Ricorso n. 76 del 25 ottobre 2003 (Regione Campania)
N. 76 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 25 ottobre 2003.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 25 ottobre 2003 (della Regione Campania)
(GU n. 47 del 26-11-2003)
Ricorso della Regione Campania, in persona del Presidente della
giunta regionale pro tempore, on. Antonio Bassolino, rappresentato e
difeso, giusta mandato a margine ed in virtu' delle deliberazioni
della Giunta regionale n. 2828 del 30 settembre 2003 e n. 2852 del 16
ottobre 2003, dal prof. avv. Vincenzo Cocozza e dall'avv. Vincenzo
Baroni dell'Avvocatura regionale, insieme con i quali elett. te
domiciliato in Roma, presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione
Campania alla via Poli n. 29;
Contro: il Presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore; per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale, dell'art. 32, del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 229 del 2 ottobre 2003 - suppl. ordinario n. 157/L) che
prevede il «condono edilizio», in particolare i commi nn. 1, 2, 3, 5
da 14 a 23 e da 25 a 50 (in parte qua).
F a t t o
1. - Il decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 recante
«Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento dei conti pubblici» e' un decreto-legge omnibus,
emanato in assenza dei presupposti costituzionali di necessita' e
urgenza nonche' privo del requisito di omogeneita', finalizzato a
porre in essere misure di finanza pubblica per il riequilibrio dei
conti pubblici.
In tale contesto si inseriscono le disposizioni impugnate, di
«sanatoria» edilizia, che sono contenute nell'art. 32 e che riaprono,
per la seconda volta in pochi anni, i termini concessi per
l'ottenimento del condono, con un espresso rinvio, per quanto non
previsto dal decreto, alla disciplina della legge n. 47/1985.
L'art. 32 reca «Misure per la qualificazione urbanistica,
ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attivita' di
repressione dell'abusivismo edilizio, nonche' per la definizione
degli illeciti edilizi e delle occupazioni su aree demaniali».
Si tratta di una disciplina con una pluralita' di contenuti che
presenta un singolare e contraddittorio intarsio di norme, dove
l'aspetto assolutamente caratterizzante e' costituito dalla
introduzione di un condono edilizio, che si vuole in qualche maniera
«giustificare» con regole tese a prefigurare, in assoluta antitesi,
interventi di riqualificazione.
L'impugnativa che la Regione Campania propone, riferita
all'intero art. 32 in quanto contraddittorio, invasivo ed incoerente
nelle sue estremamente ampie articolazioni normative, si appunta in
modo specifico nei confronti di tutte quelle disposizioni che
contribuiscono nel loro collegamento ad introdurre «di nuovo» il
condono e a tracciarne le modalita' di svolgimento.
Sono, pertanto, specificamente indicati quali oggetto di
impugnativa in quanto costituenti in maniera piu' immediata le regole
afferenti all'intervento di condono, i commi 1, 2, 3, e 5 che danno
conto dell'impianto generale; i commi da 14 a 23 che contemplano
ipotesi particolari; i commi da 25 a 31 che si occupano di
individuare i modi di operativita' della disposta sanatoria; e quelli
da 32 e ss. che delineano i procedimenti funzionali alla
realizzazione e attuazione del condono medesimo.
Si deve precisare che, come dimostra anche lo schema riassuntivo
appena proposto che tiene conto dei contenuti essenziali funzionali
alla configurazione dell'intervento di sanatoria che la regione
contrasta, l'impugnativa e' proposta dalla Regione Campania per
contestare l'ammissibilita' di una regolamentazione legislativa
statale in un ambito che afferisce ad una materia di propria
competenza, predeterminando condizioni per una vistosa alterazione
dei margini di tutela e una vanificazione del corretto esplicarsi
della competenza regionale della programmazione del territorio.
In particolare si segnalano, perche' significative, alcune
previsioni per cogliere in maniera immediata l'invasione della
competenza regionale denunciata ed i vizi complessivi dell'atto.
L'art. 32 intende disciplinare la «sanatoria delle opere
esistenti non conformi alla disciplina vigente» assumendo di voler,
cosi', pervenire alla regolarizzazione del settore (comma 1) e, in
particolare, l'adeguamento della «disciplina regionale ai principi
contenuti nel testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia, approvato con d.P.R. 6 giugno
2001, n. 380» (comma 2). Mentre, come si dira', un'esigenza di tal
tipo non e' per nulla ipotizzabile.
Nel consentire la sanatoria di ampliamenti e realizzazioni di
nuove costruzioni, si prevede un limite di volumetria «per singola
richiesta di titolo abilitativo in sanatoria» (comma 25) e per le
piu' disparate tipologie di abusi, compresi quelli commessi non solo
in assenza di titolo ma anche in violazione delle norme e delle
prescrizioni degli strumenti urbanistici (comma 26 e all. 1).
Inoltre, e' espressamente prevista una ipotesi di
silenzio-assenso sulle domande presentate nei termini di legge (comma
37)
Insomma, non e' revocabile in dubbio l'ampiezza degli effetti sul
territorio di una tale regolamentazione che incide sulla complessiva
politica programmatoria dell'ente locale.
Notevole e', ancora, e piu' in generale, che nel decreto vi sia
una disciplina descrittiva assai dettagliata delle procedure per, la
presentazione e per l'ottenimento della sanatoria.
Una regolamentazione cosi' puntuale da non lasciare alcun margine
di intervento, con la conseguenza che quanto previsto dal comma 2, in
ordine all'affermato rispetto delle competenze delle autonomie locali
sul governo del territorio, si configura come una mera clausola di
stile.
Un siffatto intervento del Governo, sia per lo strumento
normativo adottato, sia per la portata e i contenuti della
previsione, e quindi le reali finalita' che persegue, lede in modo
grave l'autonomia regionale concretando una serie di servizi di
legittimita' costituzionale che inducono alla proposizione del
presente ricorso per i seguenti.
M o t i v i
1. - Violazione degli art. 114 e 117 della costituzione.
Lesione della sfera di competenza delle regioni. Violazione del
principio di leale cooperazione.
In via preliminare occorre precisare che questa difesa e'
confortata, nella prospettazione dei vizi avverso l'atto impugnato,
dalle sentenze emesse da codesta ecc.ma Corte costituzionale in
relazione alle precedenti esperienze normative di condono edilizio
(legge n. 47/1985 e art. 39 legge n. 724/194). Difatti, sono proprio
le argomentazioni che la Corte ha posto a fondamento di dette
pronunce a fornire il piu' valido dei supporti per sostenere che
l'intervento statale impugnato e' affetto da insanabili vizi di
costituzionalita'.
Quell'impianto argomentativo, ovviamente, va considerato tenendo
conto della vigenza di un diverso quadro costituzionale che ha
ridisegnato i rapporti Stato-regione rafforzando il ruolo di
quest'ultima. In tal maniera risultano piu' chiari i vizi.
Procedendo con ordine.
Va contestato, in primo luogo, l'intervento del Governo perche'
si realizza in un settore di competenza regionale attraverso
disposizioni di rango legislativo che, per di piu', sostanzialmente
esauriscono la disciplina escludendo l'intervento della regione.
1.a - Il novellato art. 117 Cost. ancora a materie espressamente
previste la potesta' esclusiva dello Stato e concorrente
Stato-regione.
Scomparsa l'urbanistica dagli elenchi di cui all'art. 117 Cost. e
tenuto conto che il decreto impugnato e' volto a sanare le condotte
antigiuridiche di coloro che hanno realizzato manufatti in assenza di
titoli abilitativi, occorre considerare quanto si debba desumere
dalla (e quanto incide la) nuova formulazione costituzionale «governo
del territorio».
Delle due l'una.
O si esaurisce la disciplina del condono nella materia
urbanistica, sub specie edilizia - concernente, cioe', la disciplina
della costruzione e manutenzione degli edifici - e si ritiene che la
stessa non vada ricompresa in quella governo del territorio» ed
allora lo Stato e' intervenuto in un settore affidato alla potesta'
legislativa residuale della regione con la conseguente, irrimediabile
illegittimita' dell'intervento; ovvero l'urbanistica, come
regolamentazione incidente sulla utilizzazione e trasformazione del
territorio, rimane all'interno di tale nuova materia del novellato
art. 117 Cost.
Vi sono argomenti per sostenere la prima tesi.
Se, infatti, si pone l'accento sulla nuova formulazione
costituzionale, si deduce soprattutto che essa involge la
regolamentazione incidente sulla utilizzazione e trasformazione del
territorio; il mutamento della formula dell'art. 117 non puo' essere
priva di significato e, pertanto, il riferimento a una funzione di
«governo» deve comportare di porre in risalto i profili di
programmazione e pianificazione.
Da tale definizione potrebbe, pertanto, escludersi l'edilizia
vera e propria nell'indicato significato tradizionale di disciplina
della costruzione e manutenzione degli edifici, alla quale potrebbe
collegarsi il «condono».
Questo conduce a configurare una sfera di competenza residuale
delle regioni, attesa l'assenza della stessa fra gli elenchi del
nuovo art. 117 Cost., con la conseguente illegittima invasione da
parte della disciplina statale.
1.b. - Comunque il risultato in ordine alla dedotta
illegittimita' non cambia collocandosi nella seconda ipotesi.
Anche in questo caso, dovendosi assegnare al mutamento della
formula identificativa dell'ambito materiale d'intervento concorrente
Stato-regione il significato che ponga in risalto i profili di
programmazione e pianificazione regionale, se ne devono trarre le
conseguenze.
In verita', prima della riforma costituzionale sul Titolo V,
proprio codesta ecc.ma Corte, dovendo caratterizzare l'intervento in
materia di condono, ha adoperato frequentemente l'espressione
«governo del territorio». Questo per esprimere la peculiarita' di una
disciplina che finisce per coinvolgere in maniera ampia tutte le
funzioni che attengono alla gestione, controllo, programmazione,
tutela di un bene essenziale per l'ente pubblico.
In tale materia, in questa ottica, di potesta' concorrente, lo
Stato deve limitarsi a fissare i principi fondamentali e, come e'
assolutamente agevole verificare, le disposizioni del decreto-legge
non possono in alcun modo proporsi come tali alla stregua di quanto,
invece, imposto dal comma dell'art. 117 Cost.
Gli elementi che inducono a una conclusione nel senso indicato
sono, invero, molteplici.
1.b.1. - In primo luogo e' la stessa previsione di un'ipotesi di
nuova sanatoria che sorbita dalla nozione di principio inteso,
questo, come «modo di esercizio della potesta' legislativa regionale»
(cfr. Corte cost. n. 482/1995).
Vizio confermato dall'intera disciplina per la quale neanche
soccorre il criterio di cedevolezza delle disposizioni statali. I
tempi stabiliti, le caratteristiche delle previsioni introdotte,
l'aver riguardo a condotte gia' realizzate, escludono del tutto la
possibilita' di un successivo intervento regionale, e l'intero quadro
giuridico dei rapporti risulta definito.
D'altra parte, si e' di fronte ad una ipotesi di «contenuto
provvedimentale», che regola comportamenti gia' posti in essere,
quindi non ipotetici e futuri, ma situazioni pregresse, storicamente
verificatesi, determinate e concrete che escludono ancor di piu' la
configurabilita' di un principio fondamentale.
Come l'ecc.ma Corte ha di recente evidenziato puo' atteggiarsi
come principio anche una disciplina piu' specifica purche' esprima un
obiettivo quale, ad esempio, quello di una semplificazione delle
procedure affinche' queste «non risultino inutilmente gravose per gli
amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e a evitare
la duplicazioni di valutazioni sostanzialmente gia' effettuate dalla
pubblica amministrazione» (Corte cost. 1° ottobre 2003, n. 303). Ma
l'imposizione di una «rinuncia» alla tutela di una corretta
pianificazione, come nell'ipotesi in esame, sfugge a qualunque
possibilita' di inquadramento come principio.
1.b.2. - La disciplina dei procedimenti nel decreto-legge e'
puntuale ed esaustiva, prevedendosi tutte le fasi: sono contemplati
espressamente i limiti di volumetria (comma 25), le tipologie di
illecito (comma 26), le ipotesi di. esclusione (comma 27), la
disciplina dei termini (comma 28), l'influenza di fattispecie penali
nella sanatoria (commi 29 e 30), i rapporti con i terzi (comma 31), i
termini per la proposizione dell'istanza (comma 32), la
documentazione da allegare (comma 35), l'ipotesi del silenzio-assenso
(comma 37), l'oblazione da corrispondere (comma 38 e all. 1). E'
perfino allegato il modello di domanda da presentare alle autorita'
competenti.
I pochi rinvii, effettuati dal decreto, alla normativa della
regione e al rispetto delle competenze di quest'ultima, si riducono
ad una vuota formula senza conseguenze.
In definitiva, viene attribuita alla Regione unicamente la
possibilita' di «attuazione della normativa per le ipotesi di minore
impatto» (comma 26), ovvero di «prevedere un incremento della
oblazione», ma solo nella misura del 10% (comma 33).
1.b.3. - Ancora non puo' non considerarsi che la fissazione di
principi fondamentali, che la Costituzione attribuisce allo Stato, e'
evidentemente funzionale alla individuazione di orientamenti e
direttive per una coordinata programmazione degli interventi delle
regioni e perche' si consenta all'ente territoriale un razionale
governo del territorio.
Insomma, la norma costituzionale, nel fissare il rapporto fra
principi fondamentali e legislazione regionale, propone non solo un
limite quantitativo e oggettivo all'esercizio della potesta', ma
anche funzionale al rispetto di un obiettivo, e cioe', per l'ipotesi
in esame, la razionale pianificazione.
Un intervento di condono, di per se', si pone in evidente
contrasto con un tale obiettivo ed ostacola qualunque esplicazione
dell'autonomia regolativa regionale che lo Stato deve, invece,
rispettare, potendo soltanto individuare quanto e' necessario per
garantire l'unita' dell'intervento normativo.
Siffatta conclusione e', poi, avvalorata dai contenuti dell'atto
avente forza di legge impugnato.
La sanatoria e' ampia coinvolgendo una articolata tipologia di
abusi. In particolare, si consente il rilascio del titolo non solo
per manufatti realizzati in assenza o in difformita' dello stesso, ma
anche per opere realizzate in violazione delle norme edilizie e delle
prescrizioni degli strumenti urbanistici (comma 1, 25, 26 e all. 1),
imponendo alle autonomie locali di subire gli illeciti urbanistici
compiuti in dispregio della programmazione territoriale gia' vigente
e dei piani di zona, laddove questi impediscano o limitino
l'edificabilita' ovvero la condizionino a determinate finalita'.
Coerenza urbanistica e territoriale, dunque, violata, e di cui si
impedisce il recupero attraverso la vanificazione di ogni intervento
repressivo e, soprattutto, di ripristino.
Quanto sopra e' ulteriormente aggravato dalla circostanza che il
limite di volumetria viene riferito a «singola richiesta di titolo
abilitativo edilizio in sanatoria» (comma 25) e non vi e' relazione
con l'area.
Per di piu', in base a una documentazione (tecnica e fotografica)
da presentarsi sino al 31 marzo 2004 (comma 35). Previsione inidonea
a certificare l'effettiva realizzazione dell'opera al 31 marzo 2003;
cio' determinera', come d'altronde hanno insegnato le pregresse
esperienze, un aumento dei fenomeni di abusivismo fino alla scadenza
del termine di presentazione delle domande.
A cio' si aggiunga, ancora, la previsione di ipotesi di
silenzio-assenso (comma 37), che permettera' di condonare anche
quegli abusi esclusi (pochi, in verita) dalla normativa impugnata. La
irragionevolezza di tale ultima disposizione e', d'altronde,
confortata dallo stesso legislatore statale che, pur nel processo di
semplificazione delle procedure amministrative, ha escluso la ipotesi
di un silenzio-assenso nella regolamentazione di materia
urbastico-edilizia e, in generale, ambientale.
1.b.4. - Ancora, va dedotta l'illegittimita' di un decreto-legge
che pretende di fissare principi fondamentali (laddove una tale
lettura del contenuto sia possibile il che si nega nei confronti
della legislazione regionale.
Se e' vero, infatti, che nelle materie di competenza concorrente,
i principi assolvono alla funzione di unificare il sistema delle
autonomie, inidoneo si mostra, sotto l'aspetto formale, il
decreto-legge a contenere gli stessi, atteso che «l'esercizio di tali
competenze postula l'affidamento delle regioni nella effettivita' e
quindi stabilita' dei principi» (Corte cost. 22 luglio 1996, n. 271).
D'altronde se il fine e' solo quello di individuare obiettivi e
criteri direttivi da attuare, incoerente si mostra il fine rispetto
all'utilizzazione di uno strumento normativo che presuppone la
necessita' e urgenza di provvedere.
1.b.5. - Ne' un tale intervento puo' essere giustificato da
esigenze di carattere unitario.
Anche laddove queste ricorressero nel caso di specie (il che si
nega), il Governo avrebbe comunque dovuto procedere secondo i canoni
costituzionali di lealta' e cooperazione che, nel caso di specie,
trattandosi di un intervento statale privo dei caratteri di normativa
di principio in un ambito materiale di potesta' legislativa
concorrente, puo' realizzarsi solo attraverso «una disciplina che
prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita'
concertative e di coordinamento orizzontale, ovverossia le intese che
devono essere condotte in base al principio di lealta» (Corte cost.
1° ottobre 2003, n. 303 cit.).
2. - Violazione dell'art. 77 Cost. anche in relazione alla legge
23 agosto 1988, n. 400, art. 15 e al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281,
in particolare art. 2. Ulteriore violazione degli artt. 117, 127
della costituzione. violazione del principio di ragionevolezza.
Violazione del principio di leale cooperazione.
L'intervento attraverso la decretazione d'urgenza e' illegittimo
in quanto adottato in carenza dei presupposti costituzionali di
necessita' e urgenza, ed in tale direzione vale anche il raffronto
fra i motivi individuati nell'epigrafe a fondamento dell'intervento
ex art. 77 Cost. («favorire lo sviluppo economico e la correzione
dell'andamento dei conti pubblici») e la indicata finalita' della
disciplina di condono («consentire l'adeguamento della disciplina
regionale ai principi contenuti nel t.u. in materia edilizia»).
2.1 - Si deve premettere che la regione puo' prospettare tale
vizio anche perche' l'interesse a ricorrere regionale «qualificato
dalla finalita' di ripristinare l'integrita' della sfera di
competenza violata» ha subito significative aperture.
Difatti, dalla ammissibilita' di motivi fondati solo sulla
violazione diretta delle norme costituzionali relative alla
delimitazione delle sfere di competenza in senso stretto, alla
stregua di una applicazione rigorosa dell'art. 2 legge cost. n. 1/48,
si e' pervenuti alla successiva precisazione che anche le censure
«relative a differenti parametri costituzionali, posti al di fuori
del Titolo V della Costituzione, sono ammissibili, se da quella
violazione deriva, comunque, una lesione delle competenze suddette
(cfr. sent. nn. 303/2003; 9-10 marzo 1988, n. 302; 2 marzo 1987,
n. 64; 11 ottobre 1983, n. 307; 307/1993).
Di grande interesse ricordare che con riferimento a parametri
ulteriori «in astratto simili censure da parte della regione in sede
di impugnazione diretta sono ammissibili, sempre che si tratti di
principi o criteri volti a salvaguardare le competenze regionali»
(sent. 22 maggio 1987, n. 183), in quanto «in via di principio non
puo' escludersi che una lesione delle attribuzioni regionali possa
conseguire dalla violazione di precetti costituzionali collocati al
di fuori del titolo quinto della Costituzione» (sent. n. 302/1988
cit.), laddove tale censura sia comunque finalizzata alla «tutela di
una propria competenza che si assume violata» (sent. n. 302/1988
cit.) o vanifichi l'esercizio di competenze costituzionalmente
garantite (sent. n. 302/1988 cit.).
Questa linea interpretativa comporta la sussistenza
dell'interesse a ricorrere quando vi siano lesioni alle funzioni di
competenza regionale connesse alle modalita' di esercizio della
potesta' legislativa statale (a prescindere dalla qualificazione
della materia su cui lo Stato interviene).
In sostanza si segnala un percorso nella giurisprudenza
costituzionale che, gia' nel vigore del precedente regime, aveva
ampliato la possibilita' dell'impugnativa regionale sia pure nei
limiti di un contesto costituzionale strutturato nel controllo
preventivo della legge regionale da parte del Governo.
Tale impostazione deve ritenersi rafforzata dal nuovo assetto
delineato dalla legge di revisione del Titolo V Cost., e la regione
deve poter prospettare tutti quei vizi della legge statale che, pur
non configurando una invasione diretta della competenza regionale
(che, nel caso di specie, e' palese), si risolvano tuttavia in una
menomazione delle competenze stesse per illegittimita' dell'atto
statale.
Alla luce di un tale quadro ricostruttivo dei rapporti fra la
legge statale e la legge regionale e delle possibilita' di tutela
offerte, vi e', ancor di piu', lo spazio per la proposizione di vizi
ulteriori.
2.2. - La doglianza qui avanzata sulla assenza dei presupposti
costituzionali per l'emanazione del decreto-legge, oltre a proporre
di per se' una illegittimita', esprime un vizio per una ulteriore
compressione delle prerogative delle regioni, laddove, in una materia
comunque di competenza regionale (sia essa esclusiva o concorrente),
il legislatore nazionale interviene in modo da impedire ogni
partecipazione degli enti territoriali sia nella fase decisionale,
che in quella attuativa. Questi ultimi devono, cosi', subire gli
effetti immediati di un provvedimento legislativo adottato in assenza
di tutte le garanzie, volte a individuare con maggior ponderazione il
necessario contemperamento degli opposti interessi in gioco, che non
puo' essere recuperato nel tempo strettamente necessario alla
conversione.
Si ricorda che il d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, art. 2, comma 3,
ha disposto che, nelle materie di competenza regionale, sia
«obbligatoriamente» sentita la Conferenza Stato-regioni e che tale
obbligo possa essere derogato solo in caso di urgenza (comma 4),
rinviando la consultazione in sede di esame delle leggi di
conversione dei decreti-legge (comma 5). Ne consegue che, nel momento
in cui il Governo ha ritenuto di agire attraverso lo strumento
normativo di cui all'art. 77 Cost. in assenza dei presupposti
costituzionali, ha illegittimamente leso la sfera di competenza
garantita alle regioni.
In tal senso anche l'eccepita violazione del principio
costituzionale di leale cooperazione.
Il decreto, inoltre, e' privo dei requisiti di omogeneita',
essendo la previsione inserita in un intervento molto ampio volto,
non a riordinare la normativa di settore, ma a sanare i conti
pubblici attraverso anche la compressione di prerogative regionali.
Ed anche questo elemento e' in insanabile antitesi con il ruolo da
assegnare ai principi.
3. - Violazione degli articoli 3, 9, 119, 117, 118 e 127 della
Costituzione. Violazione del principio di ragionevolezza. Violazione
del principio di leale cooperazione. Violazione del giudicato
costituzionale in pari sentenze nn. 416/1995, 427/1995, 369/1988,
302/1988 e 231/1993.
La normativa e', inoltre, viziata per irragionevolezza sotto
molteplici aspetti.
Aiuta a dimostrarlo la giurisprudenza costituzionale cui
all'inizio si e' fatto riferimento.
3.a - Il comma 2, dell'art. 32, come detto, reca una sorta di
motivazione a sostegno dell'intervento giacche' prevede che «la
normativa e' disposta nelle more dell'adeguamento della disciplina
regionale ai principi contenuti nel testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con d.P.R.
6 giugno 2001, n. 380 ...».
In realta', pero', non vi e' stata alcuna innovazione normativa
nel settore (il testo unico n. 380/2001, tra l'altro, non ha
modificato l'impianto normativo complessivo in materia) e, in ogni
caso, pur laddove vi fosse stata, si' applicherebbero comunque i
nuovi principi in attesa della loro attuazione. Ma soprattutto, non
si' riesce in alcun modo a comprendere in qual maniera si possa
collegare questa terza sanatoria edilizia con una eventuale, gia'
intervenuta, modifica legislativa di settore. E quale sia il rapporto
fra questa disciplina e la successiva di livello regionale.
Sotto questo punto di vista si evidenzia una palese
irragionevolezza della normativa che e' del tutto incoerente rispetto
alle finalita' dichiarate.
In verita', come dimostrato anche dai contenuti e dal titolo
dell'intero decreto in cui la disposizione e' inserita, il previsto
condono ha lo scopo, esclusivo di recuperare gettito all'erario.
Persegue, cioe', una reale finalita' diversa da quella dichiarata. E
per ottenere tale risultato invade gli ambiti dello competenza
regionale.
Sotto tale profilo, il decreto e', pero', ulteriormente viziato
perche' irragionevole anche rispetto agli scopi di carattere
economico (che comunque non possono giustificare ne' l'invasione di
competenza, ne' i danni arrecati al territorio), in quanto non tiene
conto degli effetti ulteriori e deleteri che tali previsioni
comportano anche solo in termini economici per gli enti territoriali.
Questi ultimi, infatti, dovranno far fronte a spese per
l'urbanizzazione e il recupero ambientale che gli oneri di
urbanizzazione, a carico di coloro che si avvantaggeranno della
sanatoria, non copriranno se non in maniera del tutto limitata.
Insomma, pur se non si volesse considerare come vizio la dedotta
difformita' tra il fine reale e quello dichiarato e volendo limitare
la valutazione al solo aspetto economico, la normativa si mostra
comunque viziata nel fine in quanto non in grado di raggiungerlo.
Anzi, proprio sul piano finanziario, si rinvengono ulteriori
elementi di vizio per l'illegittima compressione dell'autonomia
finanziaria regionale garantita dal novellato art. 119 Cost.:
attraverso il meccanismo contemplato dalla normativa impugnata si
toglie in termini economici alle autonomie locali (attesa la
necessita' da parte delle stesse di sopportare i costi prima
indicati) piu' di quanto non intenda recuperare l'erario. In tal
modo, si impone, fra l'altro, agli enti territoriali l'impegno di
somme per determinate finalita' piuttosto che per altre ovvero la
necessita' di recuperare entrate ulteriori per far fronte alle nuove
spese.
3.b - Ancora, va eccepita, in uno con il costo in termini di
legalita', l'ulteriore illegittimita' perche' si determina la
vanificazione degli interventi di programmazione e controllo locale.
Il condono edilizio, infatti, si caratterizza in quanto, come
osservato da codesta ecc.ma Corte, la possibilita' di tali sanatorie
comporta «effetti permanenti, di modo che il semplice pagamento di
oblazione non restaura mai l'ordine giuridico violato» (Corte
costituzionale 21-28 luglio 1995, n. 416). incidendo su beni - il
territorio e l'ambiente - che costituiscono risorse limitate,
rendendo irreversibili le conseguenze del danno e compromettendo la
corretta gestione e programmazione del territorio affidate alla
regione.
In tal senso, come e noto, il giudice costituzionale aveva
giustificato, pur nell'ambito di un diverso quadro costituzionale dei
rapporti Stato-regione, meccanismi di sanatoria, solo se ancorati a
rigorosi presupposti. Questi ultimi sono assenti nel caso in esame.
Come la Corte costituzionale ha chiarito, si e' trattato,
infatti, di «norme del tutto eccezionali» connesse a ragioni
«contingenti e straordinarie» (sent. 28 luglio 1995, n. 416), che
hanno attribuito al regime di sanatoria il carattere episodico e
delimitato temporaneamente.
Con la sentenza del 28 luglio 1995, n. 416 la Corte ha
chiaramente affermato che, laddove vi fosse stato un «ulteriore e
persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del
commesso abusivismo edilizio...., differenti sarebbero i risultati
della valutazione sul piano della ragione volezza, venendo meno il
carattere contingente e del tutto eccezionale della norma ("con le
peculiari caratteristiche della singolarita' ed ulteriore
irripetibilita) in relazione ai valori in gioco, non solo sotto il
profilo delle esigenze di repressione dei comportamenti che il
legislatore considera illegali e di cui mantiene la sanzionabilita'
in via amministrativa e penale, ma soprattutto sotto il profilo della
tutela del territorio e del correlato ambiente in cui vive l'uomo» e
ha rilevato ancora che «la gestione del territorio sulla base di una
necessaria programmazione sarebbe certamente compromessa sul piano
della ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilita' di
condono sanatoria con conseguente convinzione di impunita' ...» (cfr
anche sentenze nn. 427/1995; 369/1988; 302/1988; 231/1993);
La legalizzazione ex post di vere e proprie azioni antigiuridiche
determina (come gia' in passato) l'aspettativa di ulteriori
provvedimenti premiali.
Sotto tale profilo, fra l'altro, le pregresse esperienze offrono
elementi di giudizio anche sul piano degli effetti pratici
dell'intervento.
La Corte costituzionale ha affermato in passato, per consentire
sulla non illegittimita' della «eccezionale» sanatoria statale, che
la diffusione del fenomeno dell'abusivismo edilizio va addebitata
almeno in parte alla scarsa incisivita' e tempestivita' dell'azione
di controllo e repressione da parte delle amministrazioni locali e
regionali preposte (Corte cost., 23 luglio 1996, n. 302; 18 luglio
1996, n. 256). Di qui una sorta di «azzeramento» delle posizioni
sulla base del condono.
Ebbene, proprio sul punto, sulla scorta delle precedenti
esperienze, si puo' rilevare che i passati interventi di condono
hanno inciso sulla relazione centro-periferia, delegittimando il
ruolo delle autorita' locali che, con sempre maggiore determinazione,
hanno dovuto impegnarsi per arginare il fenomeno e recuperare il
rapporto corretto con i cittadini, rafforzando i controlli e
programmando la gestione del territorio.
In tale direzione si segnala, soprattutto alla stregua della
riforma costituzionale introdotta dalla legge costituzionale
n. 3/2001, un notevole impegno normativo e amministrativo delle
autonomie locali; in particolare, per quanto qui da vicino ci
riguarda, della Regione Campania che si sta adoperando per
un'efficace politica territoriale che sarebbe del tutto compromessa
dalla normativa impugnata.
Questa sanatoria (basata soltanto su esigenze di incasso che, in
quanto tali, sono sempre verificabili in futuro) vanificherebbe lo
sforzo delle amministrazioni in tal senso, frustrando, nel contempo,
i comportamenti legali dei soggetti privati.
In definitiva, la Corte costituzionale, nel respingere i ricorsi
promossi avverso il condono edilizio del 1994, ha prospettato una
linea interpretativa attraverso sentenze «monito», che ha creato uno
sbarramento insuperabile perche' il legislatore e' stato avvertito
che proprio per la eccezionalita' della circostanza, tale strada non
sarebbe stata piu' percorribile e, conseguentemente, considerata
legittima dalla Consulta, atteso anche il costo che ne sarebbe
derivato sul piano della legalita' e dell'efficace controllo del
territorio.
3c. - La disciplina impugnata non sfugge ad una ulteriore censura
di illegittimita' costituzionale. E' evidente il contrasto di un
condono generale con l'art. 9 della Costituzione che pone quale
compito della Repubblica, quello di tutela del paesaggio e del
patrimonio artistico della Nazione e ancora dell'art. 117, terzo
comma che attribuisce alla regione la competenza legislativa relativa
alla valorizzazione dei beni ambientali.
Ed invero lo stesso termine adoperato dal Costituente nell'art. 9
(Repubblica) costituisce riprova di un impegno, nella direzione
indicata dalla norma costituzionale, imposto all'intera
organizzazione quale oggi risulta dall'art. 114 Cost. novellato,
ricomprendendovi l'articolazione territoriale.
Proprio questa notazione si mostra idonea ad evidenziare
ulteriormente la ricaduta del vizio di legittimita' dedotto sulle
competenze regionali, in quanto tale violazione si connette, fra
l'altro, a precise lesioni «dell'ordine delle competenze
costituzionalmente stabilito in vista dell'attuazione della predetta
tutela» (sent. n. 302/1988 cit.).
Tale «illegittimo uso» del potere legislativo da parte dello
Stato, comunque si voglia qualificare la materia oggetto della
disciplina censurata, incide in ogni caso sul governo del territorio
in quanto certamente inibisce scelte diverse di pianificazione e di
uso del territorio medesimo.
Ed ancora, consolidando situazioni illegali in aree cosi' estese,
comprime la competenza della regione nella «valorizzazione dei beni
ambientali», impedendo strategie complessive tese a scelte di
recupero ambientale e vanificando la regolazione regionale: risulta
violato cosi' «il principio costituzionale di concorrenza e
cooperazione delle competenze statali e di quelle regionali nella
tutela del paesaggio» (sent. n. 302/1988 cit.).
Istanza ai sensi degli articoli 35 e 40 della legge n. 87/1953;
Si produce istanza a codesta ecc.ma Corte affinche' valuti il
ricorrere dei presupposti per la sospensione dell'atto impugnato alla
luce delle recenti modifiche apportate dalla legge 5 giugno 2003,
n. 131 alla legge n. 87/1953, in part. artt. 35 e 40.
L'esperienza di passati condoni ha insegnato che simili
provvedimenti legislativi, producendo nella societa' una notevole
aspettativa di sanatoria, inevitabilmente determinano un aumento
vertiginoso, nel periodo successivo alla previsione e fino al termine
per la proposizione della domanda di condono, dei fenomeni di
abusivismo. In tal senso vi e', dunque, quel rischio di ulteriore
irreparabile pregiudizio all'interesse pubblico connesso alla
salvaguardia dell'ambiente e alla ordinata programmazione e
pianificazione urbanistica affidata alla regione.
L'eventuale sospensione degli effetti del decreto-legge, nel
mentre non si comporterebbe alcuna conseguenza di danno, anche per
l'assenza dei presupposti di necessita' ed urgenza, costituirebbe un
efficace baluardo per impedire ulteriori compromissioni del
territorio fino alla decisione nel merito dell'ecc.ma Corte.
P. Q. M.
Si conclude affinche' l'ecc.ma Corte costituzionale voglia, in
accoglimento del presente ricorso, dichiarare l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 32 decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269,
nei termini indicati, per violazione degli articoli 3, 9, 77, 114,
117, 118, 119 e 127 Cost. dei principi di ragionevolezza e di leale
cooperazione fra Stato e regione e per lesione della sfera di
competenza della regione.
Napoli-Roma, addi' 7 ottobre 2003
Prof.Avv. Cocozza - Avv. Baroni
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 25 ottobre 2003 (della Regione Campania)
(GU n. 47 del 26-11-2003)
Ricorso della Regione Campania, in persona del Presidente della
giunta regionale pro tempore, on. Antonio Bassolino, rappresentato e
difeso, giusta mandato a margine ed in virtu' delle deliberazioni
della Giunta regionale n. 2828 del 30 settembre 2003 e n. 2852 del 16
ottobre 2003, dal prof. avv. Vincenzo Cocozza e dall'avv. Vincenzo
Baroni dell'Avvocatura regionale, insieme con i quali elett. te
domiciliato in Roma, presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione
Campania alla via Poli n. 29;
Contro: il Presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore; per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale, dell'art. 32, del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 229 del 2 ottobre 2003 - suppl. ordinario n. 157/L) che
prevede il «condono edilizio», in particolare i commi nn. 1, 2, 3, 5
da 14 a 23 e da 25 a 50 (in parte qua).
F a t t o
1. - Il decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 recante
«Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento dei conti pubblici» e' un decreto-legge omnibus,
emanato in assenza dei presupposti costituzionali di necessita' e
urgenza nonche' privo del requisito di omogeneita', finalizzato a
porre in essere misure di finanza pubblica per il riequilibrio dei
conti pubblici.
In tale contesto si inseriscono le disposizioni impugnate, di
«sanatoria» edilizia, che sono contenute nell'art. 32 e che riaprono,
per la seconda volta in pochi anni, i termini concessi per
l'ottenimento del condono, con un espresso rinvio, per quanto non
previsto dal decreto, alla disciplina della legge n. 47/1985.
L'art. 32 reca «Misure per la qualificazione urbanistica,
ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attivita' di
repressione dell'abusivismo edilizio, nonche' per la definizione
degli illeciti edilizi e delle occupazioni su aree demaniali».
Si tratta di una disciplina con una pluralita' di contenuti che
presenta un singolare e contraddittorio intarsio di norme, dove
l'aspetto assolutamente caratterizzante e' costituito dalla
introduzione di un condono edilizio, che si vuole in qualche maniera
«giustificare» con regole tese a prefigurare, in assoluta antitesi,
interventi di riqualificazione.
L'impugnativa che la Regione Campania propone, riferita
all'intero art. 32 in quanto contraddittorio, invasivo ed incoerente
nelle sue estremamente ampie articolazioni normative, si appunta in
modo specifico nei confronti di tutte quelle disposizioni che
contribuiscono nel loro collegamento ad introdurre «di nuovo» il
condono e a tracciarne le modalita' di svolgimento.
Sono, pertanto, specificamente indicati quali oggetto di
impugnativa in quanto costituenti in maniera piu' immediata le regole
afferenti all'intervento di condono, i commi 1, 2, 3, e 5 che danno
conto dell'impianto generale; i commi da 14 a 23 che contemplano
ipotesi particolari; i commi da 25 a 31 che si occupano di
individuare i modi di operativita' della disposta sanatoria; e quelli
da 32 e ss. che delineano i procedimenti funzionali alla
realizzazione e attuazione del condono medesimo.
Si deve precisare che, come dimostra anche lo schema riassuntivo
appena proposto che tiene conto dei contenuti essenziali funzionali
alla configurazione dell'intervento di sanatoria che la regione
contrasta, l'impugnativa e' proposta dalla Regione Campania per
contestare l'ammissibilita' di una regolamentazione legislativa
statale in un ambito che afferisce ad una materia di propria
competenza, predeterminando condizioni per una vistosa alterazione
dei margini di tutela e una vanificazione del corretto esplicarsi
della competenza regionale della programmazione del territorio.
In particolare si segnalano, perche' significative, alcune
previsioni per cogliere in maniera immediata l'invasione della
competenza regionale denunciata ed i vizi complessivi dell'atto.
L'art. 32 intende disciplinare la «sanatoria delle opere
esistenti non conformi alla disciplina vigente» assumendo di voler,
cosi', pervenire alla regolarizzazione del settore (comma 1) e, in
particolare, l'adeguamento della «disciplina regionale ai principi
contenuti nel testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia, approvato con d.P.R. 6 giugno
2001, n. 380» (comma 2). Mentre, come si dira', un'esigenza di tal
tipo non e' per nulla ipotizzabile.
Nel consentire la sanatoria di ampliamenti e realizzazioni di
nuove costruzioni, si prevede un limite di volumetria «per singola
richiesta di titolo abilitativo in sanatoria» (comma 25) e per le
piu' disparate tipologie di abusi, compresi quelli commessi non solo
in assenza di titolo ma anche in violazione delle norme e delle
prescrizioni degli strumenti urbanistici (comma 26 e all. 1).
Inoltre, e' espressamente prevista una ipotesi di
silenzio-assenso sulle domande presentate nei termini di legge (comma
37)
Insomma, non e' revocabile in dubbio l'ampiezza degli effetti sul
territorio di una tale regolamentazione che incide sulla complessiva
politica programmatoria dell'ente locale.
Notevole e', ancora, e piu' in generale, che nel decreto vi sia
una disciplina descrittiva assai dettagliata delle procedure per, la
presentazione e per l'ottenimento della sanatoria.
Una regolamentazione cosi' puntuale da non lasciare alcun margine
di intervento, con la conseguenza che quanto previsto dal comma 2, in
ordine all'affermato rispetto delle competenze delle autonomie locali
sul governo del territorio, si configura come una mera clausola di
stile.
Un siffatto intervento del Governo, sia per lo strumento
normativo adottato, sia per la portata e i contenuti della
previsione, e quindi le reali finalita' che persegue, lede in modo
grave l'autonomia regionale concretando una serie di servizi di
legittimita' costituzionale che inducono alla proposizione del
presente ricorso per i seguenti.
M o t i v i
1. - Violazione degli art. 114 e 117 della costituzione.
Lesione della sfera di competenza delle regioni. Violazione del
principio di leale cooperazione.
In via preliminare occorre precisare che questa difesa e'
confortata, nella prospettazione dei vizi avverso l'atto impugnato,
dalle sentenze emesse da codesta ecc.ma Corte costituzionale in
relazione alle precedenti esperienze normative di condono edilizio
(legge n. 47/1985 e art. 39 legge n. 724/194). Difatti, sono proprio
le argomentazioni che la Corte ha posto a fondamento di dette
pronunce a fornire il piu' valido dei supporti per sostenere che
l'intervento statale impugnato e' affetto da insanabili vizi di
costituzionalita'.
Quell'impianto argomentativo, ovviamente, va considerato tenendo
conto della vigenza di un diverso quadro costituzionale che ha
ridisegnato i rapporti Stato-regione rafforzando il ruolo di
quest'ultima. In tal maniera risultano piu' chiari i vizi.
Procedendo con ordine.
Va contestato, in primo luogo, l'intervento del Governo perche'
si realizza in un settore di competenza regionale attraverso
disposizioni di rango legislativo che, per di piu', sostanzialmente
esauriscono la disciplina escludendo l'intervento della regione.
1.a - Il novellato art. 117 Cost. ancora a materie espressamente
previste la potesta' esclusiva dello Stato e concorrente
Stato-regione.
Scomparsa l'urbanistica dagli elenchi di cui all'art. 117 Cost. e
tenuto conto che il decreto impugnato e' volto a sanare le condotte
antigiuridiche di coloro che hanno realizzato manufatti in assenza di
titoli abilitativi, occorre considerare quanto si debba desumere
dalla (e quanto incide la) nuova formulazione costituzionale «governo
del territorio».
Delle due l'una.
O si esaurisce la disciplina del condono nella materia
urbanistica, sub specie edilizia - concernente, cioe', la disciplina
della costruzione e manutenzione degli edifici - e si ritiene che la
stessa non vada ricompresa in quella governo del territorio» ed
allora lo Stato e' intervenuto in un settore affidato alla potesta'
legislativa residuale della regione con la conseguente, irrimediabile
illegittimita' dell'intervento; ovvero l'urbanistica, come
regolamentazione incidente sulla utilizzazione e trasformazione del
territorio, rimane all'interno di tale nuova materia del novellato
art. 117 Cost.
Vi sono argomenti per sostenere la prima tesi.
Se, infatti, si pone l'accento sulla nuova formulazione
costituzionale, si deduce soprattutto che essa involge la
regolamentazione incidente sulla utilizzazione e trasformazione del
territorio; il mutamento della formula dell'art. 117 non puo' essere
priva di significato e, pertanto, il riferimento a una funzione di
«governo» deve comportare di porre in risalto i profili di
programmazione e pianificazione.
Da tale definizione potrebbe, pertanto, escludersi l'edilizia
vera e propria nell'indicato significato tradizionale di disciplina
della costruzione e manutenzione degli edifici, alla quale potrebbe
collegarsi il «condono».
Questo conduce a configurare una sfera di competenza residuale
delle regioni, attesa l'assenza della stessa fra gli elenchi del
nuovo art. 117 Cost., con la conseguente illegittima invasione da
parte della disciplina statale.
1.b. - Comunque il risultato in ordine alla dedotta
illegittimita' non cambia collocandosi nella seconda ipotesi.
Anche in questo caso, dovendosi assegnare al mutamento della
formula identificativa dell'ambito materiale d'intervento concorrente
Stato-regione il significato che ponga in risalto i profili di
programmazione e pianificazione regionale, se ne devono trarre le
conseguenze.
In verita', prima della riforma costituzionale sul Titolo V,
proprio codesta ecc.ma Corte, dovendo caratterizzare l'intervento in
materia di condono, ha adoperato frequentemente l'espressione
«governo del territorio». Questo per esprimere la peculiarita' di una
disciplina che finisce per coinvolgere in maniera ampia tutte le
funzioni che attengono alla gestione, controllo, programmazione,
tutela di un bene essenziale per l'ente pubblico.
In tale materia, in questa ottica, di potesta' concorrente, lo
Stato deve limitarsi a fissare i principi fondamentali e, come e'
assolutamente agevole verificare, le disposizioni del decreto-legge
non possono in alcun modo proporsi come tali alla stregua di quanto,
invece, imposto dal comma dell'art. 117 Cost.
Gli elementi che inducono a una conclusione nel senso indicato
sono, invero, molteplici.
1.b.1. - In primo luogo e' la stessa previsione di un'ipotesi di
nuova sanatoria che sorbita dalla nozione di principio inteso,
questo, come «modo di esercizio della potesta' legislativa regionale»
(cfr. Corte cost. n. 482/1995).
Vizio confermato dall'intera disciplina per la quale neanche
soccorre il criterio di cedevolezza delle disposizioni statali. I
tempi stabiliti, le caratteristiche delle previsioni introdotte,
l'aver riguardo a condotte gia' realizzate, escludono del tutto la
possibilita' di un successivo intervento regionale, e l'intero quadro
giuridico dei rapporti risulta definito.
D'altra parte, si e' di fronte ad una ipotesi di «contenuto
provvedimentale», che regola comportamenti gia' posti in essere,
quindi non ipotetici e futuri, ma situazioni pregresse, storicamente
verificatesi, determinate e concrete che escludono ancor di piu' la
configurabilita' di un principio fondamentale.
Come l'ecc.ma Corte ha di recente evidenziato puo' atteggiarsi
come principio anche una disciplina piu' specifica purche' esprima un
obiettivo quale, ad esempio, quello di una semplificazione delle
procedure affinche' queste «non risultino inutilmente gravose per gli
amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e a evitare
la duplicazioni di valutazioni sostanzialmente gia' effettuate dalla
pubblica amministrazione» (Corte cost. 1° ottobre 2003, n. 303). Ma
l'imposizione di una «rinuncia» alla tutela di una corretta
pianificazione, come nell'ipotesi in esame, sfugge a qualunque
possibilita' di inquadramento come principio.
1.b.2. - La disciplina dei procedimenti nel decreto-legge e'
puntuale ed esaustiva, prevedendosi tutte le fasi: sono contemplati
espressamente i limiti di volumetria (comma 25), le tipologie di
illecito (comma 26), le ipotesi di. esclusione (comma 27), la
disciplina dei termini (comma 28), l'influenza di fattispecie penali
nella sanatoria (commi 29 e 30), i rapporti con i terzi (comma 31), i
termini per la proposizione dell'istanza (comma 32), la
documentazione da allegare (comma 35), l'ipotesi del silenzio-assenso
(comma 37), l'oblazione da corrispondere (comma 38 e all. 1). E'
perfino allegato il modello di domanda da presentare alle autorita'
competenti.
I pochi rinvii, effettuati dal decreto, alla normativa della
regione e al rispetto delle competenze di quest'ultima, si riducono
ad una vuota formula senza conseguenze.
In definitiva, viene attribuita alla Regione unicamente la
possibilita' di «attuazione della normativa per le ipotesi di minore
impatto» (comma 26), ovvero di «prevedere un incremento della
oblazione», ma solo nella misura del 10% (comma 33).
1.b.3. - Ancora non puo' non considerarsi che la fissazione di
principi fondamentali, che la Costituzione attribuisce allo Stato, e'
evidentemente funzionale alla individuazione di orientamenti e
direttive per una coordinata programmazione degli interventi delle
regioni e perche' si consenta all'ente territoriale un razionale
governo del territorio.
Insomma, la norma costituzionale, nel fissare il rapporto fra
principi fondamentali e legislazione regionale, propone non solo un
limite quantitativo e oggettivo all'esercizio della potesta', ma
anche funzionale al rispetto di un obiettivo, e cioe', per l'ipotesi
in esame, la razionale pianificazione.
Un intervento di condono, di per se', si pone in evidente
contrasto con un tale obiettivo ed ostacola qualunque esplicazione
dell'autonomia regolativa regionale che lo Stato deve, invece,
rispettare, potendo soltanto individuare quanto e' necessario per
garantire l'unita' dell'intervento normativo.
Siffatta conclusione e', poi, avvalorata dai contenuti dell'atto
avente forza di legge impugnato.
La sanatoria e' ampia coinvolgendo una articolata tipologia di
abusi. In particolare, si consente il rilascio del titolo non solo
per manufatti realizzati in assenza o in difformita' dello stesso, ma
anche per opere realizzate in violazione delle norme edilizie e delle
prescrizioni degli strumenti urbanistici (comma 1, 25, 26 e all. 1),
imponendo alle autonomie locali di subire gli illeciti urbanistici
compiuti in dispregio della programmazione territoriale gia' vigente
e dei piani di zona, laddove questi impediscano o limitino
l'edificabilita' ovvero la condizionino a determinate finalita'.
Coerenza urbanistica e territoriale, dunque, violata, e di cui si
impedisce il recupero attraverso la vanificazione di ogni intervento
repressivo e, soprattutto, di ripristino.
Quanto sopra e' ulteriormente aggravato dalla circostanza che il
limite di volumetria viene riferito a «singola richiesta di titolo
abilitativo edilizio in sanatoria» (comma 25) e non vi e' relazione
con l'area.
Per di piu', in base a una documentazione (tecnica e fotografica)
da presentarsi sino al 31 marzo 2004 (comma 35). Previsione inidonea
a certificare l'effettiva realizzazione dell'opera al 31 marzo 2003;
cio' determinera', come d'altronde hanno insegnato le pregresse
esperienze, un aumento dei fenomeni di abusivismo fino alla scadenza
del termine di presentazione delle domande.
A cio' si aggiunga, ancora, la previsione di ipotesi di
silenzio-assenso (comma 37), che permettera' di condonare anche
quegli abusi esclusi (pochi, in verita) dalla normativa impugnata. La
irragionevolezza di tale ultima disposizione e', d'altronde,
confortata dallo stesso legislatore statale che, pur nel processo di
semplificazione delle procedure amministrative, ha escluso la ipotesi
di un silenzio-assenso nella regolamentazione di materia
urbastico-edilizia e, in generale, ambientale.
1.b.4. - Ancora, va dedotta l'illegittimita' di un decreto-legge
che pretende di fissare principi fondamentali (laddove una tale
lettura del contenuto sia possibile il che si nega nei confronti
della legislazione regionale.
Se e' vero, infatti, che nelle materie di competenza concorrente,
i principi assolvono alla funzione di unificare il sistema delle
autonomie, inidoneo si mostra, sotto l'aspetto formale, il
decreto-legge a contenere gli stessi, atteso che «l'esercizio di tali
competenze postula l'affidamento delle regioni nella effettivita' e
quindi stabilita' dei principi» (Corte cost. 22 luglio 1996, n. 271).
D'altronde se il fine e' solo quello di individuare obiettivi e
criteri direttivi da attuare, incoerente si mostra il fine rispetto
all'utilizzazione di uno strumento normativo che presuppone la
necessita' e urgenza di provvedere.
1.b.5. - Ne' un tale intervento puo' essere giustificato da
esigenze di carattere unitario.
Anche laddove queste ricorressero nel caso di specie (il che si
nega), il Governo avrebbe comunque dovuto procedere secondo i canoni
costituzionali di lealta' e cooperazione che, nel caso di specie,
trattandosi di un intervento statale privo dei caratteri di normativa
di principio in un ambito materiale di potesta' legislativa
concorrente, puo' realizzarsi solo attraverso «una disciplina che
prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita'
concertative e di coordinamento orizzontale, ovverossia le intese che
devono essere condotte in base al principio di lealta» (Corte cost.
1° ottobre 2003, n. 303 cit.).
2. - Violazione dell'art. 77 Cost. anche in relazione alla legge
23 agosto 1988, n. 400, art. 15 e al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281,
in particolare art. 2. Ulteriore violazione degli artt. 117, 127
della costituzione. violazione del principio di ragionevolezza.
Violazione del principio di leale cooperazione.
L'intervento attraverso la decretazione d'urgenza e' illegittimo
in quanto adottato in carenza dei presupposti costituzionali di
necessita' e urgenza, ed in tale direzione vale anche il raffronto
fra i motivi individuati nell'epigrafe a fondamento dell'intervento
ex art. 77 Cost. («favorire lo sviluppo economico e la correzione
dell'andamento dei conti pubblici») e la indicata finalita' della
disciplina di condono («consentire l'adeguamento della disciplina
regionale ai principi contenuti nel t.u. in materia edilizia»).
2.1 - Si deve premettere che la regione puo' prospettare tale
vizio anche perche' l'interesse a ricorrere regionale «qualificato
dalla finalita' di ripristinare l'integrita' della sfera di
competenza violata» ha subito significative aperture.
Difatti, dalla ammissibilita' di motivi fondati solo sulla
violazione diretta delle norme costituzionali relative alla
delimitazione delle sfere di competenza in senso stretto, alla
stregua di una applicazione rigorosa dell'art. 2 legge cost. n. 1/48,
si e' pervenuti alla successiva precisazione che anche le censure
«relative a differenti parametri costituzionali, posti al di fuori
del Titolo V della Costituzione, sono ammissibili, se da quella
violazione deriva, comunque, una lesione delle competenze suddette
(cfr. sent. nn. 303/2003; 9-10 marzo 1988, n. 302; 2 marzo 1987,
n. 64; 11 ottobre 1983, n. 307; 307/1993).
Di grande interesse ricordare che con riferimento a parametri
ulteriori «in astratto simili censure da parte della regione in sede
di impugnazione diretta sono ammissibili, sempre che si tratti di
principi o criteri volti a salvaguardare le competenze regionali»
(sent. 22 maggio 1987, n. 183), in quanto «in via di principio non
puo' escludersi che una lesione delle attribuzioni regionali possa
conseguire dalla violazione di precetti costituzionali collocati al
di fuori del titolo quinto della Costituzione» (sent. n. 302/1988
cit.), laddove tale censura sia comunque finalizzata alla «tutela di
una propria competenza che si assume violata» (sent. n. 302/1988
cit.) o vanifichi l'esercizio di competenze costituzionalmente
garantite (sent. n. 302/1988 cit.).
Questa linea interpretativa comporta la sussistenza
dell'interesse a ricorrere quando vi siano lesioni alle funzioni di
competenza regionale connesse alle modalita' di esercizio della
potesta' legislativa statale (a prescindere dalla qualificazione
della materia su cui lo Stato interviene).
In sostanza si segnala un percorso nella giurisprudenza
costituzionale che, gia' nel vigore del precedente regime, aveva
ampliato la possibilita' dell'impugnativa regionale sia pure nei
limiti di un contesto costituzionale strutturato nel controllo
preventivo della legge regionale da parte del Governo.
Tale impostazione deve ritenersi rafforzata dal nuovo assetto
delineato dalla legge di revisione del Titolo V Cost., e la regione
deve poter prospettare tutti quei vizi della legge statale che, pur
non configurando una invasione diretta della competenza regionale
(che, nel caso di specie, e' palese), si risolvano tuttavia in una
menomazione delle competenze stesse per illegittimita' dell'atto
statale.
Alla luce di un tale quadro ricostruttivo dei rapporti fra la
legge statale e la legge regionale e delle possibilita' di tutela
offerte, vi e', ancor di piu', lo spazio per la proposizione di vizi
ulteriori.
2.2. - La doglianza qui avanzata sulla assenza dei presupposti
costituzionali per l'emanazione del decreto-legge, oltre a proporre
di per se' una illegittimita', esprime un vizio per una ulteriore
compressione delle prerogative delle regioni, laddove, in una materia
comunque di competenza regionale (sia essa esclusiva o concorrente),
il legislatore nazionale interviene in modo da impedire ogni
partecipazione degli enti territoriali sia nella fase decisionale,
che in quella attuativa. Questi ultimi devono, cosi', subire gli
effetti immediati di un provvedimento legislativo adottato in assenza
di tutte le garanzie, volte a individuare con maggior ponderazione il
necessario contemperamento degli opposti interessi in gioco, che non
puo' essere recuperato nel tempo strettamente necessario alla
conversione.
Si ricorda che il d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, art. 2, comma 3,
ha disposto che, nelle materie di competenza regionale, sia
«obbligatoriamente» sentita la Conferenza Stato-regioni e che tale
obbligo possa essere derogato solo in caso di urgenza (comma 4),
rinviando la consultazione in sede di esame delle leggi di
conversione dei decreti-legge (comma 5). Ne consegue che, nel momento
in cui il Governo ha ritenuto di agire attraverso lo strumento
normativo di cui all'art. 77 Cost. in assenza dei presupposti
costituzionali, ha illegittimamente leso la sfera di competenza
garantita alle regioni.
In tal senso anche l'eccepita violazione del principio
costituzionale di leale cooperazione.
Il decreto, inoltre, e' privo dei requisiti di omogeneita',
essendo la previsione inserita in un intervento molto ampio volto,
non a riordinare la normativa di settore, ma a sanare i conti
pubblici attraverso anche la compressione di prerogative regionali.
Ed anche questo elemento e' in insanabile antitesi con il ruolo da
assegnare ai principi.
3. - Violazione degli articoli 3, 9, 119, 117, 118 e 127 della
Costituzione. Violazione del principio di ragionevolezza. Violazione
del principio di leale cooperazione. Violazione del giudicato
costituzionale in pari sentenze nn. 416/1995, 427/1995, 369/1988,
302/1988 e 231/1993.
La normativa e', inoltre, viziata per irragionevolezza sotto
molteplici aspetti.
Aiuta a dimostrarlo la giurisprudenza costituzionale cui
all'inizio si e' fatto riferimento.
3.a - Il comma 2, dell'art. 32, come detto, reca una sorta di
motivazione a sostegno dell'intervento giacche' prevede che «la
normativa e' disposta nelle more dell'adeguamento della disciplina
regionale ai principi contenuti nel testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con d.P.R.
6 giugno 2001, n. 380 ...».
In realta', pero', non vi e' stata alcuna innovazione normativa
nel settore (il testo unico n. 380/2001, tra l'altro, non ha
modificato l'impianto normativo complessivo in materia) e, in ogni
caso, pur laddove vi fosse stata, si' applicherebbero comunque i
nuovi principi in attesa della loro attuazione. Ma soprattutto, non
si' riesce in alcun modo a comprendere in qual maniera si possa
collegare questa terza sanatoria edilizia con una eventuale, gia'
intervenuta, modifica legislativa di settore. E quale sia il rapporto
fra questa disciplina e la successiva di livello regionale.
Sotto questo punto di vista si evidenzia una palese
irragionevolezza della normativa che e' del tutto incoerente rispetto
alle finalita' dichiarate.
In verita', come dimostrato anche dai contenuti e dal titolo
dell'intero decreto in cui la disposizione e' inserita, il previsto
condono ha lo scopo, esclusivo di recuperare gettito all'erario.
Persegue, cioe', una reale finalita' diversa da quella dichiarata. E
per ottenere tale risultato invade gli ambiti dello competenza
regionale.
Sotto tale profilo, il decreto e', pero', ulteriormente viziato
perche' irragionevole anche rispetto agli scopi di carattere
economico (che comunque non possono giustificare ne' l'invasione di
competenza, ne' i danni arrecati al territorio), in quanto non tiene
conto degli effetti ulteriori e deleteri che tali previsioni
comportano anche solo in termini economici per gli enti territoriali.
Questi ultimi, infatti, dovranno far fronte a spese per
l'urbanizzazione e il recupero ambientale che gli oneri di
urbanizzazione, a carico di coloro che si avvantaggeranno della
sanatoria, non copriranno se non in maniera del tutto limitata.
Insomma, pur se non si volesse considerare come vizio la dedotta
difformita' tra il fine reale e quello dichiarato e volendo limitare
la valutazione al solo aspetto economico, la normativa si mostra
comunque viziata nel fine in quanto non in grado di raggiungerlo.
Anzi, proprio sul piano finanziario, si rinvengono ulteriori
elementi di vizio per l'illegittima compressione dell'autonomia
finanziaria regionale garantita dal novellato art. 119 Cost.:
attraverso il meccanismo contemplato dalla normativa impugnata si
toglie in termini economici alle autonomie locali (attesa la
necessita' da parte delle stesse di sopportare i costi prima
indicati) piu' di quanto non intenda recuperare l'erario. In tal
modo, si impone, fra l'altro, agli enti territoriali l'impegno di
somme per determinate finalita' piuttosto che per altre ovvero la
necessita' di recuperare entrate ulteriori per far fronte alle nuove
spese.
3.b - Ancora, va eccepita, in uno con il costo in termini di
legalita', l'ulteriore illegittimita' perche' si determina la
vanificazione degli interventi di programmazione e controllo locale.
Il condono edilizio, infatti, si caratterizza in quanto, come
osservato da codesta ecc.ma Corte, la possibilita' di tali sanatorie
comporta «effetti permanenti, di modo che il semplice pagamento di
oblazione non restaura mai l'ordine giuridico violato» (Corte
costituzionale 21-28 luglio 1995, n. 416). incidendo su beni - il
territorio e l'ambiente - che costituiscono risorse limitate,
rendendo irreversibili le conseguenze del danno e compromettendo la
corretta gestione e programmazione del territorio affidate alla
regione.
In tal senso, come e noto, il giudice costituzionale aveva
giustificato, pur nell'ambito di un diverso quadro costituzionale dei
rapporti Stato-regione, meccanismi di sanatoria, solo se ancorati a
rigorosi presupposti. Questi ultimi sono assenti nel caso in esame.
Come la Corte costituzionale ha chiarito, si e' trattato,
infatti, di «norme del tutto eccezionali» connesse a ragioni
«contingenti e straordinarie» (sent. 28 luglio 1995, n. 416), che
hanno attribuito al regime di sanatoria il carattere episodico e
delimitato temporaneamente.
Con la sentenza del 28 luglio 1995, n. 416 la Corte ha
chiaramente affermato che, laddove vi fosse stato un «ulteriore e
persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del
commesso abusivismo edilizio...., differenti sarebbero i risultati
della valutazione sul piano della ragione volezza, venendo meno il
carattere contingente e del tutto eccezionale della norma ("con le
peculiari caratteristiche della singolarita' ed ulteriore
irripetibilita) in relazione ai valori in gioco, non solo sotto il
profilo delle esigenze di repressione dei comportamenti che il
legislatore considera illegali e di cui mantiene la sanzionabilita'
in via amministrativa e penale, ma soprattutto sotto il profilo della
tutela del territorio e del correlato ambiente in cui vive l'uomo» e
ha rilevato ancora che «la gestione del territorio sulla base di una
necessaria programmazione sarebbe certamente compromessa sul piano
della ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilita' di
condono sanatoria con conseguente convinzione di impunita' ...» (cfr
anche sentenze nn. 427/1995; 369/1988; 302/1988; 231/1993);
La legalizzazione ex post di vere e proprie azioni antigiuridiche
determina (come gia' in passato) l'aspettativa di ulteriori
provvedimenti premiali.
Sotto tale profilo, fra l'altro, le pregresse esperienze offrono
elementi di giudizio anche sul piano degli effetti pratici
dell'intervento.
La Corte costituzionale ha affermato in passato, per consentire
sulla non illegittimita' della «eccezionale» sanatoria statale, che
la diffusione del fenomeno dell'abusivismo edilizio va addebitata
almeno in parte alla scarsa incisivita' e tempestivita' dell'azione
di controllo e repressione da parte delle amministrazioni locali e
regionali preposte (Corte cost., 23 luglio 1996, n. 302; 18 luglio
1996, n. 256). Di qui una sorta di «azzeramento» delle posizioni
sulla base del condono.
Ebbene, proprio sul punto, sulla scorta delle precedenti
esperienze, si puo' rilevare che i passati interventi di condono
hanno inciso sulla relazione centro-periferia, delegittimando il
ruolo delle autorita' locali che, con sempre maggiore determinazione,
hanno dovuto impegnarsi per arginare il fenomeno e recuperare il
rapporto corretto con i cittadini, rafforzando i controlli e
programmando la gestione del territorio.
In tale direzione si segnala, soprattutto alla stregua della
riforma costituzionale introdotta dalla legge costituzionale
n. 3/2001, un notevole impegno normativo e amministrativo delle
autonomie locali; in particolare, per quanto qui da vicino ci
riguarda, della Regione Campania che si sta adoperando per
un'efficace politica territoriale che sarebbe del tutto compromessa
dalla normativa impugnata.
Questa sanatoria (basata soltanto su esigenze di incasso che, in
quanto tali, sono sempre verificabili in futuro) vanificherebbe lo
sforzo delle amministrazioni in tal senso, frustrando, nel contempo,
i comportamenti legali dei soggetti privati.
In definitiva, la Corte costituzionale, nel respingere i ricorsi
promossi avverso il condono edilizio del 1994, ha prospettato una
linea interpretativa attraverso sentenze «monito», che ha creato uno
sbarramento insuperabile perche' il legislatore e' stato avvertito
che proprio per la eccezionalita' della circostanza, tale strada non
sarebbe stata piu' percorribile e, conseguentemente, considerata
legittima dalla Consulta, atteso anche il costo che ne sarebbe
derivato sul piano della legalita' e dell'efficace controllo del
territorio.
3c. - La disciplina impugnata non sfugge ad una ulteriore censura
di illegittimita' costituzionale. E' evidente il contrasto di un
condono generale con l'art. 9 della Costituzione che pone quale
compito della Repubblica, quello di tutela del paesaggio e del
patrimonio artistico della Nazione e ancora dell'art. 117, terzo
comma che attribuisce alla regione la competenza legislativa relativa
alla valorizzazione dei beni ambientali.
Ed invero lo stesso termine adoperato dal Costituente nell'art. 9
(Repubblica) costituisce riprova di un impegno, nella direzione
indicata dalla norma costituzionale, imposto all'intera
organizzazione quale oggi risulta dall'art. 114 Cost. novellato,
ricomprendendovi l'articolazione territoriale.
Proprio questa notazione si mostra idonea ad evidenziare
ulteriormente la ricaduta del vizio di legittimita' dedotto sulle
competenze regionali, in quanto tale violazione si connette, fra
l'altro, a precise lesioni «dell'ordine delle competenze
costituzionalmente stabilito in vista dell'attuazione della predetta
tutela» (sent. n. 302/1988 cit.).
Tale «illegittimo uso» del potere legislativo da parte dello
Stato, comunque si voglia qualificare la materia oggetto della
disciplina censurata, incide in ogni caso sul governo del territorio
in quanto certamente inibisce scelte diverse di pianificazione e di
uso del territorio medesimo.
Ed ancora, consolidando situazioni illegali in aree cosi' estese,
comprime la competenza della regione nella «valorizzazione dei beni
ambientali», impedendo strategie complessive tese a scelte di
recupero ambientale e vanificando la regolazione regionale: risulta
violato cosi' «il principio costituzionale di concorrenza e
cooperazione delle competenze statali e di quelle regionali nella
tutela del paesaggio» (sent. n. 302/1988 cit.).
Istanza ai sensi degli articoli 35 e 40 della legge n. 87/1953;
Si produce istanza a codesta ecc.ma Corte affinche' valuti il
ricorrere dei presupposti per la sospensione dell'atto impugnato alla
luce delle recenti modifiche apportate dalla legge 5 giugno 2003,
n. 131 alla legge n. 87/1953, in part. artt. 35 e 40.
L'esperienza di passati condoni ha insegnato che simili
provvedimenti legislativi, producendo nella societa' una notevole
aspettativa di sanatoria, inevitabilmente determinano un aumento
vertiginoso, nel periodo successivo alla previsione e fino al termine
per la proposizione della domanda di condono, dei fenomeni di
abusivismo. In tal senso vi e', dunque, quel rischio di ulteriore
irreparabile pregiudizio all'interesse pubblico connesso alla
salvaguardia dell'ambiente e alla ordinata programmazione e
pianificazione urbanistica affidata alla regione.
L'eventuale sospensione degli effetti del decreto-legge, nel
mentre non si comporterebbe alcuna conseguenza di danno, anche per
l'assenza dei presupposti di necessita' ed urgenza, costituirebbe un
efficace baluardo per impedire ulteriori compromissioni del
territorio fino alla decisione nel merito dell'ecc.ma Corte.
P. Q. M.
Si conclude affinche' l'ecc.ma Corte costituzionale voglia, in
accoglimento del presente ricorso, dichiarare l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 32 decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269,
nei termini indicati, per violazione degli articoli 3, 9, 77, 114,
117, 118, 119 e 127 Cost. dei principi di ragionevolezza e di leale
cooperazione fra Stato e regione e per lesione della sfera di
competenza della regione.
Napoli-Roma, addi' 7 ottobre 2003
Prof.Avv. Cocozza - Avv. Baroni