Ricorso n. 72 del 7 ottobre 2014 (Regione Veneto)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale disposta dal
Presidente della Corte costituzionale a norma dell'art. 20 delle
Norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale
depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2014.
(GU n. 47 del 2014-11-12)
Ricorso proposto dalla Regione Veneto (codice fiscale
.. - Partita I.V.A. n. 02392630279), in persona del
Presidente della Giunta Regionale dott. Luca Zaia (codice fiscale
…), autorizzato con deliberazione della Giunta
regionale n. 1706 del 23 settembre 2014 (allegato n. 1),
rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto,
tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avv.ti Ezio Zanon
(codice fiscale …) coordinatore dell'Avvocatura
regionale, e Luigi Manzi (codice fiscale …) del Foro
di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in
Roma, via Confalonieri, n. 5 (per eventuali Comunicazioni: fax
…, posta elettronica certificata
…
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,
per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale, dell'art. 52,
commi 1-ter, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, cosi'
come modificato e integrato dall'art. 4, comma 1, D.L. 31 maggio
2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio
2014, n. 106, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 luglio 2014,
n. 175.
Fatto
Il decreto legge 8 agosto 2013 n. 91, recante «Disposizioni
urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e
delle attivita' culturali e del turismo» ha introdotto nel decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, l'art. 52, comma 1-bis. Questo,
nel testo modificato dalla legge di conversione 7 ottobre 2013, n.
112, (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 8 ottobre 2013, n. 236),
statuiva che «Al fine di contrastare l'esercizio, nelle aree
pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico, artistico
e paesaggistico, di attivita' commerciali e artigianali in forma
ambulante o su posteggio, nonche' di qualsiasi altra attivita' non
compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale, con
particolare riferimento alla necessita' di assicurare il decoro dei
complessi monumentali e degli altri immobili del demanio culturale
interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti, nonche'
delle aree a essi contermini, le Direzioni regionali per i beni
culturali e paesaggistici e le soprintendenze, sentiti gli enti
locali, adottano apposite determinazioni volte a vietare gli usi da
ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di tutela e di
valorizzazione, comprese le forme di uso pubblico non soggette a
concessione di uso individuale, quali le attivita' ambulanti senza
posteggio, nonche', ove se ne riscontri la necessita', l'uso
individuale delle aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio di
concessioni di posteggio o di occupazione di suolo pubblico.»
Tale disposizione e' stata impugnata dalla Regione del Veneto,
giusta DGR n. 2183 del 3 dicembre 2013, in quanto ritenuta violare
gli artt. 3, 97, 117, 118 e 120 della Costituzione della Repubblica
italiana.
Il giudizio avanti la Consulta, iscritto con il numero 101/2013,
e' stato rinviato a nuovo ruolo a seguito delle intervenute modifiche
e integrazioni apportate alla norma impugnata dall'art. 4, comma 1,
D.L. 31 maggio 2014, n. 83.
Tale ultima disposizione e' stata ulteriormente modificata in
sede di conversione dalla legge 29 luglio 2014, n. 106. L'art. 52,
comma 1-ter (cosi' rinumerato), del decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42, nella versione novellata, statuisce ora che: «Al fine di
assicurare il decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili
del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente
rilevanti, nonche' delle aree a essi contermini, i competenti uffici
territoriali del Ministero, d'intesa con i Comuni, adottano apposite
determinazioni volte a vietare gli usi da ritenere non compatibili
con le specifiche esigenze di tutela e di valorizzazione, comprese le
forme di uso pubblico non soggette a concessione di uso individuale,
quali le attivita' ambulanti senza posteggio, nonche', ove se ne
riscontri la necessita', l'uso individuale delle aree pubbliche di
pregio a seguito del rilascio di concessioni di posteggio o di
occupazione di suolo pubblico. In particolare, i competenti uffici
territoriali del Ministero e i Comuni avviano, d'intesa, procedimenti
di riesame, ai sensi dell'articolo 21-quinquies della legge 7 agosto
1990, n. 241, delle autorizzazioni e delle concessioni di suolo
pubblico, anche a rotazione, che risultino non piu' compatibili con
le esigenze di cui al presente comma, anche in deroga a eventuali
disposizioni regionali adottate in base all'articolo 28, commi 12, 13
e 14, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e successive
modificazioni, nonche' in deroga ai criteri per il rilascio e il
rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio
su aree pubbliche e alle disposizioni transitorie stabilite
nell'intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell'articolo
8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, prevista dall'articolo
70, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 recante
attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato
interno. In caso di revoca del titolo, ove non risulti possibile il
trasferimento dell'attivita' commerciale in una collocazione
alternativa potenzialmente equivalente, al titolare e' corrisposto da
parte dell'amministrazione procedente l'indennizzo di cui
all'articolo 21-quinquies, comma 1, terzo periodo, della legge 7
agosto 1990, n. 241, nel limite massimo della media dei ricavi annui
dichiarati negli ultimi cinque anni di attivita', aumentabile del 50
per cento in caso di comprovati investimenti effettuati nello stesso
periodo per adeguarsi alle nuove prescrizioni in materia emanate
dagli enti locali.»
Con la novella la norma gia' oggetto di precedente impugnativa
avanti codesta Corte, oltre a essere stata rinumerata, onde evitare
l'esistenza di due commi 1-bis, ha visto l'abrogazione dell'inciso
iniziale, ove si giustificava la potesta' attribuita ai competenti
uffici territoriali del Ministero, dove si dichiarava che essa
perseguiva il «fine di contrastare l'esercizio, nelle aree pubbliche
aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e
paesaggistico, di attivita' commerciali e artigianali in forma
ambulante o su posteggio, nonche' di qualsiasi altra attivita' non
compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale».
Malgrado le modificazioni la nuova formulazione non ha in alcun
modo eliso l'illegittimita' sostanziale della previsione di legge
dello Stato, che si pone comunque, anche nel testo novellato, in
contrasto con la competenza legislativa regionale in materia di
valorizzazione dei beni culturali, riconosciuta dall'art. 117 comma 3
della Costituzione, nonche' risulta lesiva della potesta' legislativa
esclusiva delle Regioni in materia di turismo e di esercizio del
commercio ex art. 117, comma 4 della Costituzione.
Risultano inoltre ancora lesi la correlata competenza
amministrativa riconosciuta alle Regioni a norma dell'art. 118 Cost.
nonche' il principio di leale collaborazione ex art. 120 Cost.
Nell'alveo di tale disposizione, gia' impugnata nel giudizio R.G.
101/2013, si pone anche comma 1-ter, parte conclusiva, dell'art. 52,
del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, inserito ex novo
dall'art. 4, comma 1, D.L. 31 maggio 2014, n. 83, come convertito,
con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014.
Esso appare infatti in contrasto con gli artt. 3, 97, 117, commi
1, 3 e 4, 118 e 120 della Costituzione della Repubblica italiana.
Prima di illustrare i motivi di illegittimita' costituzionale di
questa ultima versione dell'art. 52, comma 1-ter del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ripercorre puntualmente le
ragioni di illegittimita' costituzionale gia' fatte valere nel
precedente giudizio di legittimita' costituzionale, stante la stretta
correlazione tra il presente giudizio di legittimita' costituzionale
e quello in precedenza sollevato. Sia a ricognizione di quanto svolto
nel precedente ricorso, sia ai fini della eventuale riunione con il
presente.
«Violazione degli articoli 117 commi terzo e quarto e 118 della
Costituzione
La difesa regionale contesta radicalmente le finalita'
apoditticamente enunciate dal legislatore statale nel testo, nel
tentativo, a dire il vero velleitario, di ricondurre le previsioni
dell'articolo impugnato nell'alveo dell'articolo 117 della
Costituzione, quale legittima espressione di una competenza
legislativa esclusiva statale.
Innanzitutto, nell'incipit della disposizione medesima e'
enunciato il proposito di "contrastare l'esercizio (...) delle
attivita' commerciali e artigianali in forma ambulante o su
posteggio, nonche' di qualsiasi altra attivita' non compatibile" allo
scopo dichiarato di "assicurare il decoro dei complessi monumentali e
degli altri immobili del demanio culturale (...) nonche' delle aree a
essi contermini".
Orbene tale finalita', piu' che ad esigenze di tutela del
patrimonio culturale riservata allo Stato dall'art. 117, comma
secondo, lett. s), della Costituzione, pare piuttosto ascrivibile
alla c.d. "valorizzazione dei beni culturali" di cui al comma terzo
della Costituzione, e l'assunto trova, oltretutto, puntuale conferma
proprio nel testo della disposizione in esame che le menziona
espressamente.
In realta', ad avviso dello scrivente patrocinio, per
circoscrivere correlativamente l'ambito materiale di cui si tratta,
enucleandolo in ragione della competenza funzionale esercitabile in
relazione all'amplissima categoria costituita dal patrimonio
culturale, appare utile richiamare la sentenza n. 212 del 2006, nella
quale codesta Ecc.ma Corte ha chiaramente delineato l'elemento
qualificante il profilo sussumibile nel termine "valorizzazione",
argomentando nel contesto dei beni ambientali. Nello specifico, e'
stata individuata la competenza regionale, ai sensi dell'articolo
117, comma terzo della Costituzione in tema di valorizzazione del
patrimonio tartuficolo, quale risorsa ambientale della Regione
suscettibile di razionale sfruttamento.
Conseguentemente, senza alcun diaframma logico od ermeneutico, se
si considera che il precetto costituzionale di cui all'articolo 117,
comma terzo, della Costituzione pone la "valorizzazione dei beni
ambientale in endiadi con la "valorizzazione dei beni culturale,
appare ragionevole supporre che rappresenti un criterio distintivo
certo, ai fini della demarcazione della competenza in materia, la
suscettibilita' del patrimonio culturale ad essere oggetto di un
razionale sfruttamento, anche attuato mediante le attivita'
turistiche, commerciali ed artigianali contigue a tale patrimonio ed
indotte dall'afflusso turistico che in tali aree risulta alquanto
consistente, il che vale a dire che il patrimonio culturale e'
indubitabilmente una risorsa la cui valorizzazione compete alla
Regione.
Sul punto, peraltro, gia' nella sentenza n. 9 del 2004, codesto
Ecc.mo Collegio non aveva mancato di individuare le direttrici
normative della materia de qua anche per quanto attiene le funzioni
amministrative correlate, particolarmente laddove affermava che: "Il
quadro complessivo della disciplina dei beni culturali va ricostruito
sulla base di molteplici dati normativi, eterogenei per il loro
contesto specifico e per il rango della fonte. In particolare,
benche' il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, sia stato
emanato in un momento antecedente la riforma di cui alla legge
costituzionale n. 3 del 2001, questa Corte ha gia' riconosciuto (v.
sentenza n. 94 del 2003) che utili elementi per la distinzione tra
tutela e valorizzazione dei beni culturali possono essere desunti
dagli artt. 148, 149, 150 e 152 di tale decreto.
L'art. 148 stabilisce che ai fini del decreto stesso s'intende
per tutela «ogni attivita' diretta a riconoscere, conservare e
proteggere i beni culturali e ambientali»; per gestione «ogni
attivita' diretta, mediante l'organizzazione di risorse umane e
materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali e
ambientali, concorrendo al perseguimento delle finalita' di tutela e
valorizzazione»; per valorizzazione «ogni attivita' diretta a
migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni
culturali e ambientali e ad incrementarne la fruizione».
L'art. 149, comma 1, prescrive che «ai sensi dell'art 1, comma 3,
lettera d), della legge 15 marzo 1997, n. 59, sono riservate allo
Stato le funzioni e i compiti di tutela dei beni culturali la cui
disciplina generale e' contenuta nella legge 1° giugno 1939, n. 1089,
e nel decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n.
1409, e loro successive modifiche e integrazioni».
L'art. 150 disciplina il trasferimento della gestione di alcuni
beni, secondo il principio di sussidiarieta', alle regioni, alle
province o ai comuni.
L'art. 152 prevede al comma 1 che lo Stato, le regioni e gli enti
locali curino, ciascuno nel proprio ambito, la valorizzazione dei
beni culturali e che, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera c),
della legge n. 59 del 1997, la valorizzazione venga di norma attuata
mediante forme di cooperazione strutturali e funzionali tra Stato,
regioni ed enti locali, secondo quanto previsto dagli articoli 154 e
155 dello stesso decreto legislativo.
Il comma 3 dell'art. 152 stabilisce che le funzioni e i compiti
di valorizzazione comprendono, in particolare, le attivita'
concernenti: «a) il miglioramento della conservazione fisica dei beni
e della loro sicurezza, integrita' e valore; b) il miglioramento
dell'accesso ai beni e la diffusione della loro conoscenza anche
mediante riproduzioni, pubblicazioni ed ogni altro mezzo di
comunicazione; c) la fruizione agevolata dei beni da parte delle
categorie meno favorite; d) l'organizzazione di studi, ricerche ed
iniziative scientifiche anche in collaborazione con universita' ed
istituzioni culturali e di ricerca; e) l'organizzazione di attivita'
didattiche e divulgative anche in collaborazione con istituti di
istruzione; f) l'organizzazione di mostre anche in collaborazione con
altri soggetti pubblici e privati; g) l'organizzazione di eventi
culturali connessi a particolari aspetti dei beni o ad operazioni di
recupero, restauro o ad acquisizione; h) l'organizzazione di
itinerari culturali, individuati mediante la connessione fra beni
culturali e ambientali diversi, anche in collaborazione con gli enti
e organi competenti per il turismo». A sua volta il decreto
legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 (Istituzione del Ministero per i
beni e le attivita' culturali), all'art. 10, comma 1, lettera b-bis)
- disposizione aggiunta con l'art. 33 della legge 28 dicembre 2001,
n. 448, successivamente quindi all'entrata in vigore della legge
costituzionale n. 3 del 2001, e poi modificata dal comma 52 dell'art.
80 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 e dall'art. 6 della legge 16
gennaio 2003, n. 3 - nel prevedere la possibilita' di dare in
concessione a soggetti diversi da quelli statali la gestione di
servizi relativi ai beni culturali di interesse nazionale, tramite,
l'emanazione di un regolamento che disciplini tali concessioni,
indica tra i criteri e le garanzie cui il regolamento dovra'
uniformarsi la salvezza della riserva statale sulla tutela dei beni.
I dati normativi riferiti permettono di affermare quanto segue
La tutela e la valorizzazione dei beni culturali, nelle normative
sono state considerate attivita' strettamente connesse ed a volte, ad
una lettura non approfondita, sovrapponibili. Cosi l'art 148 del
decreto legislativo n. 112 del 1998 annovera, come s'e' visto, tra le
attivita' costituenti tutela quella diretta «a conservare i beni
culturali e ambientali», mentre include tra quelle in cui si
sostanzia la valorizzazione quella diretta a «migliorare le
condizioni di conservazione dei beni culturali e ambientali». La
gestione, poi, nella definizione che ne da' il medesimo articolo, e'
funzionale sia alla tutela sia alla valorizzazione. Il menzionato
art. 152 dello stesso decreto legislativo considera la valorizzazione
come compito che Stato, regioni ed enti locali avrebbero dovuto
curare ciascuno nel proprio ambito. Tuttavia le espressioni che,
isolatamente considerate, non denotano nette differenze tra tutela e
valorizzazione, riportate nei loro contesti normativi dimostrano che
la prima e' diretta principalmente ad impedire che il bene possa
degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto
culturale; ed e' significativo che la prima attivita' in cui si
sostanzia la tutela e' quella del riconoscere il bene culturale come
tale. La valorizzazione e' diretta soprattutto alla fruizione del
bene culturale. Sicche' anche il miglioramento dello stato di
conservazione attiene a quest'ultima nei luoghi in cui avviene la
fruizione ed ai modi di questa.
Occorre infine rilevare che in nessun atto normativo precedente
la modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione, la tutela
dei beni culturali viene attribuita a soggetti diversi dallo Stato;
successivamente a questa, anzi, il citato comma 1, lettera b-bis),
dell'art. 10 del decreto legislativo n. 368 del 1998, nel prevedere
le concessioni per la gestione dei servizi relativi ai beni culturali
di interesse nazionale, stabilisce, come s'e' detto, che deve restare
ferma la riserva statale sulla tutela dei beni.
Alla luce delle suesposte considerazioni la riserva di competenza
statale sulla tutela dei beni culturali e' legata anche alla
peculiarita' del patrimonio storico-artistico italiano, formato in
grandissima parte da opere nate nel corso di oltre venticinque secoli
nel territorio italiano e che delle vicende storiche del nostro Paese
sono espressione e testimonianza. Essi vanno considerati nel loro
complesso come un tutt'uno, anche a prescindere dal valore del
singolo bene isolatamente considerato.
Nel modificare il quadro costituzionale delle competenze di Stato
e Regioni per la parte che qui interessa, il legislatore costituente
ha tenuto conto sia delle caratteristiche del patrimonio
storico-artistico italiano, sia della normativa esistente,
attribuendo allo Stato la potesta' legislativa esclusiva e la
conseguente potesta' regolamentare in materia di tutela dei beni
culturali e ambientali (art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.) ed
alla legislazione concorrente di Stato e Regioni la valorizzazione
dei beni culturali e ambientali (art. 117, terzo comma, Cost.). Se ne
deduce che la valorizzazione e' diretta soprattutto alla fruizione
del bene culturale; sicche' anche il miglioramento dello stato di
conservazione attiene a quest'ultima nei luoghi in cui avviene la
fruizione e con riferimento ai modi di questa. Conseguentemente, i
divieti o i limiti imponibili, come previsti nella norma
interloquita, laddove finalizzati alla maggior fruizione dei beni
monumentali o degli altri immobili interessati da flussi turistici,
e' ascrivibile ineludibilmente alla materia «valorizzazione dei beni
culturali».
L'esaustiva ricostruzione rinvenibile nell'articolata disamina
che precede, come parzialmente riportata, evidenzia
inequivocabilmente come il fulcro della questione consista non tanto
nell'apposizione di vincoli all'esercizio di determinate attivita',
quanto piuttosto nell'individuazione dei soggetti istituzionali
competenti, sinora normativamente indicati secondo una metodologia
ondivaga, oscillante nel tempo tra Stato ed enti locali, senza tenere
in debita considerazione la molteplicita' delle diverse potesta'
correlate alla cura degli interessi pubblici, nei differenti ambiti
del commercio e della cultura, in una logica di necessario
contemperamento delle posizioni eventualmente contrapposte.
I limiti apponibili all'esercizio del commercio, infatti, sono
plurimi e attualmente contemplati all'articolo 3 del D.L. n. 138 del
2011, gia' sopra evocato, il cui comma I viene riportato di seguito.
I. Comuni, Province, Regioni e Stato, entro il 30 settembre 2012,
adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui
l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e'
permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge nei
soli casi di:
a) vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali;
b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione;
c) danno alla sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana e
contrasto con l'utilita' sociale;
d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute
umana, la conservazione delle specie animali e vegetali,
dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale;
e) disposizioni relative alle attivita' di raccolta di giochi
pubblici ovvero che comunque comportano effetti sulla finanza
pubblica."
Appare pleonastico sottolineare come la predetta norma si
configuri, principalmente, quale limite alla liberta' di iniziativa
economica sancita all'articolo 41 della Costituzione e, come tale, e'
correttamente correlata alla salvaguardia di beni integranti
altrettanti valori della Costituzione perche' ritenuti di preminente
rilevanza, quali la sicurezza, la salute, l'ambiente e la finanza
pubblica.
E, in proposito, in forza dell'elementare principio di
sussidiarieta' applicato in subiecta materia, e' quella comunale
l'amministrazione deputata a presidiare, mediante l'esercizio di
un'adeguata potesta' regolamentare, il rispetto delle norme stabilite
dai soggetti titolari della potesta' legislativa, e necessariamente
emanate in conformita' ai precetti costituzionali. A tale
posizionamento istituzionale devono essere ricondotti i poteri
enunciati nell'articolo 54 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.
267, che il Sindaco esercita in qualita' di ufficiale del Governo e
che sono connotati da un'ampiezza tale da non subire compromissioni o
contenimenti neppure in ossequio ai noti, prevalenti e talvolta
prevaricanti principi di liberta' di iniziativa economica, tutela
della concorrenza e del mercato e liberalizzazione commerciale.
E l'indiscutibile estensione delle anzidette potesta' sindacali
trova un'ulteriore, recentissima conferma proprio nella circolare
esplicativa n. 3644/C del 28 ottobre 2011, con la quale,
successivamente all'abrogazione dei limiti di orario e degli obblighi
di chiusura degli esercizi commerciali, avuto specifico riguardo
all'attivita' di somministrazione di alimenti e bevande, il Ministero
dello Sviluppo Economico ha espressamente riconosciuto la
legittimita' di "eventuali specifici atti provvedimentali,
adeguatamente motivati e finalizzati a limitare le aperture notturne
o a stabilire orari di chiusura correlati alla tipologia e alle
modalita' di esercizio dell'attivita' di somministrazione di alimenti
e bevande per motivi di pubblica sicurezza o per specifiche esigenze
di tutela" (...) "potendosi legittimamente sostenere che trattasi di
"vincoli" necessari ad evitare "danno alla sicurezza" (...) "
indispensabili per la protezione della salute umana (...)
dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale".
In ogni caso, alla potesta' amministrativa comunale senza dubbio
tuttora sussistente, non soltanto nelle linee generali ed amplissime
sopra cennate, ma anche a termini dello stesso comma 1 dell'articolo
52 del decreto legislativo n. 42/2004, si aggiunge una potesta'
legislativa regionale ai sensi del decreto legislativo n. 114 del
1998 che individua le Regioni quali soggetti istituzionali titolari
del potere normativo in materia di commercio, con previsione,
peraltro, convalidata dalla successiva giurisprudenza di codesta
Ecc.ma Corte, che ha espressamente ricondotto l'ambito settoriale in
argomento nel quarto comma dell'articolo 117 della Costituzione. Ed
in punto, la Regione ha esercitato tale potere inserendo il comma
4-bis nell'articolo 4 della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10
"Nuove norme in materia di commercio su aree pubbliche", introdotto
dall'articolo 16 della legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7. La
disposizione, ancora in vigore ed oggetto di applicazione, prevede
espressamente il divieto di esercitare il commercio su aree pubbliche
in forma itinerante nei centri storici dei comuni con popolazione
superiore ai cinquantamila abitanti. La norma e' stata censurata con
giudizio promosso in via incidentale dal TAR Veneto che ha sollevato
la questione di legittimita' costituzionale perche' discriminatoria
nei confronti di una vasta platea di piccoli imprenditori.
(...) La sentenza n. 247 del 2010, conclusiva del giudizio de
quo, appare significativa per l'odierna controversia poiche', per un
verso, ribadisce la competenza regionale nella materia commercio "Per
non limitarsi alla, pur inequivoca, intitolazione («Nuove norme in
materia di' commercio su aree pubbliche»), appare indubbio che le
disposizioni della legge in esame - avendo quale oggetto specifico la
normativa regionale del commercio su aree pubbliche - siano
riconducibili immediatamente alla materia «commercio», di competenza
residuale delle regioni (sentenze n. 165 e n. 64 del 2007)"; e, per
altro verso, ha riscontrato la coerenza della norma regionale
rispetto alla ratio, "essendo del tutto naturale che, nell'ambito di
una generale regolamentazione della specifica attivita' del commercio
in forma itinerante, vada ricompresa anche la possibilita' di
disciplinarne nel concreto lo svolgimento, nonche' quella di vietarne
l'esercizio in ragione della particolare situazione di talune aree
metropolitane (centri storici dei Comuni con popolazione superiore a
cinquantamila abitanti, di modo che l'esercizio del commercio stesso
avvenga entro i limiti qualificati invalicabili della tutela dei beni
ambientali e culturali. Infatti, la ratio del divieto trova altresi'
giustificazione nello scopo di garantire indirettamente attraverso
norme che ne salvaguardino la ordinata fruizione la valorizzazione
dei maggiori centri storici delle citta' d'arte del Veneto a forte
vocazione turistica".
La correttezza dell'operato del legislatore regionale e' stata
valutata in ragione dalla determinatezza e puntualita'
dell'intervento che, in quanto circoscritto a specifiche condizioni,
e' risultato essere proporzionale e ragionevole rispetto
all'obiettivo perseguito. Nella pronuncia, infatti, si legge che "La
norma censurata, pertanto, non produce alcuna lesione di regole a
tutela della concorrenza, giacche' il divieto sancito dalla Regione
Veneto non incide, ne' direttamente ne' in direttamente, sulla
liberta' di concorrenza; esso si colloca infatti - senza introdurre
discriminazioni fra differenti categorie di operatori economici che
esercitano l'attivita' in posizione identica o analoga nel diverso
solco della semplice regolamentazione territoriale del commercio
(disciplinala in coerenza con la salvaguardia dei beni culturali
caratterizzanti la specifica realta' del territorio regionale) ed
appare razionalmente giustificato dalle concrete e localizzabili
esigenze di tutela di altri interessi di rango costituzionale.
Come gia' detto, la disposizione censurata assicura un
contemperamento ragionevole fra la liberta' dell'esercizio del
commercio su aree pubbliche in forma itinerante (la cui
autorizzazione, peraltro, abilita all'esercizio della relativa
attivita' in tutto il territorio nazionale: art. 4, comma 2, della
legge regionale n. 10 del 2001) e l'introduzione di limitate
eccezioni, oggettivamente motivate dall'esigenza di non superare i
limiti posti a tutela dei centri storici delle grandi citta' d'arte
della Regione.
Ma tutto quanto prima esposto alimenta il dubbio che la
disposizione regionale vigente e quella odiernamente censurata dalla
regione Veneto siano suscettibili di sovrapposizioni quantomeno
potenziali e possano generare perplessita' ermeneutiche circa
l'individuazione della normativa concretamente applicabile perche'
prevalente ed assorbente entrambi i profili disciplinatori afferenti
tanto il commercio quanto la cultura, senza conflitti di competenze.
In tal senso, la norma regionale menzionata si configura come
correttamente delimitata tanto territorialmente, essendo riferita ai
centri storici dei comuni con popolazione superiore a "cinquantamila
abitanti" , quanto oggettivamente, poiche' concerne appunto il
"commercio su aree pubbliche in forma itinerante". Anche sotto tale
profilo la disposizione statale appare incidente con la disciplina
regionale, proprio perche', a differenza della norma regionale
veneta, contempla indistintamente tutte le aree pubbliche di
particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico,
senza alcun criterio discretivo, ulteriore rispetto alla presenza di
complessi monumentali o di altri immobili del demanio culturale
interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti.
Per effetto della novella statale oggetto del presente giudizio,
quindi, la portata precettiva delle disposizioni regionali, che
avessero trovato puntuale attuazione nelle conseguenti e
consequenziali determinazioni comunali, potrebbe subire
un'inammissibile compromissione a seguito di un atto provvedimentale
emanato dal Sovrintendente nell'esercizio di potesta' amministrative
connotate da un'estensione tale da travolgere qualsiasi competenza
costituzionalmente garantita, sino a rasentare l'arbitrio. Cio' che
sconcerta sono appunto le modalita' indiscriminate, e destrutturanti
il contesto ordinamentale, con le quali l'intervento de quo e' stato
legislativamente concepito, non certo le esigenze di valorizzazione e
migliore fruibilita' del patrimonio culturale allo stesso sottese. E'
per riaffermare tali esigenze, salvaguardando tuttavia gli assetti
disciplinatori regionali gia' vigenti ed efficacemente operanti, che
la difesa regionale ha promosso in via principale la presente
questione di legittimita' costituzionale, sollecitando la pronuncia
di codesta Ecc.ma Corte affinche' chiarisca la reale portata
legislativa della disposizione impugnata ed eventualmente la espunga
dal quadro normativo di riferimento perche' con esso incompatibile,
restituendo certezza giuridica agli operatori economici del settore e
ricomponendo in termini di coerenza quello che attualmente e' un
insieme frammentario e non coordinato di una pluralita' di competenze
soggettivamente ed oggettivamente simultaneamente interferenti.
Tale esigenza chiarificatrice pare corroborata anche dall'inciso
contenuto nella disposizione statale che, specificando ulteriormente
l'area suscettibile di valorizzazione in termini di presenza di
"immobili interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti",
attrae nell'alveo materiale delle norme anche la disciplina del
turismo, che e' esso pure ambito soggetto alla potesta' legislativa
residuale regionale.
Se dunque, sia la potesta' normativa in tema di commercio, che
quella in materia di turismo sono di attribuzione regionale; se,
parimenti regionale e' la competenza legislativa, seppure
concorrente, in ordine agli interventi destinati alla valorizzazione
del patrimonio culturale, nei cui confronti si configurano come
insussistenti tanto una potesta' trasversale statale ricondotta alla
tutela della concorrenza di cui alla lettera c) dei comma secondo
dell'articolo 117 della Costituzione, quanto la stessa potesta'
esclusiva afferente la tutela del predetto patrimonio di cui all'art.
117, comma secondo, lettera s) della vigente Costituzione,
trattandosi di limiti e divieti all'esercizio di attivita'
piccolo-imprenditoriale, risulta incomprensibile e sistematicamente
inaccettabile il disallineamento afferente l'esercizio delle potesta'
amministrative che la disposizione impugnata determina.
Sul punto, e' certamente indiscutibile che possa ed anzi debba
essere esercitata la potesta' amministrativa comunale anche in
riferimento alla vastissima categoria dei beni qualificabili come
culturali che, come precisato nell'articolo 10 del decreto
legislativo n. 42/2004, include i beni immobili e mobili che
presentano interesse artistico, storico, archeologico o
etnoantropologico, ivi comprese le pubbliche piazze, vie, strade e
altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico. Ma gli
anzidetti poteri comunali presentano altresi' profili di presidio e
preservazione, laddove, ad esempio, devono garantire l'osservanza di
norme particolarmente rigorose, quali l'art. 20 del medesimo decreto,
che sanziona autonomamente, qualificandoli di peculiare gravita', gli
alti di distruzione, deterioramento o danneggiamento di beni
culturali, i quali, peraltro, sono normativamente sottratti anche ad
usi non compatibili (...).
Indubbiamente, sino all'intervento legislativo in esame, tutte le
cennate potesta' amministrative sono state esercitate nel rigoroso
rispetto del potere consultivo di cui sono tributari gli organi
statali, che, ora, invece, per effetto della novella, diventano i
protagonisti dell'amministrazione attiva, secondo un modello di
rovesciamento prospettico che emargina le amministrazioni comunali ad
un molo meramente valutativo, e neppure vincolante, con riverberi
decisivi sulla restante e rilevantissima attivita' di governo del
territorio, sia pianificatoria che organizzativa. La potesta'
legislativa regionale rimane paralizzata a causa
dell'indeterminatezza dei parametri di riferimento e della concreta
impossibilita' di statuire norme destinate a disciplinare ambiti nei
quali la potesta' esercitata e' di rango statale.
Nella gia' citata decisione n. 247 del 2010, codesto Ecc.mo
Collegio ha appunto riconosciuto la competenza comunale in materia in
relazione al disposto dell'articolo 52, comma 1, del decreto
legislativo n. 42/2004, nel testo all'epoca vigente, affermando che:
D'altronde, di tale esigenza si e' fatto carico anche il legislatore
statale con il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei
beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge
6 luglio 2002, n. 137), che - rendendo esplicito che le pubbliche
piazze, le vie, le strade e gli altri spazi urbani di interesse
artistico o storico rientrano fra i beni culturali, e che essi sono
pertanto oggetto di tutela ai fini della conservazione del patrimonio
artistico e del decoro urbano (art. 10, comma 4, lettera g) - ha
ribadito, in conformita' di quanto gia' stabilito dall'art. 28, comma
16, del decreto legislativo n. 114 del 1998, che i Comuni
«individuano le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico,
artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a
condizioni particolari l'esercizio del commercio» (art. 52).
Non possono, quindi, condividersi, perche' oltretutto immotivate,
le ragioni fondanti la trasmigrazione della competenza amministrativa
attiva dagli enti locali allo Stato, in assenza di qualsiasi
coordinamento istituzionale con la potesta' amministrativa comunale,
che a tutti gli effetti rimane, ed incidendo surrettiziamente sulle
attribuzioni legislative regionali, utilizzando a pretesto un ambito,
quale quello della "valorizzazione dei beni culturali",
particolarmente duttile per la complessita' dei profili che involge.
E cio', sebbene proprio l'articolo 1, comma 3 del decreto legislativo
n. 42/2004 assegni espressamente alle Regioni un ruolo determinante
appunto per la valorizzazione dei beni culturali come gia'
abbondantemente evidenziato.
Ecco perche' anche a voler ammettere una diversa valutazione
degli interessi pubblici correlati ai contesti attratti dal
legislatore statale nella regolamentazione in argomento, comunque
l'intervento normativo in esame appare contrario al terzo comma
all'articolo 117 della Costituzione, ove e' allocata la
valorizzazione dei beni culturali, atteso che, trattandosi di ambito
soggetto a potesta' legislativa concorrente, esso avrebbe dovuto
essere contenuto nei margini che gli sono propri e cioe' nei limiti
dell'enucleazione dei principi fondamentali.
Invece, la disposizione interloquita ha attribuito ad un organo
statale un potere coercitivo generale ed indeterminato, del tutto
analogo a quello previsto nel previgente testo unico m materia di
beni culturali di cui al decreto legislativo n. 490/1999, senza porre
la minima attenzione al riparto di competenze di estrazione
costituzionale attualmente esistente.
Infine, ad avviso dello scrivente patrocinio, e' giuridicamente
preoccupante la previsione, pure contenuta nell'articolo 4bis della
legge n. 112/2013, che, in riferimento alle aree individuabili per
l'applicazione dei provvedimenti statali regolatori o inibitori, non
si limita alle locuzioni utilizzate, che gia' risultano singolarmente
indeterminate e non identificabili, come sopra eccepito, ma include,
altresi', le "aree a essi contermini", laddove "essa puo' indicare
anche i complessi monumentali o semplicemente i beni immobili.
Correlativamente, non meno criptica si configura la possibilita' di
estendere l'oggetto dell'intervento amministrativo statale sino a
ricomprendere "qualsiasi altra attivita' non compatibile", in spregio
dell'art. 97 della Costituzione.
E sicuramente, si ribadisce, tale indeterminatezza non puo' non
riflettersi negativamente anche sulla potesta' amministrativa
regionale di cui all'articolo 118 della Costituzione, laddove
quest'ultima sia finalizzata alla pianificazione e programmazione
delle attivita' sia commerciali, che artigianali, che turistiche,
rilevata l'assenza di qualsiasi parametro di valutazione, nonche' di
qualsivoglia meccanismo di raccordo istituzionale, che consenta il
legittimo esercizio delle predette attribuzioni secondo i noti
criteri di economicita', efficacia ed efficienza, senza spreco di
risorse, perseguendo quegli obiettivi di valorizzazione del
patrimonio culturale che non possono essere disgiunti da metodi di
ottimizzazione e finalita' di sviluppo. Si rammenta, infatti, che la
consultazione obbligatoria, ma non vincolante, e' prevista
esclusivamente con le amministrazioni comunali.
Violazione dell'articolo 120 della costituzione
I dubbi ermeneutici e l'incertezza delle plurime fonti normative
che si sono progressivamente sovrapposte hanno, tra l'altro, generato
notevoli cesure tra i vari livelli di governo che risultano tuttora
alieni dal pieno e soddisfacente utilizzo degli strumenti di
concertazione strutturati per essere destinati nelle sedi deputate al
necessario confronto ed alla collaborazione interistituzionale.
Ed invero, come e' noto, al comma 6 dell'articolo 8 della legge 5
giugno 2003, n. 131 «Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento
della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3», e'
espressamente previsto che il Governo possa promuovere intese in sede
di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a
favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il
raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi
comuni. Va adeguatamente considerato che esempi attuativi di tale
disposto normativo si ravvisano anche in settori, quale quello del
turismo, di competenza esclusiva regionale. In tale contesto,
infatti, le forme di leale collaborazione tra Stato e Regioni si sono
sviluppate sino a divenire lo strumento privilegiato di coordinamento
delle diverse legislazioni regionali e di definizione di standard
comuni in tutto il territorio
In particolare, il DPCM 21 ottobre 2008, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 34 dell'11 febbraio 2009, e' stato emanato in
attuazione dell'articolo 2, comma 193, lettera a) della legge 24
dicembre 2007, n. 244 che prevedeva, appunto, l'adozione di un
decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei
Ministri per definire "le tipologie dei servizi forniti dalle imprese
turistiche rispetto a cui vi e' necessita' di individuare
caratteristiche similari e omogenee su tutto il territorio nazionale
tenuto conto delle specifiche esigenze connesse alle capacita'
ricettiva e di fruizione dei contesti territoriali", d'intesa con la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e Bolzano.
In termini piu' generali, la necessita' di una convergenza in
questo particolare ambito di legislazione, nel quale i settori del
commercio e del turismo si intrecciano con quello afferente la
valorizzazione dei beni culturali, appare di indiscutibile pregnanza,
attesa la ragionevolezza ed assoluta condivisibilita' di interventi
regolatori dell'attivita' imprenditoriale per contemperare le
esigenze di salvaguardia del diritto di impresa con quelle afferenti
altri valori costituzionalmente garantiti. D'altro canto, la
necessita' di avviare il confronto interistituzionale e'
espressamente indicata anche nelle stesse premesse della
ripetutamente evocata direttiva del Ministero datata 10 ottobre 2012
laddove, oltre a ribadire che "lo svolgimento di attivita' non
compatibili puo' impedire di assicurare livelli di valori nazione
qualitativamente adeguati allo straordinario valore dei beni
interessi, con effetti pregiudizievoli anche sullo sviluppo e la
promozione del turismo culturale", si precisa, nel contempo, che "il
conseguimento degli obiettivi e il soddisfacimento delle esigenze,
sopra indicati, di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale
richiede la piena e leale collaborazione tra le diverse Istituzioni
pubbliche a vario titolo competenti, nell'esercizio dei rispettivi
poteri e attribuzioni. "Ma, in realta', l'intero testo della predetta
direttiva e' costellato da riferimenti al principio di leale
collaborazione, e cosi', al punto 3.1 della medesima si legge che
"gli uffici del Ministero collaboreranno con le Amministrazioni
locali"; ancora "L'esercizio congiunto dei poteri in questione potra'
essere opportunamente racchiuso nella forma dell'accordo tra
pubbliche amministrazioni volto a disciplinare lo svolgimento in
collaborazione di attivita' di interesse comune ai sensi
dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241", ed infine al
punto 3.2.3, con riferimento all'individuazione dei soggetti titolari
di diritti di uso individuale, e' imposta agli uffici governativi la
collaborazione con i competenti enti territoriali.
Al riguardo, si sottolinea come l'articolo 5 del decreto
legislativo n. 42/2004 abbia cristallizzato in norma il principio di
leale collaborazione di cui all'articolo 120 della Costituzione
proprio in riferimento all'esercizio delle funzioni amministrative in
materia di beni culturali, utilizzando il termine atecnico di
"cooperazione ". E tale norma si aggiunge ad altre disposizioni del
medesimo decreto legislativo, che declinano una multiforme varieta'
di modelli di intesa e coordinamento tra lo Stato e le Regioni
stabilite per l'esercizio delle rispettive competenze amministrative.
In dettaglio, l'articolo 17, comma 1, del decreto in argomento,
in relazione alle funzioni amministrative di catalogazione,
stabilisce che "il Ministero, con il concorso delle regioni e degli
altri enti pubblici territoriali, assicura la catalogazione dei beni
culturali e coordina le relative attivita' "; ed ancora, il
successivo articolo 18, al comma 2, in riferimento alle funzioni di
vigilanza sulle cose su cui sussiste un interesse culturale, prevede
che "Sulle cose di cui all'articolo 12, comma 1, che appartengano
alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, il Ministero
provvede alla vigilanza anche mediante forme di intesa e di
coordinamento con le regioni medesime.
Ne' pare potersi obiettare, a contrariis, che, vertendosi in tema
di potesta' legislativa concorrente, lo Stato, nella complessa
disposizione odiernamente interloquita, avrebbe dettato semplicemente
i principi fondamentali, per i quali non puo' essere invocato il
rispetto del principio di leale collaborazione. E' di tutta evidenza,
invece, come, in realta', nella fattispecie in esame lo Stato abbia
travalicato il proprio ambito di intervento astrattamente
ammissibile, dettagliando le statuizioni ed attribuendo agli organi
statali un potere prescrittivo ed operativo che diverge notevolmente
dalla semplice indicazione dei principi fondamentali (cfr, la
sentenza n. 222 del 2008).
Infine, non si puo' non rinviare al terzo comma dell'art. 118
della Costituzione, ove si impone alla legge statale la disciplina di
forme di intesa e di coordinamento tra Stato e Regioni proprio nella
materia della tutela dei beni culturali. Con cio' si intende, salvo
il contrario avviso di codesto Ecc.mo Collegio, che qualora si reputi
riconducibile la disposizione censurata all'ambito di competenza
esclusiva statale di cui all'articolo 117, comma secondo, lettera s)
della Costituzione, si impone una pronuncia interpretativa che
armonizzi gli assunti, ripetutamente espressi da codesta Ecc.ma
Corte, che escludono il principio di leale collaborazione nelle
materie di competenza esclusiva statale o concorrente, limitatamente
all'individuazione dei principi fondamentali, ed il precetto di rango
costituzionale evocato che riafferma la necessita' di coordinare
l'esercizio delle potesta' amministrative in tale materia mediante
forme di intesa e coordinamento. E quanto prospettato tiene conto
dell'orientamento ermeneutico secondo il quale la certezza,
dell'ascrivibilita' di una disposizione impugnata in un ambito
materiale riservato alla potesta' legislativa statale, preclude
l'obbligo di istituire meccanismi concertativi tra Stato e Regione,
atteso che gli stessi debbono, in linea di principio, essere
necessariamente previsti solo quando vi sia una concorrenza di
competenze nazionali e regionali, per la quale non possa ravvisarsi
la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri (v.
le sentenze n. 234 del 2012, n. 88 del 2009 e n. 219 del 2005). Al
riguardo, per le considerazioni proposte relativamente alla
disposizione impugnata, proprio perche' non e' sicura la prevalenza
di un complesso normativo rispetto ad altri, mentre e' sicuramente
identificabile solo l'intreccio di una pluralita' di competenze, si
configura come indefettibile un adeguato e fruttuoso confronto tra i
vari livelli di governo."
Su tale base ricostruttiva si puo' ora prospettare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 52, commi 1-ter, del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, cosi' come modificato e
integrato dall'art. 4, comma 1, D.L. 31 maggio 2014, n. 83,
convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, per i
seguenti
Motivi
Violazione degli artt. 117, commi 3 e 4 e 120 della Costituzione
della Repubblica Italiana
L'art. 4, comma 1, D.L. 31 maggio 2014, n. 83, come convertito,
con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, ha integrato il
rinumerato comma 1-ter, dell'art. 52, del decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42, attribuendo ai competenti uffici territoriali
del Ministero, d'intesa con i Comuni, una potesta' revocatoria delle
autorizzazioni e delle concessioni di suolo pubblico ai fini
dell'esercizio di attivita' commerciali e artigianali.
Si tratta di un potere di autotutela decisoria di natura
straordinaria, in quanto non si limita a consentire all'autorita'
amministrativa procedente una rivalutazione dell'interesse pubblico
sotteso al provvedimento sottoposto a riesame ovvero una
riconsiderazione del merito dello stesso alla luce di sopravvenute
ragioni di interesse pubblico o di mutamento delle situazioni di
fatto, ma invece consente di procedere alla revoca delle
autorizzazioni e delle concessioni di suolo pubblico, anche in deroga
al quadro normativo di riferimento. In particolare in deroga alla
disciplina dettata dalle Regioni in materia di commercio a norma
dell'articolo 28, commi 12, 13 e 14, del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 114. Peraltro avente ora fondamento costituzionale per
effetto dell'art. 117, comma 4, della Carta costituzionale che
attribuisce alle Regioni una competenza legislativa residuale ed
esclusiva in tale materia.
Ma anche in deroga ai criteri per il rilascio e il rinnovo della
concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio su aree
pubbliche e alle disposizioni transitorie stabilite nell'intesa in
sede di Conferenza unificata, ai sensi dell'articolo 8, comma 6,
della legge 5 giugno 2003, n. 131, prevista dall'articolo 70, comma
5, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 recante attuazione
della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno.
Tale potesta' autoritativa si pone nell'alveo della disposizione
contenuta nel primo periodo del comma 1-ter non solo per ragioni di
"geografia" normativa, ma perche' presenta le medesime finalita'
teleologiche come espressamente confermato dal legislatore che
richiama "le esigenze di cui al presente comma".
Ne consegue che le ragioni di incostituzionalita' gia' fatte
valere nel giudizio promosso avanti codesta Corte e rubricato al
numero di ruolo 101/2013 e sopra riportate si riverberano di
necessita' anche sulla disposizione qui oggetto di impugnazione e ne
determinano l'illegittimita'.
Nello specifico anche la disposizione di legge da ultimo aggiunta
si pone in un ambito materiale connotato da sovrapposizione e
intersezioni di varie materie. La tutela e valorizzazione dei beni
culturali, il commercio e il turismo. A tal riguardo "la
giurisprudenza costituzionale ha precisato che, qualora una normativa
interferisca con piu' materie, attribuite dalla Costituzione, da un
lato, alla potesta' legislativa statale e, dall'altro, a quella
concorrente o residuale delle Regioni, occorre individuare l'ambito
materiale che possa considerarsi, nei singoli casi, prevalente" (ex
plurimis, sentenze n. 118 del 2013, n. 334 del 2010, n. 237 del 2009
e n. 50 del 2005).
Al fine di individuare tale prevalenza nel caso di specie il dato
letterale della norma non risulta dirimente in quanto fa riferimento
al contempo sia alle esigenze di tutela dei beni culturali sia a
quelle di valorizzazione degli stessi. Occorre, invece, guardare al
contenuto sostanziale delle attivita' interessate dalla potesta'
provvedimentale attribuita alle autorita' statali dalla norma
impugnata, che si riferisce ad attivita' di natura commerciale e/o
artigianale che richiedano il previo rilascio di un autorizzazione o
concessione di suolo pubblico. Ora, la regolamentazione di esse in
correlazione ai beni culturali, non sembra ricadere nell'ambito della
nozione di tutela dei beni culturali cosi' come essa e' stata
ricostruita dalla Corte costituzionale anche alla luce del dettato
normativo di cui all'art 3 del Codice dei beni culturali e del
paesaggio. La tutela, infatti, va riferita alla individuazione dei
beni culturali e alla cura conservativa degli stessi, ossia, pur in
una visione non meramente statica della stessa, si puo' far rientrare
nel suo ambito sostanziale solo una disciplina che sia diretta alla
salvaguardia della culturalita' del bene, anche regolando i diritti e
comportamenti inerenti al patrimonio culturale. Ma pur sempre per
soddisfare esigenze di protezione e difesa.
Al contrario, la valorizzazione dei beni culturali e' diretta ad
"assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione
pubblica del patrimonio culturale". Ora la regolamentazione
dell'esercizio di attivita' commerciali nell'ambito dei complessi
monumentali e degli altri immobili del demanio culturale sembra
diretta in modo prevalente a contemperare le esigenze del commercio
con la necessita' di assicurare le migliori condizioni di
utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio culturale.
Ragion per cui appare evidente che nel caso di specie si cade, in
modo preponderante, nell'ambito della materia di legislazione
concorrente della valorizzazione dei beni culturali.
Una conferma di cio' si puo' rinvenire nella stessa lettera della
legge che non a caso fa riferimento unicamente alle esigenze di
decoro, che ricadono in quella che e' definita dal Codice dei beni
culturali una forma di tutela indiretta. Ossia la materia tutela dei
beni culturali, in tale ambito disciplinare caratterizzato da
sovrapposizioni e intersecazioni di competenze, assume un rilievo
solo mediato e indiretto, dovendosi invece riconoscere una prevalenza
alla materia della valorizzazione dei beni culturali.
Ne', a negare tale conclusione, vi e' la necessita' che la
valorizzazione debba essere attuata in forme compatibili con la
tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze. In quanto il
carattere servente della valorizzazione non puo' implicare un
indiscriminato assorbimento della stessa nell'ambito della tutela,
fenomeno esegetico che determinerebbe una abrogazione implicita del
dettato costituzionale nella parte in cui ha invece espressamente
previsto una distinzione tra i due ambiti materiali.
Sulla base di tali conclusioni si deve ritenere che il
legislatore statale, avendo legiferato in una materia di legislazione
concorrente, avrebbe dovuto rispettare i limiti all'uopo previsti
dalla Costituzione, ossia si sarebbe dovuto limitare a dettare una
normativa di principio, lasciando adeguato margine di disciplina alla
normativa di dettaglio di competenza regionale. Avrebbe, cioe',
dovuto limitarsi a prescrivere "criteri e obiettivi" lasciando alle
Regioni "l'individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per
raggiungere quegli obiettivi" (sentenza n. 181 del 2006).
Cio' non e' avvenuto, avendo invece il legislatore statale
previsto una puntuale disciplina o, rectius, avendo attribuito a
organi dello Stato dei poteri regolatori in materia (primo periodo
del comma 1-ter) e dei poteri provvedimentali (secondo periodo del
medesimo comma) cosi' esautorando la competenza regionale. Peraltro
non solo regolamentando in materia di valorizzazione dei beni
culturali, ma anche con riferimento alle materie del commercio e del
turismo, incise da tale disciplina e rientranti nella competenza
residuale ed esclusiva delle regioni. Come confermato, inoltre, dalla
espressa previsione contenuta nel periodo aggiunto al comma 1-ter,
della possibilita' per gli organi statali di derogare, in sede di
riesame, la disciplina regionale in materia di commercio e la
disciplina concordata in sede di Conferenza unificata nella detta
materia.
Peraltro, anche qualora, e non pare ipotizzabile, si dovesse
concludere che la concorrenza e sovrapposizione di competenze
legislative in materia non possa essere risolta identificando un
ambito materiale prevalente, nondimeno secondo la costante
giurisprudenza di codesta Corte "la suddetta concorrenza di
competenze, in assenza di criteri previsti in Costituzione,
giustifica l'applicazione del principio di leale collaborazione"
(sentenza n. 50 del 2008), il quale deve permeare i rapporti tra lo
Stato e il sistema delle autonomie. Per cui le norme statali
impugnate non prevedendo alcuna forma di coordinamento, neppure sotto
forma di intesa in sede di conferenze intergovernative, comunque
dovrebbero ritenersi costituzionalmente illegittime in quanto lesive
del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della
Costituzione della Repubblica italiana, ove non fosse identificabile
quale sia la materia prevalente oggetto della disciplina normativa.
Violazione dell'art. 118 della Costituzione
La disposizione in questa sede impugnata risulta peraltro in
contrasto con il disposto dell'art. 118 della Costituzione, ove essa
attribuisce una potesta' amministrativa ad un organo statale in
violazione dei criteri attributivi dettati dalla Carta fondamentale.
A tal riguardo giova ricordare che la giurisprudenza di codesta
Corte afferma che "affinche', dunque, nelle materie di cui all'art.
117, terzo e quarto comma, Cost., una legge statale possa
legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale
ed al tempo stesso regolarne l'esercizio, e' necessario che essa
detti una disciplina logicamente pertinente (dunque idonea alla
regolazione delle suddette funzioni), che risulti limitata a quanto
strettamente indispensabile a tale fine e che sia adottata a seguito
di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo
coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque,
attraverso adeguati meccanismi di cooperazione per l'esercizio
concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi
centrali (da ultimo, sentenza n. 278 del 2010). Infatti, solo la
presenza di tali presupposti, alla stregua di uno scrutinio stretto
di costituzionalita', consente di giustificare la scelta statale
dell'esercizio unitario di funzioni, allorquando emerga l'esigenza di
esercizio unitario delle funzioni medesime (ex plurimis, sentenze n.
76 del 2009, n. 339 e n. 88 e del 2007, n. 214 del 2006, n. 242 e n.
151 del 2005)" (decisione 22 luglio 2011, n. 232).
Nel caso di specie l'attribuzione di una potesta' revocatoria
alle autorita' statali non e' accompagnata da una disciplina
legislativa logicamente pertinente e idonea alla regolazione delle
suddette funzioni, in quanto il legislatore statale si limita a
menzionare delle generiche esigenze teleologiche di tutela e di
valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, che dovrebbero
guidare l'amministrazione procedente nell'esercizio della potesta'
pubblica, senza invero prevedere alcuna sostanziale parametrazione e
regolamentazione sostanziale della stessa. Cosa tanto piu' grave ove
e' prevista la possibilita' di derogare la disciplina legislativa
regionale in materia commercio ed i criteri per il rilascio e il
rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio
su aree pubbliche e alle disposizioni transitorie stabilite
nell'intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell'articolo
8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, prevista dall'articolo
70, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 recante
attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato
interno.
Nel caso di specie, dunque, la norma di relazione attributiva
della potesta' amministrativa sarebbe del tutto orfana di una
disciplina idonea a delimitarne e a guidarne l'esercizio, con
conseguente violazione dei parametri costituzionali di riferimento di
cui all'art. 118 Cost, cosi' come elaborati dalla Corte
costituzionale, oltre che con lesione degli artt. 3 e 97 della
Costituzione come ora sara' piu' approfonditamente illustrato.
Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione della Repubblica
Italiana
Come rilevato, il comma 1-ter dell'art. 52 del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, attribuisce ai competenti organi
dello Stato un potere di revoca di natura straordinaria. Questo,
infatti non solo e' diretto a rivalutare le ragioni di interesse
pubblico sottese al provvedimento oggetto di riesame ovvero a
compiere una nuova ponderazione di merito alla luce di sopravvenute
ragioni di interesse generale o di mutamenti di fatto, ma consente
all'autorita' amministrativa destinataria della potesta' di
autotutela decisoria di revocare l'autorizzazione o la concessione di
suolo pubblico in deroga alla disciplina legislativa che regola la
materia e in particolare alle disposizioni normative regionali di cui
all'articolo 28, commi 12, 13 e 14, del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 114, e successive modificazioni, nonche' in deroga ai
criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi
per l'esercizio del commercio su aree pubbliche e alle disposizioni
transitorie stabilite nell'intesa in sede di Conferenza unificata, ai
sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131,
prevista dall'articolo 70, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo
2010, n. 59 recante attuazione della direttiva 2006/123/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai
servizi nel mercato interno.
Ci si trova, percio', dinanzi ad un potere di revoca del tutto
sui generis, che non involge, come ordinariamente avviene, un mera
riconsiderazione dell'interesse pubblico, ma che consente invece
all'autorita' amministrativa procedente di elidere gli effetti di un
precedente provvedimento amministrativo, anche "alterando" il quadro
normativo di riferimento. Per tal ragione sarebbe stato assolutamente
necessario che il legislatore avesse esattamente regolato e definito
tale potere o meglio, vertendosi in materia di competenza legislativa
concorrente e residuale delle regioni, come in precedenza dimostrato,
avesse adottato la sola normativa di principio demandando alle
Regioni di integrare la stessa. Invece, la disposizione di legge
impugnata si limita, in modo autoreferenziale, a un generico richiamo
alle esigenze contenute nel medesimo comma 1-ter, senza in alcun modo
fissare quali siano i limiti entro cui possa essere esercitata la
potesta' pubblica e in particolare i confini entro cui
l'amministrazione procedente possa derogare alla legislazione vigente
in materia.
Cio' determina una palese irragionevolezza della norma oltre che
un evidente violazione del principio di eguaglianza e del principio
di legalita' sostanziale dell'azione amministrativa in quanto
praticamente si demanda all'autorita' procedente l'arbitraria
liberta' di stabilire essa stessa quali siano i criteri e i
presupposti normativi fondanti il proprio potere, limitandosi il
legislatore ad un generico e indiretto richiamo alle esigenze di
tutela e valorizzazione dei beni culturali. Richiamo teleologico di
fatto inidoneo a fondare i necessari presupposti legislativi del
potere amministrativo. Basti pensare che, a seconda dell'autonoma
valutazione di ciascuna autorita' procedente statale dislocata sul
territorio, situazioni del tutto identiche potrebbero essere trattate
in modo diverso, prevedendo in alcuni casi la revoca e in altri la
permanenza dell'atto autorizzatorio o concessorio oggetto di riesame.
Con cio' la disposizione qui impugnata si pone in contraddizione con
il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione
della Repubblica italiana.
La disposizione impugnata pare peraltro anche viziata da
irragionevolezza oltre che lesiva del principio di legalita'
sostanziale dell'azione amministrativa e di buon andamento della
pubblica amministrazione. Di fatti, non e' sufficiente che il
legislatore attribuisca una pubblica potesta' ma e' necessario che lo
stesso ne regolamenti l'esercizio in maniera tale che l'autorita'
amministrativa possa esercitare il potere pubblico o in modo
vincolato o secondo margini di discrezionalita' che non trasmodino
mai in un arbitrio. Nel caso di specie non essendo previsto alcun
criterio di regolazione del potere derogatorio attribuito alle
autorita' statali in sede di revoca dei provvedimenti autorizzatori o
concessori in parola, tale potere risulta rimesso all'arbitrio
dell'autorita' procedente, in spregio ai principi di legalita' e di
buon andamento di cui all'art. 97 Cost., i quali, "quasi in endiadi"
(decisione n. 333 del 1993) costituiscono il "vero cardine della vita
amministrativa in quanto condizione dello svolgimento ordinato della
vita sociale". (decisione n. 123 del 1968)
Come, infatti, autorevolmente ha rilevato codesta Corte "il
principio di legalita' e d'imparzialita' della azione amminsitrativa,
insieme al buon andamento, sono pur sempre i valori costituzionali
supremi cui deve ispirarsi l'attivita' amministrativa" (decisione n.
78 del 1966)
La loro violazione, percio', non puo' che determinare
l'illegittimita' costituzionale della disposizione di legge statale
con essi in contrasto.
Violazione dell'art. 117, comma l della Costituzione della Repubblica
Italiana
Da ultimo la disposizione oggetto d'impugnazione come gia'
evidenziato opera in deroga ai criteri per il rilascio e il rinnovo
della concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio su aree
pubbliche e alle disposizioni transitorie stabilite nell'intesa in
sede di Conferenza unificata, ai sensi dell'articolo 8, comma 6,
della legge 5 giugno 2003, n. 131, prevista dall'articolo 70, comma
5, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 recante attuazione
della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno.
Tale deroga risulta, in tutta evidenza, in contrasto con l'art.
117, comma 1 della Costituzione della Repubblica italiana, ove e'
previsto che la potesta' legislativa debba essere esercitata "nel
rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali",
In assenza, infatti, di alcun criterio regolamentare che
perimetri tale potere derogatorio entro limiti che garantiscono il
rispetto del fondamentale canone di non discriminazione e della
liberta' di concorrenza, imposti dai trattati comunitari e in
particolare nel caso di specie dalla direttiva 2006/123/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 in materia di
mercati interni, il comma 1-ter dell'art. 52 del decreto legislativo
22 gennaio 2004, n. 42 non puo' che ritenersi in contrasto con la
normativa di attuazione del diritto comunitario e per il suo tramite
con quest'ultimo, con conseguente violazione dell'art. 117 comma 1
della Costituzione e sua illegittimita' costituzionale (decisioni nn.
271/2009 216/2010)
P. Q. M.
La Regione del Veneto chiede che l'Ecc.ma Corte costituzionale
disponga la riunione del presente giudizio con quello rubricato al
numero 101/2013 e dichiari l'illegittimita' costituzionale dell'art.
52, commi 1-ter, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42,
cosi' come modificato e integrato dall'art. 4, comma 1, del D.L. 31
maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29
luglio 2014, n. 106, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30
luglio 2014, n. 175.
Si depositano:
1. deliberazione della Giunta Regionale veneta di
autorizzazione alla proposizione del presente ricorso e per
l'affidamento dell'incarico di patrocinio per la difesa regionale.
Venezia-Roma, 29 settembre 2014
Avv. Ezio Zanon
Avv. Luigi Manzi