Ricorso n. 70 del 15 ottobre 2008 (Regione Veneto)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 15 ottobre 2008 , n. 70
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 22 ottobre 2008 (della Regione Veneto)
(GU n. 50 del 3-12-2008)
Ricorso per la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, autorizzato mediante deliberazione della Giunta stessa 7 ottobre 2008, n. 2883, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avv. prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova, Ezio Zanon dell'Avvocatura regionale e Luigi Manzi del Foro di Roma, presso quest'ultimo domiciliata in Roma, via F. Confalonieri, n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege, in Roma, via dei Portoghesi n. 12, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale - per violazione degli artt. 3, 97, 117, 118, 119 e del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. - degli artt. 11, 13, 23, commi l, 2, 3 e 4, 43, comma 1, 58, 61, commi 8, 9,14, 19, 20 e 21; 62, commi 01, 1, 2 e 3, 179, commi 1-bis e 1-ter del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita' la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria» cosi' come risultante a seguito della conversione, con modificazioni, operata dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 195 del 21 agosto 2008 - Supplemento ordinario, n. 196. F a t t o e D i r i t t o 1. - Con il ricorso che segue la Regione Veneto lamenta avanti a codesta ecc.ma Corte l'incostituzionalita', per lesione delle competenze ad essa costituzionalmente attribuite, di alcune disposizioni normative contenute nel decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, cosi' come risultante dalla sua conversione, con modifiche, operata dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Come noto, il suddetto provvedimento normativo reca «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria» e costituisce, seppur in forma insolita, la legge finanziaria per il 2009. Anche quest'anno in essa non mancano previsioni normative che - talora con strumenti nuovi e, talora, con mezzi gia' usati e addirittura gia' censurati da codesta Corte - tentano di porre nel nulla la volonta' del costituente e di ignorare la riforma del Titolo V, avvenuta ad opera della legge costituzionale 18 ottobre 200l, n. 3. Seguono le specifiche doglianze avanzate dalla regione ricorrente. 2. - Si vengono di seguito a considerare le censure relative alla disciplina posta dal legislatore statale agli artt. 11 e 13 del suddetto provvedimento normativo. Trattandosi di due disposizioni in materia di edilizia residenziale pubblica, sembra opportuno premettere alle specifiche doglianze un breve richiamo alla giurisprudenza costituzionale sul punto. 2.1 - Codesta ecc.ma Corte ha chiarito (da ultimo molto limpidamente con la sentenza 21 marzo 2007, n. 94) che la materia «edilizia residenziale pubblica», pur non essendo ricompresa nell'elenco di materie di cui al secondo e al terzo comma dell'art. 117 Cost., non puo' essere ricondotta alla potesta' legislativa residuale delle regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma. La materia, infatti, possiede quel carattere di «trasversalita'» individuato dalla giurisprudenza a proposito di altre materie non interamente classificabili all'interno di una denominazione contenuta nell'art. 117 Cost. e ad oggi (in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione) si estende su tre livelli normativi. «Il primo riguarda la determinazione dell'offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti. In tale determinazione - che, qualora esercitata rientra nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. - si inserisce la fissazione di principi che valgano a garantire l'uniformita' dei criteri di assegnazione su tutto il territorio nazionale (...) Il secondo livello normativo riguarda la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia ''governo del territorio'', ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost. (...) Il terzo livello normativo, rientrante nel quarto comma dell'art. 117 Cost., riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprieta' degli Istituti autonomi per le case popolari o degli enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione regionale» (cosi' in Corte cost., sent., 21 marzo 2007, n. 94). 2.2 - Seguono le censure relative all'art. 11 del decreto-legge n. 112/2008 cosi' come risultante a seguito della conversione con legge n. 133/2008, non prima, pero', di averne richiamato il dettato. L'art. 11, rubricato «Piano casa», recita: «l. Al fine di garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo della persona umana, e' approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) e d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, un piano nazionale di edilizia abitativa. 2. Il piano e' rivolto all'incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l'offerta di abitazioni di edilizia residenziale, da realizzare nel rispetto dei criteri di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni inquinanti, con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati, destinate prioritariamente a prima casa per: a) nuclei familiari a basso reddito, anche monoparentali o monoreddito; b) giovani coppie a basso reddito; c) anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate; d) studenti fuori sede; e) soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio; f) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui all'articolo 1 della legge 8 febbraio 2007, n. 9; g) immigrati regolari a basso reddito, residenti da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione. 3. Il Piano nazionale di edilizia abitativa ha ad oggetto la costruzione di nuove abitazioni e la realizzazione di misure di recupero del patrimonio abitativo esistente ed e' articolato, sulla base di criteri oggettivi che tengano conto dell'effettivo bisogno abitativo presente nelle diverse realta' territoriali, attraverso i seguenti interventi: a) costituzione di fondi immobiliari destinati alla valorizzazione e all'incremento dell'offerta abitativa, ovvero alla promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi e con la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati, articolati anche in un sistema integrato nazionale e locale, per l'acquisizione e la realizzazione di immobili per l'edilizia residenziale; b) incremento del patrimonio abitativo di edilizia con le risorse anche derivanti dall'alienazione di alloggi di edilizia pubblica in favore degli occupanti muniti di titolo legittimo, con le modalita' previste dall'articolo 13; c) promozione da parte di privati di interventi anche ai sensi della parte II, titolo III, Capo III del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163; d) agevolazioni, anche amministrative, in favore di cooperative edilizie costituite tra i soggetti destinatari degli interventi, potendosi anche prevedere termini di durata predeterminati per la partecipazione di ciascun socio, in considerazione del carattere solo transitorio dell'esigenza abitativa; e) realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia residenziale anche sociale. 4. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti promuove la stipulazione di appositi accordi di programma, approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa delibera del CIPE, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, al fine di concentrare gli interventi sulla effettiva richiesta abitativa nei singoli contesti, rapportati alla dimensione fisica e demografica del territorio di riferimento, attraverso la realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana, caratterizzati da elevati livelli di qualita' in termini di vivibilita', salubrita', sicurezza e sostenibilita' ambientale ed energetica, anche attraverso la risoluzione dei problemi di mobilita', promuovendo e valorizzando la partecipazione di soggetti pubblici e privati. Decorsi novanta giorni senza che sia stata raggiunta la predetta intesa, gli accordi di programma possono essere comunque approvati. 5. Gli interventi di cui al comma 4 sono attuati anche attraverso le disposizioni di cui alla parte II, titolo III, Capo III, del citato codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, mediante: a) il trasferimento di diritti edificatori in favore dei promotori degli interventi di incremento del patrimonio abitativo; b) incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualita' urbana, nel rispetto delle aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici o riservati alle attivita' collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444; c) provvedimenti mirati alla riduzione del prelievo fiscale di pertinenza comunale o degli oneri di costruzione; d) la costituzione di fondi immobiliari di cui al comma 3, lettera a) con la possibilita' di prevedere altresi' il conferimento al fondo dei canoni di locazione, al netto delle spese di gestione degli immobili; e) la cessione, in tutto o in parte, dei diritti edificatori come corrispettivo per la realizzazione anche di unita' abitative di proprieta' pubblica da destinare alla locazione a canone agevolato, ovvero da destinare alla alienazione in favore delle categorie sociali svantaggiate di cui al comma 2. 6. I programmi di cui al comma 4 sono finalizzati a migliorare e a diversificare, anche tramite interventi di sostituzione edilizia, l'abitabilita', in particolare, nelle zone caratterizzate da un diffuso degrado delle costruzioni e dell'ambiente urbano. 7. Ai fini della realizzazione degli interventi di cui al comma 3, lettera e) l'alloggio sociale, in quanto servizio economico generale, ed identificato, ai fini dell'esenzione dall'obbligo della notifica degli aiuti di Stato, di cui agli articoli 87 e 88 del Trattato che istituisce la Comunita' europea, come parte essenziale e integrante della piu' complessiva offerta di edilizia residenziale sociale, che costituisce nel suo insieme servizio abitativo finalizzato al soddisfacimento di esigenze primarie. 8. In sede di attuazione dei programmi di cui al comma 4, sono appositamente disciplinati le modalita' e i termini per la verifica periodica delle fasi di realizzazione del piano, in base al cronoprogramma approvato e alle esigenze finanziarie, potendosi conseguentemente disporre, in caso di scostamenti, la diversa allocazione delle risorse finanziarie pubbliche verso modalita' di attuazione piu' efficienti. Le abitazioni realizzate o alienate nell'ambito delle procedure di cui al presente articolo possono essere oggetto di successiva alienazione decorsi dieci anni dall'acquisto originario. 9. L'attuazione del piano nazionale puo' essere realizzata, in alternativa alle previsioni di cui al comma 4, con le modalita' approvative di cui alla parte II, titolo III, capo IV, del citato codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. 10. Una quota del patrimonio immobiliare del demanio, costituita da aree ed edifici non piu' utilizzati, puo' essere destinata alla realizzazione degli interventi previsti dal presente articolo, sulla base di accordi tra l'Agenzia del demanio, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero della difesa in caso di aree ed edifici non piu' utilizzati a fini militari, le regioni e gli enti locali. 11. Per la migliore realizzazione dei programmi, i comuni e le province possono associarsi ai sensi di quanto previsto dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni. I programmi integrati di cui al comma 4 sono dichiarati di interesse strategico nazionale. Alla loro attuazione si provvede con l'applicazione dell'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni. 12. Per l'attuazione degli interventi previsti dal presente articolo e' istituito un fondo nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel quale confluiscono le risorse finanziarie di cui all'articolo 1, comma 1154, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nonche' di cui agli articoli 21, 2l-bis, ad eccezione di quelle gia' iscritte nei bilanci degli enti destinatari e impegnate, e 41 del decreto-legge l° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, e successive modificazioni. Gli eventuali provvedimenti adottati in attuazione delle disposizioni legislative citate al primo periodo del presente comma, incompatibili con il presente articolo, restano privi di effetti. A tale scopo le risorse di cui agli articoli 21, 21-bis e 41 del citato decretolegge n. 159 del 2007 sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere iscritte sul fondo di cui al presente comma, negli importi corrispondenti agli effetti in termini di indebitamento netto previsti per ciascun anno in sede di iscrizione in bilancio delle risorse finanziarie di cui alle indicate autorizzazioni di spesa. 13. Ai fini del riparto del Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, di cui all'articolo 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, i requisiti minimi necessari per beneficiare dei contributi integrativi come definiti ai sensi del comma 4 del medesimo articolo devono prevedere per gli immigrati il possesso del certificato storico di residenza da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione». L'articolo, in sostanza, prevede l'approvazione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa delibera del CIPE, d'intesa con la Conferenza Unificata, su proposta del Ministero delle infrastrutture, di un piano nazionale di edilizia abitativa destinato ad incrementare il patrimonio immobiliare attraverso la costruzione di nuove abitazioni e la realizzazione di misure di recupero del patrimonio abitativo esistente. Al suddetto piano si aggiungeranno degli accordi di programma promossi dal Ministero delle infrastrutture e programmi integrati di promozione di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana. Al comma 12 e' prevista, inoltre, l'istituzione di uno specifico fondo destinato a finanziare l'attuazione del Piano e dei suddetti accordi. Tanto premesso, risulta evidente che la disposizione normativa sottoposta al sindacato di codesto ecc.mo Collegio si occupa, innanzitutto, di programmazione di edilizia residenziale, ossia di un profilo della materia «edilizia residenziale pubblica» che, come chiarito dalla giurisprudenza citata di codesta Corte, ricade nell'ambito del «governo del territorio» di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. Trattandosi di materia di legislazione concorrente, allo Stato spetterebbe solo di dettare i principi fondamentali, lasciando che su ogni altro aspetto sia la Regione a normare. Cosi' non e' certo avvenuto nel caso di specie: il legislatore statale ha, infatti, previsto che dell'intera programmazione si occupi lo Stato, mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. E non sembra inutile evidenziare che la previsione di un'intesa in sede di Conferenza unificata, per quanto posta come condizione indefettibile per l'approvazione del suddetto d.P.C.m., non soddisfa minimamente il dettato costituzionale che attribuisce alla regione il potere legislativo, ad esclusione dei principi fondamentali, in materia. Sembra, poi, opportuno, considerare che, avendo la disposizione impugnata gia' elencato compiutamente le finalita' specifiche e gli interventi concreti che il piano potra' adottare, l'intesa che comunque dovesse ottenersi in sede di Conferenza Unificata non potrebbe considerarsi il frutto di una ponderazione davvero libera delle regioni. Sempre con riguardo alla previsione di approvazione di un c.d. piano casa, deve, infine, rilevarsi che la scelta di un decreto del Primo Ministro risulta contraria a Costituzione anche sotto un ulteriore profilo: la suddetta fonte regolamentare e', infatti, destinata a disciplinare un settore che, per quanto gia' ampiamente ricordato, non e' di competenza legislativa esclusiva statale, in aperto contrasto con l'art. 117, sesto comma, Cost. In subordine, poi, ammesso e non concesso che si ritenesse di poter giustificare la lesione delle competenze legislative regionali utilizzando l'istituto della c.d. attrazione in sussidiarieta', sembra opportuno svolgere fin da ora alcune considerazioni difensive. Codesta ecc.ma Corte ha, infatti, individuato quali condizioni devono necessariamente sussistere perche' la suddetta «chiamata in sussidiarieta'» da parte dello Stato della competenza legislativa in materia di «programmi di edilizia residenziale pubblica» possa legittimamente avvenire. Accanto alla sussistenza di un interesse unitario - neppure evocato nel provvedimento impugnato e comunque piuttosto discutibile nel caso di specie - e alla previsione di una previa intesa con la Conferenza unificata, la deroga al riparto delle competenze legislative deve risultare proporzionata. Con specifico riguardo alla materia «edilizia residenziale pubblica», codesto Collegio ha affermato sussistere la proporzionalita' quando «lo Stato non interferisce nella predisposizione dei programmi regionali, ma si limita a fissare le linee generali indispensabili per l'armonizzazione dei programmi su scala nazionale» (Corte cost., sent., 23 maggio 2008, n. 166). Dal momento che nel caso sottoposto al sindacato del Giudice delle leggi lo Stato pretende, invece, proprio di sostituirsi in toto alle regioni nella pianificazione, il requisito della proporzionalita' non e' rispettato, con conseguente violazione dell'art. 120 Cost. ed evidente spregio del principio di leale collaborazione. L'inosservanza del dettato costituzionale e', sotto questo profilo, ancora piu' grave nel comma 4 dell'art. 11 impugnato, ove si prevede che, in caso di mancato raggiungimento di un'intesa in sede di Conferenza unificata entro il breve termine di novanta giorni, gli accordi di programma finalizzati a concentrare gli interventi sulla effettiva richiesta abitativa nei singoli contesti del territorio, siano approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri «bypassando» del tutto l'accordo con le regioni. La suddetta previsione, infatti, attribuisce al Governo un ruolo preminente, incompatibile con il regime dell'intesa, caratterizzata, invece, dalla «paritaria codeterminazione dell'atto» (cfr. Corte cost., sent., 6 febbraio 2007, n. 24, ove si dichiara l'illegittimita' costituzionale di un'analoga previsione normativa della Regione Puglia). Sempre con riguardo alla disposizione normativa di cui all'art. 11 impugnato, la regione ricorrente lamenta, infine, la violazione del principio di autonomia finanziaria derivante dall'istituzione, nel comma 12, di un fondo destinato all'attuazione del c.d. piano casa. Il legislatore centrale, infatti, non puo' prevedere finanziamenti a destinazione vincolata in materie di potesta' legislativa concorrente, quale certamente e' l'«edilizia residenziale pubblica», senza con cio' opporsi al dettato dell'art. 119 Cost. Come codesto ecc.mo Collegio ha chiarito, lo Stato puo' istituire e disciplinare fondi a destinazione vincolata solo nelle materie di sua competenza legislativa esclusiva (in questo senso, Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 29 gennaio 2004, n. 49. Il medesimo principio si ricava, tuttavia, anche da Corte cost., sent., 23 dicembre 2003, n. 370; Corte cost., sent., 29 dicembre 2004, n. 423; Corte cost., sent., 18 febbraio 2005, n. 77; Corte cost., sent., 18 marzo 2005, n. 107; Corte cost., sent., 24 marzo 2006, n. 118). In linea generale, invece, solamente due tipologie di fondi possono essere considerate rispettose del dettato dell'art. 119 Cost.: (i) un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacita' fiscale per abitante (art. 119, terzo comma, Cost.), che, insieme ad entrate e tributi propri e compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al proprio territorio (art. 119, secondo comma, Cost.), serve a finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite a regioni ed enti locali (art. 119, comma 4, Cost.) e (ii) «risorse aggiuntive» ed «interventi speciali» in favore di determinate regioni, province, citta' metropolitane e comuni, al fine di «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta' sociale, (...) rimuovere gli squilibri economici e sociali, (...) favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, (...) provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni» (art. 119, comma 5, Cost.). Dal momento che si potrebbe esser tentati di sussumere la fattispecie in esame nella seconda ipotesi di fondo, si ricorda che, proprio in relazione a questi ultimi, codesto ecc.mo Giudice delle leggi ha precisato che essi «non solo debbono essere aggiuntivi rispetto al finanziamento integrale (...) delle funzioni spettanti ai Comuni o agli altri enti, e riferirsi alle finalita' di perequazione e di garanzia enunciate nella norma costituzionale, o comunque a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni, ma debbono essere indirizzati a determinati comuni o categorie di comuni (o province, citta' metropolitane, regioni)» e che «l'esigenza di rispettare il riparto costituzionale delle competenze legislative fra Stato e Regioni comporta altresi' che, quando tali finanziamenti riguardino ambiti di competenza delle regioni, queste siano chiamate ad esercitare compiti di programmazione e di riparto dei fondi all'interno del proprio territorio» (cosi' Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 8 giugno 2005, n. 222), cosa che evidentemente non e' stata prevista dalla disposizione impugnata. Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 cosi' come risultante a seguito della conversione con legge 6 agosto 2008, n. 133, per contrasto con gli articoli 117 e 119 Cost. e, in subordine, con l'art. 120 Cost., il principio di leale collaborazione, nonche' con l'art. 119 Cost. 2.3 - Si viene ora a trattare dell'art. 13. Rubricato «Misure per valorizzare il patrimonio residenziale pubblico», in esso si prevede testualmente che: «l. Al fine di valorizzare gli immobili residenziali costituenti il patrimonio degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, e di favorire il soddisfacimento dei fabbisogni abitativi, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministro per i rapporti con le regioni promuovono, in sede di Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, la conclusione di accordi con regioni ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili di proprieta' dei predetti Istituti. 2. Ai fini della conclusione degli accordi di cui al comma l, si tiene conto dei seguenti criteri: a) determinazione del prezzo di vendita delle unita' immobiliari in proporzione al canone di locazione; b) riconoscimento del diritto di opzione all'acquisto, purche' i soggetti interessati non siano proprietari di un'altra abitazione, in favore dell'assegnatario non moroso nel pagamento del canone di locazione o degli oneri accessori unitamente al proprio coniuge, qualora risulti in regime di comunione dei beni, ovvero, in caso di rinunzia da parte dell'assegnatario, in favore del coniuge in regime di separazione dei beni, o, gradatamente, del convivente more uxorio, purche' la convivenza duri da almeno cinque anni, dei figli conviventi, dei figli non conviventi; c) destinazione dei proventi delle alienazioni alla realizzazione di interventi volti ad alleviare il disagio abitativo. 3. Nei medesimi accordi, fermo quanto disposto dall'articolo 1, comma 6, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, puo' essere prevista la facolta' per le amministrazioni regionali e locali di stipulare convenzioni con societa' di settore per lo svolgimento delle attivita' strumentali alla vendita dei singoli beni immobili. 3-bis. Al fine di consentire alle giovani coppie di accedere a finanziamenti agevolati per sostenere le spese connesse all'acquisto della prima casa, a partire dal l° settembre 2008 e' istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della gioventu', un Fondo speciale di garanzia per l'acquisto della prima casa da parte delle coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, con priorita' per quelli i cui componenti non risultano occupati con rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La complessiva dotazione del Fondo di cui al primo periodo e' pari a 4 milioni di euro per l'anno 2008 e 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009 e 20l0. Con decreto del Ministro della gioventu', di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono disciplinate le modalita' operative di funzionamento del Fondo di cui al primo periodo. 3-ter. Gli alloggi realizzati ai sensi della legge 9 agosto 1954, n. 640, non trasferiti ai comuni alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ai sensi della legge 23 dicembre 2000, n. 388, possono essere ceduti in proprieta' agli aventi diritto secondo le disposizioni di cui alla legge 24 dicembre 1993, n. 560, a prescindere dai criteri e requisiti imposti dalla predetta legge n. 640 del 1954. 3-quater. Presso il Ministero dell'economia e delle finanze e' istituito il Fondo per la tutela dell'ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio. La dotazione del fondo e' stabilita in 60 milioni di euro per l'anno 2009, 30 milioni di euro per l'anno 2010 e 30 milioni di euro per l'anno 2011. A valere sulle risorse del fondo sono concessi contributi statali per interventi realizzati dagli enti destinatari nei rispettivi territori per il risanamento e il recupero dell'ambiente e lo sviluppo economico dei territori stessi. Alla ripartizione delle risorse e all'individuazione degli enti beneficiari si provvede con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze in coerenza con apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Al relativo onere si provvede, quanto a 30 milioni di euro per l'anno 2009, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per il medesimo anno, dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero e, quanto a 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011, mediante corrispondente riduzione della dotazione del fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.». L'art. 13 in esame, quindi, dispone innanzitutto che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministro per i rapporti con le regioni promuovano la conclusione di accordi con regioni ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili di proprieta' degli Istituti autonomi per le case popolari, dettando, tra l'altro, criteri specifici e dettagliati da seguire nella predisposizione degli stessi. La disposizione normativa impugnata ripropone, sul punto, anche se con formulazione parzialmente diversa, i contenuti di cui ai commi 597, 598, 599 e 600 dell'art. 1 della legge n. 266/2005 (Legge finanziaria per il 2006) gia' impugnati dalla Regione Veneto avanti a codesta ecc.ma Corte e da Essa dichiarati costituzionalmente illegittimi (il riferimento e' a Corte cost., sent., 21 marzo 2007, n. 94). Ancora una volta, infatti, lo Stato - seppur, ora, prevedendo la stipulazione di un accordo con gli enti territoriali - tenta di intervenire nella disciplina della gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprieta' degli IACP, ignorando il fatto che si tratta di ambito materiale «sicuramente ricompreso nella potesta' legislativa residuale delle regioni, ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost.» (cfr. Corte cost., sent., 21 marzo 2007, n. 94). Nelle materie di cui al quarto comma dell'art. 117 Cost. - sia consentito di ricordarlo - la competenza legislativa regionale e' esclusiva. Cio' significa che essa e' tenuta a rispettare, ai sensi del primo comma del medesimo articolo, solo la Costituzione, i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e gli obblighi internazionali, mentre non necessita di essere preceduta o altrimenti vincolata da alcuna intesa con lo Stato. In ogni caso, sembra opportuno rilevare che gli accordi che i Ministri dovranno promuovere ben difficilmente potranno essere il frutto dell'incontro di due volonta' egualmente libere e pari ordinate giacche' i fondamentali contenuti degli stessi sono gia' stati dettagliatamente predeterminati dal legislatore statale. Il secondo comma prescrive, infatti, che l'accordo tra Governo, regioni ed enti locali contenga: la proporzionalita' tra canone e prezzo di vendita (lett. a), l'esercizio del diritto di opzione all'acquisto per l'assegnatario e altri soggetti, puntualmente individuati (lett. b), la destinazione specifica dei proventi dell'alienazione, che dovranno esser reinvestiti a favore di interventi volti ad alleviare il disagio abitativo (lett. c). In questo modo la legge dello Stato ha individuato non solo le scelte politiche di fondo, bensi' gli indirizzi e la stessa disciplina specifica che dovra' essere adottata in tema di alienazione e reinvestimento degli immobili degli Istituti autonomi per le case popolari. Non basta: la normativa in esame viene ad incidere anche sull'autonomia finanziaria e patrimoniale delle regioni, in conseguente spregio dell'art. 119 Cost. Gli Istituti autonomi per le case popolari, infatti, sono enti strumentali della regione: ponendo vincoli alla disposizione del loro patrimonio immobiliare e all'utilizzo dei proventi che derivano dall'alienazione dello stesso, si condiziona sensibilmente lo spazio di autonomia che il legislatore costituzionale ha, invece, espressamente attribuito alla regione. Ugualmente lesiva dell'autonomia finanziaria di cui all'art. 119 Cost. e' la previsione di cui al comma 3-bis. Si tratta dell'istituzione di un fondo speciale a destinazione vincolata finalizzato a garantire l'acquisto della prima casa da parte delle coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori. Richiamando le argomentazioni svolte con riguardo ai finanziamenti a destinazione vincolata di cui al punto 2.2 del presente ricorso, si evidenzia, infatti, che il suddetto fondo e' destinato ad operare in un ambito materiale sul quale lo Stato non ha competenza esclusiva e che esso non risulta sussumibile nella categoria di quelle «risorse aggiuntive» e destinate a determinati e specifici enti che soddisfano il disposto di cui all'art. 119, quinto comma, Cost. Non si dimentichi, poi, che, «l'esigenza di rispettare il riparto costituzionale delle competenze legislative fra Stato e regioni comporta altresi' che, quando tali finanziamenti riguardino ambiti di competenza delle regioni, queste siano chiamate ad esercitare compiti di programmazione e di riparto dei fondi all'interno del proprio territorio» (cosi' Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 8 giugno 2005, n. 222), cosa che evidentemente non e' stata prevista dalla disposizione impugnata, la quale rimette al Ministro della gioventu', di concerto col Ministro dell'economia e delle finanze, la determinazione delle modalita' operative di funzionamento di detto fondo. Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 13 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 cosi' come risultante a seguito della conversione con legge 6 agosto 2008, n. 133, per contrasto con gli articoli 117 e 119 Cost. 3. - Si tratta ora di esporre le censure che la Regione Veneto solleva con riguardo all'art. 23, commi l, 2, 3 e 4 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, cosi' come risultante dalla sua conversione, con modifiche, operata con legge 6 agosto 2008, n. 133. La disposizione normativa, rubricata «Modifiche alla disciplina del contratto di apprendistato», nei commi impugnati, prevede testualmente che: «1. All'articolo 49, comma 3, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 le parole da «inferiore a due anni e superiore a sei» sono sostituite con «superiore a sei anni». 2. All'articolo 49 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e' aggiunto il seguente comma: «5-ter In caso di formazione esclusivamente aziendale non opera quanto previsto dal comma 5. In questa ipotesi i profili formativi dell'apprendistato professionalizzante sono rimessi integralmente ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale ovvero agli enti bilaterali. I contratti collettivi e gli enti bilaterali definiscono la nozione di formazione aziendale e determinano, per ciascun profilo formativo, la durata e le modalita' di erogazione della formazione, le modalita' di riconoscimento della qualifica professionale al fini contrattuali e la registrazione nel libretto formativo». 3. Al comma 1 dell'articolo 50 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 dopo le parole «alta formazione» sono inserite le seguenti: «compresi i dottorati di ricerca». 4. Al comma 3 dell'articolo 50 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 dopo le parole «e le altre istituzioni formative» sono aggiunti i seguenti periodi: «In assenza di regolamentazioni regionali l'attivazione dell'apprendistato di alta formazione e' rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai datori di lavoro con le Universita' e le altre istituzioni formative. Trovano applicazione, per quanto compatibili, i principi stabiliti all'articolo 49, comma 4, nonche' le disposizioni di cui all'articolo 53.». Le disposizioni impugnate apportano delle modifiche agli artt. 49 e 50 del decreto legislativo n. 267/03, rispettivamente afferenti l'«apprendistato professionalizzante» e l'«apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione». Con particolare riguardo all'apprendistato professionalizzante, le modifiche introdotte riguardano, da una parte, l'eliminazione del termine di durata minimo del contratto e, dall'altra, l'attribuzione del potere di disciplinare la formazione aziendale ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro, con esclusione di una qualunque potesta' di intervento regionale. Quanto alle modifiche apportate all'apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione, invece, esse si risolvono nell'inserimento del dottorato di ricerca tra i titoli di studio che possono essere acquisiti con tale tipologia di contratto e nella previsione che, in assenza di una disciplina regionale che regolamenti l'apprendistato e ne definisca la durata, l'attivazione dell'apprendistato sia rimessa ad apposite convenzioni tra datori di lavoro e Universita' o altre istituzioni formative. 3.1 - Alla descrizione dei diversi profili di illegittimita' rilevati dalla ricorrente, sembra opportuno premettere qualche breve cenno sulla giurisprudenza costituzionale in materia di «apprendistato». Codesta ecc.ma Corte ha, anche di recente, chiarito che «la disciplina dell'apprendistato e' costituita da norme che attengono a materie per le quali sono stabilite competenze legislative di diversa attribuzione (esclusiva dello Stato, ripartita, residuale delle regioni) e che alla composizione delle relative interferenze provvedono strumenti attuativi del principio di leale collaborazione». Il Giudice delle leggi ha osservato, infatti, che, «mentre la formazione da impartire all'interno delle aziende attiene precipuamente all'ordinamento civile, la disciplina di quella esterna rientra nella competenza regionale in materia di formazione professionale, con interferenze pero' con altre materie, in particolare con l'istruzione, per la quale lo Stato ha varie attribuzioni: norn1e generali e determinazione dei principi fondamentali» (il riferimento e' a Corte cost., sent., 19 dicembre 2006, n. 425; ma, nel medesimo senso, anche: Corte cost., sent., 7 dicembre 2006, n. 406; Corte cost., sent., 15 luglio 2005, n. 279). Sulla scorta di queste osservazioni, codesta ecc.ma Corte ha dichiarato non fondate le censure mosse da alcune regioni e dalla Provincia di Trento proprio contro alcune disposizioni normative del decreto legislativo n. 267/2003 sopra richiamato, tra le quali anche gli artt. 49 e 50 (cfr. Corte cost., sent., 28 gennaio 2005, n. 50). La loro conformita' a Costituzione doveva, infatti, - cosi' la Corte ha affermato - ritenersi garantita, con riguardo all'apprendistato professionalizzante, dalla previsione del coinvolgimento delle regioni (chiamate a stipulare un'intesa con le associazioni di datori e prestatori di lavoro) nella regolamentazione dei profili formativi; e, in materia di apprendistato per l'acquisizione di un diploma o in un percorso di alta formazione, dall'attribuzione del potere di intervenire sulla regolamentazione e sulla durata dell'apprendistato stesso alle regioni, per i soli profili attenenti alla formazione, d'accordo con le associazioni di datori e prestatori di lavoro (sul punto si veda Corte cost., sent., 19 dicembre 2006, n. 425). 3.2 - Ma se codesta ecc.ma Corte ha ritenuto di poter dichiarare la legittimita' costituzionale della disciplina statale in materia di apprendistato sulla base di questi presupposti e' evidente che ove questi mancassero la soluzione dovrebbe essere di segno contrario. E' compito della regione ricorrente allora rilevare che la nuova disciplina in materia di apprendistato si caratterizza, diversamente, proprio per aver negato all'ente regionale la possibilita' di concorrere, nel rispetto delle competenze legislative ad esso attribuite dalla Costituzione all'art. 117, alla definizione della disciplina dell'apprendistato. Dall'art. 23 impugnato viene, infatti, escluso il coinvolgimento regionale nella regolamentazione dell'apprendistato aziendale (ora attribuita ai contratti collettivi di lavoro) e nelle convenzioni finalizzate ad attivare l'apprendistato per l'acquisizione di un diploma (alle quali partecipano datori di lavoro, Universita' ed altre istituzioni informative). E' evidente, poi, che un intervento legislativo di tal fatta, nel caso di specie, risulta anche gravemente lesivo del principio di leale collaborazione che - come gia' evidenziato - codesta ecc.ma Corte ha indicato, al contrario, come il criterio cardine da attuare per l'esclusione ed, eventualmente, la composizione delle interferenze tra le diverse competenze legislative concorrenti-confliggenti in materia di disciplina sull'apprendistato. Infine, il Veneto, oggi ricorrente, ritiene necessario sottolineare l'assoluta irragionevolezza della disciplina normativa introdotta dall'impugnato art. 23. Irragionevole e' la soppressione di un termine minimo per il contratto di apprendistato (che tra l'altro, al posto di contrastare il ricorso all'apprendistato per i lavoratori stagionali, favorisce l'elusione della legge sul punto); ma irrazionale e' anche l'esclusione della regione dalla definizione della regolamentazione dell'apprendistato aziendale. La suddetta scelta, infatti, oltre a creare disagi organizzativi connessi all'attuale gestione regionale di un sistema di apprendistato integrato di formazione interna ed esterna, potrebbe comportare in futuro disfunzioni legate alla possibile mancata definizione da parte dei contratti collettivi della disciplina dell'apprendistato. Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 23, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 cosi' come risultante a seguito della conversione con legge 6 agosto 2008, n. 133, per contrasto con gli articoli 3 e 117 Cost., nonche' per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 4. - Si prosegue, quindi, considerando l'art. 43, rubricato «Semplificazione degli strumenti di attrazione degli investimenti e di sviluppo d'impresa» che al primo comma (unico comma impugnato dal Veneto), stabilisce quanto segue: «Per favorire l'attrazione degli investimenti e la realizzazione di progetti di sviluppo di impresa rilevanti per il rafforzamento della struttura produttiva del Paese, con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, sono stabiliti i criteri, le condizioni e le modalita' per la concessione di agevolazioni finanziarie a sostegno degli investimenti privati e per la realizzazione di interventi ad essi complementari e funzionali. Con tale decreto, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per quanto riguarda le attivita' della filiera agricola e della pesca e acquacoltura, e con il Ministro per la semplificazione normativa, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, si provvede, in particolare a: a) individuare le attivita', le iniziative, le categorie di imprese, il valore minimo degli investimenti e le spese ammissibili all'agevolazione, la misura e la natura finanziaria delle agevolazioni concedibili nei limiti consentiti dalla vigente normativa comunitaria, criteri di valutazione dell'istanza di ammissione all'agevolazione; b) affidare, con le modalita' stabilite da apposita convenzione, all'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A. le funzioni relative alla gestione dell'intervento di cui al presente articolo, ivi comprese quelle relative alla ricezione, alla valutazione ed alla approvazione della domanda di agevolazione, alla stipula del relativo contratto di ammissione, all'erogazione, al controllo ed al monitoraggio dell'agevolazione, alla partecipazione al finanziamento delle eventuali opere infrastrutturali complementari e funzionali all'investimento privato; c) stabilire le modalita' di cooperazione con le regioni e gli enti locali interessati, ai fini della gestione dell'intervento di cui al presente articolo, con particolare riferimento alla programmazione e realizzazione delle eventuali opere infrastrutturali complementari e funzionali all'investimento privato; d) disciplinare una procedura accelerata che preveda la possibilita' per l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A. di chiedere al Ministero dello sviluppo economico l'indizione di conferenze di servizi ai sensi dell'articolo 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Alla conferenza partecipano tutti i soggetti competenti all'adozione dei provvedimenti necessari per l'avvio dell'investimento privato ed alla programmazione delle opere infrastrutturali complementari e funzionali all'investimento stesso, la predetta Agenzia nonche', senza diritto di voto, il soggetto che ha presentato l'istanza per la concessione dell'agevolazione. All'esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui all'articolo 14-ter comma 3, della citata legge n. 241 del 1990, il Ministero dello sviluppo economico adotta, in conformita' alla determinazione conclusiva della conferenza di servizi, un provvedimento di approvazione del progetto esecutivo che sostituisce, a tutti gli effetti, salvo che la normativa comunitaria non disponga diversamente, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato necessario all'avvio dell'investimento agevolato e di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza; e) le agevolazioni di cui al presente comma sono cumulabili, nei limiti dei massimali previsti dalla normativa comunitaria, con benefici fiscali». Il legislatore statale, quindi, ha stabilito che, con decreto non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, sentita la Conferenza Stato-regioni, siano stabiliti criteri, condizioni e modalita' per la concessione di agevolazioni finanziarie a sostegno degli investimenti privati e per la realizzazione di interventi ad essi complementari e funzionali, destinati a «favorire l'attrazione degli investimenti e la realizzazione di progetti di sviluppo di impresa», predeterminando in parte il contenuto. Si discute qui, dunque, di aiuti finanziari - seppur indiretti - alle imprese; imprese che possono operare nei piu' svariati settori (industria, commercio, turismo, servizi, pesca, allevamento, agricoltura...) ai quali corrispondono altrettante materie sulle quali la regione ha una potesta' legislativa diversamente ampia, ma - al minimo - concorrente con quella dello Stato. L'intervento del legislatore statale, quindi, ove destinato a trovare attuazione in ambiti di potesta' legislativa esclusiva regionale, configura una lesione dell'art. 117, quarto comma, Cost.; e, se attuato in materie di potesta' concorrente, viola l'art. 117, terzo comma, Cost., dal momento che non si limita a porre i «principi fondamentali» della disciplina. Se poi si considera che la determinazione di criteri, condizioni e modalita' dei suddetti aiuti e' rimessa ad un decreto, di natura per di piu' non regolamentare, del Ministro dello sviluppo economico, la violazione dell'art. 117 Cost. si fa decisamente piu' grave. Nella denegata ipotesi, poi, in cui codesta ecc.ma Corte ritenesse conforme al riparto materiale di competenze di cui all'art. 117 Cost. la previsione di cui al primo comma dell'art. 43 valorizzando la - quanto meno dichiarata - finalita' di «rafforzamento della struttura produttiva del Paese», ciononostante essa non potrebbe superare positivamente il vaglio del Giudice delle leggi. La regione ricorrente lamenta, infatti, in via subordinata, la mancanza, nel caso di specie, di forme di raccordo e di leale collaborazione degne di questo nome. Se e' pur vero che il legislatore statale ha previsto che prima dell'emanazione del decreto del Ministro si debba sentire la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato-regioni, e' altrettanto evidente che non si tratta di una previsione sufficiente a legittimare una deroga tanto forte al normale riparto di competenze fra Stato e regioni e la conseguente «attrazione in sussidiarieta'» da parte dello Stato della relativa disciplina (cfr., ex multis, Corte cost., sent., 14 marzo 2008, n. 63; Corte cost., sent., l ottobre 2003, n. 303; Corte cost., sent., 24 giugno 2005, n. 242; Corte cost., sent., l giugno 2006, n. 214). E cio' tanto piu' ave si consideri che la mancata previsione di una previa intesa consentira' sempre allo Stato, in futuro, di modificare la regolamentazione del caso senza necessita' di tornare a coinvolgere la Conferenza Stato-regioni. Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 43, comma l, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 cosi' come risultante a seguito della conversione con legge 6 agosto 2008, n. 133, per contrasto con l'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., o, in via subordinata, per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 5. - La Regione Veneto ritiene, poi, che anche l'art. 58 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 cosi' come risultante a seguito della conversione con legge 6 agosto 2008, n. 133, sia da dichiararsi illegittimo per contrasto con il dettato costituzionale. Rubricato «Ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni comuni ed altri enti locali», in esso si stabilisce testualmente che: «1. Per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, province, comuni e altri enti locali, ciascun ente con delibera dell'organo di Governo individua, redigendo apposito elenco, sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi e uffici, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione. Viene cosi' redatto il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione. 2. L'inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica; la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformita' agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle province e delle regioni. La verifica di conformita' e' comunque richiesta e deve essere effettuata entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di ricevimento della richiesta, nei casi di varianti relative a terreni classificati come agricoli dallo strumento urbanistico generale vigente, ovvero nei casi che comportano variazioni volumetriche superiori al 10 per cento dei volumi previsti dal medesimo strumento urbanistico vigente. 3. Gli elenchi di cui al comma 1, da pubblicare mediante le forme previste per ciascuno di tali enti, hanno effetto dichiarativo della proprieta', in assenza di precedenti trascrizioni, e producono gli effetti previsti dall'art. 2644 del codice civile, nonche' effetti sostitutivi dell'iscrizione del bene in catasto. 4. Gli uffici competenti provvedono, se necessario, alle conseguenti attivita' di trascrizione, intavolazione e voltura. 5. Contro l'iscrizione del bene negli elenchi di cui al comma 1, e' ammesso ricorso amministrativo entro sessanta giorni dalla pubblicazione, fermi gli altri rimedi di legge. 6. La procedura prevista dall'articolo 3-bis del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, per la valorizzazione dei beni dello Stato si estende ai beni immobili inclusi negli elenchi di cui al comma 1. In tal caso, la procedura prevista al comma 2 dell'articolo 3-bis del citato decreto-legge n. 351 del 2001 si applica solo per i soggetti diversi dai Comuni e l'iniziativa rimessa all'Ente proprietario dei beni da valorizzare. I bandi previsti dal comma 5 dell'articolo 3-bis del citato decreto-legge n. 351 del 2001 sono predisposti dall'Ente proprietario dei beni da valorizzare. 7. - I soggetti di cui al comma 1 possono in ogni caso individuare forme di valorizzazione alternative, nel rispetto dei principi di salvaguardia dell'interesse pubblico e mediante l'utilizzo di strumenti competitivi. 8. - Gli enti proprietari degli immobili inseriti negli elenchi di cui al comma 1 possono conferire i propri beni immobili anche residenziali a fondi comuni di investimento immobiliare ovvero promuoverne la costituzione secondo le disposizioni degli articoli 4 e seguenti del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410. 9. - Ai conferimenti di cui al presente articolo, nonche' alle dismissioni degli immobili inclusi negli elenchi di cui al comma 1, si applicano le disposizione dei commi 18 e 19 dell'art. 3 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410». In particolare la Regione Veneto lamenta la contrarieta' a Costituzione della previsione che attribuisce alla deliberazione del Consiglio comunale di approvazione del piano di alienazione e valorizzazione del proprio patrimonio il carattere di variante allo strumento urbanistico generale, senza necessita' di verifiche di conformita' agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di provincia e regione (se non nei casi di varianti relative a terreni agricoli ovvero nei casi che comportano variazioni volumetriche superiori al 10% dei volumi previsti dallo strumento urbanistico vigente). Le disposizioni normative impugnate possono, senza alcun dubbio, inquadrarsi nella materia «governo del territorio», ricompresa nell'elenco di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. Trattandosi, dunque, di materia di competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni, «spetta alle regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato». Ora, non si vede come la previsione specifica ed autoapplicativa contenuta nella disposizione impugnata possa considerarsi «principio fondamentale», e come essa possa considerarsi rispettosa del riparto di competenze disegnato dalla Costituzione dal momento che comportera' il discutibilissimo risultato di porre nel nulla la pianificazione territoriale regionale mediante il provvedimento di un ente territoriale minore. Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 58 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, cosi' come risultante a seguito della conversione con legge 6 agosto 2008, n. 133, per contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost. 6. - E' giunto il momento di occuparsi dell'art. 61, rubricato «Ulteriori misure di riduzione della spesa ed abolizione della quota di partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza specialistica», di cui si impugnano i soli commi 8, 9, 14, 19, 20 e 21. 6.1 - Si inizia con il considerare le disposizioni di cui ai commi 8 e 9 dell'art. 61. Il comma 8 prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2009 la percentuale, non superiore al due per cento, dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro che, ai sensi dell'art. 92, comma 5, del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006) veniva ripartita a favore del responsabile del procedimento e degli incaricati della redazione del progetto, della direzione dei lavori, del collaudo e dei loro collaboratori, venga, invece, destinata solo per lo 0,5% al fine indicato dal richiamato art. 92 e per il restante 1,5% venga versata in un capitolo di entrata del bilancio statale. Al comma 9, invece, il legislatore statale stabilisce che il 50 per cento del compenso spettante al dipendente pubblico per l'attivita' di componente o segretario di un collegio arbitrale sia versato in un apposito capitolo del bilancio dello Stato, al fine della sua riassegnazione per il finanziamento del trattamento economico accessorio dei dirigenti ovvero ai fondi perequativi degli organi di autogoverno del personale di magistratura e dell'Avvocatura dello Stato. Il medesimo dettato normativo trova altresi' applicazione al compenso spettante al dipendente pubblico per l'attivita' di collaudo in materia di lavori pubblici. Infine rientrano nell'ambito oggettivo della disposizione anche i compensi per l'attivita' di arbitrato o di collaudo non ancora riscossi alla data di entrata in vigore della legge di conversione. Con riguardo alle due disposizioni normative richiamate, la regione ricorrente lamenta la violazione dell'autonomia finanziaria regionale di cui all'art. 119 Cost. Se e' ben vero che il legislatore statale non ha espressamente previsto che le suddette disposizioni si riferiscano anche alle Regioni e agli enti locali, tuttavia il richiamo all'art. 92, comma 5, del codice dei contratti pubblici riferito a tutte le amministrazioni aggiudicatrici rende obiettivamente incerto l'ambito soggettivo di applicazione della disciplina impugnata. E' evidente che qualora lo Stato esigesse l'attuazione di quest'ultima anche nei confronti delle regioni e degli enti locali, cio' concreterebbe una grave violazione dell'art. 119 Cost. Non solo, infatti, l'art. 61, commi 8 e 9, pone dei vincoli puntuali e significativi alle voci di spesa dei bilanci regionali e locali contrari a Costituzione (dal momento che non si traducono in un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa», cosi' Corte cost., sent., 26 gennaio 2004, n. 36), ma dispone unilateralmente che le risorse intercettate dalle norme confluiscano nel bilancio statale. Tanto premesso, la regione ricorrente ritiene opportuno adire la Corte costituzionale affinche', ove quest'ultima ritenesse applicabili disposti di cui all'art. 61, commi 8 e 9, anche alle regioni e gli enti locali, ne dichiari in parte qua l'illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 119 Cost. 6.2. - Si vengono ora a considerare congiuntamente le censure relative alle disposizioni normative di cui ai commi 14, 19, 20 e 21 dell'art. 61, trattandosi di previsioni legislative presentanti tutte, pur nelle inevitabili specificita', i medesimi profili di contrasto al dettato costituzionale. Nel comma 14 il legislatore statale ha previsto che: «A decorrere dalla data di conferimento o di rinnovo degli incarichi i trattamenti economici complessivi spettanti ai direttori generali, ai direttori sanitari, e ai direttori amministrativi, ed i compensi spettanti ai componenti dei collegi sindacali delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende ospedaliero universitarie, degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e degli istituti zooprofilattici sono rideterminati con una riduzione del 20 per cento rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 giugno 2008». Il comma 19, invece, recita: «Per gli anni 2009, 2010 e 2011, la quota di partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale per gli assistiti non esentati, di cui all'articolo l, comma 796, lettera p), primo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e' abolita. Resta fermo quanto previsto dal comma 21 del presente articolo». Mentre il comma 20 stabilisce che: «Ai fini della copertura degli oneri derivanti dall'attuazione del comma 19: a) il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale al quale concorre ordinariamente lo Stato, di cui all'articolo 79, comma 1, del presente decreto, e' incrementato di 400 milioni di euro su base annua per gli anni 2009, 2010 e 2011; b) le regioni: l) destinano, ciascuna al proprio servizio sanitario regionale, le risorse provenienti dalle disposizioni di cui ai commi 14 e 16; 2) adottano ulteriori misure di incremento dell'efficienza e di razionalizzazione della spesa, dirette a realizzare la parte residuale della copertura degli oneri derivanti dall'attuazione del comma 19». Infine il comma 21 stabilisce che, in luogo dell'adozione delle misure, tra le altre, di cui al comma 14 e al numero 2) della lettera b) del comma 20, le regioni possano applicare altre forme di partecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria purche' di effetto equivalente. Le previsione normative richiamate devono evidentemente tutte inquadrarsi a cavallo tra le materie «tutela della salute» e, in particolare, «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», che - come noto - sono ambiti di potesta' legislativa concorrente, relativamente alla cui disciplina, quindi, allo Stato spetta la fissazione dei principi fondamentali, mentre alla regione compete la fissazione della normativa di dettaglio (art. 117, terzo comma, Cost.). La complessa disciplina impugnata, tuttavia, non puo' essere considerata norma di principio volta al coordinamento della finanza pubblica, visto, anzi, il suo carattere estremamente dettagliato, particolarmente evidente laddove essa determina in una percentuale fissa la riduzione dei trattamenti economici spettanti ai direttori e ai componenti dei collegi sindacali delle aziende sanitarie locali (comma 14). Essa, pertanto, e' in contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost. Ma non basta: le disposizioni impugnate risultano tutte contrarie anche all'art. 119 Cost. Per quanto riguarda in particolare il comma 14, esso introduce un limite puntuale ad una singola voce di spesa, violando, cosi', oltre all'art. 117, terzo comma, Cost., anche l'autonomia finanziaria regionale di spesa garantita e tutelata dall'art. 119 Cost. Nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte e', infatti, ormai consolidato l'orientamento secondo cui «norme statali che fissano limiti alla spesa delle regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (cfr. Corte cost., sent., 26 gennaio 2004, n. 36; Corte cost., sent., l 7 dicembre 2004, n. 390; Corte cost., sent., 14 novembre 2005, n. 417; Corte cost., sent., 15 dicembre 2005, n. 449; Corte cost., sent., 10 marzo 2006, n. 88; Corte cost., sent., 17 maggio 2007, n. 169; Corte cost., sent., 5 dicembre 2007, n. 412 e, da ultimo in Corte cost., sent., 24 aprile 2008, n. 120). Le previsioni di cui ai commi 19 e 20 e 21, invece, risultano lesive del principio di autonomia finanziaria delle regioni sotto il profilo delle entrate. Menomata ne esce, infatti, l'autonomia finanziaria regionale relativamente al reperimento di risorse da destinare alla gestione di un settore, quello della tutela della salute, nel quale sono molto ampie le competenze legislative e amministrative dell'ente ricorrente. In poco piu' di un anno e mezzo, a partire dalla legge finanziaria per il 2007 fino all'approvazione del provvedimento portato oggi all'attenzione della Consulta, il legislatore statale e' intervenuto ben cinque volte - per altro in modo incoerente - pretendendo di imporre alle regioni i mezzi con i quali realizzare un contenimento della spesa sanitaria, anziche' limitarsi a stabilire l'obiettivo finanziario, fissando l'importo di manovra, per lasciare poi all'autonomia regionale il compito di attuare il fine prefissato. Il riferimento e' alle previsioni di cui all'art. 1, comma 796, lett. p), primo periodo, della legge finanziaria 2007 (impugnate con ricorso n. 10/07), all'art. 6-quater del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300 cosi' come convertito della legge 26 febbraio 2007, n. 17 (impugnato con ricorso n. 21/07), all'art. l-bis del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 convertito con legge 17 maggio 2007, n. 64 (impugnato con ricorso n. 32/07), all'art. 2, comma 376, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) e, da ultimo, alle disposizioni impugnate con l'odierno ricorso. La violazione dell'autonomia di reperimento delle risorse non si realizza, infatti, esclusivamente con l'imposizione di un ticket fisso sulle prestazioni sanitarie, ma - come previsto proprio nei commi 19, 20 e 21 qui oggetto di censura - anche imponendo che l'importo di manovra individuato dallo Stato si realizzi mediante «misure di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie» ad esclusione di ogni altra modalita'. Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 61, commi 14, 19, 20 e 21 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 cosi' come risultante a seguito della conversione con legge 6 agosto 2008, n. 133, per contrasto con gli articoli 117, terzo comma, e 119 Cost. 7. - Per affinita' di materia, si ritiene opportuno trattare ora delle specifiche censure sollevate dalla Regione ricorrente con riferimento ai commi l-bis e l-ter dell'art. 79, rubricato «Programmazione delle risorse per la spesa sanitaria». Le disposizioni normative impugnate testualmente prevedono, al comma l-bis, che: «Per gli anni 2010 e 2011 l'accesso al finanziamento integrativo a carico dello Stato derivante da quanto disposto dal comma l, rispetto al livello di finanziamento previsto per l'anno 2009, e' subordinato alla stipula di una specifica intesa fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, da sottoscrivere entro il 31 ottobre 2008, che, ad integrazione e modifica dell'accordo Stato-regioni dell'8 agosto 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 207 del 6 settembre 2001, dell'intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufliciale n. 105 del 7 maggio 2005 e dell'intesa Stato-regioni relativa al Patto per la salute del 5 ottobre 2006, di cui al provvedimento 5 ottobre 2006, n. 2648, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 256 del 3 novembre 2006, contempli ai fini dell'efficentamento del sistema e del conseguente contenimento della dinamica dei costi, nonche' al fine di non determinare tensioni nei bilanci regionali extrasanitari e di non dover ricorrere necessariamente all'attivazione della leva fiscale regionale: a) una riduzione dello standard dei posti letto, diretto a promuovere il passaggio dal ricovero ospedaliero ordinario al ricovero diurno e dal ricovero diurno all'assistenza in regime ambulatoriale; b) l'impegno delle regioni, anche con riferimento a quanto previsto dall'articolo l, comma 565, lettera c) della legge 27 dicembre 2006, n. 296, in connessione con i processi di riorganizzazione, ivi compresi quelli di razionalizzazione e di efficentamento della rete ospedaliera, alla riduzione delle spese di personale degli enti del Servizio sanitario nazionale anche attraverso: 1) la definizione di misure di riduzione stabile della consistenza organica del personale in servizio e di conseguente ridimensionamento dei fondi della contrattazione integrativa di cui ai contratti collettivi nazionali del predetto personale; 2) la fissazione di parametri standard per l'individuazione delle strutture semplici e complesse, nonche' delle posizioni organizzative e di coordinamento rispettivamente delle aree della dirigenza e del personale del comparto del Servizio sanitario nazionale, nel rispetto comunque delle disponibilita' dei fondi della contrattazione integrativa, cosi' come rideterminati ai sensi di quanto previsto dal numero 1); c) l'impegno delle regioni, nel caso in cui si profili uno squilibrio di bilancio del settore sanitario, ad attivare anche forme di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie da parte dei cittadini, ivi compresi i cittadini a qualsiasi titolo esenti ai sensi della vigente normativa, prevedendo altresi' forme di attivazione automatica in corso d'anno in caso di superamento di soglie predefinite di scostamento dall'andamento programmatico della spesa». Mentre al comma l-ter si prevede che: «Qualora non venga raggiunta l'Intesa di cui al comma l-bis entro il 31 ottobre 2008, con la procedura di cui all'articolo 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono fissati lo standard di dotazione dei posti letto nonche' gli ulteriori standard necessari per promuovere il passaggio dal ricovero ospedaliero ordinario al ricovero diurno e dal ricovero diurno all'assistenza in regime ambulatoriale nonche' per le finalita' di cui al comma l-bis, lettera b) del presente articolo». In sostanza il legislatore statale, al comma l-bis, ha stabilito che l'accesso al finanziamento integrativo a carico dello Stato per gli anni 2010 e 2011 sia subordinato alla stipula di una specifica intesa fra lo Stato e le regione e le province autonome che contempli, «ai fini dell'efficentamento del sistema e del conseguente contenimento della dinamica dei costi nonche' al fine di non determinare tensioni nei bilanci regionali extrasanitari di non dover ricorrere necessariamente alla leva fiscale regionale»: una riduzione dello standard dei posti letto (lett. a); una riduzione delle spese di personale (lett. b); l'impegno delle regioni ad attuare, anche in via automatica, forme di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie da parte dei cittadini, ivi compresi gli esentati (lett. c). Mentre al comma 1-ter si prevede che, in caso di mancata intesa entro il 31 ottobre 2008, sia direttamente lo Stato a provvedere mediante il procedimento di cui all'art. l, comma 169, della legge n. 311/04 e previa intesa in Conferenza Stato-regioni. Le norme in esame violano, innanzitutto, l'art. 117, quarto comma, Cost., nella parte in cui finiscono per intervenire in una materia, quella dell'«organizzazione amministrativa della regione e del personale regionale e degli enti strumentali, ivi compresi gli enti del Servizio sanitario nazionale», che, non essendo elencata ne' tra quelle di potesta' legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, Cost.), ne' tra quelle di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), non puo' che essere ascritta alla potesta' legislativa residuale della regione. D'altra parte, anche inquadrando le disposizioni normative de quibus nella materia «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», materia di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), esse non si sottrarrebbero, comunque, visto il loro carattere dettagliato, ad una censura per violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. dal momento che in esso si impone che, nelle materie di potesta' legislativa concorrente, lo Stato si limiti a determinare i principi fondamentali regolatori della materia. La disposizione di cui al comma l-bis, in particolare, infatti, non puo' essere considerata norma di principio volta al coordinamento della finanza pubblica, dal momento che essa indica puntualmente gli interventi di riduzione della spesa che la regione, con intesa, dovra' impegnarsi ad attuare. Mentre l'art. l-ter addirittura prevede che, in caso di mancata stipulazione dell'intesa di cui al comma l-bis, la determinazione dettagliata degli interventi di recupero risorse e tagli di spesa spetti allo Stato, il coinvolgimento delle regioni essendo ridotto all'espressione di un'intesa in Conferenza Stato-regioni. Sia che le richiamate disposizioni vengano inquadrate nell'una materia (di potesta' legislativa residuale), sia che vengano inquadrate nell'altra (di potesta' legislativa concorrente), esse comunque violano l'art. 119 Cost. Tali norme, infatti, nel porre limiti a singole determinate voci di spesa (quella sui ricoveri e sulle spese di personale), violano la piena autonomia di spesa delle regioni, che conferisce loro la liberta' di scegliere quali spese limitare a vantaggio di altre. A proposito di quest'ultima censura, la regione ricorrente ritiene opportuno far seguire qualche considerazione con specifico riguardo all'imposta riduzione delle spese di personale sanitario. E' noto, infatti, l'orientamento di codesta ecc.ma Corte sul punto: la spesa per il personale non potrebbe essere considerata come una singola voce di bilancio, dal momento che si tratterebbe di un «rilevante aggregato della spesa concorrente» (cfr. Corte cost., sent., 17 maggio 2007, n. 169). Sembra opportuno rilevare, tuttavia, che, per quanto «rilevante» il suddetto aggregato si individua in una singola voce di spesa e non si risolve nella totalita' della stessa, con il risultato che, per quanto in un «range» piuttosto ampio, lo Stato non ha disposto una limitazione generale a tutte le spese correnti regionali, limitando di fatto la possibilita' di scelta delle regioni. Non si puo' tralasciare, inoltre, di sottoporre a codesto ecc.mo Collegio una rapida considerazione circa i margini di autonomia che, imposta la riduzione delle spese per il personale, in concreto, residua in capo agli enti in ordine a tale voce. Si consideri, infatti, che le spese per il personale sono, nei fatti, in larga parte vincolate, dal momento che sono destinate principalmente alle retribuzioni dei dipendenti a tempo indeterminato. Ne consegue che, per limitare la «macro» voce di spesa, le regioni non potranno far altro che limitare o bloccare l'avvicendamento nei posti a tempo indeterminato o contenere il ricorso ai rapporti di lavoro a tempo determinato; soluzioni entrambe che lasciano davvero ben poco margine di scelta alle c.d. autonomie regionali! Da quanto fin qui rilevato, poi, sembra evidente che le disposizioni normative impugnate si pongono anche in contrasto con l'art. 118 Cost. dal momento che finiscono per incidere sull'autonomia organizzativa e di programmazione dell'attivita' degli enti oggetto dei suddetti limiti di spesa. Con riguardo, infine, in particolare, al comma l-bis, lettere a) e b) non puo' non rilevarsi, inoltre, la violazione degli artt. 32 e 97, comma l, della Costituzione, che - come noto - tutelano, rispettivamente, «la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita'» e il «buon andamento (...) dell'amministrazione». Le citate disposizioni normative, infatti, impongono, la prima, una riduzione dello standard dei posti letto diretto a sostituire al ricovero ordinario quello diurno e a quest'ultimo quello ambulatoriale, quando la situazione dei ricoveri e' gia' in molte strutture drammaticamente insufficiente a soddisfare la tutela della salute del paziente; la seconda, una riduzione delle spese di personale del S.S.N. che non potra' che riverberarsi in una peggiore assistenza ai malati. Anche la lettera c) del comma l-bis, poi, si connota per la sua contrarieta' all'art. 119 Cost., sotto il profilo dell'autonomia delle regioni nel reperimento di risorse finanziarie, e all'art. 32 Cost., dal momento che prevede l'impegno delle regioni ad attuare, anche in via automatica, misure di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie anche a soggetti esentati, ossia persone gia' in particolare difficolta' per ragioni economiche o strettamente di salute. Pertanto si chiede che codesto ecc.mo collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 79, commi l-bis e l-ter, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 cosi' come risultante a seguito della conversione con legge 6 agosto 2008, n. 133, per contrasto con gli arti. 32, 97, 117, comma 4, 118 e 119 della Costituzione o, in via subordinata, per violazione degli artt. 32, 97, 117, comma 3, 118 e 119 della Costituzione. 8. - E' giunto il momento, infine, di denunciare i profili di illegittimita' costituzionale rilevati con riguardo all'art. 62, commi 01, l, 2, e 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 cosi' come risultante a seguito della conversione con legge 6 agosto 2008, n. 133. Rubricato «Contenimento dell'uso degli strumenti derivati e dell'indebitamento delle regioni e degli enti locali», premesso al comma 0l che «Le norme del presente articolo costituiscono principi fondamentali per il coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione», esso prevede che: «l. Ai fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica e nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica previsti agli articoli 119 e 120 della Costituzione, alle regioni, alle province autonome di Trento e Bolzano e agli enti locali e' fatto divieto di stipulare fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 2, e comunque per il periodo di un anno decorrente dalla data di entrata in vigore del presente decreto, contratti relativi agli strumenti finanziari derivati previsti all'articolo l, comma 3, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nonche' di ricorrere all'indebitamento attraverso contratti che non prevedano modalita' di rimborso mediante rate di ammortamento comprensive di capitale e interessi. La durata dei piani di ammortamento non puo' essere superiore a trent'anni, ivi comprese eventuali operazioni di rifinanziamento o rinegoziazione ammesse dalla legge. Per gli enti di cui al presente comma, e' esclusa la possibilita' di emettere titoli obbligazionari o altre passivita' con rimborso del capitale in unica soluzione alla scadenza. 2. Il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite la Banca d'Italia e la Commissione nazionale per le societa' e la borsa, con regolamento da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, individua la tipologia dei contratti relativi a strumenti finanziari derivati che i soggetti di cui al comma 1 possono stipulare e stabilisce i criteri e le condizioni per la conclusione delle relative operazioni. 3. Restano salve tutte le disposizioni in materia di indebitamento delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli enti locali che non siano in contrasto con le disposizioni del presente articolo». Le disposizioni normative impugnate si muovono nell'ambito della materia «coordinamento della finanza pubblica», di competenza legislativa concorrente ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. Lo Stato, pero', anziche' limitarsi a porre i «principi fondamentali» della disciplina, si spinge ad impedire alle regioni, alle province autonome e agli enti locali, fino all'entrata in vigore del regolamento di cui al comma 2 e, comunque, per un anno dall'entrata in vigore del provvedimento in esame, la stipulazione di contratti relativi a strumenti finanziari derivati, nonche' di ricorrere all'indebitamento attraverso contratti che non prevedano modalita' di rimborso mediante rate di rimborso comprensive di capitale e interessi, e prevedendo, inoltre, che la durata dei piani di ammortamento non possa superare i trent'anni. E certo a confutare questo dato di fatto non puo' essere l'autoqualificazione di «principi fondamentali» predisposta dal legislatore statale all'impugnato comma 01. Da cio', dunque, deriva, innanzitutto, la lesione dell'art. 117, terzo comma, Cost. Ma l'art. 62, al secondo comma, viola anche il disposto di cui all'art. 117, sesto comma, Cost., dal momento che in un ambito materiale di competenza legislativa non esclusiva statale, affida a un regolamento l'individuazione della tipologia dei contratti relativi a strumenti finanziari che regioni, province e enti locali potranno stipulare e la determinazione dei criteri e delle condizioni per la conclusione delle relative operazioni. Ma la violazione del dettato costituzionale forse piu' evidente, nella fattispecie sottoposta al vaglio di codesto ecc.mo Collegio, e' quella dell'art. 119 Cost. Dal divieto imposto a regioni, province ed enti locali di stipulare contratti su strumenti derivati e dalle altre restrizioni all'accesso al mercato finanziario derivanti direttamente dalle disposizioni impugnate (si pensi al divieto di ricorrere all'indebitamento mediante contratti che non prevedano determinate modalita' di rimborso) e potenzialmente conseguenti all'emanando regolamento di cui al comma 2 dell'art. 62, discende, infatti, una rilevante compressione dell'autonomia finanziaria regionale relativamente al reperimento di risorse e, in particolare, al ricorso all'indebitamento, relativamente al quale l'unico limite posto dalla Costituzione e' che esso sia finalizzato a finanziare spese di investimento. Non basta: le previsioni normative impugnate si pongono in contrasto anche con gli artt. 97 e 118 Cost. Esse impediscono, infatti, alla Regione di disporre di mezzi utili per la copertura dal rischio di tasso e per il conseguente contenimento della spesa per oneri finanziari (tenendo conto anche del fatto che le previsioni tutt'ora vigenti, in particolare quelle di cui al d.lgs. n. 58/98, al d.m. n. 389/2003 e alla finanziaria per il 2007, appaiono sufficienti a garantire l'uso di strumenti derivati sicuri e non speculativi). Infine, nella denegata ipotesi che codesta ecc.ma Corte dovesse ritenere di qualificare come «principi fondamentali» le disposizioni impugnate, la regione ricorrente chiede che l'illegittimita' costituzionale venga dichiarata per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. Sembra impossibile, infatti, che un intervento tanto incisivo dello Stato in ambiti relativamente ai quali la competenza regionale, legislativa e finanziaria, e' amplissima possa imporsi alle regioni senza che esse siano state minimamente coinvolte nella determinazione della previsione impugnata o che sia prevista quanto meno la necessita', prima dell'emanazione del regolamento di cui all'art. 62, comma 2, di un parere della Conferenza Stato-regioni. A questo proposito sembra interessante evidenziare che anche codesta ecc.ma Corte ha ritenuto che analoghi interventi dello Stato in materia finanziaria non possano prescindere da una qualche forma, seppur anche minima (come quella del mero parere preventivo della Conferenza Stato-regioni), di confronto con le regioni che - non lo si dimentichi - da tali provvedimenti vedono menomata la propria autonomia (cfr. Corte cost., sent., 30 dicembre 2003, n. 376). Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 62, commi 01, l, 2 e 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 cosi' come risultante a seguito della conversione con legge 6 agosto 2008~ n. 133, per contrasto con gli articoli 97, 117, terzo e sesto comma 118, 119 Cost., o, in via subordinata, per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
P. Q. M. Si chiede che l'ecc..ma Corte costituzionale voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 11, 13, 23, commi 1, 2, 3 e 4; 43, comma 1; 58, 61, commi 8, 9, 14, 19, 20 e 21; 62, commi 01, 1, 2 e 3; 79 commi 1-bis e 1-ter del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria» cosi' come risultante a seguito della conversione, con modificazioni, operata dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 195 del 21 agosto 2008 -Supplemento ordinario, n. 196, per violazione degli artt. 3, 97, 117, 118, 119 e del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. Padova-Roma, addi' 15 ottobre 2008 Avv. Prof. Mario Bertolissi - Avv. Ezio Zanon - Avv. Luigi Manzi