Ricorso n. 71 del 23 luglio 2004 (Regione Campania)
N. 71 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 23 luglio 2004.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 23 luglio 2004 (della Regione Campania)
(GU n. 37 del 22-9-2004)
Ricorso della Regione Campania, in persona del presidente della
giunta regionale pro-tempre, on. Antonio Bassolino, rapp.to e difeso,
giusta mandato a margine ed in virtu' della deliberazione della
giunta regionale n. 886 del 23 giugno 2004, dal prof. avv. Vincenzo
Cocozza e dall'avv. Vincenzo Baroni; dell'avvocatura regionale,
insieme con i quali elett. te domicilia in Roma,presso l'ufficio di
rappresentanza della Regione Campania, via Poli n. 29;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore; per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 6 del
decreto legge n. 136 del 28 maggio 2004 («disposizioni urgenti per
garantire la funzinonalita' di taluni settori della pubblica
amministrazione»), pubblicato nel supplemento ordinario della
Gazzetta Ufficiale n. 124 del 28 maggio 2004.
F a t t o
La legge n. 84 del 28 gennaio 1994, recante «riordino della
legislazione in materia portuale», ha disciplinato l'ordinamento e le
attivita' portuali in attuazione degli obiettivi generali del «piano
di trasporto» e, contestualmente ha dettato i principi direttivi in
ordine all'aggiornamento e alla definizione dei piani, anche
regionali, dei trasporti.
Tale normativa, naturalmente, e' stata elaborata nell'ambito di
un sistema costituzionale delle autonomie sensibilmente differente da
quello attuale.
Come e' noto, il previgente art. 117 Cost., nell'individuare i
settori di competenza legislativa regionale concorrente, attribuiva
alle regioni la «navigazione e porti lacuali», restando,
evidentemente allo Stato la gran parte del settore attinente alla
disciplina e alla organizzazione dei porti. Sulla base di tali regole
costituzionali, il legislatore del 1994 ha proceduto a dettare una
disciplina di dettaglio concernente, soprattutto, per cio' che qui
interessa, l'organizzazione generale, le modalita' per nominare
l'autorita' portuale, le competenze ed il funzionamento di
quest'ultima.
Pur nella vigenza di un sistema costituzionale che riservava allo
Stato una ampia potesta' di disciplina, il legislatore nazionale ha
avuto cura di delimitare il proprio intervento riconoscendo alle
regioni e agli enti locali significativi spazi nel procedimento di
nomina del presidente dell'autorita' portuale per rimarcare gli
ambiti di autonomia nel settore. Cosi', con specifico riferimento
alla partecipazione della regione nella scelta dell'organo di
vertice, l'art. 8 della legge 84/1994 ha stabilito che il presidente
dell'autorita' portuale e' nominato sempre con decreto del Ministro
dei Trasporti e della Navigazione «di intesa con la regione
interessata».
Recentemente, pero' (e, paradossalmente, in vigenza del nuovo
sistema delle autonomie introdotto dalla legge cost. n. 3/2001), il
legislatore statale, con l'art. 6 del decreto legge impugnato, ha
introdotto, nell'ambito del complesso procedimento di nomina del
presidente dell'autorita' portuale di cui all'art. 8 citato, il comma
1-bis secondo cui «Esperite le procedure di cui al comma 1, qualora
entro trenta giorni non si raggiunga l'intesa con la regione
interessata, il ministro puo' chiedere al Presidente del Consiglio
dei ministri di sottoporre la questione al Consiglio dei ministri che
provvede con deliberazione motivata».
Tale intervento lede l'autonomia regionale, concretandosi in una
serie di vizi di legittimita' costituzionale che inducono alla
proposizione del presente ricorso per i seguenti
M o t i v i
1. - Violazione, degli articoli 3, 5, 114, 117 e 118 Cost.
violazione dell'art. 120 cost. e del principio di leale cooperazione
e ragionevolezza.
E' indubbio che l'indicata modifica costituisce un vulnus
rispetto alla sfera di autonomia regionale.
Un dato emerge con evidenza.
Nel sistema previgente, la nomina di un organo essenziale nella
gestione e nell'organizzazione del settore portuale era «condivisa»"
con le autonomie locali interessate.
Oggi, a seguito della modifica introdotta dal decreto impugnato,
lo Stato, soltanto per il mero trascorrere del tempo, peraltro breve,
e derivante da molteplici cause (anche la semplice inerzia di un suo
ministro), puo' eludere la regola procedimentale, provvedendo in
assenza di qualsiasi apporto regionale.
Risultato, quest'ultimo, agevole solo che si consideri il
meccanismo procedimentale nel suo complesso.
L'art. 8 della legge 84/1994 prevede un livello partecipativo di
enti subregionali e della regione.
Per i primi e' contemplato che vi sia la designazione di
nominativi da parte della provincia, dei comuni e delle camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura competenti per
territorio, perche' si costituisca una tema di nomi entro la quale
operare la scelta. Designazione da comunicare al Ministro dei
trasporti e della navigazione tre mesi prima della scadenza del
mandato.
Vi puo' essere anche una nuova designazione da parte degli stessi
enti, qualora il ministro lo richieda.
La nomina, scegliendo nella prima terna o nella seconda, avviene
con atto del ministro previa intesa con la regione.
L'intesa e', pertanto, lo strumento di diretta garanzia dell'ente
regione ed anche di composizione bilanciata delle esigenze
rappresentate dagli enti locali.
Viene, poi, contemplata un'ulteriore ipotesi.
Si tratta della mancata designazione nei termini che lascia
ampia possibilita' di scelta del Ministro (non piu' vincolato alla
terna di nomi).
In tale ultima situazione, pero', la notevole discrezionalita'
ministeriale e' contemperata proprio dalla necessita', ancora una
volta, della «previa intesa» con la regione interessata.
Invero, lo schema dell'intervento riservato a ciascun ente si
mostra, collocato nel contesto ordinamentale dell'epoca e di quel
riparto di competenze costituzionali, corrispondente ad una
necessita' di salvaguardare istanze ed esigenze plurime proprio con
la composizione in un processo volitivo concordato.
La modifica introdotta con il decreto-legge impugnato
«rompe»"tale equilibrio, incidendo sul tratto caratterizzante il
conseguito bilanciamento delle diverse istanze (Stato -- regione), e
cioe' consentendo il superamento della intesa con una decisione del
solo livello statale.
La formula della disposizione e' caratterizzata da una notevole
genericita' ed e' assai semplice. Colpiscono, per lo meno, due
elementi.
Il primo.
La possibilita' per il ministro di chiedere al Presidente del
Consiglio di sottoporre la questione al Consiglio dei ministri e'
subordinata ad una condizione cosi' espressa «qualora entro trenta
giorni non si raggiunga l'intesa con la regione interessata». Non e'
aggiunto null'altro a specificare il presupposto.
Il secondo.
La richiesta ministeriale al Presidente del Consiglio dei
ministri e' una semplice possibilita' «Puo», lasciandosi, in tal
modo, una ampia discrezionalita' al ministro sulla scelta da
compiere.
Trasferendo tali rilievi in un contesto piu' complessivo di
osservazioni, e' possibile proporre notazioni che danno conto dei
vizi dell'atto impugnato.
Il termine e certamente breve ed incongruo rispetto a quelli
imposti per una decisione di tal tipo. Tale elemento si mostra con
maggior evidenza tenendo conto di due circostanze.
La prima e' che esso e' destinato ad essere applicato per
entrambe le ipotesi di cui al primo comma dell'art. 8. Quindi, sia
qualora vi sia stata la designazione degli enti locali e si debba
scegliere nell'ambito della terna; sia laddove il nome debba essere
individuato, senza alcuna designazione, soltanto tenendo conto di una
molteplicita' di candidati.
La diversita' delle situazioni, con quanto ne consegue in ordine
alle presumibili differenti difficolta' della correlata decisione,
rapportata all'individuazione di un medesimo termine fa gia' cogliere
l'irragionevolezza.
Il secondo elemento e' che non e' dato comprendere la stessa
ragion d'essere di un termine cosi' configurato. Sotto questo
profilo, assume rilievo la prevista, e notata, mera «possibilita» per
il Ministro di rivolgersi al Presidente del Consiglio dei ministri.
Se da un lato si propone con un ruolo decisivo la
discrezionalita' dell'organismo ministeriale, dall'altro la
contemplata, semplice « possibilita»" confligge con una oggettiva
necessita' dell'intervento in sostituzione.
Sulla stessa linea, peraltro, e' illegittimo stabilire che si
possa pervenire alla delibera del Consiglio dei ministri per il
trascorrere dei trenta giorni, senza null'altro prevedere. L'assenza
di qualunque specificazione al riguardo (in via esemplificativa: una
cosa e' l'eventuale inerzia regionale, altra l'inerzia dello stesso
ministro, altra ancora la semplice mancanza di accordo pur con
l'attivita' di entrambi) sostiene la dedotta illegittimita'.
Nessuna condizione viene chiarita che sia di garanzia per
l'autonomia regionale di modo che l'ente possa agire nella
consapevolezza e certezza sul verificarsi delle condizioni.
E' fin troppo agevole dedurre che con questo procedimento
l'autorita' statale puo' sempre e comunque impone la propria volonta'
vanificando l'intesa.
Ancor di piu' nell'attuale sistema, invece, l'intesa, come e'
ormai definitivamente acclarato, rappresenta uno strumento essenziale
per assicurare l'attuazione del principio di leale cooperazione.
Strumento che si esplica in una paritaria codeterminazione del
contenuto dell'atto sottoposto all'intesa, prodotto di un accordo,
appunto, e, quindi, di una negoziazione diretta fra il soggetto cui
la decisione e' giuridicamente imputata e quello la cui volonta' deve
concorrere alla decisione stessa (Corte cost. sent. 21/1991;
351/1991; 116/1994).
Sembrano due i punti da privilegiare per far emergere i vizi
della disciplina impugnata.
Innanzitutto l'esigenza di preservare il principio di leale
cooperazione, in un sistema che porta inevitabilmente ad una
sovrapposizione di competenze ed interessi da preservare, e'
insuperabile. Esso principio impone un rapporto Stato-regione
costruito, piu' che in passato, sulla base di strumenti che
realizzino il coordinamento paritario attraverso la
procedimentalizzazione che consenta la realizzazione effettiva e la
ricerca dell'accordo.
L'«intesa» e' da realizzare e ricercare sempre e
nell'effettivita'. Come ha chiarito la Corte costituzionale «laddove
occorra, attraverso reiterate trattative volte a superare le
divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo» (Corte
Cost. sent. 27/2004).
Passaggio argomentativo, questo, che assume tutta la sua forte
rilevanza nel fissare la necessita', comunque, di garantire un
metodo, pur con tutte le difficolta', per rispettare il principio di
sistema essenziale della leale cooperazione. Perche', diversamente,
come si e' avvertito, vi puo' essere «un declassamento dell'attivita'
di codeterminazione connessa all'intesa in una mera attivita'
consultiva non vincolante» (Corte cost. sent. 27/2004; ed anche
303/2004 e 6/2004).
In tal senso la norma impugnata, ponendo le condizioni per
aggirare lo strumento attuativo del principio di leale cooperazione
(l'intesa con la regione interessata), sostanzialmente collide con
tale principio costituzionale, svuotandolo interamente del suo
contenuto di garanzia delle prerogative regionali.
2. - L'ulteriore violazione degli artt. 3, 5, 114, 117 e 118
cost. violazione dell'art. 120 cost. e del principio di leale
cooperazione e ragionevolezza.
Tutto quanto precede ha proposto vizi dell'atto impugnato molto
evidenti. Questi vengono amplificati tenendo conto del nuovo impianto
costituzionale.
1.a - Nella materia in esame vi e', attualmente, una competenza
legislativa concorrente Stato-regione.
Spetta, infatti, alla regione, nei limiti dei principi
fondamentali individuati dalla legge statale, regolare le materie
«porti e aeroporti civili» cosi' come «grandi reti di trasporto e di
navigazione», e piu' in generale, «governo del territorio».
La differenza rispetto al disegno costituzionale previgente e'
notevole.
L'attribuzione materiale, di cui al novellato art. 117 Cost., non
e' limitata a ipotesi specifiche (come, ad es. «porti lacuali»), ma
abbraccia, con formula ampia l'intero settore a tali funzioni
riferito.
Ne consegue che, essendo oggi riservata allo Stato solo la
competenza di porre in essere i principi fondamentali della materia,
qualsiasi altro intervento diversamente caratterizzato non appare
ammissibile.
La legge 84/1994 in generale, non foss'altro perche' elaborata
nel precedente assetto costituzionale, non puo' definirsi come
contenente « principi fondamentali»". Naturalmente, ancor di piu' non
puo' presentare tali caratteri la disciplina oggi impugnata che ad
essa si collega modificandola con una precisa lesione delle
prerogative regionali.
E' insegnamento del giudice delle Leggi che i «principi
fondamentali», riguardano «il modo di esercizio della potesta'
legislativa regionale» e, nell'ipotesi di una normazione gia'
esistente, «i nuclei essenziali del contenuto normativo che le
disposizioni esprimono per i principi enunciati da esse desumibili»
(cfr. Corte cost. sent. 482/1995).
Ne consegue che -- in generale - non possono essere considerati
principi tutte quelle norme che non hanno una propria e diretta
portata prescrittiva e, soprattutto, non manifestano esigenze
fondamentali e comuni, ma si limitano a distribuire competenze.
E' quanto accade nel caso di specie. Il procedimento contemplato,
elusivo della regola dell'intesa, si traduce in una vera e propria
attribuzione di competenza all'organo governativo (Consiglio dei
ministri, su impulso del Ministro dei trasporti e della navigazione).
La disciplina statale impugnata non contiene criteri volti a guidare
il legislatore regionale nell'esercizio delle proprie attribuzioni,
ma norme di dettaglio autoapplicative e, intrinsecamente non
suscettibili di essere sostituite dalla regione.
La disciplina previgente, pur non coerente con il novellato
art. 117 Cost., poteva, in virtu' di un'esigenza di continuita' del
sistema, essere ritenuta applicabile in attesa del necessario
intervento legislativo regionale di «approvazione» delle nuove
competenze, ma un tale carattere non puo' essere legittimamente
riconosciuto alle norme legislative approvate in vigenza della legge
cost. n. 1/2003, per di piu', come detto, in quanto non posseggono la
cedevolezza necessaria a superare lo scrutinio di costituzionalita'.
Quanto sopra, d'altronde, si mostra insuperabile anche perche',
codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di chiarire che, pur se vi sia una
esigenza unitaria, la sua realizzazione e' condizionata dallo
svolgimento di un iter procedimentale all'interno del quale deve
essere adeguatamente garantito il coordinamento, non attraverso un
riferimento generico ad una possibile partecipazione regionale, ma in
virtu' di una incisiva e penetrante forma di raccordo.
Non si puo' non ricordare l'affermazione della Corte
costituzionale, secondo la quale affinche' l'esigenza di esercizio
unitario consenta di attrarre, insieme alla funzione amministrativa,
anche quella legislativa, superando il vaglio di legittimita'
costituzionale, e' indispensabile «un procedimento attraverso il
quale l'istanza unitaria venga saggiata nella sia reale consistenza»,
salvaguardando le posizioni costituzionali in gioco attraverso
«un'intesa». Quest'ultima nel suo significato «forte» ossia come
«accordo stipulato con la regione interessata». (Corte cost. sent.
303/2003).
1.b - La disciplina oggetto dell'impugnativa, peraltro, ha una
ricaduta nel sistema amministrativo delineato dall'art. 118 Cost.,
con ulteriore lesione dell'autonomia regionale.
Il modulo distributivo delle competenze amministrative, imposto
dalla nuova formulazione dell'art. 118, non consente interventi di
specifico contenuto organizzatorio, come quelli descritti, a soggetti
che non siano titolari della relativa potesta' legislativa nel
settore di riferimento.
Con riguardo alla materia di potesta' legislativa-concorrente,
dunque, se e' lo Stato che deve individuare i principi fondamentali,
spetta alla regione poi fissare la disciplina di rango legislativo e,
quindi, determinare l'assetto organizzativo piu' idoneo delle
funzioni che sulla base di tali normative devono conformarsi.
Sotto tale aspetto, vi e' una conferma dell'illegittimita'
dedotta, perche' non e' compatibile con il nuovo riparto delle
competenze amministrative tra gli enti con autonomia
costituzionalmente garantita, una disciplina che concentri nel
livello centrale del Governo competenze che dovrebbero essere
esplicitazione di tale autonomia.
P. Q. M.
Si conclude affinche' l'ecc.ma Corte costituzionale voglia, in
accoglimento del presente ricorso, dichiarare l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 6 del decreto legge 28 maggio 2004, n. 136,
per violazione degli artt. 3, 5, 114, 117, 118 e 120 della
Costituzione nonche' del principio di leale cooperazione fra Stato e
regione e di ragionevolezza nonche' per lesione della sfera di
competenza della regione.
Napoli-Roma, addi' 6 luglio 2004
Prof. avv. Vincenzo Cocozza - Avv. Vincenzo Baroni