Ricorso n. 07 del 2 febbraio 2017 (della Regione Lombardia)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 2 febbraio 2017 (della Regione Lombardia).
(GU n. 9 del 2017-03-01)
Ricorso della Regione Lombardia (c.f. …), con sede in Piazza Citta' di Lombardia, 1, Milano (20124), in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, on. Roberto Maroni, rappresentato e difeso, in forza di procura a margine del presente atto ed in virtu' della deliberazione della giunta regionale n. X/6140 del 23 gennaio 2017, dal prof. avv. Francesco Saverio Marini (c.f. …; PEC: …; fax …), presso il cui studio in Roma, Via di Villa Sacchetti, 9, ha eletto domicilio; ricorrente;
Contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore (c.f. 80188230587), con sede in Roma, Palazzo Chigi, Piazza Colonna, 370, resistente;
per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219, recante «Attuazione della delega di cui all'art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle funzioni e del funzionamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 276 del 25 novembre 2016, per violazione degli articoli 117, commi 3 e 4, 76 della Costituzione e del principio di leale collaborazione in relazione agli articoli 5, 120 della Costituzione.
Fatto
1. Con l'art. 10 della legge n. 124 del 2015 («Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche») le Camere hanno delegato il Governo «ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, anche mediante la modifica della legge 29 dicembre 1993, n. 580, come modificata dal decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 23, e il conseguente riordino delle disposizioni che regolano la relativa materia» (art. 10, comma 1). Fra i principi e criteri direttivi cui il Governo doveva attenersi nell'esercizio della delega, l'art. 10, comma l - con previsione che finisce, in realta', per perimetrare al contempo anche l'oggetto della stessa - menziona:
a) la determinazione del diritto annuale a carico delle imprese tenuto conto delle disposizioni di cui al decreto-legge n. 90 del 2014, conv. con mod. dalla legge n. 114 del 2014;
b) la ridefinizione delle circoscrizioni territoriali, con riduzione, mediante accorpamento, del numero dalle attuali 105 a non piu' di 60;
c) la ridefinizione dei compiti e delle funzioni, con particolare riguardo a quelle di pubblicita' legale generale e di settore, di semplificazione amministrativa, di tutela del mercato, limitando e individuando gli ambiti di attivita' nei quali svolgere la funzione di promozione del territorio e dell'economia locale, nonche' attribuendo al sistema camerale specifiche competenze, anche delegate dallo Stato e dalle regioni, eliminando le duplicazioni con altre amministrazioni pubbliche, limitando le partecipazioni societarie a quelle necessarie per lo svolgimento delle funzioni istituzionali nonche' per lo svolgimento di attivita' in regime di concorrenza, a tal fine esplicitando criteri specifici e vincolanti, eliminando progressivamente le partecipazioni societarie non essenziali e gestibili secondo criteri di efficienza da soggetti privati;
d) il riordino delle competenze relative alla tenuta e valorizzazione del registro delle imprese presso le camere di commercio, con particolare riguardo alle funzioni di promozione della trasparenza del mercato e di pubblicita' legale delle imprese, garantendo la continuita' operativa del sistema informativo nazionale e l'unitarieta' di indirizzo applicativo e interpretativo attraverso il ruolo di coordinamento del Ministero dello sviluppo economico;
e) la definizione di standard nazionali di qualita' delle prestazioni delle camere di commercio, in relazione a ciascuna funzione fondamentale, ai relativi servizi ed all'utilita' prodotta per le imprese, con connessi sistemi di monitoraggio;
f) la riduzione del numero dei componenti dei consigli e delle giunte e riordino della relativa disciplina, compresa quella sui criteri di elezione, sul limite ai mandati e sul trattamento economico.
Circa il procedimento di formazione, per quanto qui di piu' prossimo interesse, l'art. 10, comma 2, dispone: «il decreto legislativo di cui al comma 1 e' adottato su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e del parere del Consiglio di Stato, che sono resi nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo puo' comunque procedere».
2. In data 29 settembre 2016, la Conferenza Stato-regioni, all'esito del confronto con il Governo, assumeva le seguenti determinazioni: «nel prendere atto della nota del Ministero dello sviluppo economico del 28 settembre scorso, che ha comunicato l'accoglimento degli emendamenti proposti dalle regioni nn. 1, 2, 6 e 7 e il parziale accoglimento degli emendamenti nn. 3, 5 e 14, esprime parere favorevole condizionato all'accoglimento delle proposte di emendamento nn. 4, 12 e 15» (cfr. parere 16/107/CU12/C11, sub doc. 1, ult. pag.).
3. Con il decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219, il Governo dava attuazione alla delega di cui all'art. 10 della legge n. 124 del 2015. Nel testo finale dell'atto normativo, tuttavia, non risultano recepiti gli emendamenti indicati dalla Conferenza Stato-regioni ed espressamente configurati quali condizioni necessarie per l'esito positivo del parere.
4. Con la sentenza n. 251 del 2016, codesta ecc.ma Corte dichiarava l'illegittimita' costituzionale delle deleghe contenute negli articoli 11, 17, 18 e 19 della legge n. 124 del 2015 (per la riforma della dirigenza pubblica, della disciplina del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, delle societa' partecipate e dei servizi pubblici locali di interesse economico generale) nella parte in cui prevedono il coinvolgimento regionale nel procedimento di adozione del decreto delegato, attraverso la Conferenza Stato-regioni, nella forma del mero parere e non dell'intesa: prescrizione identica a quella contenuta nell'art. 10, recante la delega per la riforma delle camere di commercio.
Nella stessa sentenza, si precisava altresi' che «le pronunce di illegittimita' costituzionale, contenute in questa decisione, sono circoscritte alle disposizioni di delegazione della legge n. 124 del 2015, oggetto del ricorso, e non si estendono alle relative disposizioni attuative. Nel caso di impugnazione di tali disposizioni, si dovra' accertare l'effettiva lesione delle competenze regionali, anche alla luce delle soluzioni correttive che il Governo riterra' di apprestare al fine di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione».
5. Tutto cio' premesso, la Regione Lombardia, come sopra rappresentata e difesa, ritenuta la lesione delle proprie competenze costituzionali per effetto della richiamata disciplina statale, impugna gli articoli 1, 2, 3 e 4 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 alla luce dei seguenti motivi di
Diritto
In limine: sulla legittimazione.
In via preliminare, circa la sussistenza della legittimazione regionale ad impugnare, e' superfluo ricordare come piu' volte, nella propria giurisprudenza, codesta ecc.ma Corte abbia ritenuto ammissibili questioni di legittimita' proposte in via principale dalle regioni, aventi ad oggetto leggi statali variamente incidenti sul sistema delle camere di commercio.
In proposito e' opportuno richiamare, fra le piu' recenti, la sentenza n. 29 del 2016, nella quale la Corte ha ribadito: «la possibilita' per la regione di denunciare la legge statale per dedotta violazione di competenze degli enti locali. Questa Corte ha in piu' occasioni affermato (anche specificatamente in tema di finanza regionale e locale: sentenza n. 311 del 2012) che "le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, [pure] indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale", perche' "la stretta connessione, in particolare [..] in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali" (ex plurimis, sentenze n. 220 del 2013, n. 298 del 2009, n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004). Tale prospettazione dunque sufficiente a rendere ammissibile la questione, restando ovviamente riservata all'esame del merito la valutazione della sua fondatezza».
Ora, pur a non voler considerare le camere di commercio come enti locali, le quali piu' propriamente hanno natura di enti pubblici dotati di autonomia funzionale (come stabilito dall'art. 1, comma 1, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e come confermato dalla stessa sentenza n. 29 del 2016), e' indubbio che esse, per contenuto e ambito spaziale delle funzioni esercitate, operino in stretta e necessaria sinergia con le regioni. Piu' in particolare, risulta evidente come le camere di commercio fungano per alcuni aspetti da «strumento» per la regione, nella cura degli interessi della popolazione, nello sviluppo del tessuto economico-sociale, nello svolgimento di tutta una serie di funzioni rientranti nella potesta' legislativa e amministrativa regionale (commercio, industria, artigianato, agricoltura, istruzione e formazione professionale, professioni, sostegno all'innovazione per i settori produttivi).
Dunque, in piena analogia con quanto avviene per gli enti locali, l'illegittimita' delle norme statali in materia di camere di commercio ben puo' ridondare in una lesione della sfera di attribuzione delle regioni, con conseguente legittimazione di queste ultime a proporre il ricorso in via principale. Nell'odierno giudizio, peraltro, la qui dimostrata potenziale ridondanza puo' venire in rilievo solo ai fini dell'ammissibilita' relativa all'art. 76 Cost., giacche' le ulteriori censure sono tutte svolte anche in relazione ai parametri costituzionali del Titolo V (articoli 117, commi 3 e 4, e principio di leale collaborazione). La premessa appena illustrata, dunque, si doveva per semplici ragioni di completezza.
I. Violazione degli articoli 117, commi 3 e 4, e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5, 120 della Costituzione.
1. L'illegittimita' delle disposizioni gravate si coglie anzitutto in relazione agli articoli 117, commi 3 e 4, e al principio di leale collaborazione.
Il decreto legislativo oggetto dell'odierno gravame, infatti, e' stato adottato all'esito di un procedimento nel quale l'interlocuzione fra Stato e regioni, in sede di Conferenza Stato-regioni, si e' realizzata nella forma (inadeguata) del mero parere, e non gia' attraverso l'intesa: proprio questo secondo, piu' penetrante strumento collaborativo sarebbe stato pero' necessario, considerato il numero e l'intensita' delle competenze regionali che, inestricabilmente intrecciate con i titoli competenziali dello Stato, vengono in rilievo in materia di camere di commercio.
In questo senso, appare dirimente la sentenza n. 374 del 2007, resa da codesta ecc.ma Corte, nella quale pur rilevando che: «alle camere di commercio sono attribuiti dallo Stato compiti che richiedono di essere disciplinati in maniera omogenea in ambito nazionale», ha ricordato che «l'art. 38, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 112 del 1998 ha stabilito che la disciplina di tale materia continua ad essere di competenza dello Stato, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni».
La Corte ha «piu' volte affermato, allorche' sia ravvisabile un'esigenza di esercizio unitario a livello statale di determinate funzioni amministrative, che lo Stato e' abilitato ad esercitare anche la potesta' legislativa, e cio' pure se tali funzioni amministrative siano riconducibili a materie di competenza legislativa regionale concorrente o residuale (v., tra le altre, le sentenze n. 88 del 2007, n. 383, n. 285, n. 270 e n. 242 del 2005, n. 6 del 2004, n. 303 del 2003).
La Corte ha anche precisato, pero', che in simili casi l'intervento statale deve essere, tra l'altro, proporzionato all'esigenza di esercizio unitario a livello statale delle funzioni di cui volta per volta si tratta. Sotto questo profilo, puo' essere considerato congruo il mantenimento della competenza statale ad emanare - previa intesa con le regioni - norme relative alle modalita' di costituzione dei consigli camerali. E' invece eccessivo - in un contesto in cui comunque e' la regione ad esercitare sia la funzione amministrativa relativa alla determinazione del numero dei rappresentanti la cui designazione spetta a ciascuna organizzazione imprenditoriale, sia quella di controllo e di scioglimento dei consigli medesimi in caso di gravi e persistenti violazioni di legge o di impossibilita' di normale funzionamento (art. 37, comma 3, del decreto legislativo n. 112 del 1998) - conservare in capo callo Stato un rimedio amministrativo avverso le determinazioni dell'autorita' regionale attuative della disciplina posta a livello nazionale».
Questo ampio passaggio induce a ritenere, da un lato, che lo Stato possa dettare una disciplina uniforme, almeno per taluni profili, delle camere di commercio; dall'altro, che nel far cio' incontri rilevanti competenze regionali concorrenti o addirittura residuali (artigianato, commercio, industria, agricoltura, istruzione e formazione professionale, professioni, sostegno all'innovazione per i settori produttivi). Proprio il numero e l'«intensita'» delle competenze regionali interferenti con la materia delle camere di commercio imponeva lo strumento dell'intesa - come sancito nella sentenza n. 374 del 2007 - anziche' quello del mero parere: cio' giusto l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte secondo cui «il livello e gli strumenti [della leale] collaborazione possono naturalmente essere diversi in relazione al tipo di interessi coinvolti e alla natura e all'intensita' delle esigenze unitarie che devono essere soddisfatte» (Corte cost., sentenza n. 62 del 2005).
2. Nella vicenda oggi all'esame della Corte, poi, il vizio in discorso non e' rimasto «quiescente», ma ha dispiegato appieno la sua portata lesiva: infatti, proprio a causa della previsione del mero parere, anziche' dell'intesa, le regioni hanno visto del tutto disattese talune decisive posizioni espresse in sede di Conferenza sul merito del decreto, unilateralmente superate dal Governo all'atto della predisposizione dei contenuti finali.
Per dimostrare cio', e' sufficiente evidenziare il contrasto fra le posizioni espresse dalle regioni nel parere 16/107/CU12/C11 del 29 settembre 2016 reso in sede di Conferenza unificata (doc. 1) e il testo finale del decreto legislativo impugnato: se infatti - come gia' anticipato - fosse stata ab origine prescritta l'intesa e non il parere, lo Stato non avrebbe potuto disattendere in modo unilaterale, immotivato e senza intraprendere reiterate trattative (guarentigie procedimentali tipiche dell'intesa: cfr. da ultimo proprio Corte costituzionale, sentenza n. 251 del 2016), come invece e' avvenuto, punto di vista regionale.
In questa prospettiva, il 29 settembre 2016, al momento di rilasciare il parere, la Conferenza delle regioni cosi' deliberava: «nel prendere atto della nota del Ministero dello sviluppo economico del 28 settembre scorso, che ha comunicato l'accoglimento degli emendamenti proposti dalle regioni nn. 1, 2, 6 e 7 e il parziale accoglimento degli emendamenti nn. 3, 5 e 14, esprime parere favorevole condizionato all'accoglimento delle proposte di emendamento nn. 4, 12 e 15» (doc. 1, ult. pag.).
Sennonche', le proposte di emendamento suindicate non hanno trovato affatto accoglimento nel testo finale del decreto.
2.1. Piu' in dettaglio, la proposta di emendamento n. 4 era cosi' formulata: «All'art. 1, comma 1, lettera b), n. 2 dopo la lettera g) inserire la seguente: h) attivita' oggetto di accordi o convenzioni con le regioni in materia di promozione dello sviluppo economico locale e di organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese. Dette attivita' possono essere finanziate con le risorse di cui all'art. 18, comma 1, lettera a), ed ai sensi del comma 10 del medesimo articolo, esclusivamente in cofinanziamento.
Motivazione
Occorre inserire la previsione espressa dell'esercizio di funzioni e compiti relative alla promozione dello sviluppo economico locale, sulla base di appositi accordi o convenzioni con le regioni.
Oltre che di basilare importanza per lo svolgimento delle relazioni tra le regioni e gli enti camerali, e' altresi' coerente con il principio di delega che enuclea «competenze, anche delegate dallo Stato e dalle regioni» e dai riferimenti contenuti sia nel comma 2 dell'art. 5-bis che nella lettera a) del comma 4 dell'art. 18 della legge n. 580/1993, che conferiscono loro dignita' autonoma» (cfr. doc. 1, p. 4). La proposta emendativa e' evidentemente connessa a sfere di competenze e attribuzioni regionali (di natura sia legislativa che amministrativa), essendo volta ad un miglior coordinamento fra enti camerali e singole regioni, sia nella promozione dello sviluppo economico locale, sia nell'esercizio delle funzioni che le seconde delegano alle prime.
Tuttavia, il Governo non ne ha tenuto conto: rispetto alla richiesta regionale di esplicitare, in una norma apposita, la possibilita' di stipulare accordi e convenzioni espressamente dedicate alla promozione dello sviluppo economico locale e all'organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese, il Governo ha solo modificato, rispetto allo schema originario, l'art. l, comma 1, lettera b), n. 2, punto g, rendendo - a tutto concedere - esemplificativo e non piu' tassativo (con la nuova formula «dette attivita' riguardano, tra l'altro», in luogo della vecchia «attivita' [...] in particolare negli ambiti della») il catalogo delle attivita' suscettibili di essere poste a base di una convenzione. Piu' in dettaglio, nello schema di decreto sottoposto al parere della Conferenza Stato-regioni era previsto: «ferme restando quelle gia' in corso o da completare, attivita' oggetto di convenzione con le regioni ed altri soggetti pubblici e privati, in particolare negli ambiti della digitalizzazione, della qualificazione aziendale e dei prodotti, del supporto al placement e all'orientamento, della risoluzione alternativa delle controversie. Dette attivita' possono essere finanziate con le risorse di cui all'art. 18, comma 1, lettera a) esclusivamente in cofinanziamento». Nella versione finale e' invece previsto: «ferme restando quelle gia' in corso o da completare, attivita' oggetto di convenzione con le regioni ed altri soggetti pubblici e privati stipulate compatibilmente con la normativa europea. Dette attivita' riguardano, tra l'altro, gli ambiti della digitalizzazione, della qualificazione aziendale e dei prodotti, del supporto al placement e all'orientamento, della risoluzione alternativa delle controversie. Le stesse possono essere finanziate con le risorse di cui all'art. 18, comma 1, lettera a), esclusivamente in cofinanziamento con oneri a carico delle controparti non inferiori al 50%».
Tutto cio' e' senz'altro troppo poco per ritenere soddisfatta la proposta emendativa regionale.
2.2. La proposta di emendamento 12 era cosi' formulata: «all'art. 1, comma 1, lettera r), il n. 8 e' sostituito dal seguente: 8). Il comma 10 e' sostituito dal seguente: "Per il cofinanziamento di programmi e progetti di interesse strategico condivisi con le regioni ed aventi per scopo la promozione dello sviluppo economico locale e l'organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese, le camere di commercio, sentite le associazioni di categoria maggiormente rappresentative della circoscrizione territoriale di competenza, possono aumentare per gli esercizi di riferimento la misura del diritto annuale fino ad un massimo del venti per cento».
Motivazione
Per le regioni e' importante poter continuare a sviluppare progetti in collaborazione con il sistema delle camere di commercio. Pertanto, in luogo dell'abrogazione del comma 10 dell'art. 18 della legge n. 580/1993, se ne propone la sostituzione prevedendo che l'aumento del diritto annuale possa essere disposto soltanto per cofinanziare progetti condivisi con le regioni e di particolare interesse strategico» (cfr. doc. 1, p. 7).
L'emendamento in parola - esplicitamente riconducibile a sfere di competenza legislativa e amministrativa delle regioni e finalizzato alla migliore soddisfazione di interessi alla cui cura il livello di Governo regionale e' istituzionalmente preposto - ha trovato nel testo finale del decreto solo un parziale ingresso, subendo peraltro una torsione di stampo marcatamente centralistico. Infatti, nell'art. l, comma 1, lettera r), punto i) del decreto legislativo n. 219 del 2016, Governo ha in definitiva previsto che «per il finanziamento di programmi e progetti presentati dalla camere di commercio, condivisi con le regioni ed aventi per scopo la promozione dello sviluppo economico e l'organizzazione di servizi alle imprese, il Ministro dello sviluppo economico, su richiesta di Unioncamere, valutata la rilevanza dell'interesse del programma o del progetto nel quadro delle politiche strategiche nazionali, puo' autorizzare l'aumento, per gli esercizi di riferimento, della misura del diritto annuale fino ad un massimo del venti per cento. Il rapporto sui risultati dei progetti e' inviato al Comitato di cui all'art. 4-bis». Come emerge gia' a prima lettura, rispetto alla proposta emendativa contenuta nel parere, il decreto legislativo alloca i processi decisionali a livello statale, tanto che non e' peregrino affermare come la determinazione finale risulti poi «calata dall'alto»: i) l'aumento del diritto annuale viene autorizzato dal Ministro dello sviluppo economico, e non direttamente dalle camere di commercio, peraltro a titolo di finanziamento e non di cofinanziamento; ii) l'aumento e' vincolato ad una valutazione, da parte del Ministro, della rilevanza dell'interesse del programma o del progetto nel quadro delle politiche strategiche nazionali; iii) il confronto sul merito della proposta avviene a livello centrale fra Ministro dello sviluppo economico e Unioncamere, e non a livello locale fra camere di commercio e associazioni di categoria maggiormente rappresentative della circoscrizione territoriale di competenza.
2.3. La proposta emendativa n. 15 era cosi' formulata: «dopo il comma 6 dell'art. 4 e' aggiunto il seguente: "6-bis. Gli enti del sistema camerale che hanno concluso la procedura di accorpamento con le modalita' previste dall'art. 1, comma 5 della legge n. 580/93 o che si accorperanno ai sensi dell'art. 3 del presente decreto, modificando le precedenti circoscrizioni territoriali mediante accorpamento di quattro o piu' camere di commercio, non sono tenuti al versamento dei risparmi conseguiti ai sensi delle disposizioni relative al contenimento della spesa previste dalla legislazione vigente a carico dei soggetti inclusi nell'elenco dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 e successive modificazioni, purche' i risparmi dovuti siano destinati all'esercizio delle funzioni di cui all'art. 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580 come modificata dal presente decreto».
Motivazione
Al fine di incentivare l'accorpamento delle Camere di commercio in misura maggiore di quanto previsto dall'art. 10, comma 1, lettera b) della legge n. 124/2015, si propone di mantenere nei bilanci delle Camere i risparmi conseguiti in conseguenza dell'applicazione delle disposizioni sul contenimento della spesa.
Come e' noto il decreto-legge n. 90/2014 ha operato una forte riduzione delle entrate delle Camere di commercio, con un taglio del diritto annuale rispetto al 2014 del 35% per il 2015, del 40% nel 2016 e del 50% per il 2017.
Contestualmente, le camere di commercio, le unioni regionali e l'Unioncamere - inserite nel c.d. elenco Istat - sono tenute, come altre pubbliche amministrazioni in base alla normativa vigente, ad operare una serie di risparmi su diverse tipologie di spesa e a versare l'ammontare risparmiato al bilancio dello Stato. Si tratta in particolare della normativa, stratificatasi negli ultimi anni, che impone di conseguire risparmi su incarichi di studio e consulenza, spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e spese di rappresentanza, spese per missioni, spese su autovetture, consumi intermedi, etc. Sulla base di questa normativa, il sistema camerale versa annualmente al bilancio dello Stato oltre 38 milioni di euro che con il taglio del 50% del diritto annuale costituirebbero annualmente quasi il 10% del diritto riscosso. Tale importo non sarebbe piu' sostenibile considerato il taglio delle entrate, oltre al fatto che tali somme non genererebbero piu' servizi o iniziative a vantaggio delle imprese ma verrebbero versate direttamente allo Stato. Si propone dunque l'esenzione dal versamento per quegli Enti del sistema camerale che hanno concluso la procedura di accorpamento con le modalita' previste dall'art. 1, comma 5 della legge n. 580/93 o che si accorperanno ai sensi dell'art. 3 del presente decreto, modificando le precedenti circoscrizioni territoriali mediante accorpamento di quattro o piu' camere di commercio. In questo modo non verrebbero meno i risparmi per le diverse tipologie di spesa stabiliti dalle leggi, che sarebbero comunque garantiti dalle Camere, ma solo il versamento delle risorse al bilancio dello Stato. L'importo non versato, rimanendo nella disponibilita' delle Camere di commercio, verrebbe inoltre finalizzato alla realizzazione degli interventi di promozione del territorio e dell'economia previste dalla legge, sulla base delle specifiche esigenze dei territori».
Nel testo finale del decreto, pero', lo Stato non ha accolto la proposta emendativa regionale, sebbene questa fosse intimamente connessa alla realizzazione dell'interesse delle regioni ad incentivare la piu' razionale organizzazione delle camere di commercio e il piu' efficiente svolgimento delle funzioni loro spettanti.
Infatti, l'unica flebile eco della proposta emendativa nel decreto puo' scorgersi - non senza uno sforzo di immaginazione - nell'art. 3, comma 10, la' dove il legislatore nazionale ha concesso che «nei riguardi delle unita' di personale soprannumerario delle camere di commercio, delle unioni regionali e delle aziende speciali che maturino i requisiti per il pensionamento entro i successivi 3 anni dall'adozione del decreto di cui al comma 4 si puo' procedere, d'intesa con gli interessati e nei limiti delle risorse finanziarie indicate nel secondo periodo del presente comma, alla risoluzione del rapporto di lavoro con l'erogazione di un assegno straordinario, una tantum in misura corrispondente al 60% del trattamento economico individuale, fondamentale ed accessorio, escluso il variabile, in godimento cui si aggiungono i contributi ancora da versare per la prosecuzione in forma volontaria fino alla maturazione dei requisiti suddetti. Le misure previste dal precedente periodo sono concesse, nel limite complessivo di 20 milioni di euro nel triennio, a valere sulle risorse di un apposito fondo istituito presso l'Unioncamere alimentato con i versamenti delle disponibilita' di bilancio degli enti del sistema camerale nell'ambito dei risparmi conseguiti per effetto dell'attuazione del presente decreto, Con uno o piu' decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita l'Unioncamere, e' quantificato l'ammontare delle risorse che gli enti del sistema camerale devono versare annualmente al fondo in relazione agli oneri annuali da sostenere ed e' determinato il riparto del fondo stesso tra i predetti enti per le finalita' del presente comma».
Ma e' evidente che non vi e' alcuna sovrapponibilita', e neppure consonanza, fra l'esigenza espressa dalle regioni e la formulazione poi accolta dallo Stato: la norma perde ogni finalita' incentivante, perche' le somme risparmiate grazie agli accorpamenti non vengono lasciate nella disponibilita' delle camere di commercio piu' solerti per l'esercizio delle attivita' istituzionali, ma destinate dallo Stato alla risoluzione del rapporto di lavoro delle unita' di personale soprannumerario, con conseguente diminuzione dei benefici per il tessuto economico e le attivita' regionali.
3. Da tutto quanto sopra esposto appare evidente la fondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale qui prospettate. E' ora necessario, pero', perimetrare l'ambito di incidenza del vizio in discorso.
Sotto questo profilo, il vizio inficia senza dubbio il decreto impugnato nella sua interezza, e non solo nelle singole parti in cui si e' registrata la difformita' fra posizione regionale e deliberazione statale. Infatti, la Conferenza unificata ha rilasciato un «parere favorevole condizionato all'accoglimento delle proposte di emendamento nn. 4, 12 e 15»; ora, posto che - come dimostrato - lo Stato non ha accolto le proposte emendative, non si e' verificata la condizione alla quale la Conferenza ha imprescindibilmente collegato il «segno positivo» del parere. Dunque, la mancata realizzazione della condizione dedotta vale a configurare il parere reso sull'intero decreto come parere negativo: per conseguenza, il decreto legislativo n. 219 del 2016 e' integralmente illegittimo alla luce del principio di leale collaborazione, in combinato disposto con gli articoli 117, comma 3 e 4 Cost., e se ne chiede dunque a codesta ecc.ma Corte il completo annullamento.
Nella denegata ipotesi in cui non si accogliesse tale lettura, e' comunque certo che il vizio affetti almeno i punti non emendati dal Governo in conformita' al parere regionale: e cioe', l'art. 1, comma 1, lettera b) n. 2, punto g); l'art. 1, comma 1, lettera r), punto i); l'art. 3, comma 10. Di tali disposizioni non potra' che essere pronunciata l'illegittimita' costituzionale. II. Violazione dell'art. 76 Cost., in combinato disposto con gli articoli 117, commi 3 e 4, 5 e 120 della Costituzione, in relazione all'art. 10, comma 2, della legge n. 124 del 2015, nella formulazione risultante all'esito del richiesto intervento sostitutivo della Corte - Eccesso di delega.
1. Il decreto legislativo n. 219 del 2016 viola, altresi', l'art. 76, in combinato disposto con gli articoli 5, 117, commi 3 e 4, e 120 della Costituzione, in quanto viola la norma interposta, rappresentata dall'art. 10, comma 2, della legge n. 124 del 2015, come risultante a seguito dell'accoglimento della questione di incostituzionalita' che in questa sede si chiede alla Corte di voler sollevare, in via incidentale, di fronte a se stessa.
Per accertare e dichiarare l'illegittimita' costituzionale della legge di delega, nella parte in cui prescrive il parere anziche' l'intesa, si chiede, infatti, a codesta ecc.ma Corte di voler sollevare innanzi a se stessa, in via di autoremissione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 2, della legge n. 124 del 2015, in relazione all'art. 117, commi 3 e 4, e al principio di leale collaborazione, di cui agli articoli 5 e 120 Cost. Facolta' di cui, come noto, codesta Corte dispone, per giurisprudenza pacifica (cfr., fra molte, Corte costituzionale, ordd. nn. 22 del 1960, 57 del 1961, 73 del 1965, 2 del 1977; sentenze nn. 259 del 1974 e 68 del 1978).
La questione cosi' articolata soddisfa anzitutto il requisito della rilevanza: nel giudicare sulla legittimita' costituzionale del decreto attuativo alla luce dei parametri evocati nel presente ricorso, codesta ecc.ma Corte dovra' inevitabilmente «applicare» la legge di delega, nel senso di valutarne la legittimita' costituzionale; tale operazione, in ragione del rapporto che unisce la legge di delega e il decreto delegato, si pone in termini di necessaria pregiudizialita' rispetto allo scrutinio delle censure che investono il decreto governativo. Ove la questione non fosse sollevata in via di autoremissione, o quantomeno risolta incidenter tantum, l'effetto paradossale sarebbe quello di rendere inaggredibili, benche' viziati, tanto la legge di delega quanto il decreto delegato.
Pacifica e' altresi' la non manifesta infondatezza, in quanto la previsione, nell'art. 10, di un parere, anziche' di un'intesa, rappresenta un contrappeso insufficiente, dal punto di vista della leale collaborazione, a compensare il sacrificio delle competenze legislative regionali stabilite dagli articoli 117, comma 3 e 4, determinato dal penetrante intervento realizzato dallo Stato con il decreto legislativo n. 219 del 2016. Vizio che dalla legge di delega si propaga, a titolo di illegittimita' derivata, al decreto attuativo.
Ora, la violazione del principio di leale collaborazione di cui qui si discute e' integralmente sovrapponibile a quella gia' accertata da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 251 del 2016 in relazione alle deleghe di cui agli articoli 11, 17, 18 e 19 della legge n. 124 del 2015: anche le disposizioni gia' dichiarate incostituzionali, infatti, richiedevano il coinvolgimento regionale nella mera forma del parere, laddove - visto il numero e l'entita' delle competenze regionali coinvolte, il grado di compressione che esse subiscono e il loro inestricabile intreccio con i titoli competenziali dello Stato - la leale collaborazione avrebbe potuto trovare idoneo veicolo solo nel piu' penetrante strumento dell'intesa.
Nella stessa sentenza, peraltro, la Corte ha riconosciuto, quale condizione affinche' l'illegittimita' della delega si ripercuota in via derivata sul decreto attuativo, che la mancata prescrizione in astratto di adeguati strumenti di leale collaborazione si accompagni in concreto ad una lesione dell'interesse regionale, sotto forma di mancato rispetto delle posizioni espresse dalle regioni in sede di Conferenza. Circostanza verificatasi nella fattispecie, come ampiamente illustrato.
All'esito del richiesto intervento di codesta ecc.ma Corte sull'art. 10, comma 2, della legge n. 124 del 2015, che, manipolando la norma, sostituirebbe la prescrizione del parere con quella «a rime obbligate» dell'intesa, il decreto legislativo oggi gravato verrebbe a trovarsi, ex post, in contrasto con la delega e dunque anche con l'art. 76 Cost.
Nell'odierno giudizio sono, infatti, integrati appieno tutti i presupposti delineati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 251 del 2016 per far luogo alla declaratoria d'incostituzionalita' dell'art. 10 della legge di delega, nonche' dei decreti attuativi della legge n. 124 del 2015: i) l'illegittimita' della norma delegante, per la previsione del parere anziche' dell'intesa; ii) l'attualizzazione delle potenzialita' lesive del vizio, con conseguente effettiva lesione delle competenze regionali, attraverso la mancata conformazione dello Stato alla posizione delle regioni, resa possibile proprio dalla previsione del mero parere, e che invece non si sarebbe potuta verificare ove, come impone la Costituzione, fosse stata prevista l'intesa. III. Con riferimento esclusivo all'art. 3, comma 4, del decreto legislativo n. 219 del 2016: ancora sulla violazione degli articoli 117, commi 3 e 4, e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5, 120 della Costituzione.
Un'autonoma violazione del principio di leale collaborazione e dell'art. 117, commi 3 e 4, che inficia in via originaria il decreto legislativo n. 219 del 2016 qui impugnato si riscontra nell'art. 3, comma, 4.
La disposizione in esame prevede che «il Ministro dello sviluppo economico, entro i sessanta giorni successivi al termine di cui al comma 1, con proprio decreto, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, provvede, tenendo conto della proposta di cui al comma 1 [formulata da Unioncamere], alla rideterminazione delle circoscrizioni territoriali, all'istituzione delle nuove camere di commercio, alla soppressione delle camere interessate dal processo di accorpamento e razionalizzazione ed alle altre determinazioni conseguenti ai piani di cui ai commi 2 e 3. Il provvedimento di cui al presente comma e' adottato anche in assenza della proposta di cui al comma 1, ove sia trascorso inutilmente il termine ivi previsto, applicando a tal fine i medesimi criteri previsti nei commi 1, 2, 3».
La violazione del principio di leale collaborazione ancora una volta - non diversamente da quanto si riscontra a monte nella legge di delega - consiste nella prescrizione di una forma di coinvolgimento regionale inidonea ad assicurare la leale collaborazione: il mero parere e non l'intesa. Solo questo secondo strumento, infatti, per tutte le ragioni gia' esposte nel I Motivo e come rilevato anche da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 374 del 2007, puo' compensare le regioni della compressione che l'intervento dello Stato determina sulle competenze ad esse spettanti nei settori considerati, anche in relazione all'articolazione organizzativa delle camere di commercio sul territorio, che qui viene in rilievo.
Peraltro, della necessita' dell'intesa sembra persuaso lo stesso legislatore statale, la' dove, all'art. 1, comma l , lettera a), punto 3, prevede espressamente che: «i consigli di due o piu' camere di commercio possono proporre, con delibera adottata a maggioranza dei due terzi dei componenti, l'accorpamento delle rispettive circoscrizioni stesse. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province di Trento e Bolzano, e' istituita la camera di commercio dall'accorpamento delle circoscrizioni territoriali».
Ora, e' del tutto irragionevole che per la rideterminazione delle circoscrizioni territoriali basti il mero parere della Conferenza Stato-regioni, mentre per istituire le singole camere di commercio risultanti dall'accorpamento delle circoscrizioni territoriali serva l'intesa: cio' in quanto la prima operazione involge ampi margini di discrezionalita' e incide in profondita' sull'assetto organizzativo di enti che, per diversi profili, si pongono in rapporto di strumentalita' rispetto all'assolvimento di funzioni e alla cura di interessi facenti capo alle regioni; la seconda operazione, invece, ha natura meramente attuativa-esecutiva di determinazioni gia' assunte.
Quindi - a meno di non voler ritenere che vi sia una contraddizione interna alla legge rilevante ex art. 3 Cost. - deve concludersi che nell'art. 3, comma 4, il legislatore sia incorso in un lapsus calami, comunque incostituzionale alla luce dell'art. 117, commi 3 e 4, e del principio di leale collaborazione, di cui si chiede a codesta ecc.ma Corte la rimozione. IV. Con riferimento esclusivo agli articoli 3, comma 1, lettera f), e 4, del decreto legislativo n. 219 del 2016: violazione dell'art. 76 Cost. (Eccesso di delega).
Il decreto impugnato e' affetto infine, agli articoli 3, comma 1, lettera f), e 4, da illegittimita' costituzionale anche per eccesso di delega.
La disposizione qui richiamata prescrive, fra i criteri cui la proposta di rideterminazione delle circoscrizioni territoriali presentata da Unioncamere deve attenersi, la «necessita' di tener conto degli accorpamenti deliberati alla data di entrata in vigore della legge 7 agosto 2015, n. 124, nonche' di quelli approvati con i decreti di cui all'art. 1, comma 5, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni; questi ultimi possono essere assoggettati ad ulteriori o diversi accorpamenti solo ai fini del rispetto del limite di 60 camere di commercio». Sennonche', tale previsione risulta in contrasto, letterale e inequivocabile, con l'art. 10, comma 1, lettera g), della legge delega n. 124 del 2015, che impone al legislatore delegato la «introduzione di una disciplina transitoria che tenga conto degli accorpamenti gia' deliberati alla data di entrata in vigore della presente legge». Dal raffronto delle due previsioni si evince chiaramente come il legislatore delegato fosse vincolato a prevedere una disciplina transitoria per tutti e soli gli accorpamenti gia' deliberati alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 (28 agosto 2015). Di tale disciplina transitoria, pero', non vi e' traccia nel decreto, che prefigura una rideterminazione gia' a regime della geografia camerale, senza accompagnarla con misure che opportunamente ne graduino l'attuazione, come invece prescritto dal Parlamento.
Si chiede pertanto a codesta ecc.ma Corte di voler dichiarare illegittimi gli articoli 3, comma 1, lettera f), e 4, nella parte in cui non prevedono un'apposita disciplina transitoria che consenta - come imposto dalla legge di delega - di modulare nel tempo gli effetti connessi alla rideterminazione della geografia camerale, di indubbio rilievo sotto il profilo della continuita' delle funzioni esercitate e del buon andamento.
P.Q.M.
Voglia l'ecc.ma Corte costituzionale adita, ogni contraria istanza eccezione e deduzione disattesa, accogliere il presente ricorso e per l'effetto:
i) in via principale: a) sollevare innanzi a se stessa, in via di autoremissione, la questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 10, comma 2, della legge 7 agosto 2015, n. 124, nella parte in cui prescrive l'acquisizione del parere e non dell'intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, in relazione all'art. 117, commi 3 e 4 Cost., e al principio di leale collaborazione, e dichiararne l'illegittimita' costituzionale per i profili esposti in narrativa; b) in ogni caso, dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219, per violazione degli articoli 117, commi 3 e 4, e 76 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione;
ii) in via subordinata: a) sollevare innanzi a se stessa, in via di autoremissione, la questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 10, comma 2, della legge 7 agosto 2015, n. 124, nella parte in cui prescrive l'acquisizione del parere e non dell'intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, in relazione all'art. 117, commi 3 e 4 Cost., e al principio di leale collaborazione, e dichiararne l'illegittimita' costituzionale per i profili esposti in narrativa; b) in ogni caso, dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b), n. 2, punto g); dell'art. 1, comma 1, lettera r), punto i); dell'art. 3, commi 4 e 10 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219, per violazione degli articoli 117, commi 3 e 4, 76 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5, 120 della Costituzione; dell'art. 4; nonche' dell'art. 3, comma 1, lettera f) e dell'art. 4, del decreto legislativo n. 219 del 2016, nella parte in cui non prevedono la «introduzione di una disciplina transitoria che tenga conto degli accorpamenti gia' deliberati alla data di entrata in vigore della presente legge» per violazione dell'art. 76, in combinato disposto con l'art. 117, in relazione all'art. 10, comma 1, lettera g), della legge delega n. 124 del 2015.
Si depositeranno, unitamente al presente ricorso notificato:
copia conforme della delibera di giunta regionale n. X/6140 del 23 gennaio 2017;
doc. 1: parere 16/107/CU12/C11 del 29 settembre 2016 reso in sede di Conferenza unificata.
Roma, 24 gennaio 2017
Prof. avv. Marini