|
N. 71 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 15 giugno 2006.
|
|
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 15 giugno 2006 (della Regione Valle d'Aosta)
(GU n. 30 del 26-7-2006)
|
Ricorso della Regione Valle d'Aosta, in persona del Presidente
della regione e legale rappresentante pro tempore, on. Luciano
Caveri, giusta deliberazione della giunta regionale n. 1623 adottata
in data 1° giugno 2006 (doc. 1), rappresentata e difesa, in forza di
procura a margine del presente atto, dell'avv. prof. Giampaolo Parodi
del foro di Genova, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio
in Roma, via di Ripetta n. 142;
Contro la presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del
Presidente del Consiglio in carica per la dichiarazione di
illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale), pubblicato nel supplemento
ordinario n. 96 alla Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 88 del
14 aprile 2006, con riferimento agli articoli 6, 4, comma 1, lettera
a), numero 3, 7, comma 3, 10, 12, comma 2, 16, 68, 23, comma 4, 25 e
31, commi 1 e 2, 33, 63, 64, 202 e 203.
F a t t o
Con il decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, recante «norme
in materia ambientale», il Governo ha esercitato la delega
legislativa di cui alla legge 15 dicembre 2004, n. 308, «Delega al
Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della
legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione»,
la quale, all'art. 1, comma 1, stabilisce: «Il Governo e' delegato ad
adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica,
uno o piu' decreti legislativi di riordino, coordinamento e
integrazione delle disposizioni legislative nei seguenti settori e
materie, anche mediante la redazione di testi unici: a) gestione dei
rifiuti e bonifica dei siti contaminati; b) tutela delle acque
dall'inquinamento e gestione delle risorse idriche; c) difesa del
suolo e lotta alla desertificazione; d) gestione delle aree protette,
conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie
protette di flora e di fauna; e) tutela risarcitoria contro i danni
all'ambiente; f) procedure per la valutazione di impatto ambientale
(VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per
l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC); g) tutela dell'aria e
riduzione delle emissioni in atmosfera» (corsivo non testuale).
Per quanto concerne i principi ed i criteri direttivi della
delega, l'art. 1, comma 8, la legge n. 308, tra l'altro, stabilisce:
«I decreti legislativi di cui al comma 1 si conformano, nel
rispetto dei principi e delle norme comunitarie e delle competenze
per materia delle amministrazioni statali, nonche' delle attribuzioni
delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi
dell'articolo 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997,
n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, efatte salve
le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a
statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e
del principio di sussidiarieta', ai seguenti principi e criteri
direttivi generali:
a) garanzia della salvaguardia, della tutela e del
miglioramento della qualita' dell'ambiente, della protezione della
salute umana, dell'utilizzazione accorta e razionale delle risorse
naturali, della promozione sul piano internazionale delle norme
destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello locale,
regionale, nazionale, comunitario e mondiale, come indicato
dall'articolo 174 del Trattato istitutivo della comunita' europea, e
successive modificazioni;
[...]
e) piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie,
al fine di garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e di
contribuire in tale modo alla competitivita' dei sistemi territoriali
e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza»
(corsivo non testuale).
Come si dira', il decreto legislativo impugnato risulta anzitutto
viziato sotto il profilo formale e procedurale, in quanto adottato
attraverso un procedimento gravemente lesivo del principio di leale
collaborazione tra Stato, regioni ed enti locali.
Le disposizioni specificamente impugnate sia in quanto eccedenti
dai limiti della delega ed in contrasto con i principi e criteri
direttivi sopra richiamati, sia in quanto lesive dei parametri
costituzionali ed interposti di seguito indicati, sono le seguenti:
l'articolo 6, nella parte in cui prevede un'integrazione con
esperti regionali della commissione tecnico-consultiva per la
valutazioni ambientali del tutto inadeguata;
gli articoli 4, comma 1, lettera a), numero 3), 7, comma 3,
10, 12, comma 2, 16 e 68, relativi alla procedura di valutazione
ambientale strategica (VAS);
gli articoli 23, comma 4, 25. 31, commi 1 e 2, e 33, relativi
alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA);
gli articoli 63 e 64, concernenti le nuove Autorita' di
bacino; gli articoli 202 e 203, relativi alla gestione dei rifiuti.
In riferimento sia a disposizioni statutarie e di attuazione
statutaria, sia a disposizioni del Titolo V della Costituzione, la
richiamata disciplina statale risulta lesiva della sfera di
attribuzioni della Regione autonoma Valle d'Aosta sotto molteplici
profili. Di qui la necessita' della proposizione del seguente
ricorso, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 «Norme in materia
ambientale» ed in particolare degli articoli 6, 4, comma 1, lettera
a), numero 3, 7, comma 3, 10, 12, comma 2, 16, 68, 23, comma 4, 25 e
31, commi 1 e 2, 33, 63, 64, 202 e 203, per i seguenti motivi di
D i r i t t o
1. - Premessa sulla violazione delle attribuzioni regionali in
materia ambientale ed in materie «confinanti» o «funzionalmente
collegate».
Prima di prendere in considerazione le singole disposizioni
specificamente censurate, e' necessario premettere alcune
puntualizzazioni sull'ampia competenza legislativa ed amministrativa
della Regione Valle d'Aosta in materia di tutela dell'ambiente, nelle
sue molteplici estrinsecazioni, da tempo acquisita e confortata da
una giurisprudenza costituzionale costante ed univoca. Quanto
premesso nel presente paragrafo consente di non reiterare ogni volta
gli argomenti che devono essere addotti a fondamento delle invocate
competenze in materia di tutela dell'ambiente spettanti alla
ricorrente.
Dalla sent. n. 1029 del 1988 di codesta ecc.ma Corte risulta un
quadro di attribuzioni costituzionalmente garantite gia' da tempo
consolidato. Si tratta di competenze che «nel caso della Valle
d'Aosta, sono in gran parte assegnate alla sua competenza legislativa
primaria in base all'art. 2 dello Statuto di autonomia. A questa,
infatti, sono affidate sia l'urbanistica, l'agricoltura e foreste, la
caccia e la pesca. il turismo, i lavori pubblici e l'artigianato,
sia. soprattutto, la "tutela del paesaggio" la quale appare
contrassegnata da una strettissima contiguita' con la "protezione
della natura" in quanto caratterizzata da interessi
estetico-culturali (v. sentt. nn. 239 del 1982, 359 del 1985, 151 del
1986) che, ancorche' presenti nella materia disciplinata
dall'art. 83, sono in quest'ultimo caso trascesi in una visione piu'
ampia, basata primariamente sugli interessi ecologici e, quindi,
sulla difesa dell'ambiente come bene unitario, pur se composto da
molteplici aspetti rilevanti per la vita naturale e umana (v. in tal
senso sent. n. 617 del 1987). In altre parole, al livello della
gestione diretta delle attivita' rilevanti per la protezione della
natura e dell'ambiente attuata mediante un parco nazionale, la
regione vanta una competenza ad hoc di tipo concorrente (v. spec.
sentt. nn. 223 del 1984, 183 del 1987), che si affianca a numerose
altre competenze su materie confinanti (urbanistica, agricoltura,
etc.). esercitate, nel caso della Valle d'Aosta, sulla base di una
potesta' di tipo esclusivo» (enfasi aggiunta).
Un implicito ma non meno significativo riconoscimento delle
competenze ambientali della ricorrente si trova anche nella
successiva sent. n. 264 del 1996, che rigetta le censure mosse ad una
legge della Valle d'Aosta istitutiva di una tariffa d'uso per
l'ingresso e la circolazione dei veicoli a motore in strade
extraurbane: «la legge indica gia' nel primo articolo le finalita'
giustificative dei limiti che si intendono porre alla circolazione:
garantire il transito in condizioni di sicurezza, il rispetto del
limite di carico del territorio interessato, la riduzione della
congestione di traffico veicolare e la migliore tutela dell'ambiente
e del paesaggio».
Nella successiva sent. n. 285 del 1997, pur sfavorevole alla
legge della Valle d'Aosta a suo tempo impugnata, in termini del tutto
espliciti si afferma che «questa Corte ha gia' osservato che (v.
sentenza n. 183 del 1987) una competenza "costituzionalmente
garantita in materia di protezione ambientale" spetta alle regioni
nel senso che le stesse ben possono unitamente allo Stato o anche in
piena autonomia, attivarsi per la tutela del bene ambiente contro
tutte le forme di inquinamento» (enfasi aggiunta).
Le competenze ambientali della ricorrente trovano altresi'
conferma nell'art. 16 della legge 16 maggio 1978, n. 196. recante
«Norme di attuazione dello statuto speciale della Valle d'Aosta», a
norma del quale «in attuazione dell'articolo 4, primo comma, della
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, in relazione
all'articolo 2, lettera q), ultima parte, della legge costituzionale
medesima, sono trasferite alla Regione Valle d'Aosta le funzioni
amministrative che il Ministero per i beni culturali ed ambientali ed
altri organi centrali e periferici dello Stato esercitano, per il
territorio delle Valle d'Aosta, in materia di tutela del paesaggio».
Ulteriore conferma delle attribuzioni ambientali della Valle
d'Aosta e' fornita dall'art. 50 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182,
recante «Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione
Valle d'Aosta per la estensione alla regione delle disposizioni del
d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e della normativa relativa agli enti
soppressi con l'art. 1-bis del 18 agosto 1978, n. 481, convertito
nella legge 21 ottobre 1978, n. 641», che stabilisce quanto segue:
«Le funzioni amministrative nella materia relativa alla urbanistica
ed ai piani regolatori per zone di particolare importanza turistica
concernono la disciplina dell'uso del territorio comprensiva di tutti
gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le
operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonche' la
protezione dell'ambiente e l'approvazione di piani regolatori per
zone di particolare importanza turistica».
Le richiamate norme di attuazione mantengono allo Stato
competenze ben circoscritte, come chiaramente risulta dal successivo
art. 51 («Sono di competenza dello Stato le funzioni amministrative
concernenti: a) l'identificazione delle linee fondamentali
dell'assetto del territorio nazionale, con particolare riferimento
all'articolazione territoriale degli interventi di interesse statale
ed alla tutela ambientale ed ecologica del territorio nonche' alla
difesa del suolo; b) la formazione e l'aggiornamento degli elenchi
delle zone dichiarate sismiche e l'emanazione delle relative norme
tecniche per le costruzioni nelle stesse. Per le opere da eseguirsi
da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio
statale l'accertamento della conformita' alle prescrizioni delle
norme e dei piani urbanistici ed edilizi, salvo che per le opere
destinate alla difesa militare, e' fatto dallo Stato di intesa con la
regione»; corsivo non testuale).
In materia ambientale, di fondamentale importanza sono poi gli
artt. 67 e 68 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182.
Non e' inutile riportare l'intero art. 67, che stabilisce quanto
segue:
«Sono trasferite alla regione, salvo quanto disposto
successivamente, le funzioni amministrative esercitate dagli organi
centrali e periferici dello Stato in ordine all'igiene del suolo e
dell'inquinamento atmosferico, idrico, termico ed acustico, compresi
gli aspetti igienico-sanitari delle industrie insalubri, salvo quanto
disposto dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833.
Il trasferimento riguarda in particolare le funzioni concernenti:
a) la disciplina degli scarichi e la programmazione degli
interventi di conservazione e depurazione delle acque e di
smaltimento dei rifiuti liquidi e idrosolubili;
b) la programmazione di interventi per la prevenzione ed il
controllo dell'igiene del suolo e la disciplina della raccolta,
trasformazione e smaltimento dei rifiuti solidi urbani industriali;
c) la tutela dall'inquinamento atmosferico ed idrico di
impianti termici ed industriali e da qualunque altra fonte, con
esclusione di quello prodotto da scarichi veicolari;
d) il controllo e la prevenzione dell'inquinamento acustico
prodotto da sorgenti fisse, nonche' quello prodotto da sorgenti
mobili se correlate a servizi, opere ed attivita' trasferite alle
regioni;
c) la formazione professionale degli addetti alla gestione
degli impianti termici.
Sono inoltre trasferite alla regione le funzioni statali relative
al comitato regionale per l'inquinamento atmosferico che potra' sua
composizione e nelle sue funzioni anche con riferimento alle funzioni
regionali in materia di igiene acustica, idrica del suolo: nonche'
alla commissione regionale per la protezione sanitaria della
popolazione dai rischi delle radiazioni, di cui all'art. 89 del
decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 1964, n. 185».
E' necessario ricordare anche il successivo art. 68 del d.P.R.
22 febbraio 1982, n. 182, che circoscrive le competenze conservate
allo Stato attraverso una elencazione tassativa, dalla quale non
risulta alcun titolo giustificativo delle disposizioni legislative
che con il presente ricorso si impugnano.
In generale, e al di la' delle specifiche attribuzioni della
Regione autonoma Valle d'Aosta, occorre fare un cenno anche alla
giurisprudenza costituzionale precedente la revisione del Titolo V
riguardante anche le regioni di diritto comune, giacche' tra i
principi e criteri della delega vi e' quello che vieta
l'anacronistico ridimensionamento delle attribuzioni regionali in
materia ambientale, come definite dalla legislazione precedente la
novella costituzionale, secondo quanto stabilito dall'art. 1, comma
8, la legge n. 308 del 2004, sopra citato.
Gia' nella sentenza di codesta ecc.ma Corte n. 183 del 1987 si
osservava che «non puo' negarsi alla Regione una competenza
costituzionalmente garantita in materia di protezione ambientale, il
cui contenuto puo' essere individuato, in relazione all'assetto del
territorio e dello sviluppo sociale e civile di esso, per un verso
nel rispetto e nella valorizzazione delle peculiarita' naturali del
territorio stesso, per altro verso, nella preservazione della
salubrita' delle condizioni oggettive del suolo, dell'aria e
dell'acqua a fronte dell'inquinamento atmosferico, idrico, termico ed
acustico.
Cio' si desume dall'interpretazione teleologica della elencazione
delle materie contenuta nell'art. 117, e richiamata dall'art. 118
Cost., atteso il collegamento funzionale intercorrente fra la materia
ora indicata con quelle che riguardano comunque il territorio (sent.
n. 225 del 1983), ma particolarmente con quella dell'urbanistica
(funzione ordinatrice, ai fini della reciproca compatibilita', degli
usi e delle trasformazioni del suolo nella dimensione spaziale
considerata e nei tempi ordinatori previsti: cfr. sent. n. 151 del
1986) e con quella del paesaggio (tutela del valore
estetico-culturale: cfr. ivi) ed altresi' con la materia
dell'assistenza sanitaria (complesso degli interventi positivi per la
tutela e promozione della salute umana). Dalle quali, peraltro, la
materia della protezione ambientale si distingue per la specificita'
dell'interesse perseguito. Ma soprattutto cio' si ricava dalle norme
interposte rispetto a quelle costituzionali suddette, di cui agli
artt. 80.83 e 101 del d.P.R. n. 616 del 1977» (conforme, ex plurimis
la piu' recente sent. n. 382 del 1999).
Ma anche la giurisprudenza costituzionale successiva alla
revisione Titolo V conferma le attribuzioni regionali in materia
ambientale, soprattutto a partire dalla sent. n. 407 del 2002: «I
lavori preparatori relativi alla lettera s) del nuovo art. 117 della
Costituzione inducono, d'altra parte, a considerare che l'intento del
legislatore sia stato quello di riservare comunque allo Stato il
potere di fissare standards di tutela uniformi sull'intero territorio
nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competenza
regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli
propriamente ambientali, In definitiva, si puo' quindi ritenere che
riguardo alla protezione dell'ambiente non si sia sostanzialmente
inteso eliminare la preesistente pluralita' di titoli di
legittiinazione per interventi regionali diretti a soddisfare
contestualmente. nell'ambito delle proprie competenze, ulteriori
esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo
Stato» (conformi, ex plurimis, le sentt. nn. 222 e 307 del 2003; 62,
108, 135 e 214 del 2005).
Con riguardo alla posizione delle regioni a statuto speciale e
delle Province autonome, per un verso, le piu' estese competenze
legislative statali in materia di tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema non possono essere opposte alla ricorrente, ai sensi
dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001; per un altro
verso, le Regioni a statuto speciale conservano la competenza in
materia di tutela dell'ambiente loro pacificamente riconosciuta prima
della revisione costituzionale del 2001, che rimane ferma, unitamente
a tutte le altre attribuzioni statuarie come, da minimo,
implicitamente ma chiaramente confermato dalla sent. n. 215 del 2006
di codesta ecc.ma Corte (punto 2.3. del Considerato in diritto).
D'altro canto, per quanto riguarda le materie di competenza
legislativa di cui all'art. 117, terzo e quarto comma della
Costituzione, non si puo' certo escludere che le medesime vadano
riconosciute anche alla ricorrente, per le parti in cui prevedono
forme di autonomia piu' ampie rispetto a quelle ad essa attribuite
dallo Statuto speciale e dalle norme di attuazione, cio' che, con
riferimento alla ricorrente, potrebbe affermarsi con riguardo ad
alcune materie, tra le quali l'industria, la gestione delle acque
pubbliche ad uso idroelettrico, la tutela della salute, la protezione
civile, il governo del territorio - per la parte eventualmente
eccedente la materia urbanistica ed edilizia, assegnata alla
competenza primaria della Regione Valle d'Aosta - sempre che codesta
ecc.ma Corte non ritenga tali attribuzioni delle regioni ordinarie
meno ampie proprio in conseguenza della competenza legislativa
esclusiva dello Stato di cui alla lettera s) del secondo comma
dell'art. 117, non applicabile alla ricorrente.
2. - Illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 3
aprile 2006 n. 152 per eccesso di delega e violazione del principio
di leale collaborazione.
Il decreto legislativo n. 152 del 2006, nella sua interezza.
oltre che nelle parti specificamente oggetto di censura sotto i
profili di seguito indicati, deve essere anzitutto denunciato in
quanto viziato da eccesso di delega e lesivo del principio di leale
collaborazione. Quanto dedotto sub 2, salva indicazione contraria,
s'intende richiamato in ognuno dei paragrafi successivi del presente
atto, in aggiunta ai motivi di censura concernenti le singole
disposizioni specificamente impugnate.
Le legge 15 dicembre 2004 n. 308, «Delega al Governo per il
riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in
materia ambientale e misure di diretta applicazione», delega il
Governo «ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in
vigore della presente legge [...] uno o piu' decreti legislativi di
riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni
legislative» nei settori ematerie di seguito elencati (art. 1, comma
1; corsivo non testuale).
Al successivo comma 4, si stabilisce che «I decreti legislativi
di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il
Ministro per la funzione pubblica, con il Ministro per le politiche
comunitarie e con gli altri Ministri interessati, sentito il parere
della conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281» (corsivo non testuale).
L'art. 1, comma 8, della legge di delegazione stabilisce poi, tra
l'altro, che i decreti legislativi di cui al comma 1 si conformano ai
principi e criteri direttivi generali di seguito indicati, tra i
quali vanno ricordati specialmente quelli di cui alla lettera e), che
impone la piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al
fine di garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e di
contribuire in tale modo alla competitivita' dei sistemi territoriali
e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza
ed alla lettera m), che prevede la «riaffermazione del ruolo delle
regioni, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione,
nell'attuazione dei principi e criteri direttivi ispirati anche alla
interconnessione delle normative di settore in un quadro, anche
procedurale, unitario» (corsivo aggiunto).
I limiti di oggetto della delega ed i richiamati principi
risultano violati, in primo luogo, in considerazione della natura
fortemente innovativa - ancor prima che riduttiva delle attribuzioni
regionali - di molte delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 152,
tra le quali, certamente, quelle specificamente impugnate con il
presente ricorso.
In secondo luogo, per il carattere lesivo delle attribuzioni
regionali, come delineate dall'art. 117 della Costituzione e dalle
norme dello, Statuto speciale per la Valle d'Aosta, nonche' dalle
relative norme di attuazione, nei termini di seguito precisati.
In terzo luogo, per la violazione del principio di
sussidiarieta', di seguito dedotta con riguardo alle singole
disposizioni impugnate.
In quarto luogo, per la contrarieta' al diritto comunitario delle
disposizioni denunciate sotto i profili precisati nei paragrafi
seguenti.
Ma la violazione dei principi e dei criteri della delega
legislativa sui quali occorre anzitutto soffermarsi e' quella che si
combina con la grave violazione del principio di leale collaborazione
determinata dal procedimento seguito per l'esercizio della delega,
non solo contrario all'art. 1, della legge n. 308 che imponea di
sentire il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281) ma altresi' viziato
dal costante attegeiamento governativo di chiusura e indifferenza per
la richiesta, avanzata in piu' occasioni e in piu' sedi dalle,
regioni e dagli altri enti territoriali, di una effettiva
consultazione e di un adeguato confronto su di un testo destinato ad
incidere ed interferire cosi' fortemente nelle attribuzioni regionali
in considerazione della naturale pervasivita' e trasversalita' della
competenza legislativa statale in materia di tutela dell'ambiente, in
piu' occasioni sottolineata dalla giurisprudenza costituzionale (ex
plurimis Corte cost., sentt. nn. 407 del 2002; 222 e 307 del 2003;
62, 108, 135 e 214 del 2005).
Ne', ai sensi dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del
2001, puo' opporsi alla ricorrente la prevalenza della competenza
statale di cui alla lettera dell'art. 117, secondo comma, della
Costituzione, risultando piuttosto in questo caso applicabile quanto
chiarito da codesta ecc.ma Corte nella sent. n. 50 del 2005. con
riguardo alle ipotesi nelle quali «puo' parlarsi di concorrenza di
competenze e non di competenza ripartita o concorrente», in merito
alle quali, la pronuncia chiarisce che «per la composizione di
siffatte interferenze la Costituzione non prevede espressamente un
criterio ed e' quindi necessaria l'adozione di principi diversi:
quello di leale collaborazione, che per la sua elasticita' consente
di aver riguardo alle peculiarita' delle singole situazioni, ma anche
quello della prevalenza, cui pure questa Corte ha fatto ricorso (v.
sentenza n. 370 del 2003), qualora appaia evidente l'appartenenza del
nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto
che ad altre» (corsivo aggiunto). Sennonche', come si e' detto, la
prevalenza della competenza ambientale del legislatore statale ex
art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione non puo'
essere opposta alla Valle d'Aosta, titolare - come si e' detto
ampiamente sub 1 - di estese competenze legislative ed amministrative
costituzionalmente garantite in campo ambientale; ne', d'altro canto,
come si vedra', le disposizioni impugnate, anche per il loro
carattere autoapplicativo e di estremo dettaglio, possono
considerarsi espressive di principi fondamentali, o di norme
fondamentali delle riforme economico-sociali.
Anche in materia di tutela dell'ambiente, comunque, il principio
di cooperazione ha assunto un ruolo del tutto decisivo, sia, per
cosi' dire, a monte, in sede di elaborazione della disciplina
legislativa da parte dello Stato, sia nella fase applicativa. Come ha
chiarito codesta ecc.ma Corte nella sent. n. 62 del 2005, «quando gli
interventi dello Stato, in vista di interessi unitari di tutela
ambientale, concernono l'uso del territorio, ed in particolare la
realizzazione di opere e di insediamenti atti a condizionare in modo
rilevante lo stato e lo sviluppo di singole aree, l'intreccio, da un
lato, con la competenza regionale concorrente in materia di governo
del territorio, oltre che con altre competenze regionali, dall'altro
lato con gli interessi delle popolazioni insediate nei rispettivi
territori, impone che siano adottate modalita' di attuazione degli
interventi medesimi che coinvolgano le regioni sul cui territorio gli
interventi sono destinati a realizzarsi».
Dal verbale n. 13/05 della Conferenza Unificata, relativo alla
seduta del 15 dicembre 2005 - punto 25 dell'ordine del giorno (doc.
2) - risulta in modo inconfutabile l'arbitrario rifiuto di rinvio del
parere sullo schema di decreto legislativo recante norme in materia
ambientale ai sensi dell'art. 1, comma 4, della legge 15 dicembre
2004, n. 308, richiesto a nome della Conferenza delle Regioni dal
Presidente Errani «per consentire tutti gli idonei e necessari
approfondimenti» (p. 29), sino a quel momento preclusi dalla brevita'
dell'intervallo tra la trasmissione del testo e la riunione della
Conferenza. Il rigetto della proposta di rinvio da parte del vice
Ministro Nucara appare del tutto ingiustificato, anche perche' basato
sul grave equivoco di ritenere erroneamente che «la legge di
delegazione, approvata il 15 dicembre 2004, e' in scadenza nella
giornata odierna» (p. 30), anziche' come viene fatto osservare nel
corso della riunione, l'11 giugno 2006 (p. 35).
Dal verbale risulta altresi' che «Il Presidente Errani rivolge un
appello accorato al Governo, con il quale fa presente che la materia
in argomento e' molto complessa, e che non attiene solo alle
questioni ambientali, ma anche alla difesa del suolo, e ad altro.
Specifica infatti che si tratta di una serie di politiche
fondamentali che incrociano in modo forte, tutta l'articolazione
legislativa delIe regioni e le politiche amministrative degli Enti
locali e che i tempi non sono stati assolutamente sufficienti per
valutare il materiale tecnico, atteso che gli allegati sono stati
trasmessi il 7 dicembre» (p. 31; corsivo aggiunto).
La grave anomalia del comportamento del Governo, attraverso il
rappresentante del Ministero dell'ambiente, trova ulteriore conferma
nell'insistenza del vice Ministro, il quale replica che «le
contestazioni della Conferenza alla legge delega presentano due
aspetti di ordine generale, che il Governo ritiene di non dover
accogliere, poiche' nel caso contrario, si andrebbe oltre i termini
imposti dalla legge di delega» (p. 31).
Ma l'equivoco sulla scadenza del termine per l'esercizio della
delega si associa ad una non meno grave ed inaccettabile
interpretazione del principio di leale cooperazione e della
necessita' - imposta sia dall'art. 1, comma 4, della legge di delega,
sia dagli artt. 2, comma 3, e 8 del d.lgs. n. 281 del 1997 - di
acquisire il parere della Conferenza Unificata. Tale necessita' e'
infatti intesa dal rappresentante del Governo come un adempimento
meramente formale, che dovrebbe ritenersi soddisfatto con la semplice
trasmissione dello schema di provvedimento e l'iscrizione del
relativo parere all'ordine del giorno di una qualsiasi riunione della
Conferenza, senza necessita' alcuna di assicurare l'effettiva
conoscenza da parte delle regioni del provvedimento oggetto del
parere e la possibilita' di una formulazione in tempi ragionevoli del
parere medesimo, vista l'ampiezza del testo in esame, richiesto dal
principio di leale collaborazione, dalla legge di delega, dal d.lgs.
n. 281 del 1997, il quale all'art. 2, comma 3, prevede l'obbligatoria
consultazione della Conferenza Stato-regioni «in ordine agli schemi
di disegni di legge e di decreto legislativo o di regolamento del
Governo nelle materie di competenza delle regioni o delle Province
autonome di Trento e di Bolzano che si pronunzia entro venti giorni;
decorso tale termine, i provvedimenti recanti attuazione di direttive
coniunitarie sono emanati anche in mancanza di detto parere. Resta
fermo quanto previsto in ordine alle procedure di approvazione delle
norme di attuazione degli statuti delle regioni a statuto speciale e
delle province autonome di Trento e di Bolzano» (enfasi aggiunta).
Con riguardo al citato art. 2, comma 3, d.lgs. n. 281 necessaria
garanzia ed attuazione legislativa del principio di leale
collaborazione nella sent. n. 272 del 2005 codesta ecc.ma Corte ha
dichiarato l'infondatezza di una questione di costituzionalita' di
taluni decreti legge e delle relative leggi di conversione, sollevata
(anche) in riferimento all'evocato principio di cooperazione,
chiarendo che «l'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997, pure
richiamato dalla ricorrente, prevede obbligatoriamente l'intervento
consultivo della Conferenza Stato-regioni in sede di predisposizione
dei disegni di legge governativi e dei decreti legislativi, non anche
in quella dei decreti-legge e dunque anche delle relative leggi di
conversione; salvo quanto previsto dal comma 5 per la c.d.
"consultazione successiva"» (corsivo non testuale; nel medesimo
senso, la precedente sent. n. 196 del 2004, punto 27 del Considerato
in diritto). Ne', certo, si puo' nel presente caso eludere tale
fondamentale disciplina assumendo l'esclusiva competenza statale
nella materia in oggetto, giacche' il decreto legislativo impugnato
investe, nel modo piu' incisivo, numerose attribuzioni legislative e
amministrative regionali. L'interpretazione minimale e riduttiva
dell'adempimento in discorso da parte del rappresentante del
Ministero dell'ambiente, del tutto inaccettabile e tale da viziare
irrimediabilmente il procedimento di adozione del decreto legislativo
impugnato, e' documentata anche dai seguenti passaggi del verbale
n. 13/05 del 15 dicembre 2005: «Il Vice Ministro Nucara chiarisce che
i rapporti istituzionali prescindono dai rapporti politici, e che
comunque lui e' sempre attento e rispettoso soprattutto dei rapporti
istituzionali, ma che la legge delega scade e che pertanto,
nonostante ritenga giusto instaurare dei rapporti di collaborazione
fattiva, in modo da trovare soluzioni vantaggiose per tutti, ritiene
veramente difficile poter accedere alla richiesta di ricevere un
parere, positivo o negativo che sia, in una Conferenza che potra'
essere tenuta a meta' gennaio; specifica che come detto la legge
delega scade nella giornata odierna» (pp. 32 s.).
Di analogo tenore quanto successivamente aggiunto dal Vice
Ministro, il quale ha fatto presente «che il Presidente Errani ha
specificato che la Commissione [parlamentare], nella giornata
odierna, ha dichiarato che senza il parere della Conferenza Unificata
non si puo' procedere, e che quindi siccome nella legge delega e'
previsto che debba essere sentita la Conferenza unificata, ritiene
che si possa procedere. Dichiara di non aver necessita' di un parere
vincolante e riconferma quanto detto in precedenza» (p. 38).
Dal verbale risulta che il Ministro La Loggia «conclude prendendo
atto del mancato parere» (p. 38). In effetti, da quanto sopra
riportato risulta soprattutto la circostanza inoppugnabile che le
regioni non sono state messe nella condizione di poter esprimere il
previsto parere e l'incompatibilita' con il principio di leale
collaborazione dell'atteggiamento assunto dal rappresentante del
Ministero dell'ambiente.
Che il Governo ritenesse completato l'iter del decreto
indipendentemente dalla necessaria acquisizione del parere della
Conferenza unificata risulta anche dal comunicato relativo al
Consiglio dei ministri n. 40 del 19 gennaio 2006 (doc. 3), nel quale
si afferma che il Consiglio dei Ministri ha approvato uno schema di
decreto legislativo che da' attuazione ad un'ampia delega conferita
al Governo dalla legge n. 308 del 2004 per il riordino, il
coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia
ambientale [...]; il Governo, valutati i preliminari pareri espressi
dalle Commissioni parlamentari, inviera' nuovamente ad esse il testo
per il completamento dell'iter istruttorio previsto dalla legge di
delegazione». Come si vede, nel comunicato non si fa cenno alcuno al
necessario parere della Conferenza unificata, ritenendosi definitiva
la deliberazione in data 19 gennaio 2006.
Ne' d'altro canto, la dedotta violazione del principio di leale
cooperazione e della legge di delega puo' ritenersi in qualche senso
sanata dalla presa d'atto, in sede di Conferenza unificata, nella
seduta del 26 gennaio 2006, dell'ordine del giorno di cui
all'Allegato sub A) recante un parere negativo sullo schema di
decreto legislativo recante norme in materia ambientale espresso
dalla Conferenza delle regioni e delle Province autonome in pari data
(doc. 4), il quale, si noti, non era inserito tra gli argomenti
all'ordine del giorno della Conferenza Unificata nella riunione del
26 gennaio 2006, come risulta dal Verbale n. 1/06 (doc. 5), ma tra
gli argomenti proposti nel corso della seduta (p. 11 del citato
verbale).
Nel parere negativo del 26 gennaio 2006 le regioni hanno
lamentato, tra l'altro, che l'approvazione in Consiglio dei ministri
il 19 gennaio 2006 «rompe di fatto l'accordo firmato il 4 ottobre
2001 fra il Ministro Matteoli, le regioni, l'A.N.C.I. e l'U.P.l. nel
quale le parti avevano concordato di "operare pariteticamente
nell'elaborazione legislativa [...]"» e che «l'approvazione dello
schema di decreto si configura come un atto unilaterale del Governo,
che viola il principio di leale collaborazione tra le istituzioni e
costituisce una scelta centralistica» (p. 1), in modo tanto piu'
grave in quanto si versa in un ambito - quello della tutela
dell'ambiente - non riducibile ad una materia di competenza
legislativa statale, trattandosi piuttosto di un «"valore"
costituzionalmente protetto. che, in quanto tale, delinea una sorta
di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano
competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo
Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di
disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale» (Corte cost.,
sent. n. 407 del 2002; ma non pare inutile ricordare la piu'
risalente sent. n. 183 del 1987, gia' citata).
Il decreto legislativo veniva poi nuovamente approvato dal
Consiglio dei ministri, in data 10 febbraio 2006, senza peraltro che
risulti in alcun modo una considerazione delle osservazioni formulate
dalle regioni, cio' che del resto trova conferma nella successiva
richiesta di chiarimenti da parte del Presidente della Repubblica,
che aveva ricevuto il testo per l'emanazione.
Il decreto legislativo e' stato poi riapprovato dal Consiglio dei
ministri il 29 marzo 2006 in una versione parzialmente modificata ed
emanato successivamente in una versione non del tutto coincidente con
quella trasmessa alle Commissioni parlamentari e alla Conferenza
unificata, cio' che evidentemente determina un ulteriore vizio
formale dell'impugnato decreto. Quanto precede - in ordine alla
violazione del principio di leale cooperazione, del d.lgs. n. 281 del
1997 e della previsione della legge di delegazione relativa alla
necessaria acquisizione del parere della Conferenza unificata -
costituisce motivo di impugnazione del decreto legislativo, quanto
meno nelle parti specificamente denunciate nel seguito, e pertanto
integra i profili di censura relativi a tutte le disposizioni
impugnate, che si appalesano incostituzionali, oltre che per la
violazione dei parametri di seguito indicati, per violazione del
principio di cooperazione (anche nell'attuazione ricevuta dagli
artt. 2. comma 3, 8 e 9, comma 2, del d.lgs. n. 281 del 1997) e
dell'art. 76 Cost., in relazione all'art. 1, comma 4, della legge
n. 308 del 2004.
3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 6 del d.lgs. n. 152
del 2006, per violazione delle attribuzioni costituzionali della
ricorrente in materia ambientale, degli artt. 11 e 117, primo comma,
Cost., del principio di leale collaborazione, nonche' per eccesso di
delega.
L'art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006 prevede l'istituzione presso
il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio - con
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio - di una
Commissione tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali. La
Commissione, tra l'altro provvede all'istruttoria e si esprime sui
rapporti ambientali e sugli studi di impatto ambientale relativi a
piani e programmi oppure a progetti rispettivamente sottoposti a
valutazione ambientale strategica ed a valutazione di impatto
ambientale di competenza statale, e si esprime altresi' sulle
autorizzazioni integrate ambientali di competenza statale» (art. 6,
comma 2).
Sebbene, in base al tenore del citato comma 2, chiamata a
pronunciarsi nell'ambito di procedimenti di competenza statale, la
composizione dell'organo non e' rispettosa del ruolo e delle
attribuzioni delle regioni, che a tali procedimenti non possono certo
ritenersi estranee.
In particolare, non e' idonea la composizione delle
sottocommissioni prevista per l'esame dei provvedimenti che
coinvolgano «specifici interessi regionali». In tali ipotesi,
l'art. 6, comma 6 del decreto legislativo stabilisce che la
sottocommissione sia integrata da un esperto designato da ciascuna
Regione interessata: «In ragione degli specifici interessi regionali
coinvolti dall'esercizio di una attivita' soggetta alle norme di cui
alla parte seconda del presente decreto, la relativa sottocommissione
e' integrata dall'esperto designato da ciascuna delle regioni
direttamente interessate per territorio dall'attivita».
Tale disposizione, anzitutto per la forte disparita' numerica tra
i rappresentanti designati rispettivamente dallo Stato e dalle
regioni, non pare garantire in modo adeguato il necessario
coordinamento tra i vari livelli territoriali dell'ordinamento.
Inoltre, del tutto indefinito rimane il ruolo specifico
dell'«esperto» regionaIe, ne' e' specificato se egli sia o meno
membro a tutti gli effetti della sottocommissione. L'articolo 6,
comma 8, del resto, a riprova dell'estrema debolezza della
partecipazione regionale all'organo di cui si tratta, stabilisce che
la sottocommissione puo' comunque procedere anche in assenza di tale
esperto, qualora la regione interessata non abbia proveduto a
designarlo (in attuazione dell'art. 49, comma 3, a norma del quale
«ciascuna regione e provincia autonoma comunica al Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio il proprio elenco di
esperti di cui all'articolo 6, comma 6, con l'ordine di turnazione
secondo il quale, all'occorrenza, dovranno essere convocati in
sottocommissione)».
La denunciata disciplina statale e' pertanto inidonea a garantire
che le decisioni adottate in esito ai procedimenti di cui si tratta,
destinate ad incidere spesso pesantemente nella sfera delle
attribuzioni e degli interessi regionali, siano assunte con un
adeguato coinvolgimento delle regioni interessate, in applicazione di
un principio affermato in termini del tutto espliciti da codesta
ecc.ma Corte, in materia di VIA relativa alle opere di cui alla legge
n. 443 del 2001 (la cosidetta «Legge obiettivo»).
La sentenza n. 303/2003 ha infatti dichiarato l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 19, comma 2, d.lgs. n. 190/2002, nella parte
in cui, per le infrastrutture e gli insediamenti produttivi
strategici, per i quali sia stato riconosciuto, in sede di intesa, un
concorrente interesse regionale, non prevede che la commissione
speciale per la valutazione di in impatto ambientale (VIA) sia
integrata da componenti designati dalle regioni o province autonome
interessate (corsivo non testuale).
La disciplina della Commissione tecnico-consultiva per le
valutazioni ambientali, destinata a prendere il posto, tra l'altro,
della predetta commissione speciale per la valutazione di impatto
ambientale, non puo' pertanto ritenersi corrispondente ai principi
enunciati dalla Corte costituzionale, il rispetto dei quali
richiederebbe la designazione da parte dalla Regione interessata non
gia' di un soggetto genericamente qualificato come «esperto», bensi'
di componenti a pieno titolo collocati, nell'ambito della
sottocommissione, in posizione pariordinata ai membri di designazione
statale, effettivamente in grado di rappresentare in modo adeguato il
punto di vista della regione interessata dall'attivita' o
dall'intervento sottoposti a valutazione ambientale.
Si tratta insomma, nel caso dell'impugnato art. 6, di una forma
di partecipazione regionale non necessaria, ne' garantita, la cui
efficacia dipende dalla decisione insindacabile del vicepresidente
competente, come risulta dal comma 5 («La Commissione opera, di
norma, attraverso sottocommissioni. Le sottocominissioni sono
composte da un numero variabile di componenti in ragione delle
professionalita' necessarie per il completo ed adeguato esame della
specifica pratica. L'individuazione delle professionalita' necessarie
spetta al vicepresidente competente. Una volta individuate le figure
professionali dei componenti e del coordinatore della
sottocommissione, i singoli commissari sono assegnati alle
sottocommissioni sulla base di un predefinito ordine di turnazione»
(corsivo aggiunto).
Anche i successivi commi 7 («Ai fini di cui al comma 6, le
amministrazioni regionali direttamente interessate per territorio
segnalano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio il
proprio interesse») comma 8 («Qualora le amministrazioni di cui al
comma 7 non abbiano provveduto alla designazione degli esperti, la
sottocommissione e' costituita nella composizione ordinaria e procede
comunque all'istruttoria affidatale, ferma restando la possibilita'
di successiva integrazione della sua composizione, nel rispetto dello
stadio di elaborazione e delle eventuali conclusioni parziali cui sia
gia' pervenuta») confermano l'opzione del legislatore statale per una
partecipazione regionale solo eventuale, debole, non garantita, che
rende costituzionalmente illegittimo l'intero art. 6.
La disciplina concernente la Commissione tecnico-consultiva per
le valutazioni ambientali e l'indifferenza per le esigenze di
adeguato ed effettivo coinvolgimento delle regioni nei procedimenti
suscettibili di investire aspetti di pertinenza degli enti
territoriali, che essa sottintende, rende carente anche la connessa
disciplina di cui al Capo II del Titolo III della Parte II del d.lgs.
n. 152, contenente disposizioni specifiche per la VAS in sede
statale, nella parte in cui richiama la Commissione di cui
all'art. 6, e cio' in contrasto con quanto previsto dalla direttiva
2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno
2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e
programmi sull'ambiente, con conseguente violazione degli artt. 11 e
117, primo comma, della Costituzione.
L'art. 6 della citata direttiva stabilisce infatti, al paragrafo
2 che «le autorita' di cui al paragrafo 3 e il pubblico di cui al
paragrafo 4 devono disporre tempestivamente di un'effettiva
opportunita' di esprimere in termini congrui il proprio parere sulla
proposta di piano o di programma e sul rapporto ambientale che la
accompagna, prima dell'adozione del piano o del programma o
dell'avvio della relativa procedura legislativa» (enfasi aggiunta) e,
al successivo par. 3, che «gli Stati membri designano le autorita'
che devono essere consultate e che, per le loro specifiche competenze
ambientali, possono essere interessate agli effetti sull'ambiente
dovuti all'applicazione dei piani e dei programmi» Al par. 5, il
richiamato art. 6 impone infine agli Stati membri di determinare le
specifiche modalita' per l'informazione e la consultazione delle
autorita' e del pubblico».
4. - Illegittimita' costituzionale degli artt. 4, comma 1,
lettera a) n. 3, 7, comma 3, 10, 12, comma 2, 16 e 68 del d.lgs.
n. 152 del 2006, in materia di Valutazione Ambientale Strategica, per
violazione delle attribuzioni della ricorrente in materia ambientale
ed in materie connesse; degli artt. 11 e 117, primo e quinto comma,
Cost.; del principio di leale collaborazione; degli artt. 76 e 97
Cost.
Per quanto concerne la Valutazione Ambientale Strategica, appare
anzitutto lesiva delle attribuzioni regionali la previsione
dell'art. 7, comma 3, in base alla quale sono sottoposti a VAS «i
piani e i programmi, diversi da quelli di cui al comma 2, contenenti
la definizione del quadro di riferimento per l'approvazione,
l'autorizzazione, l'area di localizzazione o comunque la
realizzazione di opere ed interventi i cui progetti, pur non essendo
sottoposti a valutazione di impatto ambientale in base alle presenti
norme, possono tuttavia avere effetti significativi sull'ambiente e
sul patrimonio culturale, a giudizio della sottocommissione
competente per la valutazione ambientale strategica».
Sarebbe, pertanto, il livello statale a stabilire in modo
insindacabile quali piani - ivi compresi quelli regionali e degli
enti locali - siano da sottoporre a VAS, con conseguente compressione
delle attribuzioni legislative ed amministrative regionali. D'altro
canto, che tale disciplina si applichi alle regioni ed alle province
autonome trova conferma nella collocazione topografica del medesimo
art. 7, inserito nel Capo I, «Disposizioni comuni in materia di VAS
ed altresi negli artt. 21 e 22, il cui comma 1 («Ferme restando le
disposizioni di cui agli articoli 4, 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14,
le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano
con proprie leggi e regolamenti le procedure per la valutazione
ambientale strategica dei piani e programmi di cui all'articolo 21»
corsivo non testuale) ben documenta l'effetto di svuotamento della
competenza legislativa regionale nella materia ambientale ed in
quelle connesse, sotto specificate.
In proposito, non puo' non condividersi quanto espresso nel
parere in data 26 gennaio 2006 della Conferenza delle regioni e delle
province autonome, nel quale si osserva che «tale giudizio della
sottocommissione vale non solo per i piani e i programmi statali, ma
anche per quelli regionali e degli enti locali, configurando un
indebito trasferimento di competenze e delineando una modalita' di
funzionamento sicuramente poco efficiente, ma altamente
centralizzante e gerarchizzante». La disposizione censurata introduce
elementi di ulteriore incertezza in ordine al ruolo della Commissione
tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali, la quale, in base
all'art. 6, comma 2 parrebbe (anche se il contesto normativo
complessivo rende ambigua la disciplina dell'organo) riferire
l'attivita' della stessa a procedimenti di competenza statale.
In ogni caso, si tratta di una disciplina non suscettibile di
esprimere norme fondamentali di riforma o principi fondamentali - tra
i quali non si puo' certo annoverare una disposizione legislativa che
rinvia ad un potere amministrativo insindacabile, per
l'individuazione dei piani e dei programmi da sottoporre a VAS -
lesiva delle attribuzioni regionali in materia di tutela
dell'ambiente, non comprimibili, nel caso della ricorrente, sulla
scorta dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che nel
presente caso non puo' trovare applicazione, secondo quanto stabilito
dall'art. 10, legge cost. n. 3 del 2001.
E' altresi' evidente il mancato rispetto del principio posto
dalla gia' citata sentenza n. 303 del 2003, ed anche nelle successive
n. 6 del 2004, 383 del 2005 e 214 del 2006 (spec. punto 4 del
Considerato in diritto), in base al quale l'attrazione di competenze
amministrative a livello centrale, unitamente all'esercizio dei
poteri legislativi necessari a disciplinarne il corretto utilizzo pur
in materie di competenza regionale, e' consentito - nel rispetto dei
principi di sussidiarieta' differenziazione ed adeguatezza - solo
previo esperimento di procedure di intesa con le regioni interessate,
e comunque in un quadro adeguato di garanzie procedurali e
cooperative, cio' che appare irrinunciabile a garanzia delle
attribuzioni costituzionalmente garantite della ricorrente.
Infatti, non solo e' indiscussa la potesta' legislativa della
Valle d'Aosta in materia di tutela dell'ambiente, ma altrettanto
incontestabile e' che l'attivita' di pianificazione e programmazione
dell'uso del territorio rientra nella materia «urbanistica, piani
regolatori per zone di particolare importanza turistica» e coinvolge
competenze riguardanti le «strade e lavori pubblici di interesse
regionale» nonche' - per quanto concerne la valutazione piu'
strettamente ambientale - l'«agricoltura e foreste, zootecnia, flora
e fauna». Tali materie, a norma dell'articolo 2, lettere a), f) e g)
dello Statuto speciale per la regione Valle d'Aosta, approvato con
legge costituzionale n. 4 del 26 febbraio 1948, sono assegnate alla
potesta' legislativa esclusiva, o primaria, della ricorrente, che
risulta cosi' lesa dalle disposizioni denunciate.
Sempre relativamente alla VAS, l'art. 12, comma 2, del decreto
legislativo impugnato introduce un drastico potere sostitutivo
statale qualora l'autorita' preposta alla valutazione ambientale non
si esprima entro 60 giorni.
A tale riguardo, il Consiglio dei ministri e' autorizzato, previa
diffida ed assegnazione di un ulteriore termine di 20 giorni, ad
esercitare il potere sostitutivo. Tale norma si applica, fino
all'emanazione della normativa regionale in materia, anche per le VAS
di competenza regionale.
La lesione delle competenze regionali deriva specialmente dalla
previsione in base alla quale, ove il Consiglio dei ministri non si
pronunci, si intende emesso parere negativo («L'inutile decorso del
termine di cui al presente comma implica l'esercizio del potere
sostituivo da parte del Consiglio dei ministri, che provvede entro
sessanta giorni, previa diffida all'organo competente ad adempiere
entro il termine di venti giorni, anche su istanza delle parti
interessate. In difetto, per i piani e i programmi sottoposti a
valutazione ambientale in sede statale, si intende emesso giudizio
negativo sulla compatihiiita' ambientale del piano o programma
presentato. Per i piani e i programmi sottoposti a valutazione
ambientale in sede non statale, si applicano le disposizioni di cui
al periodo precedente fino all'entrata in vigore di apposite norme
regionali e delle province autonome, da adottarsi nel rispetto della
disciplina comunitaria vigente in materia» [corsivo aggiunto]).
Anche in merito a tale disposizione va riproposto quanto
osservato nel gia' citato parere del 26 gennaio 2006 della Conferenza
delle regioni e delle province autonome, nel quale si legge che
l'art. 12, comma 2, «implica il rischio che numerosi piani e
programmi abbiano un giudizio negativo di compatibilita' ambientale
solo a causa della scadenza dei termini, con conseguente non
approvazione del piano o del programma», con grave compromissione del
principio di buon andamento della pubb1ica amministrazione di cui
all'art. 97 Cost., ma anche con palese violazione dell'art. 2,
lettera g), dello Statuto regionale, in base al quale l'urbanistica
e' materia di competenza esclusiva regionale.
Ancora in materia di VAS e' ravvisabile una violazione dei
principi di cui alla direttiva comunitaria 2001/42/CE, in base alla
quale (art. 4) la valutazione ambientale «deve essere effettuata
durante la fase preparatoria del piano o del programma ed
anteriormente alla sua adozione o all'avvio della relativa procedura
legislativa» (corsivo aggiunto).
Gli articoli 10 e 16 del decreto stabiliscono invece che la
valutazione venga effettuata prima dell'approvazione, quando ormai
l'elaborazione del piano e' giunta nel suo stadio finale, impedendo,
cosi', ai soggetti pubblici e privati che hanno diritto di prendere
parte all'iter di approvazione del piano, di effettuare le proprie
valutazioni anche sulla base della valutazione ambientale del piano
medesimo espressa dall'autorita' competente.
Peraltro, il principio della partecipazione ed informazione del
pubblico rispetto al procedimento di approvazione dei piani e'
imposto anche dall'art. 6, par. 1, della direttiva comunitaria citata
(«La proposta di piano o di programma ed il rapporto ambientale
redatto a norma dell'articolo 5 devono essere messi a disposizione
delle autorita' di cui al paragrafo 3 del presente articolo e del
pubblico)».
Come si vede, tale principio, impone che «la proposta di piano o
di programma ed il rapporto ambientale» siano messi a disposizione
del pubblico. Esso e' pertanto violato anche dalle disposizioni di
cui agli articoli 10, comma 2, e 16, comma 2 del d.lgs. n. 152 del
2006, che prevedono esclusivamente il deposito di una sintesi non
tecnica presso gli uffici delle province e regioni interessate dal
piano. Almeno la prima delle due disposizioni citate, applicabile
anche ai procedimenti a livello regionale e locale, e' lesiva delle
attribuzioni regionali in materia ambientale precisate sopra sub 1,
oltre che delle competenze relative alle materie ulteriori
trasversalmente interessate dalle procedure di valutazione
ambientale.
Il medesimo principio comunitario di pubblicita' appare violato
anche dall'art. 10, comma 3, del decreto legislativo, il quale
stabilisce che la pubblicazione totale o parziale delle proposte di
piano sulla rete telematica avvenga solo nei casi stabiliti da un
regolamento ministeriale; oltre che dagli artt. 16, comma 4, 19,
comma 2, e 20, comma 3, del decreto, in base ai quali, anche su
istanza del proponente, sarebbe possibile semplificare le modalita'
di pubblicazione del piano.
Almeno nel caso delle disposizioni inserite nel Capo I,
«Disposizioni comuni in materia di VAS», la violazione del diritto
comunitario e degli artt. 11 e 117, primo comma. Cost., si traduce in
una lesione delle attribuzioni regionali in materia di tutela
dell'ambiente, ed altresi' della competenza regionale in ordine
all'attuazione delle direttive comunitarie, di cui all'art. 117,
quinto comma, della Costituzione.
Una violazione delle competenze regionali esclusive in materia di
pianificazione urbanistica deriva poi dalla previsione di cui
all'art. 10, comma 5, del decreto legislativo impugnato, in base alla
quale le forme di pubblicita' previste dalla procedura di VAS -
peraltro frammentarie ed incomplete - sostituiscono a tutti gli
effetti tutte le altre forme di pubblicita' dei piani previste dalle
ordinarie procedure di approvazione. Tali procedure, essendo di
competenza esclusiva regionale, non possono che essere disciplinate
con legge regionale anche per quel che concerne le forme di
pubblicita'.
Una violazione dei principi comunitari deriva anche dalla
previsione di cui all'art. 68 del decreto legislativo n. 152 del
2006, in base al quale i progetti dei piani stralcio per la tutela
dal rischio idrogeologico non sono sottoposti a VAS, quando invece
l'art. 3, paragrafo 2, lettera a) della direttiva 2001/42/CE, prevede
espressamente che siano sottoposti a valutazione ambientale «tutti i
piani e i programmi che sono elaborati per i settori agricolo,
forestale della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della
gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni turistico
della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e
che definiscono il quadro di riferimento per l'autorizzazione dei
progetti elencati negli allegati I e II della direttiva 85/337/CEE»
(corsivo non testuale).
L'art. 3 della direttiva comunitaria 2001/42/CE risulta disatteso
anche nella parte in cui (par. 1) assoggetta a valutazione ambientale
i piani e i programmi che possono avere effetti significativi
sull'ambiente. Tale norma comunitaria sottrae all'obbligo della
valutazione ambientale esclusivamente i piani «che determinano l'uso
di piccole aree a livello locale» (art. 3, par. 3). In contrasto con
tale previsione, l'art. 4, comma 1, lettera a), n. 3 del decreto
legislativo n. 152 stabilisce che la normativa in esame ha
l'obiettivo di «promuovere l'utilizzo della valutazione ambientale
nella stesura dei piani e dei programmi statali, regionali e
sovracomunali».
A questo riguardo, non si puo' non considerare che sussistono
aree urbane eccedenti la definizione comunitaria di «piccole aree a
livello locale» la cui pianificazione, pur non rientrando nel
concetto di «pianificazione sovracomunale» puo' avere un
significativo impatto sull'ambiente.
Sul piano della tecnica legislativa - ma anche sotto il profilo
degli elementi di incertezza che si introducono nei rapporti tra enti
- va altresi' rilevato che la disposizione censurata da ultimo mal si
coordina con la definizione di cui all'art. 5, comma 1, lettera d)
del medesimo d.lgs. n. 152, a norma del quale per «piani e programmi»
s'intendono «tutti gli atti e provvedimenti di pianificazione e di
programmazione comunque denominati previsti da disposizioni
legislative, regolamentari o amministrative adottati o approvati da
autorita' statali, regionali o locali» (corsivo aggiunto).
L'evidenziata lesione delle attribuzioni regionali determina
altresi' la violazione dell'art. 76 della Costituzione, in relazione
all'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, nella parte in cui
impone al legislatore delegato il rispetto dei principi e delle norme
comunitarie, delle attribuzioni delle regioni ed in particolare delle
norme statutarie e delle relative norme di attuazione delle regioni a
statuto speciale, del principio di sussidiarieta'.
5. - Illegittimita' costituzionale degli artt. 23, comma 4, 25,
31, commi 1 e 2, e 33 del d.lgs. n. 152 del 2006, in materia di
Valutazione di impatto ambientale (VIA), per violazione delle
attribuzioni della ricorrente in materia ambientale e nelle materie
connesse; degli artt. 11 e 117, primo e quinto comma, Cost.; del
principio di leale collaborazione; dell'art. 76 Cost.
Relativamente alla valutazione di impatto ambientale, occorre
premettere che dalle stesse finalita' della medesima risulta la
particolare attitudine lesiva della disciplina statale, ove non
attentamente calibrata e coordinata con le molteplici prerogative e
competenze regionali coinvolte.
L'art. 24 del d.lgs. n. 152 stabilisce infatti in termini
notevolmente ampi e «trasversali» le finalita' della VIA, la cui
disciplina presenta una vis attrattiva di competenze regionali che
non puo' che essere oggetto di uno scrutinio stretto in sede di
giudizio di costituzionalita'.
Il citato art. 24 stabilisce, tra l'altro, che: «La procedura di
valutazione di impatto ambientale deve assicurare che: a) [...] siano
considerati gli obiettivi di proteggere la salute e di migliorare la
qualita' della vita umana [...] b) per ciascun progetto siano
valutati gli effetti diretti ed indiretti della sua realizzazione
sull'uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle acque di
superficie e sotterranee, sull'aria, sul clima, sul paesaggio e
sull'interazione tra detti fattori, sui beni materiali e sul
patrimonio culturale ed ambientale».
Per quanto riguarda le disposizioni specificamente oggetto di
impugnazione, anzitutto dall'art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, che
delimita il campo di applicazione di tale procedura, emergono
numerosi profili di incompatibilita' con la normativa comunitaria.
In particolare, al comma 4, lettere b) e c), vengono esclusi
dalla VIA i progetti relativi ad opere di protezione civile oppure
attuati in via d'urgenza, nonche' quelli di carattere temporaneo.
Tale esclusione e' in contrasto con quanto disposto dall'art. 1,
paragrafo 4, della direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione
dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati,
in base al quale possono essere esclusi dall'applicazione della
direttiva medesima, oltre ai progetti approvati con specifico atto
legislativo (par. 5), solo i progetti relativi ad opere di difesa
nazionale.
La violazione dei principi comunitari predetti costituisce,
altresi', eccesso di delega per violazione dell'art. 1, comma 8,
lettera e) della legge n. 308/2004, in base al quale il Governo e'
tenuto a dare «piena e coerente attuazione delle direttive
comunitarie», «nel rispetto dei principi e delle norme comunitarie».
Non si rinviene, infatti, nella direttiva in questione alcun
principio che consenta in via generale di escludere le opere di
protezione civile e quelle a carattere temporaneo o urgente dalle
procedure di VIA.
Anche a questo riguardo non e' inutile ricordare quanto
specificamente segnalato al Governo in sede di Conferenza unificata,
con il parere in data 26 gennaio 2006, nel quale si osserva quanto
segue: «I progetti relativi ad opere ed interventi destinati
esclusivamente a scopi di protezione civile o disposti in via
d'urgenza possono essere esclusi unicamente alle condizioni e secondo
le modalita' di cui all'art. 2, comma 3 della direttiva 85/337/CEE
come modificata dalla direttiva 97/11/CE e dalla direttiva
2003/35/CE. Analogamente non e' possibile l'esclusione in modo
generalizzato dei progetti relativi ad opere di carattere temporaneo,
con particolare riferimento ai progetti di cui all'allegato I della
direttiva 85/337/CEE che devono essere sottoposte a procedura di
verifica o di valutazione secondo i criteri indicati al punto 13
dell'allegato II della direttiva medesima».
Per quanto concerne l'autorita' preposta alla procedura di VIA,
l'art. 25 del decreto legislativo impugnato appare lesivo delle
competenze regionali, in quanto contrario al principio di
sussidiarieta', e viziato da eccesso di delega, in relazione
all'art. 1. comma 8, della legge n. 308 del 2004. Dalla lettera a)
dell'impugnato art. 25 viene infatti attribuita allo Stato la VIA di
tutti i progetti di opere sottoposte ad autorizzazione statale. Tale
norma finisce per escludere qualsiasi valutazione, da parte delle
regioni coinvolte, dei progetti autorizzati a livello nazionale ma
con forte impatto sul territorio regionale.
Ancor piu' grave e' quanto stabilito sempre dalla lettera a) del
comma 1 del sopra citato art. 25, in base al quale compete allo Stato
anche la VIA dei progetti di opere aventi impatto interregionale: si
elimina qualsiasi procedura di coordinamento tra VIA regionali - gia'
oggi esistenti - attribuendo allo Stato competenze non necessarie in
relazione alla realizzionale dell'opera, per il solo fatto che questa
interessa il territorio di piu' regioni. In tal modo, la gran parte
delle opere finirebbe per essere sottoposta a VIA statale.
Si riscontra, anche in questo caso, un eccesso di delega per
contrasto con il disposto dell'art. 1, comma 8. della legge 308/2004,
in base al quale il Governo e' tenuto a rispettare le competenze
regionali, nonche' ad improntare la normativa delegata al principio
di sussidiarieta'. Tale principio e' violato da una procedura che
attrae a livello centrale VIA su opere la cui valutazione nazionale
non e' necessaria per il corretto espletamento della procedura, senza
neppure prevedere adeguate forme di coinvolgimento delle regioni
interessate.
Anche per la VIA l'art. 31 prevede un intervento sostitutivo del
Consiglio dei Ministri in caso di inerzia dell'autorita' competente
superiore a 90 giorni «La procedura di valutazione di impatto
ambientale deve concludersi con un giudizio motivato entro novanta
giorni dalla pubblicazione di cui all'art. 28, comma 2, lettera b),
salvi i casi di interruzione e sospensione espressamente previsti».
Tale termine e' in contrasto con il coordinamento delle procedure
autorizzative da parte delle regioni, previsto dall'art. 45 del
decreto. Infatti, la maggior parte delle regioni ad oggi ha adottato
procedure di VIA di durata compresa tra i 120 ed i 150 giorni, con il
risultato che, pur attivando correttamente la procedura secondo i
tempi previsti dall'attuale normativa, le regioni si vedrebbero
scavalcate dall'esercizio del potere sostitutivo statale.
Per quanto riguarda la Valle d'Aosta, la vigente legislazione
regionale, del tutto ragionevolmente, prevede ipotesi di proroga dei
termini del procedimento alle quali non e' chiaro se si applichi
l'eccezione prevista dall'impugnato art. 31, comma 1, per «i casi di
interruzione e sospensione espressamente previsti». Si consideri, in
particolare, l'art. 14, comma 5, della l.r. 18 giugno 1999, n. 14
«Nuova disciplina della procedura di Valutazione di impatto
ambientale. Abrogazione della legge regionale 4 marzo 1991, n. 6
(Disciplina della procedura di valutazione dell'impatto ambientale»,
a norma del quale «nei casi in cui sia necessario procedere ad
accertamenti o indagini di particolare complessita', la giunta
regionale, su richiesta del Comitato di cui all'art. 4, puo'
autorizzare la struttura regionale competente in materia di V.I.A. a
prolungare lo svolgimento dell'istruttoria fino ad un periodo massimo
complessivo di centottanta giorni».
Anche la norma contenuta nell'art. 33 del decreto, in base alla
quale vengono acquisiti alla procedura di VIA tutti gli elementi
«positivamente valutati» in sede di VAS - a parte l'ambiguita' della
formulazione, non comprendendosi se la disposizione faccia
riferimento solo agli elementi favorevoli, ovvero a quelli
«espressamente» valutati - contrasta con quanto disposto dall'art. 11
della direttiva 2001/42/CE, in base al quale la valutazione
ambientale di piani e programmi «lascia impregiudicate le
disposizioni della direttiva 85/337/CEE» relativa, appunto, alla VIA,
e incide pertanto illegittimamente sulle attribuzioni della
ricorrente.
La richiamata disciplina infatti limita la discrezionalita' del
legislatore regionale. competente anche in sede di attuazione delle
citate direttive comunitarie a norma dell'art. 117, quinto comma,
della Costituzione, il quale, in Valle d'Aosta, ha organicamente
esercitato la sua specifica competenza in materia. Si veda, al
riguardo, la gia' citata legge regionale 18 giugno 1999, n. 14,
recante «Nuova disciplina della procedura di valutazione di impatto
ambientale. Abrogazione della legge regionale 4 marzo 1991, n. 6
(Disciplina della procedura di valutazione dell'impatto ambientale)».
6. - Illeggittimita' costituzionale degli artt. 63 e 64 del
d.lgs. n. 152 del 2006, concernenti le nuove Autorita' di bacino, per
violazione delle attribuzioni della ricorrente in materia ambientale,
di governo del territorio e di acque (desumibili dagli artt. 117,
terzo e quarto comma, Cost. e 10, legge cost. n. 3 del 2001; nonche'
dall'art. 2, lettere d), e), f), g), i), m), q) e dall'art. 3,
lettera d) St. V.d'A.); dell'art. 4 St. V.d'A.; del principio di
leale collaborazione; dell'art. 76 Cost.
La disciplina contenuta nell'art. 63 del d.lgs. n. 152 del 2006
esorbita palesemente dai limiti di oggetto imposti dall'art. 1, comma
1, della legge delega, in base al quale il Governo e' delegato ad
adottare «decreti legislativi di riordino, coordinamento ed
integrazione» delle disposizioni legislative nelle materie e nei
settori ivi indicati, tra i quali, alla lettera c), si menziona la
«difesa del suolo e lotta alla desertificazione».
In un quadro generale di riorganizzazione su base ceritralistica
delle politiche in materia di difesa del suolo, la soppressione delle
precedenti Autorita' di bacino e la loro sostituzione con Autorita'
di bacino distrettuali a norma dell'art. 63, commi 1 e 3, ha
evidentemente portata innovativa ed eccede pertanto dai sopra
richiamati limiti della delega legislativa, stabiliti dall'art. 1,
comma 1, della legge n. 308 del 2004. Ne' altre parti del citato
art. 1 consentono un intervento cosi' radicale come la soppressione
delle Autorita' di bacino di cui alla legge n. 183 del 1989 (Norme
per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo),
non riconducibile in alcun modo, in particolare, ai «principi e
criteri specifici» in materia di tutela del suolo e risanamento
idrogeologico di cui all'art. 1, comma 9, lettera c) della legge
n. 308 del 2004, i quali impongono, tra l'altro, e piuttosto, di
«valorizzare il ruolo e le competenze svolti dagli organismi a
composizione mista statale e regionale».
Nella legge n. 308 del 2004 si ipotizza la formulazione, se non
di testi unici a carattere meramente «compilativo» o «ricognitivo»,
quanto meno di una normativa di riordino della legislazione vigente
in materia di difesa del suolo, che dal decreto legislativo impugnato
viene invece abrogata - e' il caso, in particolare, della legge
n. 183 del 1989 e dell'art. 1 del d.l. n. 180 del 1998, convertito
nella legge n. 267 del 1998 (che al comma 2 prevedeva procedure di
intesa in Conferenza Stato-Regioni per la definizione di «programmi
di interventi urgenti, anche attraverso azioni di manutenzione dei
bacini idrografici, per la riduzione del rischio idrogeo1ogico»)
abrogati dall'art. 175 del decreto legislativo n. 152 - e
disorganicamente nonche' parzialmente reintrodotta con modifiche
comportanti un significativo ridimensionamento del ruolo regionale.
In particolare, le regioni partecipano alla Conferenza
istituzionale permanente, organo dell'Autorita' di bacino ai sensi
dell'art. 63, comma 2, presieduto e convocato dal Ministro
dell'ambiente e competente, in base al comma 4, ad adottare gli atti
di indirizzo, coordinamento e pianificazione delle Autorita' di
bacino distrettuali e ad esercitare le ulteriori competenze di cui al
successivo comma 5.
Dal comma 4 dell'impugnato art. 63 risulta una posizione del
tutto subalterna delle regioni: «Alla Conferenza istituzionale
permanente partecipano i Ministri dell'ambiente e della tutela del
territorio, delle infrastrutture e dei trasporti, delle attivita'
produttive, delle politiche agricole e forestali, per la funzione
pubblica, per i beni e le attivita' culturali o i Sottosegretari dai
medesimi delegati, nonche' i Presidenti delle regioni e delle
province autonome il cui territorio e' interessato dal distretto
idrografico o gli Assessori dai medesimi delegati, oltre al delegato
del Dipartimento della protezione civile [....]. La conferenza
istituzionale permanente delibera a maggioranza».
Come si vede, alla Conferenza, che delibera a maggioranza,
partecipano ben sei Ministri ed un delegato del Dipartimento della
Protezione civile, accanto ai Presidenti delle Regioni interessate,
che, com'e' agevolmente prevedibile, saranno sempre in minoranza. Si
tratta di una disciplina che riduce ulteriormente - anziche'
valorizzarlo, in conformita' al nuovo quadro costituzionale ed ai
principi e criteri della delega - il ruolo regionale, rispetto a
quanto previsto dall'abrogato art. 12 della legge n. 183 del 1989
(che prevedeva la presenza di un numero inferiore di ministri e non
imponeva la deliberazione a maggioranza), la cui abrogazione totale
rende, tra l'altro, difficilmente comprensibile il comma 6
dell'art. 61 del decreto legislativo n. 152, secondo il quale
«restano ferme tutte le altre funzioni amministrative gia' trasferite
o delegate alle regioni».
Come ha sottolineato anche la Conferenza delle, regioni e delle
Province autonome nel parere del 26 gennaio 2006, il meccanismo
dell'adozione a maggioranza del piano di bacino da parte della
Conferenza istituzionale permanente a norma dell'art 63 comma 5
lettera e), puo' comportare l'imposizione di scelte e decisioni in
materia di pianificazione non condivise da parte di una singola
regione direttamente interessata.
Cio' appare tanto piu' inaccettabile in quanto, in materia di
utilizzazione delle acque pubbliche, e' prevista in Valle d'Aosta una
gestione coordinata e paritetica basata sull'art. 8, terzo comma,
dello Statuto, a norma del quale l'utilizzazione delle acque
pubbliche esistenti nella, regione deve avvenire «secondo un piano
generale da stabilirsi da un Comitato misto, composto di
rappresentanti del Ministero dei lavori pubblici e della Giunta
regionale». A questo riguardo, mette conto ricordare che l'art. 1
della legge 5 luglio 1975, n. 304, recante «Norme per la
utilizzazione delle acque pubbliche ad uso idroelettrico nella
regione Valle d'Aosta» stabilisce che «per l'utilizzazione delle
acque pubbliche ad uso idro-elettrico nel territorio della regione
Valle d'Aosta si osserva il piano di utilizzazione redatto dal
comitato misto previsto dal terzo comma dell'articolo 8 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, debitamente aggiornato».
Anche l'art. 7 della l.r. 8 settembre 1999, n. 27, recante
«Disciplina dell'organizzazione del servizio idrico integrato»
(pubblicata nel B.U. Valle d'Aosta 10 settembre 1999, n. 40),
disciplina il piano regionale delle acque in termini cooperativi
prevedendo, tra l'altro, al comma 2, che «in armonia con le
previsioni della pianificazione di bacino del fiume Po, con le
direttive del Comitato misto di cui all'articolo 8, comma terzo,
dello Statuto speciale e con il concorso e la collaborazione di tutte
le parti interessate all'uso e alla tutela del patrimonio idrico
regionale, il piano regionale fissa i criteri e le direttive generali
finalizzati a garantire», tra l'altro, «la corretta e razionale
utilizzazione delle risorse idriche».
La disciplina di cui all'impugnato art. 63 e' incompatibile con i
principi criteri specifici» in materia di tutela del suolo e
risanamento idrogeologico di cui all'art. 1, comma 9, lettera c) del
d.lgs. n. 152 del 2006, i quali impongono, come si e' poc'anzi
ricordato, di «valorizzare il ruolo e le competenze svolti dagli
organismi a composizione mista statale e regionale.
Le disposizioni impugnate, ben difficilmente qualificabili «di
riordiono, coordinamento ed integrazione», ledono - piu' o meno
direttamente - le competenze legislative regionali di rango primario
di cui all'art. 2 dello Statuto in materia di piccole bonifiche ed
opere di miglioramento agrario i fondiario (lettera e); urbanistica,
piani regolatori per zone di particolari importanza turistica
(lettera g): acque minerali e termali (lettera i); acque pubbliche
destinate ad irrigazione ed a uso domestico (lettera m); tutela del
paesaggio (lettera q); nonche' la competenza concorrente in materia
di governo del territorio, ex art. 117, terzo comma, Cost., che si
estende anche alla VaIle d'Aosta per quanto eccedente la materia
urbanistica ed edilizia, assegnata alla competenza primaria della
ricorrente.
Non meno lievemente menomate sono poi le competenze
amministrative della Rgione, di cui all'art. 4 dello Statuto e quelle
di cui al d.lgs 16 marzo 1999, n. 89, «Norme di attuazione dello
statuto speciale della Regione Valle d'Aosta in materia di acque
pubbliche che all'art. 1, comma 1, prevede che «sono trasferite al
demanio della regione tutte le acque pubbliche utilizzate ai fini
irrigui o potabili, compresi gli alvei e le pertinenze relative» e,
al comma 2, stabilisce che «la regione Valle d'Aosta esercita tutte
le attribuzioni inerenti alla titolarita' di tale demanio ed in
particolare quelle concernenti la polizia idraulica e la difesa delle
acque dall'inquinamento».
L'importanza delle attribuzioni regionali e delle garanzie
partecipative nella materia in oggetto risulta chiaramente anche
dalla sent. n. 534 del 2002, pronunciata in riferimento al previgente
Titolo V, concernente l'art. 1-bis, comma 5, del decreto-legge n. 279
del 2000, che attribuiva alle determinazioni assunte in sede di
Comitato istituzionale delle Autorita' di bacino (bacini idrografici
di rilievo nazionale) il valore di «variante agli strumenti
urbanistici». Tale disciplina viene ritenuta in netto contrasto con
le competenze regionali in materia di pianificazione urbanistica: «la
previsione di indiscriminata efficacia di variante agli strumenti
urbanistici per tutte le determinazioni assunte, in relazione al
piano stralcio per l'assetto idrogeologico, in sede di comitato
istituzionale dell'Autorita' di bacino, ancorche' a seguito di esame
della conferena programmatica con partecipazione regionale e dei
comuni interessati (semplice parere), rappresenta una violazione
della sfera di autonomia regionale (per riferimenti, v. sentenza
n. 206 del 2001) in materia di pianificazione urbanistica. Di
conseguenza, deve essere dichiarata la illegittimita' costituzionale
dell'art. 1-bis, comma 5, del d.l. 12 ottobre 2000, n. 279, aggiunto
dalla legge di conversione 11 dicembre 2000, n. 365».
Un ulteriore profilo di incostituzionalita' riguarda poi il comma
3 dell'art. 63, a norma del quale «Le autorita' di bacino previste
dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono soppresse a far data dal 30
aprile 2006 e le relative funzioni sono esercitate dalle Autorita' di
bacino distrettuale di cui alla parte terza del presente decreto. Il
decreto di cui al comma 2 disciplina il trasferimento di funzioni e
regolamenta il periodo transitorio».
Si tratta di una disciplina manifestamente illegittima, e lesiva
delle attribuzioni regionali, che crea un grave vuoto normativo senza
peraltro approntare alcuna disciplina transitoria, la cui
introduzione e' demandata al decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri previsto dal precedente comma 2, senza alcuna garanzia sui
tempi della sua emanazione. In generale, e con specifico riferimento
a quest'ultimo profilo, nel parere della Conferenza delle regioni in
data 26 gennaio 2006, si osserva: «Non e' pensabile approntare
norniative di importanza strategica e di forte impatto sul territorio
senza coinvolgere nel processo decisionale le regioni, giungendo
perfino a sopprimere le Autorita' di Bacino della legge 183/1989 e
tutto cio' che queste hanno prodotto fino ad oggi in termini di
pianificazione, normative, vincoli e prescrizioni. Il pericolo
maggiore derivante da questo decreto e' quello di creare un vuoto
normativo che rischi di abbandonare a se stesso e ad un uso improprio
il territorio italiano, che, per le sue caratteristiche fisiche oltre
che per il verificarsi sempre piu' frequente di eventi climatici
estremi, e' sempre piu' soggetto a fenomeni di dissesto
idrogeologico, con darmi ingenti alle popolazioni, all'urbanizzato,
alle infrastrutture, alle attivita' produttive». Tali rilievi sono
integralmente fatti propri dalla ricorrente, che vi ravvisa ulteriori
motivi di impugnazione.
L'entrata in vigore della nuova disciplina determinia anche in
Valle D'Aosta una grave situazione di incertezza in ordine ai
fondamentali strumenti di pianificazione e gestione, a partire da
quelli previsti dalla legge regionale 1° dicembre 1992, n. 67,
«Interventi in materia di sistemazioni idraulico-forestali e difesa
del suolo». Da ultimo, con la deliberazione del Consiglio regionale
n. 1788/XII dell'8 febbraio 2006 e' stato approvato il Piano
regionale di tutela delle acque ai sensi dell'art. 44 del decreto
legislativo n. 152/1999 - espressamente abrogato dall'art 175 del
d.lgs. n. 152 del 2006 che costituisce un piano stralcio di settore
del piano di bacino ai sensi dell'articolo 17, comma 6-ter, della
legge 18 maggio 1989, n. 183 (anch'essa abrogata d.lgs. n. 152 del
2006) e nel quale sono individuati gli obiettivi di qualita'
ambientale e per specifica destinazione dei corpi idrici e gli
interventi volti a garantire il loro raggiungimento o mantenimento,
nonche' le misure di tutela qualitative e quantitative tra loro
integrate e coordinate per bacino idrografico. Quanto dedotto nel
presente paragrafo implica, in via conseguenziale, l'illegittimita'
costituzionale anche dell'art. 64 del d.lgs. n. 152 del 2006,
contenente la nuova ripartizione dei distretti idrografici,
all'interno dei quali sono esercitate le funzioni delle nuove
Autorita' di bacino distrettuale.
7. - l'illegittimita' costituzionale degli artt. 202 e 203 del
d.lgs. n. 152 del 2006, relativi alla gestione dei rifiuti, per
lesione delle attribuzioni della ricorrente in materia ambientale e
igienico-sanitaria, nonche' per violazione dell'art. 117, quarto
comma, Cost.; degli artt. 2, lettera b), e 4 St. V.d'A.; dell'art. 76
Cost.
L'art. 202 (Affidamento del servizo) del d.lgs. n. 152 prevede al
comma 1 che L'Autorita' d'ambito aggiudica il servizio di gestione
integrata dei rifiuti urbani mediante gara disciplinata dai principi
e dalle disposizioni comunitarie. in conformita' ai criteri di cui
all'articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267, nonche' con riferimento all'ammontare del corrispettivo per
la gestione svolta, tenuto conto delle garanzie di carattere tecnico
e delle precedenti esperienze specifiche dei concorrenti, secondo
modalita' e termini definiti con decreto dal Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali
in materia».
Si tratta di una disposizione illegittima anzitutto nella parte
in cui prevede un decreto ministeriale destinato ad introdurre norme
secondarie di dettaglio per la definizione di modalita' e termini di
un procedimento per l'affidamento di un servizio pubblico locale,
violando la competenza legislativa residuale ex art. 117, quarto
comma, Cost. - riconosciuta da codesta ecc.ma Corte nelle sentt.
n. 272 del 2004 e n. 29 del 2006 - attribuzione rafforzata, per
quanto riguarda la ricorrente, dalla competenza primaria di cui
all'art. 2, lettera b). dello Statuto, parimenti lesa, in materia di
«ordinamento degli enti locali» (la materia e' inoltre contemplata
dall'art. 3, lettera o), dello Statuto di autonomia). L'art. 202
viola inoltre i principi in tema di rapporti tra fonti statali e
regionali, che in base ad una costante giurisprudenza costituzionale,
anche precedente l'entrata in vigore dell'art. 117, sesto comma,
della Costituzione escludono l'operativita' delle fonti regolamentari
statali nelle materie di competenza regionale, tra le quali va
incluso l'affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti
urbani, sia in quanto riconducibile, come servizio pubblico locale,
all'art. 117, quarto comma, Cost., applicabile, con riguardo alla
materia dei servizi pubblici locali, alla ricorrente in base
all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001: sia in quanto
rientrante nelle attribuzioni della ricorrente in materia di tutela
dell'ambiente, riconosciute alla Valle d'Aosta dalla giurisprudenza
costituzionale sopra richiamata, sub 1, non superata a seguito
dell'entrata in vigore del nuovo art. 117, che non si applica alle
regioni speciali nella parte in cui al secondo comma, lettera s)
assegna alla competenza esclusiva del legislatore statale la tutela
dell'ambiente.
Anche i commi successivi dell'art. 202, da 2 a 6, e l'art. 203,
disciplinante lo schema tipo di contratto di servizio, del d.lgs.
n. 152 contengono una disciplina, estremamente dettagliata ed
autoapplicativa, lesiva del le attribuzioni della regione, non
riferibile alla competenza esclusiva statale in materia di tutela
della concorrenza, ex art. 117, comma 2, lettera e), della
Costituzione, il cui esercizio rimane comunque assoggettato ad uno
scrutinio stretto di costituzionalita', sotto il profilo della
ragionevolezza e della proporzionalita' della disciplina statale,
come codesta ecc.ma Corte ha chiarito, tra l'altro, nella stessa
sentenza n. 272 del 2004, che ha censurato una normativa statale
altrettanto dettagliata che, come quella impugnata con il presente
ricorso, andava «al di la' della pur doverosa tutela degli aspetti
concorrenziali inerenti al la gara».
I principi enunciati nella sent. n. 272 del 2004, sono stati
ripresi ed ulteriormente precisati nella sent. n. 29 del 2006, nella
quale, con riferimento all'art. 117, secondo comma. lettera e), si
chiarisce, da un lato, che tale titolo di legittimazione statale «e'
riferibile solo alle disposizioni di carattere generale che
disciplinano le modalita' di gestione e l'affidamento dei servizi
pubblici locali di "rilevanza economica" e dall'altro lato che solo
le predette disposizioni non possono essere derogate da norme
regionali» (enfasi aggiunta).
Ne' il carattere dettagliato ed autoapplicativo degli artt. 202 e
203, integralmente censurati e impugnati, puo' trovare
giustificazione nella competenza statale di cui alla lettera s)
dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione, pur idonea ad
investire diversi aspetti della vasta tematica della gestione dei
rifiuti, ampiamente disciplinata dagli artt. 177 e seguenti del
d.lgs. n. 152 del 2006.
L'estensione della materia dei rifiuti (oggetto in Valle d'Aosta
di un'organica disciplina legislativa regionale: legge 16 agosto
1982, n. 37, «Norme per lo smaltimento dei rifiuti solidi»; legge 16
giugno 1988, n. 44, «Disposizioni urgenti in materia di raccolta e
stoccaggio provvisorio di rifiuti solidi urbani e per l'incenerimento
dei rifiuti speciali a base organica nonche' degli animali o parti di
animali da distruggere»; legge 21 agosto 1990, n. 60, «Ulteriori
disposizioni in materia di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e
modificazioni alla legge regionale 16 agosto 1982, n. 37 cosi' come
modificata dalla legge regionale 16 giugno 1988, n. 44»; legge 27
dicembre 1991, n. 88, «Disposizioni per lo smaltimento di liquami
organici concentrati e di fanghi nonche' per il recapito in pubbliche
fognature di scarichi di insediamenti produttivi»; legge 30 maggio
1995, n. 19 «Norme per il recupero ed ul riutilizzo di materiali
inerti») e' tale da coinvolgere una pluralita' di attribuzioni
regionali, lese dalle disposizioni legislative impugnate.
Cio' risulta in modo evidente dall'art. 1, commi primo e secondo,
della l.r. Valle d'Aosta 16 agosto 1982, n. 37, recante «Norme per lo
smaltimento dei rifiuti solidi» a norma del quale: «La presente legge
disciplina lo smaltimento dei rifiuti solidi e semisolidi nelle varie
fasi di conferimento, raccolta, trasporto, trattamento e recupero
come stabilito negli articoli seguenti. Lo smaltimento dei rifiuti
solidi e semisolidi costituisce attivita' di pubblico interesse, ai
fini della tutela della salute e del benessere della collettivita' e
dei singoli, della protezione dall'inquinamento dell'aria,
dell'acqua, del suolo, del sottosuolo, nonche' da ogni inconveniente
derivante da rumori ed odori, della salvaguardia della flora e della
fauna, della tutela dell'ambiente e del paesaggio».
Per le ragioni sopra esposte, si impugna il d.lgs. n. 152 del
2006 almeno - per quanto riguarda il settore dei rifiuti - nella
parte in cui, attraverso gli artt. 202 e 203, lede le attribuzioni in
materia ambientale, igienico-sanitaria e urbanistica della ricorrente
e, soprattutto, di fatto svuota la competenza esclusiva (o residuale)
della regione in materia di servizi pubblici locali, basata sugli
artt. 117, quarto comma. Cost. e 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001, rafforzata, come si e' detto, dalla potesta' legislativa
primaria della ricorrente di cui all'art. 2, lettera b), dello,
statuto speciale, parimenti lesa.
P. Q. M.
Voglia codesta ecc.ma Corte, in accoglimento del presente
ricorso, dichiarare l'illegittimita' costituzionale del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),
pubblicato nel supplemento ordinario n. 96 alla Gazzetta Ufficiale -
serie generale - n. 88 del 14 aprile 2006, ed in particolare delle
seguenti disposizioni: articoli 6. 4, comma 1, lettera a), numero 3,
7, comma 3, 10, 12, comma 2, 16, 68, 23, comma 4, 25, 31, commi 1 e
2, 33 63, 64, 202 e 203.
Si depositano i seguenti documenti:
1) deliberazione della Giunta regionale n. 1623 in data
10 giugno 2006;
2) verbale n. 13/05 della Conferenza Unificata, relativo alla
seduta del 15 dicembre 2005 (estratto);
3) comunicato relativo al Consiglio dei Ministri n. 40 del 19
gennaio 2006;
4) parere espresso dalla Conferenza delle Regioni e delle
Province autonome in data 26 gennaio 2006.
5) verbale n. 1/06 della Conferenza Unificata, relativo alla
seduta del 26 gennaio 2006 (estratto).
Roma, addi' 7 giugno 2006
Avv. prof. Giampaolo Parodi
|