RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 11 Gennaio 2005 - 11 Gennaio 2005 , n. 7

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria l'11 gennaio 2005 (del Presidente del Consiglio dei
ministri)

(GU n. 7 del 16-2-2005)

Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato;

Nei confronti della Regione Veneto, in persona del suo presidente
della giunta, avverso l'art. 3 comma 1 [eccettuata la lettera b)] e 3
della legge 5 novembre 2004, n. 21 intitolata «disposizioni in
materia di condono edilizio», pubblicata nel Bollettino ufficiale
n. 113 del 9 novembre 2004.
La determinazione di proposizione del presente ricorso e' stata
approvata dal Consiglio dei ministri nella riunione del 23 dicembre
2004 (si depositera' estratto del relativo verbale).
L'art. 1 della legge in esame giustamente qualifica la legge
stessa «in attuazione di quanto previsto dall'art. 32 del d.l. 30
settembre 2003, n. 269, come converito nella legge 24 novembre 2003,
n. 326», e quindi riconosce che la normativa statale attuando reca
principi fondamentali ai quali le regioni devono conformarsi. Ed
invero la sentenza 28 giugno 2004, n. 196, di codesta Corte ha
riconosciuto «al legislatore regionale un ruolo rilevante .... di
articolazione e specificazione delle disposizioni dettate dal
legislatore statale in tema di condono, sul versante amministrativo»,
ed ha affermato che «l'adozione della legislazione (di articolazione
e specificazione) da parte delle regioni appare non solo opportuna ma
doverosa e da esercitare entro il termine determinato dal legislatore
nazionale».
Le disposizioni ora sottoposte a scrutinio di legittimita'
costituzionale non hanno pero' dato coerente «attuazione» alla
normativa statale. L'art. 3 della legge veneta si e' molto discostato
dai principi determinati dallo Stato, e non soltanto nel senso di una
riduzione delle volumetrie massime sanabili.
L'art. 3 comma 1 lettera c) esclude dalla sanatoria straordinaria
le «nuove costruzioni residenziali» eccettuate quelle pertinenziali
«prive di funzionalita' autonoma» e di volumetria non superiore a 300
metri cubi. Non e' chiaro quali tipologie edilizie il legislatore
veneto abbia avuto presente nel tracciare lo «identikit» di queste
pertinenze non autonome e al tempo stesso non costituenti
ampliamenti; ad esempio, per un garage - che del resto e' unita'
immobiliare pertinenziale ma autonoma - il limite di 300 metri cubi
e' elevato. Forse si e' solo inteso consentire applicazioni concrete
piu' o meno astute e «familiari», caso per caso e con inevitabili
discrezionalita' amministrative.
Qui comunque interessa la non sanabilita', in linea di principio,
delle «nuove costruzioni residenziali». L'anzidetta lettera c) del
comma 1 in esame contrasta con gli artt. 117 e 119 della
Costituzione. Come dianzi osservato, la regione ha riconosciuto di
essere tenuta ad attenersi ai principi posti dalla legislazione
statale, poiche' la disciplina amministrativa del condono edilizio
(non anche la repressione penale degli abusi piu' gravi) rientra
nella materia di competenza concorrente «governo del territorio»
(art. 117, terzo comma, Cost.). In questo quadro, la regione puo'
specificare i limiti (quantitativi e non) della sanabilita' e persino
«limare» entro margini di ragionevole tollerabilita' (come qualche
altra ha fatto) le volumetrie massime previste del legislatore
statale; non puo' invece negare in toto o in misura prevalente
(rispetto al «quantum» di volumetria ammesso dalla legge statale) la
sanabilita' delle «nuove costruzioni residenziali».
Un diniego totale ed aprioristico della sanabilita' sia delle
«nuove costruzioni residenziali» di relativamente modeste dimensioni
realizzate in contrasto con strumenti urbanistici (non anche con
vincoli extraurbanistici) contraddice un principio determinato dal
legislatore statale e persino la configurabilita' - ammessa anche da
codesta Corte - di una sanatoria straordinaria degli illeciti
urbanistici.
La anzidetta lettera c) del comma 1 contrasta inoltre con gli
artt. 117, secondo comma, e 119 Cost. L'art. 117, secondo comma,
lettera A ed E attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in
materia di rapporti con l'Unione europea (e relativi stringenti
«vincoli») e di «moneta» (oggi moneta unica difesa dai noti parametri
di Maastrich) nonche' in materia di «sistema tributario e contabile
dello Stato». D'altro canto, l'art. 117, terzo comma e l'art. 119,
secondo comma attribuiscono allo Stato il compito - particolarmente
arduo - di coordinare la «finanza pubblica» (al singolare).
Notoriamente, piu' leggi del Parlamento fanno affidamento sul gettito
del condono edilizio per la copertura (art. 81 Cost.) di spese
pubbliche e di minori entrate; comprimere in misura oggettivamente
eccessiva le possibilita' di accedere alla sanatoria straordinaria
riduce sensibilmente quel gettito, lede le potesta' statali di
governo della finanza pubblica, e potrebbe persino essere considerato
indebita turbativa dell'equilibrio finanziario del Paese nel suo
insieme. Del resto, la regione non assume a proprio carico l'onere
conseguente alla riduzione del predetto gettito, non sposta cioe'
prelievo da coloro che hanno commesso gli abusi edilizi alla
generalita' dei cittadini che in essa risiedono.
Parimenti grave appare la lesione del principio di eguaglianza
(art. 3, primo comma, Cost.) delle persone rispetto alla legge e
della competenza esclusiva ex art. 117, secondo comma, lettera L
della Costituzione (ordinamento civile e penale). Indubbiamente i
giudici comuni devono applicare anche le leggi regionali;
conseguentemente l'eccessiva restrizione, ad opera del legislatore
veneto, dell'ambito di applicazione della legislazione statale in
tema di condono edilizio obbliga i giudici comuni a rendere, a carico
dei proprietari ed autori di illeciti (e di eventuali
controinteressati e parti offese), pronunce quanto meno
asistematiche.
Identica doglianza per inosservanza dei dianzi evocati parametri
costituzionali deve essere mossa anche nei confronti dell'art. 3,
comma 3, della legge in esame. Detto comma ammette alla sanatoria
straordinaria «esclusivamente» alcuni mutamenti della destinazione
d'uso e «le opere o modalita' di esecuzione non valutabili in termini
di volume» ossia, se ben si e' compreso, a volumetria invariata (non
anche - parrebbe - a superficie utile invariata), e quindi esclude
dalla sanatoria ogni altro intervento abusivo. Questo comma 3 non
«integra» ma sostituisce la normativa statale, posta negli artt. 32
(reso piu' severo dall'art. 32, comma 43, del decreto-legge n. 269
del 2003) e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e nell'art. 32,
comma 27, del teste' citato decreto-legge. Premesso che nessuno
intende indebolire i vincoli extraurbanistici, va osservato che la
tutela dei valori (ad esempio, ambientali) presidiati da tali vincoli
e', di norma, riservata al legislatore statale (art. 117, secondo
comma, lettera S, Cost.) e che i valori stessi sono in concreto
adeguatamente salvaguardati dalla disciplina posta dalle norme
statali dianzi menzionate.
Semmai, il comma 3 in esame introduce ambiguita' pregiudizievoli
per la salvaguardia, quali quella cagionata dallo «ancorche» che
precede le parole «eseguiti in epoca successiva all'imposizione del
relativo vincolo», e quella provocata dal poco puntuale inciso «a
condizione che l'intervento non sia precluso (parrebbe, direttamente)
dalla disciplina di tutela del vincolo». Sembra quasi che il
legislatore veneto non nutra fiducia nei confronti delle
«amministrazioni preposte alla tutela del vincolo». D'altro canto,
l'ammissione a sanatoria degli interventi elencati nell'art. 3, comma
3, puo', a ben vedere, in casi concreti risultare limitativa
dell'esclusione assoluta invece stabilita dal citato art. 33 della
legge n. 47 del 1985.
Un ulteriore motivo di doglianza, anche (ma non solo) di segno
opposto, deve essere formulato nei riguardi dell'art. 3, comma 1,
lettera a), che concerne «gli ampliamenti di costruzioni a
destinazione industriale, artigianale e agricolo - produttiva»
(sembrano escluse le costruzioni destinate ad attivita' commerciali,
direzionali e produttive di servizi). Questa disposizione prevede due
limiti quantitativi, entrambi riferiti alla superfice (anziche' alla
volumetria); in tal modo, di per se' non coerente con la normativa di
principio, essa in pratica veicola un superamento, a favore di abusi
commessi da alcuni imprenditori, del limite di 750 metri cubi fissato
dall'art. 32, comma 25, del citato decreto-legge n. 269 del 2003.
Infatti a 450 metri quadrati di superficie lorda di pavimento
corrisponde una volumetria mediamente di 1800 metri cubi (ed
eventualmente anche parecchio superiore); e il 20 per cento della
superficie coperta - deve ritenersi, ancorche' non sia precisato
dalla costruzione originaria - puo' corrispondere a piu' del 30%
della volumetria della costruzione originaria. Tale superamento
contrasta con la riduzione introdotta invece dalla successiva lettera
b).
La lettera a) in esame contrasta con principi determinati dalla
legislazione statale (art. 117, terzo comma, Cost.); nella citata
sentenza n. 196 del 2004 «la determinazione delle volumetrie massime»
e' indicata tra i principi, e nello stesso senso e' il punto 1 del
dispositivo con le parole «... inferiori a quelli ivi indicati».
Inoltre - per quanto estende l'ambito della sanabilita' - invade
palesemente la competenza esclusiva del Parlamento nazionale in
materia di «ordinamento civile e penale» (art. 117, secondo comma,
lettera L, Cost.) nei giudizi civili e penali i proprietari (imputati
o convenuti) beneficiari di sanatoria solo «regionale» chiederebbero
pronunce non consentite dalla legislazione statale (con prevedibili
questioni di legittimita' costituzionale sollevata in via
incidentale).
La demolizione delle disposizioni considerate non produce lacune,
posto che essa consente il riespandersi della normativa statale. Si
confida peraltro in un nuovo sollecito intervento legislativo della
regione intervento che - se effettivamente idoneo a superare la
controversia - potrebbe non essere reputato tardivo.



P. Q. M.
Si chiede pertdanto che sia dichiarata la illegittimita'
costituzionale delle disposizioni legislative sottoposte a giudizio,
con ogni consequenziale pronuncia e con invito alla regione a non
procedere alla attuazione delle disposizioni stesse in pendenza del
giudizio.
Roma, addi' 28 dicembre 2004
Vice Avvocato dello Stato: Franco Favara

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