Ricorso n. 75 dell'11 lugio 2013 (Presidente del Consiglio dei Ministri)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria l'11 luglio 2013 (del Presidente del Consiglio dei
ministri).
(GU n. 37 del 11.9.2013)
Ricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri (codice
fiscale …), in persona del Presidente del Consiglio p.t.,
con il patrocinio dell'Avvocatura Generale dello Stato (codice
fiscale …) - fax: … - PEC:
… - presso cui domicilia ex lege in
Roma, via dei Portoghesi n. 12 per l'annullamento in parte qua, della
legge della regione Campania n. 5 del 6 maggio 2013 pubblicata sul
BUR n. 24 del 7 maggio 2013.
La legge regionale epigrafata recante disposizioni per la
formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della
regione Campania (legge finanziaria regionale 2013) all'art. 1, comma
127, lettere b) e c), nell'integrare la legge regionale n. 1/2012
cosi' dispone:
«b) al comma 2, dopo le parole: "e' tenuto al pagamento di un
indennizzo" sono inserite le seguenti: "alla regione Campania";
c) alla fine del comma 2 sono aggiunte le seguenti parole: "Il 50
per cento degli importi riscossi dai comuni sul demanio marittimo di
propria competenza e' assegnato ai medesimi comuni territorialmente
competenti e da essi direttamente trattenuto.".».
Il nuovo testo del comma 2 dell'art. 12 della legge regionale n.
1/2012 integrato con le modifiche sopra descritte, introdotte dalla
legge in esame, cosi' statuisce:
«2. Nel caso di utilizzazioni senza titolo di beni demaniali
marittimi, di zone del mare territoriale e delle pertinenze del
demanio marittimo che comportano mera occupazione di beni demaniali
marittimi e relative pertinenze, o la realizzazione di opere di
facile rimozione, l'occupante abusivo e' tenuto al pagamento di un
indennizzo alla regione Campania pari al tributo regionale dovuto, se
in possesso di legittimo provvedimento abilitativo, aumentato del 200
per cento. Nel caso di utilizzazioni difformi dal provvedimento
abilitativo, l'indennizzo e' pari al tributo regionale aumentato del
100 per cento. Nel caso di utilizzazioni senza titolo o difformi dal
titolo, che comportano la realizzazione di opere inamovibili non
legittimate, l'indennizzo da pagare e' pari al valore di mercato del
manufatto, aumentato nella misura indicate dai periodi 1 e 2. Rimane
ferma l'applicazione delle misure sanzionatorie vigenti, ivi compreso
il pagamento dell'indennizzo da corrispondere allo Stato al sensi
dell'art. 8 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con
modificazioni, in legge 4 dicembre 1993, n. 494 (Disposizioni per la
determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali
marittime), nonche' il ripristino dello stato dei luoghi. Il 50 per
cento degli importi riscossi dai comuni sul demanio marittimo di
propria competenza e' assegnato ai medesimi comuni territorialmente
competenti e da essi direttamente trattenuto».
Orbene, la suddetta disposizione regionale, che destina alla
regione un indennizzo per i casi di utilizzazione dei beni demaniali
marittimi in modo difforme dal titolo abilitativo ovvero senza
titolo, introduce un indennizzo da parte dell'occupante abusivo a
favore della regione che costituisce una duplicazione dell'indennizzo
dovuto allo Stato ai sensi dell'art. 8 della legge n. 400/1993. Tale
previsione regionale si pone pertanto in contrasto con il menzionato
art. 8 della legge n. 400/1993, nonche' con l'art. 1, comma 257,
della legge n. 296/2006, e con le disposizioni del codice della
navigazione (articoli 32 e seguenti) che riservano allo Stato la
potesta' di imposizione e riscossione degli indennizzi in quanto
inerenti alle funzioni dominicali spettanti allo Stato in base
all'art. 822 del codice civile. Anche la Corte costituzionale (con le
sentenze n. 343 del 1995 e n. 150 del 2003) ha chiarito che la
spettanza degli introiti delle occupazioni del demanio marittimo e'
attribuita unicamente allo Stato, nella sua qualita' di proprietario
dei beni.
Si segnala inoltre che la circostanza che la previgente
formulazione dell'art. 12, comma 2, contenente gia' la previsione di
un indennizzo, non sia stata impugnata da parte del Presidente del
Consiglio dei ministri, non ha alcun rilievo poiche' la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 139/2013, ha affermato che
«l'istituto dell'acquiescenza non e' applicabile nel giudizio di
legittimita' costituzionale in via principale». La disposizione
regionale in esame viola pertanto la competenza esclusiva dello Stato
in materia di ordinamento civile e di sistema tributario di cui
all'art. 117, secondo comma, lettere l) ed e), della Costituzione,
nonche' l'art. 119, secondo comma, della Costituzione, secondo il
quale le regioni debbono stabilire e applicare entrate proprie in
armonia con la Costituzione e i principi di coordinamento della
finanza pubblica.
L'art. 1, comma 140, stabilisce che «Se sono state accertate le
violazioni di cui ai commi 138 e 139, l'autorita' competente in
materia di VIA, come individuate della normative regionale, puo'
disporre la sospensione dei lavori e, valutata l'entita' del
pregiudizio ambientale arrecato e quello eventualmente conseguente
all'applicazione delle relative sanzioni, puo' disporre a cura e
spese del proponente, definendone i termini e le modalita':
a) nel caso previsto dal comma 138, la demolizione e ripristino
dello stato del luoghi e della situazione ambientale;
b) nel caso previsto dal comma 139, l'adeguamento dell'opera o
dell'intervento alle prescrizioni impartite».
I commi 138 e 139 sopracitati prevedono, altresi', che:
«138. Chiunque realizza un'opera o un intervento cui si applicano
le disposizioni del titolo III del decreto legislativo n. 152/2006,
in assenza della verifica di assoggettabilita' di cui all'art. 20 del
medesimo decreto oppure del provvedimento di valutazione di impatto
ambientale, e' soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di
una somma di denaro compresa, in ragione della gravita della
violazione, tra un minimo dell'1 per cento e un massimo del 20 per
cento del costo di realizzazione del progetto.
139. Chiunque, nella realizzazione di un'opera o di un
intervento, viola le prescrizioni impartite in sede di verifica di
assoggettabilita' di cui all'art. 20 del decreto legislativo n.
152/2006 oppure del provvedimento di via, nonche' le prescrizioni
impartite dalle misure correttive in fase di monitoraggio, e'
soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di
denaro compresa, in ragione della gravita' della violazione, tra un
minimo dell'1 per cento e un massimo del 20 per cento del costo di
realizzazione del progetto».
La normative regionale in questione nel disporre che la
sospensione dei lavori sia rimessa ad una scelta discrezionale
dell'autorita' competente, sia nel caso in cui si realizza un'opera o
un intervento in assenza della verifica di assoggettabilita' oppure
del provvedimento di valutazione di impatto ambientale, sia nel caso
in cui si realizza un'opera o un intervento che viola le prescrizioni
impartite in sede di verifica di assoggettabilita' oppure del
provvedimento di VIA, nonche' le prescrizioni impartite dalle misure
correttive in fase di monitoraggio, si pone in contrasto con la
normativa statale in materia di VIA disciplinata dal decreto
legislativo n. 152/2006.
Infatti l'art. 29 di detto decreto legislativo, ai commi 3 e 4,
cosi' dispone:
«3. Qualora si accertino violazioni delle prescrizioni impartite
o modifiche progettuali tali da incidere sugli esiti e suite
risultanze finali delle fasi di verifica di assoggettabilita' e di
valutazione, l'autorita' competente, previa eventuale sospensione dei
lavori, impone al proponente l'adeguamento dell'opera o intervento,
stabilendone i termini e le modalita', (...).
4. Nel caso di opere ed interventi realizzati senza la previa
sottoposizione alle fasi di verifica di assoggettabilita' o di
valutazione in violazione delle disposizioni di cui al presente
Titolo III, nonche' nel caso di difformita' sostanziali da quanto
disposto dai provvedimenti finali, l'autorita' competente, valutata
l'entita' del pregiudizio ambientale arrecato e quello conseguente
alla applicazione della sanzione, dispone la sospensione dei lavori e
puo' disporre la demolizione ed ripristino dello stato dei luoghi e
della situazione ambientale a cura e spese del responsabile,
definendone i termini e le modalita'. (...)».
Il legislatore nazionale, pertanto, ha rimesso all'autorita'
competente la possibilita' e non l'obbligo di sospendere i lavori
solo nel caso in cui le opere e gli interventi siano gia' stati
sottoposti alle fasi di verifica di assoggettabilita' e di
valutazione di impatto ambientale ma si accertino violazioni delle
prescrizioni impartite o modifiche sugli esiti e sulle risultante
finali delle suddette fasi.
Al contrario, nel caso di realizzazione di opere ed interventi
realizzati senza previa sottoposizione alle fasi di verifica di
assoggettabilita' o di valutazione, l'autorita' competente, valutata
l'entita' del pregiudizio ambientale arrecato e quello conseguente
alla applicazione della sanzione, ha l'obbligo di disporre la
sospensione dei lavori, eventualmente prevedendo la demolizione ed il
ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale.
Alla luce delle suddette considerazioni, la legge regionale in
esame, dettando disposizioni difformi dalla normativa statale di
riferimento viola il principio costituzionale di cui all'art. 117,
comma 2, lettera s), che riserva alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato la materia della «tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema».
L'art. 1, comma 183, concernente la revisione dei prezzi
contrattuali per l'acquisto di beni e servizi, prevede l'adeguamento
dei prezzi ai parametri di prezzo-qualita' delle convenzioni Consip,
ove migliorativi, soltanto a partire dal primo rinnovo contrattuale
successivo alla data di entrata in vigore della legge regionale.
Al riguardo, si rileva che la disposizione in rassegna, nel
differire alla data di scadenza dei contratti in essere il predetto
adeguamento, non appare in linea con le prescrizioni di riduzione
della spesa per l'acquisto di' beni e servizi e trasparenza delle
procedure introdotte dall'art. 1 del decreto-legge 6 luglio 2012, n.
95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135,
costituenti principi fondamentali di coordinamento della finanza
pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Infatti, per ottenere le predette riduzioni di spesa in tempi
brevi, il comma 13 del richiamato art. i introduce, con effetti di
automatica inserzione nei contratti in essere, il diritto di recesso
della pubblica amministrazione contraente, da esercitarsi prima della
scadenza contrattuale nel caso in cui i parametri delle convenzioni
stipulate da Consip successivamente alla sottoscrizione del contratto
siano migliorativi e l'appaltatore non acconsenta ad una modifica
delle condizioni economiche tale da adeguare l'onere contrattuale ai
citati parametri.
Inoltre sono illegittime ulteriori disposizioni in materia
sanitaria.
Si premette che la regione Campania ha stipulato in data 13 marzo
2007, ai sensi di quanto previsto dall'art. 1, comma 180, della legge
n. 311/2004, l'Accordo sul Piano di rientro dai disavanzi sanitari
2007-2009.
Successivamente, a luglio 2009, essendo stato disatteso l'Accordo
stipulato dalla regione, il Governo ha esercitato i poteri
sostitutivi previsti dall'art. 4, comma 2 del decreto-legge 10
ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29
novembre 2007, n. 222, procedendo alla nomina del presidente della
regione quale commissario ad acta per la realizzazione del piano di
rientro.
Con la legge finanziaria 2010 e' stata, poi, concessa alle
regioni che si trovavano in gestione commissariale, come la regione
Campania, la possibilita' a proseguire il Piano di rientro attraverso
programmi operativi, precisandosi ai commi 80 e 95 dell'art. 2 della
legge n. 191/2009, che «gli interventi individuati dal Piano sono
vincolanti per la regione, che e' obbligata a rimuovere i
provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che
siano di ostacolo alla piena attuazione del richiamato Piano di
rientro». Con l'approvazione del citato Accordo, la regione si e'
impegnata all'attuazione del suddetto Piano di rientro ed al rispetto
della legislazione vigente con particolare riferimento a quanto
disposto dall'art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre
2006, n. 296. In attuazione delle previsioni della legge finanziaria
il commissario ad acta per la regione Campania ha adottato il decreto
n. 41 del 14 luglio 2010 avente ad oggetto «Approvazione del nuovo
Programma operativo per l'anno 2010».
Successivamente, con decreto n. 22 del 22 marzo 2011, in
attuazione del punto t) del mandato commissariale, conferito con
delibera del Consiglio dei Ministri del 24 aprile 2010, ha approvato
il Piano sanitario regionale 2011-2013 in coerenza con il decreto n.
49 del 29 settembre 2010, adottato in attuazione del punto c) del
mandato commissariale. Il Tavolo per la verifica degli adempimenti ed
il Comitato LEA nella riunione del 26 ottobre 2010 hanno prospettato
un forte disavanzo non coperto per l'anno 2010 a causa della non
completa attuazione del Programma operativo 2010 ed hanno invitato il
commissario ad approvare entro l'anno il Programma operativo
2011-2012. Il commissario ha trasmesso il 6 aprile 2011 il Programma
operativo 2011-2012. Nelle more, il risultato di gestione per l'anno
2010 ha registrato, nella riunione dei Tavoli tecnici del 14 aprile
2011, un disavanzo non coperto di 248,888 mil. di euro. Questo
disavanzo ha determinato, per la regione Campania, l'applicazione
degli automatismi fiscali previsti dall'art. 1, comma 174, della
legge n. 311 del 2004, vale a dire «l'ulteriore incremento delle
aliquote fiscali di IRAP e addizionale regionale all'IRPEF per l'anno
d'imposta in corso, rispettivamente nelle misure di 0,15 e 0,30
punti, l'applicazione del blocco automatico del turn over del
personale del servizio sanitario regionale fino al 31 dicembre del
secondo anno successivo a quello in corso e l'applicazione del
divieto di effettuare spese non obbligatorie per il medesimo
periodo».
La suddetta norma statale stabilisce, inoltre, che gli atti
emanati e i contratti stipulati in violazione dei predetti vincoli
sono nulli. Dispone altresi' che in sede di verifica annuale degli
adempimenti la regione certifichi il rispetto dei vincoli medesimi.
La Corte costituzionale ha gia' avuto modo di pronunciarsi in
materia di piani di rientro dal disavanzo sanitario e di gestione
commissariale degli stessi. In particolare, con la sentenza n.
100/2010 nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge
della regione Campania 28 novembre 2008, n. 16, recante «Misure
straordinarie di razionalizzazione e riqualificazione del sistema
sanitario regionale per il rientro dal disavanzo», ha affermato che
una norma statale (vedasi l'allora vigente art. 1, comma 796, lettera
b) della legge n. 296 del 2006) ha reso vincolanti, per le regioni
che li abbiano sottoscritti, gli interventi individuati negli atti di
programmazione «necessari per il perseguimento dell'equilibrio
economico, oggetto degli accordi di cui all'art. 1, comma 180, della
legge 30 dicembre 2004, n. 311, ivi compreso l'Accordo intercorso tra
lo Stato e la regione Campania». La Corte ha affermato, inoltre, che
la suddetta norma statale che assegna a tale Accordo carattere
vincolante, per le parti tra le quali e' intervenuto, puo' essere
qualificata come espressione di un principio fondamentale diretto al
contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di
un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica.
La Corte costituzionale inoltre, con la sentenza n. 78/2011, ha
avuto modo di «rammentare - come gia' sottolineato in passato con la
sentenza n. 193 del 2007 - che l'operato del commissario ad acta,
incaricato dell'attuazione del piano di rientro dal disavanzo
sanitario previamente concordato tra lo Stato e la regione
interessata, sopraggiunge all'esito di una persistente inerzia degli
organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti - malgrado il
carattere vincolante dell'accordo concluso dal presidente della
regione - ad un'attivita' che pure e' imposta dalle esigenze della
finanza pubblica (art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27
dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2007)».
E', dunque, proprio tale dato - in uno con la constatazione che
l'esercizio del potere sostitutivo e', nella specie, imposto dalla
necessita' di assicurare la tutela dell'unita' economica della
Repubblica, oltre che dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti un diritto fondamentale qual'e' quello alla salute (art.
32 Cost.) - a legittimare la conclusione secondo la quale le funzioni
amministrative del commissario ad acta, ovviamente fino
all'esaurimento dei suoi compiti di attuazione del piano di rientro,
devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli organi
regionali.
Cio' premesso, la legge in esame, dal punto di vista sanitario,
presenta i seguenti profili di illegittimita' costituzionale:
L'art. 1, comma 36, lettera c): sostituisce il comma 237-decies
del predetto art. 1 della legge regionale n. 4/2011, prevedendo
quanto segue: «Alle strutture sanitarie e socio-sanitarie private che
hanno presentato domanda di accreditamento istituzionale definitivo
ai sensi del comma 237-quinquies e hanno dichiarato di essere in
possesso dei requisiti di cui al comma 237-sexies, al fine di
assicurare i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal
piano sanitario nazionale e il rispetto dei principi fondamentali in
materia di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie di cui al Titolo
II del decreto legislativo n. 502/1992, si applica, in via
transitoria, il regime vigente alla data del 31 dicembre 2010, fino
all'adozione ai sensi del comma 237-duodecies dei decreti
commissariali di rilascio o di rigetto dell'accreditamento
istituzionale definitivo».
Tale disposizione si pone in netto contrasto con la normativa
statale in materia di accreditamento. Occorre infatti rilevare che
essa, prorogando, di fatto, il regime dell'accreditamento
provvisorio, procrastina - peraltro in maniera indefinita - i termini
per la conclusione del processo di accreditamento definitivo,
previsti dall'art. 1, comma 796, lettera t) della legge n. 296/2006,
secondo cui «le regioni provvedono ad adottare provvedimenti
finalizzati a garantire che dal 10 gennaio 2011 cessino gli
accreditamenti provvisori delle strutture private ospedaliere e
ambulatoriali, di cui all'art. 8-quater, comma 7, del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, non confermati dagli
accreditamenti definitivi di cui all'art. 8-quater, comma 1, del
medesimo decreto legislativo n. 502 del 1992; le regioni provvedono
ad adottare provvedimenti finalizzati a garantire che dal 10 gennaio
2013 cessino gli accreditamenti provvisori di tutte le altre
strutture sanitarie e socio-sanitarie private, nonche' degli
stabilimenti termali come individuati dalla legge 24 ottobre 2000, n.
323, non confermati dagli accreditamenti definitivi di cui all'art.
8-quater, comma 1, del decreto legislativo n. 502 del 1992».
A tal riguardo, si osserva che la Corte costituzionale, ha
chiarito che tali termini, definiti dalla legislazione statale per il
passaggio dall'accreditamento provvisorio all'accreditamento
definitivo, sono «espressione di un principio fondamentale che le
regioni sono tenute a rispettare» (sent. n. 292/2012), peraltro, la
norma regionale in questione, non chiarendo le modalita' con cui il
titolo di accreditamento verra' poi concesso alle strutture, ne'
definendo il termine ultimo entro il quale dovranno essere emanati i
decreti commissariali di rilascio o di rigetto dell'accreditamento
istituzionale definitivo, vanifica le finalita' di tutela della
salute dei cittadini, che sono insite nella disciplina
dell'accreditamento, cosi' come previsto dalla normativa statale.
Essa prevede infatti, che l'accreditamento definitivo possa essere
rilasciato dalla regione alle strutture che siano gia' state
precedentemente autorizzate, solo «subordinatamente alla loro
rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro
funzionalita' rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e
alla verifica positiva dell'attivita' svolta e dei risultati
raggiunti» (art. 8-quater, comma 1, del decreto legislativo n.
502/1992).
Come efficacemente ricostruito dalla Corte costituzionale, con la
sentenza n. 292/2012, il legislatore statale ha previsto «un
passaggio graduale dal sistema precedente (convenzionale, basato sul
pagamento dei fattori produttivi) a quello nuovo (basato sul
pagamento delle prestazioni, previo accreditamento delle strutture).
Si e' cosi' previsto un «accreditamento temporaneo» (art. 6, comma 6,
della legge 23 dicembre 1994, n. 724, recante «Misure di
razionalizzazione della finanza pubblica) per le strutture
precedentemente convenzionate che avessero accettato il sistema di
pagamento a prestazione, nonche' un "accreditamento provvisorio" per
le strutture nuove, o per attivita' nuove in strutture accreditate
per altre attivita', in attesa della verifica del volume e della
quantita' delle prestazioni (art. 8-quater, comma 7, del decreto
legislativo n. 502 del 1992)».
Il giudice delle leggi ha quindi rilevato che «conseguenza della
discipline transitoria di cui sopra [...] e' il fatto che, in attesa
che si perfezioni il procedimento di verifica, potrebbero operare,
addirittura in regime di accreditamento (temporaneo o provvisorio),
strutture che poi si vedano negare, per mancanza dei requisiti,
l'accreditamento definitivo o l'autorizzazione all'esercizio di
ulteriori attivita' sanitarie; cio' sia in ragione di difetti
strutturali, sia in conseguenza di eventuali violazioni del tetti di
spesa.
Per questo, il legislatore statale ha previsto che le regioni
avviino una procedure di accreditamento (definitivo o istituzionale)
anche per le strutture temporaneamente accreditate [oltre che per
quelle provvisoriamente accreditate] (art. 8-quater, comma 6, del
decreto legislativo n. 502 del 1992), da concludersi inderogabilmente
entro un termine finale stabilito della legge».
Tutta la discipline dell'accreditamento e' infatti strumentale a
far si che possano operare «per conto» del Servizio sanitario
nazionale solo quelle strutture che, in ragione del possesso di
determinati requisiti, garantiscano, a tutela della salute del
cittadini, un'assistenza di qualita', in condizioni di sicurezza e in
coerenza con gli indirizzi di programmazione.
La norma regionale in questione, invece, procrastinando
ulteriormente il regime dell'accreditamento provvisorio, non rispetta
i limiti temporali previsti della legislazione statale per la
conclusione del processo di accreditamento definitive, cosi' violando
l'art. 117, comma 3 della Costituzione per contrasto con i principi
fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della
salute.
L'art. 1, comma 36, lettera e), sostituisce il precedente art. 1,
comma 237-duodecies della legge regionale n. 4/2011, disciplinando le
azioni di verifica circa il possesso dei requisiti per
l'accreditamento definitivo, da parte delle strutture interessate.
Tale norma presenta diversi profili di illegittimita'.
In primo luogo, essa dispone che le procedure di verifica cosi'
disciplinate debbano effettuarsi entro «centoquaranta giorni della
adozione del decreto commissariale previsto dal comma 237-undecies»
dell'art. 1, della predetta legge regionale n. 4/2011. Quest'ultimo
comma, che e' stato a sua volta modificato dall'art. 1, comma 36,
lettera d) della legge regionale in esame, dispone ora che «Con
decreto del commissario ad acta per la prosecuzione del Piano di
rientro del settore sanitario, che e' adottato entro dieci giorni
dalla data di entrata in vigore della presente legge, si provvede
alla ricognizione delle istanze regolarmente presentate al sensi del
comma 237-quinquies».
Appare chiaro che il legislatore regionale, nel dettare una nuova
procedura per la verifica dei requisiti (attraverso la modifica del
comma 237-duodeciesm), abbia voluto riaprire i termini per la
conclusione della stessa (prevedendo, infatti, che la stessa debba
concludersi entro centoquaranta giorni dall'adozione del decreto
commissariale di cui al comma 237-undecies, il quale prevede, a sua
volta, che quest'ultimo debba essere adottato entro dieci giorni
dalla «data di entrata in vigore della presente legge (da intendersi
«disposizione»). Stando cosi' le cose, non si puo' non rilevare,
anche in questo caso, la violazione dei termini previsti dalla
legislazione statale per la conclusione del processo di
accreditamento definitivo (di cui al predetto art. 1, comma 796,
lettera t) della legge n. 296/2006).
Gia' solo per questo, quindi, si deve rilevare la violazione
dell'art. 117, comma 3 della Costituzione, per contrasto con i
principi fondamentali in materia di «tutela della salute». In secondo
luogo, la disposizione in esame presenta ulteriori profili di
illegittimita', in quanto essa si limita a prevedere che, all'esito
negativo delle verifiche, il commissario ad acta rigetta, con proprio
decreto, la domanda di accreditamento definitivo, senza alcun
riferimento alla sospensione o alla revoca dell'accreditamento
provvisorio, come invece previsto dal combinato disposto dell'art.
8-quater, comma 7 del decreto legislativo n. 502/1992 e dal predetto
art. 1, comma 796, lettera 7) della legge n. 296/2006.
Infine si osserva che le azioni di verifica previste dalla
disposizione regionale in esame non appaiono adeguate poiche'
limitate alla valutazione dei soli atti documentali, mentre i
requisiti autorizzativi e di accreditamento devono essere verificati
anche mediante accessi diretti in loco come si desume dai criteri cui
la regione deve conformarsi, ex art. 8-quater, comma 4, decreto
legislativo n. 502/1992, nel definire il procedimento per la verifica
dei requisiti.
Sempre nel merito della disciplina cosi' dettata dal legislatore
regionale, occorre rilevare un ulteriore profilo di illegittimita'
dell'art. 1, comma 36, lettera e), nella parte in cui prevede che
«nel caso di mancato rispetto del termine di centoquaranta giorni per
la verifica del possesso dei requisiti ulteriori previsti dalla
normativa vigente e richiesti per l'accreditamento istituzionale, i
direttori generali delle aziende sanitarie della regione Campania
decadono». Tale norma contrasta con l'art. 3-bis, comma 7 del decreto
legislativo n. 502/1992 e successive modificazioni, che individua
specifiche cause di decadenza del direttore generale, quali: gravi
motivi, la situazione di grave disavanzo, la violazione dileggi e del
principio di buon andamento e di imparzialita' dell'amministrazione.
In tal caso, ai sensi dell'articolo citato, la regione risolve il
contratto dichiarando la decadenza del direttore generale e
provvedendo alla sue sostituzione, peraltro nel rispetto della
procedura ivi prevista (es. acquisizione del parere della Conferenza
permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria
regionale). Inoltre la disposizione regionale in esame appare
irragionevole, in quanto sanziona i direttori generali per
inadempienze che non sono imputabili agli stessi, bensi' alle
commissioni locali che, ai sensi della medesima norma regionale,
devono effettuare le verifiche.
Per tutti questi motivi e' da ritenere che anche le lettere d) ed
e) dell'art. 1, comma 36, della legge regionale in esame, violino
l'art. 117, comma 3 della Costituzione, per contrasto con i principi
fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della
salute e, in particolare, di accreditamento e di requisiti di
decadenza del direttori generali.
L'art. 1, comma 44, lettera a) della legge in esame, che modifica
il comma 244 dell' art. 1 della legge regionale n. 4/2011, prevede
l'adozione di un regolamento regionale per l'organizzazione
dell'ARSAN, quale struttura tecnica di supporto all'attivita' della
giunta stessa e del consiglio regionale in materia sanitaria.
Si segnala, preliminarmente, che l'articolo in esame, nella
formulazione introdotta dall'art. 1, comma 244, legge regionale n.
4/2011, che gia' prevedeva l'adozione di un regolamento regionale per
l'organizzazione dell'ARSAN, quale struttura tecnica di supporto
all'attivita' della giunta stessa oggetto di impugnazione pendente
dinanzi alla Corte costituzionale per violazione degli articoli 117,
terzo comma, 118, e 120, secondo comma, della Costituzione.
Pertanto, la disposizione regionale in esame e' censurabile per
le stesse motivazioni deliberate in riferimento al citato art. 1,
comma 244, della legge regionale n. 4/2011 di seguito riportate:
«Il configurarsi dell'ARSAN, che e' un ufficio strumentale al
fini dell'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario e
dei programmi operativi di prosecuzione dello stesso, esclusivamente
quale struttura tecnica di supporto all'attivita' degli organi
regionali interferiscono con le funzioni attribuite al commissario ad
acta dall'art. 4, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 159/2007, in
violazione dell'art. 120, comma 2, della Costituzione e del principio
di leale collaborazione di cui agli articoli 117 e 118 della
Costituzione. Inoltre ponendo in capo alla giunta regionale
interventi in materia sanitaria che contrastano con le previsioni
contenute nell'Accordo del 13 marzo 2007 e nel relativo Piano di
rientro dal disavanzo sanitario, violano i principi di coordinamento
della finanza pubblica di cui all'art. 117, comma 3, Cost., contenuti
nei commi 80 e 95 dell'art. 2 della legge n. 191/2009».
L'art. 1, comma 51, prevede che: «il Ceinge (Biotecnologie
avanzate societa' consortile srl), organismo di diritto pubblico ai
sensi del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione alla direttiva 2004/17/CE e alla direttiva 2004/18/CE -
Codice degli appalti), e' centro regionale di riferimento per la
diagnostica di biologia molecolare clinica e delle malattie congenite
del metabolismo e delle malattie rare. Con decreto del commissario ad
acta per il piano di rientro dal disavanzo sanitario, e' stabilito il
finanziamento alle attivita' assistenziali sulla base del tariffario
regionale. Il finanziamento, modificabile annualmente in base ad
eventuali e motivati fabbisogni integrativi, e' erogato a partire
dall'anno 2013, mediante convenzioni quinquennali con la regione
Campania. Per colmare la carenza dell'offerta della rete
laboratoristica regionale, il Ceinge puo' presentare domanda di
accreditamento istituzionale, previa verifica di rispondenza ai
requisiti di qualificazione richiesti. I contratti sono stipulati nei
limiti fissati da appositi provvedimenti commissariali. Il predetto
istituto opera sulla base di accordi istituzionali in coerenza e nei
limiti dei vincoli finanziari previsti dal piano di rientro e
connessi programmi operativi e comunque fatte salve le spettanza di
cui alle poste dei bilanci regionali degli anni 2009, 2010, 2011 e
2012.».
A tal riguardo si osserva che la predetta disposizione, nel
prevedere il finanziamento alle attivita' assistenziali sulla base
del tariffario regionale, di una struttura quale il CEINGE che, come
reso evidente dalla stessa norma, non e' ancora accreditato (tant'e'
che il legislatore regionale si fa carico di precisare che esso «puo'
presentare domanda di accreditamento istituzionale previa verifica di
rispondenza ai requisiti di qualificazione richiesti»), contrasta con
la normativa statale di cui agli articoli da 8-bis ad 8-sexies del
citato decreto legislativo n. 502/1992, dai quali emerge che le
strutture che erogano prestazioni sanitarie possono essere poste «a
carico» del Servizio sanitario nazionale solo dopo stipulazione di
appositi accordi contrattuali con le strutture interessate, i quali,
a loro volta, presuppongono che le stesse siano state previamente
accreditate. In altri termini, l'accreditamento (che, a sua volta,
implica la previa autorizzazione) consente alla struttura accreditata
di operare «per conto» del Servizio sanitario nazionale. Per poter
operare anche «a carico» dello stesso, invece, e' necessaria la
stipulazione di un apposito «accordo contrattuale», il quale, pero',
non puo' intervenire in assenza dell'accreditamento, che pertanto
deve necessariamente precedere, temporalmente parlando, l'erogazione
delle prestazioni poste a carico del Servizio sanitario nazionale.
Per questi motivi e' da ritenere che l'art. 51, comma 1 della
legge regionale in esame violi l'art. 117, comma 3 della
Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali della
legislazione statale in materia di tutela della salute.
P.Q.M.
Si conclude pertanto perche' codesta ecc.ma Corte voglia
dichiarare la incostituzionalita' della disposizioni censurate della
legge regionale epigrafata, con ogni conseguente statuizione.
Roma, 1° luglio 2013
L'avvocato dello Stato: Figliolia