Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 4 novembre 2016 (della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia).

 

(GU n. 50 del 2016-12-14)

 

Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia (cod. fisc. ..; P. IVA …), in persona del presidente della regione pro tempore avv. Debora Serracchiani, autorizzata con deliberazione della giunta regionale n. 1987 del 21 ottobre 2016 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da mandato e procura speciale a margine del presente ricorso, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon (cod. fisc. …) del Foro di Padova, con studio in Padova, via San Gregorio Barbarigo, 4, telefono …, telefax …, P EC … ed elettivamente domiciliata in Roma presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione, in Piazza Colonna, 355;

Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b); dell'art. 2, comma 1, lettera a); dell'art. 3, comma 1, lettera a) e dell'art. 4, comma 1, lettera a) della legge 12 agosto 2016, n. 164 «Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 201 del 29 agosto 2016;

Per violazione:

dello statuto speciale approvato con legge costituzionale n. 1 del 1963, in riferimento agli articoli 4, in particolare comma 1-bis, 5, 6, 7, 8, 25, 48, 49, 51, 63 e 65;

degli articoli 3, 81, 97 e 119 della Costituzione, anche in riferimento all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001;

del principio di ragionevolezza, del principio di leale collaborazione e del principio dell'accordo in materia di finanza regionale (art. 63 e 65 dello statuto speciale, art. 27 della legge n. 42 del 2009);

dell'art. 5, comma 1, lettera g), e comma 2, lettera c), della legge costituzionale n. 1 del 2012;

delle norme di attuazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale), al decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 8 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114, concernente la finanza regionale); al decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 137 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale); al decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), all'art. 9.

 

Fatto

Nella Gazzetta Ufficiale del 29 agosto 2016 e' stata pubblicata la legge 12 agosto 2016, n. 164, recante «Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali».

Tale legge, approvata nel testo finale a maggioranza assoluta, interviene sulla legge 24 dicembre 2012, n. 243, recante «Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'art. 81, sesto comma, della Costituzione», cioe' sulla legge rinforzata prevista dall'art. 81, sesto comma, Cost.

La novella incide sugli articoli da 9 a 12 del Capo IV, dedicato allo «Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali e concorso dei medesimi enti alla sostenibilita' del debito pubblico» (solo una disposizione della legge n. 164 del 2016 - l'art. 5 - interviene su norme che non coinvolgono regioni od enti locali, andando a modificare l'art. 18 della legge n. 243 del 2012, relativo all'Ufficio parlamentare di bilancio).

Per quanto qui interessa, l'art. 1, comma 1, della legge n. 164 del 2015 modifica l'art. 9 della legge n. 243 del 2012, e dopo avere alla lettera a) ridefinito il concetto base di «bilancio in equilibrio», individuandolo come bilancio che presenta un «saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali, come eventualmente modificato ai sensi dell'art. 10 della legge n. 243 del 2012» (modificando cosi' l'art. 9, comma 1, della legge n. 243), dispone altresi' alla lettera B (introducendo un nuovo comma 1-bis nel predetto art. 9) che ai fini della applicazione della precedente definizione le entrate finali sono quelle «ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e .5 dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e le spese finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio».

Nello stesso comma 1-bis dell'art. 9 della legge n. 243 del 2012, cosi' introdotto, e' anche disposto che «per gli anni 2017-2019, con la legge di bilancio, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica e su base triennale, e' prevista l'introduzione del fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa» e che «a decorrere dall'esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali e' incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali».

L'art. 2 della legge n. 164 del 2016 modifica l'art. 10 della legge n. 243 del 2012, che regola il ricorso all'indebitamento da parte degli enti territoriali e sostituisce i commi 3, 4, 5 di tale disposizioni.

In particolare, il nuovo comma 3 stabilisce che «le operazioni di indebitamento di cui al comma 2 - e quindi operazioni approvate contestualmente all'adozione di piani di ammortamento di durata non superiore alla vita utile dell'investimento, nei quali sono evidenziate l'incidenza delle obbligazioni assunte sui singoli esercizi finanziari futuri nonche' le modalita' di copertura degli oneri corrispondenti - e le operazioni di investimento realizzate attraverso l'utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti sono effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale che garantiscano, per l'anno di riferimento, il rispetto del saldo di cui all'art. 9, comma 1, del complesso degli enti territoriali della regione interessata, compresa la medesima regione».

L'art. 3 della legge impugnata novella l'art. 11, comma 1, della legge n. 243 del 2012, stabilendo che «fermo restando quanto previsto dall'art. 9, comma 5, e dall'art. 12, comma 1, lo Stato, in ragione dell'andamento del ciclo economico o al verificarsi di eventi eccezionali, concorre al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali, secondo modalita' definite con leggi dello Stato, nel rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge», ed abroga i commi 2 e 3 dello stesso art. 11.

Infine - per quanto qui di interesse - l'art. 4 sostituisce i primi due commi, ed abroga il terzo comma, dell'art. 12 della legge n. 243 del 2012.

L'art. 12, comma 1, come novellato dispone ora che «le regioni, i comuni, le province, le citta' metropolitane e le province autonome di Trenta e di Bolzano concorrono ad assicurare la sostenibilita' del debito del complesso delle amministrazioni pubbliche, secondo modalita' definite con legge dello Stato, nel rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge».

Il nuovo comma 2 stabilisce che «fermo restando quanto previsto dall'art. 9, comma 5, gli enti di cui al comma 1, tenuto conto dell'andamento del ciclo economico, concorrono alla riduzione del debito del complesso delle amministrazioni pubbliche attraverso versamenti al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato secondo modalita' definite con legge dello Stato, nel rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge».

La Regione Friuli-Venezia Giulia ritiene che le disposizioni sopra descritte, contenute negli arti. 1, 2, 3 e 4 della legge n. 164 del 2016 siano costituzionalmente illegittime e lesive dell'autonomia costituzionale della Regione sotto i seguenti profili e per i seguenti motivi di

 

Diritto

I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016, introduttivo dell'art. 9, comma 1-bis, della legge n. 243 del 2012.

La Regione impugna anzitutto l'art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016. Tale disposizione, che introduce il comma 1-bis nell'art. 9 della legge n. 243 del 2012, e' formulata nei termini che seguono:

1. All'art. 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, sono apportate le seguenti modificazioni

...

 

b) dopo il comma 1 e' inserito il seguente:

«1-bis. Ai fini dell'applicazione del comma 1, le entrate finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e le spese finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio. Per gli anni 2017-2019, con la legge di bilancio, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica e su base triennale, e' prevista l'introduzione del fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa. A decorrere dall'esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali e' incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali».

La disposizione del nuovo comma 1-bis si compone di tre periodi.

Il primo periodo elenca quali titoli di entrata e quali titoli di spesa debbono essere considerati ai fini del rispetto della regola dell'equilibrio di bilancio, come definita dal comma 1 dello stesso art. 9 della legge n. 243 del 2012, secondo la quale «i bilanci delle regioni, dei comuni, delle province, delle citta' metropolitane e delle province autonome di Trento e di Bolzano si considerano in equilibrio quando, sia nella fase di previsione che di rendiconto, conseguono un saldo non negativo; in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali, come eventualmente modificato ai sensi dell'art. 10»): specifica, cioe' le «entrate finali» e le «spese finali» che contano a questo fine.

Riscontrando i titoli in entrata indicati dal primo periodo, e' agevole osservare - ma sara' subito meglio precisato - che tra le entrate finali che possono essere prese in considerazione ai fini dell'equilibrio di bilancio non e' menzionato l'eventuale avanzo dell'esercizio precedente. L'omessa menzione di tale posta di bilancio e' oggetto della presente impugnazione.

Il secondo ed il terzo periodo riguardano invece il fondo pluriennale vincolato, posta di bilancio che, secondo la disciplina di cui al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e' costituita da risorse gia' accertate destinate al finanziamento di obbligazioni passive dell'ente gia' impegnate, ma esigibili in esercizi successivi a quello in cui e' accertata l'entrata. Il secondo periodo dell'art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016 consente l'inclusione del fondo pluriennale vincolato negli anni 2017-2019, ma solo su previsione della legge di bilancio e «compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica e su base triennale». Il terzo periodo della disposizione, invece, stabilisce l'inclusione di tale fondo tra le entrate e le spese finali a decorrere dall'esercizio 2020, solo se finanziato con le entrate finali. In questi termini il secondo e il terzo periodo dell'art. 1, comma 1, lettera b), limitano materialmente e temporalmente l'inclusione del fondo pluriennale vincolato, e sono oggetto di contestazione.

Cio' premesso, si espongono partitamente le censure che interessano il primo periodo

(II.1) e quelle che investono il secondo e terzo periodo della disposizione (I.2). I.1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b), primo periodo, della legge n. 164 del 2016, nella parte in cui, introducendo il nuovo comma 1-bis nell'art 9 della legge n. 243 del 2012, al primo periodo del comma esclude l'utilizzo del saldo di amministrazione ai fini dell'equilibrio di bilancio.

Il nuovo comma 1-bis dell'art. 9 della legge n. 243, introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2015, nel primo periodo individua, ai fini dell'equilibrio di bilancio, le entrate finali come quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118.

Si tratta delle seguenti: Titolo 1, entrate correnti di natura tributaria, contributiva e perequativa; Titolo 2, trasferimenti correnti; Titolo 3, entrate extratributarie; Titolo 4, entrate in conto capitale; Titolo 5, entrate da riduzione di attivita' finanziarie. Dunque tra le entrate finali che possono essere prese in considerazione ai fini dell'equilibrio di bilancio non trova immediata collocazione l'eventuale avanzo dell'esercizio precedente.

La Regione Friuli-Venezia Giulia teme che la mancata espressa menzione di tale posta di bilancio sia intesa nel senso di divieto di utilizzazione, nel calcolo del bilancio in equilibrio, dell'avanzo di amministrazione dell'esercizio precedente. Tale ipotesi interpretativa potrebbe ritenersi confermata, sul piano sistematico, da quanto dispone l'art. 2, comma 1, lettera a), della medesima legge n. 164 del 2015, che parrebbe consentire l'utilizzo degli avanzi di amministrazione soltanto sulla base di intese concluse in ambito regionale, ed e' percio' parimenti impugnato dalla ricorrente Regione con la censura che sara' illustrata al punto II del presente ricorso.

Ove tale fosse l'interpretazione da preferire, i concreti effetti lesivi della norma impugnata sarebbero particolarmente intensi (e percio' anche irragionevolmente discriminatori) proprio per la Regione Friuli-Venezia Giulia.

Premesso infatti che essa ha come principale fonte di entrata le compartecipazioni ai tributi erariali, la presenza sul territorio regionale di grandi gruppi (e quindi di grandi contribuenti, che comunemente praticano operazioni societarie o intragruppo, con rilevanti effetti tributari) rende molto variabile, di anno in anno, la dimensione delle entrate regionali. Tale variabilita' non e' prevedibile dalla Regione e quindi non e' programmabile ex ante, dal momento che essa ha contezza della entita' della compartecipazione di sua spettanza solo a versamento avvenuto e dunque a saldo, secondo quanto previsto dalle norme di attuazione dello statuto speciale.

La combinazione delle speciali regole costituzionali sulla finanza regionale con la particolare composizione dei soggettivi passivi d'imposta, che rende mutevole la massa imponibile, e con i meccanismi di trasmissioni dei dati normativamente previsti comporta la fisiologica formazione di avanzi di bilancio (o disavanzi), che costituiscono una parte essenziale della finanza regionale, e che, che possono essere utilizzati solo successivamente all'accertamento in entrata, devono trovare la necessaria corrispondenza tra le voci di entrata dell'anno seguente utili fini del pareggio di bilancio.

Diversamente, la disposizione sarebbe, ad avviso della Regione, lesiva della propria autonomia finanziaria ed illegittima sotto diversi profili, che vengono qui prospettati sulla base della premessa che un simile meccanismo non ha alcuna base nella legge costituzionale n. 1 del 2012 (i cui principi al contrario risultano anch'essi in parte violati), e che dunque nella fissazione delle regole di equilibrio finanziario non possono essere sovvertiti i principi di base dell'autonomia finanziaria regionale.

In primo luogo, l'avanzo di amministrazione dell'esercizio precedente, una volta che sia stato accertato e rappresentato nei rendiconti, e' un elemento patrimoniale della Regione, che la norma impugnata, secondo quanto qui prospettato, renderebbe indisponibile da parte dell'ente (salvo che alle condizioni di cui all'art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 164 del 2016, che e' oggetto di separata impugnazione), generando una situazione equivalente alla sottrazione materiale di risorse, analoga alla previsione di una riserva all'erario o di un accantonamento di entrata a valere sulle quote di tributi erariali di spettanza regionale.

Se tale e' la sostanza dell'avanzo, ad avviso della Regione la disposizione restrittiva lede le norme dello statuto speciale nelle quali e' fondata la sua autonomia finanziaria della Regione, e dunque le norme contenute nel Titolo IV della legge costituzionale n. 1 del 1963, in particolare l'art. 48, che costruisce la finanza dell'ente come una finanza propria della Regione («La Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarieta' nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli seguenti»); l'art. 49, che attribuisce alla Regione quote dei tributi erariali; l'art. 51, che individua le altre entrate della Regione; dell'art. 63, ultimo comma, dello statuto speciale, che consente modifiche alle norme predette solo con il procedimento negoziato ivi previsto.

Violate sono anche le corrispondenti norme sull'autonomia finanziaria e patrimoniale della Regione contenute nell'art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost., invocato anche in combinazione con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, ove piu' favorevole. Considerando poi l'effetto sostanziale «sottrattivo» sopra descritto, risulta violato anche il principio dell'accordo, in applicazione del metodo pattizio che regola i rapporti finanziari tra lo Stato e il Friuli-Venezia Giulia, principio sotteso agli articoli 63 (gia' richiamato) e 65 (in tema di procedura negoziata per l'approvazione delle norme di attuazione) dello statuto, nonche' alle norme di attuazione contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale), nel decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 8 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114, concernente la finanza regionale); nel decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 137 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale), e ribadito, con riferimento a tutte le Regioni a statuto speciale, dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009.

La norma non puo' essere nemmeno essere giustificata con le esigenze della solidarieta' nazionale menzionate dall'art. 48 dello Statuto (peraltro «nei modi stabiliti dagli articoli seguenti» dello stesso statuto), o con le esigenze di concorso della Regione alla sostenibilita' del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni, menzionate dall'art. 81, sesto comma, e 97, primo comma, Cost., nonche' dall'art. 5, comma 2, della legge n. 1 del 2012.

Invero, e' ipotizzabile che l'avanzo di amministrazione venga «sterilizzato» ai fini dell'equilibrio del bilancio regionale allo scopo di essere poi riversato e contabilizzato nel conto consolidato delle amministrazioni pubbliche ai fini della rendicontazione europea; ma tale forma di concorso alla sostenibilita' del debito pubblico sarebbe comunque incompatibile con molteplici parametri costituzionali.

Sarebbe violato, anzitutto, il principio per cui l'equilibrio complessivo deve risultare dalla sommatoria di bilanci in equilibrio e non dalla somma algebrica di bilanci in disavanzo e bilanci in attivo; la possibilita' di compensazioni, del resto, e' consentita soltanto nei limiti di cui all'art. 10 della legge n. 243 del 2012, in relazione alle operazioni di investimento.

Tale principio si ricava dall'art. 81, primo comma, Cost., che impone allo Stato di assicurare «l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio» e l'art. 119, primo comma, Cost., che analogamente impone agli enti territoriali «l'equilibrio dei relativi bilanci».

Quando l'art. 97, primo comma, Cost., stabilisce che «le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilita' del debito pubblico», esso impone a tutte le amministrazioni, singolarmente prima che nel loro complesso, di avere un bilancio in equilibrio.

Si precisa che la Regione e' legittimata a far valere anche la violazione degli articoli 81, primo comma, e art. 97, primo comma, Cost., sia perche' - come e' stato rilevato in letteratura - «quella dell'equilibrio dei rispettivi bilanci e' una sorta di garanzia reciproca che tutti i livelli di Governo mutuamente si prestano» (in tali termini M. Luciani, L'equilibrio di bilancio e i principi fondamentali: la prospettiva del controllo di costituzionalita', relazione al Seminario organizzato da codesta Corte su Il principio dell'equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012, nei relativi Atti, alla pagina 39), sia perche' la declinazione dell'equilibrio di bilancio come un equilibrio complessivo, creato anche attraverso la sterilizzazione degli avanzi di amministrazione, ha un ovvio impatto sull'autonomia finanziaria della Regione, la quale si vede impossibilitata ad utilizzare ai fini del pareggio il saldo favorevole realizzato a consuntivo dell'esercizio precedente (questo impatto e' notevolissimo nel caso del Friuli-Venezia Giulia, come si e' detto supra)

In secondo luogo, questo meccanismo violerebbe anche il principio di veridicita' e di trasparenza dei bilanci e di responsabilita' politica per gli stessi, implicito, oltre che nell'art. 81 Cost., nelle norme statutarie che riservano al Consiglio regionale l'approvazione dei bilanci (art. 7, per cui la Regione «provvede con legge: 1) all'approvazione dei bilanci di previsione e dei rendiconti consuntivi»; art. 25, commi primo e quarto, per cui il Consiglio regionale, «approva il bilancio di previsione della Regione» ed «esamina ed approva il conto consuntivo della Regione per l'esercizio»).

L'organo rappresentativo, che risponde al corpo elettorale, si troverebbe costretto dalla norma impugnata (se intesa nel modo qui avversato) ad approvare un bilancio non trasparente e non veritiero, perche' l'avanzo degli esercizi precedenti, pur registrato nelle scritture contabili della Regione, non sarebbe utilizzabile ai fini del pareggio di bilancio, in quanto esso viene imputato al consolidamento dei conti della pubblica amministrazione e in esso confuso. L'elettore verrebbe cosi' privato della possibilita' di comprendere l'effettivo andamento della finanza regionale e di valutare corrispondentemente l'operato degli amministratori e dei rappresentanti eletti.

Non a caso, codesta Corte costituzionale, nella sentenza n. 188 del 2016 (al punto 4), a proposito degli accantonamenti operato dallo Stato sulle quote di entrate erariali di spettanza della Regione, ha valorizzato il principio della chiarezza e della trasparenza dei rapporti tra prelievi ed impieghi quale presupposto indefettibile per l'esplicazione della esponenzialita' degli enti territoriali, osservando che le collettivita' locali «hanno diritto ad un'informazione chiara e trasparente sull'utilizzazione del prelievo obbligatorio e sulla imputabilita' delle scelte politiche sottese al suo impiego» e ricordando che «l'art. 1 della legge n. 42 del 2009 declina l'autonomia degli enti territoriali come finalizzata a garantire "i principi di solidarieta' e di coesione sociale [nonche'] la massima responsabilizzazione [di detti enti] e l'effettivita' e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti"».

In terzo luogo, sarebbe violato anche il principio sotteso all'art. 5, comma 2, lettera c), della legge costituzionale n. 1 del 2012, che vuole appositamente regolate le modalita' attraverso le quali i comuni, le province, le citta' metropolitane, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla sostenibilita' del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni.

Non puo' dirsi regolazione quello che e' solo un effetto indiretto - per quanto voluto - di una regola contabile (non a caso contenuta in una disposizione che non si occupa del concorso degli enti territoriali alla sostenibilita' del debito pubblico, che invece e' oggetto di altra previsione).

Sotto tale profilo risultano violati anche il principio di ragionevolezza ed il principio di eguaglianza, dal momento che la norma produce effetti del tutto casuali e scorrelati da una vera e propria «capacita' contributiva» dell'ente, dal momento che la presenza di una avanzo di amministrazione non e' di per se' sintomatica di una situazione finanziaria dell'ente realmente buona, ne' significa che tutto quell'avanzo possa essere contabilizzato a servizio del debito consolidato della amministrazioni pubbliche. Come sopra esposto, per la Regione ricorrente si produrrebbe uno strutturale effetto discriminatorio, con violazione anche del principio di uguaglianza.

Questo rilievo di irragionevolezza e' confermato, sul piano dei dati normativi, dal fatto che la norma impugnata si pone in contrasto con la logica interna del sistema delineato dalla legge rinforzata n. 243 del 2012, che configura il pareggio di bilancio come un obiettivo di medio termine (art. 3, comma 2: «l'equilibrio dei bilanci corrisponde all'obiettivo di medio termine»). La Regione Friuli-Venezia Giulia sarebbe costantemente ostacolata nel raggiungimento di questo obiettivo dalla permanente sottrazione alla propria disponibilita' delle risorse che pure statutariamente le spettano, ma che non puo' ragionevolmente riuscire a impiegare nell'anno di riscossione per la struttura stessa del meccanismo di riscossione.

Palese e' la ridondanza di tale violazione sull'esercizio di competenze costituzionalmente riservate alla Regione. Si richiamano, a titolo di esempio, talune delle funzioni legislative ed amministrative che richiedono l'approvazione di spese e l'erogazione di fondi; quali: a) tra le competenze primarie (art. 4 e art. 8 Statuto, o se piu' favorevoli le analoghe competenze residuali ex art. 117, quarto comma, Cost., in combinazione con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) agricoltura e foreste, bonifiche, ordinamento delle minime unita' culturali e ricomposizione fondiaria, irrigazione, opere di miglioramento agrario e fondiario, zootecnia, ittica, economia montana, corpo forestale; viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse locale e regionale; turismo e industria alberghiera; trasporti su funivie e linee automobilistiche, tranviarie e filoviarie, di interesse regionale; acque minerali e termali; istituzioni culturali, ricreative e sportive; musei e biblioteche di interesse locale e regionale; b) per le competenze legislative concorrenti, l'igiene e sanita' (o, se piu' favorevole, la tutela della salute ex articoli 117, terzo comma, Cost., combinato con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001). I.2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b), primo periodo, della legge n. 164 del 2016, nella parte in cui, introducendo il nuovo comma 1-bis nell'art 9 della legge n. 243 del 2012, al secondo e terzo periodo del comma limita l'utilizzo del fondo pluriennale vincolato.

Come sopra esposto, la Regione impugna anche il secondo e terzo periodo del comma 1-bis dell'art. 9 della legge n. 243 del 2012, introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016. Essi dispongono nei termini che seguono:

 «Per gli anni 2017-2019, con la legge di bilancio, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica e su base triennale, e' prevista l'introduzione del fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa. A decorrere dall'esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali e' incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali».

Tali disposizioni pongono limiti temporali, procedurali e materiali per l'utilizzo del fondo pluriennale di bilancio, e sono queste limitazioni ad essere oggetto di contestazione.

Giova rammentare che il fondo pluriennale vincolato e' una posta di bilancio che e' stata introdotta in esecuzione dei principi statali di armonizzazione dei bilanci pubblici dettati dal decreto legislativo n. 118 del 2011.

Tale fondo e' costituito da risorse gia' accertate e gia' impegnate in esercizi precedenti, ma destinate al finanziamento di obbligazioni passive dell'ente che diventeranno esigibili in esercizi successivi a quello in cui e' accertata l'entrata. Il fondo pluriennale vincolato rappresenta dunque un saldo finanziario a garanzia della copertura di spese imputate ad esercizi successivi a quello in corso e configura lo strumento tecnico per ricollocare su tali esercizi spese gia' impegnate, relativamente alle quali sussiste un'obbligazione giuridicamente perfezionata, e quindi un vincolo ad effettuare i relativi pagamenti i quali, tuttavia, giungeranno a scadenza negli esercizi sui quali vengono reimputate le spese. Tale reimputazione risulta obbligatoria ai sensi del decreto legislativo n. 118 del 2011.

Trattandosi di spese gia' impegnate su esercizi precedenti, esse risultano finanziariamente gia' coperte con entrate di tali esercizi. Proprio per questo, le regole dell'armonizzazione prevedono che l'operazione di reimputazione delle spese sia accompagnata dalla reimputazione delle relative entrate sui medesimi esercizi finanziari attraverso il fondo pluriennale, alimentato con le risorse degli anni in cui erano state impegnate le spese.

Con riferimento al fondo pluriennale vincolato, la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilita' 2016), ne aveva previsto la considerazione limitatamente all'anno 2016 (art. 1, comma 711, secondo periodo), con conseguente esclusione per gli anni successivi.

La nuova norma consente ora anche per il triennio 2017 - 2019 l'inclusione del fondo pluriennale vincolato ai fini dell'equilibrio di bilancio, subordinando pero' questa eventualita' a successive previsioni della legge di bilancio e comunque alla sua compatibilita' con gli obiettivi di finanza pubblica. A partire dall'esercizio 2020, la norma impugnata consente l'inclusione di tale fondo tra le entrate e le spese finali a decorrere dall'esercizio 2020, ma solo nella parte in cui il fondo e' finanziato con le entrate finali.

Tali limitazioni si traducono nel condizionamento della possibilita' di utilizzare i fondi gia' destinati negli esercizi precedenti al finanziamento delle spese gia' programmate, e cio' determina la necessita' che per la copertura di tali spese debbano essere utilizzate nuove entrate dell'anno sul quale vengono sostenute le spese, nuove entrate che diversamente avrebbero potuto essere impiegate per nuovi interventi.

Le limitazioni di questo meccanismo a partire dal 2017 - che, si noti bene, e' stato introdotto in esecuzione di norme di armonizzazione statali (decreto legislativo n. 118 del 2011) -determinano un congelamento delle risorse pur disponibili, la cui utilizzazione era gia' stata programmata, al di fuori delle limitazioni imposte dalla regola del saldo non negativo di'cui all'art. 9 della legge n. 243 del 2012.

Tale previsione comporta, in primo luogo, una limitazione della autonomia finanziaria della Regione sul versante della spesa e dunque una violazione dell'art. 48 (sul carattere proprio della finanza regionale) ma anche degli articoli 49 (sulla spettanza delle quote di tributi erariali) e 51 (sulle altre entrate regionali) dello statuto speciale, dal momento che l'attribuzione alla Regione di determinate entrate implica che di esse l'ente possa disporne, e integra anche una violazione dell'art. 119, primo comma, Cost., che espressamente sancisce l'autonomia di spesa, e che qui e' invocato in combinazione con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, se piu' favorevole.

La norma non puo' essere giustificata dalle esigenze dell'equilibrio di bilancio o da quelle della solidarieta' nazionale, evocate dall'art. 48 dello statuto speciale, peraltro «nei modi stabiliti dagli articoli seguenti».

Infatti, per quanto il medesimo art. 119, primo comma, Cost. faccia salvo «il rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci» e impegni le regioni a concorrere «ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea», trattasi di valori che non sono messi a rischio dall'utilizzo delle proprie risorse programmate per spese pluriennali.

Anzi, e' proprio la previsione di un ostacolo per la Regione nell'utilizzare un fondo appositamente programmato per spese gia' impegnate e che diventeranno esigibili negli esercizi successivi, a determinare un rischio per l'equilibrio del bilancio, giacche' tale ostacolo comporta la necessita' di trovare aliunde una copertura per tali spese, che corrispondono ad obbligazioni giuridicamente vincolanti gia' assunte.

Sotto tale profilo risulta poi violato il principio di buon andamento dell'amministrazione di cui art. 97, comma secondo, Cost., in quanto risulta cosi' preclusa la realizzazione dei programmi di investimento per la cui realizzazione i fondi sono accantonati nel fondo vincolato di entrata. Unitamente, risulta violato anche il principio di ragionevolezza, fondato sull'art. 3, comma primo, Cost.: non si intende, infatti, come la Regione - che pure dispone delle risorse necessarie al finanziamento di un investimento pluriennale - possa avere la certezza di poterlo onorare negli anni successivi, se non puo' contare sulle somme appositamente accantonate.

Ovvia e' la ridondanza di tale violazione sull'esercizio di competenze costituzionalmente riservate alla Regione e in particolare delle competenze che normalmente richiedono l'adozione di programmi di spesa. Su questo punto si rinvia a quanto dedotto in precedenza, segnalando, ad esempio, le competenze in materia di viabilita' o di lavori pubblici di interesse locale e regionale, quelle in materie di trasporti di interesse regionale oppure quelle in materie di sanita'

Ad avviso della ricorrente Regione tali limitazioni alla computabilita' del fondo pluriennale vincolato rimarrebbero incostituzionali anche nell'ipotesi che esse dovessero ritenersi strumentali alla sostenibilita' del debito pubblico, per ragioni corrispondenti a quelle esposte al punto precedente in relazione alla problematica dell'avanzo di amministrazione.

Sarebbe infatti violato anche il principio di cui all'art. 5, comma 2, lettera c), della legge costituzionale n. 1 del 2012, che vuole appositamente regolate le modalita' con cui gli enti territoriali concorrono alla sostenibilita' del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni.

Si ribadisce che un effetto indiretto di una regola contabile - anche se e' voluto - non e' certo un modo in cui il predetto concorso e' regolato.

Inoltre sarebbe lesi il principio di ragionevolezza ed il principio di eguaglianza, considerato che la tale contributo sarebbe automaticamente generato in funzione della applicazione di una regola contabile che e' dettata a tutt'altri fini e non di un reale «capacita' contributiva» dell'ente; la presenza e la dimensione del fondo pluriennale vincolato e' il risultato della programmazione della spesa e non della presenza di avanzi strutturali di bilancio.

Poiche' l'introduzione del fondo pluriennale vincolato e' imposta dalla legislazione statale di armonizzazione della finanza pubblica, la sua strumentalizzazione ad altri fini e' lesiva anche del principio costituzionale di leale collaborazione.

II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 164 del 2016, nella parte in cui, introducendo il nuovo comma 3 dell'art. 10 della legge n. 243 del 2012, vincola ad intese l'utilizzo dell'avanzo di amministrazione.

L'art. 2, comma 1, lettera a) della legge n. 164 del 2016 sostituisce il comma 3 dell'art. 10 della legge n. 243 del 2012.

Essa prevede quanto segue:

«All'art. 10 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 3 e' sostituito dal seguente:

"3. Le operazioni di indebitamento di cui al comma 2 e le operazioni di investimento realizzate attraverso l'utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti sono effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale che garantiscano, per l'anno di riferimento, il rispetto del saldo di cui all'art. 9, comma 1, del complesso degli enti territoriali della regione interessata, compresa la medesima regione"».

In questi termini, la disposizione norma sembra in primo luogo confermare, alla stregua di quanto sopra considerato, la generale impossibilita' per la Regione di utilizzare il proprio avanzo di amministrazione ai fini del pareggio di bilancio, ed essa e' dunque impugnata quale parte del complessivo regime di limitazione dell'utilizzo del risultato di amministrazione.

Specificamente, poi, essa subordina l'utilizzo dell'avanzo di amministrazione della Regione alla conclusione di apposite intese con gli enti territoriali. Sennonche', essendo sottratto alla piena disponibilita' della Regione, tale avanzo cessa di essere una componente del suo patrimonio, a dispetto di quanto e' rappresentato nei suoi rendiconti.

Cio' integra - per le ragioni analiticamente esposte al precedente punto I.1., cui si rinvia - una violazione della autonomia finanziaria regionale (articoli 48, 49 e 51 dello statuto o art. 119, primo, secondo e sesto comma, se piu' favorevole, ai sensi dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) e della stessa autonomia politica dell'ente.

Per scrupolo di completezza si osserva che, ad avviso della ricorrente Regione, la norma contestata non puo' trovare giustificazione in quanto dispone l'art. 119, ultimo comma, Cost., a tenore del quale comuni, province, citta' metropolitane e regioni «possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio».

Non puo' sfuggire la differenza rispetto alla norma impugnata. Laddove la disposizione costituzionale si limita a richiedere il rispetto dell'equilibrio di bilancio del «complesso degli enti» ai fini del ricorso all'indebitamento, la disposizione qui contestata condiziona non solo le operazioni di indebitamento ma anche quelle di investimento, e finalizza l'avanzo di amministrazione alla sola copertura delle spese di investimento. Altrimenti detto, la disposizione che qui si censura sottopone dell'avanzo di bilancio - che dovrebbe essere un utilizzo libero - a condizioni che valgono soltanto per il ricorso all'indebitamento.

Si noti, peraltro, che a stretto rigore, in forza dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, il disposto dell'art. 119, ultimo comma, Cost., non potrebbe neppure trovare applicazione in malam partem alla Regione ricorrente, la quale nel proprio statuto speciale dispone invece di regole speciali sull'indebitamento, che la facoltizzano ad emettere prestiti da essa garantiti (art. 52: «la Regione ha facolta' di emettere prestiti interni da essa garantiti, per provvedere ad investimenti in opere permanenti per un importo annuale non superiore alle sue entrate ordinarie, salve le autorizzazioni di competenza del Ministro per il tesoro e del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio disposte dalle leggi vigenti»).

Ne risulta confermata l'illegittimita' della disposizione impugnata. III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 1, lettera a), nella parte in cui, introducendo il nuovo comma 1 dell'art. 11 della legge n. 243 del 2012, demanda alla semplice legge ordinaria la disciplina delle modalita' del concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali.

L'art. 3, comma 1, lettera a), della legge n. 164 del 2012, sostituisce l'art. 11, comma 1, della legge n. 243 del 2012.

La disposizione sancisce che:

«All'art. 11 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 1 e' sostituito dal seguente:

"1. Fermo restando quanto previsto dall'art. 9, comma 5, e dall'art. 12, comma 1, lo Stato, in ragione dell'andamento del ciclo economico o al verificarsi di eventi eccezionali, concorre al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali, secondo modalita' definite con leggi dello Stato, nel rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge"».

La lettera b) del medesimo art. 3, comma 1, abroga i commi 2 e 3 dell'art. 11 della legge n. 243 del 2012, che precedentemente disciplinavano la materia.

La contestazione riguarda il rinvio di ogni vera regola alle «modalita' definite con leggi dello Stato», violando cosi' la competenza della legge rinforzata.

Occorre ricordare che l'art. 5, comma 1, lettera g) della legge costituzionale n. l del 2012, stabilisce che «la legge di cui all'art. 81, sesto comma, della Costituzione, come sostituito dall'art. 1 della presente legge costituzionale, disciplina, per il complesso delle pubbliche amministrazioni, in particolare: ...g) le modalita' attraverso le quali lo Stato, nelle fasi avverse del ciclo economico o al verificarsi degli eventi eccezionali di cui alla lettera d) del presente comma, anche in deroga all'art. 119 della Costituzione, concorre ad assicurare il finanziamento, da parte degli altri livelli di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali».

Questa disposizione si pone in diretto conflitto con quanto previsto dalla legge costituzionale, perche' sposta dalla legge rinforzata alla legge ordinaria la competenza a disciplinare il concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociale in ragione dell'andamento del ciclo economico o al verificarsi di eventi eccezionali.

Tale modifica e' vieppiu' illegittima se si considera poi che il rinvio alla legge ordinaria e' un rinvio in bianco, visto che i commi 1, 2 e 3 dell'art. 11, nei quali era originariamente contenuta una compiuta disciplina che regolava sia sostanzialmente sia nel procedimento il concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o in presenza di eventi eccezionali, sono contestualmente abrogati dallo stesso art. 3, comma 1, lettere a) e b) [l'impugnata lettera a), come si e' detto, sostituisce il comma 1, mentre la lettera b) abroga seccamente i commi 2 e 3]. La menzione del «rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge» diventa dunque una vuota formula verbale, visto che la legge rinforzata non detta alcun principio in ordine al concorso statale al finanziamento dei livelli essenziali nelle fasi avverse o in presenza di eventi eccezioni, essendo stati abrogate tutte le norme sul punto in essa contenute.

E' evidente che la violazione ha carattere sostanziale, dal momento che la legge costituzionale ha voluto affidare la disciplina di questo delicatissimo aspetto ad una fonte che, attraverso il rinforzo delle regole di approvazione, esprimesse una piu' ampia condivisione della scelta euna maggiore stabilita' delle regole.

Inoltre, la violazione denunciata ridonda sulla autonomia costituzionalmente garantita alla Regione ricorrente sotto due distinti profili.

Anzitutto, la piu' ampia condivisione della scelta e la maggiore stabilita' delle regole, frutto dell'aggravamento, sono poste anche nell'interesse delle Regioni destinatarie delle regole in questione.

Palese e' poi l'interferenza con le competenze costituzionalmente attribuite alla ricorrente e quindi la ridondanza del vizio sulla autonomia finanziaria, legislativa ed amministrativa della Regione.

Si consideri che la disposizione riguarda il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e le funzioni fondamentali degli enti territoriali relative a tali diritti, e dunque incide su molteplici competenze della ricorrente Regione.

A titolo di esempio si ricordano le competenze legislative ed amministrative in materia assistenza scolastica o di igiene e sanita', assistenza sanitaria ed ospedaliera, nonche' il recupero dei minorati fisici (oggetto di competenza legislativa concorrente ai sensi dell'art. 5, rispettivamente nn. 15 e 16 dello statuto, e di potesta' amministrativa, ai sensi dell'art. 8 dello statuto; ovvero oggetto di competenze acquisite ai sensi dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., e dell'art. 118 Cost., in combinazione con la legge costituzionale n. 3 del 2001, ove piu' favorevoli); oppure le competenze integrative in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale, ai sensi dell'art. 6 dello statuto (se piu' favorevole, ai sensi dell'art. 117, terzo e quarto comma, in combinato disposto con l'art. 10 legge costituzionale n. 3 del 2001); o, ancora, le competenze primarie in materia di ordinamento degli enti locali, e quindi anche in ordine alle loro funzioni fondamentali, ai sensi dell'art. 4, n. 1-bis, e dell'art. 59 dello statuto, che specificamente comprendono una responsabilita' regionale per il finanziamento regionale delle funzioni del Comuni (cfr. l'art. 54 dello statuto, ai sensi del quale «allo scopo di adeguare le finanze dei comuni, anche nella forma di citta' metropolitane, al raggiungimento delle finalita' ed all'esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi, il consiglio regionale puo' assegnare ad essi annualmente una quota delle entrate della Regione»).

In terzo luogo, si osserva che la possibilita' di finanziamento dei livelli essenziali o delle funzioni fondamentali degli enti territoriali con un fondo straordinario rappresenta una doppia deroga all'art. 119 Cost., che prevede che le fonti ordinarie di finanziamento, previste dall'art. 119, secondo e terzo comma, debbano consentire agli enti territoriali (art. 119, quarto comma: «Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai comuni, alle province, alle citta' metropolitane e alle regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite») e che vieta l'istituzione di fondi vincolati, consentendo la destinazione di risorse aggiuntive o di interventi speciali soltanto a favore di determinati enti territoriali e alle condizioni previste dall'art. 119, quinto comma, Cost. (tale disposizione prevede, infatti, che «per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta' sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati comuni, province, citta' metropolitane e regioni»).

Lo stesso risultato si ottiene considerando le regole sull'autonomia finanziaria contenute nel Titolo IV dello statuto (ad esempio nell'art. 50, che limita gli interventi speciali, o nel gia' citato art. 54), regole che sono modificabili o con il procedimento di revisione costituzionale oppure con la fonte rinforzata prevista dall'art. 63, ultimo comma, dello statuto («le disposizioni contenute nel titolo IV possono essere modificate con leggi ordinarie, su proposta di ciascun membro delle Camere, del Governo e della Regione, e, in ogni caso, sentita la Regione»), la quale richiede il coinvolgimento della Regione nel procedimento legislativo.

Se si dovesse ammettere che una deroga alle garanzie dell'autonomia finanziaria della Regione ricorrente contenute nel Titolo IV dello statuto e nell'art. 119 Cost. (per i profili in cui la disposizione costituzionale e' piu' favorevole, ex art. 10 legge costituzionale n. 3 del 2001) sia implicitamente autorizzata dall'art. 5, comma 1, lettera g), della legge costituzionale n. 1 del 2012 (secondo l'impostazione seguita dalla sentenza n. 88 del 2014 di codesta Corte, al punto 6), la fonte abilitata a disciplinare tale deroga rimane pero' unicamente la legge rinforzata di cui all'art. 81, sesto comma, Cost., e non la legge ordinaria.

Pertanto, la norma impugnata, demandando ad una legge ordinaria la regolazione di una fattispecie in deroga al Titolo IV dello statuto speciale e all'art. 119 Cost., fattispecie che il legislatore costituzionale ha voluto riservare ad una legge rinforzata, lede indirettamente anche l'art. 63, ultimo comma, dello statuto speciale, e l'art. 119, quarto e quinto comma, Cost., in combinato l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Dunque anche tale inscindibile collegamento tra le disposizioni costituzionali e statutarie sull'autonomia finanziaria della Regione e la competenza riservata della legge rinforzata conferma la legittimazione della Regione a far valere il vizio di violazione dell'art. 5, comma 1, lettera g), della legge costituzionale n. 1 del 2012.

IV. Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1, lettera a), della legge n. 164 del 2016, nella parte in cui, introducendo il nuovo comma 1 dell'art. 12 della legge n. 243 del 2012, demanda alla semplice legge ordinaria la disciplina delle modalita' con le quali le regioni, i comuni, le province, le citta' metropolitane e le province autonome di Trento e di Bolzano concorrono ad assicurare la sostenibilita' del debito del complesso delle amministrazioni pubbliche.

L'art. 4, comma 1, lettera a), della legge n. 164 del 2016 stabilisce quanto segue:

«All'art. 12 della 4 dicembre 2012, n. 243 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 1 e' sostituito dal seguente:

"1. Le regioni, i comuni, le province, le citta' metropolitane e le province autonome di Trento e di Bolzano concorrono ad assicurare la sostenibilita' del debito del complesso delle amministrazioni pubbliche, secondo modalita' definite con legge dello Stato, nel rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge"».

Come e' evidente, la disposizione cosi' introdotta rinvia dunque ad una normale legge ordinaria, sia pure da emanare «nel rispetto dei principi» stabiliti dalla legge n. 243 del 2012 (principi che pero', anche in questo caso, mancano completamente), la disciplina delle modalita' con cui le regioni, i comuni, le province, le citta' metropolitane e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono ad assicurare la sostenibilita' del debito complessivo delle amministrazioni pubbliche.

La norma riportata riguarda anche le Regioni a statuto speciale e dunque anche la Regione Friuli-Venezia Giulia, come e' reso palese dalla menzione delle due Province autonome insieme con le Regioni.

Ad avviso della Regione ricorrente la norma e' costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 5, comma 2, lettera c), della legge costituzionale n. 1 del 2012.

Tale disposizione di rango costituzionale riserva la disciplina delle «modalita' attraverso le quali i comuni, le province, le citta' metropolitane, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla sostenibilita' del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni» alla legge rinforzata approvata ai sensi dell'art. 81, sesto comma, Cost., come modificato dalla stessa legge costituzionale n. l del 2012, e dunque alla legge «approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera».

La norma impugnata, invece, stabilendo che la disciplina delle modalita' con cui i comuni, le province, le citta' metropolitane, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano «concorrono ad assicurare la sostenibilita' del debito del complesso delle amministrazioni pubbliche» sia posta «con legge dello Stato», sposta invece nella competenza del legislatore ordinario esattamente quell'oggetto - descritto con le medesime parole utilizzate dall'art. 5, comma 2, lettera c), della legge costituzionale n. 1 del 2012 - che la norma di rango costituzionale ha voluto coprire da una riserva di legge rinforzata. Ne' tale violazione e' evitata dalla previsione, di mero stile, che la legge ordinaria debba conformarsi ai «principi stabiliti dalla presente legge» e cioe' dettati dalla legge rinforzata, dal momento che la legge n. 243 del 2012, dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 164 del 2016 (e segnatamente dopo le abrogazioni operate dallo stesso art. 4, alle lettere b e c), non contiene alcun principio in ordine al concorso degli enti territoriali alla sostenibilita' del debito pubblico.

Oltre alle ragioni gia' sopra esposte in relazione all'impugnazione dell'art. 3, comma 1, lettera a), nel senso che la disposizione di rango costituzionale violata, prescrivendo una maggioranza qualificata per l'approvazione della legge chiamata a regolare questo oggetto, garantisce anche e in particolare le autonomie territoriali, si osserva che la violazione denunciata ridonda sulla autonomia costituzionalmente garantita alla Regione ricorrente sotto altri profili.

 La norma, riguardando come si e' detto anche la Regione ricorrente, incide infatti sulla autonomia finanziaria dell'ente, garantita dagli articoli 48 e 49 ma anche dalle altre disposizioni del Titolo IV dello statuto speciale, perche' investe le modalita' di concorso alla sostenibilita' del debito pubblico e quindi tocca rilevantissime scelte di bilancio.

E' evidente, ad avviso della Regione, che il compito di comporre i normali principi costituzionali che regolano i rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione speciale Friuli-Venezia Giulia (e dunque in primo luogo il principio pattizio, implicito negli articoli 63 e 65 dello statuto speciale, nonche' nelle norme di attuazione in materia di autonomia finanziaria, e confermato - per la generalita' delle regioni a statuto speciali - dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009: principio che codesta Corte costituzionale ha piu' volte ribadito e valorizzato: v., tra le molte, le sentenze nn. 19 del 2015, 155 del 2015 e 188 del 2016) con la peculiare competenza prevista dalla legge costituzionale n. 1 del 2012 non puo' essere assegnato in alcuna parte alla semplice legge ordinaria, pena la vanificazione di ogni specifica garanzia.

In altri termini, la (limitata) capacita' derogatoria ai generali principi costituzionali sui rapporti finanziari tra Stato e Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e' consentita alla legge rinforzata ex art. 81, sesto comma, Cost. cui fa rinvio la legge costituzionale n. 1 del 2012. Tale legge rinforzata (o, come in questo caso, la legge parimenti rinforzata che parzialmente la novella) non puo' conferire tale capacita' ad una comune legge ordinaria.

Diversamente, risultano violati in primo luogo lo stesso art. 5 della legge costituzionale n. 1 del 2012, nonche', per le ragioni ora esposte, il principio costituzionale dell'accordo e le richiamate norme costituzionali ed ordinarie in cui tale principio e' sancito.

Proprio la connessione tra i due sistemi di garanzia - quella rinforzata e quella negoziata - dimostra il pieno e specifico interesse della Regione ricorrente a far valere il vizio denunciato nel presente motivo di ricorso.

Per prevenire possibili - ma infondate - eccezioni, si osserva che la lesione recata dalla norma impugnata e' gia' attuale, perche' la garanzia costituzionale in parola (e cioe' la riserva di legge rinforzata) e' gia' adesso violata.

Analogamente, del resto, norme legislative che autorizzano poteri regolamentari statali nelle materie regionali sono sempre state ritenute pacificamente impugnabili innanzi a codesta Corte costituzionale anche prima della emanazione dei regolamenti e indipendentemente dall'avvenuto esercizio di quei poteri di normazione secondaria. La lesione, infatti, si consuma gia' nel momento in cui la legge statale pretende di condizionare l'autonoma regionale a vincoli diversi, anche sul piano delle fonti, da quelli costituzionalmente previsti.

Qui la norma impugnata assoggetta la autonomia finanziaria della Regione ad un limite diverso - e meno garantistico - di quello specificamente previsto dalle norme di rango costituzionale e dunque la lesione e' fin da subito pienamente attuale.

Diversamente opinando, le norme lesive della autonomia regionale ma non autoapplicative non sarebbero mai impugnabili in via d'azione e questo contrasterebbe con la natura stessa del giudizio in via principale, che e' diretto a salvaguardare le competenze costituzionale delle Regioni (e, per quanto riguarda i ricorsi statali, il principio di costituzionalita' della legislazione), a prescindere dalla gia' avvenuta applicazione delle norme.

 

P.Q.M.

La Regione Friuli-Venezia Giulia, come sopra rappresentata e difesa, chiede che codesta Corte costituzionale voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b); dell'art. 2, comma 1, lettera a); dell'art. 3, comma 1, lettera a) e dell'art. 4, comma 1, lettera a) della legge 12 agosto 2016, n. 164 «Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 201 del 29 agosto 2016, nelle parti, nei termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso.

 

Padova, 27 ottobre 2016

Prof. avv. Falcon

 

Allegati:

1. Deliberazione della giunta regionale n. 1987 del 21 ottobre 2016.

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