Ricorso n. 73 del 9 ottobre 2014 (Regione Campania)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 9 ottobre 2014 (della Regione Campania).
(GU n. 48 del 2014-11-19)
Ricorso della Regione Campania (c.f.: …), in persona
del Presidente della Giunta regionale pro tempore, On. Dott. Stefano
Caldoro, rappresentata e difesa, giusta deliberazione di Giunta
regionale n. 423 del 22 settembre 2014 e procura a margine del
presente atto, unitamente e disgiuntamente, dall'avv. Maria D'Elia
(c.f.: …) e dall'avv. Almerina Bove (…)
dell'Avvocatura Regionale, elettivamente domiciliato presso l'Ufficio
di rappresentanza della Regione Campania sito in Roma alla via Poli
n. 29 (fax ..; pec: …);
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 4 e
16, commi 5 e 6, del decreto legge 31 maggio 2014, n. 83, recante
"Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo
sviluppo della cultura e il rilancio del turismo", convertito con
modificazioni dalla legge 29 luglio 2014 n. 106, pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale n. 175 del 30 luglio 2014.
Fatto
1. Nella Gazzetta Ufficiale - Serie Generale - n. 236 dell'8
ottobre 2013, veniva pubblicata la legge 7 ottobre 2013, n. 112,
avente ad oggetto "Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, recante disposizioni urgenti per
la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attivita'
culturali e del turismo".
2. L'art. 1 comma 1 della citata legge inseriva nel decreto-legge
8 agosto 2013, n. 91, l'art 2-bis, a mente del quale «All'art. 52 del
codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) dopo il comma 1 e' aggiunto il seguente: "1-bis. Fermo
restando quanto previsto dall'art. 7-bis, i comuni, sentito il
soprintendente, individuano altresi' i locali, a chiunque
appartenenti, nei quali si svolgono attivita' di artigianato
tradizionale e altre attivita' commerciali tradizionali, riconosciute
quali espressione dell'identita' culturale collettiva ai sensi delle
convenzioni UNESCO di cui al medesimo art. 7-bis, al fine di
assicurarne apposite forme di promozione e salvaguardia, nel rispetto
della liberta' di iniziativa economica di cui all'art. 41 della
Costituzione";
b) la rubrica e' sostituita dalla seguente: "Esercizio del
commercio in aree di valore culturale e nei locali storici
tradizionali"».
3. L'art. 1, comma 1 della citata legge inseriva, altresi', nel
decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, l'art. 4-bis, a mente del quale
«All'art. 52 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, dopo il comma 1 e'
aggiunto il seguente: "1-bis. Al fine di contrastare l'esercizio,
nelle aree pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico,
artistico e paesaggistico, di attivita' commerciali e artigianali in
forma ambulante o su posteggio, nonche' di qualsiasi altra attivita'
non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale,
con particolare riferimento alla necessita' di assicurare il decoro
dei complessi monumentali e degli altri immobili del demanio
culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti,
nonche' delle aree a essi contermini, le Direzioni regionali per i
beni culturali e paesaggistici e le soprintendenze, sentiti gli enti
locali, adottano apposite determinazioni volte a vietare gli usi da
ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di tutela e di
valorizzazione, comprese le forme di uso pubblico non soggette a
concessione di uso individuale, quali le attivita' ambulanti senza
posteggio, nonche', ove se ne riscontri la necessita, l'uso
individuale delle aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio di
concessioni di posteggio o di occupazione di suolo pubblico"».
4. Con ricorso ritualmente notificato e pubblicato sulla Gazzetta
ufficiale n. 4 del 22 gennaio 2014, iscritto al Registro Ricorsi con
il n. 202/13 - a tutt'oggi pendente - la scrivente Amministrazione
regionale ha adito Codesta Eccellentissima Corte per la declaratoria
della illegittimita' costituzionale delle disposizioni di legge di
cui ai citati artt. 2-bis e 4 bis, del decreto-legge 8 agosto 2013,
n. 91 per violazione degli artt. 117, commi 3 e 4 e 118 della
Costituzione e per Violazione del principio di leale collaborazione.
5. Sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 30.7.2014 e' stata
successivamente pubblicata la legge 29 luglio 2014, n. 106, di
conversione in legge con modificazioni del decreto-legge 31 maggio
2014, n. 83, recante "Disposizioni urgenti per la tutela del
patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del
turismo".
6. L'art. 4 del decreto legge citato e' intervenuto, in
particolare, a novellare nuovamente l'art. 52 del Codice dei beni
culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42, mediante rinumerazione in comma 1-ter, del comma 1-bis
introdotto dall'art. 4- bis del d.l. 8 agosto 2013, n. 91,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112
(oggetto del menzionato ricorso pendente innanzi a Codesta Corte con
il n. 102 del 2013) e stabilendo che "Al fine di rafforzare le misure
di tutela del decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili
del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente
rilevanti e anche in relazione al comma 5 dell'art. 70 del decreto
legislativo 26 marzo 2010, n. 59, di attuazione della direttiva
2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre
2006 relativa ai servizi nel mercato interno, al comma 1-ter,
dell'art. 52 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, come rinominato dal
presente articolo, al primo periodo, le parole: «di contrastare
l'esercizio, nelle aree pubbliche aventi particolare valore
archeologico, storico, artistico e paesaggistico, di attivita'
commerciali e artigianali in forma ambulante o su posteggio, nonche'
di qualsiasi altra attivita' non compatibile con le esigenze di
tutela del patrimonio culturale, con particolare riferimento alla
necessita'» sono soppresse e le parole: «le Direzioni regionali per i
beni culturali e paesaggistici e le sopraintendenze, sentiti gli enti
locali» sono sostituite dalle seguenti: «i competenti uffici
territoriali del Ministero, d'intesa con i Comuni», ed e' aggiunto,
in fine, il seguente periodo.. «In particolare, i competenti uffici
territoriali del Ministero e i Comuni avviano, d'intesa, procedimenti
di riesame, ai sensi dell'art. 21-quinquies, della legge 7 agosto
1990, n. 241, delle autorizzazioni e delle concessioni di suol o
pubblico, anche a rotazione, che risultino non piu' compatibili con
le esigenze di cui al presente comma, anche in deroga a eventuali
disposizioni regionali adottate in base all'art. 28, commi 12, 13 e
14, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e successive
modificazioni, nonche' in deroga ai criteri per il rilascio e il
rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio
su aree pubbliche e alle disposizioni transitorie stabilite
nell'intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell'art. 8,
comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, prevista dall'art. 70,
comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, recante
attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato
interno. In caso di revoca del titolo, ove non risulti possibile il
trasferimento dell'attivita' commerciale in una collocazione
alternativa potenzialmente equivalente, al titolare e' corrisposto da
parte dell'amministrazione procedente l'indennizzo di cui all'art.
21-quinquies, comma 1, terzo periodo, della legge 7 agosto 1990, n.
241, nel limite massimo della media dei ricavi annui dichiarati negli
ultimi cinque anni di attivita', aumentabile del 50 per cento in caso
di comprovati investimenti effettuati nello stesso periodo per
adeguarsi alle nuove prescrizioni in materia emanate dagli enti
locali".
Il citato art. 52, comma 1-ter del Codice dei beni culturali e
del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42,
risulta, dunque, formulato nei seguenti termini: "Al fine di
assicurare il decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili
del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente
rilevanti, nonche' delle aree a essi contermini, i competenti uffici
territoriali del Ministero, d'intesa con i Comuni, adottano apposite
determinazioni volte a vietare gli usi da ritenere non compatibili
con le specifiche esigenze di tutela e di valorizzazione, comprese le
forme di uso pubblico non soggette a concessione di uso individuale,
quali le attivita' ambulanti senza posteggio, nonche', ove se ne
riscontri la necessita', l'uso individuale delle aree pubbliche di
pregio a seguito del rilascio di concessioni di posteggio o di
occupazione di suolo pubblico. In particolare, i competenti u ici
territoriali del Ministero e i Comuni avviano, d'intesa, procedimenti
di riesame, ai sensi dell'art. 21-quinquies, della legge 7 agosto
1990, n. 241, delle autorizzazioni e delle concessioni di suolo
pubblico, anche a rotazione, che risultino non piu' compatibili con
le esigenze di cui al presente comma, anche in deroga a eventuali
disposizioni regionali adottate in base all'art. 28, commi 12, 13 e
14, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e successive
modificazioni, nonche' in deroga ai criteri per il rilascio e il
rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio
su aree pubbliche e alle disposizioni transitorie stabilite
nell'intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell'art. 8,
comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, prevista dall'art. 70,
comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, recante
attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato
interno. In caso di revoca del titolo, ove non risulti possibile il
trasferimento dell'attivita' commerciale in una collocazione
alternativa potenzialmente equivalente, al titolare e' corrisposto da
parte dell'amministrazione procedente l'indennizzo di cui all'art.
21-quinquies, comma 1, terzo periodo, della legge 7 agosto 1990, n.
241, nel limite massimo della media dei ricavi annui dichiarati negli
ultimi cinque anni di attivita', aumentabile del 50 per cento in caso
di comprovati investimenti effettuati nello stesso periodo per
adeguarsi alle nuove prescrizioni in materia emanate dagli enti
locali".
7. L'art. 16 dello stesso decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83,
convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106,
rubricato Trasformazione di ENIT in ente pubblico economico e
liquidazione di Promuovi Italia S.p.A. dispone, inoltre, la
trasformazione dell'ENIT-Agenzia nazionale del turismo in ente
pubblico economico, che "nel perseguimento della missione di
promozione del turismo, interviene per individuare, organizzare,
promuovere e commercializzare i servizi turistici e culturali e per
favorire la commercializzazione dei prodotti enogastronomici, tipici
e artigianali in Italia e all'estero, con particolare riferimento
agli investimenti nei mezzi digitali, nella piattaforma tecnologica e
nella rete internet attraverso il potenziamento del portale
"Italia.it", anche al fine di realizzare e distribuire una Carta del
turista, anche solo virtuale, che consenta, mediante strumenti e
canali digitali e apposite convenzioni con soggetti pubblici e
privati, di effettuare pagamenti a prezzo ridotto per la fruizione
integrata di servizi pubblici di trasporto e degli istituti e dei
luoghi della cultura" (comma 2). A mente del comma 3, costituiscono
organi dell'ENIT il presidente, il consiglio di amministrazione e il
collegio dei revisori dei conti. Ai sensi del successivo comma 5,
"Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del
presente decreto si provvede all'approvazione del nuovo statuto
dell'ENIT. Lo statuto, adottato in sede di prima applicazione dal
Commissario di cui al comma 4, e' approvato con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dei
beni e delle attivita' culturali e del turismo. Il presidente
dell'ENIT e' nominato con decreto del Presidente della Repubblica,
previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del
Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo"; detto
statuto, ai sensi del successivo comma 6 tra l'altro "stabilisce
(omissis) che il consiglio di amministrazione sia composto, oltre che
dal presidente dell'ENIT, da due membri nominati dal Ministro dei
beni e delle attivita' culturali e del turismo, di cui uno su
designazione della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, e l'altro
sentite le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative,
nel rispetto della disciplina in materia di inconferibilita' e
incompatibilita' di incarichi presso le pubbliche amministrazioni di
cui al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39. Lo statuto provvede
alla disciplina delle funzioni e delle competenze degli organismi
sopra indicati e della loro durata, nonche' dell'Osservatorio
nazionale del turismo".
8. I citati artt. 4 e 16, commi 5 e 6 del decreto-legge 31 maggio
2014, n. 83, recante "Disposizioni urgenti per la tutela del
patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del
turismo", convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014, n.
106, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 30.7.2014 sono
costituzionalmente illegittimi per i seguenti
Motivi
I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 4 del decreto legge 31
maggio 2014, n.83, convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio
2014, n.106 per violazione degli artt. 117, commi 3 e 4 e 118 della
Costituzione e per violazione del principio di leale collaborazione
di cui all'art.5 della Costituzione.
Si e' sopra rilevato come, con ricorso R.R. 102/2013, attualmente
pendente, la ascrivente Amministrazione regionale abbia denunciato a
codesta Corte la illegittimita' delle previsioni di cui all'art. 4
bis, del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, per i vizi indicati in
epigrafe, all'uopo rilevando come non competa allo Stato la
disciplina delle attivita' artigianali e commerciali e, in
particolare, come, in seguito alla riforma del titolo V della
Costituzione, la materia del commercio sia stata da Codesta Corte
pacificamente ricondotta alla competenza legislativa residuale delle
Regioni ex art. 117, comma 4, Cost. (cfr. sentenza 13 gennaio 2004,
n. 1). Si e', del pari, messo in luce come, nel vigente assetto delle
competenze, neppure spetti allo Stato l'adozione di apposite
determinazioni volte a vietare le attivita' non compatibili con le
specifiche esigenza di tutela e di valorizzazione delle aree di
valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico. Quanto
rilevato vale, poi, a fortiori per le aree non aventi diretto valore
archeologico, storico, artistico e paesaggistico, bensi' ad esse
meramente "contermini". La materia della valorizzazione dei beni
culturali e', d'altronde, come sopra rilevato, affidata alla
competenza concorrente regionale, con la conseguenza della
illegittimita' costituzionale della previsione in epigrafe anche
sotto il profilo dell'eccedenza del relativo contenuto rispetto ai
principi fondamentali nella materia, e del contrasto con la
necessita' che essi lascino spazio per una attuazione regionale (cfr.
Corte Cost., sent. 200/2009).
Ebbene, le modifiche recate dall'art. 4, del decreto legge n.
83/2014 non sono satisfattive delle ragioni sottese al citato ricorso
n. 102/2013, e pertanto - ferma la persistenza del'interesse alla
decisione del ricorso pendente, anche in considerazione
dell'applicazione medio tempore della norma - le descritte censure si
ripropongono nel presente ricorso.
II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, del decreto legge
31 maggio 2014, n.83, convertito con modificazioni dalla legge 29
luglio 2014, n. 106 per violazione degli artt. 5, 117, commi 1, 2, 3
e 4 e 118, comma 3 e 120 della Costituzione.
II.1. Le nuove previsioni presentano, inoltre, ulteriori ragioni
di illegittimita', derivanti dalla violazione delle norme in rubrica.
La novella in esame consente infatti all'amministrazione dello Stato
e degli enti locali di derogare a disposizioni legislative di
competenza regionale in materia di commercio e all'intesa,
sottoscritta in sede di Conferenza unificata per "favorire
l'armonizzazione delle rispettive legislazioni" (ai sensi dell'art.
8, comma 6, della legge n. 131/2003), avente ad oggetto "criteri da
applicare nelle procedure di selezione per l'assegnazione dei
posteggi su aree pubbliche". Piu' in particolare, detta novella si
pone in patente contrasto con l'art. 117, quarto comma, Cost.,
laddove presuppone ancora generalmente applicatile l'art. 28, del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 e derogabili le leggi
regionali dettate "in base" al decreto medesimo. Codesta Corte ha
gia' avuto modo di chiarire che, a seguito della modifica del Titolo
V della Parte seconda della Costituzione, il predetto decreto
legislativo, ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge n. 131/2003,
si applica soltanto alle Regioni che non abbiano emanato una propria
legislazione in materia di commercio (ord. 199/2006; sent. 247/2010)
in quanto la potesta' legislativa ex art. 117, quarto comma, Cost.
non puo' ritenersi condizionata dalla normativa statale preesistente
alla riforma costituzionale del 2001 (sent. 1/2014). In particolare,
la ricorrente Regione Campania ha recentemente dettato nuove
disposizioni sia in materia di commercio - attraverso la legge
regionale n. 1/2014 - che non consentono di ritenere ulteriormente
applicabili nel territorio campano le disposizioni del decreto
legislativo n. 114/1998 e le sue modificazioni e integrazioni anche
successive all'entrata in vigore della riforma del Titolo V
(ponendosi, in tal caso, come norme solo transitoriamente sostitutive
per le Regioni che non si siano ancora dotate di una propria
legislazione in materia).
II.2. La disposizione impugnata contrasta, altresi', con l'art.
117, secondo, terzo e quarto comma, Cost., laddove sottrae alle
Regioni, per determinate zone del loro territorio, la disciplina del
commercio al dettaglio su aree pubbliche, per il generico fine di
rafforzare le misure di tutela del decoro dei complessi monumentali e
degli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi
turistici particolarmente rilevanti, nonche' delle aree a asse
contermini. Il perseguimento di tale finalita' e' in concreto da
ricondurre, infatti, alla nozione di valorizzazione del patrimonio
culturale, finalizzata ad "assicurare le migliori condizioni di
utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso" (art. 6,
comma 1, decreto legislativo n. 42/2004) e non a quella della sua
tutela, che invece mira ad "individuare i beni costituenti il
patrimonio culturale e a garantirne la protezione e la conservazione"
(art. 3, comma 1, decreto legislativo n. 42/2004). In tale materia,
alla legge dello Stato compete esclusivamente la determinazione dei
principi generali, che per loro natura non possono concernere
previsioni di estremo dettaglio come quelle recate, in particolare,
dal secondo periodo del comma 1-ter oggetto della presente
impugnativa, che non lasciano alcuno spazio per la normativa
regionale, inibendone ogni possibilita' d'intervento.
II.3. In via subordinata, ove volesse ritenersi che la disciplina
in questione possa, almeno parzialmente, ricondursi a esigenze di
tutela dei beni culturali, la legge impugnata e' comunque illegittima
in quanto la normativa statale e' in ogni caso chiamata a
disciplinare forme di intesa e coordinamento sul piano procedimentale
ai sensi di quanto previsto dall'art. 118, terzo comma, della
Costituzione, al precipuo fine di assicurare che non siano trascurate
le peculiarita' locali delle Regioni (Corte Cost. 9/2004).
II.4. La disciplina impugnata incide senza dubbio sulla materia
del "commercio al dettaglio su aree pubbliche" di competenza
residuale delle regioni (si vedano ad es. le sentenze della Corte
cost. nn. 64 e 165 del 2007), gia' oggetto di precedenti specifiche
intese stipulate ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge n.
131/2003, "per l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il
raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi
comuni". Risultano dunque certamente violati, oltre l'art. 117 Cost.,
secondo, terzo e quarto comma, anche il principio di leale
collaborazione di cui agli articoli 5, 118, terzo comma, e 120,
secondo comma, Cost., non potendo la legge dello stato disciplinare
unilateralmente, senza ricorso al procedimento partecipativo, le
materie oggetto delle intese stipulate ex art. 8, comma 6, della
legge n. 131/2003 (recante norme di adeguamento all'art. 120 Cost.).
II.5. Le norme impugnate contrastano, altresi', sotto altro
profilo con l'art. 117, primo, secondo e quarto comma, e l'art. 120,
secondo comma, Cost., laddove sottraggono alle Regioni, per
determinate zone del loro territorio, la disciplina del commercio al
dettaglio su aree pubbliche "anche in relazione al comma 5, dell'art.
70, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, di attuazione della
direttiva 2006/123/CE del Parlamento e del Consiglio del 12 dicembre
2006 relativa ai servizi nel mercato interno". Il legislatore statale
sembra, invero richiamare a fondamento del proprio intervento la
propria competenza in materia di rapporti con l'Unione europea e di
tutela della concorrenza: e, tuttavia, non essendo mutato il quadro
costituzionale di riferimento a seguito del decreto legislativo n.
59/2010 (di attuazione della cd. Direttiva servizi), lo Stato non
puo' rivendicare la sua competenza ex art. 117, secondo comma, lett.
a) e lett. e), per dettare una disciplina derogatoria dell'esistente
riparto di competenze tra Stato e Regioni, giacche' "le esigenze
unitarie poste a base di un eventuale accentramento nello Stato della
competenza ad attuare una direttiva comunitaria - in deroga al quadro
costituzionale interno di riparto della funzione legislativa - devono
discendere con evidenza dalla stessa normativa comunitaria, sulla
base di esigenze organizzative che ragionevolmente facciano capo
all'Unione europea" (Corte cost. 398/2006). In particolare, l'art.
70, comma 5, del decreto legislativo n. 59/2010 (attuazione alla
direttiva 2006/123/CE), prevedendo che "con intesa in sede di
Conferenza unificata, ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge 5
giugno 2003, n. 131, anche in deroga al disposto di cui all'art. 16
del presente decreto, sono individuati, senza discriminazioni basate
sulla forma giuridica dell'impresa, i criteri per il rilascio e il
rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio
sulle aree pubbliche", presuppone l'esistenza di diverse e distinte
competenze legislative incidenti nella materia de qua, da coordinare
con intese tra autorita' competenti (ai sensi dell'art. 4, punto 9,
della direttiva, trasfuso nell'art. 8, comma 1, lett. i, del decreto
legislativo n. 59/2010) in attuazione del principio costituzionale di
leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. L'eventuale violazione
di tale principio ridonda necessariamente, pertanto, nella violazione
- oltre che della Costituzione - anche dei vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario, in ragione della sottrazione alle
autorita' competenti presupposte dalla direttiva servizi (e di cui il
decreto legislativo n. 59/2010 ha fatto successiva ricognizione) dei
compiti che la direttiva medesima vi rimette: nello specifico in
attuazione dell'art. 16, del decreto legislativo n. 59/2010
(riproduttivo dell'art. 12 della direttiva).
II.6. La norma impugnata, disponendo anche in deroga unilaterale
all'intesa stipulata ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge
131/2003, per l'armonizzazione delle rispettive legislazioni dello
Stato e delle Regioni sui criteri da applicare nelle procedure di
selezione per l'assegnazione di posteggi su aree pubbliche, appare,
infine, fortemente lesiva del principio di leale collaborazione e
pertanto illegittima anche sotto tale profilo.
III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 16, commi 5 e 6 del
decreto legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito con modificazioni
dalla legge 29 luglio 2014, n. 106 per violazione degli artt. 117,
commi 3 e 4 e 118 della Costituzione e per violazione del principio
di leale collaborazione di cui all'art. 5 della Costituzione.
L'art. 16, del d.l. in oggetto disciplina, come sopra rilevato,
la trasformazione dell'ENIT in ente pubblico economico. Il comma 5
dell'articolo in esame non prevede, ai fini dell'approvazione del
nuovo statuto, alcuna intesa con le Regioni e le Province Autonome,
le quali, in ragione del rinvio alla fonte statutaria dell'ente anche
per la disciplina dell'Osservatorio del Turismo di cui al comma 6,
sono private anche di qualsiasi competenza al riguardo. Nel regime
antecedente alla normativa oggetto del presente ricorso, lo Statuto
dell'Enit era approvato dal consiglio di amministrazione a
maggioranza assoluta (art. 12, del D.P.R. 6 aprile 2006 n. 207) e il
consiglio di amministrazione era nominato d'intesa con la Conferenza
Stato-Regioni (art. 5, del D.P.R. 6 aprile 2006 n. 207), in guisa da
garantire il doveroso coinvolgimento delle regioni sotto tali
profili. Il legislatore statale avrebbe dovuto prevedere il
coinvolgimento delle Regioni, cosi' come richiesto dalla Regioni
stesse in sede di conferenza delle regioni e delle province autonome
in data 12 giugno 2014, tenuto conto che la materia turismo,
appartenendo oramai alla competenza degli enti territoriali, deve
essere trattata dallo Stato stesso con atteggiamento lealmente
collaborativo (Corte cost., sent. n. 214 del 2006, sent. n. 76 e 339
del 2009).
P. Q. M.
Voglia codesta Ecc.ma Corte Costituzionale, in accoglimento del
presente ricorso, dichiarare l'illegittimita' costituzionale delle
disposizioni impugnate, nei profili e termini sopra esposti.
Avv. Bove - Avv. D'Elia