Ricorso n. 69 del 15 luglio 2004 (Provincia autonoma di Trento)
N. 69 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 15 luglio 2004.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 15 luglio 2004 (della Provincia autonoma di Trento)
(GU n. 36 del 15-9-2004)
Ricorso della Provincia autonoma di Trento, in persona del
presidente della giunta provinciale pro tempore Lorenzo Dellai,
autorizzato con deliberazione della giunta provinciale 2 luglio 2004,
n. 1522, rappresentata e difesa, come da procura 6 luglio 2004,
n. rep. 26106, rogata dal dott. Tommaso Sussarellu, ufficiale rogante
della provincia, dagli avvocati prof. Giandomenico Falcon e Luigi
Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio
dell'avv. Manzi, via Confalonieri n. 5;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.lgs. 23 aprile
2004, n. 124, razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia
di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell'articolo 8 della
legge 14 febbraio 2003, n. 30, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
n. 110 del 12 maggio 2004, con riferimento alle seguenti
disposizioni:
art.1, comma 1, primo periodo; art. 2; art. 3, commi da 1 a
4; art. 4; art. 5, commi da 1 a 3; art. 6, comma 1; art. 7; art. 8;
art. 9; art. 10, commi 1, 3 e 4; art. 11; art. 12; art. 13; art. 14,
comma 2; art. 15, comma 1; art. 16, commi 1 e 2; art. 17, commi 1 e
2; art. 18, per violazione: dell'art. 10, legge della Costituzione
n. 3 del 2001 e, in connessione con esso, degli artt. 117 e 118
Cost.; dell'art. 76 Cost.; del principio di leale collaborazione,
dell'art. 2, d.lgs. n. 281/1997 e della sent. n. 303/2003 della Corte
costituzionale; dell'art. 8, nn. 23 e 29, dell'art. 9, nn. 4 e 5,
dell'art. 10 e dell'art. 16, d.P.R. n. 670/1972 e delle relative
norme di attuazione, fra le quali, in particolare l'art. 3, comma 1,
del d.P.R. n. 197/1990, in combinazione con l'art. 3, comma 1, nn. 11
e 12 del d.lgs. n. 474/1975, gli articoli 2 e 4 del d.lgs.
n. 266/1992, nei modi e per i profili di seguito illustrati.
F a t t o
Ai sensi dello Statuto speciale di cui al d.P.R. 31 agosto 1972,
n. 670, la Provincia autonoma di Trento, e' dotata di potesta'
legislativa primaria in materia di costituzione e funzionamento di
commissioni comunali e provinciali per l'assistenza o l'orientamento
al lavoro (art. 8, n. 23) e di formazione professionale (art. 8,
n. 29), e di potesta' legislativa concorrente in materia di
apprendistato, libretti di lavoro categorie e qualifiche dei
lavoratori (art. 9, n. 4) e di costituzione e funzionamento di
commissioni comunali e provinciali di controllo sul collocamento
(art. 9, n. 5); inoltre, la Provincia autonoma di Trento e' dotata di
potesta' legislativa integrativa nella materia del collocamento e
avviato al lavoro (art. 10, comma 1). Nelle medesime materia la
provincia e' titolare delle funzioni amministrative, ex artt. 10 e 16
dello statuto.
Le disposizioni statutarie sono state attuate mediante apposite
norme d'attuazione. In particolare con il d.P.R. 26 gennaio 1980,
n. 197, al fine di realizzare un organico sistema di ispezione del
lavoro nelle province di Trento e di Bolzano (art. 3, comma 1, d.P.R.
n. 197/1980), e' stato delegato alle Province l'esercizio delle
funzioni amministrative dello Stato decentrate a livello locale
relative alla vigilanza e tutela del lavoro, che gia' non spettassero
alle Province a titolo proprio (art. 3, comma 1, in combinazione con
l'art. 3, commi 1, n. 12 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474), nonche'
l'esercizio delle funzioni svolto dall'Ispettorato del lavoro in
materia di vigilanza sull'applicazione dello norme relative alla
previdenza ed alle assicurazioni sociali (art. 3, comma 1, in
collegamento con l'art. 3, comma 1, n. 11 del d.P.R. n. 474/1975).
Conseguentemente, l'art. 4 del d.P.R. n. 197/1980 ha trasferito
alle Province di Trento e di Bolzano gli Ispettorati provinciali del
lavoro aventi sede nei rispettivi territori, e soppresso l'Ipettorato
regionale del lavoro.
E' inoltre da ricordare che nella storia del lavoro, in base
all'art. 9-bis del d.P.R. n. 280/1974 (introdotto dall'art. 1, d.lgs.
n. 430/1995) e sempre «al fine di realizzare ... un organico sistema
di servizi per l'impiego», e' stato delegato alle province autonome
di Trento o Bolzano «l'esercizio delle funzioni amministrative
attribuite all'ufficio regionale e agli Uffici provinciali del lavoro
e della massima occupazione di Trento e Bolzano nonche' alle sezioni
circoscrizionali per l'impiego ricadenti nei rispettivi territori»
(comma 1); conseguentemente, sono stati trasferiti alle Province
autonome «gli Uffici provinciali del lavoro e della massima
occupazione nonche' le sezioni circoscrizionali per l'impiego aventi
sedi nei rispettivi territori», ed e' stato «soppresso l'Ufficio
regionale del lavoro e della massima occupazione» (comma 2). Alle
Province e' stato demandato il compito di disciplinare «con legge
l'organizzazione delle funzioni delegate» (comma 3, enfasi aggiunta).
Dunque, gia' prima del 2001 le Province avevano una vasta serie
di competenze amministrative nella materia della tutela del lavoro,
conferite con delega (che, peraltro, aveva chiaro e riconosciuto
carattere organico). Coerentemente con il titolo della attribuzione,
invece, il potere legislativo aveva carattere limitato.
Tuttavia, la situazione della competenza costituzionale e' stata
innovata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, la quale ha
conferito alle regioni ordinarie potesta' legislativa concorrente in
materia di «tutela e sicurezza del lavoro». Per tale profilo la legge
costituzionale e' applicabile alla Provincia autonoma di Trento, in
virtu' dell'art. 10, legge costituzionale n. 3/2001, in quanto
stabilisce un grado maggiore di autonomia. Per la stessa ragione,
risultano applicabili alla provincia anche i commi 1 e 2 dell'art.
118 Cost., che attribuiscono all'ente titolare della potesta'
legislativa il compito di allocare le funzioni amministrative e
consentono che lo Stato sia titolare solo delle funzioni
amministrative che richiedono un esercizio unitario.
Dunque, le funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e
di lavoro, gia' conferite alla provincia a titolo di delega,
risultano oggi fondate su una competenza propria della provincia,
derivante dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in
connessione con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
Il decreto legislativo n. 124 del 2004, qui impugnato nelle
disposizioni sopra indicate, e' stato emanato in attuazione della
legge n. 30 del 2003, ed in particolare dall'art. 8 di essa, recante
«Delega al Governo per la razionalizzazione delle funzioni ispettive
in materia di previdenza sociale e di lavoro».
Questa disposizione delegava il Governo «ad adottare, nel
rispetto delle competenze affidate alle regioni, su proposta del
Ministro del lavoro e delle politiche sociali ed entro il termine di
un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o
piu' decreti legislativi per il riassetto della disciplina vigente
sulle ispezioni in materia di previdenza sociale e di lavoro, nonche'
per la definizione di un quadro regolatorio finalizzato alla
prevenzione delle controversie individuali di lavoro in sede
conciliativa, ispirato a criteri di equita' ed efficenza» (comma 1).
I principi direttivi fissati dal Governo erano i seguenti: «a)
improntare il sistema delle ispezioni alla prevenzione e promozione
dell'osservanza della disciplina degli obblighi previdenziali, del
rapporto di lavoro, del trattamento economico e normativo minimo e
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale, anche valorizzando l'attivita' di consulenza degli
ispettori nei confronti dei destinatari della citata disciplina; b)
definizione di un raccordo efficace fra la funzione di ispezione del
lavoro e quella di conciliazione delle controversie individuali; c)
definizione dell'istituto della prescrizione e diffida propri della
direzione provinciale del lavoro; d) semplificazione dei procedimenti
sanzionatori amministrativi e possibilita' di ricorrere alla
direzione regionale del lavoro; e) semplificazione della procedura
per la soddisfazione dei crediti di lavoro correlata alla promozione
di soluzioni conciliative in sede pubblica; f) riorganizzazione
dell'attivita' ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche
sociali in materia di previdenza sociale e di lavoro con
l'istituzione di una direzione regionale con compiti di direzione e
coordinamento delle strutture periferiche del Ministero ai fini
dell'esercizio unitario della predetta funzione ispettiva, tenendo
altresi' conto della specifica funzione di polizia giudiziaria
dell'ispettore del lavoro; g) riorganizzazione degli interventi
ispettivi di tutti gli organi di vigilanza, compresi quelli degli
istituti previdenziali, con attribuzione della direzione e del
coordinamento operativo alle direzioni regionali e provinciali del
lavoro sulla base delle direttive adottate dalla direzione generale
di cui alla lettera f)».
La legge n. 30/2003 si occupava della vigilanza, in realta',
anche nell'art. 1, comma 2, lett. d), fissando, fra i criteri
direttivi relativi al mercato del lavoro, quello del «mantenimento da
parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla
vigilanza in materia di lavoro ...».
Come si vede, la norma delegante dell'art. 8, nonostante un
formale richiamo al «rispetto delle competenze affidate alle
regioni», ignorava completamente il ruolo che la Costituzione assegna
alle regioni nella materia della tutela del lavoro, nella quale
certamente rientra la vigilanza sul lavoro, come attestato
espressamente dallo stesso art. 8, legge n. 30/2003, che pone come
obiettivo della delega lo «scopo di definire un sistema organico e
coerente di tutela del lavoro con interventi omogenei». Per questi
motivi l'art. 8, come altre disposizioni della legge n. 30/2003, e'
stato impugnato (insieme all'art. 1, comma 2, lett. d) da questa
provincia con ricorso n. 44/2003, che sara' discusso avanti a codesta
ecc.ma Corte il 12 ottobre 2004.
E' da sottolineare che la vigilanza sul lavoro rientra nella
materia «tutela del lavoro» non tanto in quanto strumentale ad una
materia di base regionale, quanto piuttosto per il proprio contenuto
intrinseco e per le caratteristiche della materia «tutela del
lavoro». Resta senz'altro vero (come e' da tempo pacifico nella
giurisprudenza costituzionale) che la disciplina e l'attivita'
sanzionatoria ha carattere strumentale rispetto alla materia di base
[da ultimo v. sent. n. 12/2004. «E' l'orientamento saldo nella
giurisprudenza di questa Corte che la competenza sanzionatoria
amministrativa non e' in grado di autonomizzarsi come materia in se',
ma accede alle materie sostanziali» (cfr. sentenze n. 361 del 2003;
n. 28 del 1996; n. 85 del 1996; n. 187 del 1996; n. 115 del 1995;
n. 60 del 1993)»]; e uguale carattere ha ovviamente la vigilanza
rispetto alla stessa attivita' sanzionatoria; e, in effetti, le
funzioni di vigilanza e la relativa disciplina e gestione sono state
sempre e pacificamente considerate parte integrante di ciascuna
materia regionale anche sotto il vigore del precedente Titolo V.
Dunque, la disciplina della vigilanza sul rispetto delle norme
amministrative di competenza regionale in materia di tutela del
lavoro spetta senz'altro alle regioni.
Ma il senso della materia «tutela del lavoro» e' in realta', ben
piu' ampiamente, quello di affidare alla regioni, nel rispetto dei
principi fondamentali statali, la disciplina e l'allocazione di tutte
le funzioni amministrative di vigilanza sul rispetto della normativa
volta a tutelare il lavoratore, di qualsiasi tipo essa sia,
amministrativa regionale, amministrativa statale (ad es.
previdenziale), civilistica o proveniente dalla contrattazione
collettiva.
Per propria essenza, la materia «tutela del lavoro» comprende
tutta l'attivita' pubblicistica funzionale alla difesa della
regolarita', stabilita' e sicurezza del lavoro, e dunque anche quelle
volta a garantire il rispetto delle norme civilistiche. In questo
caso bisogna, cioe', distinguere fra apparato sanzionatorio
civilistico (quali le sanzioni di nullita' o di invalidita), di
competenza statale, e apparato sanzionatorio di tipo amministrativo,
di competenza regionale (salva, naturalmente, la determinazione
statale dei principi fondamentali).
Il d.lgs. n. 124 del 2004 conferma i timori espressi dalla
provincia con il ricorso n. 44/2003, ridisciplinando la materia della
vigilanza in materia di lavoro e previdenza sociale senza alcun
riconoscimento della competenza legislativa regionale (e provinciale)
risultante dall'art. 117, comma 3, e dell'art. 118, comma 2, e - in
relazione alle regioni ordinarie - senza alcuna considerazione del
principio di sussidiarieta' di cui all'art. 118, comma 1, Cost.
Esso non solo detta una normativa direttamente operativa e
dettagliata in materia concorrente, ma ancor prima alloca
direttamente le funzioni amministrative in materia di competenza
regionale (salva la determinazione dei principi fondamentali) e
individua in generale nello Stato l'ente competente all'esercizio
della vigilanza, senza che sussista alcuna esigenza unitaria, come
conferma chiaramente il fatto che gli organi statali titolari della
funzione sono poi, in definitiva, gli organi periferici: organi
statali che a termini di Costituzione neppure dovrebbe esistere.
E' vero che, con specifico riferimento alle competenze
provinciali, l'art. 1, comma 2, del decreto legislativo contiene una
clausola di salvaguardia, cosi' formulata: «Sono fatte salve le
competenze riconosciute alle regioni a statuto speciale ed alle
province autonome di Trento e di Bolzano dallo statuto e dalle
relative norme di attuazione». Tale clausola, pero', si riferisce
alle sole competenze derivanti dallo Statuto e dalle relative norme
d'attuazione, ovverosia, per quanto riguarda la Provincia autonoma di
Trento nella materia qui in questione, alla delega di competenze
prevista dalle norme d'attuazione (art. 3, comma 1 del d.P.R.
n. 197/1980 in combinazione con l'art. 3, comma 1, nn. 11 e 12, del
d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474), senza estendersi alle nuove competenze
in materia di tutela e sicurezza del lavoro, di cui all'art. 117,
terzo comma, della Costituzione.
Cio' non puo' certo stupire, dato che il d.lgs. n. 124 del 2004
non riconosce tali competenze neppure in relazione alle regioni
ordinarie: ma proprio il mancato riconoscimento della attinenza delle
funzioni di vigilanza alla tutela del lavoro e (per quanto riguarda
la provincia di Trento) la connessa riaffermazione del carattere solo
delegato delle sue attribuzioni risultano illegittimi e lesivi della
sfera costituzionale di competenza della Provincia autonoma di Trento
per le seguenti ragioni di
D i r i t t o
1. - Illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate
in quanto, mantenendo in relazione alle regioni ordinarie il
carattere statale della disciplina sulla vigilanza e del relativo
servizio, affermano il carattere meramente delegato delle competenze
della Provincia autonoma di Trento.
In relazione alla Provincia autonoma di Trento, l'effetto del
d.lgs. n. 124/2004 e' - tenuto conto della clausola di salvaguardia
di cui all'art. 1, comma 2 - quello di mantenere la situazione
attuale nella quale la provincia esercita le funzioni amministrative
di vigilanza sul lavoro per delega conferita dallo Stato.
Tale conservare la situazione attuale risulta tuttavia
costituzionalmente illegittimo. Infatti, anche se non sono stabiliti
termini precisi entro i quali il legislatore statale ordinario debba
dare attuazione alle modifiche costituzionali introdotte con la legge
costituzionale n. 3 del 2001, e' pacifico pero' che esso non puo'
legiferare in contraddizione con le nuove regole.
Il d.lgs. n. 124/2004, invece, contraddice chiaramente le nuove
regole, ed in particolare la spettanza alla regione della potesta'
legislativa in materia di tutela del lavoro, salvi soltanto i
principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale, in quanto
esso disciplina la funzione di vigilanza come funzione statale,
caratterizzata da un impianto accentrato, fondato sulla competenza di
organi statali centrali in funzione di regolazione, indirizzo e
coordinamento nonche' sulla competenza amministrativa ed operativa di
organi statali periferici. Inoltre, sul presupposto del carattere
statale della funzione e della competenza legislativa, il decreto
legislativo regola nel dettaglio lo svoglimento delle relative
funzioni.
L'illegittimita' cosi' sintetizzata nei suoi termini generali si
riferisce, in primo luogo, alle regioni a statuto ordinario,
direttamente lese dalla nuova disciplina statale. Tuttavia, poiche'
la Provincia autonoma di Trento si trova nella materia tutela del
lavoro ad avere la stessa competenza costituzionale delle regioni
ordinarie - ovvero potesta' legislativa concorrente in virtu'
dell'art. 117, comma 3, in connessione con l'art. 10 legge cost. n. 3
del 2001 - la lesione si riferisce allo stesso modo anche alla
provincia di Trento.
Infatti, il decreto legislativo n. 124 del 2004 disconosce e
contraddice il mutato carattere delle funzioni provinciali, funzioni
che spettano oggi alla provincia a titolo di competenza propria e non
delegata.
Il mantenimento del regime di delega viola, come vedremo in
relazione alle varie norme, gli artt. 117, comma 3, e 118, commi 1 e
2 Cost., e si traduce altresi' in un pregiudizio concreto nello
svolgimento delle funzioni amministrative provinciali, poiche' il
regime della delega implica non solo il carattere derivato e limitato
della potesta' legislativa in materia ma anche, sul piano della
gestione amministrativa, l'esistenza di peculiari poteri statali di
supremazia, assenti in relazione alle funzioni amministrative proprie
della provincia.
Di seguito si illustrera' come e in quale misura le singole
disposizioni del decreto legislativo illegittimamente ribadiscono la
titolarita' statale della materia sia sul piano legislativo che
amministrativo, producendo, in relazione alla ricorrente provincia,
la lesione ora descritta.
Le norme centrali del decreto, quelle che costituiscono
l'ossatura fondamentale della disciplina qui contestata, sono l'art.
1, comma 1, primo periodo e l'art. 6, comma 1. L'art. 1, comma 1,
primo periodo, stabilisce la competenza amministrativa del Ministero
in materia di vigilanza sul lavoro e l'art. 6 precisa che le concrete
funzioni di vigilanza sono svolte dagli organi periferici (direzioni
regionali e provinciali del lavoro; queste ultime, a dire il vero,
dovrebbero confluire negli uffici territoriali del Governo ex artt.
11 e 47, comma 2, d.lgs. n. 300/1999 e art. 1, comma 2, lett. e)
d.P.R. n. 287/2001).
L'art. 1, comma 1, contiene - come la norma delegante - un
richiamo alle competenze regionali che risulta del tutto formale,
dato che in nessun altro punto il decreto si preoccupa di tener conto
di quelle competenze, cosicche' si puo' tranquillamente dire che le
regioni sono totalmente ignorate dal d.lgs. n. 124/2004.
Le disposizioni appena citate sono quelle centrali perche' sono
quelle che confermano (in relazione alle regioni ordinarie) la
competenza amministrativa del Ministero del lavoro, mentre gli artt.
117, comma 3, e 118, comma 2, imponevano allo Stato di intervenire
nella materia della vigilanza sul lavoro solo con la determinazione
di principi fondamentali, lasciando alle regioni (e alla province
autonome) spazio per la disciplina di dettaglio e, soprattutto,
consentendo alle regioni (e alle province autonome) l'esercizio della
potesta' di allocazione delle funzioni amministrative ad esse
assegnata dall'art. 118, comma 2, intestandole a propri organi o al
giusto livello di amministrazione locale, secondo il principio si
sussidiarieta'.
E' infatti ormai pacifico, dopo le sentt. n. 303/2003 e
n. 6/2004, che nelle materie di competenza regionale concorrente o
residuale lo Stato puo' autoassegnarsi e regolare funzioni
amministrative solo in presenza di effettive esigenze di esercizio
unitario e nel rispetto dei principi di proporzionalita' e leale
collaborazione.
Tali esigenze di esercizio unitario implicano, logicamente, che
l'alterazione delle competenze legislative in nome del principio di
sussidiarieta' possa avvenire solo assegnando funzioni ad organi
statali centrali, perche' la competenza degli organi statali
periferici smentisce ipso facto l'esistenza di un'esigenza di
esercizio unitario.
Se una funzione amministrativa in una materia regionale puo'
essere svolta a livello periferico, spetta alle regioni (e alle
province autonome) individuare il livello di legislazione adeguato
(art. 118, comma 2); in generale, se una funzione amministrativa puo'
essere svolta a livello periferico, la competenza degli organi
statali e' esclusa dall'art. 118, comma 1, salvo casi eccezionali
(sull'illegittimita' di una norma statale attributiva di competenza
ad un organo statale periferico v. la sentenza n. 13 del 2004 di
codesta Corte costituzionale).
Dunque, queste norme violano gli artt. 117, comma 3, 118, commi 1
e 2, della Costituzione.
La fondatezza di questa conclusione risulta confermata dalla
considerazione che, nel caso di specie, sarebbe impossibile
rispettare lo schema delineato dalla sent. n. 303 del 2003, non
essendo pensabile che si raggiunga un'intesa fra Stato e regioni (o
provincia autonoma) in relazione alla minuta e frequente attivita' di
controllo. L'attrazione allo Stato di funzioni amministrative si
giustifica in casi particolari (nei quali, appunto, ha senso la
determinazione dell'atto), non certo per l'ordinaria attivita' di
vigilanza sul lavoro.
Per quanto riguarda la parte dell'art. 1, comma 1, che fa
riferimento alla «vigilanza in materia ... dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale», occorre rinviare
a quanto gia' detto in narrativa circa l'estensione della materia
«tutela del lavoro», che comprende tutta l'attivita' pubblicistica
funzionale alla difesa della regolarita', stabilita' e sicurezza del
lavoro, e dunque anche quella volta a garantire il rispetto delle
norme civilistiche.
Allo Stato spetta determinare i livelli essenziali e disciplinare
le eventuali sanzioni civili (come, ove ne fossero, quelle penali);
l'attivita' amministrativa di vigilanza e' invece oggetto di potesta'
concorrente.
Si consideri, inoltre, che la determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni non e' per se' una «materia», ma un
compito statale che pertiene di regola a materie regionali, come in
campo sanitario, o assistenziale, o scolastico. Ma la competenza
statale si limita a tale compito, mentre la materia rimane quella pur
«incisa» dalle determinazioni statali.
Ne risulta che non esiste una autonoma vigilanza in materia di
«determinazione dei livelli essenziali», ma una funzione di vigilanza
in materia di tutela del lavoro.
Dunque, si conferma la violazione dell'art. 117, comma 3, e
dell'art. 118, commi 1 e 2.
Per le medesime ragioni risultano illegittime le altre norme che
attribuiscono (e regolano) funzioni amministrative agli organi
statali periferici in materia di vigilanza sul lavoro, e cioe':
l'art. 5, commi 2 e 3, l'art. 7, l'art. 8, commi da 1 a 5, l'art. 10,
comma 2, l'art. 12, commi 1 e 2, primo periodo, 3, in parte qua
(cioe' la' dove prevede una funzione amministrativa del Direttore
della direzione provinciale del lavoro), e 4, l'art. 14, comma 2,
l'art. 15, comma 1, primo periodo, l'art. 16, commi 1 e 2, l'art. 17,
commi 1 e 2.
La Provincia di Trento e' ben consapevole che nel primo ambito le
funzioni di vigilanza continuerebbero a essere svolte dalla
provincia, a termini della delega disposta con le norme di
attuazione: ma il tenore delle norme sopra ricordate indica che anche
dopo la riforma costituzionale lo Stato intende conservare la
titolarita' della funzione ed i relativi poteri.
Quanto l'art. 5, commi 2 e 3, e' opportuno segnalare che esso
attribuisce funzioni amministrative ai CLES (Comitati per il lavoro e
l'emersione del sommerso, previsti dal d.l. n. 210/2002, convertito
in legge n. 266/2002), che sono organi locali statali, come
costringono a pensare non solo la provenienza della maggior parte dei
suoi elementi, ma anche la sua istituzione presso un organo statale
ed il potere di nomina affidato ad un organo statale (il prefetto; v.
il nuovo art. 1-bis della legge n. 383/2001): ed infatti il d.l.
n. 210/2002 e' stato impugnato da questa provincia con ricorso
n. 9/2003.
Quanto all'art. 8, comma 3, esso sembra attenere piu' alla
formazione che alla tutela del lavoro e, dunque, ricade in una
materia di potesta' provinciale piena, con conseguente applicabilita'
dell'art. 2 d.lgs. n. 266/1992, anche tenendo conto dell'art. 1,
comma 2, d.lgs. n. 124/2004; se diverso dovesse essere il senso della
norma, si lamenta la violazione - oltre che dell'art. 118 Cost. -
dell'art. 8, n. 29, dello Statuto (e in subordine, dell'art. 117,
comma 3, Cost.).
Quanto all'art. 8, comma 4, oltre ad attribuire funzioni
amministrative ad organi statali periferici nella materia tutela del
lavoro (alla quale e' funzionale la certificazione dei rapporti di
lavoro), prevede un potere ministeriale di direttiva, che non
potrebbe essere mantenuto in riferimento ad organi provinciali, non
essendo piu' ammessa la funzione di indirizzo e coordinamento (su
cio' v. supra), e in ogni caso non essendone neppure prima della
riforma ammesso l'esercizio con atto meramente ministeriale;
comunque, il comma 4 sarebbe lesivo perche' le direttive ministeriali
sono elaborate senza coinvolgimento regionale, in violazione del
principio di leale collaborazione.
2. - Specifici profili di illegittimita' delle rimanenti
disposizioni impugnate.
Gli artt. 2, 3, commi 1, 2, 3 e 4, seconda parte, 4, 5, comma 1,
e 10, comma 4, assegnano funzioni di coordinamento a strutture
statali di vario tipo. La legittimita' di queste norme risulta
collegata a quella degli artt. 1 e 6: se queste disposizioni sono,
come la ricorrente provincia ritiene, illegittime, anche le norme che
disciplinano il coordinamento delle funzioni oggetto degli artt. 1 e
6 risultano affette da illegittimita' «derivata». Gli artt. 2, 3,
commi 1, 2, 3 e 4, seconda parte, 3, 4, 5, comma 1, e 10, comma 4,
peraltro, non menzionando espressamente gli organi statali come
destinatari del coordinamento, potrebbero essere riferiti anche ad
organi regionali e provinciali dotati di competenza propria in
materia di vigilanza (qualora codesta Corte accogliesse le censure di
cui sopra): in questo caso, essi sarebbero illegittimi perche', nelle
materie di cui all'art. 117, commi 3 e 4, non e' piu' ammesso un
potere amministrativo statale di indirizzo e coordinamento (v. la
sent. n. 329/2003: «E' da escludere la permanenza in capo allo Stato
del potere di emanare atti di indirizzo e coordinamento in relazione
alla materia de qua [tutela della salute], anche alla luce di quanto
espressamente disposto dall'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno
2003, n. 131 ...»). In subordine, ove si ravvisassero esigenze di
coordinamento fondate sul principio di sussidiarieta', le norme sopra
citate sarebbero in ogni caso illegittime per violazione del
principio di leale collaborazione, perche' non si prevede l'intesa
della Conferenza Stato-regioni (negli artt. 2 e 3) o della singola
regione o provincia (negli artt. 4 e 5) per l'esercizio della
funzione di coordinamento.
Poiche' gli artt. 4 e 5 prevedono un coordinamento regionale e
provinciale, se esso riguarda organi non statali l'illegittimita' e'
ancora piu' evidente che nel caso degli artt. 2 e 3, perche' qui
manca addirittura il carattere unitario della funzione. Non si vede
perche' un coordinamento svolto a livello regionale deve essere
svolto da organi statali. Nelle materie provinciali spetta alla legge
provinciale sia allocare le funzioni di concreta vigilanza sia
allocare le funzioni di coordinamento.
Dunque, risultano violati gli artt. 117, comma 3, e 118, commi 1
e 2, Cost.
Quanto all'art. 3, comma 4, prima parte, esso risulta illegittimo
perche' non prevede l'intesa con la Conferenza Stato-regioni, in
violazione del principio di leale collaborazione e della sent.
n. 303/2003.
Infine, si segnala un particolare profilo di illegittimita'
dell'art. 3, comma 2, e dell'art. 4, comma 2. Essi, infatti,
prevedono fra i membri della commissione centrale e delle commissioni
regionali di coordinamento, rispettivamente, il coordinatore
nazionale ed il coordinatore regionale nelle aziende sanitarie
locali. Si tratta di figure inedite all'interno del nostro
ordinamento giuridico, che, a quanto si capisce, dovrebbero svolgere
una funzione di coordinamento in materia provinciale (tutela della
salute). La legge delega, tuttavia, non attribuiva al Governo il
potere di creare tali organi, in una materia (quella sanitaria) che
oltretutto non e' oggetto della disciplina in questione. L'art. 3,
comma 2, e l'art. 4, comma 2, dunque, prevedono al di fuori della
delega organi statali con funzioni di coordinamento di entri
paraprovinciali, con conseguente violazione degli artt. 76, 117,
comma 3, e 118, Cost.
Inoltre, e' evidente che eventuali esigenze di coordinamento del
sistema sanitario non possono essere costituzionalmente soddisfatte
con una simile figura di «coordinatore», del tutto avulsa dal sistema
degli organi rappresentativi responsabili ad ogni livello
dell'attivita' amministrativa.
L'art. 9 (Diritto di interpello) prevede che «le associazioni di
categoria e gli ordini professionali ... e gli enti pubblici possono
inoltrare alle direzioni provinciale del lavoro che provvedono a
trasmetterli alla direzione generale, quesiti di ordine generale
sull'applicazione delle normative di competenza del Ministero del
lavoro e delle politiche sociali», precisando che «l'inoltro dei
quesiti e le comunicazioni di cui al presente articolo avvengono
esclusivamente per via telematica».
Questa disposizione risulta illegittima sotto diversi profili. In
primo luogo, poiche' in provincia di Trento le funzioni degli organi
statali periferici sono esercitate dalla provincia, essa potrebbe
essere intesa nel senso di attribuire alla provincia il compito di
inoltrare i quesiti al Ministero: ma, dato il mutamento del titolo
costituzionale di competenza della provincia nella materia «tutela
del lavoro», non tocca alla legge statale di definire i compiti della
provincia e tantomeno di assegnare ad essa un compito meramente
ausiliario allo svolgimento di una funzione ministeriale. Risultano
violati l'art. 118, comma 2, Cost., e l'autonomia organizzativa della
provincia.
Inoltre, l'art. 9 presuppone che esistano «normative di
competenza del Ministero del lavoro», mentre in questa materia lo
Stato puo' solo dettare con legge principi fondamentali.
Infine, la norma che impone l'inoltro esclusivamente in via
telematica risulta in estremo dettaglio e lesiva dell'autonomia
organizzativa della provincia (oltre che irragionevolmente
restrittiva).
L'art. 10, comma 1, dispone che «al fine di razionalizzare gli
interventi ispettivi di tutti gli organi di vigilanza sul territorio,
e' istituita, ... nell'ambito delle strutture del Ministero del
lavoro e delle politiche sociali ed avvalendosi delle risorse del
Ministero stesso, una banca dati telematica che raccoglie le
informazioni concernenti i datori di lavoro ispezionati, nonche'
informazioni e approfondimenti sulle dinamiche del mercato del lavoro
e su tutte le materie oggetto di aggiornamento e di formazione
permanente del personale ispettivo»; si precisa che «alla banca dati,
che costituisce una sezione riservata alla borsa continua nazionale
del lavoro di cui all'art. 15 del decreto legislativo 10 settembre
2003, n. 276, hanno accesso esclusivamente le amministrazioni che
effettuano vigilanza ai sensi del presente decreto», e si aggiunge
che «con successivo decreto del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, ... sentito il Ministro per l'innovazione e le tecnologie,
previo parere del Centro nazionale per l'informatica nella pubblica
amministrazione, vengono definite le modalita' di attuazione e di
funzionamento della predetta banca dati».
La ricorrente provincia che alla banca dati dovrebbero poter
accedere tutte le amministrazioni che effettuano vigilanza e non solo
quelle che la svolgono «ai sensi del presente decreto». Data la
finalita' della banca dati, l'inaccessibilita' di essa alla provincia
risulta irragionevole e lesiva delle sue competenze in materia di
vigilanza, aventi carattere costituzionale dopo il 2001 e, comunque,
gia' prima fondate su una delega organica.
Appare poi illegittimo l'ultimo periodo del comma 1, in quanto
non prevede un'intesa della Conferenza Stato-regioni sul d.m. che
regola la banca dati, pur incidendo questa su una materia di
competenza regionale: ne risulta violato il principio di leale
collaborazione.
I commi 1 e 6 dell'art. 11 attribuiscono competenza in materia di
conciliazione amministrativa ad un funzionario della direzione
provinciale del lavoro (su istanza delle parti - comma 1 - o su
iniziativa dell'ispettore stesso; comma 6). Il comma 4, secondo
periodo, ed il comma 5 prevedono funzioni particolari delle direzioni
provinciali del lavoro.
Anche queste norme producono l'effetto di disconoscere il mutato
ruolo della provincia, dato che le funzioni di conciliazione sono
gia' svolte da essa in virtu' della delega di cui al d.lgs.
n. 430/1995 e il d.lgs. n. 124/2004 continua a muoversi nella logica
della titolarita' statale della competenza. L'illegittimita' delle
norme appena citate, dunque, «segue» quella delle norme che
mantengono agli organi statali periferici la competenza in materia di
vigilanza.
Ne' si potrebbe dire che la competenza a svolgere la
conciliazione amministrativa dovrebbe comunque spettare allo Stato,
anche se la vigilanza spettasse alle regioni: su questo punto ci si
e' gia' soffermati nel punto 1 del ricorso n. 44/2003, riguardante
l'art. 1, comma 2, lett. c), legge n. 30/2003, che prevedeva il
«mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative
relative alla conciliazione delle controversie di lavoro individuali
e plurime».
In quella sede si e' osservato che «la riserva statale della
disciplina e dell'esercizio di funzioni amministrative tipicamente
legate al territorio, come quelle qui in questione, non potrebbe
giustificarsi attraverso l'attribuzione che la Costituzione fa al
solo Stato della materia «giurisdizione e norme processuali» (art.
117, secondo comma, lett. l)». Infatti, si e' ancora osservato che e'
la stessa disposizione impugnata a precisare che si tratta qui «di
funzioni amministrative, rivolte primariamente allo scopo di tutelare
il lavoratore, evitandogli ove possibile il ricorso alla
giurisdizione». Senz'altro ci sono «nessi e raccordi tra la
conciliazione in via amministrativa e la successiva eventuale fase
giurisdizionale: come ad esempio quando la legge sancisce la
obbligatorieta' di una previa fase di conciliazione amministrativa, o
quando si regoli il rapporto tra questa e la decorrenza dei termini
processuali»: a ben vedere «si tratta in entrambi i casi di norme
destinate ad essere applicate nel successivo eventuale processo, e
dunque di norme processuali riservate allo Stato». Questa
interferenza «certamente legittima lo Stato a dettare, quali principi
fondamentali di materia, i lineamenti di base della conciliazione
quale fase necessariamente previa al successivo eventuale ricorso
giurisdizionale», ma «all'interno di quel quadro la disciplina
propria della conciliazione amministrativa considerata in se stessa,
e la sua concreta gestione, non partecipano affatto dal carattere
giurisdizionale, e dunque fanno a pieno titolo parte della materia
regionale tutela del lavoro».
Per gli stessi argomenti si puo' ribadire che l'art. 11, commi 1
e 4, secondo periodo, 5 e 6, d.lgs. n. 124/2004, viola gli artt. 117,
comma 3, e 118, commi 1 e 2.
Gli artt. 7, 11, 12, 13 e 14 risultano poi illegittimi per altri
motivi. In primo luogo, dato l'impianto complessivo del decreto, si
puo' ritenere che tali norme pretendano di applicarsi direttamente
nella provincia di Trento, con conseguente violazione dell'art. 2,
d.lgs. n. 266/1992. Inoltre, l'art. 7, lettere e) ed f), l'art. 11,
commi 2, 4, 5 e 6, l'art. 12, commi 2 e 3, l'art. 13, commi 2 e 3, e
l'art. 14, comma 2, risultano dettagliati [l'art. 7, lettere e)
ed f), in particolare, manterrebbero al Ministero del lavoro una
posizione di supremazia nella materia della tutela del lavoro, del
tutto incompatibile con l'art. 117, comma 3, e l'art. 118, Cost.],
mentre l'art. 11, comma 3, e l'art. 12, comma 2, ultimo periodo,
apportano una grave ed irragionevole deroga ad un fondamentale
principio di tutela del lavoratore (art. 2113 del codice civile), con
conseguente pregiudizio del ruolo costituzionale della provincia
nella materia della tutela del lavoro. Quanto alla riconducibilita'
dell'art. 13, comma 4, alla materia «tutela del lavoro», si rinvia
alla parte in Fatto.
L'art. 18 si occupa della formazione del personale ispettivo,
statale e parastatale. In relazione alle regioni a statuto ordinario,
la norma affetta da illegittimita' «derivata» dall'illegittimita'
delle norme che mantengono la competenza degli organi periferici
statali.
Quanto alla situazione della provincia, utilizzando essa (sia
pure in regime di delega) il proprio personale, essa ritiene che la
disposizione possa essere intesa come non riferentesi ad essa:
considerando sia la propria potesta' primaria in materia di
formazione professionale che la garanzia di cui all'art. 2 del d.lgs.
n. 266 del 1992.
L'impugnazione ha dunque carattere cautelativo, per l'ipotesi in
cui si ritenga che la disposizione intenda applicarsi anche alla
formazione del personale provinciale.
3. - Illegittimita' dell'intero decreto per violazione del
principio di leale collaborazione e del d.lgs. n. 281/1997.
Lo schema del d.lgs. n. 124/2004 non e' stato sottoposto alla
Conferenza Stato-regioni, pur vertendo esso su una materia regionale
(come illustrato nella parte in Fatto), in violazione dell'art. 2,
comma 3, d.lgs. n. 281/1997, che deve ritenersi espressivo del
principio costituzionale di leale collaborazione. Un conto e' che il
Parlamento disattenga l'impegno preso dal Governo in sede di
Conferenza (come nel caso di cui alla sent. n. 437/2001), un altro e'
che il Governo ometta totalmente di coinvolgere le regioni al momento
di adottare un decreto legislativo in materia di competenza
regionale: la consultazione necessaria della Conferenza espressamente
prevista dal d.lgs. n. 281/1997 costituisce attuazione del principio
costituzionale di leale collaborazione.
Considerato che, per le esposte ragioni, le illegittimita'
costituzionali sopra illustrate si riverberano nella lesione delle
sue competenze costituzionali;
P. Q. M.
Chiede voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il
ricorso, dichiarando l'illegittimita' costituzionale delle seguenti
disposizioni del d.lgs. n. 214 del 2004: art. 1, comma 1, primo
periodo; art. 2; art. 3, commi da 1 a 4; art.4; art. 5, commi da 1 a
3; art. 6, comma 1; art. 7; art. 8; art. 9; art. 10, commi 1, 3 e 4;
art. 11; art. 12; art. 13; art. 14, comma 2; art. 15, comma 1; art.
16, commi 1 e 2; art. 17, commi 1 e 2; art. 18, nelle parti, nei
termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso.
Padova-Roma, addi' 9 luglio 2004
Prof. avv. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi