Ricorso n. 77 del 27 ottobre 2008 (Regione Piemonte)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 27 ottobre 2008 , n. 77
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 27 ottobre 2008 (della Regione Piemonte)
(GU n. 52 del 17-12-2008)
Ricorso per la Regione Piemonte, in persona della sua Presidente, prof.ssa Mercedes Bresso, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dal prof. Roberto Cavallo Perin del Foro di Torino e dal prof. Alberto Romano del Foro di Roma, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Roma, lungotevere Sanzio n. 1, in forza di procura speciale a margine del presente ricorso, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 23-bis, decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 21 agosto 2008, n. 195. F a t t o 1. - La legge 6 agosto 2008, n. 133, ha convertito in legge con modificazioni il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, introducendo l'art. 23-bis il quale pone direttamente nuove disposizioni generali per «tutti» i servizi pubblici locali di rilevanza economica che «prevalgono sulle relative discipline di settore» (comma 1, ult. frase), ma al contempo autorizza il Governo ad emanare ulteriori disposizioni regolamentari anche di delegificazione (ex art. 17, secondo comma, legge 23 agosto 1988, n. 400) su oggetti determinati e complementari (comma 10), in particolare gli affidamenti della gestione di tali servizi [comma 10, lettera d) e lettera h)]. L'indicato art. 23-bis pone infine una disciplina transitoria, ancora una volta direttamente per il solo servizio idrico integrato (comma 8), e con rinvio al regolamento governativo per tutti gli altri servizi pubblici locali di rilevanza economica [comma 10, lettera e)]. La preesistente disciplina generale del servizio pubblico locale (art. 113, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267) non e' tuttavia integralmente sottoposta ad abrogazione dal nuovo art. 23-bis, perche' quest'ultimo espressamente prevede che cessino di avere effetto le norme preesistenti nelle sole «parti incompatibili» con le sue nuove disposizioni (comma 11, art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit.). La Regione Piemonte ritiene che tali disposizioni di legge statale ledano la propria sfera di competenza legislativa stabilita in Costituzione e pertanto propone ricorso ex art. 127, Cost., per le seguenti ragioni in D i r i t t o 1) Violazione dell'art. 117, commi primo, secondo, quarto, sesto e dell'art. 97, Cost. Difetto di tutela della concorrenza. Violazione della residua competenza legislativa regionale. A) L'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. - dopo aver precisato che trattasi di disciplina generale che prevale sulle norme di settore (comma 1) - prevede che «il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di societa' in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunita' europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicita', efficacia, imparzialita', trasparenza, adeguata pubblicita', non discriminazione, parita' di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalita'» (comma 2). Il successivo comma soggiunge che l'affidamento diverso da quello «ordinario» - tra cui spicca la forma di gestione denominata in house providing - puo' essere adottato «nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria» solo «in deroga alle modalita' di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato» (art. 23-bis, comma 3, decreto-legge n. 112 del 2008, cit.). Il legislatore statale dunque riconosce che entrambe le forme di gestione ed affidamento dei servizi pubblici (soggetto scelto con gara, organizzazione in house providing) sono conformi all'ordinamento europeo ed in particolare alla disciplina sulla concorrenza, ma con la norma nazionale giunge sino ad individuare come forma preferenziale «ordinaria» l'affidamento del servizio ad imprese terze, mentre relega la possibilita' dell'affidamento in house ai soli casi ivi espressi in via d'eccezione, superando con cio' la stessa disciplina comunitaria in materia di concorrenza, nonostante che la stessa abbia creato l'istituto giuridico dell'in house providing come senz'altro compatibile con l'ordinamento comunitario e i suoi principi. In tal senso non vale ricordare che in un caso si e' ritenuto che taluna legislazione nazionale in materia di tutela dell'ambiente ha potuto individuare misure piu' rigorose di quelle previste dal diritto comunitario, poiche' cio' e' stato possibile nei soli limiti di un rispetto del principio di proporzionalita' con altre disposizioni del Trattato (Corte di giustizia Ce, 14 aprile 2005, in causa C-6/03, Deponiezweckverband Eiterköpfe c. Land Rheinland-Pfalz) tra le quali assume particolare importanza la disciplina a tutela della concorrenza. B) La potesta' legislativa in Italia si esercita «nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario» (art. 117, primo comma, Cost.) in particolare il vincolo si afferma anche nell'esercizio della potesta' statale esclusiva in materia di «tutela della concorrenza» (art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.), anzi e' proprio con riferimento alla regolamentazione del mercato unico europeo che la legislazione statale italiana non puo' che configurarsi in attuazione della disciplina europea. Il mercato unico europeo infatti e' concettualmente possibile e concretamente si e' affermato solo riconoscendo un'unitaria disciplina da parte dell'Unione europea, che deve trovare attuazione negli Stati membri attraverso norme di principio o di dettaglio, siano esse del Trattato, o piu' di frequente in norme di regolamento o di direttive comunitarie, con conseguente impossibilita' per gli Stati membri di procedere ad introdurre legislazioni ispirate da un indirizzo politico nazionale e percio' differenziate tra gli Stati membri, neppure configurando l'ipotesi limite di una disciplina nazionale di «integrale o totale concorrenzialita'». Non appare infatti possibile confondere il principio di concorrenza posto dal Trattato dell'Unione europea, che disciplina i comportamenti delle amministrazioni pubbliche una volta che abbiamo deciso di rivolgersi al mercato delle imprese, con l'idea di prevalenza o preferenza per il mercato nell'organizzazione dei servizi pubblici indicata dall'art. 23-bis in esame, nella quale l'in house providing e' configurata come un residuo negletto o un cattivo surrogato. Questa configurazione offusca, sovvertendolo, il principio di liberta' degli individui o di autonomia - del pari costituzionale - degli enti territoriali (artt. 5, 117, 118, Cost.) di mantenere la capacita' di operare ogni qualvolta la scelta che ritengono piu' opportuna: cioe' se fruire dei vantaggi economici offerti dal mercato dei produttori oppure se procedere a modellare una propria struttura capace di diversamente configurare l'offerta delle prestazioni di servizio pubblico. Autonomia e relativa capacita' di scelta discrezionale che implicano anche la possibilita' di non voler correre l'avventura ed il conseguente rischio di un affidamento a terzi in un tempo di cattivo mercato economico e finanziario. In tal senso si e' peraltro espresso da tempo l'ordinamento comunitario che ha ritenuto in contrasto con la disciplina europea sulla concorrenza la legge nazionale sui lavori pubblici (allora legge 11 febbraio 1994, n. 109, art. 21) che aveva limitato la scelta tra i due criteri europei d'aggiudicazione degli appalti - offerta economicamente piu' vantaggiosa e prezzo piu' basso - imponendo il vincolo legislativo «alle amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere unicamente al criterio del prezzo piu' basso» (Corte di Giustizia Ce, 7 ottobre 2004, in causa C-247/02, Sintesi s.p.a. c. Autorita' per la Vigilanza sui Lavori Pubblici e Ingg. Provera e Carassi s.p.a.). L'ordinamento europeo ha ritenuto che l'imposizione leda la discrezionalita' delle amministrazioni pubbliche, in particolare la possibilita' «di prendere in considerazione la natura e le caratteristiche peculiari di tali appalti, isolatamente considerati, scegliendo per ognuno di essi il criterio piu' idoneo a garantire la libera concorrenza e ad assicurare la selezione della migliore offerta» (Corte di Giustizia Ce, 7 ottobre 2004, in causa C-247/02, cit., § 40), ma ancor prima per l'impossibilita' istituzionale di una disciplina interna differenziata «in termini non espressamente consentiti» dal diritto comunitario (cfr. conclusioni Avv. Gen. Stix-Hackl 1° luglio 2004, in causa C-247/02, § 65). L'indicato orientamento - che trova ragione giuridica nella stessa nozione di mercato unico il quale istituzionalmente comporta una regolazione omogenea sulla concorrenza fra gli Stati membri - e' del pari quello della Corte costituzionale italiana espresso proprio con riferimento alla nozione di «concorrenza» ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. la quale non puo' non riflettere «quella operante in ambito comunitario» con la conseguenza che la normativa interna «si uniforma» a quella comunitaria (da ultimo: Corte cost., 23 novembre 2007, n. 401) di cui costituisce attuazione. E' noto che le norme d'attuazione non esprimono un indirizzo politico proprio dell'organo o soggetto che le pone, ma recepiscono quello altrui che e' inderogabilmente stabilito nelle norme di cui sono appunto l'attuazione, ed in tal senso si e' affermato l'orientamento di codesta Corte costituzionale con riferimento alla potesta' legislativa regionale d'attuazione delle leggi statali (previgente art. 117, ultimo comma, Cost.; ma vedi anche Statuto Sardegna, art. 5, lettera d); Statuto Friuli-Venezia Giulia, art. 6, n. 3). Si e' chiarito che l'attuazione puo' comportare solo «l'adozione di norme esecutive (secundum legem)», con l'impossibilita' di spingersi sino a norme «integrative (praeter legem), tali cioe' da ampliare, senza derogarli, i contenuti normativi espressi attraverso la legislazione» da attuare (Corte cost., 8 maggio 1990, n. 227) ed a fortiori si soggiunge che «il potere di emanare norme d'attuazione esclude la facolta' di apportare deroghe o modificazioni» (Corte cost., 12 aprile 1990, n. 181, cui adde Id., 16 marzo 1990, n. 122 e 24 ottobre 2001, n. 344). D) L'indicata chiarezza di nozioni assume rilievo nel caso in esame con riferimento al rapporto fra disciplina comunitaria in materia di concorrenza ed art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. il quale esprimendo una prevalenza o preferenza per il mercato nell'organizzazione della gestione del servizio pubblico locale risulta in contrasto con l'indirizzo comunitario sulla concorrenza e conseguentemente con l'ambito riservato alla disciplina nazionale che non puo' non essere considerato che d'attuazione o ricezione di tale indirizzo europeo (art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.). Nessuna delle disposizioni comunitarie vigenti infatti impone - come invece pretende l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. ai suoi commi secondo e terzo - agli Stati membri l'attribuzione ad imprese terze come forma ordinaria o preferenziale di affidamento dei servizi pubblici locali, relegando ai soli casi d'eccezione il ricorso alla diversa ed alternativa forma dell'in house providing. Al contrario si puo' affermare che la legislazione comunitaria lasci gli Stati membri liberi di decidere se fornire i servizi pubblici con un'organizzazione propria (cosiddetto in house providing) o affidarne la fornitura ad imprese terze. L'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. ai suoi commi 2 e 3 e' disciplina statale che esorbita e dunque non trova fondamento nella riserva costituzionale alla legislazione statale esclusiva della materia «tutela della concorrenza» (art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.), quest'ultima intesa come disciplina d'attuazione della normativa comunitaria in materia (art. 117, primo comma, Cost.). E) La forma di gestione denominata in house providing trova ragione in quell'interpretazione della giurisprudenza comunitaria che ha introdotto un'ulteriore ipotesi di organizzazione a fianco dell'organismo di diritto pubblico, anch'essa sottoposta alla disciplina prevista per lo «Stato e gli enti pubblici territoriali» (artt. 86 e 87, Trattato). Tale forma di gestione e' espressione del potere d'organizzazione delle pubbliche amministrazioni: il legame che unisce l'amministrazione territoriale all'ente in house providing vale ad escludere l'esperimento di procedure ad evidenza pubblica ed a giustificare l'affidamento diretto dei servizi all'organizzazione in house che, pur formalmente esterna rispetto all'amministrazione controllante, e' dall'amministrazione strettamente controllata in ragione del requisito del «controllo analogo» e della destinazione prevalente all'amministrazione controllante dell'attivita' svolta dalla controllata. Per tali due essenziali ragioni l'organizzazione in house e' dalla giurisprudenza comunitaria sottratta alla disciplina della concorrenza nella scelta del gestore (da ultimo Corte di Giustizia Ce 17 luglio 2008, in causa C-371/05, Commissione Ce c. Repubblica italiana), proprio perche' questi e' parte dell'organizzazione della controllante, non puo' svolgere attivita' per il mercato in via prevalente, sicche' non puo' essere considerata un'impresa di terzi, dunque non e' mercato. Organizzazione in house che da tempo l'ordinamento italiano assume quale forma di gestione ed affidamento del servizio unitamente a quelle realizzate da societa' scelta con gara e da societa' mista (art. 113, comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000, cit.). Anche nell'ordinamento interno la nozione di «controllo analogo» e' riferita alla struttura, ai poteri di comando riconosciuti ai soci pubblici, al contesto istituzionale e di mercato in cui gli stessi operano. L'eventuale parcellizzazione delle quote di capitale sociale, pur non impedendo il permanere di un rapporto in house providing tra l'ente affidatario ed i soci affidanti, impone che a questi ultimi siano attribuiti poteri di comando e d'organizzazione idonei a condizionare le scelte del produttore in house con necessita' di verificare (e provare) l'esistenza di poteri analoghi a quelli che gli enti affidanti hanno verso i propri servizi. Resta fermo che il rapporto in house providing giova solo alle amministrazioni aggiudicatici che partecipino al controllo analogo, mentre ad altri enti pubblici - seppur partecipi al capitale sociale - e' precluso senza gara ogni affidamento all'organizzazione in house. F) Osservata la disciplina sulla concorrenza, l'opzione tra modalita' di gestione del servizio pubblico locale tra esse alternative e' una tipica scelta d'organizzazione, in particolare di buon andamento del servizio pubblico (art. 97, primo comma, Cost.), che proprio in quanto organizzazione locale e non nazionale dei servizi oggetto della disciplina dell'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit., non puo' riconoscersi alla legislazione statale, ma spetta alla legislazione regionale ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. seppure nel rispetto di una eventuale specifica disciplina degli enti territoriali minori (art. 117, sesto comma, Cost.), con conseguente illegittimita' costituzionale dell'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. ove - esprimendo una prevalenza o preferenza ordinaria dell'affidamento ad imprese terze (comma secondo e terzo) - pone norme sull'organizzazione della gestione dei servizi pubblici locali. E' noto che alle regioni e' riconosciuta la legittimazione ad impugnare le leggi statali in via diretta non solo a tutela della propria legislazione ma anche con il riferimento alla prospettata lesione da parte della legge nazionale della potesta' normativa degli enti territoriali, con affermazione della regione come ente di tutela avanti alla Corte costituzionale del «sistema regionale delle autonomie territoriali» (art. 114, secondo comma, Cost.) che e' stato riconosciuto sia in generale (Corte cost., 17 maggio 2007, n. 169, 21 marzo 2007, n. 95, 14 novembre 2005, n. 417, 28 giugno 2004, n. 196), sia con specifico riferimento alla disciplina statale dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica (Corte cost., 27 luglio 2004, n. 272, § 4). F) L'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit., apre richiamando come propria fonte di legittimazione la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» (art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.), ma occorre ricordare che la disciplina dello stesso art. 23-bis, cit. e' in tutto o in parte sostitutiva dell'art. 113, d.lgs. n. 267 del 2000, cit. (art. 23-bis, comma 10), sicche' e' agevole concludere anche per le disposizioni in esame quanto e' stato riferito alle preesistenti, le quali sono state ritenute estranee alla indicata materia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali poiche' hanno ad oggetto unicamente le forme di gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica e non le prestazioni che tali forme giuridiche - una volta prescelte - debbono assicurare agli utenti (Corte cost., sent. n. 272 del 2004, cit., § 3). Ne' rileva la potesta' esclusiva statale in materia di «funzioni fondamentali di comuni, province e citta' metropolitane» [art. 117, secondo comma, lettera p)] «giacche' la gestione dei predetti servizi non puo' certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale» (Corte cost., sent. n. 272 del 2004, cit., § 3). 2) Violazione dell'art. 117, commi primo, secondo, terzo, quarto, Cost. e degli articoli 3 e 97, Cost. Violazione della competenza legislativa regionale. Violazione dei principi costituzionali di autorganizzazione e di buon andamento dell'amministrazione, di autonomia normativa nella disciplina delle funzioni, di ragionevolezza. A) L'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. qui oggetto di impugnazione - dopo avere indicato come forma prevalente («in via ordinaria»: comma 2) il solo affidamento del servizio pubblico locale ad imprese terze secondo procedure competitive ad evidenza pubblica - ribadisce che la forma di gestione denominata in house providing puo' essere adottata dall'ente locale solo «in deroga alle modalita' di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato» (comma 3). L'art. 23-bis, comma 4, cit. prevede inoltre che solo in tale ultimo caso «l'ente affidante deve dare adeguata pubblicita' alla scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato e alle autorita' di regolazione del settore, ove costituite, per l'espressione di un parere sui profili di competenza da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione». Le norme dell'art. 23-bis, che disciplinano l'affidamento del servizio pubblico locale nella forma organizzativa dell'in house providing (commi 3 e 4, cit.) risultano inoltre lesive della competenza delle regioni e degli enti locali ove le s'intenda come disciplina ulteriore rispetto a quella generale sul procedimento amministrativo che da tempo prevede il dovere di motivazione degli atti amministrativi (art. 3, legge 7 agosto 1990, n. 241), secondo molti posto in attuazione del principio costituzionale di motivazione delle scelte della amministrazioni pubbliche quanto meno nella cura di pubblici interessi (art. 97, Cost.). Trovandosi infatti la pubblica amministrazione locale a scegliere tra due forme individuate dalla legge come tra esse alternative per l'affidamento della titolarita' della gestione del servizio pubblico locale, non vi e' dubbio che occorra dare una congrua ed esaustiva motivazione sia della scelta di rivolgersi al mercato, cioe' ad un impresa terza osservando la disciplina sulla concorrenza (art. 23-bis, secondo comma, sia ove siano scelti altri strumenti di organizzazione del servizio pubblico locale ritenuti conformi alla disciplina comunitaria (art. 23-bis, comma 3), tra i quali e' noto l'affidamento in house providing. I commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. ove intesi come norme in deroga alla disciplina generale sul procedimento e la motivazione degli atti amministrativi sono da ritenersi in violazione del principio di ragionevolezza (arg. ex art. 3, secondo comma Cost.), poiche' non e' ravvisabile nel caso in esame alcun interesse pubblico prevalente capace di fondare sia l'esenzione dal generale dovere di motivazione per l'affidamento ad imprese terze (art. 23-bis, secondo comma), sia viceversa la limitazione dei casi sui quali puo' essere portata la motivazione a fondamento di altre soluzioni organizzative in particolare per l'in house providing (art. 23-bis, comma terzo e quarto). Fuori da tali ipotesi l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. ai suoi commi terzo e quarto si risolve in una norma che limita i presupposti di affidamento in house della gestione dell'organizzazione dei servizi pubblici «locali» degli enti territoriali, con una cieca preferenza per il mercato, invadendo per cio' la competenza normativa di regioni ed enti territoriali minori (art. 117, comma quarto e sesto, Cost.) sull'autonoma definizione del buon andamento dell'organizzazione della gestione dei servizi pubblici locali. L'invasione nella sfera di competenza regionale e degli enti territoriali minori e' addirittura enfatizzata dalla precisazione che le indicate disposizioni (commi 2, 3, 4, art. 23-bis, cit.) «prevalgono» su tutte le «discipline di settore con esse incompatibili» (comma 1, ult. frase, art. 23-bis, cit.), dunque su tutte le discipline di settore regionali, in particolare quelle della Regione Piemonte sul servizio idrico integrato della (legge regionale 13 dicembre 1997, n. 13) e sul sistema integrato di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani (legge regionale 24 ottobre 2002, n. 24) che non limitano affatto la scelta tra le forme di gestione dei servizi compatibili con il diritto comunitario. Ne deriva quindi che l'intervento legislativo statale costituisce insanabile lesione della sfera di competenza della Regione Piemonte con illegittimita' costituzionale dell'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. ai commi 1, 2, 3 e 4 ove preclude alla regione ogni scelta d'organizzazione su un punto qualificante della disciplina dei servizi pubblici locali (regionali e degli altri enti territoriali), in particolare impedendo alla regione di stabilire e disciplinare una previa valutazione comparativa da parte dell'amministrazione fra tutte le possibili opzioni per la scelta della forma di gestione. B) Non e' da escludere che dell'art. 23-bis, commi 1 e 4, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. si possa offrire un'interpretazione adeguatrice capace di sorreggere una sentenza interpretativa di rigetto della questione di costituzionalita' proposta ove s'intenda che tali disposizioni non deroghino alla disciplina generale sul procedimento amministrativo, dovendo l'amministrazione motivare qualunque scelta della forma di gestione del servizio pubblico locale, attraverso una comparazione tra tutte quelle compatibili con l'ordinamento comunitario ed offrendo infine la giustificazione in concreto della forma prescelta, secondo un'interpretazione che espunge dalle norme qualsiasi preferenza o prevalenza in astratto di una forma di gestione sull'altra. C) Permarrebbe comunque l'illegittimita' costituzionale parziale dell'art. 23-bis, commi 3 e 4, decreto-legge n. 112 del 2008, cit., per avere il legislatore statale invaso la sfera di competenza normativa della Regione Piemonte e degli enti territoriali piemontesi nella definizione dello svolgimento delle funzioni loro attribuite (art. 117, commi quarto e sesto, Cost.) poiche' una parte della norma prevede una disciplina particolare del procedimento di affidamento della gestione a soggetti diversi dagli operatori di mercato, tra cui l'in house providing. In particolare l'art. 23-bis, comma 3, decreto-legge n. 112 del 2008, cit., impone infatti una specifica disciplina generale ed astratta dei presupposti di affidamento in house del servizio pubblico locale di rilevanza economica, con il riferimento esclusivo a «situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato» (comma 3). Dispone inoltre una particolare attivita' istruttoria avente ad oggetto una specifica «analisi di mercato» su cui offrire una congrua motivazione ed addirittura una specifica «adeguata pubblicita' » (comma 4). E' infine data ancora una triplice prescrizione, del tutto particolari e specificamente dedicate al procedimento di affidamento della gestione a soggetti diversi dagli operatori di mercato - tra cui l'in house providing. Anzitutto l'invio all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato ed alle Autorita' di regolazione del settore di una «relazione contenente gli esiti dell'intervenuta analisi di mercato», sulla quale deve intervenire un «singolare» parere obbligatorio dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato ed altro parere obbligatorio delle autorita' di regolazione del settore «sui profili di competenza» entrambi da rendere «entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione» (comma 4), innovando la disciplina generale sull'attivita' consultiva dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato che prevede unicamente un'attivita' consultiva facoltativa, su richiesta delle amministrazioni o su iniziativa dell'Autorita' (art. 22, legge 10 ottobre 1990, n. 287). Non solo l'art. 23-bis, commi 3 e 4 e' viziato d'illegittimita' costituzionale parziale per avere invaso la sfera di competenza normativa della Regione Piemonte e degli enti territoriali piemontesi nella definizione dello svolgimento della funzione (art. 117, commi quarto e sesto, Cost.) d'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, ma cio' e' avvenuto con norme di dettaglio cosi' puntuali che non sarebbero neppure compatibili per una competenza esclusiva dello Stato (v. infra § n. 5) e in violazione del principio di ragionevolezza (ex art. 3, secondo comma, Cost.) poiche' della legge impugnata non si comprendono le ragioni di una disciplina differenziata per l'ambito locale dei pubblici servizi rispetto a quella generalmente prevista per l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato ed in genere per le autorita' di regolazione. 3) Violazione dell'art. 117, commi primo, secondo, terzo, quarto, Cost. con riferimento agli articoli 114, 117, sesto comma, e 118, commi primo e secondo, Cost. Violazione dell'autonomia costituzionale degli enti territoriali. A) Da tempo la Corte costituzionale ha riconosciuto che «le regioni sono legittimate a denunciare la legge statale per la violazione di competenze degli enti locali» poiche' di per se' tale violazione e' «potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (Corte cost. 17 maggio 2007, n. 169, 21 marzo 2007, n. 95, 14 novembre 2005, n. 417, 28 giugno 2004, n. 196; Corte cost., 27 luglio 2004, n. 272, § 4). E' l'autonomia costituzionale propria e dell'intero sistema degli enti locali che la Regione Piemonte intende oggi difendere di fronte ad un intervento legislativo statale che vorrebbe limitare la capacita' d'organizzazione e di autonoma definizione normativa dello svolgimento delle funzioni di affidamento dei servizi pubblici locali, la stessa autonomia di regioni, province, citta' metropolitane e comuni (art. 114, Cost.) che riconosciuta anche dall'Unione europea (art. 5, Trattato). Il cosiddetto valore costituzionale o materia trasversale «tutela della concorrenza» presuppone anche per il legislatore nazionale l'esistenza di un mercato quale oggetto di tutela (Corte di Giustizia Ce, 6 aprile 2006, in causa C-410/04, ANAV c. Comune di Bari), definizione di mercato che pero' non raggiunge gli spazi interni dell'organizzazione pubblica (Corte costituzionale, 15 novembre 2004, n. 345; Id., 26 gennaio 2004, n. 36). La scelta delle forme di gestione ed affidamento del servizio pubblico deve informarsi - entro i limiti della disciplina sulla concorrenza - a valutazioni di efficienza, efficacia ed economicita' che ciascuna organizzazione pubblica non puo' che esprimere con riferimento ai proposti standard di qualita' che intende offrire agli utenti, involgendo percio' questioni di pura autorganizzazione degli enti territoriali, della cui autonomia vi e' diretto fondamento costituzionale (art. 5, 114, 117, commi quarto, sesto, art. 118, Cost.). C) Nel contesto dell'ordinamento italiano e' incostituzionale un'interpretazione dell'ordinamento europeo nel senso di una «concorrenzialita' totale» che ritenga sempre imposto alle regioni ed agli enti locali l'attribuzione dei propri servizi ad imprese terze e riduca le altre forme e tra queste il cd. in house providing di derivazione comunitaria a mera ipotesi d'eccezione in presenza di determinate situazioni da motivare puntualmente (art. 23-bis, commi 2, 3, 4, decreto-legge n. 112 del 2008, cit.). La disciplina statale qui impugnata incide direttamente nella materia di competenza legislativa regionale del buon andamento dell'amministrazione nella gestione dei servizi pubblici locali (art. 117, commi quarto, sesto, art. 118, art. 97, Cost.), ma addirittura perviene a limitare la capacita' di autorganizzazione della regione e degli stessi enti territoriali, comprimendo illegittimamente l'autonomia pubblica conferita ad essi dalla Costituzione italiana (articoli 114, 117, 118, commi primo e secondo, Cost.). La garanzia costituzionale delle regioni e degli altri enti territoriali (in particolare, comuni e province) non puo' tollerare dunque alcun obbligo di legge statale statali di preferenza verso «1'esternalizzazione» dei servizi pubblici locali, disciplinando direttamente l'organizzazione di quest'ultimi invece che la propria amministrazione pubblica (Corte cost. 16 gennaio 2004, n. 16; Id., 27 luglio 2004, n. 272). La legislazione statale puo' legittimamente imporre una determinata forma di gestione di un servizio pubblico solo procedendo in via preliminare ad avocare allo Stato la competenza sull'organizzazione della gestione dei servizi sinora considerati locali (es. idrico integrato, raccolta dei rifiuti solidi urbani) sul presupposto che l'esercizio unitario di tali servizi sia divenuto ottimale solo a livello d'ambito statale (art. 118, primo comma, Cost.). La disciplina in esame pertanto e' da ritenersi costituzionalmente illegittima per difetto di tale qualificazione nazionale dei servizi che restando locali per sua espressa qualificazione (art. 23-bis, in rubrica, commi 1, 2, ecc.) segnano la denunciata invasione della sfera di competenza normativa in materia di organizzazione e svolgimento delle funzioni della Regione Piemonte e degli enti territoriali piemontesi, poiche' nega illegittimamente l'autonomia costituzionale di tali enti nel suo nucleo imprescindibile della capacita' di darsi un'organizzazione idonea a soddisfare i bisogni sociali del suo territorio, cioe' della popolazione residente che ne e' l'elemento costitutivo ed in particolare per la Regione Piemonte si evidenzia la diretta lesione della propria potesta' legislativa residuale (art. 117, quarto comma, Cost.) in materia di buon andamento dell'organizzazione dei servizi pubblici locali (regionali e degli altri enti territoriali) ove e' precluso alla regione ogni spazio di regolazione in ordine alla scelta - preliminare e fondamentale - se rivolgersi al mercato (imprese terze) oppure a cio' che mercato non e' (in house providing). 4) Violazione dell'art. 117, commi quarto e sesto, Cost. con riferimento alla potesta' regolamentare delle regioni. A) Proprio perche' la legge impugnata esorbita e non trova fondamento nelle riserve costituzionali di potesta' statale esclusiva (art. 117, secondo comma , Cost.) con invasione della sfera di competenza delle regioni in materia di buon andamento nell'organizzazione dei servizi pubblici locali (art. 117, quarto comma, Cost.), consegue che l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. non poteva neppure autorizzare il Governo all'adozione di un regolamento di delegificazione ove in particolare «armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonche' in materia di acqua» (decimo comma, art. 23-bis, cit.). La potesta' regolamentare «spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva», «alle regioni in ogni altra materia» (art. 117, sesto comma Cost.), con illegittimita' costituzionale dell'art. 23-bis, comma 10, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. per violazione dell'art. 117, commi primo, secondo, terzo, quarto, sesto, Cost. 5) Violazione dell'art. 117, secondo comma, Cost. con riferimento all'art. 3, Cost. Difetto comunque di proporzionalita' ed adeguatezza della disciplina statale ove la stessa sia ritenuta a tutela della concorrenza. A) La Corte costituzionale ha riconosciuto che solo le disposizioni di legge statale a «carattere generale che disciplinano le modalita' di gestione e l'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica» (in specie art. 113, d.lgs. n. 267 del 2000, cit.) trovano il proprio «titolo di legittimazione» nell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. («tutela della concorrenza») e «solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali» (Corte costituzionale, sent. n. 272 del 2004, cit.). La Corte ha sottoposto tali disposizioni di legge statale a scrutinio in ragione del criterio di proporzionalita' ed adeguatezza che e' «essenziale per definire l'ambito di operativita' della competenza legislativa statale attinente alla ''tutela della concorrenza'' e conseguentemente la legittimita' dei relativi interventi statali» poiche' tale materia «trasversale» «si intreccia inestricabilmente con una pluralita' di altri interessi - alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o residuale delle regioni - connessi allo sviluppo economico-produttivo del Paese» (Corte costituzionale, sent. n. 272 del 2004, cit. cui adde Id., sent. n. 401 del 2007, cit.). Scrutinio all'esito del quale la Corte costituzionale ha annullato l'art. 113, comma 8, d.lgs. n. 267 del 2000, cit. ove definiva i criteri di aggiudicazione della gara per l'affidamento di servizi pubblici locali di rilevanza economica con disposizione «dettagliata ed autoapplicativa», «integrativa delle discipline settoriali di fonte regionale» la quale realizzava «una illegittima compressione dell'autonomia regionale» in quanto l'intervento legislativo statale risultava «ingiustificato e non proporzionato rispetto all'obbiettivo della tutela della concorrenza» (Corte costituzionale, sent. n. 272 del 2004, cit.). Il legislatore statale all'art. 113, comma 8, d.lgs. n. 267 del 2000, cit., poi dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale, autoqualificava le proprie disposizioni come «integrative delle discipline di settore», a fortiori il ragionamento d'illegittimita' puo' essere esteso alla legge statale qui impugnata che - affermando senz'altro la «prevalenza» delle proprie disposizioni sulle leggi regionali (art. 23-bis, comma 1, decreto-legge n. 112 del 2008, cit.) - configura molto piu' di una «integrazione» prevedendo una vera e propria sostituzione della disciplina preesistente di settore di fonte regionale o locale. A maggior ragione, dunque, le disposizioni in esame (commi 2, 3, e 4, art. 23-bis, cit.) ledono l'autonomia regionale o degli enti territoriali piemontesi ove si ritenga che esse costituiscano esercizio di potesta' esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza» (art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.), con conseguente loro illegittimita' costituzionale. Occorre infatti riconoscere che l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. pone una disciplina immediatamente autoapplicativa ove senz'altro pone un criterio o principio di preferenza nell'attribuzione ad imprese terze dei servizi pubblici locali poiche' la qualifica senz'altro come forma «ordinaria» (commi 2, 3) e riduce le altre soluzioni organizzative compatibili con l'ordinamento comunitario - tra cui l'in house providing - a mere eccezioni determinando puntualmente e tassativamente le «situazioni» che sole possono giustificare tale forma di gestione: «peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento che non permettono un efficace e utile ricorso al mercato» (comma 3). Elencazione minuziosa che tuttavia non contempla le ragioni d'organizzazione che possono assumere interesse per l'affidamento di un determinato servizio pubblico locale, sicuramente per il servizio idrico integrato ove i diversi segmenti di acquedotto, fognatura e depurazione debbono essere riuniti in ciclo completo delle acque secondo la ratio della disciplina di settore (prima legge 5 gennaio 1994, n. 36, poi d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) che da tempo impone il superamento della frammentazione per segmenti e per territorio nell'erogazione del servizio, ai fini del raggiungimento di una gestione del servizio idrico integrato che sia capace di riunire in dimensioni sovracomunali il ciclo delle acque. Proprio le ragioni organizzative (riunificazione del ciclo completo delle acque in capo ad unico gestore) - fra le altre - hanno reso necessario l'affidamento del servizio idrico integrato ad organizzazioni in house providing nel territorio della Regione Piemonte (cfr. deliberazioni Autorita' d'Ambito n. 3 «Torinese» 27 maggio 2004, n. 173 e 13 dicembre 2007, n. 296, con cui si e' affidato alla societa' a capitale interamente pubblico SMAT S.p.a. - ai sensi dell'art. 113, comma 5, lettera c), d.lgs. n. 267 del 2000, cit. - la titolarita' della gestione del servizio idrico integrato per la totalita' dell'ambito territoriale ottimale n. 3 «Torinese»). 6) Violazione dell'art. 117, commi secondo e sesto, Cost., nonche' del principio di ragionevolezza e leale collaborazione (art. 3 e 120, Cost.). A) Poiche' in materia di tutela della concorrenza lo Stato non puo' porre per legge una disciplina dettagliata, autoapplicativa ed in sostituzione delle fonti regionali, tale divieto non puo' essere eluso ponendo per regolamento governativo una disciplina con tali caratteristiche. E' dunque lesivo dell'autonomia regionale anche il successivo comma 10, dell'art. 23-bis, cit. ove si autorizza il Governo all'adozione di un regolamento che dovra' «armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonche' in materia di acqua». La disposizione che autorizza il governo a disciplinare con norma amministrativa l'attuazione della disciplina sulla concorrenza dei servizi pubblici locali e' da considerarsi illegittima costituzionalmente per violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost. con riferimento all'art. 3 e 120 Cost., poiche' l'enunciato secondo il quale «la potesta' regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle regioni», non puo' non contemplare in quest'ultima ipotesi la disciplina regolamentare sulla concorrenza qualora la stessa sia dalla legge autorizzante limitata ai servizi pubblici locali, in conformita' al principio di leale collaborazione tra enti ad autonomia costituzionalmente tutelata (art. 114, primo comma Cost.). B) La clausola di autorizzazione e' inoltre costituzionalmente illegittima poiche' prefigura una disciplina regolamentare di particolare dettaglio che si dovrebbe affermare - a fini di «armonizzazione» - rispetto a tutte le altre fonti «di settore», ivi comprese quelle regionali. Infatti, stabilire «le norme applicabili in via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica» non significa altro che porre sul punto l'intera, esaustiva disciplina per ottenere l'effetto di «armonia» nel senso voluto dallo Stato. Una volta ritenuto che «l'intervento del legislatore statale sia riconducibile alle esigenze» della tutela della concorrenza ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., «allo stesso legislatore spetta il potere di dettare la relativa regolamentazione del settore anche con norme di dettaglio poste da disposizioni regolamentari», fermo restando pero' che «tale complessiva disciplina» deve superare «positivamente, in relazione alle specifiche disposizioni che di volta in volta vengono in rilievo, il vaglio di costituzionalita' in ordine al rispetto dei criteri di adeguatezza e proporzionalita'» (Corte costituzionale, sent. n. 401 del 2007, cit.). Veramente non pare possibile ritenere adeguato e proporzionale un intervento statale (per legge e regolamento) che rechi l'intera disciplina sugli affidamenti dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, ad esclusione di ogni spazio di regolazione per le regioni. C) L'indicato regolamento sara' approvato dal Governo «sentita la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281», anziche' previa intesa con tale Conferenza (art. 23-bis, comma 10, cit.). La previsione viola il principio costituzionale di leale collaborazione (art. 120, Cost.) ed e' quindi costituzionalmente illegittima poiche' non pare comunque sufficiente un parere della Conferenza unificata sul regolamento di delegificazione destinato a completare l'intera disciplina sugli affidamenti dei servizi pubblici locali ove sarebbe stata invece necessaria una previa intesa con la Conferenza essendo indubbio nel caso in esame «il forte intreccio con competenze regionali» che costituisce ragione utile a limitare la discrezionalita' del legislatore statale sulle forme di «coinvolgimento delle regioni nella fase di esercizio della potesta' regolamentare dello Stato sulle materie riservate alla sua competenza legislativa esclusiva» (Corte costituzionale, sent. n. 401 del 2007, cit.). 7) Violazione dell'art. 117, secondo comma, art. 114 e 41 Cost. con riferimento all'art. 3, Cost. A) La legislazione statale che pone norme transitorie sugli affidamenti di servizi pubblici locali deve rispondere «a finalita' garantistiche della concorrenza» e comunque deve essere sindacata sotto il profilo della ragionevolezza, in particolare secondo i criteri di adeguatezza e proporzionalita' (Corte costituzionale, sent. n. 272 del 2004, cit. con riferimento all'art. 113, comma 15-bis, d.lgs. n. 267 del 2000, cit.). Cessano «comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2006» - senza necessita' di apposita deliberazione dell'amministrazione - gli affidamenti di servizi pubblici locali di rilevanza economica disposti «con procedure diverse dall'evidenza pubblica» (art. 113, comma 15-bis, d.lgs. n. 267 del 2000, cit., come modificato dall'art. 14, comma 1, decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, conv. dalla legge 24 novembre 2003, n. 326). L'art. 15, decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, nel testo introdotto dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248 - ad ulteriore integrazione e modificazione dell'art. 113, comma 15-bis, d.lgs. n. 267 del 2000, cit. - ha prorogato prima della scadenza al 31 dicembre 2007 l'indicato termine di cessazione per i soli affidamenti di servizio idrico integrato. La legge statale qui impugnata stabilisce invece che «le concessioni relative al servizio idrico integrato rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante» escludendo da tale cessazione «le concessioni affidate ai sensi del comma 3», nei quali non sono compresi e dunque rimangono soggetti al termine del 31 dicembre 2010 gli affidamenti in house providing affidati non secondo i vincoli ulteriori di istruttoria e motivazione previsti dalla nuova disciplina (comma 8, art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit.). B) L'indicata disposizione transitoria per il servizio idrico integrato (comma 8, art. 23-bis, cit.) e' nella parte riferita agli affidamenti ad imprese terze una norma incostituzionale per violazione del principio di ragionevolezza e di concorrenza comunitaria che la stessa proclama di voler affermare ed addirittura di voler superare, poiche' la stessa si configura come ennesima (art. 35, legge 28 dicembre 2000, n. 448; art. 14, comma 1, decreto-legge n. 269 del 2003, cit.; art. 15, decreto-legge n. 223 del 2006, cit.; art. 23-bis, comma 8, decreto-legge n. 112 del 2008, cit.) norma di sanatoria degli affidamenti al mercato dei produttori seppur disposti ancora una volta in difetto di evidenza pubblica, con proroga di cui le imprese terze possono giovare ex lege sino alla data indicata dal 31 dicembre 2010. Norma singolare ove si pensi alla contraddittorieta' delle proposizioni cui ha dato origine il legislatore statale con l'approvazione dell'art. 23-bis qui impugnato, che nei primi commi si presenta con un indirizzo politico ispirato alla «ultra concorrenzialita'» (commi 2, 3, 4, art. 23-bis, cit.) per chiudere con l'ennesima norma di favore per gli affidamenti disposti in violazione proprio della disciplina italiana ed europea sulla concorrenza (comma 8, art. 23-bis, cit.). C) L'indicata disposizione transitoria posta dall'art. 23-bis, comma 8, cit. per la gestione del servizio idrico integrato e' del pari incostituzionale per violazione dell'autonomia costituzionale della Regione Piemonte e degli enti locali (art. 5, 114, 117, sesto comma, 118, Cost.) nella parte riferita agli affidamenti gia' effettuati dagli enti locali in conformita' all'art. 113, comma 5, lettera c), d.lgs. n. 267 del 2000, cit. dedicato alla societa' a totale capitale pubblico in house providing. L'art. 23-bis comma 8, cit. - stabilendo che cessano al 31 dicembre 2010 gli affidamenti rilasciati con procedure diverse dall'evidenza pubblica salvo quelli conformi ai vincoli ulteriori di istruttoria e motivazione previsti dalla nuova disciplina (commi 3 e 4, art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit.) - parrebbe determinare per l'effetto la cessazione di tutti gli affidamenti attribuiti secondo la disciplina previgente (d.lgs. n. 267 del 2000, cit., art. 113, comma 5, lettera c), ponendo in forse l'attuazione dei piani gestionali e di investimento, nonche' i relativi piani tariffari, travolgendo rapporti giuridici perfezionati ed in via di esecuzione che le parti vogliono vedere procedere secondo la loro scadenza naturale, al pari delle concessioni rilasciate ad imprese terze secondo le procedure ad evidenza pubblica. Non si e' mai revocato in dubbio che l'art. 113, comma 5, lettera c), d.lgs. n. 267 del 2000, cit. dedicato alla societa' a totale capitale pubblico e gli affidamenti ad essa conformi non siano mai stati in contrasto con l'ordinamento comunitario sulla concorrenza, con conseguente ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale nell'avere trattato in modo eguale situazioni sostanzialmente differenti: la cessazione degli affidamenti a imprese terzi difformi dalla disciplina comunitaria unitamente gli affidamenti in house providing conformi all'ordinamento comunitario. D) La legge statale rinvia infine la disciplina transitoria dei servizi pubblici locali diversi da quello idrico al regolamento governativo il quale prevede per la fase transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle gestioni in essere alle disposizioni di cui al presente articolo, tempi differenziati «e che gli affidamenti diretti in essere debbano cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo» (comma 10, lettera e), art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit.), con una irragionevole differenza di trattamento che non appare giustificata in particolare per il servizio idrico integrato per il quale la legge statale indica senz'altro in via generale ed astratta la data di scadenza fissa del 31 dicembre 2010, mentre per gli altri servizi pubblici consente al regolamento la previsione di adeguati «tempi differenziati» in ragione di eterogeneita' dei servizi presi in considerazione («rifiuti» assieme a «trasporti, energia elettrica e gas»).
P. Q. M. La Regione Piemonte, cosi' come sopra rappresentata e difesa, insta affinche' la Corte costituzionale voglia accogliere le seguenti conclusioni. Dichiarare l'illegittimita' costituzionale del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 23-bis, commi 1, 2, 3, 4, 8 e 10, per violazione dell'art. 5, 114, 117, commi 1, 2, 3, 4, 6, Cost., dell'art. 118 e 120, Cost., anche con riferimento all'art. 3 e 97, Cost. Roma-Torino, addi' 15 ottobre 2008 Prof. Alberto Romano - Prof. Roberto Cavallo Ferin