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N. 76 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 12 maggio 2010. |
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Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 12 maggio 2010 (della Regione Emilia-Romagna).
(GU n. 23 del 9-6-2010)
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Ricorso della Regione Emilia Romagna, in persona del Presidente
della Giunta regionale pro tempore, autorizzato con deliberazione
della Giunta regionale 2010, n. 562 (doc. 1), rappresentata e difesa,
come da procura a margine del presente atto, dall'avv. prof.
Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Rosaria Russo Valentini,
con domicilio eletto presso lo studio della seconda in Roma, Corso
Vittorio Emanuele II n. 284 contro il Presidente del consiglio dei
ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del
decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31 (Disciplina della
localizzazione, della realizzazione e dell'esercizio nel territorio
nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di
impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di
stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi,
nonche' misure compensative e campagne informative al pubblico, a
norma dell'art. 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99), pubblicato nel
Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 55 dell'8 marzo
2010:
nella sua interezza, per essere stato emanato in assenza del
parere della Conferenza unificata, espressamente previsto dall'art.
25 comma 1 della legge di delega n. 99 del 2009,
nonche' con specifico riferimento a:
art. 4, comma 1;
art. 5, comma 2;
art. 8, comma 3;
art. 9, comma 1, unitamente ad art. 8 comma 3;
art. 11, commi 6;
art. 13, commi 10, 11, 12, in connessione con l'art. 4,
comma 1;
art. 19, commi 1 e 2;
art. 20, comma 1;
art. 27, comma 6;
art. 27, commi 8, 11, 14, 15, 16;
per violazione:
dell'art. 117, commi secondo, terzo e sesto, Cost.;
dell'art. 118, primo comma, Cost.;
dell'art. 120 Cost.;
76 Cost., in connessione con l'art. 25, comma 1, della legge
n. 99 del 2009;
del principio di leale collaborazione nelle parti e sotto i
profili di seguito indicati.
F a t t o
Il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31 svolge per la
parte sostanziale la delega di disciplina della «localizzazione,
della realizzazione e dell'esercizio nel territorio nazionale di
impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di
fabbricazione del combustibile nucleare, del sistemi di stoccaggio
del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi» attribuita al
Governo dalla legge n. 99 del 2009.
Tale legge e' stata impugnata da alcune Regioni, e tra esse dalla
Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 83 del 2009) sulla base delle
medesime premesse di fatto e di diritto che conducono ora
all'impugnazione del decreto legislativo e che di seguito si
riportano.
In particolare, le basi della competenza legislativa regionale e
delle potesta' di partecipazione e decisione che sono fatte valere
con il presente ricorso vanno rinvenute nelle materie di legislazione
regionale «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell'energia», «governo del territorio» e «tutela della salute»:
tutte materie in cui con la competenza regionale «concorre la
potesta' legislativa statale di definizione dei principi
fondamentali.
Alla ricorrente Regione non sfugge ovviamente il ruolo che
comunque lo Stato puo' assumere in forza dell'art. 118, primo comma,
come interpretato da codesta ecc.ma Corte costituzionale sin dalla
sentenza n. 303 del 2003. Essa tuttavia rivendica la stessa
giurisprudenza costituzionale, nella parte in cui essa ha
condizionato la chiamata in sussidiarieta' con il corollario del
coinvolgimento delle Regioni nella forma dell'intesa ove possibile
nella stessa scelta della chiamata in sussidiarieta', comunque nella
disciplina e nella implementazione di tale scelta.
In applicazione di tale orientamento gia' nel ricorso avverso la
legge n. 99 del 2009 la Regione ha precisato di non volere contestare
il potere statale di effettuare la scelta di fondo del «ritorno al
nucleare», ma di volere difendere il ruolo delle Regioni ed il
proprio ruolo in tutte le scelte e le procedure attraverso le quali
tale scelta deve attuarsi.
Pur non contestando il potere statale di effettuare scelte «di
principio» in materia energetica, qual e' quella del nucleare,
espressa dalla legge n. 99 del 2009, la ricorrente Regione deve
tuttavia impugnare il decreto legislativo n. 31 del 2010 non solo in
relazione agli specifici articoli nei quali il coinvolgimento delle
Regioni come singole, interessate da specifiche localizzazioni, o
delle Regioni come insieme, rappresentate nella Conferenza
Stato-Regioni o nella Conferenza Unificata, appare assente o
insufficiente, ma anche nella sua interezza.
Incomprensibilmente, infatti, e' stata violata la legge di delega
proprio nella garanzia piu' significativa che essa dava alle Regioni
di partecipare alla stessa disciplina legislativa del ritorno al
nucleare, attraverso la «previa acquisizione» del parere della
Conferenza Unificata.
Passando all'analisi del complessivo quadro normativo vigente,
riproponendo la ricostruzione gia' effettuata nel ricorso n. 83/2009,
si osserva che, come noto, la riforma del Titolo V della
Costituzione, attuata con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3,
ha individuato quali materie di legislazione concorrente, fra le
altre, la «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell'energia», il «governo del territorio» (art. 117, comma terzo,
Cost.) e la «tutela della salute».
Di tali materie la Regione e' titolare costituzionale, salvo che
per la determinazione dei principi fondamentali, che spetta al
legislatore statale, e per il ruolo che comunque lo Stato puo'
assumere in forza dell'art. 118, primo comma, come interpretato da
codesta ecc.ma Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 303 del
2003, con il corollario del coinvolgimento delle Regioni nella forma
dell'intesa ove possibile nella stessa scelta della chiamata in
sussidiarieta', comunque nella fase amministrativa ed esecutiva di
tale scelta.
Nello specifico, per quanto concerne il settore dell'energia, la
Regione Emilia Romagna si e' dotata di articolata normativa recante
«Disciplina della programmazione energetica territoriale ed altre
disposizioni in materia di energia».
Si tratta della legge regionale 23 dicembre 2004, n. 26, che
inquadra gli interventi di competenza della Regione e degli enti
locali all'interno di una programmazione energetica territoriale,
articolata nei livelli regionale, provinciale, comunale (cfr. art.
6).
Il primo Piano Energetico Regionale (PER) e' stato approvato dal
Consiglio Regionale in data 14 novembre 2007, e prevede stanziamenti
regionali pari a circa 90 milioni di euro in tre anni per la
realizzazione di interventi che riguardano il risparmio energetico e
la valorizzazione delle fonti rinnovabili negli edifici, negli
insediamenti produttivi e nei trasporti.
Il Piano energetico traccia lo scenario evolutivo del sistema
energetico regionale e definisce gli obiettivi di sviluppo
sostenibile a partire dalle azioni che la Regione ha sviluppato negli
ultimi anni, soprattutto sul fronte della riqualificazione del
sistema elettrico. E' da ricordare, infatti, che si e' realizzata
gia' dal 2000 la completa trasformazione del parco termoelettrico
regionale con l'adozione delle nuove tecnologie di alimentazione a
metano che hanno sostituito tutte le vecchie centrali alimentate ad
olio combustibile. In questo modo, grazie alla maggiore efficienza e
al minore impatto, si ha a disposizione piu' energia e si e'
assicurata una condizione di equilibrio del bilancio elettrico
regionale tra richiesta e produzione e, contemporaneamente, una
riduzione significativa di emissioni inquinanti per kilowattore
prodotto (oltre 500 mila tonnellate).
Contemporaneamente il Piano indica gli obiettivi di risparmio
energetico: per quasi un terzo dovranno venire dal risparmio nel
settore residenziale e civile, per il 40 dal settore dei trasporti,
mentre nell'industria, che ha gia' visto avviati processi di
innovazione energetica, il risparmio da realizzare e' del 25 . Il
Piano traccia quindi le linee di intervento, promuovendo la
valorizzazione delle fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico,
idroelettrico, geotermia, biomasse), per ottenere una potenza
aggiuntiva pari a circa 400 MW, la diffusione di piccoli impianti di
produzione di energia legati alle esigenze dell'utenza finale (la
cosiddetta «generazione distribuita» ad alta efficienza, attraverso
la diffusione della tecnologia della cogenerazione del
teleriscaldamento) per ottenere 600 MW di potenza aggiuntiva e per
mettere il sistema in sicurezza anti black out.
Gli strumenti previsti comprendono innanzitutto l'emanazione di
nuove norme sul rendimento energetico degli edifici in
Emilia-Romagna, con standard piu' stringenti rispetto al passato.
E' prevista, inoltre, la realizzazione di un sistema regionale di
certificazione energetica degli edifici (simile a quanto gia'
realizzato per gli elettrodomestici), che riguardera' i nuovi edifici
e le grandi ristrutturazioni degli edifici esistenti, nonche' la
promozione del progetto «calore pulito» per la utilizzazione delle
caldaie a tecnologie piu' avanzate negli usi domestici.
In particolare, per quanto riguarda gli edifici pubblici (dai
municipi, alle scuole, agli ospedali), il PER prevede l'avvio della
riqualificazione energetica. Criteri di risparmio energetico dovranno
inoltre essere previsti in ogni procedura di aggiudicazione degli
appalti pubblici, cosi' come nella acquisizione di beni e servizi per
la pubblica amministrazione aventi incidenza sui consumi di energia.
Il Piano energetico regionale stabilisce, poi, di promuovere veri
e propri «piani-programma» delle Province e dei Comuni, una sorta di
piani regolatori energetici per il risparmio, l'uso razionale
dell'energia e lo sviluppo delle fonti rinnovabili, a cominciare
dagli interventi in tutti gli edifici pubblici.
Il Piano punta, poi, anche sulla riqualificazione
energetico-ambientale degli insediamenti produttivi, con lo sviluppo
di aree definite «ecologicamente attrezzate», promuovendo impianti e
servizi energetici comuni, e anche qui con cogenerazione e fonti
rinnovabili.
Il Piano sostiene, infine, un nuovo programma per l'«agro
energia», per l'adozione dei piccoli impianti biogas o biomassa nelle
imprese agricole e per la realizzazione della riconversione
necessaria della produzione bieticolo-saccarifera in produzione
agroenergetica.
Per quanto riguarda la materia del «governo del territorio», la
Regione Emilia-Romagna, con legge 24 marzo 2000, n. 20, si e' dotata
di una «Disciplina generale sulla tutela e l'uso del territorio», al
fine di realizzare un efficace ed efficiente sistema di
programmazione e pianificazione territoriale che operi per il
risparmio delle risorse territoriali, ambientali ed energetiche, per
il benessere economico, sociale e civile della popolazione regionale,
senza pregiudizio per la qualita' della vita delle future
generazioni.
Tra gli obiettivi della pianificazione territoriale vi e' anche
quello di «promuovere l'efficienza energetica e l'utilizzazione di
fonti energetiche rinnovabili, allo scopo di contribuire alla
protezione dell'ambiente e allo sviluppo sostenibile» (art. 2, comma
2, lett. f-bis introdotta dalla legge regionale 9 luglio 2009, n. 6).
Gli strumenti pianificatori regionali (artt. 24 e 25) sono il
Piano Territoriale Regionale (PTR) e il Piano Territoriale Paesistico
Regionale (PTPR).
Ciascuna Provincia approva il proprio Piano Territoriale di
Coordinamento Provinciale (PTCP), che «definisce l'assetto del
territorio limitatamente agli interessi sovracomunali, che attengono
... ... d) ai poli funzionali e agli insediamenti commerciali e
produttivi di rilievo sovra comunale» (art. 26).
Infine, i Comuni si dotano del Piano Strutturale Comunale (PSC),
corredato del Regolamento Urbanistico Edilizio (RUE) e dei singoli
Piani Operativi Comunali di dettaglio (POC).
Questa fitta trama di provvedimenti pianificatori consente di
ottenere una fotografia molto precisa del territorio regionale e di
sviluppare gli insediamenti abitativi e produttivi nell'ottica della
tutela dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile.
Nella materia della produzione dell'energia, e con evidente
fortissima incidenza sul governo del territorio ed evidenti riflessi
sulla tutela della salute ed altre materie di competenza regionale,
ed in un ambito, almeno in parte, corrispondente a quello della
disciplina regionale ora illustrata, interviene ora la legge
nazionale 23 luglio 2009, n. 99, recante «Disposizioni per lo
sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonche' in materia
di energia».
In particolare, l'art. 25 della legge in esame contiene la
cosiddetta delega al Governo in materia di energia nucleare.
A distanza di 22 anni dal referendum abrogativo della legge n.
8/1983, lo Stato reintroduce l'energia nucleare.
La Regione Emilia-Romagna prende atto di questa scelta, che
compete agli organi rappresentativi della comunita' nazionale, pur
con il rammarico che la mancata riforma delle strutture parlamentari
e prima ancora l'omessa attivazione della partecipazione regionale
alla Commissione parlamentare per le questioni regionali non abbiano
consentito alle Regioni di prendere parte a questa scelta nelle
corrette sedi legislative.
Fuori discussione dunque in questa sede la scelta di base, rimane
tuttavia la necessita' di salvaguardare lo specifico ruolo delle
Regioni, in quanto titolari costituzionali della potesta' legislativa
nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, della
Costituzione, ed in particolare in quelle sopra indicate.
Viene particolarmente in considerazione l'art. 25 della legge in
questione, che contiene la delega al Governo in materia nucleare.
Esso prevede un ruolo della Conferenza unificata unificata di cui
all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 in primo
luogo (comma 1) nella procedura di emanazione dei decreti legislativi
delegati: tale Conferenza, infatti, deve essere «sentita».
L'art. 25 stabilisce, infatti, che entro sei mesi il Governo
dovra' adottare appositi decreti legislativi di riassetto normativo
recanti «la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale
di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti
di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio
del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonche' dei
sistemi per il deposito definitivo dei materiali e rifiuti
radioattivi e per la definizione delle misure compensative da
corrispondere e da realizzare in favore delle popolazioni
interessate».
Tale modalita' - limitata ad un parere - non rappresenta
adeguatamente le istanze di partecipazione delle Regioni alle scelte
generali, e tuttavia, nel vigente assetto dei poteri legislativi
nazionali, la ricorrente Regione non censura tale disposizione.
Lo specifico ruolo regionale dovra' dunque necessariamente essere
salvaguardato nella fase successiva della gestione attuativa ed
esecutiva. Tale specifico ruolo deve essere salvaguardato con
riferimento sia alle Regioni nel loro insieme, sia alle Regioni che
siano poi direttamente interessate dagli insediamenti delle centrali.
Nell'intento di salvaguardare tale ruolo, la Regione
Emilia-Romagna ha gia' impugnato l'art. 25 con riferimento alle
lettere a), f), g) ed h).
A termini della lett. a) il Governo deve prevedere la
«possibilita' di dichiarare i siti aree di interesse strategico
nazionale, soggette a speciali forme di vigilanza e di protezione»,
senza prevedere alcuna partecipazione della Regione interessata ne'
della Conferenza unificata;
A termini della lett. f), in sede di esercizio della delega, il
Governo deve determinare altresi' le modalita' di esercizio del suo
potere sostitutivo in caso di mancato raggiungimento delle necessarie
intese con i diversi enti locali coinvolti, secondo quanto previsto
dall'art. 120 della Costituzione. Ad avviso della Regione
Emilia-Romagna la previsione di tale potere sostitutivo e'
illegittima sotto diversi profili.
A termini della lett. g), poi, la costruzione e l'esercizio di
impianti per la produzione di energia elettrica nucleare e di
impianti per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e per lo
smantellamento di impianti nucleari a fine vita vengono considerati
attivita' «di preminente interesse statale» e, come tali, soggetti ad
autorizzazione unica rilasciata con decreto del Ministro dello
Sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e con
il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con
la Conferenza unificata, (art. 25, comma 2, lett. g).
La detta autorizzazione unica, che consegue a un procedimento
unico cui partecipano le amministrazioni interessate, comprende la
dichiarazione di pubblica utilita', indifferibilita' e urgenza delle
opere, l'eventuale dichiarazione di inamovibilita' e l'apposizione
del vincolo preordinato all'esproprio dei beni in essa compresi,
sostituendo ogni provvedimento amministrativo, autorizzazione,
concessione, licenza, nullaosta, atto di assenso e atto
amministrativo comunque denominati, fatta eccezione delle procedure
di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di valutazione
ambientale strategica (VAS), cui si deve obbligatoriamente
ottemperare (art. 25, comma 2, lett. h).
Ne' la lett. g) ne' la lett. h) tuttavia prevedono che sulla
autorizzazione, per i profili attinenti alla localizzazione e alle
caratteristiche dell'impianto, sia richiesta l'intesa della Regione
interessata, come (ad avviso della ricorrente Regione)
costituzionalmente necessario.
Il successivo art. 26 della legge n. 99/2009 assegna nuovamente
al Governo, e segnatamente al CIPE, il compito di definire con
apposita delibera, sempre nel termine di sei mesi dalla data di
entrata in vigore della legge delega e previo parere della Conferenza
unificata, le tipologie degli impianti per la produzione di energia
elettrica nucleare che possono essere realizzati nel territorio
nazionale.
Come emerge chiaramente dalle disposizioni sopra citate, il ruolo
assegnato alle Regioni e' insufficientemente tutelato sia per quanto
riguarda il loro insieme, sia - ed ancor piu' - per quanto riguarda
le Regioni direttamente interessate.
Mai viene richiesto il consenso delle singole Regioni
interessate. Inoltre la Conferenza Unificata puo' esprimere solo
pareri non vincolanti relativamente alle scelte strategiche e di alta
amministrazione, mentre l'intesa e' prevista solo in sede di
procedimento di autorizzazione unica, quando ormai la localizzazione
dell'impianto e' gia' stata decisa.
Una disciplina di tale natura interviene in una materia
caratterizzata da legislazione concorrente e in un settore
delicatissimo come quello dell'energia atomica.
E', infatti, oggettivamente molto difficile individuare in Italia
siti adatti alla costruzione di una centrale nucleare e ancor piu'
allo stoccaggio e smaltimento dei rifiuti radioattivi.
La maggior parte del territorio italiano e' soggetto a rischio
sismico e quindi non idoneo a ricevere impianti nucleari ne' a
smaltire le scorie.
Ne' sono numerose le aree che dispongono dell'ingente quantita'
d'acqua occorrente al funzionamento di una centrale nucleare, perche'
la portata dei fiumi italiani e' generalmente insufficiente e perche'
le zone costiere, dove puo' essere utilizzata l'acqua del mare, sono
spesso congestionate da insediamenti urbani e turistici, scarsamente
compatibili con impianti nucleari.
In questo quadro, l'intero decreto legislativo, ed in subordine
ed in particolare le specifiche disposizioni impugnate, risultano
costituzionalmente illegittime per le seguenti ragioni di
D i r i t t o
I. - Illegittimita' costituzionale dell'intero decreto per omissione
della «previa acquisizione» del parere della Conferenza Unificata
richiesta dall'art. 25, comma 1 della legge n. 99/2009.
E' pacifico che in linea di principio il potere legislativo
spetta integralmente alle Camere del Parlamento (art. 70 Cost.). Esse
non lo possono delegare al Governo se non con i limiti previsti
dall'art. 76 Cost., in termini di oggetto, di tempo, e di principi e
criteri direttivi. Si tratta pero' dei limiti minimi che la
Costituzione impone, ed e' pacifico che il Parlamento, attraverso la
legge di delega, puo' imporre limiti ulteriori, segnatamente di
carattere procedurale, e che se tali ulteriori limiti e prescrizioni
sono violati ne risulta affetto sul piano della legittimita'
costituzionale l'intero decreto legislativo.
Nello specifico caso, la legge n. 99 del 2009 testualmente
dispone che i decreti legislativi attuativi della delega siano
adottati «su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di
concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio
e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti,
previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui
all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e
successive modificazioni, e successivamente delle Commissioni
parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere
finanziario» (art. 25, comma , enfasi aggiunta).
Al contrario, il decreto legislativo n. 31 del 2010 e' stato
adottato senza la previa acquisizione (ed in realta' senza alcuna
acquisizione) del parere della Conferenza unificata.
Cio' risulta dalle stesse premesse del decreto, nelle quali viene
curiosamente «preso atto che la seduta del 27 gennaio 2010 della
Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, al
cui ordine del giorno era iscritto il presente decreto legislativo,
non si e' tenuta».
La mancanza della acquisizione del richiesto parere e' stata
rilevata anche dal Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli
Atti Normativi, nell'Adunanza di Sezione dell'8 febbraio 2010 (atto
n.443 del 9 febbraio 2010), ove al punto 3 si rileva quanto segue.
«Va, ancora, preliminarmente osservato che non risulta
comunicato, alla data dell'odierno esame della questione, il parere
della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281, la cui previa acquisizione costituirebbe,
alla stregua del dettato dell'art. 25 della legge n. 99 del 2009, un
atto prodromico essenziale per l'esercizio della specifica potesta'
delegata».
Va sottolineato che l'acquisizione del parere della Conferenza
unificata non era dovuta in forza della previsione di cui all'art. 2,
comma 3 (che riguarda la Conferenza Stato-regioni, la quale «e'
obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e
di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di
competenza delle regioni o delle province autonome di Trento e di
Bolzano che si pronunzia entro venti giorni», con la precisazione che
«decorso tale termine, i provvedimenti recanti attuazione di
direttive comunitarie sono emanati anche in mancanza di detto
parere»), ne' in forza dell'art. 9, comma 2, lett. a), n. 3 dello
stesso decreto, che prevede il parere obbligatorio di tale Conferenza
solo per gli «schemi di decreto legislativo adottati in base
all'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59» (tra i quali certo
non e' compreso quello di cui alla presente controversia).
La previa acquisizione del parere della Conferenza unificata e'
invece dovuta esclusivamente in forza della specifica disposizione
della legge di delega: con il risultato di costituire nel caso in
esame - come sottolineato dallo stesso Consiglio di Stato - «un atto
prodromico essenziale per l'esercizio della specifica potesta'
delegata».
Inoltre, l'art. 25, comma 1, della legge di delega precisava
anche l'ordine di acquisizione di pareri, palesemente posti allo
stesso livello di obbligatorieta', stabilendo la previa acquisizione
del parere della Conferenza unificata, e successivamente quella del
parere delle Commissioni parlamentari: evidentemente allo scopo che
le Commissioni parlamentari potessero dare il proprio parere anche in
relazione alle osservazioni della Conferenza unificata.
Si noti che - non avvenuta la riunione del 27 gennaio 2010 - non
risulta che il Governo abbia provveduto a riconvocare la Conferenza
per una successiva riunione, ne' prima ne' dopo la trasmissione dello
schema di decreto legislativo alle Commissioni parlamentari.
Di qui il vizio di mancato rispetto della procedura prevista
dalla legge di delega per l'emanazione del decreto legislativo, e
dunque un vizio di legittimita' costituzionale che inficia l'intero
atto.
E' altresi' evidente che la ricorrente Regione ha legittimazione
a sollevare la corrispondente censura, dal momento che il parere che
e' stato omesso era previsto dalla legge di delega a garanzia delle
competenze e delle prerogative costituzionali delle Regioni: era, in
definitiva, il modo in cui la legge di delega prevedeva che le
Regioni partecipassero alla elaborazione del decreto legislativo.
II. Illegittimita' costituzionale delle specifiche disposizioni
impugnate.
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 2.
1.1 - L'art. 5, comma 2 del d.lgs. n. 31 del 2010, rubricato
Requisiti degli operatori prevede che «con decreto del Ministro dello
sviluppo economico,[...] sono definiti i criteri esplicativi dei
requisiti di cui al comma 1, nonche' le modalita' per la
dimostrazione del possesso dei requisiti stessi».
In verita' l'art. 25 della legge delega n. 99/2009 prevedeva che
il Governo avrebbe dovuto esercitare la delega emanando uno o piu'
decreti legislativi contenenti la statuizione («sono stabiliti») dei
«requisiti soggettivi per lo svolgimento delle attivita' di
costruzione, esercizio e disattivazione degli impianti».
Appare chiaro, quindi, gia' in sede di prima analisi della
disposizione impugnata, che la stessa, dal punto di vista formale e
sostanziale, in concreto non ottempera al disposto del citato art. 25
della legge di delegazione poiche' il Governo si e' limitato a
rinviare ad una fonte non solo sottoordinata rispetto a quella
prevista in sede di delega (un Decreto ministeriale) ma anche - e
soprattutto - ad una fonte che non e' tenuta a garantire i requisiti
dell'art. 14 della legge n. 400 del 1988 e dell'art. 20 della cd
legge Bassanini 1.
In particolare, e' lo stesso art. 25 sopra citato che impone al
Governo di esercitare il potere delegato «secondo le modalita' ed i
principi direttivi di cui all'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n.
59».
Alla luce di quanto sopra si comprende come il fatto che il
Governo abbia deciso, in sede di esercizio del potere delegato, di
esorbitare i margini di discrezionalita' individuati dal Legislatore
delegante concreta non solo una violazione dell'art. 76 della
Costituzione, ma anche delle prerogative e l'assetto dei rapporti fra
lo Stato e la Regione.
Secondo la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, ha
riconosciuto che nel giudizio promosso in via principale il vizio di
eccesso di delega puo' essere addotto solo quando la violazione
denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione
delle attribuzioni costituzionali delle Regioni (sentenze n. 303 del
2003, n. 353 del 2001, n. 503 del 2000, n. 408 del 1998, n. 87 del
1996). Cosi' e' nell'ipotesi di cui trattasi.
Non puo' negarsi, infatti, che la disciplina di cui al secondo
comma dell'art. 5 del d.lgs. n. 31/2010, nel prevedere l'emanazione
di un decreto ministeriale deputato alla definizione dei «criteri
esplicativi dei requisiti di cui al comma 1» in luogo di appositi
decreti legislativi, rappresenta un esercizio del potere delegato
palesemente difforme da quanto espressamente previsto dall'art. 25,
legge n. 99/2009 e comprime le attribuzioni regionali.
Dalla lettura del dato testuale dell'art. 25 citato, secondo il
quale, come gia' poc'anzi precisato, il Governo deve esercitare il
potere delegato «secondo le modalita' ed i principi direttivi di cui
all'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59», vale a dire secondo
forme di azione che tengono conto dei «principi di sussidiarieta',
differenziazione ed adeguatezza, nella ripartizione delle
attribuzioni e competenze tra i diversi soggetti istituzionali, nella
istituzione di sedi stabili di concertazione e nei rapporti tra
soggetti istituzionali ed i soggetti interessati, secondo i criteri
dell'autonomia, della leale collaborazione, della responsabilita' e
della tutela dell'affidamento» (cfr. art. 20 cit, comma 4, lett.
f-ter)) emerge la diretta rilevanza degli interessi regionali
coinvolti.
E' evidente, quindi, che la disposizione che qui si impugna non
rispetta le summenzionate previsioni.
Alla luce di cio' la Regione va considerata «legittimata a far
valere le proprie attribuzioni anche allegando il vizio formale di
eccesso di delega del decreto legislativo» (cfr. sent. n. 303 del
2003).
1.2. - Sotto diverso ma collegato profilo l'art. 5, comma 2 del
decreto legislativo che si impugna, appare viziato da profili di
incostituzionalita' perche' omette di stabilire i «requisiti
soggettivi per lo svolgimento delle attivita' di costruzione,
esercizio e disattivazione degli impianti» richiesti dall'art. 25,
comma 1 della legge di delegazione.
Si puo' affermare, infatti, che la delega, in ordine alla
determinazione dei requisiti soggettivi richiesti per la costruzione,
esercizio e disattivazione degli impianti nucleari, e' rimasta
completamente inevasa
Nessun comma dell'art. 5 puo' ritenersi avente un contenuto
conforme alle prescrizioni di cui all'art. 25 della legge di
delegazione.
Anche il comma 3, infatti, si limita a riproporre, con
formulazione pressoche' identica, i requisiti richiesti, in via
generale, a qualunque appaltatore e concessionario pubblico dalla
normativa vigente (cfr. art. 38 d.lgs. n. 163/2006). La formulazione
esplicita ed inequivocabile della legge di delegazione, tuttavia,
imponeva espressamente al Governo di individuare con un apposito
decreto legislativo i «requisiti soggettivi per lo svolgimento delle
attivita' di costruzione, esercizio e disattivazione degli impianti»,
e cio', come argomentato sopra, e' rimasto totalmente inevaso atteso
che il comma secondo si limita a demandare la fattispecie ad un
decreto ministeriale, fonte che, peraltro, non deve definire alcun
requisito soggettivo avendo il diverso compito di limitarsi ad
indicare i meri «criteri esplicativi» di requisiti che, a questo
punto non appaiono in alcun modo individuati ed individuabili neppure
in via generale e generica sotto forma di criterio.
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 3.
2.1. - La disposizione della quale si sostiene
l'incostituzionalita' prevede che «il Ministero dello sviluppo
economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela
del territorio e del mare, il Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti ed il Ministero per i beni e le attivita' culturali, adotta
con proprio decreto lo schema definitivo dei parametri di cui al
comma 1. Tale decreto e' adottato entro i trenta giorni successivi
alla conclusine della consultazione di cui al comma 2, adeguando i
parametri indicati nello schema iniziale, su proposta dell 'Agenzia».
A sua volta, il comma 1 appena richiamato subordina
l'individuazione delle aree potenzialmente destinate alla
localizzazione degli impianti nucleari al rigoroso rispetto di
determinati criteri tecnici.
E' doveroso osservare che tanto la fase di individuazione dello
«schema dei parametri esplicativi dei criteri tecnici» quanto la fase
adozione degli stessi da parte del decreto ministeriale di cui al
comma terzo, prescinde totalmente da alcuna forma di coinvolgimento o
collaborazione con le Regioni e gli enti territoriali interessati.
Trattasi, tuttavia, di criteri che impongono di considerare
attentamente la realta' locale poiche' devono espressamente tener
conto dei «seguenti profili: a) popolazione e fattori
socio-economici; b) idrologia; c) fattori metereologici; c)
biodiversita'; d) geofisica e geologia; e) valore paesaggistico; g)
valore architettonico-storico; h) accessibilita'; i) sismo-tettonica;
l) distanza da aree abitate e da infrastrutture di trasporto; m)
strategicita' dell'area per il sistema energetico e caratteristiche
della rete elettrica; n) rischi potenziali indotti da attivita' umane
nel territorio circostante».
Da quanto sopra esposto appare palese la rilevanza degli
interessi regionali coinvolti nella procedura di localizzazione degli
impianti nucleari poiche' trattasi di attivita' che tocca
direttamente competenze regionali quali il governo del territorio, la
tutela della salute, la protezione civile, le grandi reti di
trasporti e navigazione, la produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell'energia e la valorizzazione dei beni culturali e
ambientali.
Pertanto, sebbene possa sostenersi astrattamente che il decreto
ministeriale cui la normativa qui impugnata fa riferimento non
provvede direttamente ad individuare i siti in cui si localizzeranno
gli impianti, tuttavia esso rappresenta l'atto sulla base del quale
tale individuazione avverra' in concreto.
Di tal che' tale decreto va considerato il vero ed
imprescindibile presupposto della concreta localizzazione e,
conseguentemente, la normativa impugnata appare incostituzionale
nella parte in cui non si prevede alcuna idonea forma di
concertazione con le regioni in ordine alla determinazione e
all'approvazione dei criteri tecnici che devono essere rispettati in
sede di localizzazione degli impianti nucleari.
Una siffatta interpretazione e' gia' stata espressa da codesta
ecc.ma Corte con la decisione n. 62 del 2005 - concernente peraltro
la localizzazione e la realizzazione di un impianto per la gestione
di materiale radioattivo - con cui precisa che ogniqualvolta si deve
procedere alla «specifica localizzazione e alla realizzazione
dell'impianto, l'interesse territoriale da prendere in considerazione
e a cui deve essere offerta sul piano costituzionale, adeguata
tutela, e' quello della regione nel cui territorio l'opera e'
destinata ad essere ubicata. Non basterebbe piu', a questo livello,
il semplice coinvolgimento della Conferenza Unificata, il cui
intervento non puo' sostituire quello, costituzionalmente necessari,
della singola regione interessata (cfr. sentenze n. 383/1994; n. 242
del 1997, n. 303 del 2002 e 6 del 2004).
2.2. - Piu' in generale, si ripropongono anche in questa sede le
censure gia' mosse in relazione alla illegittimita' costituzionale
dell'art. 5, comma 2 del d.lgs. n. 31 del 2010.
Infatti l'art. 25 della legge delega n. 99/2009 prevedeva
espressamente che il Governo avrebbe dovuto esercitare la delega
emanando appositi decreti legislativi contenenti «la disciplina della
localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di
energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del
combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile
irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonche' dei sistemi per il
deposito definitivo dei materiali e rifiuti radioattivi».
Appare chiaro, quindi, gia' in sede di analisi meramente
letterale del testo della disposizione impugnata, che la stessa, dal
punto di vista formale e sostanziale, in concreto non ottempera al
disposto del citato art. 25 della legge di delegazione poiche' il
Governo si e' limitato a rinviare ad una fonte non solo sottoordinata
rispetto a quella prevista in sede di delega (un decreto
ministeriale) ma anche - e soprattutto - ad una fonte che non e'
tenuta a rispettare i requisiti di cui all'art. 14 della legge n. 400
del 1988 e secondo le modalita' ed i principi direttivi di cui
all'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
Quest'ultima disposizione, in particolare, impone al Governo di
tener conto dei «principi di sussidiarieta', differenziazione ed
adeguatezza, nella ripartizione delle attribuzioni e competenze tra i
diversi soggetti istituzionali, nella istituzione di sedi stabili di
concertazione e nei rapporti tra soggetti istituzionali ed i soggetti
interessati, secondo i criteri dell'autonomia, della leale
collaborazione, della responsabilita' e della tutela
dell'affidamento» (cfr. art. 20 cit, comma 4, lett. f-ter)).
Emerge, quindi, chiaramente, la diretta rilevanza degli interessi
regionali coinvolti atteso che il Governo ha deciso, in sede di
esercizio del potere delegato, di esorbitare i margini di
discrezionalita' individuati dal legislatore delegante concretando
non solo una violazione dell'art. 76 della Costituzione, ma anche le
prerogative e l'assetto dei rapporti fra lo Stato e la Regione.
Sul punto non si puo' che limitarsi a richiamare la
giurisprudenza gia' citata al punto 3) di questo ricorso e
considerare la Regione ricorrente «legittimata a far valere le
proprie attribuzioni anche allegando il vizio formale di eccesso di
delega del decreto legislativo» (cfr. sent. n. 303 del 2003) poiche'
la disciplina di cui al comma 3 dell'art. 8 del decreto legislativo
n. 31/2010, nel prevedere l'emanazione di un decreto ministeriale
deputato alla definizione dei «parametri di cui al comma 1» - vale a
dire dei criteri tecnici da seguire per l'individuazione delle aree
destinate alla localizzazione degli impianti nucleari - in luogo di
appositi decreti legislativi, rappresenta un esercizio del potere
delegato palesemente difforme da quanto espressamente previsto
dall'art. 25, legge n. 99/2009 e vulnerante le attribuzioni
regionali.
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1, in combinato
disposto con l'art. 8, comma 3.
La particolare natura del decreto ministeriale di cui all'art. 8,
comma 3, sopra analizzato, vale a dire quella di atto i cui contenuti
rappresentano il presupposto necessario all'individuazione dei siti
in cui si localizzeranno gli impianti nucleari, comporta
l'illegittimita' costituzionale anche dell'art. 9, comma 1.
Questa disposizione, infatti, dispone che «la strategia nucleare
di cui all'art. 3, insieme ai parametri sulle caratteristiche
ambientali e tecniche delle aree idonee ai sensi del comma 3
dell'art. 8, e' soggetta alle procedure di valutazione ambientale
strategica ai sensi e per gli effetti di cui al decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni, nonche' al principio
di giustificazione di cui alla Direttiva 96/29/EURATOM del Consiglio
del 13 maggio 1996».
Anche in questo caso, nonostante l'indubbia rilevanza di ambiti
di competenza regionale, secondo quanto ampiamente argomentato al
punto precedente, cui si rimanda integralmente, non e' prevista
alcuna forma di coinvolgimento o collaborazione con le Regioni
interessate determinandosi, quindi, un'illegittima compromissione
delle prerogative regionali costituzionalmente previste.
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 6.
L'art. 11 e' dedicato alla Certificazione dei siti.
Esso dispone che l'Agenzia effettui l'istruttoria tecnica sulle
singole istanze degli operatori interessati, e che in caso di esito
positivo essa rilasci la certificazione, anche con specifiche
prescrizioni, per ciascun sito proposto.
Le certificazioni dei siti sono trasmesse ai Ministeri
interessati, ed il Ministro dello sviluppo economico sottopone
ciascuno dei siti certificati all'intesa della Regione interessata,
che si esprime previa acquisizione del parere del comune interessato
(comma 5).
Oggetto della presente impugnazione e' il comma 6, secondo il
quale «in caso di mancata definizione dell'intesa di cui al comma 5
entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento della richiesta
dell'intesa stessa, si provvede entro i trenta giorni successivi alla
costituzione di un Comitato interistituzionale, i cui componenti sono
designati in modo da assicurare una composizione paritaria,
rispettivamente, dal Ministero dello sviluppo economico, dal
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e
dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da un lato, e
dalla Regione, dall'altro, che assicura la presenza di un
rappresentante del comune interessato» (primo periodo).
Sempre il comma 6 dispone che «le modalita' di funzionamento del
Comitato interistituzionale sono stabilite con decreto del Ministro
dello sviluppo economico, previo parere della Conferenza unificata da
esprimere entro trenta giorni dalla richiesta del parere stesso»
(secondo periodo).
Dispone infine - per quanto qui interessa, che «ove non si riesca
a costituire il Comitato interistituzionale, ovvero non si pervenga
ancora alla definizione dell'intesa entro i sessanta giorni
successivi alla costituzione del Comitato, si provvede all'intesa con
decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del
Consiglio dei Ministri, integrato con la partecipazione del
presidente della Regione interessata» (ultimo periodo).
4.1 - Il comma 6 appare disciplinare - in relazione alla
certificazione dei siti - l'esercizio del potere sostitutivo per
mancato conseguimento delle intese in attuazione dell'art. 25, comma
2, lett. f) della legge n. 99/2009, ricomprendendo dunque e quindi le
Regioni tra gli «enti locali coinvolti» ai quali tale disposizione si
riferisce.
Conviene ricordare che tale disposizione e' stata contestata
dalla ricorrente Regione con il ricorso 83/2009 per violazione degli
artt. 118 e 120 Cost. e del principio di leale collaborazione, in
quanto «prevedere l'intesa e poi prevedere l'esercizio del potere
sostitutivo statale per il caso di mancato raggiungimento dell'intesa
equivale a degradare sin dall'inizio il carattere forte dell'intesa e
ad attribuire una posizione di debolezza all'ente territoriale
nell'adozione della decisione attratta in sussidiarieta'». Inoltre,
secondo quanto gia' rilevato nello stesso ricorso «il mancato
raggiungimento dell'intesa nella materia oggetto dell'art. 25 non
concreta una delle situazioni indicate tassativamente dall'art. 120,
comma 2, Cost.». Nella disposizione di cui al comma 6 la questione
dell'eventuale mancato conseguimento dell'intesa e' affrontata in
termini piu' articolati, essendo previsto un meccanismo di
coordinamento rivolto a facilitare una soluzione consensuale, e
dunque da ultimo il conseguimento dell'intesa, nella forma di un
comitato interistituzionale a composizione paritaria
Ministeri-Regione: solo nel caso in cui tale comitato non venga
costituito, oppure non si raggiunga comunque l'intesa, e' previsto
che lo Stato «provvede all'intesa con decreto del Presidente della
Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri,
integrato con la partecipazione del presidente della Regione
interessata.
4.2 - In questi termini, la disposizione appare un tentativo di
conciliare le opposte esigenze di assicurare il consenso della
Regione interessata e di garantire un potere ultimo di decisione
statale.
Tuttavia, gia' nel ricorso n. 83/2009 si e' illustrato come alle
intese con la Regione interessata concernenti le localizzazioni nel
territorio regionale di impianti di produzione di energia vada
riconosciuto - alla stregua della stessa giurisprudenza di codesta
ecc.ma Corte costituzionale - carattere forte.
Ci si e' gia' richiamati - per la parte rilevante - alle sentenze
n. 303 del 2003 (localizzazione opere strategiche), n. 6 del 2004
(impianti di produzione di energia), n. 383/2005 (autorizzazione alla
costruzione ed esercizio di elettrodotti). In questa, in particolare,
codesta Corte ha ribadito che in questi casi «deve escludersi che, ai
fini del perfezionamento dell'intesa, la volonta' della Regione
interessata possa essere sostituita da una determinazione dello
Stato, il quale diverrebbe in tal modo l'unico attore di una
fattispecie che, viceversa, non puo' strutturalmente ridursi
all'esercizio di un potere unilaterale». Secondo la Corte,
«l'esigenza che il conseguimento di queste intese sia non solo
ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale
collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo,
potra' certamente ispirare l'opportuna individuazione, sul piano
legislativo, di procedure parzialmente innovative volte a favorire
l'adozione dell'atto finale nei casi in cui siano insorte difficolta'
a conseguire l'intesa, ma tali procedure non potranno in ogni caso
prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritaria delle
parti coinvolte». E, «nei casi limite di mancato raggiungimento
dell'intesa, potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento del
ricorso a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione fra Stato
e Regioni».
Dunque, il dovere di collaborazione assicura dal lato regionale
il risultato dell'intesa tutte le volte in cui un comportamento
collaborativo effettivamente la imponga.
Non corrispondente invece ai criteri affermati da codesta Corte
e' una soluzione per la quale anche nel caso in cui il dissenso sia
oggettivamente giustificato anche nel quadro di un comportamento
collaborativo lo Stato abbia alla fine il potere unilaterale di
«provvedere all'intesa».
In realta' nella stessa terminologia delle disposizioni impugnate
sembra che l'intesa della Regione (e degli enti locali) interessati
sia concepito come un qualcosa che viene preferibilmente ottenuto con
il consenso, ma se manca il consenso «deve» essere ottenuto comunque.
In effetti, il testo della disposizione neppure considera l'ipotesi
che gli argomenti opposti dalla Regione all'intesa siano corretti e
giustificati, e che dunque la mancata intesa possa condurre non alla
sua «acquisizione forzata», ma all'abbandono del sito in questione.
La disposizione impugnata risulta percio' illegittima.
4.3. - Risulta ancora non conforme alla Costituzione, ad avviso
della ricorrente Regione, la disposizione secondo la quale le
modalita' di funzionamento del Comitato «sono stabilite con decreto
ministeriale previo parere della Conferenza unificata»: sembra
evidente, infatti, che la definizione delle modalita' di
funzionamento di un organismo che si vuole paritetico non possono
essere lasciate... alla determinazione unilaterale di una della parti
«pari».
Si ritiene pertanto che al mero parere debba essere sostituta
l'intesa con la Conferenza unificata, al fine di ripristinare anche
sul piano delle regole di funzionamento la pari capacita' di
determinazione dello Stato e delle Regioni.
4.4 - In via subordinata alla censura di cui al punto b,
risulterebbe comunque costituzionalmente illegittima la disposizione
secondo la quale il potere di acquisizione forzata dell'intesa scatta
anche nelle ipotesi nelle quali questa non si raggiunga a causa di un
comportamento non collaborativo dello Stato: come potrebbe accadere
sia nell'ipotesi che alla costituzione del comitato
inter-istituzionale non si possa addivenire per l'inerzia degli
organi statali, sia nell'ipotesi che costituito il comitato esso non
sia in grado di raggiungere l'intesa a causa di un comportamento dei
rappresentanti statali rivolto soltanto a far trascorrere i termini
per l'esercizio del potere unilaterale.
In mancanza della espressa esclusione del potere unilaterale per
siffatte non certo impossibili ipotesi, il meccanismo paritetico
previsto dalla legge per l'esame della situazione si rivelerebbe
soltanto un rallentamento di una procedura destinata comunque a
concludersi con il prevalere di una delle parti.
4.5 - Da ultimo, sempre in via subordinata alla censura di cui al
punto b, risulta costituzionalmente illegittimo che il potere
sostitutivo statale si traduca nel «provvedere all'intesa» con un
atto unilaterale.
Sembra evidente, infatti, che l'intesa e' per sua natura e per
status costituzionale (art. 116, comma terzo, ed art. 118, comma
terzo) un atto bilaterale formato dallo spontaneo consenso dello
Stato e delle Regioni o della Regione interessata : e che dunque ove
in denegata ipotesi dovesse comunque ammettersi un potere unilaterale
statale sostitutivo ad esso non potrebbe assegnarsi la denominazione
di intesa.
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1, e dell'art.
13, commi 10, 11, 12, in quanto non prevedono che l'autorizzazione
unica all'esercizio degli impianti sia rilasciata previa intesa con
con la Regione interessata.
L'art. 4, comma 1, concerne l'Autorizzazione degli impianti
nucleari. Esso dispone che «la costruzione e l'esercizio degli
impianti nucleari sono considerate attivita' di preminente interesse
statale e come tali soggette ad autorizzazione unica che viene
rilasciata, su istanza dell'operatore e previa intesa con la
Conferenza unificata, con decreto del Ministro dello sviluppo
economico di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e
dei trasporti, secondo quanto previsto nel presente decreto
legislativo».
La procedura per il rilascio dell'autorizzazione e' poi
compiutamente disciplinata dall'articolo 13 (Autorizzazione unica per
la costruzione e l'esercizio degli impianti nucleari e per la
certificazione dell'operatore), il cui comma 10 dispone che «al
compimento dell'istruttoria, l'Agenzia, anche in base all'esito delle
procedure di VIA, rilascia parere vincolante al Ministero dello
sviluppo economico che, sulla base di esso, entro trenta giorni dalla
comunicazione del parere stesso, indice una conferenza di servizi ai
sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241
con l'Agenzia, i Ministeri concertanti, la Regione e gli enti locali
interessati e con tutti gli altri soggetti e le amministrazioni
coinvolti, da individuare sulla base dello specifico progetto, che
non abbiano gia' espresso il proprio parere o la propria
autorizzazione nell'ambito dell'istruttoria svolta dall'Agenzia».
Il comma 11 precisa che «qualora in sede di conferenza di servizi
di cui al comma precedente, non venga raggiunta la necessaria intesa
con un ente locale coinvolto, il Presidente del Consiglio dei
ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, assegna
all'ente interessato un congruo termine per esprimere l'intesa;
decorso inutilmente tale termine, previa deliberazione del Consiglio
dei ministri cui partecipa il presidente della regione interessata
all'intesa, e' adottato, su proposta del Ministro dello sviluppo
economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio e del mare ed il Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
sostitutivo dell'intesa».
Il comma 12 dispone che a seguito di cio', «nei trenta giorni
successivi alla positiva conclusione dell'istruttoria, il Ministro
dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti, rilascia con proprio decreto
l'autorizzazione unica».
Va in primo luogo osservato che al fine di ottenere
l'autorizzazione unica l'operatore titolare del sito certificato
propone (obbligatoriamente ex art.11, comma 11) apposita istanza
contenente, fra l'altro, il progetto definitivo dell'impianto (comma
2, lett.e).
E' dunque solo con l'autorizzazione unica che avviene tra
l'altro, all'interno del sito certificato, la localizzazione concreta
dell'impianto.
Le stesse ragioni sopra invocate per la necessita' dell'intesa
forte con la Regione interessata in relazione alla certificazione dei
siti valgono dunque allo stesso modo in relazione alla autorizzazione
unica.
Anche le disposizioni impugnate dell'art. 4 e dell'art. 13 sono
dunque illegittime, in quanto non prevedono l'intesa «forte» della
Regione interessata.
Al contrario, le disposizioni impugnate neppure sembrano
prevedere la necessita' dell'intesa con la Regione, dal momento che
in esse si parla solo della circostanza che nella Conferenza di
servizi possa non raggiungersi l'intesa «con un ente locale
coinvolto». D'altronde, un'intesa forte per sua natura non puo'
acquisirsi nel quadro delle regole proprie della conferenza di
servizi, le quali prevedono comunque un potere di decisione finale
unilaterale che ne contraddice la natura.
In subordine alla illegittimita' costituzionale per difetto
dell'intesa forte con la Regione interessata va censurata l'omissione
in relazione alla autorizzazione unica della previsione dell'intesa
della stessa Regione interessata nel quadro di una procedura
corrispondente a quella prevista per la certificazione dei siti,
ovviamente emendata dalle illegittimita' costituzionali che anche in
relazione ad essa sono state sopra lamentate.
6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, commi 1 e 2 per
violazione degli artt. 117, comma 3, 118 e del principio di leale
collaborazione.
L'art. 19 del decreto legislativo impugnato, rubricato
Disposizioni in materia di sistemazione dei rifiuti radioattivi, al
primo comma attribuisce al soggetto titolare dell'autorizzazione
unica di cui all'art. 13 del medesimo decreto, la responsabilita'
della «gestione dei rifiuti radioattivi operazionali e del
combustibile nucleare per tutta la durata della vita dell'impianto».
La disposizione vincola tale soggetto al «rispetto delle disposizioni
vigenti nonche' delle prescrizioni tecniche e di esecuzione impartite
dall'Agenzia».
Al secondo comma si precisa che il titolare dell'autorizzazione
unica provvede secondo la normativa vigente «e le prescrizioni di
esecuzione impartite dall'agenzia, al trattamento e condizionamento
dei rifiuti operazionali, al loro smaltimento presso il Deposito
Nazionale ed immagazzinamento del combustibile irraggiato presso il
medesimo Deposito Nazionale».
Appare evidente, pertanto, che la disposizione de qua non solo
richiama la normativa vigente ma rimanda anche ad atti emanati da un
soggetto - l'Agenzia per la sicurezza nucleare - che, ai sensi
dell'art. 29 della legge n. 99/2009 non e' in alcun modo deputato a
rappresentare o comunque a tener conto delle competenze, interessi
giuridicamente rilevanti ed istanze regionali.
La normativa appena citata, infatti, definisce l'Agenzia quale
«la sola autorita' nazionale responsabile per la sicurezza nucleare e
la radioprotezione», svolgente «le funzioni ed i compiti di autorita'
nazionale per la regolamentazione tecnica, il controllo e
l'autorizzazione ai fini della sicurezza delle attivita' concernenti
gli impieghi pacifici dell'energia nucleare, la gestione e la
sistemazione dei rifiuti radioattivi e dei materiali nucleari
provenienti sia da impianti di produzione di elettricita' sia da
attivita' mediche ed industriali, la protezione delle radiazioni,
nonche' le funzioni ed i compiti di vigilanza sulla costruzione,
l'esercizio e la salvaguardia degli impianti e dei materiali
nucleari, comprese le loro infrastrutture e la logistica» (cfr. comma
1, art. 29 cit.).
Anche sotto il profilo della composizione, l'Agenzia e' un organo
collegiale in seno al quale non vi e' alcuna forma di rappresentanza
o coinvolgimento delle regioni (cfr. art. 29, comma 8).
Alla luce di cio', si censura l'art. 19 del d.lgs. n. 31/2010
poiche' incostituzionale nella parte in cui non si prevede che la
«gestione dei rifiuti radioattivi operazionali e del combustibile
nucleare per tutta la durata della vita dell'impianto» (art. 19,
comma 1) ed il «trattamento e condizionamento dei rifiuti
operazionali» nonche' il «loro smaltimento presso il Deposito
Nazionale ed immagazzinamento del combustibile irraggiato presso il
medesimo Deposito Nazionale» (art. 19, comma 2) siano regolamentate
anche dalle «prescrizioni tecniche e di esecuzione impartite
dall'Agenzia» senza che tali prescrizioni siano individuate e
definite di concerto con le Regioni interessate (per i profili
attinenti alle modalita' specifiche di gestione, trattamento,
condizionamento e smaltimento dei rifiuti radioattivi) o quanto meno
previo parere della Conferenza unificata (in ordine alla definizione
delle modalita' generali di gestione, trattamento, condizionamento e
smaltimento dei rifiuti radioattivi).
Infatti, la fattispecie disciplinata dall'art. 19 concerne sotto
molteplici profili materie che l'art. 117, comma 3, attribuisce alla
competenza concorrente Stato-Regioni: quali la «produzione, trasporto
e distribuzione nazionale dell'energia», la «tutela della salute»; la
«protezione civile» e la «tutela della sicurezza del lavoro» nonche'
la materia ambientale.
Con riferimento a quest'ultima materia, la giurisprudenza di
codesta ecc.ma Corte costituzionale ne ha sin dalla sentenza n. 407
del 2002, riconosciuto la natura trasversale precisando che le
interferenze del legislatore statale devono limitarsi
all'individuazione di standard di tutela uniformi sull'intero
territorio nazionale, senza escludere la competenza regionale in
materie di potesta' concorrente o residuale, volta alla cura di
interessi collegati con quelli propriamente ambientali (in senso
conforme cfr. anche sent. n. 223/2003).
Successivamente questo orientamento e' stato confermato dalla
decisione n. 62 del 2005, peraltro concernente proprio un intervento
legislativo volto a realizzare un impianto necessario per lo
smaltimento dei rifiuti radioattivi.
Tale pronuncia, dopo aver ribadito che la competenza statale in
materia ambientale «non esclude la concomitante possibilita' per le
Regioni di intervenire, anche perseguendo finalita' di tutela
ambientale (cfr. sentenze 407/2002, n. 303 del 2003 e n. 259 del
2004), cosi' nell'esercizio delle loro competenze in tema di tutela
della salute e di governo del territorio, ovviamente nel rispetto dei
livelli minimi di tutela apprestati dallo Stato e dell'esigenza di
non impedire od ostacolare gli interventi statali necessari per la
soddisfazione di interessi unitari, eccedenti l'ambito delle singole
regioni», ha precisato che «quando gli interventi individuati come
necessari e realizzati dallo Stato, in vista di interessi unitari di
tutela ambientale, concernono l'uso del territorio, e in particolare
la realizzazione di opere e di insediamenti atti a condizionare in
modo rilevante lo stato e lo sviluppo di singole aree, l'intreccio,
da un lato con la competenza regionale concorrente in materia di
governo del territorio, oltre che con altre competenze regionali,
dall'altro con gli interessi delle popolazioni insediate nei
rispettivi territori, impone che siano adottate modalita' di
attuazione degli interventi medesimi che coinvolgano, attraverso
opportune forme di collaborazione, le Regioni sul cui territorio gli
interventi sono destinati a realizzarsi (cfr. sent. n. 303/2003)».
Appare, pertanto, evidente l'illegittimita' costituzionale della
disposizione che si impugna in questa sede perche' non prevede alcuna
forma di collaborazione o coinvolgimento delle istanze territoriali.
Vi e' stata, quindi, una illegittima attrazione della competenza
a livello statale a disciplinare la materia sia sotto il profilo
normativo sia della regolamentazione delle funzioni amministrative ex
art. 118 Cost. nonche', infine, la lesione del principio di leale
collaborazione non essendovi alcuna previsione di forme di raccordo e
integrazione fra i diversi soggetti coinvolti ed interessati
dall'attivita' disciplinata dall'art. 19.
Sotto quest'ultimo profilo si ricorda che, secondo la
giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, nel concorso tra competenze
statali trasversali e competenze regionali, la legislazione statale
sarebbe legittima solo ove: a) logicamente pertinente e idonea alla
regolazione della materia; b) strettamente proporzionale a tale fine;
c) adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione
dei livelli di governo coinvolti, attraverso strumenti di leale
collaborazione o, comunque, prevedano adeguati meccanismi di
cooperazione per l'esercizio concreto delle funzioni allocate presso
gli organi centrali. (cfr. di recente sent. n. 1 del 2008).
Il principio di leale collaborazione, cioe', impone alla
normativa statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento
delle regioni, a salvaguardia delle loro competenze (cfr. ex multis
sentenze. n.168, n. 63 e n. 50 del 2008; n. 201 del 2007; n. 211 e n.
133 del 2006).
Pertanto, in materie, quale quella oggetto del presente giudizio,
in cui risultano necessariamente ed inestricabilmente connesse
competenze statali e regionali, il principio di leale collaborazione
richiede la messa in opera di procedimenti nei quali tutte le istanze
costituzionalmente rilevanti possano trovare concreta ed effettiva
applicazione; e, sebbene la giurisprudenza costituzionale ammetta che
lo stesso possa essere organizzato in modi diversi, per forme e
intensita', tuttavia esso non puo' mai essere irragionevolmente
compresso o ridotto ad una mera formalita'.
7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 20, comma 1.
L'art. 20 contiene disposizioni in materia di disattivazione
degli impianti.
Tale disposizione, al comma primo, prevede che «all'attivita' di
disattivazione degli impianti attende la Sogin S.p.A. in coerenza con
gli scopi statutari, le linee di indirizzo strategico del Ministro
dello sviluppo economico e del Ministro dell'economia e delle finanze
di cui all'articolo 27, comma 8 della legge 23 luglio 2009, n. 99,
nonche' delle vigenti disposizioni in materia».
Si ricorda che la Societa' Gestione Impianti Nucleari (SOGIN
S.p.A.) e' una societa' avente come unico socio il Ministero
dell'economia e delle finanze ed il preciso compito di controllare,
smantellare, decontaminare e gestire i rifiuti radioattivi.
A parere della scrivente difesa la succitata normativa e'
incostituzionale nella parte in cui non prevede che le modalita'
tecniche di disattivazione degli impianti siano definite d'intesa con
le Regioni interessate o, quanto meno in relazione alla
determinazione dei profili generali, di concerto con la Conferenza
unificata.
7.1 - In primo luogo, si osserva che la determinazione delle
modalita' di disattivazione degli impianti possono astrattamente
essere ricondotte a materie quali la produzione, trasporto e
distribuzione dell'energia, governo del territorio, protezione
civile, nonche' tutela della salute e dell'ambiente, che appartengono
alla competenza ripartita ex art. 117, comma 3, Cost.
In questo contesto lo Stato, in ossequio al principio di leale
collaborazione e del dovere di prevedere forme di coordinamento con
le Regioni, non puo' agire iure imperli ed escludere le Regioni in
ordina all'assunzione di decisioni e modalita' operative che
influiscono direttamente sulla loro sfera di competenza tanto
legislativa quanto amministrativa, ma dovrebbe individuare, d'intesa
con la Conferenza Unificata, le modalita' essenziali e generali di
disattivazione degli impianti.
7.2 - In secondo luogo si osserva anche che, data la rilevanza
degli interessi e delle competenze regionali, la definizione delle
modalita' tecniche di disattivazione degli impianti nucleari dovrebbe
avvenire d'intesa con la o le regioni su cui essi sono localizzati.
Sul punto si deve richiamare nuovamente il concetto di intesa
forte che si desume a partire dalla gia' richiamata sentenza n. 303
del 2003 e che, successivamente, con la decisione n. 62 del 2005, e'
stato esplicitato proprio in materia nucleare.
Da quest'ultima pronuncia si desume il principio secondo cui e'
costituzionalmente necessario tenere in considerazione e tutelare
l'interesse territoriale della Regione in cui si trova l'impianto
nucleare, «non bastando piu', a questo livello, il semplice
coinvolgimento della Conferenza unificata, il cui intervento non puo'
sostituire quello, costituzionalmente necessario, della singola
regione interessata (cfr. sentenze n. 338 del 1994; n. 242 del 1997,
n. 303 del 2003, n. 6 del 2004)».
8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 27, comma 6.
L'art. 27 del decreto legislativo, che in questa sede si censura,
disciplina l'Autorizzazione Unica per la costruzione e l'esercizio
del Parco Tecnologico in cui si dovra' insediare il Deposito
nazionale delle scorie radioattive.
A tal proposito il comma 1 prevede che «Entro sei mesi dalla data
di entrata in vigore del presente decreto legislativo, la Sogin
S.p.A., tenendo conto dei criteri indicati dall'AIEA e dall'Agenzia e
sulla base delle valutazioni derivanti dal procedimento di
Valutazione Ambientale Strategica di cui all'articolo 9, definisce
una proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla
localizzazione del Parco Tecnologico, proponendo al contempo un
ordine di idoneita' delle suddette aree sulla base di caratteristiche
tecniche e socio-ambientali delle aree preliminarmente identificate,
nonche' un progetto preliminare di massima per la realizzazione del
Parco stesso».
Il comma sesto, a sua volta, prevede che: «Il Ministro dello
sviluppo economico acquisito il parere tecnico dell'Agenzia, che si
esprime entro il termine di sessanta giorni, con proprio decreto, di
concerto con il Ministro dell'ambiente, della tutela del territorio e
del mare ed il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, approva
la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla
localizzazione del Parco tecnologico. La Carta e' pubblicata sui siti
della Sogin SpA, dei suddetti Ministeri e dell'Agenzia»
Duplice e' il profilo di censura che si propone in relazione a
quest'ultimo comma.
8.1 - In primo luogo si ripropongono anche in questa sede le
censure gia' mosse in relazione alla illegittimita' costituzionale
dell'art. 5, comma 2 e dell'art. 8 comma 3, del d.lgs. n. 31 del
2010.
Come gia' ampiamente argomentato, infatti, l'art. 25 della legge
delega n. 99/2009 prevedeva espressamente che il Governo avrebbe
dovuto esercitare la delega emanando appositi decreti legislativi
contenenti «la disciplina della localizzazione nel territorio
nazionale[... ], dei sistemi di stoccaggio del combustibile
irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonche' dei sistemi per il
deposito definitivo dei materiali e rffiuti radioattivi».
La norma de qua, chiaramente dispone in senso palesemente
difforme da quanto previsto dal Legislatore delegante poiche' il
Governo ha preferito attribuire al Ministro per lo sviluppo
economico, previa acquisizione del parere tecnico dell'Agenzia, il
potere di emanare un decreto contenente la Carta nazionale delle aree
potenzialmente idonee alla localizzazione del Parco tecnologico.
Si e', quindi, rinviato, ad una fonte normativa non solo
sottoordinata rispetto a quella prevista in sede di delega ma anche -
e soprattutto - ad una fonte che non e' tenuta a rispettare i
requisiti di cui all'art. 14 della legge n. 400 del 1988 e secondo le
modalita' ed i principi direttivi di cui all'art. 20 della legge 15
marzo 1997, n. 59, con conseguente diretta lesione delle
incontestabili competenze ed interessi regionali coinvolti.
8.2 - E' doveroso osservare che l'approvazione della Carta
nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del
Parco Tecnologico avviene senza alcuna forma di efficace
coinvolgimento delle istanze regionali, ne' per il tramite della
previsione dello strumento della consultazione della Conferenza
unificata, ne' tramite il coinvolgimento - sotto forma di intesa
forte - della Regione interessata dalla concreta localizzazione del
Parco Tecnologico.
Il comma 6 dell'art. 27, va, pertanto, ritenuto
costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non sono previste
adeguate forme di coinvolgimento delle Regioni in sede di
determinazione e approvazione dei contenuti della Carta nazionale di
cui sopra.
Il comma 2 dell'art. 27, prevede che il Progetto preliminare
relativo alla localizzazione del Parco Tecnologico tenga conto della
«a) documentazione relativa alla tipologia di materiali radioattivi
destinati al Deposito nazionale (criteri di accettabilita' a
deposito; modalita' di confezionamento accettabili; inventario
radiologico; ecc.); b) dimensionamento preliminare della capacita'
totale del Deposito nazionale, anche in funzione di uno sviluppo
modulare del medesimo; c) identificazione dei criteri di sicurezza
posti alla base del progetto del deposito; d) indicazione delle
infrastrutture di pertinenza del Deposito nazionale; e) criteri e
contenuti per la definizione del programma delle indagini per la
qualificazione del sito; fi indicazione del personale da impiegare
nelle varie fasi di vita del Deposito nazionale, con la previsione
dell'impiego di personale residente nei territori interessati,
compatibilmente con le professionalita' richieste e con la previsione
di specifici corsi di formazione; g) indicazione delle modalita' di
trasporto del materiale radioattivo al Deposito nazionale e criteri
per la valutazione della idoneita' delle vie di accesso al sito; h)
indicazioni di massima delle strutture del Parco Tecnologico e dei
potenziali benefici per il territorio, anche in termini
occupazionali; i) ipotesi di benefici diretti alle persone residenti,
alle imprese operanti nel territorio circostante il sito ed agli enti
locali interessati e loro quantificazione, modalita' e tempi del
trasferimento.
Da quanto sopra esposto appare palese la rilevanza degli
interessi regionali coinvolti nella procedura di localizzazione del
parco Tecnologico poiche' investe direttamente competenze regionali
quali il governo del territorio, la tutela della salute, la
protezione civile, le grandi reti di trasporti e navigazione, la
produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia e la
valorizzazione dei beni culturali e ambientali.
Alla luce di cio', seguendo anche l'ormai ben noto e consolidato
indirizzo interpretativo di codesta ecc.ma Corte, appare evidente la
necessita' che, in sede di determinazione e approvazione della Carta
nazionale di cui all'art. 27 qui analizzato, e' necessario il
coinvolgimento della conferenza unificata nonche', al momento di
procedere alla «specifica localizzazione e alla realizzazione
dell'impianto, l'interesse territoriale da prendere in considerazione
e a cui deve essere offerta sul piano costituzionale, adeguata
tutela, e' quello della Regione nel cui territorio l'opera e'
destinata ad essere ubicata. Non basterebbe piu', a questo livello,
il semplice coinvolgimento della Conferenza Unificata, il cui
intervento non puo' sostituire quello, costituzionalmente necessario,
della singola regione interessata (cfr. sentenze n. 383/1994; n. 242
del 1997, n. 303 del 2002 e 6 del 2004)». (sent. n. 62 del 2005).
Sono, pertanto, del tutto insufficienti e non rispondenti alla
normativa costituzionale, le previsioni di cui ai commi terzo, quarto
e quinto del citato art. 27 atteso che il Governo si e' limitato a
prevedere che una forma di mera audizione delle osservazioni che
comuni, province o regioni possono formulare in relazione al progetto
preliminare della carta nazionale di cui sopra, senza, tuttavia, che
la Sogin S.p.A o il Ministero, abbiano alcun obbligo sostanziale e
formale di tener conto o recepire le istanze degli enti territoriali.
9) Illegittimita' costituzionale dell'art. 27, comma 8.
Approvata la Carta nel modo sopra illustrato, e' previsto (art.
27, comma 7), che o sulla base di dichiarazioni di interesse di
Regioni ed enti locali, o (in assenza di manifestazioni d'interesse)
sulla base di trattative intraprese di propria iniziativa, la Sogin
SpA pervenga alla definizione di una o piu' ipotesi relative alla
localizzazione del «Parco Tecnologico», e che su tale base «il
Ministero dello sviluppo economico acquisisce l'intesa delle Regioni
interessate».
Il comma 8 prevede il caso «di mancata definizione dell'intesa di
cui al comma 7 entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento
della richiesta».
Esso dispone che in tale caso «si provvede entro trenta giorni
alla costituzione di un Comitato interistituzionale per tale intesa,
i cui componenti sono designati in modo da assicurare una
composizione paritaria, rispettivamente, dal Ministero dello sviluppo
economico, dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio
e del mare e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da
un lato, e dalla Regione, dall'altro».
Si dispone, di seguito, che «le modalita' di funzionamento del
Comitato interistituzionale sono stabilite entro il medesimo termine
con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il
Ministro dell'ambiente della tutela del territorio e del mare e del
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti previo parere della
Conferenza unificata da esprimere entro trenta giorni dalla richiesta
del parere stesso».
Infine, si dispone che «ove non si riesca a costituire il
predetto Comitato interistituzionale, ovvero non si pervenga ancora
alla definizione dell'intesa entro i sessanta giorni successivi, si
provvede all'intesa con decreto del Presidente della Repubblica,
previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, integrato con la
partecipazione del presidente della Regione interessata».
Come e' evidente, si tratta di disposizioni pienamente
corrispondenti a quelle dell'art. 11, comma 6: medesima soluzione al
medesimo problema del dissenso della Regione interessata, prima
attraverso il Comitato paritetico, poi - ove non venga costituito o
non si raggiunga l'intesa - attraverso il potere sostitutivo dello
Stato.
Tuttavia, secondo quanto stabilito da codesta ecc.ma Corte
costituzionale nella sentenza n. 62 del 2005 (relativa tra l'altro,
alla legittimita' del d.l. n. 314/03, convertito in legge n. 368 del
2003, recante «Disposizioni urgenti per la raccolta, lo smaltimento e
lo stoccaggio, in condizioni di massima sicurezza, dei rifiuti
radioattivi») viene qui in considerazione la competenza esclusiva
statale in materia di tutela dell'ambiente, sia pure intrecciata con
la competenza regionale concorrente in materia di governo del
territorio e con gli interessi delle popolazioni insediate nei
rispettivi territori: il che impone che siano adottate modalita' di
attuazione degli interventi medesimi che coinvolgano, attraverso
opportune forme di collaborazione, le Regioni sul cui territorio gli
interventi sono destinati a realizzarsi.
Pur non potendosi dunque in questo caso - che coinvolge anche una
materia di competenza esclusiva statale - negare il potere statale di
determinazione finale unilaterale, devono tuttavia essere richiamate,
trattandosi della localizzazione dell'opera e delle attivita'
strumentali alla gestione delle centrali nucleari - le altre censure
sopra formulate in relazione all'art. 11, comma 6: sia in relazione
alla mancata previsione dell'intesa della Conferenza sulle regole di
funzionamento del Comitato interistituzionale, sia quanto alle
censure subordinate relative da un lato alla mancata esclusione del
potere sostitutivo per le ipotesi in cui sia l'atteggiamento non
collaborativo statale a determinare la mancata costituzione del
Comitato o il mancato accordo sul da farsi, dall'altro alla
illegittimita' della previsione di una intesa formata unilateralmente
dallo Stato, anziche' di un semplice atto unilaterale dello Stato.
10) Illegittimita' costituzionale dell'art. 27, comma 11.
L'art. 27, comma 11, riguarda la fase di determinazione finale
della localizzazione del Parco Tecnologico e del Deposito Nazionale.
Vi si dispone che il Ministro dello sviluppo economico, di
concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio
e del mare e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti,
sentito il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca
per gli aspetti relativi all'attivita' di ricerca, sulla base della
proposta formulata dalla Sogin S.p.A e del parere vincolante
dell'Agenzia, individua con proprio decreto il sito per la
realizzazione del Parco Tecnologico e ne attribuisce il diritto di
svolgere le attivita' di cui al presente articolo in via esclusiva
alla stessa Sogin S.p.A.
La disposizione appare illegittima in quanto - pur dovendosi
considerare acquisita l'intesa della Regione interessata (o la
determinazione sostitutiva) nelle fasi precedenti della procedura -
non e' prevista l'intesa della Conferenza unificata.
Sia consentito di richiamare qui il passo della citata sentenza
n. 62 del 2005, a termini del quale «e' corretto il coinvolgimento
che il decreto-legge attua, delle Regioni e delle autonomie locali
nel loro insieme, attraverso la Conferenza unificata
Stato-Regioni-autonomie locali, chiamata a cercare l'intesa sulla
individuazione del sito (art. 1, comma 1, del decreto-legge
impugnato)».
Non e' corretto, invece, che tale intesa non sia prevista, come
nel presente caso, essendo fuori discussione l'interesse delle
Regioni a partecipare alla corretta scelta del sito del Deposito
nazionale e del Parco tecnologico.
11) Illegittimita' costituzionale dell'art. 27, commi 14, 15 e 16.
I commi 14, 15 e 16 disciplinano il rilascio dell'autorizzazione
unica per la costruzione e l'esercizio del Deposito nazionale e di
tutte le altre opere connesse comprese nel Parco Tecnologico.
Il comma 14 dispone che «l'Agenzia, anche in base all'esito delle
procedure di VIA, rilascia parere vincolante al Ministero dello
sviluppo economico che, sulla base di esso, entro trenta giorni dalla
comunicazione del parere stesso, indice una conferenza di servizi ai
sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241
con i Ministeri concertanti, la Regione e gli enti locali interessati
e con tutti gli altri soggetti e le amministrazioni coinvolti, da
individuare sulla base dello specifico progetto, che non abbiano gia'
espresso il proprio parere o la propria autorizzazione nell'ambito
dell'istruttoria svolta dall'Agenzia».
Il comma 15 a sua volta dispone che «qualora in sede di
conferenza di servizi di cui al comma 14, non venga raggiunta la
necessaria intesa con un ente locale coinvolto, il Presidente del
Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo
economico, assegna all'ente interessato un congruo termine per
esprimere l'intesa; decorso inutilmente tale termine, previa
deliberazione del Consiglio dei ministri cui partecipa il presidente
della regione interessata all'intesa, e' adottato, su proposta del
Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti, decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri sostitutivo dell'intesa».
Secondo il comma 16, infine, «nei trenta giorni successivi alla
positiva conclusione dell'istruttoria, il Ministro dello sviluppo
economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e
dei trasporti, rilascia con proprio decreto l'autorizzazione unica,
disponendone la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana e nei siti Internet dei relativi Ministeri e
dell'Agenzia.».
Anche tale disposizione non prevede l'intesa con la Conferenza
unificata, ed e' dunque costituzionalmente illegittima per le stesse
ragioni esposte sopra in relazione all'art. 27, comma 11, in
relazione alla individuazione del sito.
P. Q. M.
Chiede voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il
ricorso, dichiarando l'illegittimita' costituzionale delle
disposizioni indicate in epigrafe, nei termini e sotto i profili
esposti nel presente ricorso.
Padova - Roma, addi' 5 maggio 2010
Prof. Avv. Giandomenico Falcon - Avv. Rosaria Russo Valentini
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