Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 4 novembre 2016 (della Regione Liguria).


(GU n. 51 del 2016-12-21)
 

Ricorso ex art. 127 Cost. della Regione Liguria (C.F. …), in persona del Presidente della Giunta Regionale pro tempore, dott. Giovanni Toti, autorizzato con delibera di Giunta Regionale n. 959 del 25 ottobre 2016 (doc. 1), rappresentata e difesa dall'avv. prof. Fabio Cintioli (C.F. … … - fax ..), giusta procura speciale a margine del presente atto ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via Vittoria Colonna n. 32;

Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore (C.F. …), domiciliato per la carica in Roma, Palazzo Chigi, Piazza Colonna n. 370, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 2, comma 1 lettera c); 3, comma 1, lettera a); 4, comma 1 lettere b) e c) della legge 12 agosto 2016, n. 164, recante «Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli Enti Locali», per violazione, tra l'altro, degli articoli 117, sesto comma, della Costituzione, nonche' per violazione dell'art. 5, comma 1, lettera b) della legge costituzionale n. 1 del 2012, e del principio di leale collaborazione anche in relazione agli artt. 5, 114 e 117 della Costituzione.

 

Fatto

 

Le disposizioni qui impugnate sono gli artt. 2, comma 1, lettera c); 3, comma 1 lettera a); 4, comma 1, lettere b) e c) della legge 12 agosto 2016, n. 164, recante «Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli Enti Locali»; la prima delle disposizioni per violazione degli articoli 117, sesto comma, 5 e 114 della Costituzione, nonche' per violazione dell'art. 5, comma 1, lettera b) della legge costituzionale n. 1 del 2012, le altre per la violazione del principio di leale collaborazione anche in relazione agli artt. 5 e 114 della Costituzione.

Tali disposizioni hanno introdotto modifiche alla legge n. 243 del 2012, ed in particolare agli artt. 10 («Ricorso all'indebitamento da parte delle Regioni e degli Enti Locali»), 11 («Concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali») e 12 («Concorso delle Regioni e degli Enti Locali alla sostenibilita' del debito pubblico»).

Tali modifiche hanno fatto seguito alla pronuncia della sentenza di codesta ecc.ma Corte n. 88 del 10 aprile 2014. Tali modifiche, come si vedra' tra breve, non hanno pero' tenuto in conto quanto deciso da codesta Corte ed hanno riproposto illegittimita' costituzionali analoghe a quelle a suo tempo rilevate nella sentenza n. 88 del 2014.

Per garantire un'uniformita' di esposizione e, al tempo stesso, l'opportuna sintesi, si affronteranno partitamente le censure che riguardano le singole disposizioni impugnate, mettendo previamente a confronto quando necessario il testo della vecchia disposizione, la relativa pronuncia resa da codesta Corte con la citata sentenza n. 88/2014 e, infine, il testo della nuova disposizione. In tal modo, emergeranno con evidenza i vizi di illegittimita' costituzionale (anche) della nuova normativa.

Le disposizioni in epigrafe sono costituzionalmente illegittime e vengono impugnate da Regione Liguria per i seguenti motivi di

 

Diritto

 

I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera c), della legge 12 agosto 2016, n. 164, per violazione degli artt. 117, sesto comma, 5 e 114 della Costituzione, nonche' per violazione dell'art. 5, comma 1, lettera b) della legge costituzionale n. 1 del 2012

1. Con il primo motivo di ricorso si censura l'art. 2, comma 1, lettera c), della legge 12 agosto 2016, n. 164, il quale ha modificato il comma 5 dell'art. 10 legge n. 243/2012. L'art. 10 cit., prima della modifica, prevedeva che:

«1. Il ricorso all'indebitamento da parte delle regioni, dei comuni, delle province, delle citta' metropolitane e delle province autonome di Trento e di Bolzano e' consentito esclusivamente per finanziare spese di investimento con le modalita' e nei limiti previsti dal presente articolo e dalla legge dello Stato.

2. In attuazione del comma 1, le operazioni di indebitamento sono effettuale solo contestualmente all'adozione di piani di ammortamento di durata non superiore alla vita utile dell'investimento, nei quali sono evidenziate l'incidenza delle obbligazioni assunte sui singoli esercizi finanziari futuri nonche' le modalita' di copertura degli oneri corrispondenti.

3. Le operazioni di indebitamento di cui al comma 2 sono effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale che garantiscano, per l'anno di riferimento, l'equilibrio della gestione di cassa finale del complesso degli enti territoriali della regione interessata, compresa la medesima regione, come definito dall'articolo 9, comma 1, lettera a). A tal fine, ogni anno i comuni, le province e le citta' metropolitane comunicano alla regione di appartenenza ovvero alla provincia autonoma di appartenenza, secondo modalita' stabilite con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 5 del presente articolo, il saldo di cassa di cui all'articolo 9, comma 1, lettera a), che l'ente locale prevede di conseguire, nonche' gli investimenti che intende realizzare attraverso il ricorso all'indebitamento o con i risultati di amministrazione degli esercizi precedenti. Ciascun ente territoriale puo' in ogni caso ricorrere all'indebitamento nel limite delle spese per rimborsi di prestiti risultanti dal proprio bilancio di previsione.

4. Qualora, in sede di rendiconto, non sia rispettato l'equilibrio di cui al comma 3, primo periodo, il saldo negativo concorre alla determinazione dell'equilibrio della gestione di cassa finale dell'anno successivo del complesso degli enti della regione interessata, compresa la medesima regione, ed e' ripartito tra gli enti che non hanno rispettato il saldo previsto.

5. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato d'intesa con la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, sono disciplinati criteri e modalita' di attuazione del presente articolo».

 

2. Il comma 5 di tale disposizione era stato impugnato in via principale dinanzi a codesta Corte per tre distinte ragioni:

(i) per violazione dell'art. 117, comma 6, Cost., nella misura in cui affidava allo Stato un potere di adottare atti regolamentari oltre i limiti di competenza segnati dalla Costituzione;

(ii) per violazione dell'art. 5, comma 2, lettera b) legge Costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, il quale assegna ad una legge ordinaria rinforzata (e non certo ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri) la disciplina sull'indebitamento delle Regioni;

(iii) per violazione del principio di leale collaborazione, in quanto prevedeva che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri fosse adottato d'intesa non con la Conferenza unificata ma con la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, ove le autonomie territoriali sono coinvolte solo in modo parziale e con esclusione delle Regioni.

 

3. Sul punto, con la sentenza n. 88 del 2014, codesta Corte ha rilevato che, seppur l'art. 5, comma 2, lettera b), della legge costituzionale n. 1 del 2012 «prevede l'adozione di una disciplina statale attuativa che non appare in alcun modo limitata ai principi generali e che deve avere un contenuto eguale per tutte le autonomie» e, pertanto, che «la circostanza che la normativa censurata abbia un contenuto dettagliato e il fatto che sia piu' rigorosa di quella contenuta negli statuti delle ricorrenti non comportano violazione del parametro costituzionale», la disposizione impugnata (il comma 5 cit.) risultava nondimeno in contrasto con l'art. 117, comma 6, Cost. e con l'art. 5, legge Cost. citata.

Per ricavare tale illegittimita', codesta Corte ha proceduto a verificare in concreto «l'ambito operativo del decreto in parola (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ex art. 10, comma 5, cit.) e, in particolare, se esso abbia un contenuto meramente tecnico». Ed infatti, «se e' indubbiamente corretto, infatti, il rilievo delle ricorrenti, secondo cui la disciplina della materia e' affidata dalla legge costituzionale n. 1 del 2012 alla legge rinforzata, e' anche vero che la natura stessa dell'atto legislativo esclude che esso debba farsi carico di aspetti della disciplina che richiedono solo apporti tecnici, cosicche' questa Corte ha affermato la legittimita' di un tal genere di disciplina con riferimento al parametro di cui all'art. 117, sesto comma, Cost. (sentenze n. 139 del 2012 e n. 278 del 2010)».

In altre parole, la sentenza osservava che, vuoi in relazione ai limiti posti dell'art. 117, comma 6, vuoi in relazione a quelli fissati dal rinvio alla legge ordinaria (oltretutto rinforzata) disposto dall'art. 5, comma 2, lettera b), poteva si' concedersi l'intervento in fase esecutiva di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri; a patto, pero', che esso avesse un contenuto meramente tecnico, con esclusione di qualsivoglia potere discrezionale.

Tale verifica e' stata quindi effettuata esaminando il comma 5 in questione con riferimento agli altri commi del medesimo articolo 10, al fine di individuare «l'effettivo spazio precettivo nel quale esso e' chiamato a muoversi».

 

4. Nell'ambito di tale verifica «in concreto» codesta Corte ha rilevato la legittimita' della disposizione in questione con riferimento ai commi 1 e 2 dell'art. 10 cit., trattandosi, rispettivamente, di precetti che, in larga parte, non richiedevano «l'individuazione di criteri e modalita' di attuazione» e che sembravano compatibili col predetto contenuto meramente tecnico del decreto. Pertanto, rispetto ad essi, nessun concreto compito ulteriore veniva assegnato al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in questione.

Con riferimento, invece, ai commi 3 e 4, la valutazione della Corte e' stata differente, in quanto tali commi prevedevano adempimenti per i quali il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe avuto natura discrezionale e non soltanto tecnica.

In particolare, rispetto al comma 4, la Corte ha rilevato che esso «disciplina, in caso di mancato rispetto dell'equilibrio del bilancio regionale allargato, la ripartizione del saldo negativo tra gli enti territoriali inadempienti, e in questo ambito il decreto potrebbe intervenire a specificare i criteri di riparto. La definizione del suo compito in termini cosi' ampi (l'individuazione di "criteri e modalita' di attuazione") potrebbe qui comportare l'esercizio di un potere tanto di natura meramente tecnica, quanto di natura discrezionale. Per evitare tale ultima evenienza e quindi per ricondurre a legittimita' costituzionale la norma impugnata, deve essere riservato al decreto un compito attuativo meramente tecnico».

La sentenza ha cosi' concluso che «per ricondurre a legittimita' costituzionale la norma impugnata, deve essere riservato al decreto un compito attuativo meramente tecnico» ed ha pertanto rilevato l'illegittimita' costituzionale del comma 5 dell'art. 10 «nella parte in cui non prevede la parola "tecnica", dopo le parole "criteri e modalita' di attuazione" e prima delle parole "del presente articolo"».

Ci si trovava al cospetto dunque di una sentenza additiva, con la quale si censurava (e si integrava) l'omissione del legislatore per non aver specificato che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe potuto dettare criteri e modalita' attuative unicamente di natura tecnica.

 

5. Nonostante la norma risultasse cosi' emendata dalla violazione costituzionale, il legislatore e' intervenuto con le disposizioni oggi impugnate, le quali, modificando i commi 3, 4 e 5, finiscono per perpetuare sostanzialmente la medesima illegittimita' costituzionale gia' rilevata.

Infatti, il nuovo art. 10, legge n. 243/2012, modificato dall'art. 2 della legge n. 164/2016, prevede che:

«1. Il ricorso all'indebitamento da parte delle regioni, dei comuni, delle province, delle citta' metropolitane e delle province autonome di Trento e di Bolzano e' consentito esclusivamente per finanziare spese di investimento con le modalita' e nei limiti previsti dal presente articolo e dalla legge dello Stato.

2. In attuazione del comma 1, le operazioni di indebitamento sono effettuate solo contestualmente all'adozione di piani di ammortamento di durata non superiore alla vita utile dell'investimento, nei quali sono evidenziate l'incidenza delle obbligazioni assunte sui singoli esercizi finanziari futuri nonche' le modalita' di copertura degli oneri corrispondenti.

3. Le operazioni di indebitamento di cui al comma 2 e le operazioni di investimento realizzate attraverso l'utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti sono effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale che garantiscano, per l'anno di riferimento, il rispetto del saldo di cui all'articolo 9, comma 1, del complesso degli enti territoriali della regione interessata, compresa la medesima regione.

4. Le operazioni di indebitamento di cui al comma 2 e le operazioni di investimento realizzate attraverso l'utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti, non soddisfatte dalle intese di cui al comma 3, sono effettuate sulla base dei patti di solidarieta' nazionali. Resta fermo il rispetto del saldo di cui all'articolo 9, comma 1, del complesso degli enti territoriali.

5. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare d'intesa con la Conferenza unificata, sono disciplinati criteri e modalita' di attuazione del presente articolo, ivi incluse le modalita' attuative del potere sostitutivo dello Stato, in caso di inerzia o ritardo da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. Lo schema del decreto e' trasmesso alle Camere per l'espressione del parere delle commissioni parlamentari competenti per i profili di carattere finanziario. I pareri sono espressi entro quindici giorni dalla trasmissione, decorsi i quali il decreto puo' essere comunque adottato».

6. Come si vede, il nuovo comma 5 mantiene le medesime illegittimita' gia' censurate da codesta Corte. E cio' non soltanto dal punto di vista formale, nella misura in cui non conserva piu' la specificazione del carattere meramente tecnico (e non discrezionale) del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ritenuta necessaria dalla sentenza n. 88 del 2014, ma anche dal punto di vista sostanziale, sol che si compia una analisi del tipo di quella effettuata con la sentenza n. 88/2014, ovvero una analisi nella quale la natura (meramente tecnica ovvero anche discrezionale) del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri viene verificata in relazione agli adempimenti ad esso riservati dai commi che precedono.

In questo senso, allora, si osserva che il nuovo comma 3 ha si' eliminato ogni specifico e diretto riferimento al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 5 (ai fini della comunicazione del saldo di cassa e degli investimenti che si intendono realizzare). Tuttavia, lo stesso comma 5 prevede oggi - con formula onnicomprensiva - che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri deve disciplinare criteri e modalita' di attuazione di tutti gli adempimenti previsti nell'articolo 10 e, dunque, ancora una volta, anche i criteri e le modalita' per garantire il rispetto dello stesso saldo di cassa di cui all'art. 9, comma 1, legge n. 243/2012.

Analogamente, il nuovo comma 4 elimina la previsione del riparto del saldo negativo tra gli enti territoriali inadempienti, con cio' apparentemente sanando l'illegittimita' rilevata nella sentenza n. 88/2014. E tuttavia, nella misura in cui prevede che «resta fermo il rispetto del saldo di cui all'articolo 9, comma 1, del complesso degli enti territoriali» sottintende e rimette al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il compito di definire criteri e modalita' per garantire tale rispetto da parte della Regione.

Non si dimentichi quanto appena rimarcato: ai sensi del comma 5, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ha competenza per l'attuazione di tutto l'articolo 10. Ed i commi 3 e 4, benche' novellati, conservano il riferimento ad adempimenti che implicano che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri eserciti una qualche potesta' di tipo discrezionale.

In cio' si manifesta anzitutto la violazione dell'art. 117, comma 6, della Costituzione nella parte in cui la disposizione in questione, ancora una volta, finisce per concedere allo Stato di adottare atti regolamentari in una materia concorrente e dunque in una materia nella quale la potesta' regolamentare spetta alle Regioni.

Si aggiunga oltretutto che, come rilevato nella stessa sentenza n. 88 del 2014 (par. 6), la (nuova) materia esclusiva statale dell'armonizzazione dei bilanci pubblici «non puo' essere interpretata cosi' estensivamente da coprire l'intero ambito materiale regolato dalla legge n. 243 del 2012», dovendosi ricondurre in particolare la disciplina dell'indebitamento delle autonomie territoriali al coordinamento della finanza pubblica.

Non solo.

E' evidente anche la violazione dell'art. 5, comma 2, lettera b), legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, che assegna ad una legge ordinaria rinforzata la disciplina sull'indebitamento delle Regioni; e non gia' ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che, come gia' rilevato da codesta Corte, in tanto puo' trovare qui spazio, in quanto abbia un compito meramente attuativo-esecutivo, di natura meramente tecnica.

Infine, dal momento che il comma 5 conteneva ormai l'esplicito riferimento alla natura tecnica del decreto grazie alla addizione fatta dalla sentenza n. 88 del 2014, il fatto che la volonta' legislativa trasfusa nel nuovo comma 5 abbia eliminato questo aggettivo sembra ancor piu' avallare l'interpretazione che al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si sia voluto assegnare, in realta', un contenuto che va oltre questo ristretto confine; riassegnando al regolamento un potere discrezionale.

 

7. Si vuole qui ancora precisare che la rilevata illegittimita' non puo' certo dirsi sanata dalla previsione che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ex art. 10, comma 5, sia adottato all'esito di Intese con la Conferenza unificata, cosi' modificando l'originario tenore della disposizione, che si riferiva ad una intesa da raggiungere in sede di Conferenza permanente.

Infatti codesta Corte, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale del comma 5 nella sua vecchia formulazione, aveva ritenuto di poter prescindere da questo profilo, affermando che la previsione di un'intesa con la Conferenza permanente appariva «una garantita procedimentale in se' sufficiente del coinvolgimento delle autonomie». La violazione dell'art. 5, legge Cost. n. 1/2012 dunque sussisteva - e sussiste ancora oggi - per il solo fatto di aver riservato la disciplina attuativa sull'indebitamento delle Regioni ad una fonte di natura regolamentare (non esplicitamente confinata entro un ristretto contenuto tecnico), anziche' ad una legge ordinaria rinforzata. Questa illegittimita' non e' in alcun modo eliminata per via della comparsa della Conferenza unificata.

 

II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1, lettere b) e c) della legge 12 agosto 2016, n. 164, per violazione del principio di leale collaborazione e con esso degli artt. 5 e 114 della Costituzione

1. Con il secondo motivo di ricorso si censura l'art. 4, comma 1, lettere b) e c) della legge 12 agosto 2016, n. 164, il quale ha modificato il comma 2, dell'art. 12, legge n. 243/2012 ed abrogato il comma 3 del medesimo articolo.

Anche in questo caso, pare opportuno partire dall'esame della vecchia formulazione dei commi 2 e 3 dell'art. 12, secondo cui:

«... 2. Nelle fasi favorevoli del ciclo economico, i documenti di programmazione finanziaria e di bilancio, tenendo conto della quota di entrate proprie degli enti di cui al comma 1 influenzata dall'andamento del ciclo economico, determinano la misura del contributo del complesso dei medesimi enti al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. Tale contributo e' incluso tra le spese di cui all'articolo 9, comma 1, lettera a).

3. Il contributo di cui al comma 2 e' ripartito tra gli enti di cui al comma 1 con decreto del Presidente del consiglio dei ministri, sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, tenendo conto della quota di entrate proprie di ciascun ente influenzata dall'andamento del ciclo economico. Lo schema del decreto e' trasmesso alle Camere per l'espressione del parere da parte delle Commissioni competenti per i profili di carattere finanziario. I pareri sono espressi entro trenta giorni dalla trasmissione, decorsi i quali il decreto puo' essere comunque adottato».

Risulta chiaro che il comma 2 dell'art. 12 prevedeva che la misura complessiva del contributo delle Regioni e degli Enti locali al Fondo per l'Ammortamento dei titoli di Stato fosse determinato con legge dello Stato. A sua volta, il comma 3 stabiliva che la ripartizione fra gli Enti interessati di tale contributo sarebbe avvenuta con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza permanente.

2. Proprio il comma 3 appena citato e' stato oggetto di impugnazione dinanzi a codesta Corte per violazione del principio di leale collaborazione, nella misura in cui prevedeva che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri fosse adottato sentita la Conferenza permanente, anziche' d'intesa con la Conferenza unificata.

Con la pronuncia dianzi richiamata (la n. 88 del 2014), codesta Corte (al punto 10.3) ha ritenuto sussistente la violazione del principio di leale collaborazione per via del mancato e necessario pieno coinvolgimento delle Regioni, affermando che «e' necessario, in primo luogo, che il procedimento si svolga nell'ambito non della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, bensi' della Conferenza unificata, in modo da garantire a tutti gli enti territoriali la possibilita' di collaborare alla fase decisionale. Ed e' anche necessario che tale collaborazione assuma la forma dell'intesa, considerate l'entita' del sacrificio imposto e la delicatezza del compito cui la Conferenza e' chiamata».

Dunque, la Corte ha concluso che «il comma 3 dell'art. 12, pertanto, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede che "Il contributo di cui al comma 2 e' ripartito tra gli enti di cui al comma 1 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica", anziche' "Il contributo di cui al comma 2 e' ripartito tra gli enti di cui al comma 1 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni"».

Si e' trattato in questo caso di una pronuncia manipolativa di tipo sostitutivo, derivando l'illegittimita' della norma dalla previsione di una certa prescrizione anziche' di un'altra. La pronuncia conteneva in se' la decisione di incostituzionalita' della legge per quello che essa diceva e, al tempo stesso, una decisione aggiuntiva per quel che essa non diceva.

3. La nuova norma, per come risultante dalle modifiche normative oggetto di censura, abroga il comma 3 che era, appunto, oggetto della sentenza sostitutiva, mantenendo tuttavia inalterata la violazione del principio di leale collaborazione gia' rilevato da codesta Corte.

Il nuovo comma 2, invero, prevede oggi che «Fermo restando quanto previsto dall'articolo 9, comma 5, gli enti di cui al comma 1, tenuto conto dell'andamento del ciclo economico, concorrono alla riduzione del debito del complesso delle amministrazioni pubbliche attraverso versamenti al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato secondo modalita' definite con legge dello Stato, nel rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge». In altre parole, la norma stabilisce che le Regioni concorrono alla riduzione del debito delle Amministrazioni con versamenti al Fondo da effettuarsi con modalita' definite con legge dello Stato. Legge che ha oggi un ruolo onnicomprensivo perche' assorbe anche i compiti prima assegnati al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, relativi ai criteri di ripartizione gia' oggetto delle valutazioni della sentenza n. 88 del 2014.

4. Ora, pur potendosi apparentemente ritenere che la norma abbia introdotto elementi rilevanti per mettere in dubbio l'illegittimita' costituzionale, avendo affidato la definizione delle modalita' di riparto ad una legge dello Stato, anziche' al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, cio' non elimina affatto il ripetersi della violazione.

Ed infatti, l'aver previsto che sia una legge dello Stato a definire tali aspetti non e' di per se' dirimente, atteso che la stessa legge dello Stato verra' adottata senza alcun coinvolgimento delle Regioni e, dunque, in perpetrata violazione del principio di leale collaborazione.

La sentenza di codesta Corte, per cio' che riguarda questo profilo, non aveva appuntato la propria attenzione sul tipo di fonte utilizzata, bensi' sul fatto che le modalita' di riparto avvenissero senza una reale collaborazione Stato-Regioni.

Evidente e' dunque la violazione del principio di leale collaborazione e con esso degli artt. 5 e 114 della Costituzione in quanto la nuova norma perpetua il vizio di illegittimita' costituzionale gia' rilevato da codesta Corte con la sentenza n. 88/2014 (punto 10.3) nella parte in cui affida allo Stato il compito di definire le modalita' di contribuzione e riparto, senza alcun coinvolgimento delle Regioni.

Il tutto abrogando un comma che era stato oggetto di pronuncia sostitutiva da parte di codesta Corte proprio per assicurare il rispetto delle prerogative regionali.

Di qui la denunciata illegittimita' costituzionale.

 

III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a), della legge 12 agosto 2016, n. 164, per violazione del principio di leale collaborazione e con esso degli artt. 5 e 114 della Costituzione

1. Con il presente motivo si impugna, denunciandone l'illegittimita' costituzionale, l'articolo 3, comma 1, lettera a) della legge 12 agosto 2016, n. 164, col quale e' stato interamente sostituito il comma 1 dell'art. 11 della legge n. 243 del 2012, il cui tenore e' divenuto il seguente:

«Fermo restando quanto previsto dall'articolo 9, comma 5, e dall'articolo 12, comma 1, lo Stato, in ragione dell'andamento del ciclo economico o al verificarsi di eventi eccezionali, concorre al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali, secondo modalita' definite con leggi dello Stato, nel rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge». Questo comma oggi esaurisce il contenuto del medesimo art. 11, dato che gli altri due commi sono stati nel contempo abrogati dall'art. 3, comma 1, lettera b) della medesima legge n. 164 del 2016.

Nel suo tenore precedente l'art. 11, che pur esso era stato in parte scrutinato da codesta Corte nella richiamata sentenza n. 88 del 2014 (par. 10.1 e 10.2), disciplinava il funzionamento di un Fondo straordinario per il concorso dello Stato, per le fasi avverse del ciclo economico o al verificarsi di eventi eccezionali, da destinare al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali, alimentato da quota parte delle risorse derivanti dal ricorso all'indebitamento consentito dalla correzione per gli effetti del ciclo economico del saldo del conto consolidato. Si prevedeva, altresi', nell'originario primo comma, il riferimento ad una quota di entrate proprie degli enti territoriali «di cui all'art. 10, comma 1». Inoltre, dopo aver previsto nel comma 2 un raccordo con gli obiettivi programmatici indicati all'art. 6, si aggiungeva al comma 3 che il riparto a favore degli enti territoriali sarebbe avvenuto con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, tenendo conto della quota di entrate proprie di ciascun ente influenzata dall'andamento del ciclo economico e degli effetti degli eventi.

In altre parole, l'art. 11 della legge n. 243 del 2012 recava una misura di accantonamento finanziario imperniata sull'azione e sulle risorse dello Stato, evidentemente tenendo anche conto delle entrate proprie degli enti territoriali, con la finalita' di tutelare i livelli essenziali delle prestazioni e l'esercizio delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali. Una finalita', sottolineava oltretutto la sentenza n. 88 del 2014 (par. 10.2.), che non puo' andare disgiunta da quella che attiene alla garanzia del rigore finanziario. La disposizione si saldava cosi', osservava codesta Corte, con l'originario testo dell'art. 12, rivelando la «connessione esistente fra i due articoli» e, per quanto attiene all'art. 11, essa era considerata una norma «favorevole» all'allora ricorrente Provincia autonoma di Trento, che l'aveva impugnata esclusivamente per coerenza organica con le censure rivolte contro l'art. 12.

Ebbene, la modifica introdotta con la norma qui impugnata modifica in modo profondo il contenuto dell'articolo. In esso, ormai, la provvista per far fronte alla tutela dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali vede unicamente il concorso dello Stato (lo Stato, appunto, concorre) mentre restano viceversa fermi e appositamente richiamati ex novo:

(i) quanto previsto dall'art. 9, comma 5, che prevede la facolta' statale di imporre ulteriori obblighi a carico degli enti territoriali;

(ii) quanto previsto dall'art. 12, comma 1, che ribadisce il necessario concorso degli enti territoriali ad assicurare la sostenibilita' del debito del complesso delle amministrazioni pubbliche, secondo modalita' definite con legge dello Stato.

Pertanto, in luogo del Fondo a cura dello Stato compare nell'art. 11 il piu' blando concorso statale, in una con la rivendicazione del potere dello Stato stesso di imporre agli enti territoriali rilevantissimi oneri finanziari.

Se pure le finalita' solidaristiche che sono prese in considerazione da questa riforma possano richiedere, anche per la specifica funzione dell'art. 11, un sacrificio delle autonomie territoriali e l'incidenza sulla loro autonomia finanziaria, nondimeno risulta evidente la violazione del principio di leale collaborazione, e con esso, degli artt. 5 e 114 Cost., nella parte in cui non prevedono il loro coinvolgimento nelle relative decisioni sulla provvista da assicurare per provvedere alla garanzia dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali (Corte cost., sentenze n. 139 del 2012; n. 165 del 2011; ed ovviamente n. 88 del 2014).

Questa illegittimita' costituzionale sussiste per almeno tre concorrenti profili.

In primo luogo, per la parte in cui non e' stato previsto il coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome e delle altre autonomie nella forma di una previa intesa in Conferenza unificata, o quantomeno di un parere, per cio' che attiene all'individuazione della misura dell'accantonamento e/o della provvista da destinare a questa finalita'. Il che, oltretutto, genera anche gravissime inefficienze e disfunzioni sull'ordine delle competenze, dal momento che le Regioni, specialmente per le funzioni da esse svolte nel campo sanitario, hanno la visione e la disponibilita' di dati conoscitivi ed elementi di valutazione che sono cruciali per calibrare l'entita' dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali. Essenziale, quindi, sarebbe stato prevedere l'intesa o quantomeno un parere da acquisire nella sede della Conferenza unificata.

In secondo luogo, l'imposizione di questi obblighi di contribuzione delle Regioni e degli enti territoriali (e quindi la fissazione del loro importo totale), lapidariamente fondati sul richiamo all'art. 9, comma 5 ed all'art. 12, comma 1, della medesima legge n. 243 del 2012, genera una compressione dell'autonomia finanziaria tale che potrebbe giustificarsi, ancora una volta, solo rispettando il principio di leale collaborazione e quindi previa intesa in sede di Conferenza unificata.

In terzo luogo, il rispetto del principio di leale collaborazione avrebbe dovuto altresi' essere rispettato per quanto attiene alla scelta - comunque necessaria, benche' non garantito nella disposizione - di come ripartire l'onere del concorso finanziario a carico degli enti territoriali. Possono ancora una volta richiamarsi in proposito le considerazioni svolte da codesta Corte nella sentenza n. 88 del 2014, a proposito della rilevata illegittimita' costituzionale del testo originario dell'art. 12, comma 3, della legge n. 243 del 2012. Il necessario e pieno coinvolgimento delle Regioni richiede allora sia un previo passaggio procedimentale che coinvolga la Conferenza unificata sia una collaborazione che assuma la forma dell'intesa.

Per questi motivi, Regione Liguria chiede che sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate.

 

P. Q. M.

 

Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso e per l'effetto, dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 2, comma 1, lettera c); 3, comma 1, lettera a); 4, comma 1 lettere b) e c) della legge 12 agosto 2016, n. 164, recante «Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli Enti Locali», per violazione degli articoli 117, sesto comma, della Costituzione, nonche' per violazione dell'art. 5, comma 1, lettera b) della legge costituzionale n. 1 del 2012, e del principio di leale collaborazione e con esso degli artt. 5 e 114 della Costituzione, per le ragioni sopra esposte.

 

Si produce la delibera di G.R. n. 959 del 25 ottobre 2016 (doc. 1).

 

Roma, addi' 27 ottobre 2016

 

Prof. avv.: Cintioli 

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