pervero, in spregio a quanto richiesto dalla direttiva
75/442/CEE, i rifiuti di cui all'art. 185 vengono sottratti
dall'applicazione della disciplina in materia di gestione dei rifiuti
a prescindere da qualsiasi valutazione circa la sussistenza di una
loro disciplina in specifiche disposizioni di legge.
Dispone, infatti, l'art. 2 della direttiva 75/442/CEE che «sono
esclusi dal campo di applicazione della presente direttiva:
a) ...;
b) qualora gia' contemplati da altra normativa:
I) i rifiuti radioattivi;
II) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione,
dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo
sfruttamento delle cave;
III) le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie
fecali ed altre sostanze naturali e non pericolose utilizzate
nell'attivita' agricola;
IV) le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato
liquido;
V) i materiali esplosivi in disuso».
Sebbene la normativa comunitaria sia chiara nel richiedere la
sussistenza di una espressa e speciale disciplina affinche' certe
tipologie di materiale possano essere escluse dal campo di
applicazione della normativa sui rifiuti, e nonostante che tale
principio fosse stato recepito dal precedente legislatore nazionale
con l'art. 8 del d.lgs. n. 22/1997, l'odierno legislatore nazionale
ha completamente dimenticato di riportare la locuzione «qualora gia'
contemplati da altra normativa» (o, per usare le parole del decreto
Ronchi: «in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di
legge»).
La mancata riproduzione della previsione della sussistenza di una
disciplina speciale affinche' determinati materiali siano sottratti
dalla disciplina normativa sui rifiuti non ha un valore meramente
formalistico, ma importa degli effetti concreti in palese spregio sia
per la tutela dell'ambiente che per le prerogative e attribuzioni
regionali.
Pervero, la mancata riproduzione della locuzione «qualora gia'
contemplati da altra normativa» fara' si' che i rifiuti elencati
dallo stesso art. 185 saranno sottratti dal regime autorizzatorio e
di controllo proprio dei rifiuti nel caso in cui manchi o venga
abrogata la specifica disciplina di legge che ne disciplina la
specifica gestione.
Per queste ragioni, l'art. 185, comma 1, si pone in contrasto con
i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8,
della legge delega n. 308/2004 e, in particolare, con i richiamati
principi e criteri di cui alle lettere e) ed f).
Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione.
Violazioni che si ripercuotono sulle competenze costituzionali
della regione in materia di tutela dell'ambiente, tutela della salute
e governo del territorio, dal momento che molti rifiuti potranno
essere dispensati dall'assoggettamento ai poteri di autorizzazione,
controllo e pianificazione riconosciuti in capo alle regioni dalla
normativa comunitaria e dalla legislazione nazionale previgente, con
evidenti pregiudizi per la sicurezza e salute dell'intera
collettivita' nonche' per le attribuzioni regionali in materia di
governo del territorio e di tutela della salute.
D.4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 186, per violazione
degli artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
L'art. 186 disciplina le c.d. «terre e rocce da scavo»,
sottraendole in via generale dalla disciplina in materia di gestione
dei rifiuti, dal momento che ai sensi del primo comma «le terre e
rocce da scavo, anche di gallerie, ed i residui della lavorazione
della pietra destinate all'effettivo utilizzo per reinterri,
riempimenti, rilevati e macinati non costituiscono rifiuti e sono,
percio', esclusi dall'ambito di applicazione della parte quarta del
presente decreto solo nel caso in cui, anche quando contaminati,
durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle
attivita' di escavazione, perforazione e costruzione siano
utilizzati, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalita'
previste nel progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale
ovvero, qualora il progetto non sia sottoposto a valutazione di
impatto ambientale, secondo le modalita' previste nel progetto
approvato dall'autorita' amministrativa competente, ove cio' sia
espressamente previsto, previo parere delle Agenzie regionali e delle
province autonome per la protezione dell'ambiente, sempreche' la
composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione
di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme
vigenti e dal decreto di cui al comma 3».
I successivi commi dell'art. 186 disciplinano le modalita'
procedurali per la determinazione dei limiti massimi accettabili e
delle analisi dei materiali ai fini della loro caratterizzazione,
nonche' le definizioni di ciclo produttivo, di reinterri,
riempimenti, rilevati e macinati.
In particolare, il terzo comma prevede che «il rispetto dei
limiti di cui al comma 1 puo' essere verificato, in alternativa agli
accertamenti sul sito di produzione, anche mediante accertamenti sui
siti di deposito, in caso di impossibilita' di immediato utilizzo. I
limiti massimi accettabili nonche' le modalita' di analisi dei
materiali ai fini della loro caratterizzazione, da eseguire secondo i
criteri di cui all'Allegato 2 del titolo V della parte quarta del
presente decreto, sono determinati con decreto del Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio da emanarsi entro novanta
giorni dall'entrata in vigore della parte quarta del presente
decreto, salvo limiti inferiori previsti da disposizioni speciali.
Sino all'emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi i
valori di concentrazione limite accettabili di cui all'Allegato 1,
tabella 1, colonna B, del decreto del Ministro dell'ambiente 25
ottobre 1999, n. 471».
Tale sottrazione dal regime dei rifiuti delle terre e rocce da
scavo si pone in contrasto con la normativa comunitaria in materia di
rifiuti nonche' con la legge delega e quindi, conseguentemente,
contrasta con gli artt. 11, 76 e 117 e 118 della Costituzione.
Pervero, la definizione di terre e rocce da scavo e la sua
esclusione dalla disciplina in materia di gestione dei rifiuti si
pone in contrasto con la definizione di rifiuti di cui all'art. 1,
comma 1, lettera a), direttiva 75/442/CEE cosi' come interpretata
dalla Corte di giustizia europea con le sentenze rese nelle cause
C-4l8/1997 e C-419/1997 - «Arco», C-9/00 - «Palin Granit»; C-114/01,
«AvestaPolarit Chrome»; e C-457/02, «Niselli», la quale e' ferma
nell'affermare che la nozione di rifiuto non puo' essere interpretata
in senso restrittivo.
D'altra parte, la predetta disciplina, avendo come naturale
conseguenza la sottrazione dal regime dei rifiuti delle terre e rocce
di scavo, si pone in evidente contrasto anche con l'art. 11 della
stessa direttiva comunitaria n. 75/442/CEE, cosi' come modificata
dalla direttiva n. 91/156/CEE, laddove prevede che il generale
obbligo dell'autorizzazione per lo svolgimento di attivita' di
recupero dei rifiuti (art. 10) possa essere derogato solo «qualora le
autorita' competenti abbiano adottato per ciascun tipo di attivita'
norme generali che fissano i tipi e le quantita' di rifiuti e le
condizioni alle quali l'attivita' puo' essere dispensata
dall'autorizzazione».
Nel caso di specie, invece, il legislatore nazionale esclude dal
regime dei rifiuti e dalle relative procedure di autorizzazione e di
controllo le terre e rocce di scavo - che ai sensi del diritto
comunitario dovrebbero invece esservi assoggettati - senza alcuna
predeterminazione delle quantita' di rifiuti necessaria per la
dispensa dall'autorizzazione.
D'altra parte, per le ragioni sopra esposte, l'art. 186 si pone
in contrasto con i principi e criteri direttivi individuati
dall'art. 1, comma 8, della legge delega n. 308/2004 e, in
particolare, con i richiamati principi e criteri di cui alle lettere
e) ed f).
Peraltro, si deve osservare anche la violazione dei criteri
direttivi di cui all'art. 1, comma 8, lettera a), b), h) e i), della
legge delega n. 308/2004, secondo i quali il nuovo testo unico doveva
garantire la salvaguardia, tutela e miglioramento della qualita'
dell'ambiente e della protezione della salute umana; il conseguimento
di maggiore efficienza e tempestivita' dei controlli ambientali,
nonche' la certezza delle sanzioni in caso di violazione delle
disposizioni a tutela dell'ambiente; la previsione di misure idonee
ad assicurare l'efficacia dei controlli e dei monitoraggi ambientali;
nonche' garantire una piu' efficace tutela in materia ambientale
anche mediante il coordinamento e l'integrazione della disciplina del
sistema sanzionatorio.
In denegata ipotesi, l'esclusione delle rocce e terre da scavo
dal regime dei rifiuti, comunque, dovrebbe limitarsi alle ipotesi di
effettivo utilizzo, progettualmente previsto, di detti materiali.
Contrariamente, il comma 5 dell'art. 186 richiede l'obbligo della
redazione del progetto solo per le destinazioni a differenti cicli di
produzione industriale dei materiali di risulta, e non piu' - come
invece prescriveva la previgente normativa (cfr. legge n. 443/2001,
cosi' come modificata dalla legge n. 306/2003) - anche per gli altri
utilizzi. Cio' contrasta con la normativa comunitaria, cosi' come
interpretata da pacifica giurisprudenza comunitaria; si veda in
particolare la sentenza C.G.C.E., 11 novembre 2004, causa C- 457/02
Niselli, nella quale si afferma «l'obbligo di interpretare la nozione
di rifiuti in maniera estensiva per limitare gli inconvenienti o i
danni inerenti alla loro natura», essendo in ogni caso necessario
garantire la finalita' perseguita dalla direttiva 75/442, ovverosia
«la tutela della salute umana e dell'ambiente contro gli effetti
nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell'ammasso e
del deposito dei rifiuti». Nella stessa sentenza si afferma la
possibilita' di escludere le terre e rocce da scavo dal novero dei
rifiuti «a condizione che il suo riutilizzo sia certo, senza
trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione» e
non risulta dunque sufficiente l'esistenza dell'astratta possibilita'
di riutilizzare una sostanza, ma e' invece assolutamente necessaria
una probabilita' di riutilizzo talmente alta da assurgere al rango di
certezza (nello stesso senso la sentenza C.G.C.E. del 18 aprile 2002,
causa C-9/00 Palin Granit e Vegmassalon, in cui si afferma che «il
detentore di detriti derivanti dallo sfruttamento di una cava di
pietra, depositati a tempo indeterminato in attesa di un possibile
utilizzo, si disfa o ha deciso di disfarsi di tali detriti i quali
devono, di conseguenza, essere qualificati come rifiuti ai sensi
della direttiva 75/442».
Inoltre, la disciplina di cui all'art. 186 non e' stata
coordinata con il d.m. n. 471/1999 concernente la bonifica dei siti
inquinati, decreto richiamato al terzo comma della norma.
Infatti l'art. 186 in esame stabilisce che, per esonerare dai
rifiuti le terre e le rocce da scavo, si debba guardare alla
«composizione media dell'intera massa» che «non deve presentare una
concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti
dalle norme vigenti e dal decreto di cui al comma 3»: ovvero non
superiore ai valori di concentrazione limite accettabili di cui
all'Allegato 1, tabella 1, colonna B, del decreto del Ministro
dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471 (applicabile fino
all'emanazione del nuovo decreto ministeriale).
Il richiamato d.m. n. 471/1999, con riferimento alle metodologie
di rilevazione dell'inquinamento ai fini delle bonifiche, dispone che
«i risultati delle analisi effettuate sulla frazione granulometrica
passante al vaglio 2 mm sono riferiti alla totalita' dei materiali
secchi».
Percio', mentre ai fini delle bonifiche il rispetto dei limiti di
cui al d.m. n. 471/1999 si verifica analizzando il sottovaglio e
riferendo i risultati alla totalita' dei materiali secchi, in base
all'art. 186 il discrimine tra rifiuto e non rifiuto si basa su
analisi rapportate alla composizione media dell'intera massa,
ottenendo cosi' dei risultati del tutto diversi, atteso che nel primo
caso il livello di contaminazione del sottovaglio sara' riferito
all'intera massa dei rifiuti, mentre nella seconda ipotesi il
medesimo livello di inquinanti trovati nel sottovaglio dovra' essere
riferito alla media della intera massa, con il risultato di una
«diluizione» del livello degli inquinanti.
Da cio' deriva la paradossale conseguenza che la medesima massa
di terre e rocce di scavo, legittimamente allocata in un sito, ai
sensi dell'art. 186, in quanto conforme ai limiti ex d.m. n. 471/1999
perche' calcolati con riferimento alla composizione media dell'intera
massa, non sarebbe conforme agli stessi limiti fissati dal d.m.
n. 471/1999 per le bonifiche, perche' calcolati con riferimento
all'intera massa e non alla sua media e pertanto si dovrebbe
procedere in un secondo momento alla bonifica di detto sito.
Cio' determina gravi ripercussioni sulle competenze regionali in
materia di governo del territorio e di tutela della salute in quanto
le terre e rocce da scavo vengono dispensate dai poteri di
autorizzazione, pianificazione e controllo attribuiti alle regioni,
imponendo poi a queste ultime l'obbligo di procedere alla bonifica
del sito, che non risulta conforme ai valori-soglia stabiliti ai fini
della bonifica stessa dal citato d.m. n. 471/1999.
Detta illegittimita' non e' superata con l'emanazione del decreto
ministeriale di cui all'art. 186, comma 3, atteso che quest'ultimo
determina «i limiti massimi accettabili nonche' le modalita' di
analisi dei materiali ai fini della loro caratterizzazione, da
eseguire secondo i criteri di cui all'Allegato 2 del titolo V della
parte quarta del presente decreto».
Pervero, il richiamato allegato 2, nel dettare i criteri generali
per la caratterizzazione dei siti contaminati ai fini della loro
bonifica, dispone, al capoverso dedicato alle «Analisi chimica dei
terreni», che «ai fini di ottenere l'obiettivo di ricostruire il
profilo verticale della concentrazione degli inquinanti del terreno,
i campioni da portare in laboratorio dovranno essere privi della
frazione superiore a 2 cm (da scartare in campo) e le determinazioni
analitiche in laboratorio dovranno essere condotte sull'aliquota di
granulometria inferiore a 2 cm. La concentrazione del campione dovra'
essere determinata riferendosi alla totalita' dei materiali secchi,
comprensiva anche dello scheletro».
Pertanto, anche con l'emanazione del decreto ministeriale di
fissazione dei limiti massimi accettabili e delle modalita' di
analisi dei materiali ai fini della loro caratterizzazione si avra'
in insanabile contrasto tra quanto disposto per il recupero delle
terre e rocce di scavo e le norme sulla bonifica dei siti
contaminati.
Ed, infatti, il d.m. 2 maggio 2006, recante «Criteri, procedure e
modalita' per il campionamento e l'analisi delle terre e rocce da
scavo, ai sensi dell'art. 186, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006,
n. 152» e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 10 maggio 2006, n. 107,
da un lato, all'art. 3, comma 3, dispone che «le determinazioni
analitiche in laboratorio dovranno essere condotte sull'aliquota di
granulometria inferiore a 2 mm»; e, dall'altro, all'art. 5, comma 1,
fissa i limiti massimi accettabili rinviando alle «concentrazioni
soglia di contaminazione nel suolo e nel sottosuolo riferiti alla
specifica destinazione d'uso dei siti da bonificare», ovvero ai
limiti previsti per le bonifiche dalla tabella 1, colonna B (siti ad
uso commerciale e industriale), dell'allegato 5 del Titolo V della
parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
Percio', anche con l'emanazione del d.m. 2 maggio 2006, non e'
stato superato l'effetto paradossale, e lesivo delle competenze
regionali in materia di governo del territorio e di tutela della
salute, di far considerare non rifiuto una massa di terra e roccia da
scavo e quindi di consentirne l'allocazione sul territorio, perche'
le analisi sono state rapportate alla composizione media dell'intera
massa, e di rendere poi necessaria la bonifica di quel territorio per
superamento dei limiti previsti ai fini della bonifica stessa,
rapportati alla totalita' dei materiali secchi. Sussistono pertanto
le denunciate illegittimita'.
D.5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 189, commi 1 e 3,
degli artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
L'art. 189 disciplina il c.d. Catasto dei rifiuti, riproducendo
quasi pedissequamente, salvo alcuni aspetti che qui interessano, le
disposizioni di cui all'art. 11 della legge n. 22/1997.
Il primo comma non prevede piu' la necessaria audizione della
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
province autonome di Trento e Bolzano per la riorganizzazione del
Catasto dei rifiuti, istituito dall'art. 3 del decreto-legge 9
settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9
novembre 1988, n. 475.
Il comma 3 dell'art. 189 esonera i produttori di rifiuti non
pericolosi dall'obbligo di presentare il c.d. MUD di cui alla legge
n. 70/1994, ossia di comunicare annualmente alle Camere di commercio
le quantita' e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto di
raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti.
L'art. 189, comma 1, si pone in contrasto con gli articoli 117 e
118 della Costituzione, atteso che, come ha rilevato la Corte
costituzionale (cfr. sent. n. 407/2002), allorquando il legislatore
nazionale interviene in una materia (nel caso di specie, i rifiuti)
ove gli interessi ambientali si sovrappongono con quelli di tutela
del territorio e della tutela della salute e sicurezza della
popolazione, e' necessario il coinvolgimento delle Regioni attraverso
l'intesa con la Conferenza unificata.
Inoltre l'art. 189, comma 1, si pone in contrasto anche con i
principi e criteri direttivi della legge delega, laddove vincola il
legislatore delegato al rispetto dell'assetto normativo
amministrativo e al riparto delle competenze vigenti, atteso che la
Regione Toscana ha gia' esercitato le funzioni ad essa attribuite
disciplinandole con legge e con strumenti di pianificazione generale
e particolare.
Il successivo terzo comma dell'art. 189 si pone in contrasto con
la normativa comunitaria in materia di rifiuti nonche' con la legge
delega; in particolare l'esonero dei produttori di rifiuti non
pericolosi dall'obbligo di presentare il c.d. MUD si pone in
contrasto con il combinato disposto di cui agli artt. 6 e 14 della
direttiva 75/442/CEE, che richiede l'istituzione di un'autorita'
competente a cui fornire le informazioni di cui all'art. 14 relative
a tutti i tipi di rifiuti senza alcuna esclusione.
Per le ragioni sopra esposte, l'art. 189 si pone in contrasto con
i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8,
della legge delega n. 308/2004 e, in particolare, con i richiamati
principi e criteri di cui alle lettere e) ed f).
Da qui la violazione degli arti. 11 e 76 della Costituzione.
Violazioni che si ripercuotono sulle competenze della regione
costituzionalmente riconosciute dagli articoli 117 e 118 Cost. in
materia di tutela della salute e governo del territorio, dal momento
che la dispensa delle imprese e gli enti che producono rifiuti non
pericolosi dalla comunicazione annuale al Catasto dei rifiuti va ad
incidere sui poteri di autorizzazione, controllo e pianificazione
riconosciuti in capo alle regioni dal combinato disposto della
normativa comunitaria e della legislazione nazionale previgente.
D.6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 195, comma 1,
lettera f), comma 2, lettere b), e), l), m) e s), e art. 196, comma
1, lettera d), per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. --
Violazione del principio di leale cooperazione.
L'art. 195 individua le competenze dello Stato con forte
pregiudizio per le attribuzioni delle regioni con particolare
riferimento all'attivita' programmatoria e pianificatoria, nonche'
con vanificazione della competenza regionale in materia di tutela
della salute, di governo del territorio, dei servizi pubblici,
ponendosi cosi' in contrasto con gli articoli 117 e 118 della
Costituzione.
E' innanzitutto illegittima la lettera f) del primo comma
dell'art. 195, nella parte in cui attribuisce allo Stato
«l'individuazione, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali
delle regioni, degli impianti di recupero e di smaltimento di
preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e
lo sviluppo del paese», dal momento che tale individuazione avverra',
- contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte costituzionale (cfr.
sent. n. 303/2003) - sulla base di una mera audizione della
Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281, e non gia' previa intesa con la regione
interessata. Intesa che, invece, si rende necessaria, in quanto
l'individuazione degli impianti di recupero e smaltimento di
preminente interesse nazionale andra' inevitabilmente ad incidere
sulle prerogative costituzionali delle regioni in materia di
ambiente, salute e, in particolare, governo del territorio.
La compressione delle attribuzioni regionali e' manifesta se solo
si considera che l'art. 196, comma 1, lettera d), attribuisce alla
«competenza delle regioni, nel rispetto dei principi previsti dalla
normativa vigente e dalla parte quarta del presente decreto, ivi
compresi quelli di cui all'articolo 195:
(...)
d) l'approvazione dei progetti di nuovi impianti per la
gestione dei rifiuti, anche pericolosi, e l'autorizzazione alle
modifiche degli impianti esistenti, fatte salve le competenze statali
di cui all'articolo 195, comma 1, lettera f)».
Dal combinato disposto di cui agli artt. 195, comma 1,
lettera f), e 196, comma 1, lettera d), si desume che gli impianti di
recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale saranno
individuati, localizzati, approvati direttamente dallo Stato senza
alcun coinvolgimento della regione, con conseguente illegittima
compressione dei propri poteri in materia di salute e governo del
territorio.
Del pari illegittime, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.,
sono le lettere b), e), l), m) ed s) dell'art. 195, comma 2, in
quanto consentono allo Stato di dettare norme di dettaglio in una
materia che si intreccia con materie o attribuzioni regionali, quali
la tutela della salute, i servizi pubblici, i poteri di
pianificazione, andando a comprimere e pregiudicare indebitamente il
potere di pianificazione riconosciuto alle regioni dalle norme
costituzionali e dalla pregressa legislazione in materia ambientale
senza prevedere alcuna intesa con le regioni.
Dispone infatti l'art. 195, comma 2, lettere b), e), l), m) ed
s), che «sono inoltre di competenza dello Stato:
(...)
b) l'adozione delle norme e delle condizioni per
l'applicazione delle procedure semplificate di cui agli articoli 214,
215 e 216, ivi comprese le linee guida contenenti la specificazione
della relazione da allegare alla comunicazione prevista da tali
articoli;
(...)
e) la determinazione dei criteri qualitativi e
quali-quantitativi per l'assimilazione, ai fini della raccolta e
dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani derivanti
da enti e imprese esercitate su aree con superficie non superiore ai
150 metri quadri nei comuni con popolazione residente inferiore a
10.000 abitanti, o superficie non superiore a 250 metri quadri nei
comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti. Non
possono essere di norma assimilati ai rifiuti urbani i rifiuti che si
formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime
e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle
mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori
o comunque aperti al pubblico;
(...)
l) la definizione del modello e dei contenuti del formulario
di cui all'art. 193 e la regolamentazione del trasporto dei rifiuti,
ivi inclusa l'individuazione delle tipologie di rifiuti che per
comprovate ragioni tecniche, ambientali ed economiche devono essere
trasportati con modalita' ferroviaria;
m) l'individuazione delle tipologie di rifiuti che per
comprovate ragioni tecniche, ambientali ed economiche possono essere
smaltiti direttamente in discarica;
s) l'individuazione della misura delle sostanze assorbenti e
neutralizzanti, previamente testate da Universita' o Istituti
specializzati, di cui devono dotarsi gli impianti destinati allo
stoccaggio, ricarica, manutenzione, deposito e sostituzione di
accumulatori alfine di prevenire l'inquinamento del suolo, del
sottosuolo e di evitare danni alla salute e all'ambiente derivanti
dalla fuori uscita di acido, tenuto conto della dimensione degli
impianti, del numero degli accumulatori e del rischio di sversamento
connesso alla tipologia dell'attivita' esercitata».
Da qui la violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
D.7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 199, commi 9 e 10,
per violazione degli artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
L' art. 199 disciplina i piani regionali di gestione dei rifiuti
e al comma 9 prevede in capo al solo Stato e non anche, in via
preliminare, in capo alle regioni, il potere sostituivo all'orquando
«le autorita' competenti non realizzino gli interventi previsti dal
piano regionale nei termini e con le modalita' stabiliti e tali
omissioni possano arrecare un grave pregiudizio all'attuazione del
piano medesimo».
Tale disposizione viola gli art. 117 e 118 della Costituzione, in
quanto, come piu' volte rilevato dalla Corte costituzionale (cfr.
sent. n. 43/2004), anche le regioni hanno il potere di sostituirsi
agli enti inadempienti, nelle materie di competenza regionale, come
nel caso di specie, dal momento che si verte su materia che va a
intrecciarsi con materie di competenza regionale quale la tutela
della salute, il governo del territorio, nonche' alle attribuzioni di
programmazione e pianificazione proprie delle regioni.
E nel caso di specie e' necessario un preliminare intervento
sostitutivo da parte della regione, dal momento che in Toscana le
funzioni amministrative e i compiti in materia tutela dell'ambiente
dagli inquinamenti e gestione dei rifiuti, risorse idriche e difesa
del suolo conferite alla regione dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112,
sono state attribuite agli enti locali (comuni e province) con ll.rr.
nn. 88/1098 e 25/1998.
Del pari illegittima per violazione degli articoli 11, 76, 117 e
118 della Costituzione, e' l'art. 199, comma 10, perche', da un lato,
individua il contenuto dei provvedimenti in via sostitutiva di cui al
comma 9 anche nell'ipotesi in cui, come si e' visto, il potere
sostitutivo ricade nella competenza regionale; e, dall'altro,
nell'individuare il contenuto di detti provvedimenti sostitutivi, non
riprende la disposizione di cui all'art. 22, comma 10, lettera c)
della legge n. 22/1997, che consentiva l'introduzione di sistemi di
deposito cauzionale obbligatorio dei contenitori.
Invero cosi' facendo, il legislatore nazionale, oltre a non
riconoscere il potere sostitutivo in capo alla regione, si pone in
contrasto con la direttiva comunitaria n. 75/442/CEE, cosi' come
modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE, laddove prevede, tra le
finalita' della normativa sui rifiuti, la prevenzione o la riduzione
della produzione e nocivita' dei rifiuti. Invero, la previsione di un
deposito cauzionale costituisce un ottimo deterrente all'aumento
della produzione e nocivita' dei rifiuti.
Per le ragioni sopra esposte, l'art. 199, comma, 10, si pone in
contrasto con i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1,
comma 8, della legge delega n. 308/2004 e, in particolare, con i
citati principi e criteri di cui alle lettere e) ed f).
Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione.
Violazioni che si ripercuotono sulle competenze costituzionali
della regione in materia di tutela dell'ambiente, tutela della salute
e governo del territorio, e quindi nella violazione degli artt. 117 e
118 Cost., dal momento che la mancata previsione del potere
sostitutivo in capo alla regione e la mancata previsione dell'obbligo
di depositi cauzionali vanno inevitabilmente a pregiudicare le
attribuzioni regionali in tema di controllo e pianificazione del
territorio e di tutela sanitaria.
D.8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 201, comma 6,
dell'art. 203, comma 2, lettera c), per violazione degli artt. 11,
76, 117, 118 Cost.
L'art. 201 reca la disciplina del servizio di gestione integrata
dei rifiuti urbani e al comma 6 stabilisce che «la durata della
gestione da parte dei soggetti affidatari, non inferiore a quindici
anni, e' disciplinata dalle regioni in modo da consentire il
raggiungimento di obiettivi di efficienza, efficacia ed economicita».
Analogamente, l'art. 203, nel dettare lo schema tipo di contratto
di servizio che regola i rapporti tra le Autorita' d'ambito e i
soggetti affidatari del servizio integrato, stabilisce, al comma 2,
lettera c), che tale contratto che deve prevedere, tra le altre, «la
durata dell'affidamento, comunque non inferiore a quindici anni».
La previsione di una durata minima quindicennale delle gestioni
integrate dei rifiuti urbani si pone in contrasto con la normativa
comunitaria in materia di rifiuti nonche' con la legge delega e
quindi, conseguentemente, contrasta con gli artt. 11, 76, 117 e 118
della Costituzione.
In particolare, una durata di 15 anni per le gestioni integrate
dei rifiuti si pone in conflitto con la direttiva comunitaria
n. 75/442/CEE, cosi' come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE,
laddove, all'art. 5, prevede che gli Stati membri adottino le «misure
appropriate per la creazione di una rete integrata e adeguata di
impianti di smaltimento, che tenga conto delle tecnologie piu'
perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi» e che
«tale rete deve inoltre permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno
degli impianti appropriati piu' vicini, grazie all'utilizzazione dei
metodi e delle tecnologie piu' idonei a garantire un alto grado di
protezione dell'ambiente e della salute pubblica».
Il conflitto con la normativa comunitaria si estrinseca, in altri
termini, nel fatto che un'autorizzazione quindicennale non puo'
consentire di perseguire l'obiettivo di tenere conto delle tecnologie
piu' perfezionate a disposizione e di utilizzare i metodi e le
tecnologie piu' idonee a garantire un alto grado di protezione
ambientale e della salute pubblica.
Prevedere una durata quindicennale senza alcuna precisazione in
merito all'onere di tenere costantemente aggiornate le tecnologie
utilizzate per la gestione dei rifiuti, si traduce inevitabilmente in
un grave danno all'ambiente e alla sicurezza dei cittadini.
Pregiudizio che con la precedente normativa veniva scongiurato con la
previsione di una durata quinquennale dell'autorizzazione alla
gestione integrata dei rifiuti, dal momento che in sede di rinnovo
dell'autorizzazione l'autorita' competente ai rilascio procedeva alla
valutazione e confronto delle tecnologie utilizzate con quelle
esistenti sul mercato al fine di individuare le «tecnologie piu'
perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi».
Per le ragioni sopra esposte, le impugnate disposizioni
contrastano con la citata direttiva comunitaria nonche' con i
principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, della
legge delega n. 308/2004 e, in particolare, con i citati principi e
criteri di cui alle lettere e) ed f), nella parte in cui prevede una
durata quindicennale dell'autorizzazione.
Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione.
Violazioni che si ripercuotono sulle competenze in materia di
tutela della salute e governo del territorio costituzionalmente
garantite alle regioni ai sensi degli artt. 117 e 118 Cost.
D.9) Illegittimita' costituzionale dell'art. 202, comma 1, per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
L'art. 202, nel disciplinare l'affidamento del servizio di
gestione integrata dei rifiuti urbani, prevede al comma 1 che
«l'Autorita' d'ambito aggiudica il servizio di gestione integrata dei
rifiuti urbani mediante gara disciplinata dai principi e dalle
disposizioni comunitarie, in conformita' ai criteri di cui
all'art. 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267, nonche' con riferimento all'ammontare del corrispettivo per
la gestione svolta, tenuto conto delle garanzie di carattere tecnico
e delle precedenti esperienze specifiche dei concorrenti, secondo
modalita' e termini definiti con decreto dal Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali
in materia».
Tale disposizione e' in contrasto con gli artt. 117 e 118 della
Costituzione, perche' incide sulla competenza regionale attinente ai
servizi pubblici locali. Come gia' evidenziato sopra al punto C.7),
nei servizi dotati di rilevanza economica, lo Stato puo' porre
disposizioni di carattere generale (C. cost. sent. n. 272/2004); la
norma impugnata invece rinvia al decreto ministeriale il compito di
dettare una minuziosa disciplina delle procedure da seguire per
l'affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti,
ponendosi in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte
costituzionale, secondo la quale i vincoli posti dallo Stato «devono
essere configurati in modo consono all'esistenza di sfere di
autonomia, costituzionalmente garantite, rispetto a cui l'azione di
coordinamento non puo' mai eccedere i limiti, al di la' dei quali si
trasformerebbe in attivita' di direzione o in indebito
condizionamento dell'attivita' degli enti autonomi» (Corte cost.
sent. n. 376/2003).
Peraltro, la lesione delle attribuzioni regionali di cui agli
artt. 111 e 118 Cost., conseguente alla previsione che l'affidamento
del servizio avvenga sulla base delle modalita' e termini definiti
con decreto ministeriale, non viene meno per il solo fatto di essere
stato previsto «il rispetto delle competenze regionali in materia» da
parte del Ministero al momento della stesura di dette modalita' e
termini di affidamento della gestione integrata dei rifiuti urbani.
Infatti, trattandosi di materia che coinvolge anche materie di
competenza regionale (governo del territorio, salute, servizi
pubblici), dovrebbe quanto meno essere richiesta l'intesa con le
regioni per poter incidere sulle prerogative regionali.
D.10) Illegittimita' costituzionale dell'art. 208, comma 10, per
violazione degli artt. 111, 118 Cost.
L'art. 208 disciplina la c.d. autorizzazione unica per i nuovi
impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti e, al comma 10,
prevede che «ove l'autorita' competente non provveda a concludere il
procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica entro i termini
previsti al comma 8, si applica il potere sostitutivo di cui
all'art. 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112».
A fronte dell'inadempimento nell'esercizio della suddetta
funzione, la norma prevede dunque un diretto potere sostitutivo dello
Stato (l'art. 5 del d.lgs. n. 112/1998 disciplina infatti questo
potere sostitutive statale).
Tale disposizione viola gli artt. 117 e 118 della Costituzione,
in quanto, come piu' volte ha ricordato la Corte costituzionale (cfr.
sent. n. 43/2004), anche le regioni hanno il potere di sostituirsi
agli enti inadempienti nelle materie di competenza regionale, come
nel caso di specie, dal momento che si verte su materia che va a
intrecciarsi con materie di competenza regionale (la tutela della
salute, il governo del territorio, le attribuzioni di programmazione
e pianificazione proprie delle regioni).
E nel caso di specie si rende necessario un preliminare
intervento sostitutivo da parte della regione, dal momento che in
Toscana le funzioni amministrative e i compiti in materia tutela
dell'ambiente dagli inquinamenti e gestione dei rifiuti, risorse
idriche e difesa del suolo conferite alla regione dal d.lgs. 31 marzo
1998, n. 112 sono state attribuite agli enti locali (comuni e
province) con ll.rr. nn. 88/1998 e 25/1998.
Ne' puo' sostenersi che l'art. 208 va interpretato nel senso di
non consentire alle regioni l'attribuzione agli enti locali delle
funzioni amministrative e dei compiti ad essa conferite dallo Stato
in materia tutela dell'ambiente dagli inquinamenti e gestione dei
rifiuti, risorse idriche e difesa del suolo.
Tale tesi ermeneutica - tesa a riconoscere un carattere
vincolante e inderogabile all'attribuzione in capo alle regione delle
funzioni autorizzatorie ex art. 208 d.P.R. n. 152/2006 - si porrebbe
in palese contrasto oltre che con l'art. 117 anche con l'art. 118
della Costituzione perche' nella disposizione impugnata non e'
rinvenibile alcuna valutazione circa le esigenze unitarie che ai
sensi dell'art. 118 Cost. legittimerebbero l'attribuzione delle
funzioni amministrative a un livello superiore rispetto ai comuni.
D.11) Illegittimita' costituzionale dell'art. 212, commi 2 e 3,
per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
L'art. 212 disciplina l'Albo nazionale dei gestori ambientali,
prevedendo che l'iscrizione presso di esso «e' requisito per lo
svolgimento delle attivita' di raccolta e trasporto di rifiuti non
pericolosi prodotti da terzi, di raccolta e trasporto di rifiuti
pericolosi, di bonifica dei siti, di bonifica dei beni contenenti
amianto, di commercio ed intermediazione dei rifiuti senza detenzione
dei rifiuti stessi, nonche' di gestione di impianti di smaltimento e
di recupero di titolarita' di terzi e di gestione di impianti mobili
di smaltimento e di recupero di rifiuti, nei limiti di cui
all'art. 208, comma 15».
I commi 2 e 3 dell'art. 212 sono stati modificati rispetto
all'art. 30 del d.lgs. n. 22/1997, prevedendo un aumento del numero
dei componenti statali nel Comitato nazionale e delle organizzazioni
sindacali e delle categorie economiche relativamente alle sezioni
regionali o provinciali dell'Albo.
Tali disposizioni si pongono in contrasto con gli artt. 117 e 118
della Costituzione in quanto, prevedendo una diminuzione di peso dei
rappresentanti regionali in seno al Comitato nazionale e alle sezioni
regionali, ledono le prerogative delle regioni in materia di tutela
della salute e del governo del territorio, in considerazione delle
importanti funzioni svolte dall'Albo in materia di procedure
semplificate per la gestione dei rifiuti di cui agli articoli 214 e
seguenti del testo unico dell'ambiente, che attribuiscono alla
sezione regionale dell'Albo, anziche' alle province, funzioni
istruttorie ed autorizzatorie in materia di autosmaltimento e
recupero dei rifiuti.
In altri termini, il passaggio delle funzioni amministrative in
merito all'autorizzazione all'autosmaltimento e recupero dei rifiuti
dalle province all'Albo nazionale dei gestori ambientali importera'
inevitabilmente un pregiudizio all'attivita' di controllo, in quanto,
da un lato, si perderanno le professionalita' e il network
professionale creatosi sotto la precedente disciplina in seno alle
province e alla regione; e, dall'altro, non e' previsto un congruo
peso regionale in seno all'Albo idoneo a incidere sulla definizione
degli indirizzi da seguire per l'esercizio delle funzioni
amministrative in parola.
Tutto cio' si risolve quindi in una lesione, compressione delle
sopra indicate prerogative ed attribuzioni regionali
costituzionalmente riconosciute.
D.12) Illegittimita' costituzionale dell'art. 214, commi 2 e 3,
per violazione degli artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
Gli articoli 214, 215 e 216 disciplinano le c.d. procedure
semplificate per lo smaltimento e recupero dei rifiuti non
pericolosi.
L'art. 214, comma 2, prevede che con decreto ministeriale siano
adottate per ciascun tipo di attivita' le norme, che fissano i tipi e
le quantita' di rifiuti, e le condizioni in base alle quali le
attivita' di smaltimento di rifiuti non pericolosi effettuate dai
produttori nei luoghi di produzione degli stessi e le attivita' di
recupero di cui all'Allegato C alla parte quarta del presente decreto
sono sottoposte alle procedure semplificate di cui agli articoli 215
e 216. Con la medesima procedura si provvede all'aggiornamento delle
predette norme tecniche e condizioni.
Il terzo comma, invece, stabilisce che «il comma 2 puo' essere
attuato anche secondo la disciplina vigente per gli accordi di
programma di cui agli articoli 181 e 206 e nel rispetto degli
orientamenti comunitari in materia».
La previsione di accordi di programma in materia di procedure
semplificate per lo smaltimento e il recupero del rifiuti nei termini
di cui all'art. 181 si pone in contrasto con la normativa comunitaria
in materia di rifiuti nonche' con la legge delega e quindi,
conseguentemente, contrasta con gli artt. 11, 76, 117 e 118 della
Costituzione.
Detti accordi di programma consentono, infatti, come gia'
rilevato al precedente punto D.1), di derogare al sistema normativo
previgente (in parte trasfuso nello stesso testo unico) in materia di
rifiuti, istituendo una contrattazione diretta tra privati e
Amministrazione statale idonea ad escludere dal regime dei rifiuti e
dalle relative procedure di autorizzazione e di controllo tutta una
serie di materiali o sostanze che nella legislazione vigente e nel
diritto comunitario invece vi sono assoggettati.
Questa deregolamentazione o privatizzazione della disciplina
dello smaltimento e del recupero dei rifiuti, avendo come naturale
conseguenza la sottrazione dal regime di rifiuti di molte sostanze e
materie sulla base di una mera contrattazione, si pone in evidente
contrasto con la direttiva comunitaria n. 75/442/CEE, cosi' come
modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE, laddove prevede all'art. 11
che il generale obbligo dell'autorizzazione per lo svolgimento di
attivita' di recupero dei rifiuti (art. 10) possa essere derogato
solo «qualora le autorita' competenti abbiano adottato per ciascun
tipo di attivita' norme generali che fissano i tipi e le quantita' di
rifiuti e le condizioni alle quali l'attivita' puo' essere dispensata
dall'autorizzazione».
Violazione di tutta evidenze se solo si considera che - al pari
di quanto previsto dall'art. 181, comma 9 - le norme generali che
fissano i tipi e le quantita' di rifiuti e le condizioni alle quali
l'attivita' puo' essere dispensata dall'autorizzazione dovranno
essere fissate necessariamente dai predetti accordi di programma anzi
che dall'autorita' competente come richiesto a livello comunitario.
Per le ragioni sopra esposte, l'art. 214, comma 3, si pone in
contrasto con i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1,
comma 8, della legge delega n. 308/2004 e, in particolare, con i
citati principi e criteri di cui alle lettere e) ed f).
Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione.
Violazioni che si ripercuotono sulle competenze costituzionali
della regione in materia di tutela dell'ambiente, tutela della salute
e governo del territorio, dal momento che una congerie di categorie
di rifiuti verranno, con detti accordi di programma, dispensati
dall'assoggettamento dei poteri di autorizzazione, controllo e
pianificazione riconosciuti in capo alle regioni dal combinato
disposto della normativa comunitaria e della legislazione nazionale
previgente, con evidenti pregiudizi per la sicurezza dell'intera
collettivita'. In particolare, e' di tutta evidenza, la lesione delle
funzioni pianificatorie delle regioni laddove tali accordi di
programma prevedano l'individuazione dei luoghi ove effettuare il
recupero dei rifiuti, andando cosi' a vincolare la destinazione
urbanistica di tali siti destinati al recupero senza alcun intervento
da parte delle regioni interessate.
Stante tale incidenza con le competenze regionali in materia di
tutela della salute e governo del territorio, il decreto ministeriale
di cui al secondo comma dell'art. 214 dovrebbe essere adottato previa
intesa con le regioni, intesa invece non prevista con conseguente
sussistenza delle denunciate illegittimita', per violazione degli
artt. 117 e 118 Cost.
D.13) Illegittimita' costituzionale dell'art. 215, commi 1, 3 e
4, e art. 216, commi 1, 3 e 4, per violazione degli artt. 117 e 118
Cost.
Gli articoli 215 e 216 disciplinano le procedure semplificate con
particolare riferimento alle attivita' di autosmaltimento e alle
operazioni di recupero, attribuendo alla Sezione regionale dell'Albo
nazionale dei gestori ambientali di cui all'art. 212 le funzioni che
la precedente legislazione attribuiva alle province (cfr., artt. 32 e
33 del d.lgs. n. 22/1997).
I commi 1 e 3 di entrambi gli articoli 215 e 216 prevedono,
infatti, che la regione regionale dell'Albo e' competente a ricevere
la comunicazione di inizio delle attivita' ed iscriverle in apposito
registro all'uopo tenuto dallo stesso Albo, nonche' a verificare la
sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti.
La scelta di sottrarre dalla competenza provinciale la tenuta e
il controllo delle comunicazioni di inizio delle attivita' di
smaltimento e recupero nelle procedure semplificate e' del tutto
irrazionale ed illogica e non certo ispirata alla semplificazione,
tant'e' che i commi 4 degli artt. 215 e 216 prevedono che «qualora la
sezione regionale dell'Albo accerti il mancato rispetto delle norme
tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, la medesima sezione
propone alla provincia di disporre con provvedimento motivato il
divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell'attivita». Non si
semplifica attribuendo il potere di controllo a un soggetto e il
potere sanzionatorio ad un altro soggetto.
Come gia' rilevato, il suddetto albo esercitera' i propri poteri,
da un lato, alla luce del decreto di cui all'art. 214, comma 2, con
cui il Ministero adottera' per ciascun tipo di attivita' le norme,
che fissano i tipi e le quantita' di rifiuti, e le condizioni in base
alle quali le attivita' di smaltimento di rifiuti non pericolosi
effettuate dai produttori nei luoghi di produzione degli stessi e le
attivita' di recupero di cui all'Allegato C alla parte quarta del
presente decreto sono sottoposte alle procedure semplificate di cui
agli articoli 215 e 216; e, dall'altro, sulla base degli accordi di
programma di cui agli articoli 181 e 206.
In sostanza, pertanto, sono previsti:
una deregolamentazione o privatizzazione della disciplina del
recupero dei rifiuti attraverso gli accordi di programma, che
consentono una contrattazione diretta tra privati e Amministrazione
statale idonea ad escludere dal regime dei rifiuti e dalle relative
procedure di autorizzazione e di controllo tutta una serie di
materiali o sostanze che nella legislazione vigente e nel diritto
comunitario invece vi sono assoggettati;
il conferimento del controllo circa il rispetto delle norme
generali contenute negli accordi di programma (che fissano i tipi e
le quantita' di rifiuti e le condizioni alle quali l'attivita' puo'
essere dispensata dall'autorizzazione) ad un organo (l'Albo) posto al
di fuori della pubblica amministrazione in luogo delle originarie
province, prevedendo per giunta una diminuzione del peso regionale in
seno agli organi direttivi a livello regionale e nazionale di detto
Albo.
Tutto cio' si ripercuote sulle competenze costituzionali della
regione in materia di tutela della salute e del governo del
territorio, dal momento che, da un lato, molti rifiuti verranno, con
detti accordi di programma, dispensati dall'assoggettamento dei
poteri di autorizzazione, controllo e pianificazione
dell'Amministrazione regionale; e, dall'altro, tale dispensa sara'
autorizzata da un soggetto (l'Albo) in relazione al quale la regione
non ha alcun potere di indirizzo e controllo, avendo avuto diminuita
la presenza dei propri rappresentanti in seno agli organi direttivi
dell'Albo stesso.
Con le norme che qui si impugnano, pertanto, il legislatore
nazionale ha esautorato la regione delle importanti funzioni in
materia di tutela della salute e sicurezza nonche' del governo del
territorio, non potendo piu' esercitare il proprio potere di
indirizzo e controllo in dette materie di competenza legislativa
concorrente.
D.14) Illegittimita' costituzionale dell'art. 238, commi 3, 6, 7,
8, 9 e 10, per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost.
L'art. 238 disciplina la tariffa per la gestione dei rifiuti
urbani.
Il comma 3 dispone che «la tariffa e' determinata, entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 6, dalle
Autorita' d'ambito ed e' applicata e riscossa dai soggetti affidatari
del servizio di gestione integrata sulla base dei criteri fissati dal
regolamento di cui al comma 6».
I commi da 6 a 10 disciplinano le competenze attuative,
disponendo che:
«6. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio,
di concerto con il Ministro delle attivita' produttive, sentiti la
Conferenza Stato-regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, le rappresentanze qualificare degli interessi economici e
sociali presenti nel Consiglio economico e sociale per le politiche
ambientali (CESPA) e i soggetti interessati, disciplina, con apposito
regolamento da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in
vigore della parte quarta del presente decreto e nel rispetto delle
disposizioni di cui al presente articolo, i criteri generali sulla
base del quali vengono definite le componenti dei costi e viene
determinata la tariffa, anche con riferimento alle agevolazioni di
cui al comma 7, garantendo comunque l'assenza di oneri per le
autorita' interessate.
7. Nella determinazione della tariffa possono essere previste
agevolazioni per le utenze domestiche e per quelle adibite ad uso
stagionale o non continuativo, debitamente documentato ed accertato,
che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di
utenza e territoriali. In questo caso, nel piano finanziario devono
essere indicate le risorse necessarie per garantire l'integrale
copertura dei minori introiti derivanti dalle agevolazioni, secondo i
criteri fissati dal regolamento di cui al comma 6.
8. Il regolamento di cui al comma 6 tiene conto anche degli
obiettivi di miglioramento della produttivita' e della qualita' del
servizio fornito e del tasso di inflazione programmato.
9. L'eventuale modulazione della tariffa tiene conto degli
investimenti effettuati dai comuni o dai gestori che risultino utili
ai fini dell'organizzazione del servizio.
10. Alla tariffa e' applicato un coefficiente di riduzione
proporzionale alle quantita' di rifiuti assimilati che il produttore
dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata
dal soggetto che effettua l'attivita' di recupero dei rifiuti
stessi».
Il predetto quadro normativo e' illegittimo per violazione degli
artt. 117, 118, 119 della Costituzione.
In merito, si richiamano le argomentazioni gia' sopra richiamate
in relazione alla tariffa dei servizi idrici (art. 154), rilevando
che i diversi poteri normativi riconosciuti al Ministero
dall'art. 238 vanno illegittimamente a ingerire sulla competenza
legislativa propria delle regioni in materia di servizi pubblici
locali (C. cost. sent. n. 272/2004 e n. 29/2006), nonche'
sull'autonomia finanziaria regionale, perche' incidenti su un'entrata
la cui disciplina ricade nella competenza regionale.
In subordine, allorquando si ritenesse nelle prerogative statali
la disciplina della tariffa per la gestione dei rifiuti, le impugnate
norme si pongono in contrasto con gli articoli 117 e 118, in quanto
non e' stata prevista l'intesa con la regione, necessaria invece
allorquando il legislatore nazionale interviene in una materia (nel
caso di specie, i rifiuti) ove gli interessi ambientali si
sovrappongono con quelli di tutela del territorio e della tutela
della salute (cfr. sent. n. 407/2002).
D.15) Illegittimita' costituzionale dell'art. 240, comma 1,
lettera b) e dell'art, 242, commi 2, 3, 4, 5 per violazione degli
artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
Il Titolo V della Parte quarta del testo unico sull'ambiente
disciplina la bonifica di siti inquinati.
L'art. 240 dette le definizioni necessarie per l'applicazione dei
Titolo V, tra le quali, al comma 1, lettera b), quella di
«concentrazioni soglia di contaminazione (CSC): i livelli di
contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al
di sopra dei quali e' necessaria la caratterizzazione del sito e
l'analisi di rischio sito specifica, come individuati nell'Allegato 5
alla parte quarta del presente decreto. Nel caso in cui il sito
potenzialmente contaminato sia ubicato in un'area interessata da
fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento
di una o piu' concentrazioni soglia di contaminazione, queste ultime
si assumono pari al valore di fondo esistente per tutti i parametri
superati».
L'art. 242 disciplina, invece, le procedure operative ed
amministrative per procedere alla bonifica dei siti inquinati,
disponendo che «al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in
grado di contaminare il sito, il responsabile dell'inquinamento mette
in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e
ne da' immediata comunicazione ai sensi e con le modalita' di cui
all'art. 304, comma 2» [comma 1].
Dopo di che, ai sensi del comma 2, «il responsabile
dell'inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione,
svolge, nelle zone interessate dalla contaminazione, un'indagine
preliminare sui parametri oggetto dell'inquinamento e, ove accerti
che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC)
non sia stato superato, provvede al ripristino della zona
contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al
comune ed alla provincia competenti per territorio entro quarantotto
ore dalla comunicazione. L'autocertificazione conclude il
procedimento di notifica di cui al presente articolo, ferme restando
le attivita' di verifica e di controllo da parte dell'autorita'
competente da effettuarsi nei successivi quindici giorni».
Il successivo terzo comma trasferisce la competenza
autorizzatoria delle bonifiche dalla regione al comune, in
difformita' a quanto previsto dall'art. 17 del d.lgs. n. 22/1997. Ed
infatti si legge che «qualora l'indagine preliminare di cui al comma
2 accerti l'avvenuto superamento delle CSC anche per un solo
parametro, il responsabile dell'inquinamento ne da' immediata notizia
al comune ed alle province competenti per territorio con la
descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di
emergenza adottate, Nei successivi trenta giorni, presenta alle
predette amministrazioni, nonche' alla regione territorialmente
competente il piano di caratterizzazione con i requisiti di cui
all'Allegato 2 alla parte quarta del presente decreto. Entro i trenta
giorni successivi la regione, convocata la conferenza di servizi,
autorizza il piano di caratterizzazione con eventuali prescrizioni
integrative. L'autorizzazione regionale costituisce assenso per tutte
le opere connesse alla caratterizzazione, sostituendosi ad ogni altra
autorizzazione, concessione, concerto, intesa, nulla osta da parte
della pubblica amministrazione».
Il successivo quarto comma dispone che «sulla base delle
risultanze della caratterizzazione, al sito e' applicata la procedura
di analisi del rischio sito specifica per la determinazione delle
concentrazioni soglia di rischio (CSR)». I criteri per l'applicazione
della procedura di analisi di rischio sono riportati nell'Allegato 1
alla parte quarta dei presente decreto. Entro sei mesi
dall'approvazione del piano di caratterizzazione, il soggetto
responsabile presenta alla regione i risultati dell'analisi di
rischio che saranno approvati da apposita conferenza di servizi
convocata dalla regione.
Qualora gli esiti della procedura dell'analisi di rischio
dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito
e' inferiore alle concentrazioni soglia di rischio, la conferenza dei
servizi, con l'approvazione del documento dell'analisi del rischio,
dichiara - ai sensi del quinto comma - concluso positivamente il
procedimento, potendo prescrivere lo svolgimento di un programma di
monitoraggio sul sito circa la stabilizzazione della situazione
riscontrata in relazione agli esiti dell'analisi di rischio e
all'attuale destinazione d'uso del sito.
Tale complesso sistema normativo delle bonifiche si pone in
contrasto con la normativa comunitaria in materia di rifiuti nonche'
con la legge delega e quindi, conseguentemente, contrasta con gli
artt. 11, 76, 117 e 118 della Costituzione, atteso che l'individuata
procedura operativa ed amministrativa per la bonifica dei siti
inquinati ha come naturale conseguenza un pregiudizio derivante da un
minor rigore nella tutela ambientale e una compressione delle
attribuzioni regionali in materia di tutela della salute nonche' del
governo del territorio.
In particolare, si contesta l'art. 242, in epigrafe indicato,
nella parte in cui collega l'obbligo di bonifica per il soggetto
inquinatore, agli esiti della procedura di analisi del rischio -
svolta peraltro dallo stesso soggetto che ha inquinato - cosi' come
descritta dall'Allegato 1 alla parte quarta del decreto. In base a
tale Allegato 1, infatti, l'analisi del rischio sito specifica,
finalizzata alla determinazione delle concentrazioni soglia di
rischio, e' ancorata a parametri del tutto incerti e non oggettivi:
da cio' deriva che l'inquinatore potra' effettuare un'analisi del
rischio piu' favorevole ai propri interessi, evitando la successiva
fase di bonifica.
In altri termini, l'art. 242, demanda al responsabile
dell'inquinamento - previo svolgimento, nelle zone interessate dalla
contaminazione, di un'indagine preliminare sui parametri oggetto
dell'inquinamento - la valutazione del superamento o meno delle
concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) e, quindi,
conseguentemente, la valutazione se provvedere al ripristino della
zona contaminata (dandone notizia, con apposita autocertificazione,
al comune ed alla provincia competenti per territorio) oppure di dare
immediata notizia al comune ed alle province competenti per
territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa
in sicurezza di emergenza adottate.
Appare evidente che una tale disposizione si pone in aperto
contrasto con la normativa comunitaria a tutela dei suoli
dall'inquinamento, dal momento che a fronte dell'inquinamento di un
sito si demanda alla discrezionalita' dell'inquinatore la scelta
della procedura piu' appropriata nel caso di specie.
L'Ente pubblico competente, se in disaccordo con l'analisi
prodotta dal soggetto, potra' non approvare lo studio, ma a quel
punto dovra' decidere:
se procedere d'ufficio alla bonifica del sito, con ben poche
probabilita' di recuperare le spese sostenute, anche in via
giudiziaria (data l'incertezza dei parametri di riferimento; peraltro
con prevedibile aumento del contenzioso tra Ente pubblico ed
imprese), e cio' comportera' gravi ripercussioni sull'erario;
ovvero, non procedere alla bonifica, con gravi ripercussioni
sul territorio e sulla tutela della salute dei cittadini.
Le disposizioni qui impugnate pertanto si pongono in contrasto
con gli artt. 117 e 118 della Costituzione. Risulta inoltre
compromesso il principio comunitario «chi inquina paga»;
conseguentemente, la norma contrasta con i principi e criteri
direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, della legge delega
n. 308/2004 e, in particolare, con i principi e criteri di cui alle
lettere e) ed f), secondo i quali il nuovo testo unico doveva dare,
da un lato, «piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie,
al fine di garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e di
contribuire In tale modo alla competitivita' dei sistemi territoriali
e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza»;
e, dall'altro, «affermazione dei principi comunitari di prevenzione,
di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei
danni ambientali e del principio "chi inquina paga"».
D'altra parte le norme qui impugnate si pongono in contrasto
anche con i principi e criteri direttivi di cui alle lettere b) e h)
dell'art. 1, comma 8, della legge delega n. 308/2004, secondo i quali
avrebbe dovuto essere perseguito il «conseguimento di maggiore
efficienza e tempestivita' dei controlli ambientali, nonche' certezza
delle sanzioni in caso di violazione delle disposizioni a tutela
dell'ambiente» e la «previsione di misure che assicurino l'efficacia
dei controlli e dei monitoraggi ambientali, incentivando in
particolare i programmi di controllo sui singoli impianti produttivi,
anche attraverso il potenziamento e il miglioramento dell'efficienza
delle autorita' competenti». Obiettivi che, come si e' visto non sono
stati perseguiti, anzi sono stati palesemente pregiudicati.
Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione, che
si ripercuote sulle competenze costituzionali della regione in
materia di governo del territorio e tutela della salute.
Considerazioni analoghe valgono con riferimento all'art. 240,
comma 1, lettera b), nella parte in cui prevede che, nelle ipotesi in
cui un sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un'area
interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato
il superamento di una o piu' concentrazioni soglia di contaminazione,
per tale specifico sito tali «valori soglia» coincidono con il valore
di fondo esistente nel Sito, con riferimento a tutti i parametri
superati.
Cio' determina gravi incertezze sulle modalita' di rilevamento
dei valori di fondo e, conseguentemente, sui valori di riferimento,
con evidenti gravi ripercussioni sulla tutela della salute e sul
governo del territorio.
D.16) Illegittimita' costituzionale dell'art. 242, comma 7, per
violazione degli artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
Nell'ambito della disciplina delle procedure operative ed
amministrative per procedere alla bonifica dei siti inquinati,
l'art. 242, comma 7, prevede, in merito alle garanzie finanziarie che
devono essere prestate a favore della regione per la realizzazione e
l'esercizio degli impianti previsti dal progetto di bonifica
medesimo, che «con il provvedimento ... e' fissata l'entita' delle
garanzie finanziarie, in misura non superiore al cinquanta per cento
del costo stimato dell'intervento, che devono essere prestate in
favore della regione per la corretta esecuzione ed il completamento
degli interventi medesimi».
La disposizione, dunque, limita il quantum della garanzia
finanziaria «in misura non superiore al cinquanta per cento del costo
stimato dell'intervento»: essa, oltre ad essere norma di dettaglio
incompatibile con le competenze regionali in materia di tutela della
salute, del governo del territorio e dei servizi pubblici, si pone in
contrasto con i principi comunitari di tutela ambientale e in
particolare con il principio «chi inquina paga», dal momento che
consente a chi ha procurato un inquinamento di non offrire la
garanzia finanziaria integrale per la bonifica dei sito.
Dalla violazione delle direttive comunitarie segue il contrasto
con i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8,
della legge delega n. 308/2004 e, in particolare, con i gia'
richiamati principi e criteri di cui alle lettere e) ed f).
Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione.
Peraltro, la previsione di un tetto massimo per le garanzie
finanziarie si pone in contrasto anche con i principi direttivi di
cui alle lettere c), f) ed i) del comma 8 dell'art. 1 della legge
n. 308/2004, secondo i quali il testo unico avrebbe dovuto
conformarsi a:
«c) invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica;
(...)
f) affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di
precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni
ambientali e del principio "chi inquina paga";
(...)
i) garanzia di una piu' efficace tutela in materia ambientale
anche mediante il coordinamento e l'integrazione della disciplina del
sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restando i
limiti di pena e l'entita' delle sanzioni amministrative gia'
stabiliti dalla legge».
Palese appare la violazione del principio «chi inquina paga», ma
altrettanto evidenti sono le violazioni degli altri due principi.
Infatti, una minore garanzia finanziaria per le procedure di bonifica
importera' necessariamente un aggravio degli oneri a carico della
finanza pubblica, attesa la difficolta', manifestatasi negli anni di
esperienza in materia, di recuperare le spese di bonifica quando non
sono debitamente garantite con fideiussioni. D'altra parte, una
riduzione delle garanzie importa anche una riduzione della tutela in
materia ambientale con particolare riferimento alla disciplina del
sistema sanzionatorio.
D.17) Illegittimita' costituzionale dell'art. 252, commi 3 e 4,
per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
L'art. 252 disciplina i c.d. siti di interesse nazionale ai fini
della bonifica, prevedendo che mentre alla loro individuazione «si
provvede con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio, d'intesa con le regioni interessate, secondo i seguenti
principi e criteri direttivi [...]»; ai fini della perimetrazione del
sito (terzo comma) e' sufficiente sentire «i comuni, le province, le
regioni e gli altri enti locali, assicurando la partecipazione dei
responsabili nonche' dei proprietari delle aree da bonificare, se
diversi dai soggetti responsabili».
Il quarto comma prevede che «la procedura di bonifica di cui
all'art. 242 dei siti di interesse nazionale e' attribuita alla
competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio,
sentito il Ministero delle attivita' produttive», senza alcuna
previsione di una intesa con le regioni (come era stabilito
all'art. 17, comma 14, d.lgs. n. 22/1991).
La mancata previsione dell'intesa con la regione ai fini della
perimetrazione e dell'approvazione di bonifica dei progetti dei siti
di interesse nazionale si pone in contrasto con gli artt. 117 e 118
della Costituzione, atteso che tale funzione si ripercuote sulle
competenze costituzionali della regione in materia di tutela della
salute ed anche in materia di governo del territorio; basti pensare
che tali attivita' vincolano la destinazione urbanistica dei siti di
interesse nazionale da bonificare, senza alcun intervento da parte
delle regioni interessate.
P. Q. M.
Si conclude affinche' l'ecc.ma Corte costituzionale voglia
dichiarare costituzionalmente illegittime le disposizioni qui
impugnate del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia
ambientale», per le ragioni e sotto i profili illustrati nel presente
ricorso.
Si deposita la delibera della giunta regionale n. 379 del 29
maggio 2006.
Firenze-Roma, addi' 9 giugno 2006
Avv. Lucia Bora - Avv. Fabio Lorenzoni
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