RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 24 ottobre 2008 , n. 74
Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 24 ottobre 2008 (della Regione Toscana)
 
(GU n. 51 del 10-12-2008) 
 

   Ricorso  della  Regione  Toscana,  in  persona  del Presidente pro
tempore,  autorizzato con deliberazioni della giunta regionale n. 758
del  29  settembre 2008, rappresentato e difeso, per mandato in calce
al  presente atto, dall'avv. Lucia Bora e domiciliato in Roma, presso
lo studio dell'avv. Pasquale Mosca, corso d'Italia n. 102;
   Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 14;
dell'art. 11; dell'art. 13, commi 1, 2 e 3-bis; dell'art. 23, commi 1
e  2; dell'art. 57, commi 1 e 2; dell'art. 58, comma 2; dell'art. 61,
comma  8;  dell'art.  64,  comma  4;  dell'art.  67, commi 9 e 10 del
decreto-legge  25  giugno  2008,  n. 112 convertito in legge 6 agosto
2008,  n. 133,  per  violazione degli articoli 117, 118 e 119 Cost. e
del principio di leale cooperazione.
   Nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 195  del  21  agosto  2008 e' stata
pubblicata  la legge n. 133/2008 recante «Disposizioni urgenti per lo
sviluppo   economico,   la  semplificazione,  la  competitivita',  la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria».
   Le  impugnate  disposizioni sono lesive delle competenze regionali
per i seguenti motivi di
                            D i r i t t o
1)   Illegittimita'   costituzionale   dell'art.  2,  comma  14,  per
violazione degli artt. 117 e 119 Cost.
   L'art.  2  vuole  favorire  l'installazione  di reti e impianti in
fibra  ottica; percio' stabilisce che la medesima e' realizzabile con
la  denuncia  di inizio attivita' e disciplina il procedimento, anche
per le ipotesi in cui l'intervento ricada in aree vincolate.
   Non  si  ritiene  giustificabile  il comma 14 ai sensi del quale i
soggetti  pubblici  non possono opporsi alla installazione nella loro
proprieta' di reti ed impianti interrati di comunicazione elettronica
in  fibra ottica, ad eccezione del caso che si tratti di beni facenti
parte  del patrimonio indisponibile dello Stato, delle province e dei
comuni  e  che  tale  attivita'  possa arrecare turbativa al pubblico
servizio.
   La  mancata inclusione dei beni anche del patrimonio indisponibile
regionale  tra quelli che possono legittimare, in quanto funzionali a
scopi  e  utilizzi pubblici, l'opposizione alla installazione di reti
ed  impianti  interrati, ove tale attivita' possa recare turbativa al
pubblico  servizio,  non  ha  giustificazione  alcuna.  Tale  mancata
inclusione   e'  idonea  ad  ostacolare  l'esercizio  delle  funzioni
regionali cui i suddetti beni sono strumentali e a ledere il corretto
utilizzo  di  tali  beni e quindi si pone in contrasto con l'art. 117
Cost.   e  con  l'autonomia  patrimoniale  riconosciuta,  anche  alle
regioni, dall'ultimo comma dell'art. 119 Cost.
2)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 11 per violazione degli
artt. 117, 118 e 119 Cost.
   L'art. 11 introduce il piano nazionale di edilizia abitativa.
   Il  primo  e secondo comma dispongono che tale piano sia approvato
con  d.P.C.m.,  previa delibera del CIPE e d'intesa con la Conferenza
unificata,  e rivolto all'incremento del patrimonio immobiliare a uso
abitativo  per  offrire abitazioni destinate prioritariamente a prima
casa  per  nuclei  familiari  a basso reddito, giovani coppie a basso
reddito,  anziani  in  condizioni  sociali o economiche svantaggiate,
studenti  fuori  sede,  soggetti  sottoposti a procedure esecutive di
rilascio, immigrati regolari a basso reddito.
   Il  terzo  comma  determina  gli  interventi  in  cui  deve essere
articolato   il  piano  e  precisamente:  la  costituzione  di  fondi
immobiliari;  l'incremento  del  patrimonio  abitativo con le risorse
derivanti   dalla  alienazione  degli  alloggi  pubblici  di  cui  al
successivo  art. 13; la promozione di interventi da parte di privati;
le  agevolazioni  in favore di cooperative edilizie; la realizzazione
di  programmi  integrati di promozione di edilizia residenziale anche
sociale.
   Il  quarto  comma  prosegue  poi  prevedendo  la  stipulazione  di
appositi accordi di programma approvati con d.P.C.m., previa delibera
del  CIPE e d'intesa con la Conferenza unificata, per concentrare gli
interventi  sulla  effettiva richiesta abitativa nei singoli contesti
attraverso  la  realizzazione di programmi integrati di promozione di
edilizia  residenziale  e di riqualificazione urbana: decorsi novanta
giorni  senza  che sia stata raggiunta la predetta intesa gli accordi
di programma possono essere approvati.
   Il  quinto comma dispone che gli interventi di cui al quarto comma
sono  realizzati  tramite le procedure di project financing di cui al
decreto   legislativo   n. 163  del  2006;  vengono  disciplinate  le
conseguenze  sui diritti edificatori per incentivare l'intervento dei
promotori.
   Il comma sesto prevede che i programmi di cui al comma quarto sono
finalizzati   a   migliorare   l'abitabilita'   specie   nelle   zone
caratterizzate da degrado urbano.
   Il comma settimo definisce l'alloggio sociale (intervento previsto
dal  comma terzo lettera e) come servizio economico generale, ai fini
dell'esenzione dell'obbligo di notifica degli aiuti di Stato.
   L'ottavo comma prevede verifiche in fase di attuazione del piano e
stabilisce  che  le abitazioni realizzate non possono essere alienate
prima di dieci anni.
   Il  nono  comma  dispone  che l'attuazione del piano nazionale, in
alternativa  agli  accordi di programma di cui al quarto comma, possa
essere  realizzata  con  le  regole  dettate  per  le  infrastrutture
strategiche.
   Il  comma  decimo  introduce la possibilita' di destinare al piano
casa  una quota degli immobili del demanio non piu' utilizzato, sulla
base di accordi tra lo Stato, le regioni e gli enti locali.
   Il  comma  undicesimo  dispone  che i comuni e le province possano
associarsi  per la migliore attuazione dei programmi di cui al quarto
comma, i quali sono dichiarati di interesse strategico nazionale; per
la  loro  attuazione  si provvede con l'applicazione dell'art. 81 del
d.P.R. n. 616/1977, e successive modificazioni.
   Il  dodicesimo comma prevede che tutte le risorse gia' individuate
dalla  legge  finanziaria  del 2007 (legge n. 296/2006) e della legge
n. 222/2007  confluiscono  in  un fondo nazionale che viene istituito
nello  stato  di  previsione del Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti.
   Il  tredicesimo  comma  detta  infine disposizioni per il sostegno
alle  abitazioni in locazione per gli immigrati che devono a tal fine
possedere  il  certificato  storico di residenza da almeno dieci anni
nel  territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima
regione.
   Dunque, nella difficolta' di comprendere una norma che si presenta
molto confusa, si rileva che:
     il  nuovo  piano  nazionale  di  edilizia  abitativa  sara'  uno
strumento  generale  che  avra'  ad  oggetto  la costruzione di nuove
abitazioni   e  il  recupero  di  quelle  esistenti,  per  realizzare
programmi  di edilizia residenziale anche sociale ( e dunque non solo
sociale);
     il  piano puo' essere attuato medianti accordi di programma, per
concentrare  gli  interventi  sull'effettiva  richiesta  abitativa  e
l'intesa  con  la  conferenza  unificata  deve essere raggiunta entro
novanta   giorni,  altrimenti  se  ne  prescinde;  detti  accordi  di
programma si attuano a loro volta con programmi integrati di edilizia
residenziale e di riqualificazione urbana: gli interventi previsti in
questi  programmi  integrati  sono dichiarati di interesse strategico
nazionale  ai  fini  dell'applicazione delle particolari procedure di
approvazione, anche per gli effetti urbanistici;
     alternativamente  il  piano puo' essere attuato con la procedura
derogatoria prevista per le opere di rilievo strategico nazionale;
     di  certo,  sin  d'ora,  i fondi gia' stanziati dalle precedenti
citate  leggi  vengono  unificati in un fondo nazionale gestito dallo
Stato.
   Diversi sono i profili di incostituzionalita'.
   A)  Tutte  le  suddette  disposizioni  intervengono  nella materia
dell'edilizia  residenziale  pubblica,  dei  servizi  sociali  e  del
governo  del  territorio e, quindi, in ambiti in cui le regioni hanno
attribuite  rilevanti competenze costituzionali, ai sensi degli artt.
117 Cost. e 118 Cost.
   In   particolare,   con   riferimento   all'edilizia  residenziale
pubblica,  gia'  prima della riforma del Titolo V della parte seconda
della  Costituzione  la  giurisprudenza costituzionale aveva rilevato
che  «la materia dell'edilizia residenziale pubblica e' devoluta alla
competenza  legislativa  regionale,  ai  sensi  dell'art.  117, primo
comma,  Cost.;  in  tale  materia  confluiscono attribuzioni inerenti
all'urbanistica ed ai lavori pubblici d'interesse regionale (sentenza
n. 16  del  1992). La normativa interposta del d.P.R. 24 luglio 1977,
n. 616,  sul  presupposto  della  competenza  regionale, riserva allo
Stato  la  sola  determinazione  dei  criteri  di  assegnazione degli
alloggi  (art.  88,  n. 13),  conferendo  alle regioni ampi poteri di
programmazione  e  di  gestione  degli  interventi pubblici (art. 93,
primo comma), nonche' l'organizzazione del servizio, da esercitare in
conformita'  dei  principi  stabiliti  dalla  legge  di riforma delle
autonomie locali (sentenze n. 594 del 1990; nn. 1115 e 727 del 1988).
   Una  volta  devoluti  alle  regioni i poteri di gestire i fondi in
materia  di  edilizia  residenziale,  spetta  all'autonomia  di  esse
destinarli, nel loro oggetto e modalita', senza vincoli imposti dallo
Stato».  (Corte  cost.  sentenza  n. 393/1992).  Piu' recentemente la
Corte  costituzionale  ha  rilevato:  «Questa  Corte (con la sentenza
n. 27  del 1996) ha gia' qualificato l'edilizia residenziale pubblica
''nuova  materia  di  competenza  regionale'',  precisando  che  essa
ricomprende   la   disciplina  della  predisposizione  di  interventi
pubblici  di  varia  natura comunque diretti al fine di provvedere al
servizio   sociale   della  provvista  degli  alloggi  a  favore  dei
lavoratori  e delle famiglie meno abbienti. Da ultimo, poi, l'art. 60
del  d.lgs.  n. 112  del  1998  ha  conferito  alle  regioni tutte le
funzioni amministrative relative alla gestione e all'attuazione degli
interventi  in  materia di edilizia residenziale pubblica». (sentenza
352/2001).
   La  riforma  dell'art.  117  Cost.  ha  confermato  la  competenza
regionale.  In  merito  la Corte costituzionale, nella sentenza n. 94
del   2007   ha   rilevato:   «L'approdo   della   lunga   evoluzione
giurisprudenziale,  anteriore  alla  riforma  del  Titolo  V  e sopra
sintetizzata,  e' stato raggiunto con l'affermazione secondo cui ''si
e'  parlato  di  plena cognitio delle regioni, sia amministrativa sia
(per  il  parallelismo  delle  funzioni)  legislativa,  in materia di
edilizia  residenziale  pubblica,  cosicche' potrebbe ritenersi ormai
formata,  nell'evoluzione  dell'ordinamento,  una  'nuova' materia di
competenza  regionale  al di la' della ricostruzione iniziale operata
con  la  sentenza  n. 221 del 1975 - l'edilizia residenziale pubblica
appunto   -   avente   una   sua  consistenza  indipendentemente  dal
riferimento   all'urbanistica   e   ai   lavori  pubblici»  (sentenza
n. 27/1996).  Dopo la riforma del Titolo V, il quadro sistematico non
e' cambiato, nel senso che la consistenza della materia non ha subito
variazioni  dipendenti  da una nuova classificazione costituzionale o
da una diversa sistematizzazione legislativa di principio.
   La  'nuova  materia'  -  la  cui  formazione era stata rilevata da
questa  Corte  prima  della  riforma  costituzionale  -  continua  ad
esistere come corpus normativo. Sono cambiati, invece, alcuni termini
di riferimento, sui quali conviene fermare l'attenzione.
   Come  gia'  detto,  una  specifica  materia 'edilizia residenziale
pubblica'  non  compare  tra  quelle elencate nel secondo e nel terzo
comma dell'art. 117 Cost. Poiche' resta valido quanto da questa Corte
rilevato  nella  sentenza  n. 27  del 1996, e cioe' l'esistenza di un
ambito  materiale che si identifica nella programmazione, costruzione
e  gestione  di  alloggi destinati a soddisfare le esigenze abitative
dei  ceti sociali meno abbienti, e' inevitabile che venga rilevata la
perdurante  attualita'  della  tripartizione  operata  con  la citata
sentenza  n. 221  del  1975. Tale tripartizione implica, nell'attuale
quadro costituzionale, che la 'nuova' materia possiede quel carattere
di  'trasversalita'' individuato dalla giurisprudenza di questa Corte
a   proposito   di   altre  materie  non  interamente  classificabili
all'interno  di  una  denominazione  contenuta nell'art. 117 Cost. Il
superamento dell'originaria tripartizione era stato possibile perche'
il  primo  comma  dell'art.  117 Cost., ante riforma, configurava una
competenza   legislativa  concorrente  delle  regioni  ordinarie,  in
assenza  sia di una competenza esclusiva delle stesse sia, come sara'
meglio precisato piu' avanti, di una competenza esclusiva dello Stato
in  materia  di  livelli  essenziali  delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali. In altre parole, nel sistema anteriore alla
riforma  del  2001,  alla  plena  cognitio regionale della materia in
questione  poteva corrispondere, al massimo, una potesta' legislativa
concorrente,  mentre  lo  Stato  poteva  assolvere la sua funzione di
supremo  regolatore  delle  prestazioni attuative dei diritti sociali
con lo strumento dei principi fondamentali della materia.
   Da  quanto  sinora detto deriva l'ulteriore conclusione che oggi -
dopo  il mutamento della sistematica costituzionale sul riparto delle
competenze  legislative  tra  lo  Stato  e  le  regioni  - la materia
dell'edilizia   residenziale  pubblica  si  estende  su  tre  livelli
normativi. Il primo riguarda la determinazione dell'offerta minima di
alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti. In
tale   determinazione   -  che,  qualora  esercitata,  rientra  nella
competenza  esclusiva  dello  Stato  ai  sensi dell'art. 117, secondo
comma, lettera m), Cost. - si inserisce la fissazione di principi che
valgano  a  garantire  l'uniformita'  dei  criteri di assegnazione su
tutto  il  territorio  nazionale,  secondo  quanto  prescritto  dalla
sentenza  n. 486  del  1995. Il secondo livello normativo riguarda la
programmazione  degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica,
che ricade nella materia 'governo del territorio', ai sensi del terzo
comma  dell'art. 117 Cost., come precisato di recente da questa Corte
con  la  sentenza  n. 451  del  2006.  Il  terzo  livello  normativo,
rientrante nel quarto comma dell'art. 117 Cost., riguarda la gestione
del  patrimonio  immobiliare  di  edilizia  residenziale  pubblica di
proprieta' degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri
enti  che  a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione
regionale''».
   Dunque,  alcuni  dei  profili  attinenti  l'edilizia  residenziale
pubblica   rientrano  nella  competenza  residuale  delle  regioni  (
provvista  e gestione degli alloggi) e alle stesse e' riconosciuta la
potesta'   legislativa   concorrente   sia   per   gli  aspetti  piu'
specificatamente  attinenti  alla  localizzazione  degli interventi e
quindi  al  governo  del  territorio,  che  per i profili riguardanti
l'attuazione dei principi statali volti a garantire l'uniformita' dei
criteri  di  assegnazione  degli  alloggi  ed  il soddisfacimento del
fabbisogno abitativo.
   Il censurato articolo 11 non rispetta tali competenze regionali.
   Infatti  il  fine  della  disposizione  in  esame non e' quello di
dettare  una  disciplina  generale  in  tema  di  assegnazione  degli
alloggi,  bensi'  quello di istituire un piano nazionale di edilizia,
neppure  limitato  agli  interventi di edilizia sociale (comma terzo,
lettera e) ne' destinato esclusivamente ai soggetti con situazioni di
difficolta' economica o sociale (infatti il secondo comma prevede che
gli  interventi  siano  destinati prioritariamente a tali categorie);
dunque si introduce uno strumento che, unitamente a quelli per la sua
attuazione, e' finalizzato a regolare le procedure amministrative per
arrivare a localizzare, costruire e recuperare alloggi di E.R.P.
   Questo  costituisce,  in  conclusione,  un vulnus delle competenze
costituzionali  delle regioni di cui all'art. 117, terzo comma Cost.,
con riferimento alle materie dell'edilizia residenziale e del governo
del  territorio; inoltre sono violate anche le attribuzioni regionali
in  materia  di  assistenza  sociale  in quanto il piano interviene a
disciplinare  direttamente  anche  interventi in tale ambito, come si
evince dall'elenco di cui al comma secondo.
   B) Ne' puo' sostenersi che la norma sia conforme a Costituzione in
virtu' del titolo legittimante richiamato al primo comma, vale a dire
la determinazione dei livelli essenziali di fabbisogno abitativo.
   Nella  richiamata  sentenza  della  Corte costituzionale n. 94 del
2007,  in  riferimento  al  primo dei tre livelli normativi in cui si
articola  la  materia  dell'edilizia residenziale pubblica, si legge:
«Il  primo  riguarda la determinazione dell'offerta minima di alloggi
destinati  a  soddisfare  le esigenze dei ceti meno abbienti. In tale
determinazione  -  che,  qualora esercitata, rientra nella competenza
esclusiva  dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera
m),  Cost.  -  si  inserisce  la fissazione di principi che valgano a
garantire  l'uniformita'  dei  criteri  di  assegnazione  su tutto il
territorio nazionale, secondo quanto prescritto dalla sentenza n. 486
del 1995».
   Da  cio'  consegue  che  lo  Stato,  nel  momento  in  cui intende
esercitare  la  competenza di cui alla lettera m) dell'art. 117 Cost.
in  relazione  al  soddisfacimento del diritto all'abitazione, dovra'
dettare   principi  fondamentali  per  garantire  la  uniformita'  di
trattamento sul territorio nazionale.
   La  disposizione  impugnata, invece, supera tale contenuto perche'
disciplina in modo puntuale, specifico, autoapplicativo gli strumenti
da  approvare per la costruzione degli alloggi e detta esaustivamente
la  procedura  per  l'approvazione  degli  interventi (cosi' il comma
quarto, il comma nono ed il comma undicesimo).
   Inoltre  il  richiamo  alla  lettera  m)  dell'art.  117 Cost. non
legittima  le norme qui contestate perche' le medesime non presentano
le caratteristiche sostanziali e formali che possano farle annoverare
fra gli atti espressivi del potere di predeterminazione normativa dei
livelli  essenziali  delle  prestazioni,  secondo  la  giurisprudenza
costituzionale  (sent.  n. 88/2003; n. 282/2002). Cio' per molteplici
motivi e precisamente:
     la  determinazione  dei  livelli essenziali delle prestazioni di
cui  alla  citata  lettera m) non e' una materia, come chiarito dalla
Corte  costituzionale  nella  sentenza n. 282/2002, ma una competenza
che  il  legislatore  statale  ha  per  dettare  norme che abbiano ad
oggetto   o   contenuto   la  fissazione  di  un  livello  minimo  di
soddisfacimento  di  diritti  civili  o sociali: e' di tutta evidenza
come  nel  caso  in  esame  l'art.  11  non  ha il suddetto oggetto o
contenuto,  perche'  non determina alcuno standard di soddisfacimento
del  fabbisogno  abitativo;  addirittura  la norma ammette, come gia'
evidenziato,  che  il piano contempli interventi ulteriori rispetto a
quelli  di  edilizia residenziale sociale e solo prioritariamente, ma
non esclusivamente, destinati alle categorie socialmente disagiate;
     in  denegata  e  contestata ipotesi, resterebbe l'illegittimita'
costituzionale  denunciata,  in quanto la competenza statale relativa
alla   determinazione   dei   livelli  essenziali  delle  prestazioni
concernenti  i diritti civili e sociali di cui alla citata lettera m)
dell'art.  117  Cost.  si  colloca in un sistema caratterizzato da un
livello  di  autonomia regionale e locale decisamente accresciuto. Di
cio'  deve  essere  tenuto  conto,  tanto  che  in  merito  la  Corte
costituzionale  ha  rilevato  che «la conseguente forte incidenza (di
tale  competenza statale) sull'esercizio delle funzioni nelle materie
assegnate alle competenze legislative ed amministrative delle regioni
e  delle  province  autonome  impone evidentemente che queste scelte,
almeno  nelle  loro  linee  generali,  siano  operate dallo Stato con
legge,  che  dovra'  inoltre determinare adeguate procedure e precisi
atti  formali  per  procedere  alle  specificazioni  ed articolazioni
ulteriori   che   si  rendano  necessari  nei  vari  settori»  (sent.
n. 88/2003).
   Quindi  quando  lo  Stato  si  avvale della competenza di cui alla
lettera  m)  dell'art. 117 Cost. per determinare i livelli essenziali
delle  prestazioni  concernenti i diritti sociali dei cittadini, deve
rispettare  il  criterio indicato dalla Corte costituzionale e quindi
stabilire  generali principi cui poi le regioni possano dare adeguato
sviluppo nell'espletamento delle loro competenze legislative.
   Tali requisiti non sono presenti nelle impugnate disposizioni.
   C)  La  norma  impugnata  viola  ulteriormente l'art. 117 Cost. ed
anche l'art. 118 Cost., per un ulteriore motivo.
   Come  si  e'  gia'  evidenziato,  l'art. 11 (commi quarto, nono ed
undicesimo)  prevede  che  l'attuazione  del  piano  nazionale  venga
effettuata con accordi di programma, che a loro volta sono attuati da
programmi  integrati  di  promozione  di  edilizia  residenziale e di
riqualificazione   urbana   ovvero   con  le  procedure  delle  opere
strategiche  nazionali  dettate  dal  d.lgs  n. 163  del 2006 (che ha
riprodotto  le  norme  della  legge  obiettivo  n. 443/2001); anche i
programmi   integrati   sono   dichiarati   di  interesse  strategico
nazionale.
   La  Corte  costituzionale ha riconosciuto legittime le norme della
legge n. 443 del 2001 in applicazione del principio di sussidiarieta'
di  cui  all'art. 118 Cost., rilevando: «Perche' nelle materie di cui
all'art.  117,  terzo  e quarto comma, Cost., una legge statale possa
legittimamente  attribuire funzioni amministrative a livello centrale
ed  al  tempo  stesso  regolarne  l'esercizio, e' necessario che essa
innanzi tutto rispetti i principi di sussidiarieta', differenziazione
ed  adeguatezza  nella  allocazione  delle  funzioni  amministrative,
rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni.».
   Ma  i  suddetti  principi  «non possono trasformarsi - come questa
Corte  ha  affermato nella sentenza n. 303 del 2003 - in mere formule
verbali  capaci con la loro sola evocazione di modificare a vantaggio
della   legge  nazionale  il  riparto  costituzionalmente  stabilito,
perche'   cio'  equivarrebbe  a  negare  la  stessa  rigidita'  della
Costituzione.  Proprio  per la rilevanza dei valori coinvolti, questa
Corte ha quindi affermato, nella medesima sentenza, che una deroga al
riparto  operato dall'art. 117 Cost. puo' essere giustificata solo se
la  valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di
funzioni  regionali  da  parte  dello  Stato  sia  proporzionata, non
risulti  affetta  da  irragionevolezza  alla stregua di uno scrutinio
stretto  di  costituzionalita'  e sia oggetto di un accordo stipulato
con la regione interessata». (sentenza n. 6 del 2004).
   Applicando  tale  insegnamento  alla  norma  in  esame,  si rileva
innanzitutto   la  mancanza  delle  esigenze  di  sussidiarieta'  che
giustifichino  la  modifica  dell'ordinario  assetto delle competenze
costituzionali, ne', del resto, la norma fa riferimento alcuno a tali
presunte, inesistenti, esigenze. Invece, quando si intendano attrarre
allo  Stato  funzioni amministrative in sussidiarieta', il titolo del
legiferare deve essere reso evidente in maniera esplicita, perche' la
sussidiarieta'  deroga  al normale riparto delle competenze stabilito
nell'art. 117 Cost.
   In  ogni  caso,  e in contestata ipotesi, l'intervento legislativo
non  presenterebbe  quei  caratteri  di  proporzionalita' evidenziati
dalla   giurisprudenza   costituzionale,   perche'   introduce  nuovi
strumenti  di  programmazione  e  realizzazione  degli  interventi di
edilizia,  accentrati a livello nazionale, e quindi non e' limitato a
casi circoscritti.
   Inoltre  la  richiamata  sentenza  n. 303/2003  ha chiarito che le
previsioni  della  legge  sulle  opere  strategiche sono coerenti con
l'assetto   delle   competenze   in   applicazione  dei  principi  di
sussidiarieta' e adeguatezza, solo perche' prevedono un'intesa fra lo
Stato   e   le   regioni   interessate,  alla  quale  e'  subordinata
l'operativita' della disciplina; tanto e' vero che il programma delle
opere  strategiche e' stato ritenuto valido ed efficace solo a fronte
della raggiunta intesa con la regione interessata.
   In   merito   infatti   nella   sentenza   n. 303/2003   si  legge
testualmente:
     «In  questo  senso  sono  quindi da respingere le censure che le
ricorrenti  indirizzano  contro  il  comma  1 dell'art. 1 della legge
n. 443  del 2001, nella versione anteriore alla modifica recata dalla
legge  n. 166  del 2002, per il fatto che in essa era previsto che le
regioni fossero solo sentite singolarmente ed in Conferenza unificata
e  non veniva invece esplicitamente sancito il principio dell'intesa.
L'interpretazione  coerente con il sistema dei rapporti Stato-regioni
affermato  nel  nuovo  Titolo  V  impone  infatti di negare efficacia
vincolante a quel programma su cui le regioni interessate non abbiano
raggiunto un'intesa per la parte che le riguarda, come nel caso della
deliberazione CIPE del 21 dicembre 2001, n. 121».
   E,  ancora:  «Nella  specie  l'intesa  e' prevista e ad essa e' da
ritenersi  che  il  legislatore  abbia voluto subordinare l'efficacia
stessa   della   regolamentazione   delle   infrastrutture   e  degli
insediamenti contenuta nel programma».
   L'impugnata   disposizione  non  rispetta  i  richiamati  principi
perche':
     il  piano nazionale ha ad oggetto la costruzione di abitazioni e
quindi  ha un contenuto anche localizzativo e puo' essere attuato con
le  procedure  proprie  delle infrastrutture strategiche. A fronte di
tali  previsioni,  il  primo comma subordina l'approvazione del piano
nazionale  all'intesa con la Conferenza unificata, ma cio' appare del
tutto  insufficiente  in  rapporto  a quanto affermato dalla sentenza
n. 303/2003,  per il rispetto delle competenze regionali, perche' non
si   prevede  l'intesa  con  la  singola  regione  interessata  dalle
specifiche localizzazioni;
     il  quarto  comma,  nel  disciplinare una delle due modalita' di
attuazione  del  piano  nazionale,  cioe'  quella  tramite accordi di
programma  e conseguenti programmi integrati, prevede l'intesa con la
Conferenza unificata, dalla quale tuttavia si puo' prescindere, se la
stessa non viene resa in novanta giorni.
   Il vulnus delle competenze regionali qui e' ancora piu' rilevante.
   Anche  in  tal caso si ripropongono i motivi appena espressi circa
l'inidoneita'   dell'intesa   in   Conferenza   come   meccanismo  di
salvaguardia  di  rilevanti attribuzioni della singola regione incise
da  un  piano,  da  un  accordo  e  da  un  programma che localizzano
direttamente interventi edilizi sul proprio territorio.
   Inoltre,  in  tale  ipotesi,  si prevede che dall'intesa stessa si
possa  prescindere  se la stessa non sia raggiunta in novanta giorni.
Cio'  a  fronte  di  un  accordo  di  programma  che  e' prodromico a
programmi   integrati   espressamente   qualificati  come  interventi
strategici  ai  fini  dell'applicazione  delle  procedure derogatorie
proprie di queste opere.
   Anche in tal caso non sono rispettati i principi posti dalla Corte
costituzionale  con  la sentenza n. 303 del 2003, ove l'intesa con la
regione  interessata  e' configurata quale presupposto essenziale per
la  compatibilita'  costituzionale  di  una normativa statale che, in
applicazione  dell'art.  118  Cost.,  attragga  in  capo  allo  Stato
potesta'   legislative   che   l'art.   117  affida  alla  competenza
concorrente Stato-regioni.
   Non solo. La giurisprudenza costituzionale ha chiarito che, ove la
normativa  statale  incida  in  ambiti  di  competenza  regionale  in
applicazione dell'art. 118 Cost., l'imprescindibile fase concertativa
deve  essere  salvaguardata:  «Appare  evidente  che  quest'ultima va
considerata  come  un'intesa  ''forte'', nel senso che il suo mancato
raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del
procedimento  a  causa del particolarissimo impatto che una struttura
produttiva di questo tipo ha su tutta una serie di funzioni regionali
relative  al  governo  del territorio, alla tutela della salute, alla
valorizzazione  dei  beni  culturali ed ambientali, al turismo, etc.»
(sentenza n. 6 del 2004).
   Ancora  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  chiarito  che  ove
l'intesa debba essere prevista dal legislatore statale come strumento
necessario  per  riequilibrare  le potesta' legislative regionali che
sarebbero altrimenti eccessivamente compromesse, e' necessario che la
stessa  intesa,  secondo  i  canoni  della  leale  collaborazione, si
sviluppi   attraverso  reiterate  trattative,  volte  a  superare  le
divergenze  che  ostacolino il raggiungimento di un accordo (sentenza
n. 339 del 2005).
   In  definitiva,  e' necessario che quantomeno si attui una fase di
dialogo  fra  le  parti  e  che si realizzi un contatto tra i diversi
interessi  ed  una  dialettica  leale  e costruttiva fra i differenti
soggetti   di   rilevanza   costituzionale,   perche'  altrimenti  la
previsione dell'intesa si tradurrebbe in una statuizione solo formale
e,  quindi,  inidonea  a soddisfacimento degli obiettivi per cui deve
essere  garantita  e  cioe'  l'equo  contemperamento  delle  potesta'
riconosciute  a  soggetti  entrambi  dotati  di autonomia e rilevanza
costituzionale.
   Il  comma  quarto,  di  per  se' ed anche considerando gli effetti
stabiliti  al  comma  undicesimo,  non soddisfa i suddetti requisiti,
ammettendo  che  si  possa procedere pur in mancanza dell'intesa, con
conseguente illegittimita' costituzionale.
   D) La norma contrasta anche con l'art. 119 Cost.
   Come  gia'  rilevato  infatti  si  istituisce un fondo statale che
assorbe  i  finanziamenti  previsti per l'edilizia residenziale dalle
precedenti normative.
   Poiche',  per  i  motivi  sopra  esposti, la materia dell'edilizia
residenziale  pubblica  non  e'  riservata  alla competenza esclusiva
statale,   nessuna   giustificazione  appare  invocabile  a  sostegno
dell'istituzione   in   tale   materia   di  riserve  finanziarie  da
disciplinarsi  e  gestirsi  a  livello  ministeriale,  trattandosi di
funzioni  pubbliche  ordinarie delle regioni e degli enti locali, per
le  quali  lo Stato deve assicurare l'integrale copertura finanziaria
ex art. 119 Cost.
   Tale   norma  ha  costituzionalizzato  il  principio  del  congruo
finanziamento  delle  competenze  regionali, perche' non puo' esservi
effettiva autonomia senza adeguate risorse finanziarie.
   Conseguentemente,     come     chiarito    dalla    giurisprudenza
costituzionale   sono   incompatibili  con  l'assetto  costituzionale
interventi  statali  finanziari  in  materia  di competenza regionale
(sent. nn. 16/2004; 49/2004), a meno che non si sia in presenza delle
circostanze  previste  dall'art.  119,  quinto  comma  Cost.,  per il
ricorso alle risorse aggiuntive e agli interventi speciali.
   In    tal    senso    la    Corte   costituzionale   ha   ritenuto
costituzionalmente legittimo il Fondo per l'edilizia a canone sociale
istituito  dalla  legge  n. 350  del 2003 perche' esso costituisce un
intervento  speciale ai sensi del citato art. 119, quinto comma Cost.
(sentenza n. 451 del 2006), cosi' riconfermando che, in casi diversi,
non sono ammissibili fondi nazionali in materia di edilizia.
   L'art.  11  non disciplina pero' risorse aggiuntive ne' interventi
speciali,  come  confermato  dal  fatto che il fondo e' formato dalla
confluenza dei finanziamenti precedentemente stanziati alle regioni e
percio' non e' compatibile con l'art. 119 Cost.
   Si  comprende  pienamente la lesivita' della disposizione: infatti
se  la  regione  non  esprime  l'intesa  sul  piano e sull'accordo di
programma,  i  finanziamenti  verranno  integralmente assorbiti dagli
interventi  localizzati  nelle regioni che hanno dato il loro assenso
agli  interventi  stessi,  con  conseguente  impossibilita'  di poter
esercitare   in  autonomia  le  proprie  funzioni  costituzionalmente
garantite in materia.
   Ne' la previsione del fondo puo' essere ritenuta legittima in nome
della   determinazione   dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto  il  territorio  nazionale.  Nel  rinviare  a quanto gia' sopra
dedotto in merito alla non riconducibilita' della disciplina in esame
a tale titolo, qui si rileva che, con riferimento ad una disposizione
che destinava una percentuale di risorse finanziarie a sostegno delle
politiche  per la famiglia, in particolare per l'acquisto della prima
casa  e  per  il  sostegno alla natalita', la Corte costituzionale ha
chiarito che «non puo' essere condivisa la tesi secondo cui l'oggetto
della  disciplina  sarebbe  espressione  della  potesta'  statale  di
determinare  ai  sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m) della
Costituzione  i  livelli  essenziali  delle prestazioni concernenti i
diritti  civili  e  sociali  che  devono essere garantiti su tutto il
territorio  nazionale:  la  norma  censurata,  infatti, non determina
alcun  livello  di  prestazione,  ma  si  limita  a prevedere somme a
destinazione vincolata» (sentenza n. 423/2004).
   Piu'  in  generale  la  Corte  costituzionale  ha  rilevato che la
previsione  di  fondi e di interventi finanziari non e' riconducibile
all'esercizio  del potere di cui alla citata lettera m) dell'art. 117
Cost.:  «e'  palese  che le finalita' dei fondi non hanno nulla a che
fare  con  la  garanzia  su  tutto il territorio nazionale di livelli
essenziali  di  prestazioni  concernenti  i  diritti delle persone» (
sentenza n. 16/2004).
   In  ogni  caso,  pur  nella  denegata  ipotesi  in cui le suddette
argomentazioni  non fossero accolte, la istituzione del fondo sarebbe
comunque   illegittima   per   violazione   del  principio  di  leale
cooperazione,  dal momento che il dodicesimo comma non prevede alcuna
forma  di coinvolgimento delle regioni nella ripartizione del fondo e
nella sua gestione all'interno del proprio territorio.
3)  Illegittimita'  dell'art.  13,  commi 1, 2 e 3-bis per violazione
degli artt. 117, 118 e 119 Cost.
   L'articolo   13   detta   norme   per  valorizzare  il  patrimonio
residenziale pubblico. In particolare il comma primo dispone che, per
valorizzare gli immobili residenziali costituenti il patrimonio degli
istituti  autonomi  per  le  case  popolari  comunque denominati e di
favorire  il  soddisfacimento  dei  fabbisogni abitativi, il Ministro
delle  infrastrutture  e  dei trasporti ed il Ministro per i rapporti
con  le  regioni  promuovono,  in  sede  di  conferenza unificata, la
conclusione  di  accordi  con  le  regioni  ed  enti locali aventi ad
oggetto  la  semplificazione  delle  procedure  di  alienazione degli
immobili di proprieta' dei predetti Istituti.
   Il  secondo  comma detta poi i criteri che dovranno essere seguiti
ai  fini  della  conclusione  degli  accordi suddetti e precisamente:
determinazione  del  prezzo  di  vendita  in proporzione al canone di
locazione,    diritto    di    opzione    all'acquisto    in   favore
dell'assegnatario  non  moroso  e  destinazione  dei  proventi  delle
alienazioni  alla  realizzazione  di interventi volti ad alleviare il
disagio abitativo.
   Il  comma  3-bis istituisce a livello statale un fondo speciale di
garanzia per l'acquisto della prima casa da parte di giovani coppie e
famiglie con un solo genitore e figli minori.
   Analoga disposizione rispetto a quelle di cui ai commi 1 e 2 erano
contenute nell'art. 1 commi 597 e 598 della legge n. 266 del 2005 che
rinviava  ad  un  decreto  del  Presidente  del Consiglio, da emanare
previo  accordo tra Governo e regioni, la semplificazione delle norme
per  l'alienazione  degli  alloggi  in  esame. Il comma 598 dettava i
criteri per l'emanando decreto, disponendo che:
     a)  il prezzo di vendita delle unita' immobiliari avrebbe dovuto
essere  determinato  in  proporzione  al canone dovuto e computato ai
sensi  delle  vigenti  leggi  regionali,  ovvero,  laddove non ancora
approvate, ai sensi della legge 8 agosto 1977, n. 513;
     b)  per le unita' ad uso residenziale si sarebbe riconosciuto il
diritto   all'esercizio  del  diritto  di  opzione  all'acquisto  per
l'assegnatario unitamente al proprio coniuge, qualora fosse risultato
in  regime  di  comunione dei beni; che, in caso di rinunzia da parte
dell'assegnatario,  sarebbero  subentrati,  con facolta' di rinunzia,
nel  diritto  all'acquisto,  nell'ordine:  il  coniuge  in  regime di
separazione dei beni, il convivente more uxorio purche' la convivenza
duri  da  almeno  cinque  anni,  i  figli  conviventi,  i  figli  non
conviventi;
     c)  i  proventi delle alienazioni sarebbero stati destinati alla
realizzazione di nuovi alloggi, al contenimento degli oneri dei mutui
sottoscritti  da  giovani  coppie  per l'acquisto della prima casa, a
promuovere  il  recupero sociale dei quartieri degradati e per azioni
in favore di famiglie in particolare stato di bisogno.
   Le    disposizioni   di   tali   commi   sono   state   dichiarate
incostituzionali  dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 94 del
2007  in  quanto  il  loro  fine  «e' quello di regolare le procedure
amministrative  e  organizzative  per  arrivare  ad una piu' rapida e
conveniente   cessione   degli  immobili.  Si  tratta  quindi  di  un
intervento  normativo  dello  Stato  nella  gestione degli alloggi di
proprieta' degli I.A.C.P. (o di altri enti o strutture sostitutivi di
questi),  che  esplicitamente  viene motivato dalla legge statale con
finalita'   di   valorizzazione  di  un  patrimonio  immobiliare  non
appartenente  allo  Stato,  ma  ad enti strumentali delle regioni. Si
profila,  pertanto,  una  ingerenza  nel  terzo livello di normazione
riguardante  l'edilizia residenziale pubblica, sicuramente ricompreso
nella  potesta'  legislativa  residuale  delle  regioni, ai sensi del
quarto comma dell'art. 117 Cost.».
   Le  disposizioni  impugnate,  per  tentare  di superare i suddetti
rilievi  della  Corte  costituzionale, rimettono la definizione delle
procedure semplificate per l'alienazione, all'accordo tra i Ministeri
competenti, le regioni e gli enti locali.
   In   pratica   la   differenza   tra  le  disposizioni  dichiarate
incostituzionali  e le attuali sta nel fatto che le prime dettavano i
principi  cui  doveva  uniformarsi  l'accordo  tra Governo e regioni,
preliminare  al  d.P.C.m. che avrebbe stabilito le norme semplificate
per   l'alienazione   degli   alloggi;  oggi  si  fissano  i  criteri
(esattamente  uguali ai principi del precedente comma 598) in base ai
quali  dovranno  essere  stipulati  gli accordi tra Stato, Regioni ed
enti  locali aventi ad oggetto la semplificazione delle normative per
l'alienazione dei beni in esame.
   Praticamente  la  norma  non  cambia:  il legislatore nazionale ha
stabilito  dei  criteri  che  devono  essere  seguiti nella normativa
semplificata e per quest'ultima si rinvia ad un accordo Stato-regioni
(anche nella norma precedente era richiesto tale accordo, a valle del
quale era previsto il d.P.C.m. finale, ora eliminato).
   La  modifica  e'  del  tutto  inidonea  a  superare  i  profili di
incostituzionalita'  stabiliti  nella citata sentenza n. 94 del 2007,
in  quanto  la  materia  dell'edilizia  residenziale, in relazione al
profili   del   c.d.   terzo   livello  di  gestione  del  patrimonio
immobiliare,  e' devoluta alle regioni ai sensi dell'art. 117, quarto
comma  Cost.,  con  la  conseguenza  che  e'  rimessa alle regioni la
relativa  disciplina,  ne' e' ammissibile vincolare l'esercizio della
stessa  potesta' legislativa regionale ad accordi tra il ministro, le
regioni  ed  enti  locali, perche' cio' viola l'autonomia legislativa
costituzionalmente  garantita  alle regioni, la quale non puo' essere
condizionata da assensi esterni non previsti in Costituzione.
   Da cio' consegue la dedotta violazione dell'art. 117 Cost.
   Ne'  d'altra  parte  vengono in rilievo esigenze di sussidiarieta'
che legittimino la disposizione ai sensi dell'art. 118 Cost.: come ha
rilevato la Corte costituzionale nella citata sentenza n. 94 del 2007
in   tal   caso  non  «varrebbe  richiamare  il  principio  di  leale
collaborazione,  giacche', nella specie, si versa in ambito materiale
riservato   esclusivamente  alle  regioni:  non  vengono  in  rilevo,
infatti,  profili  programmatori  o  progettuali  idonei  ad avere un
qualsiasi impatto con il territorio.
   Non  e',  d'altra  parte,  condivisibile l'assunto dell'Avvocatura
dello  Stato,  che  fa  rientrare  la  norma  impugnata nella materia
''ordinamento  civile'',  poiche'  si  tratta di criteri destinati ad
incidere  sulle  procedure  amministrative  inerenti  all'alienazione
degli  immobili di proprieta' di enti regionali e non gia' a regolare
rapporti giuridici di natura privatistica. La competenza regionale in
materia  e'  stata  gia'  riconosciuta dalla giurisprudenza di questa
Corte  (si  veda,  ad esempio, la sentenza n. 486 del 1995 e non v'e'
spazio,  pertanto,  per una normativa statale che si sostituisca o si
sovrapponga   a   quella   delle   regioni,  tuttora  in  vigore.  Se
l'alienazione degli alloggi deve essere considerata, come s'e' visto,
''indissolubilmente   connessa   con  l'assegnazione  degli  stessi''
(sentenza   n. 486   del   1992),   e  se  la  ''disciplina  organica
dell'assegnazione  e  cessione degli alloggi di edilizia residenziale
pubblica  [...] costituisce, in linea di principio, espressione della
competenza  spettante  alla  regione  in  questa materia'' (ordinanza
n. 104  del  2004),  la  disciplina  delle  procedure  amministrative
tendenti all'alienazione non rientra nell'ordinamento civile, ma deve
essere ricondotta al potere di gestione dei propri immobili».
   Infine  contrasta  anche  con  l'art.  119 Cost. l'istituzione del
fondo  per l'acquisto della prima casa di cui al comma 3-bis, per gli
stessi motivi espressi in relazione al precedente art. 11.
   In  particolare  poiche',  per  i motivi sopra esposti, la materia
dell'edilizia  residenziale pubblica non e' riservata alla competenza
esclusiva   statale,  nessuna  giustificazione  appare  invocabile  a
sostegno  dell'istituzione  in tale materia di riserve finanziarie da
disciplinarsi  e  gestirsi  a  livello  ministeriale,  trattandosi di
funzioni  pubbliche  ordinarie delle Regioni e degli enti locali, per
le  quali  lo Stato deve assicurare l'integrale copertura finanziaria
ex art. 119 Cost.
4)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  23,  commi  1  e 2 per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
   Le  disposizioni  modificano  l'art.  49  del  decreto legislativo
n. 276/2003,   con  riferimento  alla  disciplina  del  contratto  di
apprendistato.
   Il  primo comma stabilisce che l'apprendistato professionalizzante
(quello  volto  al conseguimento di una qualificazione attraverso una
formazione  sul  lavoro  e  l'acquisizione  di  competenze  di  base,
trasversali e tecnico-professionali) non possa essere superiore a sei
anni   e   quindi  viene  eliminata  la  previsione,  precedentemente
contenuta  nell'art.  49  citato,  che  il  medesimo non possa essere
inferiore a due anni.
   Le  regioni  hanno  contestato la eliminazione della durata minima
rilevando che cosi' si crea un forte pregiudizio alla possibilita' di
programmazione  e  gestione  della formazione per contratti di durata
inferiore a tale limite, ma tali richieste non sono state accolte.
   L'eliminazione  operata  incide  sulle  attribuzioni  regionali in
materia  di  formazione professionale, perche' con contratti di breve
durata questa non puo' essere programmata, ne' assicurata.
   Per  questo  la  disposizione, che irragionevolmente ha operato la
prevista  eliminazione,  appare  costituzionalmente  illegittima  per
violazione dell'art. 117 Cost.
   Piu'  articolata  e'  l'ulteriore  modifica  contenuta  nel  comma
secondo dell'art. 23.
   Viene  infatti  inserito  il  comma  5-ter all'art. 49 del decreto
legislativo  n. 276/2003,  stabilendo  che,  in  caso  di  formazione
esclusivamente  aziendale,  la regolamentazione dei profili formativi
dell'apprendistato  professionalizzante non e' definita dalle regioni
d'intesa  con  le  associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori
(come  di  regola),  ma  sono  definiti  integralmente  dai contratti
collettivi   di   lavoro;   tali  contratti  e  gli  enti  bilaterali
definiscono  la  nozione  di  formazione aziendale e determinano, per
ciascun  profilo  formativo,  la  durata e le modalita' di erogazione
della  formazione,  le  modalita'  di  riconoscimento della qualifica
professionale  ai  fini  contrattuali e la registrazione nel libretto
formativo.
   Quindi il comma in esame assegna alla contrattazione collettiva la
funzione  di  fonte  esclusiva,  in  luogo di quella regionale, anche
nella  definizione della nozione di formazione aziendale, dei profili
formativi,   delle   modalita'  di  erogazione,  della  durata  della
formazione,  nel  riconoscimento della qualifica professionale e cio'
pur in presenza di una compiuta disciplina regionale.
   Come  gia'  rilevato, tale disciplina e' dettata per la formazione
esclusivamente  aziendale;  la  medesima  dunque  si  riferisce  alla
distinzione,   operata  dalla  Corte  costituzionale  nella  sentenza
n. 50/2005,  tra  formazione  interna  all'azienda,  che  attiene  al
rapporto  contrattuale  ed  e'  rimessa  alla  competenza  statale, e
formazione   «esterna»   all'azienda,   da   ricondurre   ai  profili
«pubblicistici» dell'istituto, soggetta alla competenza concorrente e
residuale delle regioni.
   Tuttavia  si  rilevano  profili  di illegittimita' nelle impugnate
disposizioni  che  cosi'  drasticamente  eliminano ogni spazio per il
gia' riconosciuto ruolo regionale.
   La previsione infatti non tiene conto delle strette interrelazioni
che  vi sono tra i due aspetti (cioe' quello della formazione esterna
e  quello  della  formazione  interna).  A  tale  proposito  la Corte
costituzionale ha rilevato:
     «Se e' vero che la formazione all'interno delle aziende inerisce
al   rapporto   contrattuale,   sicche'  la  sua  disciplina  rientra
nell'ordinamento  civile,  e  che  spetta  invece alle regioni e alle
province  autonome  disciplinare quella pubblica, non e' men vero che
nella  regolamentazione  dell'apprendistato  ne'  l'una  ne'  l'altra
appaiono  allo stato puro, ossia separate nettamente tra di loro e da
altri  aspetti  dell'istituto.  Occorre  percio'  tener conto di tali
interferenze.» (sentenza n. 50/2005).
   E'  lo stesso legislatore nazionale ad ammettere tali interferenze
nel  momento  in  cui  dispone  che  «la regolamentazione dei profili
formativi dell'apprendistato» (di tutti, non solo di quelli attinenti
alla  formazione «esterna») «e' rimessa alle regioni» (art. 48, comma
4  e  49,  comma  5  del decreto legislativo n. 276/2003, i quali non
subiscono modifiche, con la legge in esame).
   Nello  stesso  senso  nella  sentenza  n. 51  del  2005  la  Corte
costituzionale,  nel  richiamare  il  suddetto precedente n. 50/2005,
ribadisce  che  «nell'attuale  assetto  del  mercato  del  lavoro  la
disciplina   dell'apprendistato   si   colloca  all'incrocio  di  una
pluralita' di competenze: esclusive dello Stato (ordinamento civile),
residuali  delle  regioni  (formazione professionale), concorrenti di
stato,  e regioni (tutela del lavoro, istruzione). E dunque - poiche'
le  molteplici  interferenze  di  materie  diverse  non consentono la
soluzione  delle  questioni sulla base di criteri rigidi - la riserva
alla   competenza  legislativa  regionale  della  materia  formazione
professionale   non  puo'  escludere  la  competenza  dello  Stato  a
disciplinare  l'apprendistato per i profili inerenti a materie di sua
competenza».
   Ma   vale   anche  il  contrario,  tanto  che  la  Corte  continua
affermando:  «Beninteso  un tale intervento legislativo dello Stato -
proprio   perche'   incidente   su   plurime   competenze   tra  loro
inestricabilmente  correlate  -  deve  prevedere  strumenti  idonei a
garantire una leale collaborazione con le regioni».
   Ancora  significativa  e'  la recente ulteriore sentenza n. 24 del
2007     ove,     con     riferimento    proprio    all'apprendistato
professionalizzante e alla formazione aziendale, e' affermato: «E' in
sede  di  definizione dei profili formativi - da raggiungere mediante
la  corretta  attuazione del regime dell'intesa - che la regione puo'
far  valere i propri punti di vista e le proprie esigenze anche nella
disciplina  endo-aziendale,  per  la  parte  in  cui  questa riguardi
materie  attinenti  alla tutela e sicurezza del lavoro, di competenza
concorrente».
   Cio'  che  emerge dalla suddetta sintesi e' che la distinzione tra
formazione  interna  ed  esterna  non  puo'  essere applicata in modo
rigido,  perche' le materie che vengono in esame sono intrecciate tra
loro  e  vi e' un nesso inscindibile tra l'attivita' formativa svolta
dall'apprendista  ed il riconoscimento dei crediti e delle competenze
che dovranno essere annotate nel libretto formativo dell'apprendista:
percio'  non  appare  coerente al sistema costituzionale l'esclusione
disposta dal comma 2 dell'art. 23 circa ogni coinvolgimento regionale
nella    disciplina    dei   profili   formativi   dell'apprendistato
professionalizzante,   delle   modalita'   di   riconoscimento  della
qualifica professionale e della registrazione nel libretto formativo.
   Ne' le norme trovano giustificazione ai sensi dell'art. 118 Cost.,
perche'  non  vi  e'  alcuna  esigenza di sussidiarieta', tanto che i
profili  in  esame  non  vengono  attratti allo Stato per esigenze di
carattere  unitario,  ma  solo  sottratti alla potesta' regionale per
essere affidati alla regolamentazione dei contratti collettivi.
   Pertanto  le impugnate disposizioni si pongono in contrasto con il
sistema  delle  competenze  delineato  dagli artt. 117 e 118 Cost. in
materia di formazione professionale.
5)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  57  ,  commi 1 e 2 per
violazione degli artt. 117 e 119 Cost.
   L'art. 57 dispone che le funzioni ed i compiti di programmazione e
di  amministrazione  relative  ai  servizi di cabotaggio marittimo di
servizio  pubblico  che  si  svolgono all'interno di una regione sono
esercitati  dalla  regione  interessata.  La  gestione dei servizi di
cabotaggio  e'  regolata  da  contratti  di  servizio  secondo quanto
previsto  dagli  articoli  17 e 19 del decreto legislativo n. 422 del
1997.
   Il  secondo  comma prevede poi che le risorse attualmente previste
nel  bilancio  dello  Stato  per  il  finanziamento  dei contratti di
servizio   pubblico  di  cabotaggio  marittimo  sono  destinate  alla
compartecipazione  dello Stato alla spesa sostenuta dalle regioni per
l'erogazione   di  tali  servizi.  Con  decreti  del  Ministro  delle
infrastrutture   e   dei   trasporti  di  concerto  con  il  Ministro
dell'economia  e  delle finanze, sentita la Conferenza Stato-regioni,
e'  disposta,  nei  limiti  delle  risorse disponibili a legislazione
vigente,  la ripartizione delle risorse. Per assicurare la congruita'
e  l'efficienza  della  spesa le regioni, per accedere al contributo,
stipulano  i  contratti  e  determinano  oneri di servizio pubblico e
dinamiche tariffarie sulla base di criteri comuni stabiliti dal CIPE,
sentita la Conferenza permanente Stato-regione.
   Occorre  premettere  che  le  funzioni  in  materia  di  trasporto
marittimo   erano   state   delegate   alle  regioni  con  il  d.lgs.
n. 422/1997. L'art. 10 prevedeva infatti la delega alle regioni delle
funzioni e dei compiti amministrativi in materia di servizi marittimi
e  aerei  di  interesse  regionale.  Lo  stesso  articolo  al comma 3
disponeva  che  all'attuazione  della  delega  si provvedesse a norma
dell' art. 12.
   L'art.   12   disponeva  che  all'attuazione  dei  conferimenti  e
all'attribuzione  delle  relative risorse si provvedesse con d.P.C.m.
previo   accordo   di   programma  tra  il  Ministero  e  la  regione
interessata.
   Al contrario degli altri servizi delegati, per i servizi marittimi
non  e'  mai  stata  data attuazione alla delega con l'individuazione
delle  risorse,  cosi'  che  le  regioni  non hanno mai esercitato le
funzioni in oggetto.
   I  due  commi  in  esame,  invece,  rendono il trasferimento delle
funzioni  immediatamente  operativo,  senza  garantire  la  copertura
finanziaria  dei  medesimi.  Le  disposizioni  presentano  profili di
incostituzionalita'  perche' rendono operativo il trasferimento delle
funzioni   in   oggetto,  senza  garantirne  la  integrale  copertura
finanziaria, anzi prevedendo espressamente che lo Stato provvede solo
a  compartecipare alla spesa sostenuta dalle regioni per l'erogazione
del  servizio  e  che la ripartizione delle risorse avverra' da parte
dello Stato, nei limiti di quelle disponibili.
   A  questo  proposito  si  evidenzia  che,  per  quanto riguarda la
specifica  situazione  toscana,  il  bilancio dello Stato per il 2008
riduce  del  40%  i  fondi storicamente destinati ai contratti con la
Soc.    Tirrena    e    che    tali    fondi    costituiscono    solo
«....compartecipazione dello Stato alla spesa sostenuta dalla regione
per l'erogazione di tali servizi...».
   Quindi non e' prevista l'integrale copertura della spesa.
   La norma e' dunque lesiva della competenza regionale in materia di
trasporto  pubblico  e  dell'autonomia  finanziaria delle regioni, in
violazione degli artt. 117 e 119 Cost.
   Le  competenze  in  materia  di  trasporto  pubblico  sono violate
perche',  in  assenza  di una integrale copertura finanziaria, non si
permette  alle regioni di esercitare le proprie funzioni; l'autonomia
finanziaria  non  e'  rispettata perche', in mancanza di una compiuta
attuazione dell'art. 119 Cost., lo Stato non puo' chiamare le regioni
ad  esercitare nuove funzioni senza garantire integralmente la spesa,
ma solo compartecipando alla medesima.
   Percio'    l'articolo    contestato    viola   il   principio   di
«autosufficienza  finanziaria»  sancito  dall'art.  119,  terzo comma
Cost.  e  non consente l'ordinario esercizio delle competenze proprie
della  regione  di  cui  agli artt. 117 Cost. in materia di trasporto
pubblico marittimo.
6)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  58,  secondo comma per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
   Le  regioni, province, comuni ed altri enti locali sono chiamati a
redigere  un  elenco  contenente  i  beni  immobili  non  strumentali
all'esercizio   delle   funzioni   istituzionali,   suscettibili   di
valorizzazione  o  dismissione;  il  piano  che cosi' si forma (piano
delle  alienazioni  e  valorizzazioni  immobiliari) viene allegato al
bilancio di previsione.
   Il  secondo  comma  stabilisce che l'inserimento dell'immobile nel
piano  ne  determina  la  classificazione  tra  i beni del patrimonio
disponibile   e   ne   dispone   la   destinazione   urbanistica;  la
deliberazione  del  consiglio  comunale  di  approvazione  del  piano
costituisce variante allo strumento urbanistico generale.
   Tale  variante,  riferita  a  singoli  immobili,  non necessita di
verifiche  di  conformita'  agli  eventuali  atti  di  pianificazione
sovraordinati  di  competenza  delle  province e regione. La verifica
occorre  e va effettuata entro il termine perentorio di trenta giorni
dalla richiesta, nel caso di variante relativa a terreni classificati
agricoli  dallo  strumento  urbanistico  generale  o  nei casi in cui
comportino  variazioni  volumetriche  superiore  al  10%  dei  volumi
previsti dal medesimo S.U. vigente.
   La  disposizione  contenuta  nel  secondo  comma  e'  lesiva delle
competenze  regionali  in  materia  di governo del territorio perche'
consente    che    la   variante,   automaticamente   apportata   con
l'approvazione  del  piano  delle  alienazioni da parte del consiglio
comunale non necessita di verifiche di conformita' rispetto agli atti
della pianificazione provinciale e regionale.
   In  tal  modo viene incisa la legislazione regionale in materia di
governo  del  territorio,  la  quale  disciplina  il  procedimento di
adozione  ed approvazione degli atti di pianificazione territoriale e
che  stabilisce  la  necessaria  conformita' urbanistica degli atti -
piani  e  varianti  - comunali rispetto alle previsioni degli atti di
programmazione   e   pianificazione   provinciali  e  regionali,  con
conseguente violazione dell'art. 117 Cost.
   Ne'  sussistono esigenze di carattere unitario che legittimino, ai
sensi  dell'art.  118  Cost.,  la  norma  la quale, comunque, sarebbe
incostituzionale  per  la  mancata  previsione  di  una intesa con la
Regione interessata dalla modifica urbanistica prevista nel piano.
7)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  61,  ottavo  comma per
violazione dell'art. 117 Cost.
   L'ottavo  comma  dell'art.  61  incide  sulla  percentuale  del 2%
prevista  dal  codice contratti pubblici. Tale d.lgs. 12 aprile 2006,
n. 163, all'art. 92, nel disciplinare i corrispettivi e gli incentivi
per la progettazione, ha stabilito che:
     «Una  somma  non superiore al due per cento dell'importo posto a
base  di  gara  di  un'opera  o di un lavoro, comprensiva anche degli
oneri  previdenziali e assistenziali a carico dell'amministrazione, a
valere  direttamente  sugli stanziamenti di cui all'art. 93, comma 7,
e'  ripartita,  per ogni singola opera o lavoro, con le modalita' e i
criteri previsti in sede di contrattazione decentrata e assunti in un
regolamento  adottato  dall'amministrazione,  tra il responsabile del
procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano
della  sicurezza,  della  direzione dei lavori, del collaudo, nonche'
tra  i  loro  collaboratori.  La  percentuale  effettiva,  nel limite
massimo  del  due per cento, e' stabilita dal regolamento in rapporto
all'entita'   e   alla  complessita'  dell'opera  da  realizzare.  La
ripartizione tiene conto delle responsabilita' professionali connesse
alle  specifiche  prestazioni  da  svolgere.  Le  quote  parti  della
predetta  somma  corrispondenti a prestazioni che non sono svolte dai
predetti   dipendenti,   in   quanto  affidate  a  personale  esterno
all'organico dell'amministrazione medesima, costituiscono economie. I
soggetti  di  cui  all'art.  32,  comma  1,  lettere b) e c), possono
adottare con proprio provvedimento analoghi criteri».
   Ebbene,  di  tale  percentuale del 2%, lo 0,5 resta destinato alle
finalita'  suddette,  mentre  il restante 1,5% e' versato ad apposito
capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato.
   Il   successivo  comma  17  dell'art.  61  individua  l'ambito  di
operativita'  soggettiva della misura suddetta, prevedendo: «Le somme
provenienti  dalle riduzioni di spesa e le maggiori entrate di cui al
presente  articolo, con esclusione di quelle di cui ai commi 14 e 16,
sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotate di
autonomia  finanziaria ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio
dello  Stato»;  il medesimo comma 17 precisa poi che «La disposizione
di  cui al primo periodo non si applica agli enti territoriali e agli
altri  enti,  di  competenza  regionale  o delle province autonome di
Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale».
   Il   comma   ottavo,   sulla  base  dell'espressa  previsione  del
successivo comma 17, va dunque interpretato nel senso che esso non e'
applicabile   nei  confronti  degli  enti  territoriali,  degli  enti
regionali e del servizio sanitario e dunque e' rispettata l'autonomia
organizzativa  delle  regioni nonche' la loro potesta' legislativa in
materia di organizzazione.
   Tuttavia  e'  possibile  anche un'interpretazione piu' restrittiva
della disposizione.
   Dal tenore del comma 15 dell'art. 61 in esame, infatti, sembra che
solo le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 5 e 6 non si applichino in
via diretta agli enti territoriali, con la conseguente applicabilita'
diretta  delle  altre disposizioni, tra cui il comma 8, disciplinante
la riduzione dell'incentivo alla progettazione.
   Percio'  il  successivo  comma  17 potrebbe essere interpretato in
modo  restrittivo  nel  senso  di  considerare  applicabile agli enti
territoriali  la riduzione dal 2 allo 0,5% della percentuale prevista
dall'art. 92, comma 5, del d.lgs. n. 163/2006, con la sola esenzione,
per  gli  stessi  enti,  dall'obbligo  di versare le maggiori entrate
derivanti  da  tale  misura  ad  apposito capitolo del bilancio dello
Stato.
   Se   tale   interpretazione   restrittiva  dovesse  essere  quella
corretta, essa sarebbe incostituzionale per violazione dell'autonomia
organizzativa  regionale.  Infatti l'imposta riduzione dell'incentivo
inciderebbe  negativamente sulla progettazione interna delle stazioni
appaltanti,  costituendo  un  forte  disincentivo per i tecnici degli
enti  territoriali  che  non  svolgerebbero  piu'  attivita' tecniche
impegnative, di fatto non remunerate.
   Questo farebbe aumentare gli oneri della progettazione che, a quel
punto,  dovrebbe  necessariamente  essere  affidata  all'esterno, con
inevitabili maggiori costi per le amministrazioni.
   Invece, in questi anni, l'incentivo del 2% ha costituito un'ottima
leva  per  la  regione  ricorrente  per  incentivare l'utilizzo delle
professionalita'   interne,   con   risparmi   notevoli  sia  per  la
progettazione  che per lo sviluppo del personale, perche' l'incentivo
del  2%  e'  stato  concesso  quale  premio di produttivita' e dunque
l'amministrazione  ne ha tratto vantaggi anche perche' ha risparmiato
risorse sul relativo fondo di produttivita'.
   L'imposta   riduzione  scardinerebbe  il  sistema  comportando  un
aumento  delle  spese,  perche'  la progettazione esterna ha un costo
superiore.
   E' dunque evidente la lesione della competenza esclusiva regionale
in  materia  di  organizzazione,  ove la disposizione impugnata debba
essere  interpretata  nel  senso  che la riduzione prevista dal comma
ottavo  si  applichi anche alle regioni, agli enti territoriali, agli
enti di competenza regionale e del servizio sanitario nazionale.
8)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  64,  quarto  comma per
violazione dell' articolo 117 Cost.
   L'articolo  64  detta  disposizioni  in  materia di organizzazione
scolastica.
   In tale contesto il quarto comma prevede che, per attuare il piano
di  cui  al comma precedente (piano programmatico di interventi volti
ad  una maggiore razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane,
per  l'efficienza del sistema scolastico), con uno o piu' regolamenti
ministeriali,  adottati sentita la conferenza unificata, idonei anche
a   modificare   norme  di  legge.,  si  provvede  ad  una  revisione
dell'attuale  assetto  ordinamentale,  organizzativo  e didattico del
sistema scolastico, nel rispetto di determinati criteri e cioe':
     a)  razionalizzazione  ed  accorpamento delle classi di concorso
per la flessibilita' nell'impiego dei docenti;
     b)  ridefinizione  di  curricula  vigenti  nei diversi ordini di
scuola;
     c) revisione dei criteri di formazione delle classi;
     d)  rimodulazione  della  organizzazione  didattica della scuola
primaria;
     e)   revisione   dei  criteri  per  determinare  la  consistenza
complessiva degli organici del personale docente ed Ata;
     f)  ridefinizione  dell'assetto  organizzativo  -  didattico dei
centri di istruzione per adulti;
     f-bis)  definizione  dei  criteri,  tempi  e  modalita'  per  la
determinazione  e  l'articolazione  dell'azione  di ridimensionamento
della   rete   scolastica   prevedendo,   nell'ambito  delle  risorse
disponibili,  l'attivazione  di  servizi  qualificati per la migliore
fruizione dell'offerta formativa;
     f-ter)   nel  caso  di  chiusura  o  accorpamento  di  istituiti
scolastici aventi sede nei piccoli comuni, lo Stato, le regioni e gli
enti  locali  possono  prevedere  misure per ridurre il disagio degli
utenti.
   Quindi  il  regolamento  ministeriale  viene  a disciplinare anche
profili  organizzativi  del  sistema  scolastico,  in cui sussiste la
competenza concorrente regionale e dove, pertanto spetta alle regioni
dettare  la  relativa normativa nel rispetto dei principi posti dalla
legge dello Stato.
   Invece  l'emanando  regolamento  dettera'  anche  criteri, tempi e
modalita'  per  la  determinazione  e  l'articolazione dell'azione di
ridimensionamento   della   rete   scolastica,  potendo  a  tal  fine
modificare  anche  le leggi, comprese quelle regionali legittimamente
emanate per la disciplina di questi profili.
   Questo   non   e'  conforme  con  l'assetto  costituzionale  delle
competenze.
   Infatti  la  Corte  costituzionale  ha  ricondotto alla competenza
regionale concorrente in materia di istruzione:
     la   programmazione   dell'offerta   formativa   integrata   tra
istruzione  e  formazione  professionale (conferita alle regioni gia'
con l'art. 138, comma 1, lettera a),
     la  programmazione  della  rete  scolastica  (conferita gia' con
l'art.  138,  comma  1,  lettera  b)  e  gestione  amministrativa del
relativo  servizio  (sentenza n. 34/2005 che richiama la precedente e
conforme sentenza n. 13 del 2004).
   L'azione   di   ridimensionamento   della   rete   scolastica,  la
distribuzione  del  personale,  come  pure  l'incremento, nell'ambito
dell'organico  del  personale docente statale, dei posti attivati per
le  attivita'  di  tempo  pieno  e  di tempo prolungato, attengono ad
aspetti di organizzazione scolastica che evidentemente intersecano le
suddette riconosciute competenze regionali.
   Vertendosi  in  materia di istruzione, lo Stato puo' dettare norme
di principio che poi le regioni dovranno sviluppare.
   Invece  nel  caso  in  esame  si  dettano  principi che l'emanando
regolamento  statale  dovra' attuare e cosi' si elimina lo spazio per
la legislazione regionale in violazione dell'art. 117 Cost.
   L'impugnata  disposizione  viola  altresi' l'art. 117, sesto comma
Cost.  perche'  demanda  ad un regolamento il compito di disciplinare
anche  ambiti  di  competenza  delle  regioni: il regolamento statale
infatti  e' ammesso solo in materie di competenza esclusiva statale e
quindi  il  regolamento  non  puo'  essere fonte idonea a stabilire i
principi  vincolanti  per  il  legislatore  regionale  in una materia
soggetta a potesta' legislativa concorrente.
9)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  67,  commi 9 e 10, per
violazione degli artt. 117 e 119 Cost.
   La   disposizione  interviene  sulla  disciplina  dell'iter  della
contrattazione collettiva.
   In tale contesto il comma ottavo prevede che entro il 31 maggio di
ogni   anno   tutte   le  amministrazioni  pubbliche  sono  tenute  a
trasmettere  alla  Corte  dei  conti  specifiche  informazioni  sulla
contrattazione  integrativa,  certificate  dagli  organi di controllo
interno:  tale  previsione e' finalizzata a quegli scambi informativi
legittimi   perche'  volti  a  garantire  la  collaborazione  tra  le
amministrazioni.
   Pero' il comma 9, legandosi al precedente ottavo, prevede che, per
i  fini  della  suddetta  trasmissione,  il  Ministero dell'economia,
d'intesa  anche  con la Corte dei conti stabilisce quali informazioni
di  interesse  della  Corte  dei  conti stessa debbano essere inviate
volte  ad  accertare (oltre al rispetto dei vincoli finanziari) anche
la  concreta  definizione  ed applicazione di criteri improntati alla
premialita',  al  riconoscimento  del  merito  e  alla valorizzazione
dell'impegno  e della qualita' della prestazione individuale, nonche'
a   parametri   di  selettivita'  con  particolare  riferimento  alle
progressioni economiche.
   Il  comma  10  dispone  che  la  Corte  dei  conti  utilizzi  tali
informazioni  ai  fini del referto sul costo del lavoro e, in caso di
esorbitanza  delle  spese  dai  limiti imposti dai vincoli di finanza
pubblica e dagli indirizzi generali assunti in sede di contrattazione
collettiva  nazionale,  propone  interventi  correttivi  a livello di
comparto   o   di   singolo   ente;   fatte   salve   le  ipotesi  di
responsabilita',  in  caso  di  superamento  dei vincoli, le clausole
contrattuali sono sospese ed e' fatto obbligo di recupero nell'ambito
della sessione negoziale successiva.
   La  documentazione trasmessa alla Corte dei conti deve essere resa
pubblica con pubblicazione sul sito web (comma 11).
   In  caso  di  mancato  adempimento  delle suddette disposizioni e'
fatto  divieto  alle Amministrazioni inadempienti di procedere a ogni
adeguamento  delle  risorse destinate alla contrattazione integrativa
(comma 12).
   Come  si  puo'  constatare  alla  Corte dei conti e' attribuito un
rilevante  potere  che  va  oltre  il  compito - non contestato - del
controllo  circa il rispetto dei vincoli di spesa. Infatti il comma 9
chiama  la  Corte  dei  conti  a  verificare  che  le  previsioni del
contratto   integrativo  rispondano  a  criteri  di  premialita',  di
riconoscimento  della  qualita'  della prestazione, del merito, della
qualita' della prestazione individuale: quindi si introduce una forma
di  verifica e controllo che si estende al merito delle scelte e che,
si  ripete,  e'  ben  diversa della verifica della compatibilita' dei
costi con i vincoli di bilancio.
   Poiche'  i  commi  9  e  10  si applicano anche alle regioni, essi
appaiono lesivi delle competenze regionali.
   Infatti  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  rilevato  che  il
legislatore  e'  libero  di  assegnare alla Corte dei conti qualsiasi
forma   di   controllo,   purche'  questo  abbia  un  suo  fondamento
costituzionale  (sent.  n. 29/2005;  n. 267/2006).  Nel caso in esame
invece  le  norme  attribuiscono alla Corte dei conti un controllo di
merito  non  previsto  in  Costituzione,  volto  a  sindacare  scelte
dell'amministrazione  sull'adeguatezza  delle  misure definite con la
contrattazione integrativa.
   Inoltre  la Corte costituzionale, nel rilevare la legittimita' del
controllo  sulla  gestione,  ha  sottolineato che i poteri istruttori
strumentali  a  tale  controllo  sono  legittimi,  perche' «essi sono
sprovvisti  di qualsivoglia sanzione, per il semplice fatto che, come
si e' in precedenza ricordato, il controllo successivo sulla gestione
consiste  in  un'attivita'  essenzialmente collaborativa, dalla quale
non  puo'  derivare  alcuna  sanzione nel senso proprio del termine».
(sent. n. 29/1995),
   Nel caso in esame i suddetti principi non sono rispettati, perche'
il  controllo  introdotto  incide su scelte organizzative e di merito
della  regione  e non ha una finalita' solo collaborativa, perche' il
comma 10 fa discendere dalla verifica della Corte dei conti il potere
di  quest'ultima di proporre interventi correttivi anche a livello di
singolo  ente,  in caso di esorbitanza delle spese dai limiti imposti
dai  vincoli  finanziari e dagli indirizzi della contrattazione e, in
caso di superamento di tali vincoli, le stesse clausole sono sospese,
in violazione dell'autonomia organizzativa e finanziaria regionale.
   Da qui discendono i vizi denunciati.

        
      
                              P. Q. M.
   Si  confida  che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita'
costituzionale  dell'art.  2,  comma  14; dell'art. 11; dell'art. 13,
commi  1, 2 e 3-bis; dell'art. 23, commi 1 e 2; dell'art. 57, commi 1
e  2;  dell'art.  58,  comma  2; dell'art. 61, comma 8; dell'art. 64,
comma 4; dell'art. 67, commi 9 e 10 del decreto-legge 25 giugno 2008,
n. 112,   convertito   in   legge  6  agosto  2008,  n. 133,  recante
«Disposizioni  urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la  competitivita',  la  stabilizzazione  della finanza pubblica e la
perequazione tributaria» per i motivi indicati nel presente ricorso.
     Firenze - Roma, addi' 16 ottobre 2008
                           Avv. Lucia Bora

        
 

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