RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 05 ottobre 2009 , n. 70
Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 5 ottobre 2009 (della Regione Umbria). 
 
 
(GU n. 44 del 4-11-2009) 
 
 
    Ricorso della Regione Umbria, in  persona  del  Presidente  della
Giunta regionale pro  tempore  autorizzato  con  deliberazione  della
Giunta regionale 21 settembre 2009, n. 1300 (doc. 1), rappresentata e
difesa, come procura speciale rogata dal notaio dott. Marco Carbonari
del collegio di Perugia in data 25 settembre  2009,  rep.  n.  72566,
dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi
di Roma, con domicilio eletto in  Roma  presso  lo  studio  dell'avv.
Manzi, in via Confalonieri, n. 5; 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 23  luglio
2009,   n.   99,   recante   «Disposizioni   per   lo   sviluppo    e
l'internazionalizzazione  delle  imprese,  nonche'  in   materia   di
energia»,  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della   Repubblica
italiana n. 176, supp. ord. del 31 luglio  2009,  in  relazione  alle
seguenti disposizioni: art. 25, comma 2, lett. a); art. 25, comma  2,
lett. f); art.  25,  comma  2,  lett.  g);  art.  26,  comma  1,  per
violazione dell'art. 117, commi secondo e terzo, della  Costituzione;
dell'art. 118, primo comma, della Costituzione; dell'art.  120  della
Costituzione; del principio di leale collaborazione, sotto i  profili
e per i motivi di seguito indicati. 
                              F a t t o 
    La legge 23 luglio 2009, n. 99, Disposizioni per  lo  sviluppo  e
l'internazionalizzazione  delle  imprese,  nonche'  in   materia   di
energia, contiene in primo luogo - come e' ben noto - la fondamentale
decisione assunta  dal  Parlamento  di  tornare  a  produrre  energia
nucleare nel territorio italiano. 
    La Regione Umbria prende atto di questa scelta, che compete  agli
organi  rappresentativi  della  comunita'  nazionale,  pur   con   il
rammarico che la mancata riforma delle strutture parlamentari e prima
ancora  l'omessa  attivazione  della  partecipazione  regionale  alla
Commissione parlamentare  per  le  questioni  regionali  non  abbiano
consentito alle regioni di  prendere  parte  a  questa  scelta  nelle
corrette sedi legislative. 
    Fuori discussione dunque in questa sede la scelta di base, rimane
tuttavia la necessita' di  salvaguardare  lo  specifico  ruolo  delle
regioni, in quanto titolari costituzionali della potesta' legislativa
nelle materie di cui all'art. 117, terzo comma,  della  Costituzione,
ed  in  particolare  in  materia  di  governo  del   territorio,   di
produzione, trasporto e distribuzione  nazionale  dell'energia  e  di
tutela della salute, nonche' nelle altre materie nelle quali non  sia
prevista la potesta' legislativa statale,  ai  sensi  dell'art.  117,
quarto comma, della Costituzione. Tale specifico  ruolo  deve  essere
salvaguardato con riferimento sia alle regioni nel loro insieme,  sia
alle  regioni  che   siano   poi   direttamente   interessate   dagli
insediamenti delle centrali. 
    Viene particolarmente in considerazione l'art. 25 della legge  in
questione, che contiene la Delega al  Governo  in  materia  nucleare.
Esso prevede un ruolo della Conferenza unificata di  cui  all'art.  8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in primo luogo (comma
1) nella procedura di emanazione dei  decreti  legislativi  delegati:
tale Conferenza, infatti, deve essere «sentita». Anche tale modalita'
non rappresenta adeguatamente  le  istanze  di  partecipazione  delle
regioni alle scelte generali, e tuttavia,  nel  vigente  assetto  dei
poteri legislativi nazionali, la ricorrente regione non censura  tale
disposizione. 
    Sempre alla Conferenza unificata l'art. 25, comma 2, riconosce un
potere di «intesa» nella procedura  di  rilascio  dell'autorizzazione
unica relativa ad impianti nucleari (lett. g). 
    Rimangono invece assenti, tra  i  principi  e  criteri  direttivi
posti  dalla  legge  di  delega,  disposizioni  che  garantiscano  la
salvaguardia dei compiti e dei poteri costituzionali  delle  regioni,
la' dove esse siano singolarmente e direttamente interessate  da  uno
specifico impianto nucleare. 
    Cio' vale in primo luogo in relazione all'art. 25, comma secondo,
lett. a), ai sensi del quale i decreti legislativi dovranno contenere
la «previsione della  possibilita'  di  dichiarare  i  siti  aree  di
interesse  strategico  nazionale,  soggette  a  speciali   forme   di
vigilanza e di protezione». 
    La Regione Umbria contesta tale disposizione, per  i  motivi  che
saranno di seguito esposti, in quanto  essa  non  prevede  che  sulla
individuazione  e  definizione  dei  siti  di  interesse   strategico
nazionale sia prevista l'intesa della regione interessata. 
    Ancora, lo stesso art. 25, comma 2, lett. g), che pure  riconosce
alla Conferenza unificata un potere di «intesa»  nella  procedura  di
rilascio dell'autorizzazione unica relativa ad impianti nucleari, non
riconosce lo stesso potere alla regione direttamente interessata,  in
relazione ai profili di localizzazione territoriale. 
    Di qui l'ulteriore impugnazione di tale disposizione sotto questo
profilo. 
    Infine - quanto all'art. 25 - il principio direttivo di cui  alla
lett.  f)  comporta  che   il   legislatore   delegato   preveda   la
«determinazione delle modalita' di esercizio del  potere  sostitutivo
del Governo in caso di mancato raggiungimento delle necessarie intese
con  i  diversi  enti  locali  coinvolti,  secondo  quanto   previsto
dall'art. 120 della Costituzione». Ora, in primo luogo non e'  chiaro
se tra le «necessarie intese con i diversi enti  locali»  di  cui  al
principio direttivo debbano intendersi comprese  quelle  -  non  meno
necessarie  ad  avviso  della  Regione   Umbria,   con   le   regioni
singolarmente interessate; e nel caso positivo non si vede come possa
essere legittimo che lo Stato si sostituisca alla regione nel dare la
propria  intesa.  In  ogni  modo,  la   norma   non   prevede   alcun
coinvolgimento delle regioni ne' nelle intese ne' nell'esercizio  del
potere sostitutivo, nella parte in esso  possa  risultare  legittimo.
Viene poi qui in considerazione l'art.  26,  comma  1,  della  stessa
legge n. 99 del 2009, secondo il quale «con  delibera  del  CIPE,  da
adottare entro sei  mesi  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della
presente legge e previo parere  della  Conferenza  unificata  di  cui
all'art. 8  del  decreto  legislativo  28  agosto  1997,  n.  281,  e
successive modificazioni, su proposta  del  Ministro  dello  sviluppo
economico, sentito il  Ministro  dell'ambiente  e  della  tutela  del
territorio  e  del  mare,   sentite   le   Commissioni   parlamentari
competenti,  sono  definite  le  tipologie  degli  impianti  per   la
produzione  di  energia  elettrica  nucleare   che   possono   essere
realizzati nel territorio nazionale».  Inoltre  e'  previsto  che  la
Conferenza  unificata  si  esprima  «entro  sessanta   giorni   dalla
richiesta, trascorsi i quali il parere si intende acquisito». 
    La ricorrente regione ritiene che  anche  tale  disposizione  sia
illegittima, nella parte in cui  prevede  il  semplice  parere  della
Conferenza unificata, anziche' l'intesa tra le regioni e le autonomie
locali, da un lato, e lo Stato, dall'altro. 
    Oltre alle disposizioni sopra illustrate relative alla produzione
dell'energia mediante centrali nucleari, la  legge  n.  99  del  2009
contiene anche altre Misure per la sicurezza e il  potenziamento  del
settore energetico, secondo quanto recita la rubrica dell'art. 27. 
    Interessa qui in particolare il comma 27, il  quale  applica  ora
«le disposizioni di cui all'art. 5-bis del decreto-legge 10  febbraio
2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009,
n. 33», agli «impianti di produzione di energia elettrica  alimentati
con carbon fossile di nuova  generazione,  se  allocati  in  impianti
industriali dismessi, nonche' agli impianti di produzione di  energia
elettrica a carbon fossile, qualora sia stato  richiesto  un  aumento
della capacita' produttiva». 
    Poiche' l'art. 5-bis richiamato dispone che per  le  centrali  da
esso individuate (ma  ora  innovate  dalla  nuova  disposizione)  «si
procede in deroga alle vigenti  disposizioni  di  legge  nazionali  e
regionali  che  prevedono  limiti  di  localizzazione   territoriale,
purche' la riconversione assicuri l'abbattimento delle loro emissioni
di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti previsti  per  i  grandi
impianti di combustione di cui alle sezioni 1, 4 e 5 della  parte  II
dell'allegato II alla parte V del decreto legislativo 3 aprile  2006,
n. 152», il combinato delle due disposizioni produce  il  venir  meno
sia dei vincoli previsti dalla legislazione statale,  sia  di  quelli
previsti dalla normativa regionale. 
    La  ricorrente  regione  ritiene  che   tale   disposizione   sia
illegittima, in quanto essa non costituisce un principio fondamentale
della  materia,  al  cui  rispetto  la  legislazione  regionale   sia
costituzionalmente tenuta, ma una norma derogatoria  che  compromette
quei  valori  di  ordine  territoriale,  di  tutela   della   salute,
ambientali, turistici, ecc., alla quale sia la  potesta'  legislativa
statale che quella regionale sono preordinate. Essa, inoltre,  svuota
di contenuto l'intesa che la regione  e'  chiamata  a  dare  rispetto
all'autorizzazione dell'impianto, prevista dall'art. 1, comma 2,  del
decreto-legge 7 febbraio 2002, n.  7  (recante  «Misure  urgenti  per
garantire la sicurezza del sistema elettrico  nazionale»,  convertito
in legge 9 aprile 2002, n. 55. 
    Le impugnate disposizioni si  rivelano  dunque  ad  avviso  della
ricorrente regione costituzionalmente  illegittime  per  le  seguenti
ragioni di 
                            D i r i t t o 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 2, lett. g). 
    L'art. 25, comma secondo, lett. g), pone come criterio  direttivo
della delega che il legislatore delegato preveda «che la  costruzione
e l'esercizio di impianti per  la  produzione  di  energia  elettrica
nucleare e  di  impianti  per  la  messa  in  sicurezza  dei  rifiuti
radioattivi o per lo smantellamento di impianti nucleari a fine  vita
e tutte le opere connesse siano considerati attivita'  di  preminente
interesse statale e, come  tali,  soggette  ad  autorizzazione  unica
rilasciata, su istanza del soggetto richiedente e previa  intesa  con
la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo  28
agosto 1997, n. 281, e  successive  modificazioni,  con  decreto  del
Ministro dello  sviluppo  economico,  di  concerto  con  il  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio  e  del  mare  e  con  il
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti». 
    Come risulta dal testo, e' previsto  che  l'autorizzazione  unica
(che - a termini del principio stabilito con la successiva lettera  h
- «sostituisce  ogni  provvedimento  amministrativo,  autorizzazione,
concessione,  licenza,  nulla  osta,   atto   di   assenso   e   atto
amministrativo, comunque denominati», ad eccezione delle procedure di
valutazione  di  impatto  ambientale  e  di  valutazione   ambientale
strategica), sia assunta con l'intesa della Conferenza unificata. 
    Tuttavia, tale previsione si rivela ugualmente illegittima  nella
parte in cui essa non pone il principio - ad avviso della  ricorrente
regione   costituzionalmente   dovuto   -   secondo   il   quale   la
localizzazione dell'impianto richiede altresi' l'intesa della regione
nel cui ambito esso deve essere realizzato. 
    Premesso che e' pacifico che il coinvolgimento  della  Conferenza
non puo' essere ritenuto equivalente o sostitutivo  di  quello  della
regione interessata (evidentemente diverso, infatti,  e'  il  tipo  e
l'ambito degli interessi che  nelle  due  sedi  sono  esaminati),  la
necessita' del consenso di questa in relazione alla localizzazione di
grandi  opere,  la  cui  realizzazione  imprima  al  territorio   una
caratterizzazione tanto  forte  da  incidere  sulla  sua  complessiva
destinazione e su tutti gli  interessi  che  in  esso  insistono,  e'
implicita nel sistema di applicazione del principio di sussidiarieta'
sin  dalla  sentenza  fondante  n.  303   del   2003,   nella   quale
espressamente si afferma che «per giudicare se una legge statale  che
occupi questo spazio sia invasiva delle attribuzioni regionali o  non
costituisca invece applicazione  dei  principi  di  sussidiarieta'  e
adeguatezza diviene elemento valutativo essenziale la  previsione  di
un'intesa fra lo Stato e  le  regioni  interessate,  alla  quale  sia
subordinata l'operativita' della disciplina» (punto 4.1 in  diritto):
ed e' esattamente questo  valore  che  nella  stessa  sentenza  viene
attribuito all'intesa regionale rispetto  al  Programma  delle  opere
strategiche approvato dal CIP E in base alla legge n. 443 del 2001. 
    Questo principio e' stato  ribadito  proprio  in  relazione  alla
materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia
elettrica» dalla gia' ricordata sentenza n. 6 del 2004,  nella  quale
la legittimita' costituzionale della normativa statale  impugnata  e'
stata  affermata   proprio   in   ragione   della   circostanza   che
«l'autorizzazione ministeriale per il singolo impianto "e' rilasciata
a  seguito  di  un  procedimento  unico,  al  quale  partecipano   le
amministrazioni statali e locali interessate, svolto nel rispetto dei
principi di semplificazione e con le modalita' di cui  alla  legge  7
agosto 1990, n. 241, e  successive  modificazioni,  d'intesa  con  la
regione interessata"» (punto 7 in diritto). Ed in questa occasione la
Corte ha sottolineato che si deve trattare di «un'intesa "forte", nel
senso  che  il  suo  mancato  raggiungimento   costituisce   ostacolo
insuperabile alla conclusione del procedimento - come, del resto,  ha
riconosciuto  anche  l'avvocatura  dello  Stato   -   a   causa   del
particolarissimo impatto che una struttura produttiva di questo  tipo
ha su tutta una serie di funzioni regionali relative al  governo  del
territorio, alla tutela della salute, alla  valorizzazione  dei  beni
culturali ed ambientali, al turismo, etc». 
    Particolare importanza riveste poi la sentenza  n.  62/2005,  che
riguarda la questione dello stoccaggio dei rifiuti nucleari (e dunque
un oggetto vicino a quello della presente controversia). 
    Tale sentenza in primo luogo ribadisce che, quando gli interventi
necessari realizzati dallo Stato in vista  di  interessi  unitari  di
tutela ambientale «concernono l'uso del territorio, e in  particolare
la realizzazione di opere e di insediamenti atti  a  condizionare  in
modo rilevante lo stato e lo sviluppo di singole  aree,  l'intreccio,
da un lato, con la competenza regionale  concorrente  in  materia  di
governo del territorio, oltre che  con  altre  competenze  regionali,
dall'altro lato con gli interessi  delle  popolazioni  insediate  nei
rispettivi  territori,  impone  che  siano  adottate   modalita'   di
attuazione degli  interventi  medesimi  che  coinvolgano,  attraverso
opportune forme di collaborazione, le regioni sul cui territorio  gli
interventi sono destinati a realizzarsi (cfr. sentenza  n.  303»  del
2003)» (punto 16 in diritto). 
    Di seguito la sentenza rileva che nel  caso  era  stato  prevista
sulla individuazione del sito l'intesa con la Conferenza unificata, e
valuta  come  corretta  questa  previsione.  Essa  tuttavia  prosegue
osservando che «quando pero', una volta individuato il sito, si debba
provvedere alla sua "validazione", alla  specifica  localizzazione  e
alla  realizzazione  dell'impianto,   l'interesse   territoriale   da
prendere in considerazione e a cui deve  essere  offerta,  sul  piano
costituzionale, adeguata tutela, e'  quello  della  regione  nel  cui
territorio l'opera e'  destinata  ad  essere  ubicata»,  e  che  «non
basterebbe piu', a questo livello, il semplice  coinvolgimento  della
Conferenza unificata, il cui intervento non puo'  sostituire  quello,
costituzionalmente necessario,  della  singola  regione  interessata»
(punto 17 in diritto). 
    Il principio della necessaria intesa con la  regione  interessata
viene ulteriormente ribadito con la sentenza  n.  383  del  2005,  in
relazione  alla   individuazione   delle   infrastrutture   e   degli
insediamenti strategici, ove pure si afferma la necessita' «che anche
tale individuazione sia effettuata  d'intesa  con  le  regioni  e  le
province autonome interessate» (punto 25 in diritto). 
    Ad avviso della ricorrente regione la denunciata  illegittimita',
consistente nella mancata  indicazione  quale  principio  e  criterio
direttivo della necessita' dell'intesa con la regione interessata  in
relazione alla localizzazione della centrale, non viene meno  per  il
fatto che la successiva lett. h) prevede che «l'autorizzazione  unica
sia  rilasciata  a  seguito  di  un  procedimento  unico   al   quale
partecipano le amministrazioni interessate, svolto nel  rispetto  dei
principi di semplificazione e con le modalita' di cui  alla  legge  7
agosto 1990, n. 241». 
    A  parte   la   genericita'   dell'espressione   «amministrazioni
interessate», e pur dando per scontato che tra esse vadano incluse le
regioni,  l'istituto  dell'intesa  implica  uno  specifico   rapporto
bilaterale tra lo Stato e la regione interessata, costituito  da  una
altrettanto specifica trattativa tra due parti, ed  assistito  da  un
dovere particolare di attenzione e di reciproca collaborazione. 
    Tale rapporto speciale non puo' essere diluito e confuso  in  una
generica  partecipazione  al  procedimento   quale   «amministrazione
interessata», ed e'  dunque  del  tutto  insufficiente  il  principio
espresso da tale lett. h). Cio' anche se - a termini della  legge  n.
241 del 1990 - il  dissenso  espresso  dalla  regione  conduca  (come
previsto dall'art. 14-quater, comma  3-bis  di  tale  legge)  ad  una
determinazione sostitutiva rimessa alla Conferenza Stato-regioni - se
il dissenso verte tra un'amministrazione statale e  una  regionale  o
tra amministrazioni regionali - o alla Conferenza unificata, in  caso
di dissenso tra una regione o provincia autonoma e  un  ente  locale,
per terminare nella competenza ultima del Consiglio dei ministri  ove
il dissenso non risulti con tali mezzi superato. 
    La necessita'  del  rapporto  specifico  di  intesa  quanto  alla
localizzazione  delle  centrali  non  rimane   dunque   adeguatamente
sostituito dalla sia pur qualificata partecipazione al procedimento. 
    Del resto, tale specificita' - ed insieme una  possibile  diversa
soluzione - e' bene dimostrata, all'interno della  stessa  legge  qui
impugnata,  dal  nuovo  testo  dell'art.   1-sexies,   comma   4-bis,
del decreto-legge  29  agosto   2003,   n.   239   (convertito,   con
modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2003, n. 290),  introdotto  ora
dall'art. 27, comma 24 della legge n. 99 del 2009. 
    Tale comma 4-bis, nel suo testo  originario,  era  stato  appunto
dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza  di  codesta
Corte costituzionale n.  383  del  2005,  sopra  citata  (come  sopra
ricordato, esso prevedeva un «potere sostitutivo» statale in caso  di
mancata intesa con  la  regione  interessata).  Ora,  in  sostanziale
esecuzione della sentenza n. 383, il nuovo comma  4-bis  del  decreto
dispone (per quanto qui interessa) come segue: 
        «In caso di mancata definizione dell'intesa con la regione  o
le regioni interessate per il rilascio dell'autorizzazione,  entro  i
novanta giorni successivi al termine di cui al comma 3,  si  provvede
al rilascio della stessa previa intesa da concludere in  un  apposito
comitato interistituzionale, i cui componenti sono designati, in modo
da  assicurare  una  composizione  paritaria,   rispettivamente   dai
Ministeri dello sviluppo economico, dell'ambiente e della tutela  del
territorio e del mare e delle infrastrutture e dei trasporti e  dalla
regione o dalle regioni interessate. Ove non si pervenga ancora  alla
definizione  dell'intesa,  entro  i  sessanta  giorni  successivi  al
termine di cui al primo periodo, si provvede  all'autorizzazione  con
decreto del Presidente della  Repubblica,  previa  deliberazione  del
Consiglio  dei  ministri,  integrato  con   la   partecipazione   del
presidente della regione o delle regioni interessate, su proposta del
Ministro dello  sviluppo  economico,  di  concerto  con  il  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio  e  del  mare  e  con  il
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti». 
    Dunque, e' la stessa legge statale, guidata in questo caso  dalla
giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale, ad indicare la
via idonea a preservare i caratteri specifici dell'intesa  e  la  sua
peculiare rilevanza  anche  la'  dove  -  per  le  esigenze  unitarie
codificate nel principio di sussidiarieta' - alla regione interessata
non possa spettare la parola definitivamente finale. 
    Di   qui   l'illegittimita'   costituzionale   della    impugnata
disposizione, nella parte in cui  non  prevede  che  l'autorizzazione
unica  debba  essere  rilasciata  previa  intesa   con   la   regione
interessata. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'rt. 25, comma 2, lett. a). 
    L'art. 25, comma secondo, lett. a), pone come criterio  direttivo
della delega la «previsione della possibilita' di dichiarare  i  siti
aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali forme  di
vigilanza e di protezione». 
    La regione non contesta, ovviamente, la  necessita'  che  i  siti
delle centrali nucleari siano soggetti a speciali forme di  vigilanza
e protezione. Ritiene invece di dovere  essere  coinvolta  sia  nella
esatta individuazione dell'area da  qualificare  come  «di  interesse
strategico nazionale», sia nella stessa individuazione delle forme di
vigilanza e protezione. 
    Cio' nell'ipotesi che non  si  tratti  qui  semplicemente  di  un
problema di  ordine  pubblico,  ma  che  la  qualifica  in  questione
conferisca ad aree non necessariamente coincidenti con  quella  della
centrale  nucleare  strettamente  intesa  uno   status   territoriale
speciale, comportante uno specifico regime dell'attivita' urbanistica
ed edilizia, intrecciandosi cosi' con  la  materia  del  governo  del
territorio e con tutti  gli  interessi  inerenti  a  tale  vastissima
materia. 
    Per quanto  qui  risulta,  la  qualificazione  di  aree  come  di
interesse strategico nazionale ha nella  legislazione  un  precedente
specifico nell'art. 2, comma 4 del decreto-legge 23 maggio  2008,  n.
90 (convertito in legge n. 123 del 2008 e modificato dall'art.  2-bis
della legge n. 210 del 2008), secondo il quale «i siti, le  aree,  le
sedi degli uffici e gli impianti comunque connessi  all'attivita'  di
gestione dei  rifiuti  costituiscono  aree  di  interesse  strategico
nazionale, per le quali  il  Sottosegretario  di  Stato  provvede  ad
individuare le occorrenti misure, anche di  carattere  straordinario,
di salvaguardia e di tutela per assicurare  l'assoluta  protezione  e
l'efficace gestione». 
    La ricorrente regione ritiene che - nel quadro sopra delineato  -
debba essere stabilito come vincolo costituzionale nella stessa legge
di delega che all'individuazione dell'area e delle relative misure di
protezione debba procedersi d'intesa con  la  regione  o  le  regioni
direttamente interessate, per le stesse ragioni per le quali l'intesa
risulta necessaria - come sopra esposto - in  relazione  alla  stessa
localizzazione della centrale. 
    Ne risulta dunque - nella indicata prospettiva - l'illegittimita'
costituzionale dell'impugnata disposizione, in quanto non prevede  il
necessario coinvolgimento delle regioni interessate. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 26, comma 1. 
    L'art. 26, comma 1, attribuisce al CIPE il compito di  deliberare
«le tipologie degli impianti di  produzione  elettrica  nucleare  che
possono essere realizzati nel territorio nazionale». 
    Si noti che sia la definizione astratta delle  tipologie  sia  la
definizione della tipologia di un determinato impianto  incidono  sui
livelli di sicurezza e sull'impatto complessivo sul territorio  e  su
tutti gli interessi che su di esso insistono, in  larghissima  misura
affidati alla competenza regionale. 
    In quanto si tratti di una competenza normativa secondaria  nella
materia della produzione dell'energia, il suo  esercizio  non  spetta
allo Stato secondo le ordinarie regole  di  competenza,  quali  poste
dall'art. 117, sesto comma, della Costituzione: il quale -  come  ben
noto - limita il potere regolamentare dello Stato alle  sole  materie
di potesta' legislativa esclusiva. 
    Se dunque si applicassero tali ordinari  criteri  di  competenza,
l'esercizio del predetto  potere  regolamentare  da  parte  del  CIPE
risulterebbe illegittimo. 
    Ove tuttavia si  ritenga  che  -  stante  la  peculiarita'  della
materia - la competenza statale possa  giustificarsi  eccezionalmente
in forza del principio di sussidiarieta', allora saranno  pur  sempre
costituzionalmente necessari i consueti  correttivi,  in  termini  di
partecipazione delle regioni attraverso le necessarie intese. 
    Si tratta qui dunque da un lato della  necessita'  dell'intesa  -
anziche' del semplice  parere  -  della  Conferenza  Stato-Regioni  o
unificata, in quanto il CIPE definisca  «in  astratto»  le  tipologie
ammissibili su tutto il territorio nazionale. 
    Si tratta altresi', dall'altro lato, della necessita' dell'intesa
con la singola regione interessata, in quanto  il  CIPE  deliberi  la
tipologia di un singolo determinato impianto,  da  collocare  in  una
regione determinata. 
    Di qui  l'illegittimita'  costituzionale  della  disposizione  in
quanto non prevede tali intese. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 27, comma 27. 
    L'art. 27, composto da ben 47 commi, contiene diverse Misure  per
la sicurezza e il potenziamento del settore energetico. 
    Al comma 27 esso dispone che  «agli  impianti  di  produzione  di
energia elettrica alimentati con carbon fossile di nuova generazione,
se allocati in impianti industriali dismessi, nonche'  agli  impianti
di produzione di energia elettrica  a  carbon  fossile,  qualora  sia
stato richiesto un aumento della capacita' produttiva, si  applicano,
alle condizioni ivi previste, le disposizioni di cui  all'art.  5-bis
del  decreto-legge  10  febbraio  2009,   n.   5,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33». 
    A sua volta, l'art. 5-bis richiamato, intitolato Riconversione di
impianti di produzione di energia elettrica,  dispone  al  suo  unico
comma che «per la  riconversione  degli  impianti  di  produzione  di
energia elettrica alimentati ad olio combustibile in  esercizio  alla
data di entrata in vigore della legge  di  conversione  del  presente
decreto, al fine di consentirne l'alimentazione  a  carbone  o  altro
combustibile solido, si procede in deroga alle  vigenti  disposizioni
di legge nazionali e regionali che prevedono limiti di localizzazione
territoriale, purche' la riconversione assicuri l'abbattimento  delle
loro emissioni di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti  previsti
per i grandi impianti di combustione di cui alle sezioni  1,  4  e  5
della parte II dell'allegato II alla parte V del decreto  legislativo
3 aprile 2006, n. 152». Dispone altresi' che  tale  disposizione  «si
applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto». 
    In definitiva, il risultato della nuova disposizione, comprensiva
della parte  che  essa  «riprende»  dalla  precedente,  e'  che  alle
centrali  a  carbon  fossile  non  vi  sarebbero   piu'   limiti   di
localizzazione: ne' per quelli di «nuova generazione» (se allocati in
impianti industriali dismessi), ne' per quelli  esistenti  (anche  di
vecchia generazione), per i quali sia stato richiesto un  aumento  di
potenza, alla sola condizione dell'abbattimento delle  emissioni  del
50 per cento rispetto ai limiti previsti per i grandi impianti. 
    Ad  avviso  della  ricorrente  regione,  lo  sganciamento   della
localizzazione o dell'espansione di impianti in ogni  modo  altamente
inquinanti  come  le  centrali  a  carbone   da   ogni   vincolo   di
localizzazione viola la potesta' legislativa regionale in materia  di
governo del territorio e di tutela della salute, oltre che quella  in
materia di produzione dell'energia. 
    In  effetti,  tale  disposizione  non   contiene   un   principio
fondamentale, ma e' al contrario una  norma  derogatoria  al  normale
assetto dei principi di governo del  territorio  e  di  tutela  della
salute. Il carattere derogatorio della disposizione si  evince  dalla
sua  stessa  formulazione  («si  procede  in  deroga   alle   vigenti
disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono  limiti  di
localizzazione territoriale»). 
    La compromissione delle potesta'  legislativa  ed  amministrativa
regionale nelle indicate materie  -  chiamata  dalla  Costituzione  a
muoversi in un quadro di principi fondamentali, e non sulla  base  di
norme derogatorie sconnesse da  ogni  sistema  di  tutela  -  sarebbe
ancora piu' grave ove la disposizione  impugnata  dovesse  intendersi
nel senso che la regione, in sede di  rilascio  dell'intesa  prevista
dall'art. 1, comma  2,  del  decreto-legge  7  febbraio  2002,  n.  7
(recante «Misure urgenti  per  garantire  la  sicurezza  del  sistema
elettrico nazionale», convertito in legge 9 aprile 2002, n. 55),  non
puo' far valere ad eventuale motivazione del proprio diniego  ragioni
attinenti  alla  tutela  di  un  corretto  assetto  territoriale,   a
protezione degli interessi ad una ordinata convivenza  delle  persone
in un ambiente salubre e preservato. 
    Ove cosi' fosse,  infatti,  la  prevista  intesa,  pur  rimanendo
formalmente richiesta, finirebbe per perdere oggetto  e  consistenza,
dal momento che attraverso di essa la regione non potrebbe far valere
gli interessi che e' chiamata dalla  Costituzione  a  tutelare.  Cio'
appare  tanto  piu'  lesivo  delle  competenze  costituzionali  della
regione in quanto codesta stessa Corte costituzionale,  nel  valutare
la legittimita' costituzionale dell'art.  1,  comma  2,  del  decreto
legge n. 7 del 2002 ora citato, ha espressamente sancito che l'intesa
in esso prevista «va considerata come un'intesa  "forte",  nel  senso
che il suo mancato raggiungimento costituisce  ostacolo  insuperabile
alla conclusione del procedimento - come, del resto, ha  riconosciuto
anche l'avvocatura dello Stato - a causa del particolarissimo impatto
che una struttura produttiva di questo tipo ha su tutta una serie  di
funzioni regionali relative al governo del  territorio,  alla  tutela
della salute, alla valorizzazione dei beni culturali  ed  ambientali,
al turismo, etc.». 
    Ove dunque  tutti  tali  interessi  dovessero  considerarsi  come
«limiti di localizzazione territoriale» che la regione non puo'  piu'
far valere, verrebbe meno con cio' il principio  stesso  dell'intesa:
il  quale  -  a  termini  della  stessa  sentenza  ora  ricordata   -
costituisce poi il fondamento che legittima in forza del principio di
sussidiarieta' l'assunzione di funzioni legislative ed amministrative
statali, oltre al ruolo riconosciuto al legislatore statale dall'art.
117, terzo comma, nelle materie di  potesta'  legislativa  regionale,
concorrente con quella statale. 
    Ne   risulta   dunque   l'illegittimita'   costituzionale   della
disposizione impugnata in quanto essa non  costituisce  un  principio
fondamentale della materia ma una norma derogatoria  che  compromette
quei  valori  di  ordine  territoriale,  di  tutela   della   salute,
ambientali, turistici, ecc., alla quale sia la  potesta'  legislativa
statale che quella regionale  sono  preordinate  ed  in  quanto  essa
svuota di contenuto l'intesa  che  la  regione  e'  chiamata  a  dare
rispetto all'autorizzazione dell'impianto. 

        
      
                              P. Q. M. 
    La Regione Umbria, come  sopra  rappresentata  e  difesa,  chiede
voglia codesta ecc.ma Corte  costituzionale  accogliere  il  presente
ricorso, dichiarando l'illegittimita' costituzionale delle  impugnate
disposizioni, sotto i profili e per i motivi sopra indicati. 
        Padova-Roma, addi' 28 settembre 2009 
          Prof. avv. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi 

    

Menu

Contenuti