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N. 76 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 20 giugno 2006. |
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Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 20 giugno 2006 (della Regione Puglia)
(GU n. 32 del 9-8-2006) |
Rirocorso ta la Regione Puglia (c.f. 80017210727), in persona del
presidente della giuinta regionale dott. Nicola Vendola, difeso - in
forza di procure speciali a margine del primo e del secondo foglio
del presente atto, distintamente conferite in ragione delle due
deliberazioni della giunta regionale n. 653 del 23 maggio 2006 e
n. 740 del 6 giugno 2006 - dall'avv. Fabrizio Lofoco, con studio in
Roma, in viale G. Mazzini n. 6, presso cui elettivamente domicilia,
ricorrente;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, difeso ex lege
dall'Avvocatura generale dello Stato in Roma, per la dichiarazione di
illegittimita' costituzionale del decreto legislativo n. 152 del 3
aprile 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile
2006, avente ad oggetto «Norme in materia ambientale», con
particolare riferimento agli articoli (contenuti nella parte seconda,
la cui entrata in vigore e' stata differita di centoventi giorni
rispetto alla pubblicazione):
6, relativo alla «Commissione tecnico-consultiva per le
valutazioni ambientali»; 15, relativo ai «Piani e programmi
sottoposti a vas in sede statale», comma 1; 19, relativo alla
«Procedura di verifica preventiva», comma 2; 25, relativo alle
«Competenze e procedure» in materia di V.I.A., comma 1, lettera a);
26, relativo alla «Fase introduttiva del procedimento» di V.I.A.,
comma 3; 42, relativo ai «Progetti sottoposti a via in sede regionale
o provinciale», comma 3;
Nonche' per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale,
previa sospensione dell'esecuzione, degli articoli:
58, relativo alle «Competenze del Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio» in materia di difesa del suolo e lotta
alla desertificazione, comma 3, lettere a) e b); 59, relativo alle
Competenze della conferenza Stato-Regioni» in materia di difesa del
suolo e di lotta alla desertificazione; 63, relativo alla «Autorita'
di bacino distrettuale», comma 3; 64, relativo ai «Distretti
idrografici»; 91, relativo alle «Aree sensibili», in materia di
tutela dei corpi idrici e disciplina degli scarichi, comma 2; 101,
relativo ai «Criteri generali della discilina degli scarichi», comma
7; 104, relativo agli «Scarichi nel sottosuolo e nelle acque
sotterranee»; 121, relativo ai «Piani di tutela delle acque», comma
2; 154, relativo alla «Tariffa del servizio idrico integrato»; 155,
relativo alla «Tariffa del seivizio di fognatura e depurazione»; 181,
relativo al «Recupero dei rifiuti», commi da 7 a 11; 183, relativo
alle «Definizioni» in materia di rifiuti, comma 1; 186, relativo alle
«Terre e rocce da scavo»; 189, relativo al «Catasto dei rifiuti»,
comma 3; 214, relativo alla «Determinazione delle attivita' e delle
caratteristiche dei rifiuti per l'ammissione alle procedure
semplificate», commi 3 e 5; 281 relativo alle «Disposizioni
transitorie e finali», comma 10, in materia di tutela dell'aria e di
riduzione delle emissioni in atmosfera; 299, relativo alle
«Competenze ministeriali» in materia di tutela risarcitoria per i
danni all'ambiente, comma 5; 300, relativo al «Danno ambientale»,
comma 1; 306, relativo alla «Determinazione delle misure per il
ripristino ambientale», commi 1, 2 e 5, per la violazione degli
artt. 5, 76, 117, 118, 119 della Costituzione, e del principio di
leale collaborazione.
Premessa
A) Con legge n. 308 del 15 dicembre 2004, il Governo veniva
delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in
vigore, uno o piu' decreti legislativi per il riordino, il
coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia
ambientale, che avrebbero dovuto conformarsi, «nel rispetto dei
principi e delle norme comunitarie e delle competenze per materia
delle amministrazioni statali, nonche' delle attribuzioni delle
regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'art. 117
della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e fatte salve le norme statutarie
e le relative norme di attuazione delle regioni a statuto speciale e
delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e del principio di
sussidiarieta», ai criteri direttivi generali fissati al comma 8,
dell'art. 1 della legge medesima.
In particolare, tra tali criteri direttivi veniva indicato quello
di «riaffermazione del ruolo delle regioni, ai sensi dell'art. 117
della Costituzione, nell'attuazione dei principi e criteri direttivi
ispirati anche alla interconnessione delle normative di settore in un
quadro, anche procedurale, unitario, alla valorizzazione del
controllo preventivo del sistema agenziale e rispetto al quadro
sanzionatorio amministrativo e penale, nonche' alla promozione delle
componenti ambientali nella formazione e nella ricerca» (punto «m»
del comma 8, dell'art. 1 della legge n. 308/2004).
B) Orbene, nella seduta del Consiglio dei ministri del 18
novembre 2005, veniva approvato uno schema di decreto legislativo,
avente ad oggetto «Norme in materia ambientale», il cui testo veniva
trasmesso alle regioni in data 29 novembre 2005.
C) In relazione a tale schema, e con riferimento sia al contenuto
che al metodo utilizzato, nella seduta della Conferenza unificata del
26 gennaio 2006 veniva espresso dalle regioni e dalle Province
autonome di Trento e Bolzano un parere nettamente negativo, in cui si
evidenziava il rischio di «... problemi di certezza del diritto e la
sostanziale paralisi dell'azione pubblica in campo ambientale, data
l'incompatibilita' delle norme regionali vigenti con quelle dello
schema di decreto in assenza di norme transitorie e di salvaguardia».
Tuttavia, malgrado il parere sfavorevole delle regioni e
l'assenza del parere obbligatorio del Consiglio di Stato (di cui
all'art. 17, comma 25, della legge n. 127/1997), che determinavano
una richiesta di chiarimenti da parte del Presidente della
Repubblica, il decreto, con alcune modifiche, veniva comunque
approvato dal Consiglio dei ministri, e quindi promulgato in data 3
aprile 2006.
D) Dunque, il d.lgs. n. 152/2006, cosi' come predisposto dal
Governo, risulta, sia sotto l'aspetto della procedura seguita per
l'approvazione, sia sotto l'aspetto contenutistico, profondamente
lesivo del ruolo e delle competenze legislative ed amministrative
riconosciute alle regioni in materia ambientale, e comunque
discordante con quanto al riguardo prescritto nella legge di delega
n. 308/2004, oltre che con i fondamentali principi di sussidiarieta'
e di leale collaborazione.
Cio' si riscontra, in particolare, con riferimento agli articoli
indicati in epigrafe, di cui si chiede che venga dichiarata
l'illegittimita' costituzionale alla stregua dei seguenti
M o t i v i
1) Illegittimita' costituzionale degli artt. 6, 15, comma 1, e
19, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 5, 76
e 118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione.
1.a.) L'art. 6, relativo alla «Commissione tecnico-consultiva per
le valutazioni ambientali», prescrive che «Con decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio, e' istituita, presso il Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio, la Commissione
tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali. Con il medesimo
decreto sono stabilite la durata e le modalita' per l'organizzazione
ed il funzionamento della Commissione stessa».
Tale Commissione provvede in via generale ad istruire i
procedimenti e quindi ad emettere tutte le valutazioni in materia
ambientale (ovvero la Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.), la
Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.) e l'autorizzazione
ambientale strategica (I.P.P.C.) relative a piani, programmi e
progetti di opere ed interventi di competenza statale.
Deve pero' rilevarsi che l'articolo in questione non prevede,
nell'ambito dei suddetti procedimenti, alcuna forma di partecipazione
o di coinvolgimento delle regioni il cui territorio sia di volta in
volta direttamente interessato dai piani e progetti medesimi.
Cio' in quanto la stessa Commissione opera di norma attraverso
sottocommissioni, la cui composizione ordinaria non risulta integrata
da rappresentanti regionali, essendo previsto, al comma 6, che solo
qualora siano riscontrati «... specifici interessi regionali
coinvolti dall'esercizio di un'attivita' soggetta alle norme di cui
alla parte seconda del presente decreto, la relativa sottocommissione
e' integrata dall'esperto designato da ciascuna delle regioni
direttamente interessate per territorio dall'attivita».
Qualora poi le regioni non provvedano a tale designazione, «...
la sottocommissione e' costituita nella composizione ordinaria e
procede comunque all'istruttoria affidatale».
Dunque, gli esperti designati dalle regioni assumono un ruolo del
tutto marginale, in quanto l'intervento di tali esperti viene
previsto soltanto in via eventuale (tenendo presente che le procedure
in oggetto coinvolgono sempre ed in ogni caso gli interessi delle
regioni sul cui territorio esse ricadono), ed inoltre perche', in
mancanza della designazione da parte delle regioni interessate, la
commissione ministeriale puo' portare a termine il procedimento di
propria competenza anche senza che queste abbiano in qualche modo
espresso il proprio parere in merito.
Deve allora dedursi che manchi del tutto la previsione di una
forma di intesa o di collaborazione con le regioni coinvolte, dato
che cio' non puo' ritenersi comunque garantito dalla composizione
della Commissione, cosi' come introdotta dall'art. 6, che e' dunque
costituzionalmente illegittimo.
1.b.) L'assoluta mancanza di partecipazione delle regioni puo'
evincersi anche dalla formulazione dell'art. 15, comma 1, del decreto
in oggetto, relativo ai «Piani e programmi sottoposti a vas in sede
statale», che si limita a prevedere la sottoposizione alla
valutazione ambientale strategica dei «... piani e programmi di cui
all'art. 7 la cui approvazione compete ad organi dello Stato», senza
minimamente contemplare un intervento regionale nel procedimento,
malgrado gli indiscutibili effetti sul territorio dei piani e
programmi in questione.
Inoltre, l'art. 19, comma 2, relativamente alla «Procedura di
verifica preventiva» in materia di valutazione ambientale strategica
in sede statale, dispone che «La verifica e' eseguita dall'autorita'
competente all'approvazione dei piani o dei programmi, su istanza del
proponente ed acquisito il parere della Commissione di cui
all'art. 6».
Dunque, nell'ipotesi di piani e programmi di competenza statale,
anche la fase di verifica dei presupposti per la loro sottoposizione
alla procedura di valutazione ambientale strategica viene affidata
unicamente al Ministro dell'ambiente, cosi' eludendo qualsiasi
possibile partecipazione delle regioni interessate.
Cio' e' confermato anche dalla composizione della stessa
Commissione tecnico-consultiva di cui deve essere acquisito il
parere, dato che questa, come gia' evidenziato, non prevede
necessariamente la presenza degli esperti di nomina regionale.
Le norme impugnate, pertanto, si pongono in contrasto:
con l'art. 5 della Costituzione, in quanto non risultano
idonee a soddisfare le esigenze specifiche delle autonomie locali,
mancando totalmente la previsione di un'effettiva consultazione delle
stesse;
con l'art. 76 della Costituzione, per eccesso di delega,
posto che la legge n. 308/2004, che delegava il Governo ad adottare
una normativa di riordino, coordinamento ed integrazione in materia
ambientale, aveva espressamente prescritto il rispetto «... delle
attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai
sensi dell'art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997,
n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e fatte salve
le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a
statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e
del principio di sussidiarieta», ed aveva imposto, tra i principi e i
criteri direttivi generali, la riaffermazione del ruolo regionale,
nonche', tra i principi e i criteri specifici, la valorizzazione del
ruolo e delle competenze svolti dagli organismi a composizione mista
statale e regionale (cfr. art. 8, punto m, ed art. 9, punto c);
con l'art. 118 della Costituzione, che prevede l'assunzione
da parte dello Stato di determinate funzioni amministrative solo
qualora sia palesemente ravvisabile un'esigenza di esercizio unitario
delle funzioni medesime.
Infatti, e' evidente che la gestione degli interessi pubblici
debba essere generalmente affidata ai soggetti istituzionali piu'
vicini ai portatori di tali interessi, essendo essi in grado di
attuarla in modo piu' adeguato ed efficace.
Cio' manca del tutto nel caso di specie, perche' e' innegabile la
necessita' di tener conto delle specifiche esigenze delle singole
regioni interessate.
A tale riguardo, codesta sovrana Corte ha gia' ritenuto che i
principi di sussidiarieta' e di adeguatezza sanciti dalla suddetta
norma costituzionale (art. 118) impongono che l'esercizio statale di
funzioni regionali sia proporzionato e ragionevole, e che comunque
implichi il coinvolgimento della regione interessata.
Infatti, «Per giudicare se una legge statale ... sia invasiva
delle attribuzioni regionali o non costituisca invece applicazione
dei principi di sussidiarieta' e adeguatezza diviene elemento
valutativo essenziale la previsione di un'intesa fra lo Stato e le
regioni interessate, alla quale sia subordinata l'operativita' della
disciplina» (da ultimo, sentenza Corte cost. n. 214 del 1° giugno
2006).
Pertanto, sotto tali profili, e con riferimento al principio di
leale collaborazione tra Stato e regioni, le disposizioni impugnate
sono da ritenersi costituzionalmente illegittime, per il fatto che
non solo non prevedono alcuna preventiva concertazione con le
regioni, ma non esprimono neanche l'esigenza della loro
consultazione.
2) Illegittimita' costituzionale degli artt. 25, comma 1, lettera
a), 26, comma 3, e 42, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, per
violazione degli artt. 5, 76, 117 e 118 della Costituzione.
2.a.) L'art. 25, relativo alle «Competenze e procedure» in
materia di valutazione di impatto ambientale, dispone, al comma 1,
lettera a), che questa compete «per i progetti di opere ed interventi
sottoposti ad autorizzazione statale e per quelli aventi impatto
ambientale interregionale o internazionale, al Ministro dell'ambiente
e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro per i beni
e le attivita' culturali, secondo le disposizioni di cui al presente
capo I ed al capo II».
Anche in ordine a tale disposizione dunque, possono svolgersi
considerazioni analoghe a quelle in precedenza dedotte, essendo
evidente che, malgrado la (notevole) incidenza dei progetti in
questione sul territorio di piu' regioni, queste risultano del tutto
pretermesse dalla procedura di valutazione di impatto ambientale, che
viene affidata interamente al potere statale.
2.b.) Inoltre, l'art. 26, relativo alla «Fase introduttiva del
procedimento» di V.I.A., pur prescrivendo la trasmissione
dell'apposita domanda e dello studio di impatto ambientale alle
regioni ed agli enti locali interessati, nonche', in caso di aree
naturali protette, agli enti di gestione, che devono esprimere il
loro parere entro sessanta giorni, tuttavia, al comma 3, stabilisce
che «In ragione delle specifiche caratteristiche dimensionali e
funzionali dell'opera o intervento progettato, ovvero in ragione del
numero degli enti locali potenzialmente interessati e della
dimensione documentale del progetto e del relativo studio di impatto
ambientale, il committente o proponente, attivando a tal fine una
specifica fase preliminare, puo' chiedere di essere in tutto o in
parte esonerato dagli adempimenti di cui al comma 2 ...».
Diviene cosi' possibile, in considerazione delle «dimensioni» del
progetto, eludere del tutto l'obbligo (anche solo) di informare gli
enti locali direttamente coinvolti dal progetto medesimo, e perfino
gli enti di gestione delle aree naturali protette.
Cio' e' vieppiu' contraddittorio, perche' proprio un progetto che
coinvolga piu' regioni dovrebbe essere il frutto di concertazione e
coordinamento tra di esse.
Per di piu', anche nel caso dei «Progetti sottoposti a via in
sede regionale o provinciale», disciplinati dall'art. 42 del decreto
in oggetto, si dispone, al comma 3, che qualora «... l'opera o
intervento progettato puo' avere impatti rilevanti anche sul
territorio di altre regioni o province autonome o di altri Stati
membri dell'Unione europea, l'autorita' competente con proprio
provvedimento motivato si dichiara incompetente e rimette gli atti
alla Commissione tecnico-consultiva di cui all'art. 6 per il loro
eventuale utilizzo nel procedimento riaperto in sede statale».
Si giunge quindi a prevedere un'ipotesi di piena sostituzione
dello Stato agli organi regionali, con la rimessione coattiva alla
Commissione ministeriale degli atti relativi a progetti di competenza
regionale o provinciale, che e' da ritenere del tutto ingiustificata,
dal momento che, in alternativa, si puo' comunque ricorrere, in caso
di interventi riguardanti il territorio di diverse regioni, alla
conclusione di accordi diretti tra queste ultime.
Cio' comporta di fatto un automatico accentramento delle
competenze in materia in capo al Ministero dell'ambiente, in palese
contrasto con il decentramento amministrativo e con il principio di
sussidiarieta'.
Deve allora eccepirsi, anche riguardo alle disposizioni in esame,
la violazione degli artt. 5 e 76 della Costituzione - in relazione
alla mancata previsione di qualsiasi forma di partecipazione delle
regioni al procedimento in questione, ed alla mancata valorizzazione
del ruolo di queste ultime, che costituiva uno dei principi direttivi
della legge di delega n. 308/2004 - oltre che la violazione dei
principi di ragionevolezza e di leale collaborazione.
Inoltre, occorre tenere presente che le diverse normative
regionali in materia di V.I.A. gia' garantivano il coordinamento
delle regioni direttamente interessate dai progetti aventi un impatto
ambientale interregionale, attraverso forme di informazione e
consultazione, o di vera e propria intesa tra le stesse regioni.
In particolare, la legge n. 11 del 12 aprile 2001 della Regione
Puglia, all'art. 19, prevede che «Nel caso di progetti che risultino
localizzati sul territorio di piu' regioni, la giunta regionale
effettua la procedura di V.I.A. e delibera la valutazione di impatto
ambientale d'intesa con le regioni cointeressate.
Nel caso di progetti che possono avere impatti rilevanti
sull'ambiente di altre regioni confinanti, l'autorita' competente e'
tenuta a informare e ad acquisire anche i pareri delle regioni
interessate».
Alla luce di cio', le disposizioni impugnate sono in contrasto
anche con l'art. 117 della Costituzione, in quanto, nel disciplinare
una materia che puo' ricondursi a quelle di «governo del territorio»
e di valorizzazione dei beni ambientali, rientranti nella potesta'
legislativa concorrente delle regioni, non si limita a dettare i
principi fondamentali, come sancito dal terzo comma della suddetta
norma costituzionale, ma regolano analiticamente il procedimento di
V.I.A., ponendo nel nulla quanto gia' stabilito al riguardo dalle
leggi regionali.
D'altra parte, in materia di tutela dell'ambiente, codesta Corte
ha gia' piu' volte affermato che: «... l'evoluzione legislativa e la
giurisprudenza costituzionale portano ad esdudere che possa
identificarsi una "materia" in senso tecnico, quafificabile come
"tutela dell'ambiente" dal momento che non sembra configurabile come
sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata,
giacche' al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente
con altri interessi e competenze. In particolare, dalla
giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del
titolo V della Costituzione e' agevole ricavare una configurazione
dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in
quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine
alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere
regionali, spettando allo Stato il compito di fissare standard di
tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, sicche' in tale
settore la competenza esclusiva dello Stato non e' incompatibile con
interventi specifici del legislatore regionale che si attengano alle
proprie competenze ...» (per tutte, sentenze Corte cost. n. 407 del
26 luglio 2002, e n. 259 del 22 luglio 2004).
In ogni caso, anche senza porre in discussione la scelta di
dettare, nel caso di progetti destinati ad avere effetti in un ambito
sovraregionale, una normativa uniforme su tutto il territorio
nazionale, tuttavia non appare giustificabile, sulla base del
disposto dell'art. 118 della Costituzione e dei principi di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, l'esclusione delle
regioni interessate da qualunque forma di cooperazione, dato che «...
l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme
alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare
a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza
di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto
risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale,
ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio
di lealta» (sentenza Corte cost. n. 303 del 1° ottobre 2003).
Le norme qui gravate sono dunque costituzionalmente illegittime
perche' comprimono qualsiasi possibilita' di partecipazione
regionale.
3) Illegittimita' costituzionale degli artt. 58, comma 3, lettere
a) e b), 59 e 281, comma 10, del d.lgs. n. 152/2006, per violazione
degli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione.
L'art. 58, relativo alle «Competenze del Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio» in materia di difesa del suolo e di
lotta alla desertificazione, indica, al comma 3, lettere a)e b), le
funzioni svolte dal Ministero in tale materia, che consistono nella
programmazione, finanziamento e controllo degli interventi, nonche'
nella previsione, prevenzione e difesa del suolo da frane, alluvioni
ed altri fenomeni di dissesto idrogeologico.
Anche con riferimento a tale disposizione puo' riscontrarsi una
illegittima concentrazione di funzioni in capo al Ministero, ed una
marcata riduzione del ruolo delle regioni, tenendo presente che si
tratta di una materia senz'altro riconducibile al «governo del
territorio», che il terzo comma dell'art. 117 Cost. affida alla
potesta' legislativa concorrente delle regioni medesime.
Non puo' infatti escludersi, anche in questo settore, la
sussistenza di una serie di insopprimibili competenze regionali,
finalizzate alla cura di interessi «costituzionalmente rilevanti e
funzionalmente collegati con quelli inerenti in via primaria alla
tutela dell'ambiente» (cfr. la gia' citata sentenza della Corte
costituzionale n. 407 del 26 luglio 2002).
Inoltre, in base alla previsione del successivo art. 59,
l'intervento regionale nella materia in questione si riduce alla mera
formulazione di pareri, proposte ed osservazioni, da esercitarsi
esclusivamente in sede di Conferenza Stato-regioni, della quale
peraltro non si individuano specificamente le modalita' operative,
ne' la valenza da attribuire ai contributi da essa forniti.
Le regioni, in sostanza, non hanno alcuna voce in capitolo, e
quand'anche la esprimessero, non sarebbe determinante ai fini delle
valutazioni in sede legislativa.
D'altra parte, tale generale propensione del decreto in oggetto
ad assegnare un ruolo preminente ed esclusivo al Ministero
dell'ambiente, anche con finalita' di controllo delle competenze
regionali, puo' evincersi anche dalla disposizione di cui al comma 10
dell'art. 281, (contenuta nella parte quinta, relativa alla tutela
dell'aria e della riduzione delle emissioni in atmosfera) che
prevede, perfino in sede di adozione dei piani o programmi e di
rilascio delle autorizzazioni da parte delle regioni e delle province
autonome, la necessita' di un'intesa con lo stesso Ministro
dell'ambiente e con il Ministro della salute, allo scopo di fissare
limiti piu' restrittivi alle emissioni.
Pertanto, si rileva la violazione dell'art. 76 Cost. per
contrasto con i principi generali richiamati dalla legge di delega, e
degli artt. 117, comma 3, e 118, a causa della assoluta preponderanza
dei poteri riconosciuti al Ministero dell'ambiente, il quale gestisce
tutte le fasi del procedimento diretto alla tutela ed al risanamento
del suolo e del sottosuolo, nonche' controlla l'esercizio di funzioni
amministrative prettamente regionali, in senso opposto al principio
di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza.
4) Illegittimita' costituzionale degli artt. 63, comma 3, 64 e
121, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 76,
117, comma 3, e 118 della Costituzione.
4.a.) L'art. 63 istituisce, nei diversi distretti idrografici
indicati dal successivo art. 64, le «Autorita' di Bacino
distrettuali», limitandosi ad individuarne gli organi, ovvero la
Conferenza istituzionale permanente, il Segretario generale, la
Segreteria tecnico-operativa e la Conferenza operativa di servizi,
senza pero' specificare le modalita' operative, nonche' i tempi e le
procedure di nomina di tali Autorita', e senza definire in alcun modo
i compiti spettanti alla Conferenza operativa di servizi.
Lo stesso art. 63 poi, al comma 3, dispone che «Le autorita' di
bacino previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono soppresse a
far data dal 30 aprile 2006 e le relative funzioni sono esercitate
dalle Autorita' di bacino distrettuale di cui alla terza parte del
presente decreto» (ovvero la stessa parte in cui la norma e'
inserita).
Orbene, la previsione della soppressione delle Autorita' di
Bacino di cui alla legge n. 183/1989 a partire dal 30 aprile 2006,
ovvero prima che potessero essere istituite le nuove Autorita' di
Bacino distrettuali (quindi in assenza di una disciplina transitoria
che evitasse un pericoloso vuoto di potere e di conseguenza una
sospensione delle attivita' svolte dalle prime), rappresenta senza
dubbio una fonte di grave rischio per gli interessi pubblici
ambientali.
D'altra parte, a tale riguardo, la disposizione impugnata prevede
unicamente che, con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, «sentita la Conferenza permanente Stato-regioni», vengano
definiti «i criteri e le modalita' per l'attribuzione o il
trasferimento del personale e delle risorse patrimoniali e
finanziarie...», ma non quelli per la nomina degli stessi organi.
Cio' oltretutto fa ritenere che si tratti di soggetti designati
dal Governo, senza alcuna intesa o partecipazione regionale, non
essendo espressamente contemplata, in sede di nomina, l'emissione di
un parere da parte della Conferenza Stato-regioni.
Cio' comprime vieppiu' le potesta' regionali, che non trovano
alcuno spazio di applicazione.
4.b.) Inoltre, l'art. 64 suddivide «l'intero territorio
nazionale» in otto Distretti idrografici, comprensivi dei bacini gia'
definiti dalla legge n. 183/1989 come nazionali, interregionali e
regionali, e di dimensioni tali da non consentire di tenere conto
delle notevoli differenze morfologiche esistenti tra i territori in
essi accorpati.
Le zone create sono molto piu' ampie di quanto disposto prima,
con aggravio delle necessita' organizzative e di coordinamento.
Tale suddivisione appare dunque disomogenea ed arbitraria, in
quanto, ancora una volta, stabilita in assenza del contributo delle
regioni, che peraltro svolgevano in precedenza tutte le funzioni
relative alla gestione dei bacini interregionali e regionali.
Deve anche considerarsi che la direttiva 2000/60/CE, contenente i
principi per l'azione comunitaria in materia di acque, al punto 13
del preambolo, prescrive espressamente che «le diverse condizioni ed
esigenze riscontrabili all'interno della Comunita' richiedono
l'adozione di soluzioni specifiche. E' opportuno tener conto di tale
diversita' nella programmazione e nell'esecuzione di misure atte a
garantire la protezione ed un utilizzo sostenibile delle acque
nell'ambito del bacino idrografico. Le decisioni dovrebbero essere
adottate al livello piu' vicino possibile ai luoghi di utilizzo
effettivo o di degrado delle acque. Si dovrebbero privilegiare le
azioni che rientrino fra le competenze degli Stati membri, attraverso
programmi di misure adeguati alle condizioni regionali e locali».
Eppure, in ambito europeo, si riconosce alle regioni una
peculiare situazione di necessario intervento ai fini che ci
occupano: di tale traccia il decreto impugnato non tiene adeguato
conto.
4.c.) Sotto diverso profilo, l'art. 121 del decreto in oggetto,
relativo ai «Piani di tutela delle acque» (contenuto nella sezione
II, riguardante la «Tutela delle acque dall'inquinamento»), al comma
2, dopo aver disposto che le Autorita' di Bacino definiscono gli
obiettivi cui devono attenersi i piani di tutela delle acque e le
priorita' degli interventi, prevede che «Entro il 31 dicembre 2007,
le regioni, sentite le province e previa adozione delle eventuali
misure di salvaguardia, adottano il Piano di tutela delle acque e lo
trasmettono al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio
nonche' alle competenti Autorita' di Bacino, per le verifiche di
competenza».
Dunque, anche le basilari potesta' di pianificazione e
programmazione, spettanti in via esclusiva alle regioni, sono
sottoposte alla verifica ed al controllo del Ministero, oltre che
delle stesse Autorita' di Bacino.
Pertanto, con riferimento a tali disposizioni, deve farsi valere
la violazione della legge di delega n. 308/2004, anche in
considerazione della completa revisione delle competenze in materia,
operata con l'introduzione delle nuove Autorita' di Bacino e la
determinazione dei nuovi distretti idrografici, che va ben oltre il
riordino, il coordinamento e la semplice integrazione della
disciplina gia' esistente.
In ogni caso, tale revisione avrebbe richiesto il rispetto delle
attribuzioni delle regioni e degli enti locali e del ruolo da essi
assunto in materia ambientale, cosi' come prescritto dalla suddetta
legge.
D'altra parte, la legge delega, tra i principi e criteri
specifici indicati al comma 9 dell'art. 1, prescriveva anche di
«rimuovere i problemi di carattere organizzativo, procedurale e
finanziario che ostacolino il conseguimento della piena operativita'
degli organi amministrativi e tecnici preposti alla tutela e al
risanamento del suolo e del sottosuolo, superando la sovrapposizione
tra i diversi piani settoriali di rilievo ambientale e coordinandoli
con i piani urbanistici».
Le disposizioni in esame sembrano invece seguire una direzione
esattamente opposta a quella della semplificazione amministrativa ed
organizzativa, e del conseguimento della piena operativita' degli
organi amministrativi gia' esistenti, attraverso l'ingiustificata
soppressione di questi e l'arbitraria creazione di nuovi enti,
nonche' la totale sottoposizione al controllo statale di poteri gia'
riservati alle regioni.
Le stesse disposizioni sono poi da ritenere costituzionalmente
illegittime ai sensi dell'art. 117, comma 3, e dell'art. 118 della
Costituzione.
Esse infatti, risultano inserite nelle sezioni relative alla
difesa del suolo e delle acque dall'inquinamento, riconducibili alla
funzione di governo del territorio, certamente attribuita alla
potesta' legislativa concorrente delle regioni, che, come gia'
evidenziato, implica comunque la possibilita' per queste ultime di
intervenire con norme specifiche nell'ambito delle proprie
competenze.
In sostanza, il nuovo apparato amministrativo comporta una
concentrazione in capo allo Stato di nuove e complesse funzioni
amministrative, che non appare supportata da esigenze di esercizio
unitario, e quindi in contrasto con i principi di differenziazione e
sussidiarieta'.
5.) Illegittimita' costituzionale dell'art. 91, comma 2, del
d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 5, 76, 117, comma 3 e
118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione.
L'art. 91, tra le «Aree richiedenti specifiche misure di
prevenzione dall'inquinamento e di risanamento», individua
determinate «Aree sensibili», disponendo che «il Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio, sentita la Conferenza
Stato-regioni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in
vigore della parte terza del presente decreto individua con proprio
decreto ulteriori aree sensibili identificate secondo i criteri di
cui all'Allegato 6 alla parte terza del presente decreto».
Tale disposizione appare del tutto illogica ed irrazionale, prima
che costituzionalmente illegittima, in quanto l'individuazione delle
aree territoriali che richiedono una tutela particolare ed ulteriore
non puo' essere affidata unicamente ad un decreto ministeriale, sia
pure emanato dopo aver sentito la Conferenza Stato-regioni, ma deve
scaturire da una effettiva concertazione con la regione nel cui
ambito territoriale tali aree sono situate.
Deve infatti considerarsi che le leggi regionali gia' avevano
provveduto in tal senso, come nel caso della legge della Regione
Puglia n. 19 del 24 luglio 1997, relativa all'istituzione e gestione
delle aree naturali protette, che era stata dettata proprio al fine
di garantire e di promuovere la conservazione e la valorizzazione del
patrimonio naturale ed ambientale della stessa regione.
Possono dunque richiamarsi, anche in relazione alla disposizione
in oggetto, le considerazioni gia' svolte in ordine al riparto di
competenze tra lo Stato e le regioni in materia ambientale, dato che
anche qui si tratta di funzioni rientranti in quelle attribuite alle
regioni dall'art. 117, comma 3, Cost., ovvero di governo del
territorio e di valorizzazione dei beni ambientali, nonche' in ordine
al contrasto con i principi generali di e adeguatezza sanciti dagli
artt. 5 e 118 Cost., ed indicati dalla legge di delega n. 308/2004.
6.) Illegittimita' costituzionale dell'art. 101, comma 7, e
dell'art. 104 del d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 5,
76, 117, terzo comma e 118, primo comma, della Costituzione.
6.a.) L'art. 101, contenente i «Criteri generali della disciplina
degli scarichi», al comma 7, assimila alle acque reflue domestiche
anche quelle provenienti da imprese zootecniche ed agricole, che
possono essere notevolmente inquinanti e dannose per l'ambiente.
Dunque, gli scarichi derivanti dallo svolgimento di attivita'
produttive sono accomunati a quelli domestici, malgrado le diverse
ripercussioni degli uni e degli altri sul livello qualitativo dei
corpi idrici.
6.b.) L'art. 104, poi, pone il divieto di scarico diretto nelle
acque sotterranee e nel sottosuolo, introducendo pero' una serie di
importanti deroghe a tale divieto, che possono essere autorizzate dal
Ministro dell'ambiente, anche senza richiedere il consenso o il
parere regionale.
Una forma di intesa con le regioni viene prevista unicamente per
le autorizzazioni relative ai giacimenti a terra, che, in precedenza,
sulla base di quanto stabilito dall'art. 30 del d.lgs. n. 152/1999,
rientravano tra le funzioni amministrative delle regioni medesime.
Si introduce dunque un potere autorizzatorio esclusivo del
Ministro dell'ambiente, da esercitarsi in relazione a qualsiasi
ipotesi di scarico diretto di acque reflue.
Eppure questo monitoraggio e potere di controllo non puo' che
fondarsi in ambito regionale.
Le disposizioni impugnate appaiono anch'esse lesive dell'assetto
di competenze garantito dell'art. 117 Cost., in quanto non tengono
conto del potere normativo regionale in materia di governo del
territorio e di tutela della salute, che puo' estendersi fino a
stabilire standards di tutela piu' rigorosi di quelli previsti a
livello statale.
Cio' anche in considerazione della tipicita' di ogni regione,
Puglia compresa, che potrebbe di per se' giustificare l'adozione di
misure diverse da quelle previste omnicomprensivamente a livello
statale.
Inoltre, limitandosi le funzioni amministrative in precedenza
attribuite alle regioni dalla legislazione statale di settore, si
determina una violazione dei principi generali di sussidiarieta' e di
valorizzazione del ruolo delle autonomie locali.
7.) Illegittimita' costituzionale dell'art. 154 e dell'art. 155
del d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 76, 117, quarto
comma e 119 della Costituzione.
7.a.) L'art. 154, rativo alla «Tariffa del servizio idrico
integrato», stabilisce che essa costituisce il corrispettivo di tale
servizio, e che e' determinata tenendo conto di una serie di
parametri, quali la qualita' della risorsa idrica e del servizio
fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entita' dei
costi di gestione di queste, in modo da assicurare la copertura
integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il
principio «chi inquina paga».
Tuttavia, la stessa disposizione, ai commi 2 e 3, rimette al
Ministro dell'ambiente il compito di definire con decreto le
componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai
servizi idrici, ed al Ministro dell'economia e delle finanze, «al
fine di assicurare un'omogenea disciplina sul territorio nazionale»,
il compito di stabilire i criteri generali per la determinazione, da
parte delle regioni, dei canoni di concessione per l'utenza di acqua
pubblica.
7.b.) Inoltre, l'art. 155, relativo alla «Tariffa del servizio di
fognatura e depurazione», stabilisce in modo dettagliato i casi in
cui gli utenti sono tenuti o meno a versare le quote della tariffa
medesima, nonche' la destinazione che i comuni devono assegnare ai
proventi riscossi, giungendo a prescrivere, al comma 4, che «Al fine
della determinazione della quota tariffaria di cui al presente
articolo, il volume dell'acqua scaricata e' determinato in misura
pari al cento per cento del volume di acqua fornita».
Appare allora evidente l'eccessiva ingerenza dello Stato in una
materia che non puo' farsi rientrare tra quelle riservate alla sua
potesta' legislativa esclusiva, dato che non attiene alla tutela
dell'ambiente di cui alla lettera s) del comma 1, dell'art. 117
Cost., ne' al sistema tributario e contabile dello Stato, di cui alla
lettera e) dello stesso comma, e che di conseguenza dovrebbe
ricondursi alla competenza legislativa residuale delle regioni ai
sensi del comma 4 di tale articolo.
Si tratta infatti, nella specie, di un tributo di carattere
locale, la cui determinazione spetta alle autonomie territoriali
sulla base dell'art. 119 della Costituzione, che cosi' dispone «I
comuni, le province, le citta' metropolitane e le regioni, hanno
risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri,
in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario».
Pertanto, le norme impugnate, giungendo a prevedere
l'individuazione solo a livello ministeriale dei criteri per la
determinazione di una tariffa da applicarsi in ambito locale, nonche'
a stabilirne, nel caso di quella relativa al servizio di fognatura e
depurazione, anche e addirittura le modalita' di versamento, sono
costituzionalmente illegittime per contrasto con gli articoli 117,
comma 4, e 119 della Costituzione, oltre che con i principi direttivi
della legge di delega.
8.) Illegittimita' costituzionale degli artt. 181, commi da 7 a
11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3, e 214, commi 3 e 5, del d.lgs.
n. 152/2006, per violazione degli artt. 76, 117, 118 della
Costituzione.
8.a.) L'art. 181, relativo al «Recupero dei rifiuti», prevede, al
comma 7, che «... i soggetti economici interessati o le associazioni
di categoria rappresentative dei settori interessati, anche con
riferimento ad interi settori economici e produttivi, possono
stipulare con il Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio, ... appositi accordi di programma ... per definire i
metodi di recupero dei rifiuti destinati all'ottenimento di materie
prime secondarie, di combustibili o di prodotti», definendo, ai
successivi commi da 8 a 10, le modalita' procedurali per la
stipulazione di tali accordi ed il contenuto di essi.
In particolare poi, il comma 11 dispone che «Gli accordi di
programma di cui al comma 7 sono approvati, ai fini della loro
efficacia, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio di concerto con il Ministro delle attivita' produttive e
con il Ministro della salute, e sono successivamente pubblicati nella
Gazzetta Ufficiale. Tali accordi sono aperti all'adesione di tutti i
soggetti interessati».
Dunque, la norma impugnata realizza una vera e propria
deregolamentazione della materia in questione, in quanto affida la
disciplina del recupero dei rifiuti interamente ad accordi di
programma (che come tali non hanno i caratteri di generalita' ed
astrattezza, ma natura strettamente negoziale), stipulati tra il
Ministro dell'ambiente ed i «soggetti economici interessati», nonche'
approvati con decreto dello stesso Ministro.
8.b.) Lo strumento dell'accordo di programma e' richiamato poi
dall'art. 214, comma 3, per le procedure semplificate in materia di
smaltimento dei rifiuti non pericolosi, che quindi risultano
anch'esse attribuite all'esclusiva competenza del Ministro
dell'ambiente (lo stesso articolo peraltro, al comma 5, fa espresso
rinvio al decreto ministeriale del 5 febbraio 1998, di cui si prevede
l'applicabilita' in via transitoria, malgrado tale decreto fosse
stato all'origine di una procedura d'infrazione dinanzi alla Corte di
Giustizia europea, conclusasi con la sentenza di condanna dello Stato
italiano del 7 ottobre 2004 - C103/02).
Appare allora evidente che le regioni, alle quali la legislazione
statale precedente, ed in particolare il d.lgs. n. 22 del 5 febbraio
1997, riconosceva la potesta' di regolare tutta la materia, sia pure
nell'ambito dei principi generali fissati dalla legislazione
medesima, siano state ora esautorate di ogni potere nell'ambito del
recupero dei rifiuti e delle suddette procedure semplificate, non
essendo neppure prevista la partecipazione o il consenso regionale
alla stipulazione dei suddetti accordi.
8.c.) Ancora, l'art. 183 esclude espressamente dall'applicazione
delle disposizioni di cui alla parte quarta del decreto, riguardante
la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati, i
sottoprodotti delle imprese (comprese le ceneri di pirite e le
polveri di ossido di ferro), sottraendo quindi materiali altamente
inquinanti al regime di autorizzazioni e controlli previsto dalla
legislazione precedente.
8.d.) Allo stesso modo, il successivo art. 186 stabilisce che le
terre e le rocce da scavo, nonche' i residui della lavorazione della
pietra «... non costituiscono rifiuti e sono, percio', esclusi,
dall'ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto»,
anche se contaminati, purche' non contengano una concentrazione di
inquinanti superiore a determinati limiti massimi.
8.e.) Per di piu', il comma 3 dell'art. 189 impone l'obbligo di
comunicare annualmente alle Camere di Commercio le quantita' e le
caratteristiche qualitative dei rifiuti unicamente ai produttori di
«rifiuti pericolosi», esonerando cosi' da tale obbligo coloro che
producono rifiuti non pericolosi, oltre che gli imprenditori agricoli
con un volume di affari annuo non superiore ad ottomila euro.
Tutto cio' si traduce in una sostanziale riduzione delle garanzie
imposte a tutela dell'ambiente e del territorio dalla normativa
comunitaria e statale di recepimento, che contenevano in materia di
rifiuti una disciplina senz'altro piu' rigorosa, che si estrinsecava
nelle adottande norme regionali.
Infatti, deve evidenziarsi che il suddetto decreto legislativo
n. 22/1997 era gia' intervenuto a regolamentare tale settore, al fine
di recepire le direttive comunitarie riguardanti la gestione dei
rifiuti e di fissare le disposizioni di principio per la successiva
normativa regionale, stabilendo espressamente, come gia' rilevato,
che «Le regioni a statuto ordinario regolano la materia disciplinata
dal presente decreto nel rispetto delle disposizioni in esso
contenute, che costituiscono principi fondamentali della legislazione
statale ai sensi dell'art. 117, comma 1, della Costituzione».
Il nuovo regime di cui al decreto legislativo gravato configge
apertamente con la normativa di settore (d.lgs. n. 22/1997) che
invece - giustamente - aveva conferito alle regioni la potesta' di
regolamentazione di dettaglio in sede locale.
Si attua quindi una abrogazione tacita e/o implicita del decreto
Ronchi, su un versante che invece aveva introdotto il pieno
riconoscimento dei poteri degli enti territoriali.
Cio' e' costituzionalmente illegittimo perche' la «nuova» tutela
viola la legge delega, nella parte in cui prevede - quale fine ultimo
- la garanzia della salvaguardia e tutela e del miglioramento della
qualita' ambientale.
Inoltre, le disposizioni in oggetto sono da ritenere
costituzionalmente illegittime per violazione degli artt. 117, 118 e
76 della Costituzione, in relazione alla limitazione delle numerose e
pregnanti competenze riconosciute alle regioni nella materia in
questione, nonche' in relazione al contrasto con i principi direttivi
fissati dalla legge di delega.
9.) Illegittimita' costituzionale dell'art. 299, comma 5,
dell'art. 300, comma 1, e dell'art. 306, commi 1, 2 e 5, del d.lgs.
n. 152/2006, per violazione degli artt. 76, 117, 118 della
Costituzione.
9.a.) L'art. 299, relativo alle «Competenze ministeriali» in
materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente, si limita
a disporre che «L'azione ministeriale si svolge normalmente in
collaborazione con le regioni, con gli enti locali e con qualsiasi
soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo», facendo cosi'
presumere che tale collaborazione non sia obbligatoria, ma possa
anche, in determinati casi, essere discrezionalmente esclusa dal
Ministro dell'ambiente.
In ogni caso, al comma 5, si stabilisce che la determinazione dei
criteri per procedere all'istruttoria diretta all'accertamento del
danno ambientale, nonche' «per la riscossione della somma dovuta per
equivalente patrimoniale ai sensi del titolo III della parte sesta
del presente decreto» avviene con decreto del Ministro dell'ambiente,
di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e delle
attivita' produttive, e quindi senza alcuna intesa con le regioni, da
ritenersi invece necessaria in considerazione dell'interferenza di
tale disciplina con funzioni e compiti da esse svolti nel settore in
oggetto.
9.b.) D'altra parte, deve rilevarsi che il successivo art. 300,
secondo cui: «E' danno ambientale qualsiasi deterioramento
significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa
naturale o dell'utilita' assicurata da quest'ultima», restringe
eccessivamente la nozione di danno ambientale, dato che sembra
riferirsi unicamente a situazioni gia' definitivamente compromesse,
con esclusione di quelle in cui il danno non ha ancora assunto una
decisa connotazione (tenendo anche presente la difficolta' pratica di
misurare e/o di quantificare in termini economici il deterioramento
prodotto nei riguardi dell'ambiente).
Sussiste quindi il rischio che fattispecie dannose ritenute non
significative e prettamente misurabili siano estromesse dall'ambito
di applicazione della normativa, e che non possano piu' essere
oggetto di risarcimento.
In sede regionale, invece, detta valutazione potrebbe avvenire
anzitempo e comunque tempestivamente.
9.c.) Inoltre, anche relativamente alla determinazione delle
misure per il ripristino ambientale, l'art. 306, ai commi 1, 2 e 5,
prevede la competenza esclusiva del Ministro dell'ambiente, dal quale
vengono approvate «le possibili misure per il ripristino ambientale»
individuate dagli operatori, e che «decide quali misure di ripristino
attuare, in modo da garantire, ove possibile, il conseguimento del
completo ripristino ambientale, e valuta l'opportunita' di addivenire
ad un accordo con l'operatore interessato...» invitando anche i
soggetti indicati dall'art. 12 della direttiva 2004/35/CE (ovvero
tutti coloro che siano coinvolti da un possibile danno ambientale), a
presentare le proprie osservazioni, di cui lo stesso Ministro terra'
conto in sede di emanazione della relativa ordinanza.
Si riservano dunque a quest'ultimo tutte le funzioni riguardanti
le misure di ripristino ambientale, compresa quella di emettere le
ordinanze con cui viene ingiunto ai responsabili di danni
all'ambiente il ripristino dello stato dei luoghi, a titolo di
risarcimento in forma specifica.
Anche nel caso delle disposizioni in esame, pertanto, l'ambito di
operativita' riconosciuto alla competenza statale appare eccessivo e
non giustificato dall'esigenza di una disciplina uniforme su tutto il
territorio nazionale.
Deve allora rilevarsi il contrasto con l'art. 117 della
Costituzione, posto che la competenza legislativa statale in materia
di danno ambientale si intreccia con la competenza regionale in tema
di tutela della salute, governo del territorio e valorizzazione dei
beni ambientali, nonche' la violazione dei principi generali di
sussidiarieta' e differenziazione dettati dall'art. 118 della
Costituzione e richiamati dalla legge di delega, che impongono che
l'attribuzione allo Stato di funzioni amministrative avvenga sempre e
comunque con la collaborazione delle regioni interessate, nel
rispetto degli specifici interessi coinvolti.
Cio' che invece il decreto impugnato non si preoccupa di fare,
comprimendo una prerogativa affidata alle regioni e confermata dalla
legge delega.
Istanza di sospensione in via cautelare.
Si chiede, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 131 del 5 giugno
2003, la sospensione dell'esecuzione delle sole norme impugnate con
il presente ricorso, la cui entrata in vigore non e' stata differita
di centoventi giorni rispetto alla pubblicazione, e cioe' degli
artt.: 58, 59, 63, 64, 91, 101, 104, 121, 154, 155, 181, 183, 186,
189, 214, 281, 299, 300, 306, in considerazione del rischio di un
pregiudizio irreparabile all'interesse pubblico o di un pregiudizio
grave ed irreparabile per i diritti della popolazione regionale.
Tale pregiudizio deriva in particolare dalla previsione della
soppressione delle Autorita' di Bacino di cui alla legge n. 183/1989,
prima ancora di provvedere all'istituzione delle nuove Autorita';
dalla sovrapposizione di nuove funzioni statali a quelle gia' svolte
dalle regioni, con conseguenze negative in termini di certezza del
diritto e di efficienza dell'azione amministrativa; dalla riduzione
delle garanzie imposte dalle norme vigenti in materia di scarichi e
di rifiuti; dalla restrizione della nozione di danno ambientale e
delle relative ipotesi risarcitorie.
P. Q. M.
Voglia codesta sovrana Corte costituzionale accogliere l'istanza
cautelare, cosi' come formulata, ed il presente ricorso, dichiarando
costituzionalmente illegittime le disposizioni impugnate, per i
motivi innanzi spesi.
Si deposita:
copia autentica della delibera di G.R. Puglia n. 653 del 23
maggio 2006, di conferimento dell'incarico professionale;
copia autentica della delibera di G.R. Puglia n. 740 del 6
giugno 2006, di integrazione ed estensione della precedente delibera
di conferimento di incarico professionale.
Roma, 25 maggio - 8 giugno 2006
Avv. Fabrizio Lofoco
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