Ricorso n. 74 del 24 ottobre 2008 (Regione Toscana)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 24 ottobre 2008 , n. 74
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 24 ottobre 2008 (della Regione Toscana)
(GU n. 51 del 10-12-2008)
Ricorso della Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, autorizzato con deliberazioni della giunta regionale n. 758 del 29 settembre 2008, rappresentato e difeso, per mandato in calce al presente atto, dall'avv. Lucia Bora e domiciliato in Roma, presso lo studio dell'avv. Pasquale Mosca, corso d'Italia n. 102; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 14; dell'art. 11; dell'art. 13, commi 1, 2 e 3-bis; dell'art. 23, commi 1 e 2; dell'art. 57, commi 1 e 2; dell'art. 58, comma 2; dell'art. 61, comma 8; dell'art. 64, comma 4; dell'art. 67, commi 9 e 10 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133, per violazione degli articoli 117, 118 e 119 Cost. e del principio di leale cooperazione. Nella Gazzetta Ufficiale n. 195 del 21 agosto 2008 e' stata pubblicata la legge n. 133/2008 recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria». Le impugnate disposizioni sono lesive delle competenze regionali per i seguenti motivi di D i r i t t o 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 14, per violazione degli artt. 117 e 119 Cost. L'art. 2 vuole favorire l'installazione di reti e impianti in fibra ottica; percio' stabilisce che la medesima e' realizzabile con la denuncia di inizio attivita' e disciplina il procedimento, anche per le ipotesi in cui l'intervento ricada in aree vincolate. Non si ritiene giustificabile il comma 14 ai sensi del quale i soggetti pubblici non possono opporsi alla installazione nella loro proprieta' di reti ed impianti interrati di comunicazione elettronica in fibra ottica, ad eccezione del caso che si tratti di beni facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato, delle province e dei comuni e che tale attivita' possa arrecare turbativa al pubblico servizio. La mancata inclusione dei beni anche del patrimonio indisponibile regionale tra quelli che possono legittimare, in quanto funzionali a scopi e utilizzi pubblici, l'opposizione alla installazione di reti ed impianti interrati, ove tale attivita' possa recare turbativa al pubblico servizio, non ha giustificazione alcuna. Tale mancata inclusione e' idonea ad ostacolare l'esercizio delle funzioni regionali cui i suddetti beni sono strumentali e a ledere il corretto utilizzo di tali beni e quindi si pone in contrasto con l'art. 117 Cost. e con l'autonomia patrimoniale riconosciuta, anche alle regioni, dall'ultimo comma dell'art. 119 Cost. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 11 per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost. L'art. 11 introduce il piano nazionale di edilizia abitativa. Il primo e secondo comma dispongono che tale piano sia approvato con d.P.C.m., previa delibera del CIPE e d'intesa con la Conferenza unificata, e rivolto all'incremento del patrimonio immobiliare a uso abitativo per offrire abitazioni destinate prioritariamente a prima casa per nuclei familiari a basso reddito, giovani coppie a basso reddito, anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate, studenti fuori sede, soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio, immigrati regolari a basso reddito. Il terzo comma determina gli interventi in cui deve essere articolato il piano e precisamente: la costituzione di fondi immobiliari; l'incremento del patrimonio abitativo con le risorse derivanti dalla alienazione degli alloggi pubblici di cui al successivo art. 13; la promozione di interventi da parte di privati; le agevolazioni in favore di cooperative edilizie; la realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia residenziale anche sociale. Il quarto comma prosegue poi prevedendo la stipulazione di appositi accordi di programma approvati con d.P.C.m., previa delibera del CIPE e d'intesa con la Conferenza unificata, per concentrare gli interventi sulla effettiva richiesta abitativa nei singoli contesti attraverso la realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana: decorsi novanta giorni senza che sia stata raggiunta la predetta intesa gli accordi di programma possono essere approvati. Il quinto comma dispone che gli interventi di cui al quarto comma sono realizzati tramite le procedure di project financing di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006; vengono disciplinate le conseguenze sui diritti edificatori per incentivare l'intervento dei promotori. Il comma sesto prevede che i programmi di cui al comma quarto sono finalizzati a migliorare l'abitabilita' specie nelle zone caratterizzate da degrado urbano. Il comma settimo definisce l'alloggio sociale (intervento previsto dal comma terzo lettera e) come servizio economico generale, ai fini dell'esenzione dell'obbligo di notifica degli aiuti di Stato. L'ottavo comma prevede verifiche in fase di attuazione del piano e stabilisce che le abitazioni realizzate non possono essere alienate prima di dieci anni. Il nono comma dispone che l'attuazione del piano nazionale, in alternativa agli accordi di programma di cui al quarto comma, possa essere realizzata con le regole dettate per le infrastrutture strategiche. Il comma decimo introduce la possibilita' di destinare al piano casa una quota degli immobili del demanio non piu' utilizzato, sulla base di accordi tra lo Stato, le regioni e gli enti locali. Il comma undicesimo dispone che i comuni e le province possano associarsi per la migliore attuazione dei programmi di cui al quarto comma, i quali sono dichiarati di interesse strategico nazionale; per la loro attuazione si provvede con l'applicazione dell'art. 81 del d.P.R. n. 616/1977, e successive modificazioni. Il dodicesimo comma prevede che tutte le risorse gia' individuate dalla legge finanziaria del 2007 (legge n. 296/2006) e della legge n. 222/2007 confluiscono in un fondo nazionale che viene istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Il tredicesimo comma detta infine disposizioni per il sostegno alle abitazioni in locazione per gli immigrati che devono a tal fine possedere il certificato storico di residenza da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione. Dunque, nella difficolta' di comprendere una norma che si presenta molto confusa, si rileva che: il nuovo piano nazionale di edilizia abitativa sara' uno strumento generale che avra' ad oggetto la costruzione di nuove abitazioni e il recupero di quelle esistenti, per realizzare programmi di edilizia residenziale anche sociale ( e dunque non solo sociale); il piano puo' essere attuato medianti accordi di programma, per concentrare gli interventi sull'effettiva richiesta abitativa e l'intesa con la conferenza unificata deve essere raggiunta entro novanta giorni, altrimenti se ne prescinde; detti accordi di programma si attuano a loro volta con programmi integrati di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana: gli interventi previsti in questi programmi integrati sono dichiarati di interesse strategico nazionale ai fini dell'applicazione delle particolari procedure di approvazione, anche per gli effetti urbanistici; alternativamente il piano puo' essere attuato con la procedura derogatoria prevista per le opere di rilievo strategico nazionale; di certo, sin d'ora, i fondi gia' stanziati dalle precedenti citate leggi vengono unificati in un fondo nazionale gestito dallo Stato. Diversi sono i profili di incostituzionalita'. A) Tutte le suddette disposizioni intervengono nella materia dell'edilizia residenziale pubblica, dei servizi sociali e del governo del territorio e, quindi, in ambiti in cui le regioni hanno attribuite rilevanti competenze costituzionali, ai sensi degli artt. 117 Cost. e 118 Cost. In particolare, con riferimento all'edilizia residenziale pubblica, gia' prima della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione la giurisprudenza costituzionale aveva rilevato che «la materia dell'edilizia residenziale pubblica e' devoluta alla competenza legislativa regionale, ai sensi dell'art. 117, primo comma, Cost.; in tale materia confluiscono attribuzioni inerenti all'urbanistica ed ai lavori pubblici d'interesse regionale (sentenza n. 16 del 1992). La normativa interposta del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, sul presupposto della competenza regionale, riserva allo Stato la sola determinazione dei criteri di assegnazione degli alloggi (art. 88, n. 13), conferendo alle regioni ampi poteri di programmazione e di gestione degli interventi pubblici (art. 93, primo comma), nonche' l'organizzazione del servizio, da esercitare in conformita' dei principi stabiliti dalla legge di riforma delle autonomie locali (sentenze n. 594 del 1990; nn. 1115 e 727 del 1988). Una volta devoluti alle regioni i poteri di gestire i fondi in materia di edilizia residenziale, spetta all'autonomia di esse destinarli, nel loro oggetto e modalita', senza vincoli imposti dallo Stato». (Corte cost. sentenza n. 393/1992). Piu' recentemente la Corte costituzionale ha rilevato: «Questa Corte (con la sentenza n. 27 del 1996) ha gia' qualificato l'edilizia residenziale pubblica ''nuova materia di competenza regionale'', precisando che essa ricomprende la disciplina della predisposizione di interventi pubblici di varia natura comunque diretti al fine di provvedere al servizio sociale della provvista degli alloggi a favore dei lavoratori e delle famiglie meno abbienti. Da ultimo, poi, l'art. 60 del d.lgs. n. 112 del 1998 ha conferito alle regioni tutte le funzioni amministrative relative alla gestione e all'attuazione degli interventi in materia di edilizia residenziale pubblica». (sentenza 352/2001). La riforma dell'art. 117 Cost. ha confermato la competenza regionale. In merito la Corte costituzionale, nella sentenza n. 94 del 2007 ha rilevato: «L'approdo della lunga evoluzione giurisprudenziale, anteriore alla riforma del Titolo V e sopra sintetizzata, e' stato raggiunto con l'affermazione secondo cui ''si e' parlato di plena cognitio delle regioni, sia amministrativa sia (per il parallelismo delle funzioni) legislativa, in materia di edilizia residenziale pubblica, cosicche' potrebbe ritenersi ormai formata, nell'evoluzione dell'ordinamento, una 'nuova' materia di competenza regionale al di la' della ricostruzione iniziale operata con la sentenza n. 221 del 1975 - l'edilizia residenziale pubblica appunto - avente una sua consistenza indipendentemente dal riferimento all'urbanistica e ai lavori pubblici» (sentenza n. 27/1996). Dopo la riforma del Titolo V, il quadro sistematico non e' cambiato, nel senso che la consistenza della materia non ha subito variazioni dipendenti da una nuova classificazione costituzionale o da una diversa sistematizzazione legislativa di principio. La 'nuova materia' - la cui formazione era stata rilevata da questa Corte prima della riforma costituzionale - continua ad esistere come corpus normativo. Sono cambiati, invece, alcuni termini di riferimento, sui quali conviene fermare l'attenzione. Come gia' detto, una specifica materia 'edilizia residenziale pubblica' non compare tra quelle elencate nel secondo e nel terzo comma dell'art. 117 Cost. Poiche' resta valido quanto da questa Corte rilevato nella sentenza n. 27 del 1996, e cioe' l'esistenza di un ambito materiale che si identifica nella programmazione, costruzione e gestione di alloggi destinati a soddisfare le esigenze abitative dei ceti sociali meno abbienti, e' inevitabile che venga rilevata la perdurante attualita' della tripartizione operata con la citata sentenza n. 221 del 1975. Tale tripartizione implica, nell'attuale quadro costituzionale, che la 'nuova' materia possiede quel carattere di 'trasversalita'' individuato dalla giurisprudenza di questa Corte a proposito di altre materie non interamente classificabili all'interno di una denominazione contenuta nell'art. 117 Cost. Il superamento dell'originaria tripartizione era stato possibile perche' il primo comma dell'art. 117 Cost., ante riforma, configurava una competenza legislativa concorrente delle regioni ordinarie, in assenza sia di una competenza esclusiva delle stesse sia, come sara' meglio precisato piu' avanti, di una competenza esclusiva dello Stato in materia di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. In altre parole, nel sistema anteriore alla riforma del 2001, alla plena cognitio regionale della materia in questione poteva corrispondere, al massimo, una potesta' legislativa concorrente, mentre lo Stato poteva assolvere la sua funzione di supremo regolatore delle prestazioni attuative dei diritti sociali con lo strumento dei principi fondamentali della materia. Da quanto sinora detto deriva l'ulteriore conclusione che oggi - dopo il mutamento della sistematica costituzionale sul riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le regioni - la materia dell'edilizia residenziale pubblica si estende su tre livelli normativi. Il primo riguarda la determinazione dell'offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti. In tale determinazione - che, qualora esercitata, rientra nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. - si inserisce la fissazione di principi che valgano a garantire l'uniformita' dei criteri di assegnazione su tutto il territorio nazionale, secondo quanto prescritto dalla sentenza n. 486 del 1995. Il secondo livello normativo riguarda la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia 'governo del territorio', ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., come precisato di recente da questa Corte con la sentenza n. 451 del 2006. Il terzo livello normativo, rientrante nel quarto comma dell'art. 117 Cost., riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprieta' degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione regionale''». Dunque, alcuni dei profili attinenti l'edilizia residenziale pubblica rientrano nella competenza residuale delle regioni ( provvista e gestione degli alloggi) e alle stesse e' riconosciuta la potesta' legislativa concorrente sia per gli aspetti piu' specificatamente attinenti alla localizzazione degli interventi e quindi al governo del territorio, che per i profili riguardanti l'attuazione dei principi statali volti a garantire l'uniformita' dei criteri di assegnazione degli alloggi ed il soddisfacimento del fabbisogno abitativo. Il censurato articolo 11 non rispetta tali competenze regionali. Infatti il fine della disposizione in esame non e' quello di dettare una disciplina generale in tema di assegnazione degli alloggi, bensi' quello di istituire un piano nazionale di edilizia, neppure limitato agli interventi di edilizia sociale (comma terzo, lettera e) ne' destinato esclusivamente ai soggetti con situazioni di difficolta' economica o sociale (infatti il secondo comma prevede che gli interventi siano destinati prioritariamente a tali categorie); dunque si introduce uno strumento che, unitamente a quelli per la sua attuazione, e' finalizzato a regolare le procedure amministrative per arrivare a localizzare, costruire e recuperare alloggi di E.R.P. Questo costituisce, in conclusione, un vulnus delle competenze costituzionali delle regioni di cui all'art. 117, terzo comma Cost., con riferimento alle materie dell'edilizia residenziale e del governo del territorio; inoltre sono violate anche le attribuzioni regionali in materia di assistenza sociale in quanto il piano interviene a disciplinare direttamente anche interventi in tale ambito, come si evince dall'elenco di cui al comma secondo. B) Ne' puo' sostenersi che la norma sia conforme a Costituzione in virtu' del titolo legittimante richiamato al primo comma, vale a dire la determinazione dei livelli essenziali di fabbisogno abitativo. Nella richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 94 del 2007, in riferimento al primo dei tre livelli normativi in cui si articola la materia dell'edilizia residenziale pubblica, si legge: «Il primo riguarda la determinazione dell'offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti. In tale determinazione - che, qualora esercitata, rientra nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. - si inserisce la fissazione di principi che valgano a garantire l'uniformita' dei criteri di assegnazione su tutto il territorio nazionale, secondo quanto prescritto dalla sentenza n. 486 del 1995». Da cio' consegue che lo Stato, nel momento in cui intende esercitare la competenza di cui alla lettera m) dell'art. 117 Cost. in relazione al soddisfacimento del diritto all'abitazione, dovra' dettare principi fondamentali per garantire la uniformita' di trattamento sul territorio nazionale. La disposizione impugnata, invece, supera tale contenuto perche' disciplina in modo puntuale, specifico, autoapplicativo gli strumenti da approvare per la costruzione degli alloggi e detta esaustivamente la procedura per l'approvazione degli interventi (cosi' il comma quarto, il comma nono ed il comma undicesimo). Inoltre il richiamo alla lettera m) dell'art. 117 Cost. non legittima le norme qui contestate perche' le medesime non presentano le caratteristiche sostanziali e formali che possano farle annoverare fra gli atti espressivi del potere di predeterminazione normativa dei livelli essenziali delle prestazioni, secondo la giurisprudenza costituzionale (sent. n. 88/2003; n. 282/2002). Cio' per molteplici motivi e precisamente: la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui alla citata lettera m) non e' una materia, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 282/2002, ma una competenza che il legislatore statale ha per dettare norme che abbiano ad oggetto o contenuto la fissazione di un livello minimo di soddisfacimento di diritti civili o sociali: e' di tutta evidenza come nel caso in esame l'art. 11 non ha il suddetto oggetto o contenuto, perche' non determina alcuno standard di soddisfacimento del fabbisogno abitativo; addirittura la norma ammette, come gia' evidenziato, che il piano contempli interventi ulteriori rispetto a quelli di edilizia residenziale sociale e solo prioritariamente, ma non esclusivamente, destinati alle categorie socialmente disagiate; in denegata e contestata ipotesi, resterebbe l'illegittimita' costituzionale denunciata, in quanto la competenza statale relativa alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui alla citata lettera m) dell'art. 117 Cost. si colloca in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto. Di cio' deve essere tenuto conto, tanto che in merito la Corte costituzionale ha rilevato che «la conseguente forte incidenza (di tale competenza statale) sull'esercizio delle funzioni nelle materie assegnate alle competenze legislative ed amministrative delle regioni e delle province autonome impone evidentemente che queste scelte, almeno nelle loro linee generali, siano operate dallo Stato con legge, che dovra' inoltre determinare adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni ed articolazioni ulteriori che si rendano necessari nei vari settori» (sent. n. 88/2003). Quindi quando lo Stato si avvale della competenza di cui alla lettera m) dell'art. 117 Cost. per determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali dei cittadini, deve rispettare il criterio indicato dalla Corte costituzionale e quindi stabilire generali principi cui poi le regioni possano dare adeguato sviluppo nell'espletamento delle loro competenze legislative. Tali requisiti non sono presenti nelle impugnate disposizioni. C) La norma impugnata viola ulteriormente l'art. 117 Cost. ed anche l'art. 118 Cost., per un ulteriore motivo. Come si e' gia' evidenziato, l'art. 11 (commi quarto, nono ed undicesimo) prevede che l'attuazione del piano nazionale venga effettuata con accordi di programma, che a loro volta sono attuati da programmi integrati di promozione di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana ovvero con le procedure delle opere strategiche nazionali dettate dal d.lgs n. 163 del 2006 (che ha riprodotto le norme della legge obiettivo n. 443/2001); anche i programmi integrati sono dichiarati di interesse strategico nazionale. La Corte costituzionale ha riconosciuto legittime le norme della legge n. 443 del 2001 in applicazione del principio di sussidiarieta' di cui all'art. 118 Cost., rilevando: «Perche' nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., una legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l'esercizio, e' necessario che essa innanzi tutto rispetti i principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni.». Ma i suddetti principi «non possono trasformarsi - come questa Corte ha affermato nella sentenza n. 303 del 2003 - in mere formule verbali capaci con la loro sola evocazione di modificare a vantaggio della legge nazionale il riparto costituzionalmente stabilito, perche' cio' equivarrebbe a negare la stessa rigidita' della Costituzione. Proprio per la rilevanza dei valori coinvolti, questa Corte ha quindi affermato, nella medesima sentenza, che una deroga al riparto operato dall'art. 117 Cost. puo' essere giustificata solo se la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalita' e sia oggetto di un accordo stipulato con la regione interessata». (sentenza n. 6 del 2004). Applicando tale insegnamento alla norma in esame, si rileva innanzitutto la mancanza delle esigenze di sussidiarieta' che giustifichino la modifica dell'ordinario assetto delle competenze costituzionali, ne', del resto, la norma fa riferimento alcuno a tali presunte, inesistenti, esigenze. Invece, quando si intendano attrarre allo Stato funzioni amministrative in sussidiarieta', il titolo del legiferare deve essere reso evidente in maniera esplicita, perche' la sussidiarieta' deroga al normale riparto delle competenze stabilito nell'art. 117 Cost. In ogni caso, e in contestata ipotesi, l'intervento legislativo non presenterebbe quei caratteri di proporzionalita' evidenziati dalla giurisprudenza costituzionale, perche' introduce nuovi strumenti di programmazione e realizzazione degli interventi di edilizia, accentrati a livello nazionale, e quindi non e' limitato a casi circoscritti. Inoltre la richiamata sentenza n. 303/2003 ha chiarito che le previsioni della legge sulle opere strategiche sono coerenti con l'assetto delle competenze in applicazione dei principi di sussidiarieta' e adeguatezza, solo perche' prevedono un'intesa fra lo Stato e le regioni interessate, alla quale e' subordinata l'operativita' della disciplina; tanto e' vero che il programma delle opere strategiche e' stato ritenuto valido ed efficace solo a fronte della raggiunta intesa con la regione interessata. In merito infatti nella sentenza n. 303/2003 si legge testualmente: «In questo senso sono quindi da respingere le censure che le ricorrenti indirizzano contro il comma 1 dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001, nella versione anteriore alla modifica recata dalla legge n. 166 del 2002, per il fatto che in essa era previsto che le regioni fossero solo sentite singolarmente ed in Conferenza unificata e non veniva invece esplicitamente sancito il principio dell'intesa. L'interpretazione coerente con il sistema dei rapporti Stato-regioni affermato nel nuovo Titolo V impone infatti di negare efficacia vincolante a quel programma su cui le regioni interessate non abbiano raggiunto un'intesa per la parte che le riguarda, come nel caso della deliberazione CIPE del 21 dicembre 2001, n. 121». E, ancora: «Nella specie l'intesa e' prevista e ad essa e' da ritenersi che il legislatore abbia voluto subordinare l'efficacia stessa della regolamentazione delle infrastrutture e degli insediamenti contenuta nel programma». L'impugnata disposizione non rispetta i richiamati principi perche': il piano nazionale ha ad oggetto la costruzione di abitazioni e quindi ha un contenuto anche localizzativo e puo' essere attuato con le procedure proprie delle infrastrutture strategiche. A fronte di tali previsioni, il primo comma subordina l'approvazione del piano nazionale all'intesa con la Conferenza unificata, ma cio' appare del tutto insufficiente in rapporto a quanto affermato dalla sentenza n. 303/2003, per il rispetto delle competenze regionali, perche' non si prevede l'intesa con la singola regione interessata dalle specifiche localizzazioni; il quarto comma, nel disciplinare una delle due modalita' di attuazione del piano nazionale, cioe' quella tramite accordi di programma e conseguenti programmi integrati, prevede l'intesa con la Conferenza unificata, dalla quale tuttavia si puo' prescindere, se la stessa non viene resa in novanta giorni. Il vulnus delle competenze regionali qui e' ancora piu' rilevante. Anche in tal caso si ripropongono i motivi appena espressi circa l'inidoneita' dell'intesa in Conferenza come meccanismo di salvaguardia di rilevanti attribuzioni della singola regione incise da un piano, da un accordo e da un programma che localizzano direttamente interventi edilizi sul proprio territorio. Inoltre, in tale ipotesi, si prevede che dall'intesa stessa si possa prescindere se la stessa non sia raggiunta in novanta giorni. Cio' a fronte di un accordo di programma che e' prodromico a programmi integrati espressamente qualificati come interventi strategici ai fini dell'applicazione delle procedure derogatorie proprie di queste opere. Anche in tal caso non sono rispettati i principi posti dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303 del 2003, ove l'intesa con la regione interessata e' configurata quale presupposto essenziale per la compatibilita' costituzionale di una normativa statale che, in applicazione dell'art. 118 Cost., attragga in capo allo Stato potesta' legislative che l'art. 117 affida alla competenza concorrente Stato-regioni. Non solo. La giurisprudenza costituzionale ha chiarito che, ove la normativa statale incida in ambiti di competenza regionale in applicazione dell'art. 118 Cost., l'imprescindibile fase concertativa deve essere salvaguardata: «Appare evidente che quest'ultima va considerata come un'intesa ''forte'', nel senso che il suo mancato raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento a causa del particolarissimo impatto che una struttura produttiva di questo tipo ha su tutta una serie di funzioni regionali relative al governo del territorio, alla tutela della salute, alla valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, al turismo, etc.» (sentenza n. 6 del 2004). Ancora la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che ove l'intesa debba essere prevista dal legislatore statale come strumento necessario per riequilibrare le potesta' legislative regionali che sarebbero altrimenti eccessivamente compromesse, e' necessario che la stessa intesa, secondo i canoni della leale collaborazione, si sviluppi attraverso reiterate trattative, volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo (sentenza n. 339 del 2005). In definitiva, e' necessario che quantomeno si attui una fase di dialogo fra le parti e che si realizzi un contatto tra i diversi interessi ed una dialettica leale e costruttiva fra i differenti soggetti di rilevanza costituzionale, perche' altrimenti la previsione dell'intesa si tradurrebbe in una statuizione solo formale e, quindi, inidonea a soddisfacimento degli obiettivi per cui deve essere garantita e cioe' l'equo contemperamento delle potesta' riconosciute a soggetti entrambi dotati di autonomia e rilevanza costituzionale. Il comma quarto, di per se' ed anche considerando gli effetti stabiliti al comma undicesimo, non soddisfa i suddetti requisiti, ammettendo che si possa procedere pur in mancanza dell'intesa, con conseguente illegittimita' costituzionale. D) La norma contrasta anche con l'art. 119 Cost. Come gia' rilevato infatti si istituisce un fondo statale che assorbe i finanziamenti previsti per l'edilizia residenziale dalle precedenti normative. Poiche', per i motivi sopra esposti, la materia dell'edilizia residenziale pubblica non e' riservata alla competenza esclusiva statale, nessuna giustificazione appare invocabile a sostegno dell'istituzione in tale materia di riserve finanziarie da disciplinarsi e gestirsi a livello ministeriale, trattandosi di funzioni pubbliche ordinarie delle regioni e degli enti locali, per le quali lo Stato deve assicurare l'integrale copertura finanziaria ex art. 119 Cost. Tale norma ha costituzionalizzato il principio del congruo finanziamento delle competenze regionali, perche' non puo' esservi effettiva autonomia senza adeguate risorse finanziarie. Conseguentemente, come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale sono incompatibili con l'assetto costituzionale interventi statali finanziari in materia di competenza regionale (sent. nn. 16/2004; 49/2004), a meno che non si sia in presenza delle circostanze previste dall'art. 119, quinto comma Cost., per il ricorso alle risorse aggiuntive e agli interventi speciali. In tal senso la Corte costituzionale ha ritenuto costituzionalmente legittimo il Fondo per l'edilizia a canone sociale istituito dalla legge n. 350 del 2003 perche' esso costituisce un intervento speciale ai sensi del citato art. 119, quinto comma Cost. (sentenza n. 451 del 2006), cosi' riconfermando che, in casi diversi, non sono ammissibili fondi nazionali in materia di edilizia. L'art. 11 non disciplina pero' risorse aggiuntive ne' interventi speciali, come confermato dal fatto che il fondo e' formato dalla confluenza dei finanziamenti precedentemente stanziati alle regioni e percio' non e' compatibile con l'art. 119 Cost. Si comprende pienamente la lesivita' della disposizione: infatti se la regione non esprime l'intesa sul piano e sull'accordo di programma, i finanziamenti verranno integralmente assorbiti dagli interventi localizzati nelle regioni che hanno dato il loro assenso agli interventi stessi, con conseguente impossibilita' di poter esercitare in autonomia le proprie funzioni costituzionalmente garantite in materia. Ne' la previsione del fondo puo' essere ritenuta legittima in nome della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Nel rinviare a quanto gia' sopra dedotto in merito alla non riconducibilita' della disciplina in esame a tale titolo, qui si rileva che, con riferimento ad una disposizione che destinava una percentuale di risorse finanziarie a sostegno delle politiche per la famiglia, in particolare per l'acquisto della prima casa e per il sostegno alla natalita', la Corte costituzionale ha chiarito che «non puo' essere condivisa la tesi secondo cui l'oggetto della disciplina sarebbe espressione della potesta' statale di determinare ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale: la norma censurata, infatti, non determina alcun livello di prestazione, ma si limita a prevedere somme a destinazione vincolata» (sentenza n. 423/2004). Piu' in generale la Corte costituzionale ha rilevato che la previsione di fondi e di interventi finanziari non e' riconducibile all'esercizio del potere di cui alla citata lettera m) dell'art. 117 Cost.: «e' palese che le finalita' dei fondi non hanno nulla a che fare con la garanzia su tutto il territorio nazionale di livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti delle persone» ( sentenza n. 16/2004). In ogni caso, pur nella denegata ipotesi in cui le suddette argomentazioni non fossero accolte, la istituzione del fondo sarebbe comunque illegittima per violazione del principio di leale cooperazione, dal momento che il dodicesimo comma non prevede alcuna forma di coinvolgimento delle regioni nella ripartizione del fondo e nella sua gestione all'interno del proprio territorio. 3) Illegittimita' dell'art. 13, commi 1, 2 e 3-bis per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost. L'articolo 13 detta norme per valorizzare il patrimonio residenziale pubblico. In particolare il comma primo dispone che, per valorizzare gli immobili residenziali costituenti il patrimonio degli istituti autonomi per le case popolari comunque denominati e di favorire il soddisfacimento dei fabbisogni abitativi, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministro per i rapporti con le regioni promuovono, in sede di conferenza unificata, la conclusione di accordi con le regioni ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili di proprieta' dei predetti Istituti. Il secondo comma detta poi i criteri che dovranno essere seguiti ai fini della conclusione degli accordi suddetti e precisamente: determinazione del prezzo di vendita in proporzione al canone di locazione, diritto di opzione all'acquisto in favore dell'assegnatario non moroso e destinazione dei proventi delle alienazioni alla realizzazione di interventi volti ad alleviare il disagio abitativo. Il comma 3-bis istituisce a livello statale un fondo speciale di garanzia per l'acquisto della prima casa da parte di giovani coppie e famiglie con un solo genitore e figli minori. Analoga disposizione rispetto a quelle di cui ai commi 1 e 2 erano contenute nell'art. 1 commi 597 e 598 della legge n. 266 del 2005 che rinviava ad un decreto del Presidente del Consiglio, da emanare previo accordo tra Governo e regioni, la semplificazione delle norme per l'alienazione degli alloggi in esame. Il comma 598 dettava i criteri per l'emanando decreto, disponendo che: a) il prezzo di vendita delle unita' immobiliari avrebbe dovuto essere determinato in proporzione al canone dovuto e computato ai sensi delle vigenti leggi regionali, ovvero, laddove non ancora approvate, ai sensi della legge 8 agosto 1977, n. 513; b) per le unita' ad uso residenziale si sarebbe riconosciuto il diritto all'esercizio del diritto di opzione all'acquisto per l'assegnatario unitamente al proprio coniuge, qualora fosse risultato in regime di comunione dei beni; che, in caso di rinunzia da parte dell'assegnatario, sarebbero subentrati, con facolta' di rinunzia, nel diritto all'acquisto, nell'ordine: il coniuge in regime di separazione dei beni, il convivente more uxorio purche' la convivenza duri da almeno cinque anni, i figli conviventi, i figli non conviventi; c) i proventi delle alienazioni sarebbero stati destinati alla realizzazione di nuovi alloggi, al contenimento degli oneri dei mutui sottoscritti da giovani coppie per l'acquisto della prima casa, a promuovere il recupero sociale dei quartieri degradati e per azioni in favore di famiglie in particolare stato di bisogno. Le disposizioni di tali commi sono state dichiarate incostituzionali dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 94 del 2007 in quanto il loro fine «e' quello di regolare le procedure amministrative e organizzative per arrivare ad una piu' rapida e conveniente cessione degli immobili. Si tratta quindi di un intervento normativo dello Stato nella gestione degli alloggi di proprieta' degli I.A.C.P. (o di altri enti o strutture sostitutivi di questi), che esplicitamente viene motivato dalla legge statale con finalita' di valorizzazione di un patrimonio immobiliare non appartenente allo Stato, ma ad enti strumentali delle regioni. Si profila, pertanto, una ingerenza nel terzo livello di normazione riguardante l'edilizia residenziale pubblica, sicuramente ricompreso nella potesta' legislativa residuale delle regioni, ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost.». Le disposizioni impugnate, per tentare di superare i suddetti rilievi della Corte costituzionale, rimettono la definizione delle procedure semplificate per l'alienazione, all'accordo tra i Ministeri competenti, le regioni e gli enti locali. In pratica la differenza tra le disposizioni dichiarate incostituzionali e le attuali sta nel fatto che le prime dettavano i principi cui doveva uniformarsi l'accordo tra Governo e regioni, preliminare al d.P.C.m. che avrebbe stabilito le norme semplificate per l'alienazione degli alloggi; oggi si fissano i criteri (esattamente uguali ai principi del precedente comma 598) in base ai quali dovranno essere stipulati gli accordi tra Stato, Regioni ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle normative per l'alienazione dei beni in esame. Praticamente la norma non cambia: il legislatore nazionale ha stabilito dei criteri che devono essere seguiti nella normativa semplificata e per quest'ultima si rinvia ad un accordo Stato-regioni (anche nella norma precedente era richiesto tale accordo, a valle del quale era previsto il d.P.C.m. finale, ora eliminato). La modifica e' del tutto inidonea a superare i profili di incostituzionalita' stabiliti nella citata sentenza n. 94 del 2007, in quanto la materia dell'edilizia residenziale, in relazione al profili del c.d. terzo livello di gestione del patrimonio immobiliare, e' devoluta alle regioni ai sensi dell'art. 117, quarto comma Cost., con la conseguenza che e' rimessa alle regioni la relativa disciplina, ne' e' ammissibile vincolare l'esercizio della stessa potesta' legislativa regionale ad accordi tra il ministro, le regioni ed enti locali, perche' cio' viola l'autonomia legislativa costituzionalmente garantita alle regioni, la quale non puo' essere condizionata da assensi esterni non previsti in Costituzione. Da cio' consegue la dedotta violazione dell'art. 117 Cost. Ne' d'altra parte vengono in rilievo esigenze di sussidiarieta' che legittimino la disposizione ai sensi dell'art. 118 Cost.: come ha rilevato la Corte costituzionale nella citata sentenza n. 94 del 2007 in tal caso non «varrebbe richiamare il principio di leale collaborazione, giacche', nella specie, si versa in ambito materiale riservato esclusivamente alle regioni: non vengono in rilevo, infatti, profili programmatori o progettuali idonei ad avere un qualsiasi impatto con il territorio. Non e', d'altra parte, condivisibile l'assunto dell'Avvocatura dello Stato, che fa rientrare la norma impugnata nella materia ''ordinamento civile'', poiche' si tratta di criteri destinati ad incidere sulle procedure amministrative inerenti all'alienazione degli immobili di proprieta' di enti regionali e non gia' a regolare rapporti giuridici di natura privatistica. La competenza regionale in materia e' stata gia' riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (si veda, ad esempio, la sentenza n. 486 del 1995 e non v'e' spazio, pertanto, per una normativa statale che si sostituisca o si sovrapponga a quella delle regioni, tuttora in vigore. Se l'alienazione degli alloggi deve essere considerata, come s'e' visto, ''indissolubilmente connessa con l'assegnazione degli stessi'' (sentenza n. 486 del 1992), e se la ''disciplina organica dell'assegnazione e cessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica [...] costituisce, in linea di principio, espressione della competenza spettante alla regione in questa materia'' (ordinanza n. 104 del 2004), la disciplina delle procedure amministrative tendenti all'alienazione non rientra nell'ordinamento civile, ma deve essere ricondotta al potere di gestione dei propri immobili». Infine contrasta anche con l'art. 119 Cost. l'istituzione del fondo per l'acquisto della prima casa di cui al comma 3-bis, per gli stessi motivi espressi in relazione al precedente art. 11. In particolare poiche', per i motivi sopra esposti, la materia dell'edilizia residenziale pubblica non e' riservata alla competenza esclusiva statale, nessuna giustificazione appare invocabile a sostegno dell'istituzione in tale materia di riserve finanziarie da disciplinarsi e gestirsi a livello ministeriale, trattandosi di funzioni pubbliche ordinarie delle Regioni e degli enti locali, per le quali lo Stato deve assicurare l'integrale copertura finanziaria ex art. 119 Cost. 4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 23, commi 1 e 2 per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. Le disposizioni modificano l'art. 49 del decreto legislativo n. 276/2003, con riferimento alla disciplina del contratto di apprendistato. Il primo comma stabilisce che l'apprendistato professionalizzante (quello volto al conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e l'acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico-professionali) non possa essere superiore a sei anni e quindi viene eliminata la previsione, precedentemente contenuta nell'art. 49 citato, che il medesimo non possa essere inferiore a due anni. Le regioni hanno contestato la eliminazione della durata minima rilevando che cosi' si crea un forte pregiudizio alla possibilita' di programmazione e gestione della formazione per contratti di durata inferiore a tale limite, ma tali richieste non sono state accolte. L'eliminazione operata incide sulle attribuzioni regionali in materia di formazione professionale, perche' con contratti di breve durata questa non puo' essere programmata, ne' assicurata. Per questo la disposizione, che irragionevolmente ha operato la prevista eliminazione, appare costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 117 Cost. Piu' articolata e' l'ulteriore modifica contenuta nel comma secondo dell'art. 23. Viene infatti inserito il comma 5-ter all'art. 49 del decreto legislativo n. 276/2003, stabilendo che, in caso di formazione esclusivamente aziendale, la regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato professionalizzante non e' definita dalle regioni d'intesa con le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori (come di regola), ma sono definiti integralmente dai contratti collettivi di lavoro; tali contratti e gli enti bilaterali definiscono la nozione di formazione aziendale e determinano, per ciascun profilo formativo, la durata e le modalita' di erogazione della formazione, le modalita' di riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto formativo. Quindi il comma in esame assegna alla contrattazione collettiva la funzione di fonte esclusiva, in luogo di quella regionale, anche nella definizione della nozione di formazione aziendale, dei profili formativi, delle modalita' di erogazione, della durata della formazione, nel riconoscimento della qualifica professionale e cio' pur in presenza di una compiuta disciplina regionale. Come gia' rilevato, tale disciplina e' dettata per la formazione esclusivamente aziendale; la medesima dunque si riferisce alla distinzione, operata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 50/2005, tra formazione interna all'azienda, che attiene al rapporto contrattuale ed e' rimessa alla competenza statale, e formazione «esterna» all'azienda, da ricondurre ai profili «pubblicistici» dell'istituto, soggetta alla competenza concorrente e residuale delle regioni. Tuttavia si rilevano profili di illegittimita' nelle impugnate disposizioni che cosi' drasticamente eliminano ogni spazio per il gia' riconosciuto ruolo regionale. La previsione infatti non tiene conto delle strette interrelazioni che vi sono tra i due aspetti (cioe' quello della formazione esterna e quello della formazione interna). A tale proposito la Corte costituzionale ha rilevato: «Se e' vero che la formazione all'interno delle aziende inerisce al rapporto contrattuale, sicche' la sua disciplina rientra nell'ordinamento civile, e che spetta invece alle regioni e alle province autonome disciplinare quella pubblica, non e' men vero che nella regolamentazione dell'apprendistato ne' l'una ne' l'altra appaiono allo stato puro, ossia separate nettamente tra di loro e da altri aspetti dell'istituto. Occorre percio' tener conto di tali interferenze.» (sentenza n. 50/2005). E' lo stesso legislatore nazionale ad ammettere tali interferenze nel momento in cui dispone che «la regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato» (di tutti, non solo di quelli attinenti alla formazione «esterna») «e' rimessa alle regioni» (art. 48, comma 4 e 49, comma 5 del decreto legislativo n. 276/2003, i quali non subiscono modifiche, con la legge in esame). Nello stesso senso nella sentenza n. 51 del 2005 la Corte costituzionale, nel richiamare il suddetto precedente n. 50/2005, ribadisce che «nell'attuale assetto del mercato del lavoro la disciplina dell'apprendistato si colloca all'incrocio di una pluralita' di competenze: esclusive dello Stato (ordinamento civile), residuali delle regioni (formazione professionale), concorrenti di stato, e regioni (tutela del lavoro, istruzione). E dunque - poiche' le molteplici interferenze di materie diverse non consentono la soluzione delle questioni sulla base di criteri rigidi - la riserva alla competenza legislativa regionale della materia formazione professionale non puo' escludere la competenza dello Stato a disciplinare l'apprendistato per i profili inerenti a materie di sua competenza». Ma vale anche il contrario, tanto che la Corte continua affermando: «Beninteso un tale intervento legislativo dello Stato - proprio perche' incidente su plurime competenze tra loro inestricabilmente correlate - deve prevedere strumenti idonei a garantire una leale collaborazione con le regioni». Ancora significativa e' la recente ulteriore sentenza n. 24 del 2007 ove, con riferimento proprio all'apprendistato professionalizzante e alla formazione aziendale, e' affermato: «E' in sede di definizione dei profili formativi - da raggiungere mediante la corretta attuazione del regime dell'intesa - che la regione puo' far valere i propri punti di vista e le proprie esigenze anche nella disciplina endo-aziendale, per la parte in cui questa riguardi materie attinenti alla tutela e sicurezza del lavoro, di competenza concorrente». Cio' che emerge dalla suddetta sintesi e' che la distinzione tra formazione interna ed esterna non puo' essere applicata in modo rigido, perche' le materie che vengono in esame sono intrecciate tra loro e vi e' un nesso inscindibile tra l'attivita' formativa svolta dall'apprendista ed il riconoscimento dei crediti e delle competenze che dovranno essere annotate nel libretto formativo dell'apprendista: percio' non appare coerente al sistema costituzionale l'esclusione disposta dal comma 2 dell'art. 23 circa ogni coinvolgimento regionale nella disciplina dei profili formativi dell'apprendistato professionalizzante, delle modalita' di riconoscimento della qualifica professionale e della registrazione nel libretto formativo. Ne' le norme trovano giustificazione ai sensi dell'art. 118 Cost., perche' non vi e' alcuna esigenza di sussidiarieta', tanto che i profili in esame non vengono attratti allo Stato per esigenze di carattere unitario, ma solo sottratti alla potesta' regionale per essere affidati alla regolamentazione dei contratti collettivi. Pertanto le impugnate disposizioni si pongono in contrasto con il sistema delle competenze delineato dagli artt. 117 e 118 Cost. in materia di formazione professionale. 5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 57 , commi 1 e 2 per violazione degli artt. 117 e 119 Cost. L'art. 57 dispone che le funzioni ed i compiti di programmazione e di amministrazione relative ai servizi di cabotaggio marittimo di servizio pubblico che si svolgono all'interno di una regione sono esercitati dalla regione interessata. La gestione dei servizi di cabotaggio e' regolata da contratti di servizio secondo quanto previsto dagli articoli 17 e 19 del decreto legislativo n. 422 del 1997. Il secondo comma prevede poi che le risorse attualmente previste nel bilancio dello Stato per il finanziamento dei contratti di servizio pubblico di cabotaggio marittimo sono destinate alla compartecipazione dello Stato alla spesa sostenuta dalle regioni per l'erogazione di tali servizi. Con decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-regioni, e' disposta, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente, la ripartizione delle risorse. Per assicurare la congruita' e l'efficienza della spesa le regioni, per accedere al contributo, stipulano i contratti e determinano oneri di servizio pubblico e dinamiche tariffarie sulla base di criteri comuni stabiliti dal CIPE, sentita la Conferenza permanente Stato-regione. Occorre premettere che le funzioni in materia di trasporto marittimo erano state delegate alle regioni con il d.lgs. n. 422/1997. L'art. 10 prevedeva infatti la delega alle regioni delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di servizi marittimi e aerei di interesse regionale. Lo stesso articolo al comma 3 disponeva che all'attuazione della delega si provvedesse a norma dell' art. 12. L'art. 12 disponeva che all'attuazione dei conferimenti e all'attribuzione delle relative risorse si provvedesse con d.P.C.m. previo accordo di programma tra il Ministero e la regione interessata. Al contrario degli altri servizi delegati, per i servizi marittimi non e' mai stata data attuazione alla delega con l'individuazione delle risorse, cosi' che le regioni non hanno mai esercitato le funzioni in oggetto. I due commi in esame, invece, rendono il trasferimento delle funzioni immediatamente operativo, senza garantire la copertura finanziaria dei medesimi. Le disposizioni presentano profili di incostituzionalita' perche' rendono operativo il trasferimento delle funzioni in oggetto, senza garantirne la integrale copertura finanziaria, anzi prevedendo espressamente che lo Stato provvede solo a compartecipare alla spesa sostenuta dalle regioni per l'erogazione del servizio e che la ripartizione delle risorse avverra' da parte dello Stato, nei limiti di quelle disponibili. A questo proposito si evidenzia che, per quanto riguarda la specifica situazione toscana, il bilancio dello Stato per il 2008 riduce del 40% i fondi storicamente destinati ai contratti con la Soc. Tirrena e che tali fondi costituiscono solo «....compartecipazione dello Stato alla spesa sostenuta dalla regione per l'erogazione di tali servizi...». Quindi non e' prevista l'integrale copertura della spesa. La norma e' dunque lesiva della competenza regionale in materia di trasporto pubblico e dell'autonomia finanziaria delle regioni, in violazione degli artt. 117 e 119 Cost. Le competenze in materia di trasporto pubblico sono violate perche', in assenza di una integrale copertura finanziaria, non si permette alle regioni di esercitare le proprie funzioni; l'autonomia finanziaria non e' rispettata perche', in mancanza di una compiuta attuazione dell'art. 119 Cost., lo Stato non puo' chiamare le regioni ad esercitare nuove funzioni senza garantire integralmente la spesa, ma solo compartecipando alla medesima. Percio' l'articolo contestato viola il principio di «autosufficienza finanziaria» sancito dall'art. 119, terzo comma Cost. e non consente l'ordinario esercizio delle competenze proprie della regione di cui agli artt. 117 Cost. in materia di trasporto pubblico marittimo. 6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 58, secondo comma per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. Le regioni, province, comuni ed altri enti locali sono chiamati a redigere un elenco contenente i beni immobili non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione o dismissione; il piano che cosi' si forma (piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari) viene allegato al bilancio di previsione. Il secondo comma stabilisce che l'inserimento dell'immobile nel piano ne determina la classificazione tra i beni del patrimonio disponibile e ne dispone la destinazione urbanistica; la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, riferita a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformita' agli eventuali atti di pianificazione sovraordinati di competenza delle province e regione. La verifica occorre e va effettuata entro il termine perentorio di trenta giorni dalla richiesta, nel caso di variante relativa a terreni classificati agricoli dallo strumento urbanistico generale o nei casi in cui comportino variazioni volumetriche superiore al 10% dei volumi previsti dal medesimo S.U. vigente. La disposizione contenuta nel secondo comma e' lesiva delle competenze regionali in materia di governo del territorio perche' consente che la variante, automaticamente apportata con l'approvazione del piano delle alienazioni da parte del consiglio comunale non necessita di verifiche di conformita' rispetto agli atti della pianificazione provinciale e regionale. In tal modo viene incisa la legislazione regionale in materia di governo del territorio, la quale disciplina il procedimento di adozione ed approvazione degli atti di pianificazione territoriale e che stabilisce la necessaria conformita' urbanistica degli atti - piani e varianti - comunali rispetto alle previsioni degli atti di programmazione e pianificazione provinciali e regionali, con conseguente violazione dell'art. 117 Cost. Ne' sussistono esigenze di carattere unitario che legittimino, ai sensi dell'art. 118 Cost., la norma la quale, comunque, sarebbe incostituzionale per la mancata previsione di una intesa con la Regione interessata dalla modifica urbanistica prevista nel piano. 7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 61, ottavo comma per violazione dell'art. 117 Cost. L'ottavo comma dell'art. 61 incide sulla percentuale del 2% prevista dal codice contratti pubblici. Tale d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, all'art. 92, nel disciplinare i corrispettivi e gli incentivi per la progettazione, ha stabilito che: «Una somma non superiore al due per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell'amministrazione, a valere direttamente sugli stanziamenti di cui all'art. 93, comma 7, e' ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalita' e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata e assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonche' tra i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel limite massimo del due per cento, e' stabilita dal regolamento in rapporto all'entita' e alla complessita' dell'opera da realizzare. La ripartizione tiene conto delle responsabilita' professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere. Le quote parti della predetta somma corrispondenti a prestazioni che non sono svolte dai predetti dipendenti, in quanto affidate a personale esterno all'organico dell'amministrazione medesima, costituiscono economie. I soggetti di cui all'art. 32, comma 1, lettere b) e c), possono adottare con proprio provvedimento analoghi criteri». Ebbene, di tale percentuale del 2%, lo 0,5 resta destinato alle finalita' suddette, mentre il restante 1,5% e' versato ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato. Il successivo comma 17 dell'art. 61 individua l'ambito di operativita' soggettiva della misura suddetta, prevedendo: «Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa e le maggiori entrate di cui al presente articolo, con esclusione di quelle di cui ai commi 14 e 16, sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotate di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato»; il medesimo comma 17 precisa poi che «La disposizione di cui al primo periodo non si applica agli enti territoriali e agli altri enti, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale». Il comma ottavo, sulla base dell'espressa previsione del successivo comma 17, va dunque interpretato nel senso che esso non e' applicabile nei confronti degli enti territoriali, degli enti regionali e del servizio sanitario e dunque e' rispettata l'autonomia organizzativa delle regioni nonche' la loro potesta' legislativa in materia di organizzazione. Tuttavia e' possibile anche un'interpretazione piu' restrittiva della disposizione. Dal tenore del comma 15 dell'art. 61 in esame, infatti, sembra che solo le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 5 e 6 non si applichino in via diretta agli enti territoriali, con la conseguente applicabilita' diretta delle altre disposizioni, tra cui il comma 8, disciplinante la riduzione dell'incentivo alla progettazione. Percio' il successivo comma 17 potrebbe essere interpretato in modo restrittivo nel senso di considerare applicabile agli enti territoriali la riduzione dal 2 allo 0,5% della percentuale prevista dall'art. 92, comma 5, del d.lgs. n. 163/2006, con la sola esenzione, per gli stessi enti, dall'obbligo di versare le maggiori entrate derivanti da tale misura ad apposito capitolo del bilancio dello Stato. Se tale interpretazione restrittiva dovesse essere quella corretta, essa sarebbe incostituzionale per violazione dell'autonomia organizzativa regionale. Infatti l'imposta riduzione dell'incentivo inciderebbe negativamente sulla progettazione interna delle stazioni appaltanti, costituendo un forte disincentivo per i tecnici degli enti territoriali che non svolgerebbero piu' attivita' tecniche impegnative, di fatto non remunerate. Questo farebbe aumentare gli oneri della progettazione che, a quel punto, dovrebbe necessariamente essere affidata all'esterno, con inevitabili maggiori costi per le amministrazioni. Invece, in questi anni, l'incentivo del 2% ha costituito un'ottima leva per la regione ricorrente per incentivare l'utilizzo delle professionalita' interne, con risparmi notevoli sia per la progettazione che per lo sviluppo del personale, perche' l'incentivo del 2% e' stato concesso quale premio di produttivita' e dunque l'amministrazione ne ha tratto vantaggi anche perche' ha risparmiato risorse sul relativo fondo di produttivita'. L'imposta riduzione scardinerebbe il sistema comportando un aumento delle spese, perche' la progettazione esterna ha un costo superiore. E' dunque evidente la lesione della competenza esclusiva regionale in materia di organizzazione, ove la disposizione impugnata debba essere interpretata nel senso che la riduzione prevista dal comma ottavo si applichi anche alle regioni, agli enti territoriali, agli enti di competenza regionale e del servizio sanitario nazionale. 8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 64, quarto comma per violazione dell' articolo 117 Cost. L'articolo 64 detta disposizioni in materia di organizzazione scolastica. In tale contesto il quarto comma prevede che, per attuare il piano di cui al comma precedente (piano programmatico di interventi volti ad una maggiore razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane, per l'efficienza del sistema scolastico), con uno o piu' regolamenti ministeriali, adottati sentita la conferenza unificata, idonei anche a modificare norme di legge., si provvede ad una revisione dell'attuale assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico, nel rispetto di determinati criteri e cioe': a) razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso per la flessibilita' nell'impiego dei docenti; b) ridefinizione di curricula vigenti nei diversi ordini di scuola; c) revisione dei criteri di formazione delle classi; d) rimodulazione della organizzazione didattica della scuola primaria; e) revisione dei criteri per determinare la consistenza complessiva degli organici del personale docente ed Ata; f) ridefinizione dell'assetto organizzativo - didattico dei centri di istruzione per adulti; f-bis) definizione dei criteri, tempi e modalita' per la determinazione e l'articolazione dell'azione di ridimensionamento della rete scolastica prevedendo, nell'ambito delle risorse disponibili, l'attivazione di servizi qualificati per la migliore fruizione dell'offerta formativa; f-ter) nel caso di chiusura o accorpamento di istituiti scolastici aventi sede nei piccoli comuni, lo Stato, le regioni e gli enti locali possono prevedere misure per ridurre il disagio degli utenti. Quindi il regolamento ministeriale viene a disciplinare anche profili organizzativi del sistema scolastico, in cui sussiste la competenza concorrente regionale e dove, pertanto spetta alle regioni dettare la relativa normativa nel rispetto dei principi posti dalla legge dello Stato. Invece l'emanando regolamento dettera' anche criteri, tempi e modalita' per la determinazione e l'articolazione dell'azione di ridimensionamento della rete scolastica, potendo a tal fine modificare anche le leggi, comprese quelle regionali legittimamente emanate per la disciplina di questi profili. Questo non e' conforme con l'assetto costituzionale delle competenze. Infatti la Corte costituzionale ha ricondotto alla competenza regionale concorrente in materia di istruzione: la programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale (conferita alle regioni gia' con l'art. 138, comma 1, lettera a), la programmazione della rete scolastica (conferita gia' con l'art. 138, comma 1, lettera b) e gestione amministrativa del relativo servizio (sentenza n. 34/2005 che richiama la precedente e conforme sentenza n. 13 del 2004). L'azione di ridimensionamento della rete scolastica, la distribuzione del personale, come pure l'incremento, nell'ambito dell'organico del personale docente statale, dei posti attivati per le attivita' di tempo pieno e di tempo prolungato, attengono ad aspetti di organizzazione scolastica che evidentemente intersecano le suddette riconosciute competenze regionali. Vertendosi in materia di istruzione, lo Stato puo' dettare norme di principio che poi le regioni dovranno sviluppare. Invece nel caso in esame si dettano principi che l'emanando regolamento statale dovra' attuare e cosi' si elimina lo spazio per la legislazione regionale in violazione dell'art. 117 Cost. L'impugnata disposizione viola altresi' l'art. 117, sesto comma Cost. perche' demanda ad un regolamento il compito di disciplinare anche ambiti di competenza delle regioni: il regolamento statale infatti e' ammesso solo in materie di competenza esclusiva statale e quindi il regolamento non puo' essere fonte idonea a stabilire i principi vincolanti per il legislatore regionale in una materia soggetta a potesta' legislativa concorrente. 9) Illegittimita' costituzionale dell'art. 67, commi 9 e 10, per violazione degli artt. 117 e 119 Cost. La disposizione interviene sulla disciplina dell'iter della contrattazione collettiva. In tale contesto il comma ottavo prevede che entro il 31 maggio di ogni anno tutte le amministrazioni pubbliche sono tenute a trasmettere alla Corte dei conti specifiche informazioni sulla contrattazione integrativa, certificate dagli organi di controllo interno: tale previsione e' finalizzata a quegli scambi informativi legittimi perche' volti a garantire la collaborazione tra le amministrazioni. Pero' il comma 9, legandosi al precedente ottavo, prevede che, per i fini della suddetta trasmissione, il Ministero dell'economia, d'intesa anche con la Corte dei conti stabilisce quali informazioni di interesse della Corte dei conti stessa debbano essere inviate volte ad accertare (oltre al rispetto dei vincoli finanziari) anche la concreta definizione ed applicazione di criteri improntati alla premialita', al riconoscimento del merito e alla valorizzazione dell'impegno e della qualita' della prestazione individuale, nonche' a parametri di selettivita' con particolare riferimento alle progressioni economiche. Il comma 10 dispone che la Corte dei conti utilizzi tali informazioni ai fini del referto sul costo del lavoro e, in caso di esorbitanza delle spese dai limiti imposti dai vincoli di finanza pubblica e dagli indirizzi generali assunti in sede di contrattazione collettiva nazionale, propone interventi correttivi a livello di comparto o di singolo ente; fatte salve le ipotesi di responsabilita', in caso di superamento dei vincoli, le clausole contrattuali sono sospese ed e' fatto obbligo di recupero nell'ambito della sessione negoziale successiva. La documentazione trasmessa alla Corte dei conti deve essere resa pubblica con pubblicazione sul sito web (comma 11). In caso di mancato adempimento delle suddette disposizioni e' fatto divieto alle Amministrazioni inadempienti di procedere a ogni adeguamento delle risorse destinate alla contrattazione integrativa (comma 12). Come si puo' constatare alla Corte dei conti e' attribuito un rilevante potere che va oltre il compito - non contestato - del controllo circa il rispetto dei vincoli di spesa. Infatti il comma 9 chiama la Corte dei conti a verificare che le previsioni del contratto integrativo rispondano a criteri di premialita', di riconoscimento della qualita' della prestazione, del merito, della qualita' della prestazione individuale: quindi si introduce una forma di verifica e controllo che si estende al merito delle scelte e che, si ripete, e' ben diversa della verifica della compatibilita' dei costi con i vincoli di bilancio. Poiche' i commi 9 e 10 si applicano anche alle regioni, essi appaiono lesivi delle competenze regionali. Infatti la giurisprudenza costituzionale ha rilevato che il legislatore e' libero di assegnare alla Corte dei conti qualsiasi forma di controllo, purche' questo abbia un suo fondamento costituzionale (sent. n. 29/2005; n. 267/2006). Nel caso in esame invece le norme attribuiscono alla Corte dei conti un controllo di merito non previsto in Costituzione, volto a sindacare scelte dell'amministrazione sull'adeguatezza delle misure definite con la contrattazione integrativa. Inoltre la Corte costituzionale, nel rilevare la legittimita' del controllo sulla gestione, ha sottolineato che i poteri istruttori strumentali a tale controllo sono legittimi, perche' «essi sono sprovvisti di qualsivoglia sanzione, per il semplice fatto che, come si e' in precedenza ricordato, il controllo successivo sulla gestione consiste in un'attivita' essenzialmente collaborativa, dalla quale non puo' derivare alcuna sanzione nel senso proprio del termine». (sent. n. 29/1995), Nel caso in esame i suddetti principi non sono rispettati, perche' il controllo introdotto incide su scelte organizzative e di merito della regione e non ha una finalita' solo collaborativa, perche' il comma 10 fa discendere dalla verifica della Corte dei conti il potere di quest'ultima di proporre interventi correttivi anche a livello di singolo ente, in caso di esorbitanza delle spese dai limiti imposti dai vincoli finanziari e dagli indirizzi della contrattazione e, in caso di superamento di tali vincoli, le stesse clausole sono sospese, in violazione dell'autonomia organizzativa e finanziaria regionale. Da qui discendono i vizi denunciati.
P. Q. M. Si confida che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 14; dell'art. 11; dell'art. 13, commi 1, 2 e 3-bis; dell'art. 23, commi 1 e 2; dell'art. 57, commi 1 e 2; dell'art. 58, comma 2; dell'art. 61, comma 8; dell'art. 64, comma 4; dell'art. 67, commi 9 e 10 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria» per i motivi indicati nel presente ricorso. Firenze - Roma, addi' 16 ottobre 2008 Avv. Lucia Bora