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N. 73 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 16 giugno 2006. |
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Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 16 giugno 2006 (della Regione Emilia-Romagna)
(GU n. 31 del 2-8-2006) |
Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente
della giunta regionale pro tempore, autorizzato con deliberazione
della Giunta regionale n. 785 del 5 giugno 2006 (doc. 1),
rappresentata e difesa - come da procura rogata dal notaio dott.
Federico Rossi, in data 6 giugno 2006, rep. n. 50821 (doc. 2) -
dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, dall'avv. prof. Franco
Mastragostino di Bologna e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con
domicilio eletto in Roma nello studio dell'avv. Manzi, via
Confalonieri, 5;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, «Norme in materia ambientale»,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006, Suppl.
ordinario n. 96/2006, con riferimento agli articoli:
VIA, VPC, IPPC: art. 5, comma 1, lett. e), g), m); art. 12,
comma 2; art. 23, comma 4; art. 24, comma 1, lett. b); art. 25, comma
1, lett. a); art. 26, comma 3; art. 28, comma 2, lettera b); art. 33;
art. 35, comma 1, lett. a) e b); art. 42, comma 1; art. 51, commi 1,
3, 5;
Difesa suolo, tutela acque: art. 57, commi 1, 4 e 6; art. 58;
art. 59; art. 70; art. 72; art. 96; art. 101; art. 104, commi 3 e 4;
art. 113, comma 1; art. 114, comma 1; art. 121; art. 124, commi 4 e
5;
Servizio idrico integrato: art. 147, comma 2, lettera b);
art. 150, commi 1 e 2; art. 159; art. 160; art. 166, comma 1; art.
172, comma 2; art. 176, comma 1;
Rifiuti: art. 195, commi 1 e 2; art. 200; art. 201; art. 202,
comma 1; art. 203; art. 204, comma 3; art. 207, comma 1; art. 214,
comma 9; art. 215, comma 1; art. 238, commi 1 e 2;
Emissioni in atmosfera: art. 281, comma 10; art. 287, comma
1; Allegato IV alla parte quinta (attivita' in deroga), parte I,
punto 4, lett. z); per violazione degli artt. 76, 117, 118 Cost., del
principio di leale collaborazione, del principio di ragionevolezza,
del principio di legalita', nonche' dei principi e delle norme del
diritto comunitario, nei modi e per i profili di seguito indicati.
Si premette che la Regione Emilia-Romagna ha gia' proposto un
ricorso avverso talune disposizioni del decreto legislativo n. 152
del 2006 per le quali essa riteneva urgente richiedere altresi' la
sospensione delle norme impugnate. Tale ricorso e' pendente con il
n. 56/2006 del Registro ricorsi.
Gia' in sede di delibera di tale ricorso, e poi nel ricorso
stesso, la regione si e' espressamente riservata di impugnare, sempre
nel rispetto dei termini costituzionali, altre disposizioni lesive
delle competenze regionali contenute nello stesso decreto
legislativo.
Il presente ricorso, anch'esso ritualmente deliberato con la
deliberazione sopra menzionata, completa dunque il quadro
dell'impugnazione proposta dalla Regione Emilia-Romagna avverso il
decreto legislativo n. 152 del 2006.
Dei due ricorsi si chiede sin d'ora la riunione, ai fini della
trattazione di merito.
F a t t o
e d i r i t t o La parte narrativa relativa al decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, «Norme in materia ambientale» e'
gia' stata svolta nel ricorso n. 56 del 2006, e ad evitare inutili
duplicazioni ad essa qui ci si richiama.
Ugualmente, ci si richiama a quanto esposto nel ricorso n. 56 del
2006 in relazione ai vizi procedurali che inficiano l'intero decreto
legislativo, in particolare alla «Violazione della legge di delega e
del principio di leale collaborazione», che nel ricorso n. 56 sono
stati illustrati al punto e).
Di seguito, dunque, si prospettano i motivi di impugnazione
avverso le ulteriori disposizioni del decreto legislativo n. 152 del
2006, la cui impugnazione e' stata deliberata dalla ricorrente
Regione con la deliberazione della Giunta regionale citata in
premessa.
Per maggiore chiarezza espositiva, i motivi del ricorso vengono
raggruppati secondo l'articolazione delle parti maggiori del decreto
legislativo.
A) Illegittimita' costituzionale delle disposizioni della parte
seconda, recante «procedure per la valutazione ambientale strategica
(VAS), per la valutazione d'impatto ambientale (VIA) e per
l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC).».
I) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, lett. e) e
g);
L'art. 5, comma 1, lett. e), definito il concetto di «progetto di
un'opera od intervento» dispone che la valutazione di impatto
ambientale viene eseguita sui progetti preliminari senza prevedere
correlativamente un obbligo automatico di sottoposizione alle
medesime procedure dei successivi progetti definitivi che contengano
(rispetto ai progetti preliminari sottoposti a valutazione) modifiche
progettuali o nell'utilizzo delle risorse naturali o nelle immissione
di inquinanti.
Tale disposizione appare in contrasto con le disposizioni delle
direttive 85/337/CEE e 97/11/CE (art. 2, comma 1 ed Allegato II,
punto 13), che tale obbligo invece prevedono. Si noti che tale
aspetto e' gia' stato oggetto del formale avvio (con l'invio del
parere motivato 2002/5170 del 18 ottobre 2005) di una procedura di
infrazione della Commissione europea nei confronti delle analoghe
previsioni della legge obiettivo (d.lgs. n. 190/2002, art. 20, comma
5).
Si noti che la lacuna non e' affatto coperta dalla successiva
lett. f), che riguarda «la modifica di un piano, programma o progetto
approvato», e non il passaggio tra progetto preliminare e progetto
definitivo, ne' dalla successiva lett. g), che riguarda la modifica
sostanziale di un'opera o intervento.
Si noti ancora che la problematica della suddivisione in fasi
delle procedure di realizzazione delle opere, e dell'emergere della
necessita' della valutazione d'impatto (o in questo caso di una nuova
valutazione d'impatto) in fasi successive e' emersa anche
all'attenzione della Corte di giustizia, la quale ha sempre ribadito
l'obbligo delle procedure di valutazione in qualunque fase ne emerga
la necessita' (cfr. sentenze 4 maggio 2006, causa C-290/03, e 4
maggio 2006, causa C-508/03).
L'art. 5, comma 1, lett. g), definisce la «modifica sostanziale
di un'opera o intervento» ed in questo contesto stabilisce che «per
le opere o interventi per i quali nell'Allegato III alla parte
seconda del presente decreto sono fissate soglie dimensionali,
costituisce modifica sostanziale anche l'intervento di ampliamento,
potenziamento o estensione qualora detto intervento, in se'
considerato, sia pari o superiore al trenta per cento di tali
soglie.».
Tale disposizione appare direttamente confliggere con il punto 8,
della Direttiva 2003/35/CE, che ha previsto l'integrazione
dell'Allegato I della direttiva 85/337/CEE come modificata dalla
direttiva 97/11/CE con il seguente punto «22. Ogni modifica o
estensione dei progetti elencati nel presente allegato, ove la
modifica o l'estensione di per se' sono conformi agli eventuali
valori limite stabiliti nel presente allegato».
In altre parole, risulta contrario alla normativa comunitaria
prevedere che le soglie stabilite debbano essere superate di oltre il
trenta per cento: se tale e' il significato della disposizione della
lett. g), per vero non del tutto chiaro.
II) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, lett. m)
e dell'art. 12, comma 2.
L'art. 5, comma 1, lett. m) definisce il «giudizio di
compatibilita' ambientale» come l'atto con il quale l'organo
competente conclude la procedura di valutazione ambientale strategica
o di valutazione di impatto ambientale.».
A sua volta, l'art. 12, comma 2, dispone che l'autorita' preposta
alla valutazione ambientale entro un determinato termina «emette il
giudizio di compatibilita' ambientale», il quale «costituisce
presupposto per la prosecuzione del procedimento di approvazione del
piano o del programma» e «puo' essere condizionato all'adozione di
specifiche modifiche ed integrazioni della proposta del piano o
programma valutato».
Occorre ricordare che tanto l'art. 5 quanto l'art. 12 non solo
valgono anche per le VAS di competenza regionale ma rientrano tra
quelli che anche le future leggi regionali dovranno rispettare, a
termini dell'art. 22, comma 1.
Risulta dunque evidente che tali disposizioni configurano la
procedura di VAS ed il suo esito in termini essenzialmente assimilati
a quelli della procedura di VIA, senza tenere in debita
considerazione le differenze sostanziali dei due processi
decisionali, come stabilite per i due differenti strumenti nelle
direttive europee.
Conviene qui ricordare che la proposta direttiva avanzata dalla
Commissione (GUC 129 del 25 aprile 1997, pag. 14, e GU C 83 del 25
marzo 1999, pag. 13) lasciava alla decisione dei singoli Stati membri
se prevedere la VAS come procedura di ulteriore autorizzazione (dal
punto di vista ambientale) del piano o programma, oppure come
processo di integrazione delle tematiche ambientali nella procedura
di approvazione del piano o programma.
La direttiva 2001/42/CE, approvata ed oggi vigente, ha compiuto
la scelta di prevedere la «Valutazione ambientale» dei piani e
programmi come processo di integrazione delle tematiche ambientali
nella procedura di approvazione del piano o programma, eliminando
l'ipotesi di una ulteriore procedura di autorizzazione. Tale
direttiva prevede in realta' - come emerge da numerose sue
disposizioni una fortissima integrazione tra tematiche (ed autorita)
ambientali e tematiche (ed autorita) dei settori interessati.
A questa stregua, la VAS non puo' essere configurata come uno
specifico provvedimento autorizzativo di una autorita' sull'altra, ma
deve essere concepita come un processo decisionale della stessa
pubblica amministrazione che approva il piano o programma, e lo scopo
della direttiva e' garantire che il processo decisionale possa tenere
conto adeguatamente dei fattori ambientali.
Cio' e' evidente, ad esempio, nella stessa definizione che
l'art. 2 della direttiva da' di «valutazione ambientale», come
«l'elaborazione di un rapporto di impatto ambientale, lo svolgimento
di consultazioni, la valutazione del rapporto ambientale e dei
risultati delle consultazioni nell'iter decisionale e la messa a
disposizione delle informazioni sulla decisione» a norma dei
successivi articoli da 4 a 9.
Come si vede, la direttiva non solo non implica, ma addirittura
esclude che si possa configurare la valutazione ambientale come
l'oggetto di uno specifico provvedimento autorizzatorio che una
autorita' specializzata assume in relazione all'autorita' competente
all'approvazione del piano.
L'art. 12, comma 2, del decreto 152 individua, all'opposto, un
iter in cui la valutazione ambientale e la
pianificazione/programmazione non si intersecano e non si fondono, ma
rimangono come fasi consequenziali e sostanzialmente separate, con
una relazione sostanziale non di integrazione ma di gerarchia di una
autorita' - quella che «emette» (secondo la testuale dizione della
legge) il «giudizio di compatibilita' ambientale» - sull'altra quella
che approva il piano o un programma, e che, ben lungi dall'essere
messo in grado di formulare meglio il giudizio proprio, deve
semplicemente sottostare al giudizio altrui.
In quanto tale evidente scostamento della norma statale divenga
norma da applicare da parte delle regioni ed addirittura vincolo (v.
art. 22, comma 1) alla futura legislazione regionale, esso si traduce
in immediata lesione delle garanzie costituzionali delle regioni.
III) Illegittimita' costituzionale dell'art. 23, comma 4
L'art. 23, comma 4, dispone come segue:
«Possono essere esclusi dal campo di applicazione del
presente titolo i progetti di ( seguito elencati che, a giudizio
dell'autorita' competente, non richiedano lo svolgimento della
procedura di valutazione di impatto ambientale:
a) i progetti relativi ad opere ed interventi destinati
esclusivamente a scopi di difesa nazionale;
b) i progetti relativi ad opere ed interventi destinati
esclusivamente a scopi di protezione civile, oppure disposti in
situazioni di necessita' e d'urgenza a scopi di salvaguardia
dell'incolumita' delle persone da un pericolo imminente o a seguito
di calamita';
c) i progetti relativi ad opere di carattere temporaneo, ivi
comprese quelle necessarie esclusivamente ai fini dell'esecuzione di
interventi di bonifica autorizzati».
La disposizione, contrasta con la normativa comunitaria di cui
alla direttiva 85/337/Cee (come modificata dalla direttiva 97/11/CE e
dalla direttiva 2003/35/CE), che prevedono l'esclusione solo per i
progetti relativi ad opere ed interventi destinati a scopi di difesa
nazionale (art. 1, comma 4).
Quanto ai progetti relativi ad opere ed interventi destinati a
scopi di protezione civile o disposti in via d'urgenza, come pure ai
progetti relativi ad opere di carattere temporaneo, essi possono
essere esclusi dalla VIA soltanto alle condizioni e secondo le
modalita' di cui all'art. 2, comma 3 della stessa direttiva.
Questa norma dispone che «gli Stati membri, in casi eccezionali,
possono esentare in tutto o in parte un progetto specifico dalle
disposizioni della presente direttiva»: ma e' evidente che si tratta
di un potere da esercitare caso per caso, e non per categorie
predefinite dalla legge. Inoltre, la stessa disposizione prevede che
in tali casi gli Stati membri esaminino se sia opportuna un'altra
forma di valutazione, mettano a disposizione del pubblico le
informazioni raccolte con le altre forme di valutazione, le
informazioni relative alla decisione di esenzione e le ragioni per
cui e' stata concessa e infine informino la Commissione, prima del
rilascio dell'autorizzazione, dei motivi che giustificano l'esenzione
accordata e le forniscono le informazioni che mettono eventualmente a
disposizione dei propri cittadini.
Risulta evidente che la esenzione di cui alla normativa
impugnata, disposta a priori e senza alcuna ulteriore modalita' o
procedura, viola il diritto comunitario e, nella parte in cui si
riferisce alle procedure regionali e pretende di vincolare il
legislatore regionale (cfr. art. 43, comma 1) risulta al di la' di
ogni dubbio lesiva delle garanzie costituzionali delle Regioni.
IV) Illegittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 1, lett.
b).
L'art. 24, comma 1, lett. b), nel disciplinare le Finalita' della
via dispone che «per ciascun progetto siano valutati gli effetti
diretti ed indiretti della sua realizzazione sull'uomo, sulla fauna,
sulla flora, sul suolo, sulle acque di superficie e sotterranee,
sull'aria, sul clima, sul paesaggio e sull'interazione tra detti
fattori, sui beni materiali e sul patrimonio culturale ed
ambientale».
La formulazione di tale disposizione viola, forse per un mero
errore nel riferimento normativo, l'art. 3, comma 1, del1a direttiva
85/337/CEE come modificata dalla direttiva 97/11/CE, che prevede che
la valutazione dell'interazione non sia limitata agli effetti
«sull'uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle acque di
superficie e sotterranee, sull'aria, sul clima, sul paesaggio» (cui
poi si aggiungerebbe, al di fuori dell'interazione, la valutazione
degli effetti sui beni materiali e sul patrimonio culturale ed
ambientale), ma sia estesa agli stessi fattori «beni materiali» e
«patrimonio culturale ed ambientale».
In effetti, il testo vigente di tale art. 3, comma 1, della
direttiva 85/337, dopo la, modifica intervenuta con la direttiva
97/11, e' il seguente:
«La valutazione dell'impatto ambientale individua, descrive e
valuta, in modo appropriato, per ciascun caso particolare e a norma
degli articoli da 4 a 11, gli effetti diretti e indiretti di un
progetto sui seguenti fattori:
l'uomo, la fauna e la flora il suolo, l'acqua, l'aria, il
clima e il paesaggio; i beni materiali ed il patrimonio culturale;
l'interazione tra i fattori di cui al primo, secondo e terzo
trattino.».
Puo' sembrare che sia una differenza marginale, ma in realta' non
lo e' o comunque il legislatore comunitario non l'ha considerata
tale, avendola appositamente introdotta.
Inoltre, la difformita' della normativa italiana, gia' contenuta
nelle previgenti disposizioni, e' gia' stata oggetto di un avvio di
procedura di infrazione, con il parere motivato 2003/2049 C(2005)
2341 del 5 luglio 2005.
Tale difforme disposizione del d.lgs. n. 152 del 2006, nella
parte in cui si riferisce alle ( procedure regionali e pretende di
vincolare il legislatore regionale (cfr. art. 43, comma 1) risulta
anch'essa lesiva delle garanzie costituzionali delle regioni.
V) Illegittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 1, lett. a),
dell'art. 35, comma 1 lett. b) e dell'art. 42, comma 1, in quanto
assegnano allo Stato la competenza per la VIA relativa ai progetti
aventi impatto interregionale. Illegittimita' costituzionale altresi'
dell'art. 35, comma 1, lett. a) ove inteso in senso estensivo.
L'art. 25, comma 1, lett. a) riserva al Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio la competenza alla VIA «per i progetti di
opere ed interventi sottoposti ad autorizzazione statale e per quelli
aventi impatto ambientale interregionale o internazionale»;
precisando tale disposizione, l'art. 35 dispone che «compete al
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ... la
valutazione di impatto ambientale dei progetti di opere ed interventi
rientranti nelle categorie di cui all'art. 23 nei casi in cui si
tratti: a) di opere o interventi sottoposti ad autorizzazione alla
costruzione o all'esercizio da parte di organi dello Stato; b) di
opere o interventi localizzati sul territorio di piu' regioni o che
comunque possono avere impatti rilevanti su piu' regioni.».
Corrispondentemente, l'art. 42, relativo ai Progetti sottoposti a VIA
in sede regionale o provinciale, afferma chesono sottoposti a
valutazione di impatto ambientale in sede regionale o provinciale i
progetti di opere ed interventi rientranti nelle categorie di cui
all'art. 23, salvo si tratti di opere o interventi sottoposti ad
autorizzazione statale o aventi impatto ambientale interregionale o
internazionale ai sensi dell'art. 35».
Risulta dunque evidente che il nuovo decreto legislativo assegna
alla competenza statale non solo la VIA per le opere e gli interventi
soggetti ad autorizzazione statale, ma anche quella relativa ad opere
ed interventi che abbiano semplicemente un rilievo per piu' di una
regione.
La ricorrente regione ritiene che, alla stregua del riparto di
competenze di cui al Titolo V della parte seconda della Costituzione
dopo la riforma del 2001, la competenza per le opere e gli interventi
non soggetti ad autorizzazione statale non possa che spettare alle
regioni, anche se si tratti di opere che interessano piu' regioni o
che comunque recano un impatto su piu' territori regionali.
Infatti, se e' vero che anche il decreto legislativo n. 112 del
1998 - sempre comunque nel precedente quadro costituzionale - aveva
mantenuto allo Stato la competenza alla VIA per «le opere e gli
impianti il cui impatto ambientale investe piu' regioni» (art. 71,
comma 1, lett. a), e' anche vero che il comma 2 precisava che con
atto di indirizzo e coordinamento sarebbero state individuate le
specifiche categorie di opere, interventi e attivita' attualmente
sottoposti a valutazione statale di impatto ambientale da trasferire
alla competenza delle regioni a condizione (come stabiliva il comma
3) della vigenza della legge regionale della VIA».
Ed in realta' gia' il precedente atto di indirizzo e
coordinamento di cui al d.P.R. 12 aprile 1996 (Atto di indirizzo e
coordinamento per l'attuazione dall'art. 40 comma 1, della legge
n. 146/1994, concernente disposizioni in materia di valutazione di
impatto ambientale) all'art. 11 (Procedure per i progetti con impatto
ambientale interregionale) prevedeva che le regioni assicurassero «la
definizione delle modalita' di partecipazione alla procedura di
valutazione d'impatto ambientale delle regioni confinanti nel caso di
progetti che possono avere impatti rilevanti anche sul loro
territorio ovvero di progetti localizzati sul territorio di piu'
regioni evidentemente presupponendo la perdurante competenza
regionale in relazione all'impatto ambientale dell'opera o
dell'intervento.
Riprova se ne ha nella legislazione regionale che e' seguita ed
ha continuato a seguire:
in pratica tutte le normative regionali sulla VIA contengono
disposizioni che garantiscono il coordinamento dellegioni
direttamente interessate nel caso di impatti ambientali
interregionali sia nella forma di informazione e consultazione sia
nella forma di codecisione tramite una intesa tra le regioni
interessate.
In particolare, la legge della regione Emilia-Romagna 18 maggio
1999, n. 9 (modificata dalla l.r. 16 novembre 2000 n. 35), dedica il
Titolo IV alle Procedure di V.I.A. interregionali e sovraregionali.
Cosi' ad esempio - senza che si debba qui esporre l'intera disciplina
- l'art. 19 disciplina le Procedure per progetti con impatti
ambientali interregionali prevede l'intesa con le altre regioni
interessate per il caso di «progetti che risultino localizzati sul
territorio di piu' regioni» (comma 1), mentre «nel caso di progetti
che possano avere impatti rilevanti sull'ambiente di altre regioni
confinanti» l'autorita' competente «e' tenuta ad informare e ad
acquisire anche i pareri di tali regioni nell'ambito della conferenza
di servizi appositamente convocata ai sensi dell'art. 18.
Ora, nel nuovo quadro costituzionale successivo al 2001 lo stesso
principio di sussidiarieta' di cui all'art. 118, primo comma, impone
di non spostare la competenza al livello statale se non nei casi in
cui il carattere infrazionabile ed intrinsecamente unitario
dell'interesse lo imponga; e l'art. 117, ottavo comma, prevedendo che
«la legge regionale ratifica le intese della regione con altre
regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con
individuazione di organi comuni» conferma che il carattere
semplicemente interregionale delle funzioni e degli interessi puo'
giustificare speciali soluzioni organizzative, ma non puo' di per se'
consentire l'acquisizione della competenza al livello statale.
Il diretto fondamento in costituzione della rivendicazione
regionale rende superfluo ricordare che, in ogni modo, il rispetto
del principio di sussidiarieta' era specificamente previsto dalla
legge delega n. 308/2004 (art. 8, comma 1).
Si noti che la competenza regionale in materia di VIA non e' una
graziosa concessione del legislatore statale, ma una precisa
conseguenza sia della competenza regionale in relazione alle opere e
interventi di cui si tratta, sia della competenza regionale nelle
materie connesse all'ambiente o addirittura parti di esso, quale la
tutela della salute ed il governo del territorio, sia della stessa
competenza in materia ambientale, in quanto la competenza esclusiva
statale si riferisce, come chiarito dalla giurisprudenza di codesta
ecc.ma Corte costituzionale, alla fissazione degli standard minimi di
tutela.
Risultano cosi' violati dalle disposizioni qui impugnate gli
articoli 117 e 118 Cost.
In via meramente cautelativa si impugnano anche l'art. 25, comma
1, lett. a) e l'art. 35, (comma 1, lett. a), nella parte in cui essi
prevedono la VIA statale per opere soggette ad autorizzazione
statale, per l'ipotesi in cui tale norma venisse ad includere non
soltanto le autorizzazioni statali che direttamente si riferiscono al
progetto dell'opera o intervento, ma anche ad eventuali
autorizzazioni statali (ad esempio, dell'amministrazione militare, o
a tutela dei siti archeologici) che semplicemente «incidano» nel
procedimento approvativo di progetti sottoposti ad approvazione
regionale o locale.
In tale ipotesi, risulterebbero violati l'art. 117 e 118 Cost.,
non essendovi alcuna ragione di «spostare» la competenza in sede
statale, dal momento che gli interessi statali sono tutelati dalla
autorizzazione stessa, senza alcuna conseguenza sulla competenza alla
VIA.
VI) Illegittimita' costituzionale dell'art. 26, comma 3.
L'art. 26, comma 3, prevede che il proponente puo' chiedere di
essere in tutto o in parte esonerato dagli «adempimenti di cui al
comma 2» secondo cui «copia integrale della domanda di cui al comma 1
e dei relativi allegati deve essere trasmessa alle regioni, alle
province ed ai comuni interessati e, nel caso di aree naturali
protette, anche ai relativi enti di gestione»: si tratta in pratica
della trasmissione del progetto e dello studio di impatto ambientale.
Questa previsione lede direttamente la regione e gli enti locali,
e si pone in contrasto con la direttiva 85/337/CEE (come modificata
dalla direttiva 97/11/CE) che, all'art. 6, comma 1, dispone che «Gli
Stati membri adottano le misure necessarie affinche' le autorita' che
possono essere interessate al progetto, per la loro specifica
responsabilita' in materia di ambiente, abbiano la possibilita' di
esprimere il loro parere sulle informazioni fornite dal committente e
sulla domanda di autorizzazione e che tali autorita' «ricevono le
informazioni raccolte a norma dell'art. 5.».
VII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2, lett.
b).
L'art. 28, dedicato alle Misure di pubblicita', dispone al comma
2, lett. b), che il committente o proponente del progetto o
dell'opera, contestualmente alla presentazione della propria domanda,
provveda alla diffusione a mezzo stampa di un annuncio dell'avvenuto
deposito di quanto prescritto dalla precedente lett. a) secondo le
modalita' stabilite dall'autorita' competente con apposito
regolamento che assicuri criteri uniformi di pubblicita' per tutti i
progetti sottoposti a valutazione d'impatto ambientale, garantendo
che il pubblico interessato venga in tutti i casi adeguatamente
informat La medesima disposizione prevede che lo stesso regolamento
stabilisca «i casi e le modalita' per la contemporanea pubblicazione
totale o parziale in internet del progetto» e che esso debba «essere
emanato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio».
L'art. 28 e' elencato dall'art. 43, comma 1, tra quelli che
sarebbero inderogabili dalle leggi regionali, in relazione alle VIA
di competenza regionale.
Sembra evidente che, in relazione alle VIA regionali, una
disciplina regolamentare statale delle modalita' di avviso degli
avvenuti depositi non e' ammissibile a termini dell'art. 117, sesto
comma, Cost., e del resto non trova giustificazione in alcuna
esigenza unitaria.
D'altronde, su pure potesse rinvenirsi una esigenza unitaria, e
se pure questa potesse condurre ad ammettere un potere regolamentare
del Ministro vincolante per le leggi regionali, cio' non potrebbe in
alcun caso avvenire senza la previsione di una intesa con la
Conferenza Stato-regioni.
VIII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 33.
L'art 33 e' dedicato alle Relazioni tra VAS e VIA. Esso dispone,
nel suo unico comma, «che per progetti di opere ed interventi da
realizzarsi in attuazione di piani o programmi gia' sottoposti a
valutazione ambientale strategica, e che rientrino tra le categorie
per le quali e' prescritta la valutazione di impatto ambientale, in
sede di esperimento di quest'ultima costituiscono dati acquisiti
tutti gli elementi positivamente valutati in sede di valutazione di
impatto strategico o comunque decisi in sede di approvazione del
piano o programma.».
Tale disposizione appare violare le disposizioni dell'art. 11
della direttiva 2001/42/CE secondo cui la Valutazione ambientale dei
piani e programmi «lascia impregiudicate le disposizioni della
direttiva 85/33 7/CEE e qualsiasi altra disposizione della normativa
comunitaria» e la stessa direttiva 85/337/CEE, che nel disciplinare
la VIA non prevede affatto in essa una possibile pregiudiziale
valutazione di elementi rilevanti per la decisione.
Va precisato che quello che qui si contesta non e' la possibile
introduzione nel procedimento di VIA di elementi conoscitivi gia'
maturati in sede di VAS sul piano o programma che prevedesse l'opera
o progetto, ma il vincolo ad una positiva valutazione di tale
elementi del resto indeterminati nello stesso riferimento normativo
nella nuova procedura, che finirebbe per apparire fittizia e
predestinata nella sua conclusione.
IX) Illegittimita' costituzionale dell'art. 51, commi 3 e 5.
L'art. 51 e' dedicato ai Regolamenti e norme tecniche integrative
- autorizzazione unica ambientale per le piccole imprese. Esso e'
inserito nel Titolo IV, Norme transitorie e finali (finali,
ovviamente, della Parte seconda, non dell'intero decreto), e non
sembra dunque riguardare i soli procedimenti statali.
Il comma 1 dispone chel fine di semplificare le procedure di
valutazione ambientale strategica e valutazione di impatto
ambientale, con appositi regolamenti, emanati ai sensi dell'art. 17,
comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, possono essere adottate
norme puntuali per una migliore integrazione di dette valutazioni
negli specifici procedimenti amministrativi vigenti di approvazione o
autorizzazione dei piani o programmi e delle opere o interventi
sottoposti a valutazione.».
In questi termini, il comma 1 prevede l'emanazione di regolamenti
dal contenuto indeterminato, legato soltanto ad una finalita' di
semplificazione (peraltro in contraddizione con la carattere di
«ulteriore provvedimento» dato alla VAS, come sopra illustrato), con
potenziale incidenza sia sui procedimenti ambientali che su quelli di
programmazione. Risulta violato in primo luogo il principio di
legalita' del potere regolamentare, dato che la sola precisazione che
la legge contiene - oltre al fine che tali regolamenti contengano
«norme puntuali».
Ma tale precisazione, mentre da un lato non precisa nulla,
dall'altro conferma e aggrava l'illegittimita' della previsione,
nella parte in cui essa si riferisce a procedure di VAS e VIA
regionali, o comunque ai procedimenti di programmazione. Infatti,
trattandosi di ambiti che rientrano nella potesta' legislativa
regionale, lo Stato non puo' disciplinarli con regolamento, ai sensi
dell'art. 117, sesto comma, Cost.: e la specificazione che si tratti
di norme «puntuali» non fa che aggravare il vizio.
Naturalmente, il vizio non vi sarebbe (o, sotto il profilo della
legalita', non vi sarebbe l'interesse a farlo valere) qualora i
regolamenti in questione non fossero destinati a disciplinare
procedimenti ambientali o di programmazione gia' disciplinati
nell'esercizio della potesta' legislativa regionale: e cosi', in
effetti, dovrebbe essere, se si tiene fermo quanto gia' affermato
dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale nella
sentenza «fondante» per la materia) n. 376 del 2002. Se invece, al
contrario di quanto affermato da tale giurisprudenza, i regolamenti
in questione fossero destinati ad applicarsi agli ambiti di potesta'
legislativa regionale, andrebbe ulteriormente lamentato in subordine
alle censure gia' formulate la mancata previsione di una procedura di
intesa con le regioni.
A sua volta, il comma 3 dell'art. 51 prevede che «norme tecniche
integrative della disciplina di cui al titolo III della parte seconda
del presente decreto, concernenti la redazione degli studi di impatto
ambientale e la formulazione dei giudizi di compatibilita' in
relazione a ciascuna categoria di opere» siano «emanate con decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del
Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio, di concerto con i Ministri competenti
per materia e sentita la Commissione di cui all'art. 6».
Anche in questo caso e' palese l'invasione della competenza
regionale per quanto riguarda le VIA di carattere regionali: vizio
che invece non vi sarebbe se si dovesse intendere che tali norme
tecniche integrative non riguardano le procedure regionali. Se poi -
in denegata ipotesi - il potere pararegolamentare qui previsto
potesse giustificarsi per esigenze di unitarieta', non potrebbe non
essere prevista, ai sensi di nota giurisprudenza costituzionale (a
partire dalla sentenza n. 303 del 2003), l'intesa della Conferenza
Stato-regioni.
Ancora, il comma 5 prevede che con decreto del Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio (di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle
attivita' produttive) «si provvedera' ad accorpare in un unico
provvedimento, indicando l'autorita' unica competente, le diverse
autorizzazioni ambientali nel caso di impianti non rientranti nel
campo di applicazione del decreto legislativo 18 febbraio 2005,
n. 59, ma sottoposti a piu' di una autorizzazione ambientale di
settore».
Anche per tale decreto non e prevista - con conseguente vizio di
legittimita costituzionale alcuna procedura di collaborazione con le
regioni, nonostante che molte autorizzazioni ambientali rientrino
nella competenza regionale (alcune del resto in base allo stesso
d.lgs. n. 152).
Si noti che l'obiettivo di «accorpare in un unico provvedimento
le diverse autorizzazioni ambientali» era posto dalla legge delega
n. 308 del 2004 allo stesso legislatore delegato (art. 1, comma 9,
lett. f) ultimo periodo): mentre qui il legislatore delegato a sua
volta illegittimamente delega la potesta' normativa ricevuta ad un
decreto ministeriale che per «accorpare» le autorizzazioni ambientali
dovrebbe necessariamente incidere su provvedimenti autoritativi, in
violazione non solo dell'art. 76 Cost., quanto all'eccesso di delega,
ma dello stesso principio di legalita'.
Anche sotto tali profili dunque la norma in questione risulta
costituzionalmente illegittima.
B) Illegittimita' costituzionale delle disposizioni della parte
terza, recante «Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla
desertificazione, di tutela delle acque dall'inquinamento e di
gestione delle risorse idriche
Si ricorda in primo luogo che gli articoli 63 e 64 hanno gia'
formato oggetto di impugnazione nel ricorso n. 56 del 2006. La
presente impugnazione si riferisce dunque ad alcuni dei rimanenti
articoli.
I) Illegittimita' costituzionale dell'art. 57, commi 1, 4 e 6.
L'art. 57, comma 1, lett. a), stabilisce che il Presidente del
Consiglio dei ministri Comitato dei ministri, previa deliberazione
del Consiglio dei ministri, approva con proprio decreto (su proposta
del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio):
«1) Le deliberazioni concernenti i metodi ed i criteri, anche
tecnici, per lo svolgimento delle attivita' di cui agli articoli 55 e
56, nonche' per la verifica ed il controllo dei piani di bacino e dei
programmi di intervento;
2) i piani di bacino, sentita la Conferenza Stato-regioni;
3) gli atti volti a provvedere in via sostitutiva, previa
diffida, in caso di persistente inattivita' dei soggetti ai quali
sono demandate le funzioni previste dalla presente sezione;
4) ogni altro atto di indirizzo e coordinamento nel settore
disciplinato dalla presente sezione)» (il successivo art. 58, ad
esempio, menziona specificamente gli «indirizzi» e i «criteri» per
«lo svolgimento del servizio di polizia idraulica, di navigazione
interna e per la realizzazione, gestione e manutenzione delle opere e
degli impianti e la conservazione dei beni».
Inoltre (lett. b), su proposta del Comitato dei ministri di cui
al comma 2, esso approva il programma nazionale di intervento.
Il comma 4 dispone a sua volta che «al fine di assicurare il
necessario coordinamento tra le diverse amministrazioni interessate,
il Comitato dei ministri propone gli indirizzi delle politiche
settoriali direttamente o indirettamente connesse con gli obiettivi e
i contenuti della pianificazione di distretto e ne verifica la
coerenza nella fase di approvazione dei relativi atti».
Il comma 6 stabilisce che «i principi degli atti di indirizzo e
coordinamento di cui al presente articolo sono definiti sentita la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano».
Ad avviso della ricorrente regione, va affermato in primo luogo
che nel nuovo quadro dei rapporti tra lo Stato e le regioni non vi e'
piu' spazio costituzionale per la funzione statale di indirizzo e
coordinamento, come del resto espressamente riconosciuto dalla legge
n. 131 del 2003, secondo cui «nelle materie di cui all'art. 117,
terzo e quarto comma, della Costituzione non possono essere adottati
gli atti di indirizzo e di coordinamento di cui all'art. 8 della
legge 15 marzo 1997, n. 59, e all'art. 4 del decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 112».
Inoltre, la riemersione generalizza della funzione di indirizzo e
coordinamento realizza esattamente il contrario di quella
«riaffermazione del ruolo delle regioni» che secondo la lett. m)
dell'art. 1, comma 8, della legge di delega avrebbe dovuto formare
uno dei criteri direttivi (di qui l'illegittimita' anche per
violazione della legge di delega).
Se poi, in singoli ed eccezionali casi, tale funzione potesse
essere ammessa, e' evidente che non potrebbe esserlo che previa
intesa con la Conferenza Stato-regioni, secondo quella che era la
disciplina legislativa della funzione gia prima della riforma
costituzionale del 2001. Di qui l'illegittimita' costituzionale della
previsione della funzione di indirizzo (comma 1, n. 4), ed in ogni
caso del semplice parere richiesto alla Conferenza dal comma 6.
Si noti che gia' l'art. 52 del d.lgs. n. 112 prevedeva che il
disegno delle linee fondamentali dell'assetto del territorio
nazionali con riferimento ai valori naturali e ambientali e alla
difesa del suolo fosse compito di rilievo nazionale (comma 1), ma al
tempo stesso che dovesse essere esercitato attraverso intese nella
Conferenza Unificata (comma 3). La nuova disposizione contrasta
dunque anche con il principio di delega del rispetto delle competenze
regionali di cui a tale decreto (art. 1, comma 8).
Il comma 1 risulta ulteriormente illegittimo nella parte in cui
prevede (n. 1) «criteri e metodi statali, di cui e' detto che sono
«anche tecnici» in relazione allo svolgimento delle attivita' di cui
agli artt. 55 e 56, cioe' delle attivita' conoscitive, di
pianificazione, di programmazione e di attuazione.
Tale conferimento di potere viola in primo luogo il principio di
legalita': non puo' sfuggire infatti che l'oggetto del conferimento
e' del tutto indeterminato, considerando da un lato che non si tratta
di sole norme tecniche, ma di norme anche tecniche, dall'altro che il
conferimento riguarda la disciplina dell'intero ciclo della
conoscenza e della pianificazione, programmazione ed attuazione.
In secondo luogo, tale conferimento da' luogo ad un abnorme
potere normativo, che non si presta ad essere inquadrato negli schemi
costituzionali dei rapporti tra legge statale e legge regionale,
violando cosi' in modo evidente l'art. 117, secondo, terzo, quarto
comma, e violando al tempo stesso, in quanto potere regolamentare,
l'art. 117, sesto comma.
Se anche in denegata ipotesi un siffatto potere normativo fosse
ammissibile, sarebbe ( comunque palesemente illegittimo il suo
esercizio senza il coinvolgimento delle regioni nella forma
dell'intesa in sede di Conferenza Stato-regioni.
Si noti che d.lgs. n. 112 del 1998 gia' aveva stabilito
all'art. 54, comma 2, che le funzioni relative alla identificazione
dei criteri per la raccolta e l'informatizzazione di tutto il
materiale cartografico ufficiale esistente e per quello in corso di
elaborazione fossero esercitate d'intesa con la conferenza unificata,
con conseguente violazione, sotto questo profilo, dei principi di
delega e lesione delle competenze regionali.
Naturalmente, la censura verrebbe meno ove dovesse ritenersi che
le norme relative ai criteri e metodi sono destinati a disciplinare
soltanto le attivita' di cui agli art. 55 e 56, in quanto essi siano
svolte da organi statali.
Anche il n. 2, relativo alla approvazione dei piani di bacino
«sentita la Conferenza Stato-regioni» e' ad avviso della ricorrente,
regione illegittimo a prescindere dalle conseguenze delle censure
gia' rivolte avverso il nuovo sistema dei bacini idrografici e delle
relative autorita' istituito dagli artt. 63 e 64 nella parte in cui
non prevede l'intesa anziche' il semplice parere della Conferenza. La
censura si estende all'art. 66, nella parte in cui tale articolo non
prevede l'intesa della Conferenza per l'approvazione dei piani di
bacino.
Per le censure parzialmente corrispondenti in relazione ai
programmi di intervento si consideri quanto esposto in relazione
all'impugnazione degli artt. 70 e 72.
Va considerato che gli interventi previsti dai piani di bacini,
in quanto opere pubbliche, ricadono (o dovrebbero ricadere) come tali
nella competenza regionale, salvo che si tratti di speciali opere di
interesse strategico (l3 del 2001): sicche', anche nella misura in
cui sia legittima l'assunzione della competenza di programmazione al
livello statale, cio' non puo' avvenire senza lo strumento
dell'intesa, in base alle note regole fissate a partire dalla
sentenza n. 303 del 2003.
Anche il potere sostitutivo previsto dal n. 3 risulta
illegittimo, ove non lo si intenda - come peraltro il principio della
interpretazione costituzionalmente conforme imporrebbe - come
meramente attributivo della competenza presidenziale, e riferito alle
ipotesi in cui tale potere e' gia' legittimamente istituito dalla
disciplina sostanziale.
Ove invece tale si volesse intendere tale disposizione come norma
di conferimento di effettivi poteri sostitutivi, essa risulterebbe
costituzionalmente illegittima sia in quanto essa nella sua
indeterminatezza e generalita' viola il principio di legalita', sia
in quanto non sono previste le modalita' di collaborazione delle
regioni.
Illegittimo risulta anche il comma 4, ove si debba intendere che
il Comitato dei ministri nel «proporre» gli indirizzi delle politiche
settoriali direttamente o indirettamente connesse con gli obiettivi e
i contenuti della pianificazione di distretto e nel «verificarne» la
coerenza nella fase di approvazione dei relativi atti esercita in
qualunque modo un potere sovraordinato all'esercizio delle competenze
regionali di programmazione o comunque di approvazione di atti di
propria competenza.
In effetti, una tale supremazia del Comitato dei ministri non ha
alcun fondamento costituzionale, e viola sia la potesta' legislativa
che l'autonomia amministrativa delle regioni.
Infine, contrasta con il principio di sussidiarieta', con le
regole della leale collaborazione e con il criterio direttivo sopra
citato anche la disposizione contenuta nel comma 1, lett. b) che
attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri l'approvazione
del programma nazionale degli interventi senza prevedere alcun
coinvolgimento effettivo delle regioni.
Anche in questo caso l'intesa con la Conferenza Stato-regioni era
gia' prevista dall'art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 112 (secondo cui
la programmazione dei finanziamenti dello Stato in materia di difesa
del suolo era «da definirsi di intesa con la Conferenza
Stato-regioni».
Inoltre, l'art. 89, comma 1, lett. h), dello stesso decreto ha
conferito alle regioni e agli enti locali la programmazione e
pianificazione degli interventi di difesa della costa e degli abitati
costieri, mentre l'art. 89, comma 5, ha stabilito che per le opere di
rilevante importanza e suscettibili di interessare il territorio di
piu' regioni lo Stato e le regioni interessate stipulino accordi di
programma con i quali sono definite le appropriate modalita' anche
organizzative di gestione.
La violazione del decreto legislativo n. 112 del 1998 si traduce,
come sopra illustrato, in violazione della legge di delega ed in
lesione delle competenze costituzionali delle regioni.
II) Illegittimita' costituzionale dell'art. 58.
Per ragioni analoghe a quelle esposte in relazione all'art. 57
risultano illegittime ed invasive delle competenze regionali anche le
corrispondenti previsioni che nell'art. 58 identificano le competenze
del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.
In particolare, risulta illegittimo e lesivo il comma 3 nella
parte in cui affida alla competenza del Ministro le funzioni di cui
alle lettere a) (programmazione, finanziamento e controllo degli
interventi in materia di difesa del suolo), b) previsione,
prevenzione e difesa del suolo da frane, alluvioni e altri fenomeni
di dissesto idrogeologico), d) (identificazione delle linee
fondamentali dell'assetto del territorio nazionale con riferimento ai
valori naturali e ambientali e alla difesa del suolo, nonche' con
riguardo all'impatto ambientale dell'articolazione territoriale delle
reti infrastrutturali, delle opere di competenza statale e delle
trasformazioni territoriali), ad esclusione di quanto riguarda le
opere di competenza statale, e) (determinazione di criteri, metodi e
standard di raccolta, elaborazione, da parte del Servizio geologico
d'Italia - Dipartimento difesa del suolo dell'Agenzia per la
protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), e di
consultazione dei dati, definizione di modalita' di coordinamento e
di collaborazione tra i soggetti pubblici operanti nel settore,
nonche' definizione degli indirizzi per l'accertamento e lo studio
degli elementi dell'ambiente fisico e delle condizioni generali di
rischio), g) coordinamento dei sistemi cartografici: in quanto si
intendano tutti tali disposizioni non come riferite genericamente al
ruolo che in tali ambiti al Ministro spetta in relazione ad altre
legittime norme, ma come diretta attribuzione di una competenza
propria del Ministro.
Specificamente in relazione alla lettera a), gia' si e' sopra
ricordato che l'art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 112 stabiliva che la
programmazione dei finanziamenti dello Stato in materia di difesa del
suolo fosseda definirsi di intesa con la Conferenza Stato-regioni», e
che l'art. 89, comma 1, lett. h), dello stesso decreto ha conferito
alle regioni e agli enti locali la programmazione e pianificazione
degli interventi di difesa della costa e degli abitati costieri,
mentre l'art. 89, comma 5, ha stabilito che per le opere di rilevante
importanza e suscettibili di interessare il territorio di piu'
regioni lo Stato e le regioni interessate stipulino accordi di
programma con i quali sono definite le appropriate modalita' anche
organizzative di gestione.
Specificamente in relazione alla lettera d), che assegna al
Ministro l'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del
territorio nazionale con riferimento alla difesa si ricorda ancora
che a termini dell'art. 52, comma 3 del d.lgs. n. 112 che tale
identificazione e' compito di rilievo nazionale ma deve essere
compiuta attraverso intese nella conferenza unificata.
III) Illegittimita' costituzionale dell'art 59.
L'art. 59 disciplina le Competenze della conferenza
Stato-regioni.
Secondo tale disposizione, la Conferenza formula «pareri,
proposte ed osservazioni, anche ai fini dell'esercizio delle funzioni
di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 57, in ordine alle
attivita' ed alle finalita' di cui alla presente sezione, ed ogni
qualvolta ne e' richiesta dal Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio.».
Le successive lettere da a) ad e) dettagliano tale funzione
generale in relazione a singoli ambiti, senza mutare la qualita' del
ruolo cosi' individuato. E' di tutta evidenza che nell'intero
articolo la parola intesa, che dovrebbe identificare il centro delle
funzioni della Conferenza, non figura neppure una volta. Al
contrario, essa appare formulare «proposte» (lett. a e b),
«osservazioni» lett. c, sui piani di bacino, ai fini della loro
conformita' ad indirizzi e criteri che non hanno condiviso!),
esprimere «pareri» (lett. d, e lett. e).
E' chiaro che la Conferenza, ben al contrario che essere
valorizzata, subisce un netto depotenziamento delle proprie funzioni,
e viene persino caratterizzata in termini generali come un organismo
meramente consultivo.
Risulta paradossale, e costituzionalmente illegittimo, che dopo
la riforma del Titolo V operata nel 2001 il legislatore statale
pretenda di ridurre la Conferenza Stato-regioni ad un mero ruolo
consultivo. Tra l'altro, questa riduzione viola in modo palese la
lettera e lo spirito della legge di delega, che, accanto ad altri
criteri di garanzia per le regioni gia' ricordati, tra l'altro poneva
il vincolo della di valorizzazione del ruolo e delle competenze degli
organismi a composizione mista statale e regionale lettera c) del
comma 9 dell'art. 1 della legge delega n. 308 del 2004).
IV) Illegittimita' costituzionale dell'art. 70, commi 1 e 3, e
dell'art. 72, comma 4.
L'art. 70 disciplina i programmi di intervento. Il comma 1
prevede che essi siano (adottati dalla Conferenza istituzionale
permanente di cui all'art. 63, comma 4». Il comma 3 dispone che i
nuovi programmi di intervento relativi al triennio successivo,
adottati secondo le modalita' di cui al comma 1, siano «trasmessi al
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, affinche' ...
sulla base delle previsioni contenute nei programmi e sentita la
Conferenza Stato-regioni, trasmetta al Ministro dell'economia e delle
finanze l'indicazione del fabbisogno finanziario per il successivo
triennio, ai fini della predisposizione del disegno di legge
finanziaria».
L'art. 72, comma 4, prevede che «il programma nazionale di
intervento e la ripartizione degli stanziamenti, ivi inclusa la quota
di riserva a favore dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e
per i servizi tecnici (APAT), sono approvati dal Presidente del
Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 57».
I due commi sopra riportati dell'art. 70 ed il comma 4
dell'art. 72 si connettono al riparto di compiti di cui all'art. 57,
gia' sopra contestato.
Anche da essi risulta evidente che le regioni sono private di
poteri decisionali anche in relazione alla pianificazione degli
interventi attuativi del piano. In effetti, vi e' solo un parere
della Conferenza Stato-regioni, anziche' una intesa, e per giunta il
parere si riferisce soltanto, a quel che sembra, alla (indicazione
del fabbisogno finanziario per il successivo triennio.».
Le disposizioni appaiono dunque illegittime, per violazione del
principio di leale collaborazione e lesione delle competenze
regionali, nella parte in cui prevedono il parere anziche' l'intesa,
e nella parte in cui non prevedono l'intesa in relazione all'adozione
ed alla approvazione del programma.
Si noti tuttavia che anche lo strumento dell'intesa in sede di
Conferenza non soddisfa completamente le esigenze di tutela delle
competenze regionali. Occorre infatti considerare che non si tratta
qui di decisioni indivisibili di livello nazionale, alle quali le
regioni collaborano come un insieme, ma di decisioni di interventi
che in definitiva interessa ciascuna singola regione come tale.
Di qui la necessita', ad avviso della ricorrente regione, che,
secondo la stessa logica del piano di opere di interesse strategico
di cui alla legge n. 443 del 2001, sia stabilita la necessita'
dell'intesa della singola regione, in relazione alle opere da
eseguire nel proprio territorio: a tutela sia degli interessi propri
del sistema idrico, sia degli altri interessi connessi in genere al
governo del territorio, che rientrano nella responsabilita' precipua
delle regioni.
Ne risulta che l'art. 70, comma 1, e' costituzionalmente
illegittimo per le ragioni indicate anche nella parte in cui non
prevede sul programma di interventi l'intesa di ciascuna regione
territorialmente interessata.
Specificamente in relazione all'art. 72, comma 4, si osserva che
tale disposizione contrasta anche con l'art. 86, comma 3, del d.lgs.
n. 112 del 1998, che prevede la «definizione della programmazione dei
finanziamenti dello stato in materia di difesa del suolo d'intesa con
la Conferenza Stato-regioni». E' conseguentemente violata la delega
che dispone la salvaguardia delle competenze regionali gia' previste
da tale decreto.
V) Illegittimita' costituzionale dell'art. 96.
Il comma 1 dell'art. 96 riscrive l'art. 7 del T.U. delle
disposizioni sulle acque e impianti elettrici, apportando alcune
modificazioni al testo introdotto dal d.lgs. n. 152/1999 (art. 23,
primo comma), che incidono sul procedimento per il rilascio delle
concessioni di acqua pubblica.
Il nuovo testo dispone che le domande relative sia alle grandi
sia alle piccole ( derivazioni siano trasmesse alle Autorita' di
bacino territorialmente competenti che, entro il termine
rispettivamente di novanta e di quaranta giorni» comunicano il
proprio parere vincolante ai competente Ufficio istruttore in ordine
alla compatibilita' della utilizzazione con le previsioni del Piano
di tutela, ai fini del controllo sull'equilibrio del bilancio idrico
o idrologico, anche in attesa di approvazione del Piano anzidetto.».
Dispone ancora che «decorsi i predetti termini senza che sia
intervenuta alcuna pronuncia, il Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio nomina un Commissario ad acta che provvede
entro i medesimi termini decorrenti dalla data della nomina».
Si deve osservare che le competenze della Regione Emilia-Romagna
sono concretamente incise dalla norma contestata: infatti la regione
ha adottato una propria disciplina procedimentale con la legge
n. 3/1999 e con il successivo regolamento regionale n. 41/2001, in
attuazione del conferimento di funzioni operato con il d.lgs.
n. 112/1998.
In particolare, la previsione che le nuove Autorita' di Bacino,
ora connotate da una composizione a predominanza statale, esprimano
sulle grandi derivazioni il parere in un termine che passa da 40
giorni a 90 giorni e che esso sia vincolante, e che in caso di
mancata espressione del parere non operi piu' il silenzio assenso, ma
si proceda alla nomina di un commissario ad acta che ha altri novanta
giorni per esprimersi da un lato sottrae alle regioni competenze gia'
loro spettanti, dall'altro comporta una enorme dilatazione dei tempi,
in aperto contrasto quindi con gli obiettivi di semplificazione
indicati dalla legge di delega (art. 1, comma 9, lett. b).
Nonostante la materia della gestione di tali procedimenti sia
gia' stata delegata alle regioni (art. 86, 89 del d.lgs.
n. 112/1998), le competenze regionali sono completamente ignorate
dalla disciplina impugnata, sicche' anche sotto questo profilo essa
appare lesiva della stessa legge di delega che impone al legislatore
delegato il rispetto del riparto di competenze fissato dal decreto
112.
Quanto osservato in relazione al comma 1 vale ugualmente in
relazione agli altri commi dell'art. 96, i quali contengono una
disciplina analitica e dettagliata, quasi si trattasse di riscrivere
il testo unico del 1933 con la logica di allora.
Ma, come ha osservato codesta ecc. Corte nella sent. n. 31/2006,
a proposito della gestione del demanio idrico, «alla luce del nuovo
testo dell'art. 118 Cost., dopo la riforma del Titolo V della Parte
II, l'attribuzione alle Regioni ed agli enti locali delle funzioni
amministrative in materia e' sorretta dal principio di
sussidiarieta'.». Non appare percio' legittimo che lo Stato emani in
materia norme legislative che entrano analiticamente nel dettaglio,
sono autoapplicative sino al punto di svuotare l'ambito di
discrezionalita' della regione, sottopongono l'uso dei poteri
normativi che residuano alla regione a direttive delle quali non si
indicano neppure l'autorita' competente e le modalita' di emanazione
(a tacere dell'obbligo di rispettare nella formazione di esse il
principio di leale cooperazione: cfr. comma 11).
Inoltre, la disciplina delle derivazioni d'acqua non e'
contemplata nell'oggetto della delega, e l'attenuazione del livello
di protezione ambientale (si veda la sanatoria degli abusi
contemplata dal comma 6) contraddice uno dei principi direttivi della
delega stessa.
Per queste ragioni, e salvi i piu' specifici rilievi mossi alle
sue singole disposizioni, l'art. 96 risulta dunque illegittimo nella
sua interezza per violazione degli artt. 117, 118 e 76 Cost.
VI) Illegittimita' costituzionale degli articoli 104, commi 3 e
4, 113, comma 1, e 114 comma 1.
Le disposizioni degli articoli 104, 113 e 114 riguardano diverse
misure di tutela delle acque. Esse sono pero' accomunate da una
identica illegittima impostazione dei rapporti tra autonomia
legislativa e amministrativa regionale e «direzionestatale» come di
seguito specificato.
L'art. 104 (Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee) al
comma 3 attrae al livello ministeriale compiti di autorizzazione di
scarichi risultanti dall'estrazione di idrocarburi nelle unita' del
sottosuolo da cui sono stati estratti, laddove l'art. 89 del d.lgs.
n. 112/l998, lett. i) ne prevedeva l'attribuzione alle regioni. Ne
risultano percio' violati sia il riparto di attribuzioni gia' fissato
dal legislatore statale precedente alla riforma costituzionale del
2001, sia il preciso criterio direttivo stabilito dalla legge di
delega, al comma 8 dell'art. 1, che richiama appunto l'assetto delle
competenze di cui al d.lgs. n. 112 e ne prescrive l'inderogabilita'.
Per parte sua il comma 4, laddove prescrive che, «l'autorita'
competente, dopo indagine preventiva anche finalizzata alla verifica
dell'assenza di sostanze estranee, puo' autorizzare gli scarichi
nella stessa falda delle acque utilizzate per il lavaggio e la
lavorazione degli inerti, purche' i relativi fanghi siano costituiti
esclusivamente da acqua ed inerti naturali ed il loro scarico non
comporti danneggiamento alla falda acquifera» risulta in contrasto
con l'art. 4, comma 3, della direttiva 1980/68/CEE, che consente agli
Stati membri di autorizzare gli scarichi consistenti nella
reiniezione nella stessa falda solo «delle acque utilizzate per scopi
geotermici, delle acque di infiltrazione di miniere o cave, o delle
acque pompate nel corso di determinati lavori di ingegneria civile)
non anche delle acque utilizzate per il lavaggio e la lavorazione
degli inerti.
L'art. 113 (Acque meteoriche di dilavamento e acque di prima
pioggia) al comma 1, assegna alle regioni il compiti di
«disciplinare» e di «attuare» a) le forme di controllo degli scarichi
di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie
separate, e b) i casi in cui puo' essere richiesto che le immissioni
delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre
condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni.
Tuttavia, l'esercizio delle funzioni regionali viene subordinato
al «previo parere del Ministero dell'ambiente della tutela del
territorio». Si realizza cosi' un'inconsueta quanto illegittimita'
sottoposizione della regione, anche nell'esercizio delle sue funzioni
normative, ad ingerenze esercitate dall'autorita' amministrativa
statale: il che e' palesemente contrario all'assetto delle competenze
posto dagli artt. 117 e 118, nonche' agli stessi limiti prescritti
dalla legge di delega. Ne' si puo' salvare la disposizione attraverso
un'interpretazione adeguatrice che riporti il «previo parere» ad una
funzione di ausilio meramente tecnico: se anche non mancano nella
legislazione esempi di funzioni amministrative il cui esercizio da
parte delle regioni e' sottoposto al parere di organismi tecnici, e
cio' a protezione degli specifici interessi che essi hanno in cura,
nel presente caso cio' non e' in alcun modo sostenibile. Il «previo
parere» e' espresso dal Ministero, senza alcuna ulteriore indicazione
soggettiva o oggettiva che possa ridurre l'ingerenza di un organo
caratteristicamente dotato di funzioni politico-amministrative alla
dimensione della mera discrezionalita' tecnica o tecnico-scientifica.
Di qui l'illegittimita' costituzionale di tale vincolo posto dal
comma 1.
L'art. 114 (Dighe) si occupa nel primo comma, a cui e'
circoscritta la presente (impugnazione, esclusivamente della
restituzione delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica:
anche in questo caso l'autonomia normativa regionale e' riconosciuta
ma sottoposta al «previo parere» del ministero. Valgono percio' le
stesse censure mosse all'articolo precedente.
VII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 121, comma 2.
L'art. 121 disciplina i piani di tutela delle acque. Il comma 2
dispone che «le Autorita' di bacino, nel contesto delle attivita' di
pianificazione o mediante appositi atti di indirizzo e coordinamento,
sentite le province e le Autorita' d'ambito, definiscono gli
obiettivi su scala di distretto cui devono attenersi i piani di
tutela delle acque, nonche' le priorita' degli interventi.». Dispone
inoltre che «le regioni, sentite le province e previa adozione delle
eventuali misure di salvaguardia, adottano il Piano di tutela delle
acquee lo trasmettono al Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio nonche' alle competenti Autorita' di bacino, per le
verifiche di competenza».
In questi termini, il piano adottato dalla regione risulta
sottoposto alla «supervisione» del Ministero, a cui il Piano va
trasmesso «per le verifiche di competenza». La norma appare
palesemente lesiva delle prerogative costituzionali delle regioni
come stabilite dagli artt. 117 e 118 Cost.
Inoltre, la previsione eccede i limiti della delega legislativa,
essendo in chiara contraddizione con l'assetto delle funzioni
amministrative che vigeva prima della riforma costituzionale del
Titolo V, e precisamente con l'art. 44 del d.lgs. n. 152/1999, ora
abrogato, secondo cui il Piano deliberato dalle regioni non
soggiaceva ad alcun controllo ministeriale.
Non appare consentito allo Stato modificare in senso meno
favorevole alle regioni il quadro delle competenze legislative e
amministrative vigente prima della riforma costituzionale, come
codesta ecc. Corte ha avuto gia' modo di affermare esplicitamente in
relazione ai rapporti finanziari (sent. 320/2004): e cio' in
particolare modo quando, come nel presente caso - e' la stessa legge
di delega che impone di valorizzare, e non restringere, il ruolo
delle regioni.
VIII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 124, commi 4 e 5.
L'art. 124 disciplina i criteri generali per le autorizzazioni
agli scarichi.
I commi 4 e 5 attribuiscono all'Autorita' d'ambito poteri
autorizzatori che sono del tutto impropri, in quanto le Autorita'
d'ambito non sono munite di strutture tecniche che possano far fronte
a questa competenza. Oltre ad essere irragionevole, dunque, tale
scelta legislativa viola, trattandosi di scarichi nella rete
fognaria, la competenza del comune, cosi' come fissata dall'art. 45
del d.lgs. n. 152/1999 e dalla stessa legislazione regionale, che
viene di conseguenza indebitamente contraddetta.
Risultano dunque violati gli artt. 117 e 118 Cost.
C) Illegittimita' costituzionale di disposizioni della parte
terza, sezione III, Titolo II (Servizio idrico integrato).
Nell'ambito della parte terza del decreto impugnato il
legislatore statale disciplina, alla Sezione Terza, la «Gestione
delle risorse idriche», ivi compreso, al Titolo II, il «Servizio
idrico integrato».
La disciplina di tale servizio, come e' noto e come meglio si
dira', spetta alle regioni, secondo il riparto di competenze di cui
all'art. 117 Cost. Ed infatti, nel tentativo di dare individuare il
fondamento costituzionale della potesta' legislativa cosi' esercitata
il legislatore statale precisa subito che la propria disciplina e'
limitata ai «profili che concernono la tutela dell'ambiente e della
concorrenza e la determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni del servizio idrico integrato e delle relative funzioni
fondamentali di comuni, province e citta' metropolitane» (art. 141,
comma 1, d.lgs. n. 152/2006).
Sennonche', se dall'astratta enunciazione dell'art. 141 cit. si
passano ad esaminare in concreto le successive disposizioni dettate
dal legislatore statale, ci si avvede immediatamente che esse
travalicano di gran lunga i legittimi ambiti di intervento statale.
Appare infatti del tutto evidente come la normativa statale -
quando non risulta ictu oculi del tutto estranea rispetto agli ambiti
indicate all'art. 141, comma 1 - sia stata comunque emanata senza
tenere nel dovuto conto il riparto costituzionale, come precisato
dalla giurisprudenza di codesta ecc. ma Corte costituzionale: cio'
tanto - in via generale - con riguardo alla ricostruzione delle
«materie» di cui all'art. 117, secondo comma Cost. (evocate
all'art. 141, comma 1, d l.gs. n. l52/2006: ambiente, concorrenza,
livelli essenziali della prestazioni) operata dalla giurisprudenza
costituzionale nel corso di questi ultimi anni, quanto - a livello
particolare - con riferimento specifico all'inquadramento
costituzionale del servizio idrico integrato, del quale la Corte ha
avuto recentemente occasione di occuparsi.
Con riferimento al primo dei due profili indicati (la
ricostruzione delle materie), va infatti innanzitutto osservato come
i titoli di competenza invocati dal legislatore statale consistano
non gia' in «normali materie» di cui all' art. 117, secondo comma
Cost. (le quali legittimerebbero una competenza statale legislativa
esclusiva) ma piuttosto in «materie trasversali», le quali come ben
noto se da un lato consentono un intervento statale con riferimento a
qualunque materia, ivi comprese quelle riservate ex art. 117, comma
quarto alla competenza esclusiva regionale, dall'altro, proprio per
tale ragione, impongono che l'intervento statale sia limitato
tassativamente alla disciplina di quanto e' strettamente necessario
al conseguimento della finalita' cui la clausola trasversale medesima
e' preordinata: pena, in caso contrario, il fin troppo evidente
sostanziale svuotamento di qualunque prerogativa costituzionale delle
regioni.
Tali principi sono gia' stati bene e chiaramente evidenziati da
parte di codesta Corte.
Cosi', innanzitutto, con riferimento alla materia della «tutela
dell'ambiente» (art. 117, secondo comma, lettera s), la Corte ha
chiarito inequivocabilmente come sia da escludere che essa si
configuri come «"materia" in senso tecnico» riconducibile ad una
«sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata,
giacche', al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente
con altri interessi e competenze». Secondo la Corte, e' agevole
ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore"
costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta
di materia "trasversale" in ordine alla quale si manifestano
competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo
Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di
disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale» (Corte cost.
n. 407-2002, punto 3.2 in diritto). Tale conclusione, del resto,
emerge anche dai lavori preparatori della legge cost. n. 3/2001, i
quali inducono «a considerare che l'intento del legislatore sia stato
quello di riservare comunque allo Stato il potere di fissare
standards di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, senza
peraltro escludere in questo settore la competenza regionale alla
cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente
ambientali» di modo che si puo' quindi ritenere che riguardo alla
protezione dell'ambiente non si sia sostanzialmente inteso eliminare
la preesistente pluralita' di titoli di legittimazione per interventi
regionali diretti a soddisfare contestualmente, nell'ambito delle
proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere
unitario definite dallo Stato) (ancora Corte cost. n. 407 2002, cit.
punto 3.2 in diritto).
Considerazioni analoghe valgono anche per quanto riguarda la
«tutela della concorrenza» (art. 117, lett. e), Cost.), la quale e'
stata parimenti qualificata da codesta Corte come una
«materia-funzione», caratterizzata da un'estensione non rigorosamente
circoscritta e determinata, ma piuttosto trasversale dal momento che
«si intreccia inestricabilmente con una pluralita' di altri interessi
- alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o
residuale delle Regioni»: dal che consegue la necessita' di «di
basarsi sul criterio di proporzionalita' -adeguatezza al fine di
valutare, nelle diverse ipotesi, se la tutela della concorrenza
legittimi o meno determinati interventi legislativi dello Stato»,
(Corte cost. n. 272/2004, punto 3 in diritto).
Quanto alla «determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma,
lett. m), Cost.) essa appare del tutto estranea rispetto all'oggetto
delle disposizioni statali relative al servizio idrico: e del resto
codesta Corte ha gia' pacificamente escluso che essa possa essere
invocata per giustificare una competenza statale in materia di
servizi pubblici locali quale e' appunto il servizio idrico (cfr.
Corte cost. 272-2004). Le motivazioni di tale esclusione si adattano
perfettamente al caso presente: anche la disciplina dei servizi
idrici recata dalle disposizioni qui impugnate infatti come gia'
quella di cui all'art. 113, comma 7, secondo e terzo periodo, d.lgs.
n. 267/2000 - «riguarda precipuamente servizi di rilevanza economica
e comunque non attiene alla determinazione di livelli essenziali
(Corte cost. n. 272/2004, punto 3 in diritto).
A conclusioni corrispondenti si deve giungere per quanto riguarda
la materia relativa «alle funzioni fondamentali di comuni, province e
citta' metroolitane» di cui all'art. 117, comma 2, lett. p), Cost.,
pure invocata dal decreto legislativo: considerato che la gestione
dei servizi pubblici locali «non puo' certo considerarsi esplicazione
di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale» (ancora
Corte cost. n. 272/2004, punto 3 in diritto).
Quanto allo specifico profilo relativo all'inquadramento del
servizio idrico, va osservato come - nel corso dello scrutinio di
costituzionalita' di una legge regionale avente ad oggetto proprio il
servizio idrico integrato - la Corte abbia avuto recentissimamente
modo di stabilire in modo assolutamente chiaro come «la materia dei
servizi pubblici locali ... appartiene alla competenza residuale
delle regioni» (Corte cost. n. 29/2006, punto 7 in diritto).
Risulta pertanto inesatta nel decreto legislativo qui impugnato
anche la collocazione della competenza regionale - nei limiti in cui
essa e' riconosciuta nel solo ambito del «governo del territorio»
(cfr. art. 142, comma 2). Tale disposizione, se pure mostra la
consapevolezza dell'impossibilita' di ricondurre l'intero fenomeno
del servizio idrico integrato alla sola competenza esclusiva statale,
risulta anch'essa, come e' evidente dal confronto con quanto appena
illustrato estremamente riduttiva della competenza regionale.
In tale contesto, risulta dunque ampiamente confermato quanto
sopra indicato: cioe' che e' innegabile la presenza di competenze
legislative regionali costituzionalmente riconosciute in materia di
servizio idrico integrato (per di piu', competenze di tipo esclusivo
di cui all'art. 117, quarto comma Cost., con la conseguenza che
l'operativita' delle richiamate «clausole trasversali», o
«materie-funzione» di cui all'art. 117, secondo comma, cost., se da
un lato e' ben in grado di fondare una concorrente legittimazione
normativa statale, deve tuttavia tenere necessariamente conto delle
intrecciate competenze regionali, e deve dunque essere esercitata nel
rispetto dei principi di proporzionalita' e adeguatezza, dunque nella
misura strettamente necessaria ad assicurare le finalita' indicate
dalle citate «clausole trasversali».
Ad avviso della ricorrente regione, i limiti dell'intervento
statale sono stati superati in particolare nelle disposizioni di
seguito indicate.
I) Illegittimita' costituzionale dell'art. 147, comma 2, lett.
b), e art. 150, comma 1.
L'art. 147, comma 2, lett. b), impone inderogabilmente la
«unicita' della gestione» del servizio idrico all'interno di ciascun
ambito territoriale.
Tale previsione risulta innanzitutto incostituzionale in quanto,
come dinanzi appena esposto, essa non trova fondamento in alcuna
delle materie richiamate all'art. 141, comma 1, del d.lgs. n. 52/2006
(ne', peraltro, in nessun'altra di quelle elencate nell'art. 117,
secondo comma, risultando al contrario assorbita nell'ambito della
competenza residuale esclusiva regionale in tema di servizi pubblici
locali ex art. 117, quarto comma cost. (come statuito dalla citata
sentenza n. 29/2006 della Corte cost.).
La disposizione dunque compie scelte che sono riservate al
legislatore regionale.
Si aggiunga che tali scelte costituiscono anche violazione del
principio di ragionevolezza (ex art. 3 Cost.), in quanto adottata
senza tenere conto dei potenziali effetti negativi che essa e' in
grado di produrre.
Al riguardo si consideri come l'imposizione - sempre e comunque -
di una gestione unica del servizio idrico mal si concili con le
particolari esigenze e le peculiarita' delle singole realta'
territoriali, le quali ben potrebbero invece consigliare - in casi
particolari - una soluzione differente.
Ed al riguardo si osservi come di tale realta' era ben
consapevole il legislatore della legge Galli (legge n. 36/1994), il
quale non a caso aveva previsto il diverso criterio della unitarieta'
attraverso il superamento della frammentazione delle gestioni
esistenti: ma non la rigida necessaria unicita' della gestione. Nel
medesimo senso, peraltro, si era mosso anche il legislatore regionale
il quale, con l.r. n. 25/1999, aveva fatto proprio il criterio
dell'unitarieta', ma non della unicita' della gestione.
Di conseguenza, oltre a confermare la compressione delle
attribuzioni legislative regionali gia' legittimamente esercitate con
la l.r. n. 25/1999 cit., la disposizione in parola risulta inoltre
ulteriormente incostituzionale per eccesso di delega (art. 76 cost.),
poiche' introduce in un decreto delegato di mero «riordino,
coordinamento e integrazione della materia (cfr. art. 1, comma 1,
legge n. 308/2004) una previsione del tutto nuova, che innova
radicalmente rispetto al sistema della legge Galli (legge n. 36/1994)
senza che nel testo della delega sia possibile rinvenire un reale
fondamento a tale potere.
Per le medesime ragioni e' incostituzionale pure l'art. 150,
comma 1, nella parte in cui presuppone quale principio cui informare
la gestione del servizio idrico quello della «unicita' della
gestioni».
II) illegittimita' costituzionale dell'art. 150, comma 2.
La disposizione in questione stabilisce che l'aggiudicazione
della gestione del servizio idrico integrato sia effettuata
dall'Autorita' d'ambito - nel rispetto dei criteri di cui
all'art. 113, comma 7, del d.lgs. n. 67/2000, - «secondo modalita' e
termini stabiliti con decreto del Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in
materia».
La disposizione risulta incostituzionale, per diverse ragioni.
Innanzitutto, essa si pone in evidente contrasto con quanto gia'
chiaramente affermato da codesta Corte, la quale - nel richiamarsi ai
principi di proporzionalita' ed adeguatezza quali parametri
indispensabili ai fini della conformazione dei limiti della potesta'
esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza - ha gia'
avuto modo di dichiarare l'incostituzionalita' del secondo e del
terzo periodo dell'art. 113, comma 7, d.lgs. n. 267/2000, per la
ragione che tali previsioni, per l'indicazione dell'estremo dettaglio
dei criteri di aggiudicazione, vanno «al di la' della pur doverosa
tutela degli aspetti concorrenziali inerenti alla gara», realizzando
una «illegittima compressione dell'autonomia regionale, poiche'
risulta ingiustificato e non proporzionato rispetto all'obiettivo
della tutela della concorrenza l'intervento legislativo statale»
(Corte cost. n. 272/2004, punto 3, in fine).
In tale contesto, e' evidente che la disposizione qui impugnata
opera una analoga - illegittima - compressione di quella operata
dalla disposizione gia' caducata dalla Corte, con il riservare al
livello statale la determinazione delle modalita' e dei termini
d'aggiudicazione.
Ne' si obietti che la definizione deve avvenire «nel rispetto
delle competenze regionali in materia»: posto infatti che la Corte
con la sentenza n. 272/2004 ha gia' chiarito che gli «aspetti
concorrenziali inerenti alla gara ... appaiono sufficientemente
garantiti dalla puntuale indicazione, nella prima parte del comma, di
una serie di standard - coerenti con quelli contenuti nella direttiva
2004/18/CE - nel cui rispetto la gara appunto deve essere indetta ed
aggiudicata», ne consegue che ogni previsione ulteriore si colloca
con tutta evidenza al di la' di quanto consentito e richiesto dai
principi di adeguatezze e proporzionalita', in palese compressione
delle legittime facolta' delle Regioni., 2 Se cio' non bastasse, la
disposizione e' ulteriormente incostituzionale in quanto anziche'
disciplinare modalita' e termini di aggiudicazione con un atto
legislativo, ne rimanda sorprendentemente la definizione ad un
«decreto del Ministero dell'ambiente».
Siamo cioe' in presenza di un atto normativo sostanzialmente
regolamentare che interviene in materia riservata alla competenza
esclusiva residuale delle regioni in materia di servizi pubblici
locali ex art. 117, in palese violazione dell'art. 117, comma 6,
Cost.
Ne' si potrebbe salvare la disposizione affermando che
l'intervento sarebbe comunque affidato ad un atto che non e'
formalmente denominato «regolamento». E' infatti del tutto evidente
che, cosi' ragionando, si ottiene l'effetto fin troppo scoperto di
rendere tamquam non esset la citata previsione costituzionale: basta
che il legislatore statale stia attento a non usare il nome
«sbagliato» (o forse, corretto...) di «regolamento».
D'altra parte, la prevalenza della forma sulla sostanza ai fini
del riconoscimento della natura degli atti e' gia' pacificamente
affermata da codesta Corte (cfr. sentenza n. 88/2003 e n. 12/2004).
Fermi restando i motivi dinanzi esposti - ciascuno dei quali
autonomamente assorbente ed invalidante - per completezza va notato
come la disposizione sia comunque ulteriormente illegittima per
eccesso di delega (art. 76 cost), in quanto introduce una
disposizione innovativa in violazione da un lato dell'art. 1, comma
1, legge n. 308/2004 che impone il solo «riordino, coordinamento e
integrazione» della materia (mentre la previsione innova radicalmente
rispetto al sistema della legge Galli), dall'altro del d.lgs.
n. 112/1998 (il cui rispetto e' invece imposto dall'art. 1, comma 8,
della legge di delega), il cui art. 88 non riserva certo al livello
di governo statale il compito di disciplinare le modalita' ed i
termini per l'aggiudicazione della gestione del servizio idrico
integrato.
III) Illegittimita' costituzionale degli articoli 159-160.
Gli artt. 159 e 160 dispongo la costituzione di una «Autorita' di
vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti» - in realta', nella
sostanza, un apparato ministeriale, - e ne disciplinano i molti e
penetranti poteri.
Anch'essi tuttavia risultano incostituzionali per le medesime
ragioni gia' esposte.
In primo luogo, ad essere illegittima e' innanzitutto la
costituzione in se' dell'Autorita', in quanto di essa non vi e' alcun
traccia nella legge di delega: che risulta dunque sotto tale punto
violata.
Sotto altro profilo, non si spiega come sia possibile la
istituzione di un organismo centrale di tal sorta con riferimento ad
un ambito - quello del servizio idrico integrato - che in quanto
rientrante nel novero dei «servizi pubblici locali» e' affidato alla
competenza esclusiva regionale ex art. 117, quarto comma Cost. (cfr.
Corte cost., 29/2006; 272/2004). Del resto, sotto tale profilo,
l'intervento statale risulta manifestamente lesivo delle prerogative
della ricorrente, posto che la Regione Emilia-Romagna aveva gia'
proceduto ad istituire una propria autorita' regionale di vigilanza
(cfr. artt. 20 e 21 l.r. n. 25/l999).
Del resto, l'attribuzione di funzioni amministrative ad un organo
statale in assenza di reali motivi che ne giustifichino un'attrazione
a livello statale costituisce al contempo violazione dell'art. 118,
primo comma Cost., oltre ad essere radicalmente da escludere anche
alla luce dei contenuti del d.lgs. n. 112/l998, che a tali funzioni
non fa alcun accenno nel suo art. 88: con conseguente ulteriore
eccesso di delega per violazione dell'art. 1, comma 8,
legge n. l08/2004.
E' al contrario evidente che una realta' quale quella del
servizio idrico integrato si riferisce ad una dimensione che
trascende l'ambito puramente locale, ma e' pienamente compresa in
quello regionale, e non richiede affatto un esercizio unitario di
funzioni amministrative a livello statale. In ogni caso,
un'attrazione di tali potesta' ad opera della Stato potrebbe essere
consentita - ricorrendone i presupposti sostanziali (cosa che non e'
nel presente caso) - previo reale coinvolgimento delle regioni
nell'esercizio del potere, in ossequio al principi indicati con la
nota sentenza n. 303/2003 della Corte cost.
Infine sotto un diverso profilo, le disposizioni impugnate
appaiono incostituzionali per violazione del principio di
ragionevolezza in quanto costituiscono un organismo denominato
«Autorita» pur in assenza dei caratteri di indipendenza, capacita'
tecnica e terzieta' che dovrebbero caratterizzare le «Autorita».
IV) Illegittimita' costituzionale dell'art. 166, comma 1.
L'art. 166, comma 1, disciplina gli «usi delle acque irrigue e di
bonifica».
La materia rientra, tuttavia, in parte nell'ambito della materia
agricoltura, in parte nell'ambito dei lavori pubblici di interesse
regionale: entrambi affidati alla competenza legislativa esclusiva
delle regioni ex art. 117, quarto comma, Cost.
Di qui l'illegittimita' dell'intervento normativo statale.
In particolare, la normativa poi prevede una forma di
silenzio-assenso da parte dell'Autorita' di bacino per l'utilizzo
delle acque. Ma non spetta allo Stato di disciplinare il procedimento
nelle materie regionali, come e' reso evidente dallo stesso art. 29,
commi 1 e 2, della legge statale n. 241 del 1990, legge generale sul
procedimento amministrativo.
Sotto altro profilo, l'affidamento della competenza decisionale
ad un organo non appartenete alla regione concreta al contempo una
violazione dell'art. 118, primo comma, Cost.: nella palesa assenza di
una fondata ragione di attrazione a livello statale, per di piu' in
assenza dell'imprescindibile concorso regionale come da sentenza
303/2003 Corte cost.) e del d.lgs. n. 112/1998 (artt. 88 e 89): con
conseguente violazione sotto tale profilo dell'art. 1, comma 8, legge
n. 308/2004 e conseguente incostituzionalita' per violazione
dell'art. 76 Cost.
In ogni caso, l'eccesso di delega emerge anche in considerazione
della circostanza che la disposizione appare innovativa, risultando
al contempo sfornita di qualunque copertura nella legge n. 308/2004.
V) Illegittimita' costituzionale dell'art. 172, comma 2.
La disposizione dell'art. 172, comma 2, risulta incostituzionale
nella parte in cui subisce negativamente il riflesso degli effetti
della previsione di cui all'art. 147, comma 2, lett. b), la quale
impone - come visto - l'obbligo della unicita' della gestione del
servizio idrico integrato all'interno di ciascun Ambito territoriale.
Venendo infatti ad insistere in una realta' che - normata dalla
legge Galli e dalle leggi regionali di settore - ammetteva invece
anche la possibilita' di piu' gestioni all'interno del medesimo
ambito, nell'ipotesi di scadenze differenziate a seguito del termine
di cui all'art. 113, comma 15-bis, d.lgs. n. 267/2000 si
realizzerebbe la situazione paradossale della inapplicabilita' della
gestione unica, ovvero della lesione dei diritti dei gestori con
scadenze differenziate.
Di qui, un'ulteriore conferma della illegittimita' dell'art. 147,
comma 2, per violazione del principio di ragionevolezza.
VI) Illegittimita' costituzionale dell'art. 176, comma 1.
L'art. 176, comma 1, stabilisce che «le disposizioni di cui alla
parte terza del presente decreto che concernono materie di
legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi
dell'articolo 117, terzo comma della Costituzione.
E' tuttavia giurisprudenza costituzionale costante quella che
nega la legittimita' di un'autoqualificazione di disposizioni come
«di principio» a prescindere dai loro concreti contenuti e dal
rigoroso rispetto dei criteri di riparto di cui all'art. 117 Cost.
Di conseguenza, la qualificazione «in blocco» di tutte le
disposizioni di cui alla Parte Terza - in gran parte peraltro, come
esposto nei punti precedenti, relative a materie attribuite alla
competenza legislativa regionale - come «di principio», appare in
realta' del tutto arbitraria ed illegittima.
Di qui la richiesta di declaratoria d'incostituzionalita' della
disposizione, per violazione dell'art. 117, terzo comma della
Costituzione.
D) Illegittimita' costituzionale delle disposizioni della Parte
quarta, recante «Norme in materia di gestione dei rifiuti e bonifica
dei siti inquinanti».
Del Titolo I (Gestione dei rifiuti) della Parte quarta (Norme in
materia di gestione dei rifiuti e di bonfica dei siti inquinati) la
regione ricorrente ha gia' impugnato, in separato ricorso, gli
artt. 181, commi da 7 a 11 (concernente il c.d. recupero dei
rifiuti); 183, comma 1 (concernente la definizione dei rifiuti); 186
(concernente le terre e rocce da scavo); 189, comma 3 (concernente
gli obblighi di comunicazione relativi a certe categorie di rifiuti):
chiedendone, in applicazione dell'art. 35 della legge n. 87/1953,
come modificato dall'art. 9, comma 4, della legge n. 131/2003, la
sospensione in quanto hanno decorrenza immediata e rischiano di
provocare danni gravi e irreparabili all'interesse pubblico alla
tutela dell'ambiente, all'ordinamento giuridico nazionale e regionale
nonche' ai diritti dei cittadini alla salute e alla salubrita'
dell'ambiente.
Altre disposizioni della Parte quarta presentano pero' vizi
rilevanti di legittimita' costituzionale per violazione delle
competenze regionali.
I) Illegittimita' dell'art. 195, commi 1-2.
L'art. 195 (Competenze dello Stato) riscrive integralmente
l'art. 18 del d.lgs. n. 22/1997, recante la medesima rubrica.
Gia' questo suscita sorpresa, dato che la legge di delega
n. 308/2004 prescrive che i decreti delegati devono essere formulati
«nel rispetto..., delle attribuzioni delle regioni e degli enti
locali, come definite ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione,
della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112»: e l'art. 85 del d.lgs. n. 112/l998 (contenuto
significativamente nella Sezione intitolata anch essa «Gestione dei
rifiuti» a sua volta richiama espressamente il d.lgs. n. 22/l997 (e
successiva modifica) per affermare che le competenze che «restano
attribuite allo Stato, in materia di rifiuti» sono «esclusivamente»
le funzioni e i compiti indicati in esso.
In sintesi, l'art. 195 del decreto delegato riscrive proprio la
norma che era tenuto a rispettare per espressa previsione della legge
di delega!
Naturalmente non si muoverebbero obiezioni al nuovo testo se esso
fosse stato formulato allo scopo di adeguare l'elenco dei compiti
trattenuti dallo Stato alla successiva riforma costituzionale del
2001. Ma non e' affatto cosi', come si puo' riscontrare esaminando in
particolare alcune specifiche competenze riservate allo Stato come
individuate dall'elenco contenuto nel primo comma della disposizione
impugnata, come segue:
1) La lettera f), si occupa degli impianti di smaltimento.
Mentre la lett. l) del d.lgs. n. 22/1997 riservava allo Stato la sola
competenza di «indicazione dei criteri generali relativi alle
caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli
impianti di smaltimento dei rifiuti», l'attuale lett. f) riserva allo
Stato «l'individuazione, nel rispetto delle attribuzioni
costituzionali delle regioni, degli impianti di recupero e di
smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la
modernizzazione e lo sviluppo del Paese».
La ricorrente non contesta che lo Stato possa attrarre a se',
agendo in sussidiarieta', funzioni di coordinamento per una piu'
idonea localizzazione degli impianti di ricupero e di smaltimento e
per rispondere ad esigenze che si manifestano su scala nazionale;
tuttavia non sembra legittimo che:
a) l'autorizzazione a «chiamare in sussidiarieta» nuove
funzioni amministrative sia contenuta in un decreto delegato
vincolato a rispettare il precedente riparto delle competenze,
anziche' in un autonomo atto legislativo, necessariamente sottoposto
ai vincoli procedurali derivanti dal principio di leale
collaborazione (sent. n. 303/2003);
b) l'individuazione sia operata «sentita» anziche' «previa
intesa» con la Conferenza unficata di cui all'articolo 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281», dovendosi trattare, come codesta
ecc.ma Corte ha ripetutamente indicato, di un coinvolgimento
collettivo delle regioni tramite «intesa forte», e non limitato ad un
semplice parere (cfr. sentt n.303/2003, 6/2004, 31/2005, 242/2005,
213 e 214/2006);
c) l'individuazione del singolo impianto sia operata dallo
Stato dopo aver consultato la Conferenza, e non a seguito di
un'intesa con la singola regione interessata come ha chiaramente
espresso la sent. 303/2003, secondo cui «diviene elemento valutativo
essenziale la previsione di un'intesa fra lo Stato e le regioni
interessate, alla quale sia subordinata l'operativita' della
disciplina».
2) La lett. g) riserva allo Stato «la definizione, nel rispetto
delle attribuzioni costituzionali delle regioni, di un piano
nazionale di comunicazione e di conoscenza ambientale... sentita la
Conferenza unificata». Non e' ben chiaro quali possano essere i
contenuti di questo piano, ma una tale competenza statale e' comunque
aggiuntiva rispetto all'elenco del d.lgs. n, 22/l997 e, in secondo
luogo, se essa serve a coordinare le attivita' di tutela
dell'ambiente svolte dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali
appare indispensabile che regioni e enti locali siano coinvolti a
pieno titolo nella sua elaborazione, e non solo attraverso la mera
consultazione. Anche in questo caso, dunque, la violazione dei limiti
della delega legislativa si sovrappone alla violazione del principio
costituzionale di leale collaborazione.
3) La lett. n) attribuisce allo Stato «la determinazione,
relativamente all'assegnazione della concessione del servizio per la
gestione integrata dei rifiuti d'intesa con la Conferenza
Stato-regioni, delle linee guida per la definizione delle gare
d'appalto ed in particolare dei requisiti di ammissione delle
imprese, e dei relativi capitolati, anche con riferimento agli
elementi economici relativi agli impianti esistenti».
Ora, la gestione integrata dei rifiuti rientra nella materia
«servizi pubblici locali che», che e' pacificamente attribuita alla
potesta' legislativa residuale delle regioni dalla giurisprudenza di
codesta ecc.ma Corte (da ultimo sent. n. 29/2006). La disposizione
impugnata risulta percio' illegittima non solo perche' «aggiunge»
competenze statali all'elenco contenuto dal d.lgs. n. 22/1997,
violando i limiti della delega legislativa, ma anche perche' assegna
allo Stato compiti normativi di tipo regolamentare (con violazione
dell'art. 117, sesto comma).
Del resto, neppure fondandone la giustificazione sulle
attribuzioni «esclusive» dello Stato in materia di tutela della
concorrenza, la disposizione si salverebbe dalla censura: la
disciplina delle gare d'appalto per l'assegnazione della concessione
dei servizi pubblici, infatti, e' gia' soggetta a regolamentazione
comunitaria e alla legislazione statale di attuazione. Sono quindi
queste le fonti normative che le regioni devono tenere presenti nella
loro attivita' di regolazione delle procedure, essendo ogni ulteriore
intervento regolamentare o para-regolamentare ingiustificato, lesivo
della loro attribuzione legislativa costituzionalmente tutelata e
anche controproducente sul piano della stessa tutela della
concorrenza: infatti esso provocherebbe una restrizione ulteriore
all'accesso dei concorrenti, senza offrire alle imprese la certezza
derivante dall'indicazione con legge della disciplina regolativa.
La previsione di questo potere statale appare percio' anche
lesiva dei canoni di ragionevolezza, proporzionalita' e adeguatezza
che questa codesta ecc.ma Corte ha posto a limite e parametro di
giudizio degli interventi legislativi che lo Stato dispone in materia
di servizi pubblici locali in nome della tutela della concorrenza
(sent. n. 272/2004); infatti non si individuano le ragioni per cui
sia necessario attrarre al centro, «chiamate in sussidiarieta»
funzioni lato sensu normative (le «linee guida» sono infatti poi
richiamate dal successivo art. 200) che avrebbero l'unico scopo di
rendere omogenei criteri di formulazione dei bandi di gara che invece
ben piu' opportunamente andrebbero modulati in considerazione delle
specificita' della concreta situazione, ovviamente nel pieno rispetto
delle regole generali stabilite dalla legislazione comunitaria,
statale e regionale.
4) La lett. o) attribuisce allo Stato «la determinazione,
d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, delle linee guida inerenti
le forme ed i modi della cooperazione fra gli enti locali, anche con
riferimento alla riscossione della tariffa sui rifiuti urbani
ricadenti nel medesimo ambito territoriale ottimale, secondo criteri
di trasparenza, efficienza, efficacia ed economicita».
Anche questa e' una competenza «aggiunta» all'elenco della
funzioni attribuite allo Stato dal d.lgs. n. 22/1997, in violazione
quindi dei criteri della delega legislativa. Per di piu' si tratta di
una evidente invasione delle competenze regionali residuali in
materia di tariffazione dei servizi pubblici locali (sent.
n. 272/2004), nonche' anche nella promozione delle forme di
cooperazione tra gli enti locali (sentt. 244 e 456/2005).
In sintesi, le disposizioni impugnate sono illegittime per
violazione dell'art. 76 Cost., con compressione delle attribuzioni
regionali e violazione dell'art. 117 Cost. e del principio
costituzionale di leale collaborazione.
II) Illegittimita' degli articoli 200, 201 e 203.
Le disposizioni degli articoli 200, 201 e 203 disciplinano il
servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, attraverso
l'individuazione di ambiti territoriali ottimali e l'istituzione di
Autorita' d'ambito cui vengono assegnate le funzioni relative
all'organizzazione, l'affidamento e il controllo del servizio di
gestione integrata dei rifiuti, la formulazione del contratto di
servizio tra ATO e gestore.
La scelta di organizzare il servizio per ambiti ottimali,
assegnando alle corrispondenti Autorita' le funzioni relative alla
gestione dei rifiuti, non e' affatto una scelta criticabile, tant'e'
che la Regione Emilia-Romagna l'ha gia' accolta e attuata con la
legge regionale 25/1999 (e successive modifiche).
Tuttavia alla ricorrente non appare accettabile che lo Stato
legiferi in una materia riservata alla competenza residuale delle
regioni. Come gia' si e' rilevato in relazione all'art. 195 (punto 3
del motivo di ricorso), il servizio di gestione dei rifiuti urbani
rientra nella materia «servizi pubblici locali», di certa
appartenenza alle materie attribuite residualmente alla potesta'
legislativa regionale (sentt. 272/2004 e 29/2006). In tale materia la
legislazione statale puo' insinuarsi qualora muova da specifici
titoli abilitativi, quali la tutela della concorrenza, la garanzia
dei livelli essenziali, la tutela dell'ambiente ecc., oppure agisca
«in sussidiarieta» ma in tutti questi casi, l'intromissione della
legge statale - come la giurisprudenza costituzionale ha ormai
solidamente affermato - e' vincolata al rispetto, da un lato, dei
principi di ragionevolezza, proporzionalita' e adeguatezza e,
dall'altro, delle regole della leale cooperazione, le quali pongono
obblighi sempre piu' intensi man mano che la legge statale incida
piu' profondamente nelle attribuzioni regionali; per di piu' la
legislazione statale deve mantenersi a livello di principi generali e
di definizione di obiettivi, non invece addentrasi nel dettaglio
della disciplina organizzativa (cfr., tra le tante, le sentt. 6, 345
e 390/2004, 285/2005).
Ora, nessuno dei titoli abilitativi elencati tra le attribuzioni
legislative esclusive o concorrenti dello Stato puo' essere
appropriatamente invocato a giustificazione delle disposizioni
impugnate, le quali quindi potrebbero cercare una base costituzionale
soltanto invocando il principio di sussidiarieta': ma questo
principio puo' giustificare interventi volti ad assicurare il
risultato - in termini di efficienza ed economicita' - della gestione
di un servizio pubblico locale, non certo anche le sue modalita'
organizzative, che non possono che appartenere al nucleo piu' interno
della competenza legislativa regionale.
Le disposizioni impugnate, invece, sia attraverso le norme poste,
sia attraverso il richiamo alle «Linee guida» contenute nelle lett.
m), n), e o) del precedente art. 195 (se ne vedano sopra gli
specifici motivi di impugnazione), entrano nello specifico della
disciplina degli ATO, sino ad occuparsi dell'assetto impiantistico,
assegnando alle Regioni compiti specifici, indicando tempi e
modalita' con cui esse li devono svolgere, regolando (ancora una
volta con richiamo a «linee guida») anche le condizioni rispettando
le quali le regioni possono derogare alla disciplina generale. Tutto
cio' appare esorbitare dalle attribuzioni legislative statali ed
incidere indebitamente nell'autonomia legislativa regionale.
Altrettanto puo' dirsi della disciplina dello schema tipo del
contratto di servizio da stipularsi con il gestore aggiudicatario,
contenuta nell'art. 203: con l'osservazione aggiuntiva che per altro
la Regione Emilia-Romagna ha gia' provveduto a disciplinare i
contenuti delle convenzioni tipo e dei relativi disciplinari tecnici
con la propria legge regionale 25/1999 e che tali convenzioni sono
tutt'ora operanti sul territorio regionale.
III) Illegittimita' costituzionale dell'art. 202, commi 1 e 4.
Le disposizioni contenute nei commi 1 e 4 dell'art. 202 sono in
palese contrasto con il riparto della potesta' legislativa e
regolamentare definito dall'art. 117 Cost. Infatti, come si e' sopra
illustrato, la disciplina dei servizi pubblici locali e' di sicura
attribuzione alla potesta' legislativa residuale delle regioni e,
pertanto, e' escluso da essa il potere regolamentare dello Stato.
Viceversa il comma 1 dell'art. 202 prevede che «l'Autorita'
d'ambito aggiudica il servizio di gestione integrata dei rifiuti
urbani mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni
comunitarie, in conformita' ai criteri di cui all'articolo 113, comma
7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonche' con
riferimento all'ammontare del corrispettivo per la gestione svolta,
tenuto conto delle garanzie di carattere tecnico e delle precedenti
esperienze specfiche dei concorrenti secondo modalita' e termini
definiti con decreto dal Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia».
La poco lineare scrittura della disposizione potrebbe lasciar
intendere che il potere ministeriale sia limitato alla definizione
dei criteri per fissare l'ammontare del corrispettivo per la gestione
svolta: ma tale interpretazione restrittiva non sarebbe comunque
sufficiente a eliminare il vizio di incompetenza che inficerebbe
l'attribuzione di poteri normativi all'autorita' ministeriale.
Tuttavia tale interpretazione e' platealmente smentita dallo stesso
atto di attuazione della disposizione in questione: infatti, con
inconsueta tempestivita', e' stato emanato il 2 maggio 2006
(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 11 maggio 2006, n. 108), il
quale gia' dal titolo «Modalita' per l'aggiudicazione, da parte
dell'Autorita' d'ambito, del servizio di gestione integrata dei
rifiuti urbani, ai sensi dell'articolo 202, comma 1, del d.lgs. 3
aprile 2006, n. 152») preannuncia una disciplina analitica, e in
parte anche innovativa rispetto alla legislazione vigente,
dell'aggiudicazione del servizio. Incautamente il preambolo del
decreto ministeriale richiama l'art. 117 («il quale, fra l'altro,
stabilisce che lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di
tutela della concorrenza»), dimenticando che in nessun caso sarebbe
ammesso il ricorso ad un atto regolamentare emanato dallo Stato
unilateralmente - senza cioe' le dovute procedure ispirate ad una
lettura «forte» del principio di leale collaborazione - per
esercitare competenze «trasversali» che trovano la loro base
costituzione nei titoli di competenza esclusiva dello Stato ma la
loro applicazione nelle attribuzioni residuali (o concorrenti) delle
regioni (sentt. 88/2003, 390/2004, 279/2005, 134/2006).
Il comma 4 dell'art. 202, prevede il conferimento in comodato ai
gestori aggiudicatari del servizio degli impianti e delle altre
dotazioni patrimoniali in proprieta' degli enti locali. Essendo il
comodato, ai sensi dell'art. 1803, comma 2, del cod. civ.,
«essenzialmente gratuito», la mancata previsione dell'accollo al
gestore degli oneri e della passivita' (per esempio, eventuali ratei
di mutui in essere relativi alle opere e agli impianti) appare lesiva
delle attribuzioni comunali e del principio di equilibrio
finanziario, perche' non consente ai comuni di stabilire un canone a
carico del gestore con cui ricuperare i costi relativi agli
investimenti effettuati.
In definitiva, le disposizioni dell'art. 202, commi 1 e 4 si
rivelano costituzionalmente illegittimi per violazione dell'art. 117,
commi 4 e 6.
IV) Illegittimita' costituzionale dell'art. 204, comma 3.
Le norme che disciplinano le gestioni esistenti del servizio di
gestione dei rifiuti e, in particolare, il comma 3, che regola
attraverso meccanismi particolarmente complessi e macchinosi,
l'esercizio del potere sostituivo da parte del presidente della
giunta regionale, rappresentano una regolamentazione analitica e di
dettaglio che lo Stato non ha titolo di emanare in materia riservata
alla potesta' residuale delle regioni.
Lo Stato infatti e' indubbiamente legittimato a disciplinare il
proprio procedimento di sostituzione degli enti inadempienti, ma non
puo' intromettersi nella formulazione delle regole con cui la
regione, anche in attuazione del proprio statuto, disciplina, anche
attraverso la delega di funzioni agli enti locali, le attivita' di
vigilanza, di controllo e di sostituzione dei soggetti incaricati dei
servizi pubblici locali.
Di qui l'illegittimita' costituzionale dell'art. 204, comma 3,
per violazione dell'art. 117, quarto comma Cost.
V) Illegittimita' costituzionale dell'art. 207, comma 1.
L'art. 207, comma 1, attribuisce all'«Autorita' di vigilanza
sulle risorse idriche e sui rifiuti» il compito di «garantire» e
«vigilare» «in merito all'osservanza dei principi ed al perseguimento
delle finalita' di cui alla parte quarta del presente decreto, con
particolare riferimento all'efficienza, all'efficacia,
all'economicita' ed alla trasparenza del servizio» Come gia' si e'
evidenziato sub art. 159, l'Autorita' e' un apparato ministeriale la
cui istituzione risulta illegittimita' sotto diversi profili:
innanzitutto perche' di essa non vi e' alcuna traccia nella
legge di delega: che risulta dunque sotto tale punto violata;
in secondo luogo, perche' l'istituzione di un organismo
centrale in materia di «servizi pubblici locali» qual e' il servizio
di gestione dei rifiuti (come gia' si e' ampiamente argomentato,
anche in riferimento alle sentt. 29/2006; 272/2004 di codesta ecc.
Corte), lede la competenza esclusiva regionale ex art. 117, quarto
comma;
in terzo luogo, l'intervento statale risulta manifestamente
lesivo delle prerogative della ricorrente, posto che la Regione
Emilia-Romagna aveva gia' proceduto ad istituire una propria
autorita' regionale di vigilanza (cfr. artt. 20 e 21, l.r.
n. 25/1999);
in quarto luogo perche' l'attrazione al centro di funzioni
amministrative regionali, in assenza di reali motivi giustificativi,
costituisce al contempo violazione del principio di sussidiarieta' di
cui all'art. 118, primo comma Cost.;
in quinto luogo, perche' la centralizzazione di tali
funzioni, modificando l'assetto delle competenze amministrative
fissato dal d.lgs. n. 112/1998, segna un ulteriore eccesso di delega
per violazione dell'art. 1, comma 8, legge n. 308/2004;
in sesto luogo, perche' le disposizioni impugnate appaiono
incostituzionali per violazione del principio di ragionevolezza in
quanto costituiscono un organismo denominato «Autorita» pur in
assenza dei caratteri di indipendenza, capacita' tecnica e terzieta'
che dovrebbero caratterizzare le «Autorita».
VI) Illegittimita' costituzionale dell'art. 214, comma 9.
La disposizione impugnata, estende alle denunce, alle
comunicazioni e alle domande disciplinate dalle precedenti norme di
semplificazione delle procedure gli istituti della dichiarazione di
inizio attivita' e del silenzio assenso, di cui ai novellati articoli
19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241. A questa stregua, a
condizione che siano rispettate le condizioni, le norme tecniche e le
prescrizioni specifiche stabilite dai commi precedenti, l'esercizio
delle operazioni di recupero dei rifiuti possono essere intraprese
decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attivita'
alla sezione competente dell'Albo di cui all'art. 212.
In questo modo la legge statale interviene in un ambito
procedimentale riservato alla disciplina regionale, come risulta
evidente dalla stessa disciplina della legge generale sul
procedimento amministrativo, che all'art. 29, nel disciplinare il
proprio ambito di applicazione, dispone (comma 1) che «le
disposizioni della presente legge si applicano ai procedimenti
amministrativi che si svolgono nell'ambito delle amministrazioni
statali e degli enti pubblici nazionali», e che (comma 2) «le regioni
e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, regolano
le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema
costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi
dell'azione amministrativa, cosi' come definite dai principi
stabiliti dalla presente legge». Non c'e' dunque dubbio che la scelta
tra i diversi meccanismi procedimentali spetta alla competenza
regionale.
Inoltre, si sottolinea la grave incongruenza di estendere «in
quanto applicabili» le regole del procedimento amministrativo che il
richiamato art. 19, comma 1, esplicitamente esclude dalla materia
«tutela dell'ambiente».
Ancora, il meccanismo introdotto da tale disposizione crea una
situazione di assoluta incertezza e di impossibilita' di svolgere
controlli efficaci ex post, gravemente interferendo percio' con
l'esercizio delle funzioni poste a carico delle amministrazioni
regionale e locali. La contraddittorieta' della norme e l'effetto
ricorsivo del richiamo incrociato (si estendano in quanto applicabili
norme che si definiscono inapplicabili a quella materia) rendono
estremamente ardua l'individuazione precisa degli obblighi posti a
carico degli operatori e dei controlli che possono essere esercitati
dall'autorita' pubblica, con grave pregiudizio per gli interessi
ambientali e di tutela della salute gravanti sulla regione.
Di qui l'illegittimita' costituzionale dell'art. 214, comma 9,
per violazione degli artt. 117, 3 e 97 Cost.
VII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 215.
L'art. 215 attribuisce all'Albo nazionale dei gestori ambientali,
sezione regionale, competenze relative all'iscrizione delle imprese
che effettuano la comunicazione di inizio attivita' di smaltimento di
rifiuti non pericolosi effettuato nel luogo di produzione dei rifiuti
stessi (c.d. autosmaltimento), alla verifica dei presupposti e alla
vigilanza sul rispetto delle norme tecniche.
Queste funzioni erano in precedenza attribuite alle province
dall'art. 32 del d.lgs. n. 22/1997, richiamato - per interposizione
del d.lgs. n. 112/1998 - dalla legge di delega che impone al
legislatore delegato di mantenerne il riparto delle funzioni
amministrative tra i diversi livelli di governo. Le province vedono
invece oggi ridimensionato il loro ruolo, poiche' la disposizione
impugnata prevede che ad esse venga semplicemente data notizia
dell'iscrizione delle imprese (comma 1) e che, accertato dall'Albo il
mancato rispetto delle condizioni tecniche e dei requisiti
prescritti, sia ancora l'Albo a proporre le relative azioni (divieto
di inizio ovvero di prosecuzione dell'attivita', salvo che
l'interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta
attivita' ed i suoi effetti entro il termine e secondo le
prescrizioni stabiliti dall'amministrazione).
L'eccesso di delega si accompagna anche in questo caso alla
violazione del riparto delle competenze amministrative fissato dal
d.lgs. n. 112. Di qui l'illegittimita' costituzionale dell'art. 215
per violazione dell'art. 76 Cost.
VIII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 238, per violazione
degli artt. 76 e 117, commi 4 e 6.
Mentre la legge di delega prevedeva (art. 1, comma 9, lett. a)
che il decreto delegato si occupasse della tariffa per la gestione
dei rifiuti urbani esclusivamente al fine di «assicurare una maggiore
certezza della riscossione della tariffa sui rifiuti urbani, anche
mediante una piu' razionale definizione dell'istituto» l'art. 238
contiene invece una integrale ridisciplina della tariffa, che viene
trasformata anche concettualmente. Infatti viene restaurata (con
abrogazione della precedente disciplina contenuta nel c.d. «decreto
Ronchi») la «tassa» sui rifiuti, commisurata su indici quali
l'estensione dei locali detenuti e «indici reddituali articolati per
fasce di utenza e territoriali» (comma 2), anziche' sul parametro
della effettiva produzione dei rifiuti, come sarebbe corrispondente
al principio comunitario «chi inquina paga»: sicche' resta del tutto
in ombra la natura di «tariffa» commisurata quale corrispettivo della
prestazione di un servizio.
Inoltre, «i criteri generali sulla base dei quali vengono
definite le componenti dei costi e viene determinata la tariffa»
vengono determinati, in base al comma 6, da un regolamento
ministeriale da emanarsi «sentita» la Conferenza Stato-regioni.
Ma l'analitica disciplina statale e la espressa attribuzione di
poteri normativi ministeriali, sovraordinati a quelli delle regioni
(gia' da tempo esercitati dalla regione ricorrente, con la legge
regionale n. 25/1999), violano la competenza legislativa propria,
spettante alle Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma Cost.,
in quanto strettamente correlata alla disciplina e alla politica dei
servizi pubblici locali, nonche' il riparto della potesta'
regolamentare fissato dall'art. 117, sesto comma.
Il metodo tariffario - se correttamente inteso - e' componente
connaturata alla disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica (qual e' il servizio di gestione dei rifiuti) ed e' di
sicura spettanza regionale (cfr. le motivazioni riportate sub
art. 195, al punto 4 della motivazione). Non spetta, quindi, allo
Stato determinare i componenti di costo della tariffa, se la politica
di regolazione e di organizzazione del servizio pubblico locale,
afferente alla gestione dei rifiuti, e' demandata alla cura regionale
che, anche attraverso il metodo tariffario, puo' perseguire precise
scelte in materia.
Ne' si vede quale sia la base costituzionale che consenta allo
Stato di avocare a se' tali determinazioni: su tale presupposto,
d'altronde, codesta stessa Corte ha rigettato l'impugnazione
governativa proposta avverso la legge regionale dell'Emilia-Romagna
n. 7/2004, disciplinante il metodo tariffario regionale sul servizio
idrico, in relazione alla rilevata insufficienza di argomentazioni
addotte a sostegno di una competenza statale in materia (sentenza
n. 335/2005).
La norma impugnata non tiene in alcun conto il riparto della
potesta' legislativa fra Stato e regioni fissato dall'art. 117, comma
4, in materia di disciplina dei servizi pubblici locali (e violano,
altresi', l'autonomia finanziaria e tributaria delle regioni,
garantita dall'art. 119, commi 1 e 2 Cost.), ricadente nella
competenza regionale, ma fuoriescono anche dall'oggetto e dai limiti
della delega: infatti e' del tutto evidente che la disciplina
tariffaria del servizio non trova fondamento nell'art. 117, secondo
comma, lett. s), che si occupa della «tutela dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali», non gia' del regime tariffario
di un servizio pubblico.
Infine, come si evince dal comma 5, nei primi quattro anni
successivi all'emanazione del regolamento ministeriale, non e'
affatto assicurata l'integrale copertura dei costi del servizio: il
che si riflette sull'equilibrio finanziario, sul buon andamento e
sulla qualita' di servizi essenziali per la collettivita'.
In definitiva, la disposizione impugnata risulta illegittima per
violazione degli artt. 76 e 117, commi 4 e 6, Cost.
E) Illegittimita' costituzionale delle disposizioni della Parte
quinta, recante «Norme in materia di tutela dell'aria e di riduzione
delle emissioni in atmosfera».
I) Illegittimita' costituzionale dell'art. 281, comma 10.
La disposizione dell'art. 281 invade le competenze regionali di
programmazione - pianificazione in quanto subordina ad «intesa» con
il Ministero l'adozione di atti generali che stabiliscono «valori
limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti le condizioni di
costruzione o di esercizio degli impianti, piu' severi di quelli
fissati dagli allegati al presente titolo, purche' cio' risulti
necessario al conseguimento del valori limite e dei «valori bersaglio
di qualita' dell'aria».
Come codesta ecc. Corte ha piu' volte ribadito, la tutela
dell'ambiente - nel cui ambito materiale la disposizione sicuramente
rientra - e' un «valore costituzionale» che delinea una sorta di
materia «trasversale», «in ordine alla quale si manifestano
competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo
Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di
disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale»
(sent. 407/2002). Ovviamente spetta allo Stato fissare il «punto di
equilibrio» tra interessi costituzionalmente protetti (sent.
307/2003), ma cio' si puo' realizzare attraverso norme legislative di
principio (sentt. 331/2003, 212 e 216/2006), non certo imponendo alle
regioni di procedere esclusivamente con uno specifico strumento
pianificatorio e a sottostare ad una sorta di nulla osta da parte
dell'autorita' amministrativa.
Cio' equivale ad una indebita restrizione degli strumenti con cui
la regione puo' perseguire obiettivi di miglioramento della qualita'
dell'ambiente (in indiretta violazione dell'art. 9 Cost.) attraverso
l'esercizio delle attribuzioni legislative e amministrative che le
sono riconosciute dalla Costituzione, nonche' di quelle,
specificamente attinenti al controllo dell'inquinamento atmosferico,
conferite dall'art. 84 del d.lgs. n. 112/1998. In questo senso
dispone del resto l'art. 8 del d.lgs. n. 59/2005, che da' attuazione
alla direttiva 96/61/CE, relativa alla prevenzione e riduzione
integrate dell'inquinamento, che correttamente consente di
prescrivere, nelle autorizzazioni integrate ambientali, misure
supplementari particolari piu' rigorose «se, a seguito di una
valutazione dell'autorita' competente, che tenga conto di tutte le
emissioni coinvolte, risulta necessario applicare ad impianti,
localizzati in una determinata area, misure piu' rigorose di quelle
ottenibili con le migliori tecniche disponibili, al fine di
assicurare in tale area il rispetto delle norme di qualita'
ambientale». Mentre, per altro verso, la regione puo' essere tenuta
ad intervenire con provvedimenti volti a restringere i limiti di
emissione anche in applicazione di specifiche norme comunitarie, come
quelle contenute nella direttiva 2001/80/CE, relativa ai grandi
impianti di combustione, non ancora attuata dallo Stato benche' ormai
abbondantemente scaduta.
La disposizione impugnata risulta percio' illegittima per
violazione degli artt. 9, 117 e 118 Cost.
II) Illegittimita' costituzionale dell'art 287.
La disposizione censurata disciplina il «patentino» di cui deve
essere munito il personale addetto alla conduzione degli impianti
termici civili di potenza termica nominale superiore a 0.232 MW,
prevedendo che esso sia rilasciato (e revocato) dall'Ispettorato
provinciale del lavoro.
Da un lato questa disposizione viene ad incidere su funzioni
amministrative conferite dall'art. 84 del d.lgs. n. 112/1998 alle
regioni: la Regione Emilia-Romagna infatti le ha disciplinate con la
legge regionale n. 3/1999 (art. 123), attribuendo le relative
funzioni amministrative alle province. Percio' la norma e' viziata
anche da violazione dei limiti posti dalla legge di delega, che
prescrive il rispetto del riparto di competenze stabilito dal
decreto 112.
Dall'altro lato, l'articolo in questione, prescrivendo che il
patentino sia rilasciato «al termine di un corso per conduzione di
impianti termici, previo superamento dell'esame finale» (comma 1) e
che la disciplina dei corsi e degli esami di cui al comma 1 e delle
revisioni dei patentini sia stabilita dal decreto ministeriale, viola
le competenze residuali attribuite alle regioni dall'art. 117, comma
quarto, in materia di formazione professionale.
La disposizione impugnata risulta percio' illegittima per
violazione degli artt. 117, comma 4, 118 e 76 Cost.
III) Illegittimita' costituzionale dell'Allegato IV alla Parte
quinta, parte I, punto 4, lett. z).
In questo parte dell'Allegato, che riguarda l'attivita' e gli
impianti in deroga, di cui all'art. 272, comma 1, per escludere la
necessita' di autorizzazione si ricorre ad un criterio che non ha
relazione plausibile con le emissioni in atmosfera. Infatti si fa
riferimento non al numero dei capi ospitati dalla azienda, ma alla
estensione del terreno di cui essa dispone e in cui viene effettuata
l'utilizzazione agronomica degli effluenti. Cio' comporta che anche
allevamenti di ingenti dimensioni, che producono un impatto
significativo sull'ambiente in termini di emissioni in atmosfera
nella varie fasi di stoccaggio, spandimento ecc., non siano soggetti
ad autorizzazione. La norma appare irrazionale e lesiva degli
interessi ambientali in cura alla regione, con conseguente contrasto
con gli stessi principi direttivi fissati dalla legge di delega:
inoltre essa incide restrittivamente sulle attribuzioni legislative
regionali in materia di agricoltura e zootecnia, poiche' impedisce
alla Regione di perseguire efficacemente, nell'esercizio di quelle
competenze, obiettivi di migliore qualita' dell'aria e di minore
impatto delle attivita' dell'industria zootecnica su di essa.
La disposizione impugnata risulta percio' illegittima per
violazione degli artt. 3, 9, 76 e 117 Cost.
P. Q. M.
Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale dichiarare
costituzionalmente illegittime le disposizioni qui impugnate del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 «Norme in materia
ambientale», per le ragioni e sotto i profili esposti nel presente
ricorso.
Padova-Bologna-Roma, addi' 12 giugno 2006
Avv. Prof. Giandomenico Falcon - Avv. Prof. Franco Mastragostino -
Avv. Luigi Manzi
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