Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 23 novembre 2018 (della Regione Emilia-Romagna).

(GU n. 50 del 2018-12-19)

 

Ricorso della Regione Emilia Romagna (codice fiscale n. 80062590379), in persona del Presidente della Giunta regionale, legale rappresentante pro tempore, signor Stefano Bonaccini, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 1910 del 12 novembre 2018 (allegato 1), rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, per mandato e procura speciale a margine del presente atto, dal prof. avv. Giandomenico Falcon (codice fiscale …) del Foro di Padova, con studio in via San Gregorio Barbarigo n. 4, telefax per comunicazioni …, Pec … e dall'avv. Luigi Manzi (codice fiscale …) del Foro di Roma, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in via Confalonieri n. 5, Roma, telefax per comunicazioni …, Pec …

Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato;

Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale, nei termini e sotto i profili illustrati nel presente ricorso, dell'art. 13, commi 02, 03 e 04, del decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91, nel testo risultante dalla legge di conversione 21 settembre 2018, n. 108, per violazione degli articoli 3, 5, 77, 81, 97, primo e secondo comma, 114, 117, terzo e quarto comma, 118, 119, primo, secondo, quarto, quinto e sesto comma, 120, secondo comma, e 136 della Costituzione, dell'art. 5, comma 2, della legge cost. n. 1 del 2012, e degli artt. 9 e 10 della legge n. 243 del 2012, nonche' dei connessi principi di ragionevolezza, di tutela dell'affidamento e di leale collaborazione.

Fatto

Nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale del 21 settembre 2018, n. 220, e' stata pubblicata la legge 21 settembre 2018, n. 108, «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative».

L'art. 1 di tale legge converte, con modificazioni riportate nell'allegato, il decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91, «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative» e, per quanto interessa il presente ricorso, introduce nell'art. 13 del decreto-legge i commi 02, 03, 04.

Tale articolo, rubricato «Proroga di termini in materia di finanziamento degli investimenti e di sviluppo infrastrutturale del Paese», nel testo originario era composto da un unico comma, che in effetti prorogava - riaprendoli - i termini per l'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di riparto del fondo di cui all'art. 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232: termini che l'art. 1, comma 1072 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020) aveva fissato in sessanta giorni dalla propria entrata in vigore.

Tale originario art. 13, comma 1, del decreto-legge n. 91 del 2018, infatti, riferendosi ai predetti decreti, sostituiva nell'art. 1, comma 1072, della legge n. 205 del 2017, le parole «sono da adottare, ai sensi dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge» con le parole «sono adottati entro il 31 ottobre 2018».

In sede di conversione, nel corso del primo passaggio in Senato, il testo dell'art. 13 e' stato modificato con l'introduzione di un emendamento aggiuntivo che - benche' contenuto nel «decreto milleproroghe» - non proroga alcunche' ma al contrario blocca l'operativita' delle convenzioni finanziate con i c.d. bandi periferie (comma 02). Di seguito, esso quantifica in 1.030 milioni di euro il risparmio di spesa derivante negli anni da 2018 a 2021 dalla rimodulazione degli impegni di spesa e dei pagamenti in esecuzione delle convenzioni sospese e destina tale risparmio ad un apposito fondo del Ministero dell'economia e delle finanze (comma 03), infine finalizza tale fondo agli investimenti effettuati dagli enti locali utilizzando il proprio avanzo di amministrazione (comma 04).

Testualmente, l'art. 13, comma 02, del decreto-legge stabilisce ora che «l'efficacia delle convenzioni concluse sulla base di quanto disposto ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 maggio 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 148 del 27 giugno 2017, nonche' delle delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica n. 2 del 3 marzo 2017 e n. 72 del 7 agosto 2017, adottate ai sensi dell'art. 1, comma 141, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, e' differita all'anno 2020" ed aggiunge che, «conseguentemente, le amministrazioni competenti provvedono, ferma rimanendo la dotazione complessiva loro assegnata, a rimodulare i relativi impegni di spesa e i connessi pagamenti a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione».

Il comma 03 quantifica ora gli effetti della misura e la destinazione del risparmio, disponendo che «gli effetti positivi sul fabbisogno e sull'indebitamento netto derivanti dal comma 02, quantificati in 140 milioni di euro per l'anno 2018, 320 milioni di euro per l'anno 2019, 350 milioni di euro per l'anno 2020 e 220 milioni di euro per l'anno 2021, sono destinati al fondo di cui al comma 04».

Il comma 04 specifica che «nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze e' istituito, con una dotazione, in termini di sola cassa, pari a 140 milioni di euro per l'anno 2018, a 320 milioni di euro per l'anno 2019, a 350 milioni di euro per l'anno 2020 e a 220 milioni di euro per l'anno 2021, un apposito fondo da utilizzare per favorire gli investimenti delle citta' metropolitane, delle province e dei comuni da realizzare attraverso l'utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti».

Tali disposizioni, dunque, da un lato sottraggono agli enti locali della regione risorse gia' ad essi destinate (comma 02), facendo confluire il corrispondente «risparmio» in un fondo statale (comma 03); dall'altro, esse sembrano rimettere a disposizione degli enti locali le stesse risorse ad altro titolo (comma 04): sennonche' altro titolo e' meramente apparente, in quanto tali fondi sarebbero destinati a favorire gli investimenti degli enti locali da realizzare mediante l'utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti, cioe' mediante l'utilizzo di fondi gia' propri, che secondo la giurisprudenza costituzionale essi possono gia' liberamente utilizzare.

Giova rammentare che le risorse in parola - per quanto riguarda i finanziamenti di cui alle delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica n. 2 del 3 marzo 2017 e n. 72 del 7 agosto 2017, adottate ai sensi dell'art. 1, comma 141, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 - erano state stanziate nell'ambito di un programma di riqualificazione delle periferie urbane previsto dall'art. 1, commi 974-978, della legge n. 208 del 2015.

Il comma 974 dell'art. 1 di tale legge, infatti, aveva promosso per l'anno 2016 un «Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle citta' metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia», finalizzato «alla realizzazione di interventi urgenti per la rigenerazione delle aree urbane degradate».

La rigenerazione doveva essere ottenuta «attraverso la promozione di progetti di miglioramento della qualita' del decoro urbano, di manutenzione, riuso e rifunzionalizzazione delle aree pubbliche e delle strutture edilizie esistenti, rivolti all'accrescimento della sicurezza territoriale e della capacita' di resilienza urbana, al potenziamento delle prestazioni urbane anche con riferimento alla mobilita' sostenibile, allo sviluppo di pratiche, come quelle del terzo settore e del servizio civile, per l'inclusione sociale e per la realizzazione di nuovi modelli di welfare metropolitano, anche con riferimento all'adeguamento delle infrastrutture destinate ai servizi sociali e culturali, educativi e didattici, nonche' alle attivita' culturali ed educative promosse da soggetti pubblici e privati».

Gli interventi nell'ambito del Programma erano scelti, tra quelli proposti, dal Nucleo per la valutazione dei progetti di riqualificazione, istituito presso la Presidenza del Consiglio, in base della coerenza con le finalita' del Programma e considerando - tra i criteri di valutazione - «la tempestiva esecutivita' degli interventi e la capacita' di attivare sinergie tra finanziamenti pubblici e privati» (comma 976).

Il comma 978 aveva quindi finanziato il Programma, consistente nell'«insieme delle convenzioni e degli accordi stipulati», mediante il Fondo per l'attuazione del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie, dotato di 500 milioni di euro nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, da trasferire al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri.

In forza di tali previsioni, in seguito ad un bando e ad una selezione, erano stati individuati 120 interventi meritevoli, elencati nell'allegato al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 dicembre 2016, «Approvazione della graduatoria del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 maggio 2016», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, del 5 gennaio 2017, n. 4.

Risultavano ammessi al finanziamento i primi 24 progetti.

Successivamente, la legge n. 232 del 2016, all'art. 1, comma 141, aveva integrato tali stanziamenti, prevedendo che, «al fine di garantire il completo finanziamento dei progetti selezionati nell'ambito del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle citta' metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia, di cui all'art. 1, commi da 974 a 978, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, a integrazione delle risorse stanziate sull'apposito capitolo di spesa e di quelle assegnate ai sensi del comma 140 del presente articolo, con delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) sono destinate ulteriori risorse a valere sulle risorse disponibili del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo di programmazione 2014-2020».

La delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica 3 marzo 2017, recante «Fondo per lo sviluppo e la coesione 2014 - 2020. Assegnazione di risorse al "Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie», ai sensi dell'art. 1 comma 141, legge 11 dicembre 2016, n. 232» aveva quindi integrato le risorse disponibili per gli interventi selezionati, in esecuzione dell'art. 1, comma 141, della legge n. 232 del 2016.

In forza di tali determinazioni i comuni e le citta' metropolitane hanno stipulato le convenzioni ed avviato gli interventi.

Il comma 02 blocca ora gli interventi finanziati in esecuzione dell'art. 1, comma 141, della legge n. 232 del 2016, impedendo - come sembra necessario intendere - l'attuazione di tutte le convenzioni concluse nell'ambito dei progetti dal n. 25 al n. 120 della graduatoria dei progetti ritenuti meritevoli di finanziamento di cui alla tabella approvata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 dicembre 2016.

Con il presente ricorso la Regione Emilia-Romagna impugna l'art. 13, commi 02, 03 e 04, del decreto-legge n. 91 del 2018, nel testo introdotto dalla legge di conversione n. 108 del 2018, ritenendo che tali disposizioni, singolarmente e tra loro combinate, siano costituzionalmente illegittime per i motivi di diritto che di seguito si espongono, la cui illustrazione avra' anche cura di evidenziare il modo nel quale esse si traducano in indebite restrizioni della capacita' amministrative degli enti locali e della stessa regione, cosi' ridondando in lesione delle sue competenze costituzionali.

Diritto

I. Legittimazione ed interesse al ricorso.

Le norme impugnate sono lesive, prima di tutto, delle attribuzioni delle autonomie locali, perche' da un lato «congelano» convenzioni da esse stipulate, incidendo sulla autonomia amministrativa e programmatoria dell'ente (comma 02), dall'altro sottraggono risorse ormai proprie dei comuni e da queste contabilizzate nei bilanci, con impegni spese e pagamenti gia' programmati, in violazione dell'autonomia finanziaria dell'ente (commi 03 e 04). Inoltre, come si dira', il comma 04 dichiara una destinazione del Fondo in esso previsto che si traduce in un finanziamento solo apparente degli enti locali.

Nonostante la lesione piu' diretta si verifichi in capo agli enti locali, la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto, a partire dal 2004, la legittimazione della regione a proporre impugnazioni anche a tutela della autonomia comunale, sul rilievo che «la stretta connessione ... tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (sentenza n. 196 del 2004). La citata sentenza n. 196 del 2004 si riferisce alle competenze «in particolare in materia urbanistica e in tema di finanza regionale e locale», e dunque esattamente le competenze specificamente implicate dalle norme qui impugnate.

Sul piano sistematico, la legittimazione della regione ad agire a tutela delle proprie autonomie locali e' stata peraltro implicitamente confermata dallo stesso legislatore ordinario, che con l'art. 9, comma 2, della legge n. 131 del 2003, ha novellato l'art. 32, secondo comma, della legge n. 87 del 1953, il quale stabilisce che la questione di legittimita' costituzionale in via principale puo' essere promossa dal Presidente della Giunta, previa deliberazione della Giunta regionale, «anche su proposta del Consiglio delle autonomie locali». Tale proposta del CAL, logicamente, si riferisce alla possibile lesione della autonomia degli enti locali.

Successivamente, con la sentenza n. 298 del 2009, codesta Corte costituzionale ha ulteriormente confermato la legittimazione delle regione a far valere competenze degli enti locali, con l'affermazione netta per cui queste «sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale». Richiamato il principio per cui la suddetta legittimazione sussiste in capo alle regioni, in quanto «la stretta connessione, in particolare [...] in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali», la Corte ha precisato che l'affermazione si riferisce, «in modo evidente, a tutte le attribuzioni costituzionali delle regioni e degli enti locali e prescinde, percio', dal titolo di competenza legislativa esclusivo, concorrente o residuale eventualmente invocabile nella fattispecie» e che «in particolare, non richiede, quale condizione necessaria per la denuncia da parte della regione di un vulnus delle competenze locali, che sia dedotta la violazione delle attribuzioni legislative regionali».

Ancora, nella sentenza n. 220 del 2013, in tema di elettivita' dei consigli provinciali, la Corte ha ribadito con decisione che «la giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente affermato che "le regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale" (ex plurimis, sentenze n. 311 del 2012, n. 298 del 2009, n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004)».

Fermi dunque questi principi scolpiti nella giurisprudenza costituzionale, si osserva che nel presente caso e' palese l'interferenza delle disposizioni impugnate, anzitutto, con la materia regionale, di competenza concorrente, del «governo del territorio», materia in cui rientra urbanistica, che e' direttamente interessata dalle convenzioni stipulate dagli enti locali e paralizzate dalle norme impugnate.

Se poi si considera che i diversi interventi possono riguardare, come si ricava dall'art. 1, comma 974, della legge n. 208 del 2015, anche opere relative - a titolo di esempio - alla mobilita' sostenibile, alla edilizia scolastica, alla costruzione di centri culturali o biblioteche, ai centri anziani, ai mercati rionali, alla edilizia residenziale, risulta chiara l'interferenza, oltre che delle potesta' pianificatorie, comunque governate e coordinate dalla regione, con le materie di competenza residuale dei trasporti pubblici locali, dell'istruzione, della valorizzazione dei beni culturali, dell'assistenza sociale, dell'edilizia pubblica, coinvolte per l'oggetto.

Anche in concreto l'interesse della Regione Emilia-Romagna sussiste pienamente, visto che nella graduatoria dei progetti ritenuti meritevoli (e quindi finanziati), approvata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 dicembre 2016, ci sono - oltre agli interventi proposti dal Comune di Modena (n. 6 della graduatoria, finanziamento richiesto 18 milioni di euro) e dalla Citta' metropolitana di Bologna (n. 24 della graduatoria, finanziamento richiesto € 39.721.315), che rientrando nei primi ventiquattro posti della tabella non sono interessati dall'intervento qui censurato - anche gli interventi proposti dal Comune di Forli' (n. 29 della graduatoria, finanziamento richiesto € 8.302.616) dal Comune di Reggio nell'Emilia (n. 37 della graduatoria, finanziamento richiesto € 17.811.853), dal Comune di Ravenna (n. 73 della graduatoria, finanziamento richiesto € 12.808.167), dal Comune di Bologna (n. 76 della graduatoria, finanziamento richiesto € 18.000.000), dal Comune di Parma (n. 79 della graduatoria, finanziamento richiesto € 17.955.741,20), dal Comune di Piacenza (n. 82 della graduatoria, finanziamento richiesto € 8.046.000), dal Comune di Cesena (n. 97 della graduatoria, finanziamento richiesto € 1.800.000) e dal Comune di Rimini e di Ferrara (rispettivamente 102 e 103 della graduatoria, entrambi con un finanziamento richiesto di € 18.000.000).

Sotto altro profilo, l'esistenza in materia di uno specifico interesse regionale - oltre che dell'interesse degli enti locali - a proseguire i progetti bloccati dalla norma impugnata e' provato dall'accordo raggiunto all'interno della Conferenza unificata, in data 18 ottobre 2018, accordo che ha quindi coinvolto anche le regioni e non solo gli enti locali.

Per effetto di tale accordo, il Governo ha condiviso con le regioni e gli enti locali l'opportunita' che venga prevista nella legge di bilancio per il 2019 una serie di previsioni in base alle quali le convenzioni in essere con i 96 enti successivi ai primi ventiquattro della graduatoria producano effetti finanziari a partire dal 2019, restando acquisite ad apposito fondo statale le risorse finanziarie derivanti dalle eventuali economie di gestioni o comunque realizzate in fase di appalto o comunque in corso d'opera, nonche' gli eventuali ulteriori residui dei finanziamenti assegnati, per essere poi destinate al finanziamento di spese di investimento di comuni e citta' metropolitane.

Per scrupolo di difesa la regione precisa che essa conserva interesse al ricorso, nonostante il predetto accordo sancito in sede di Conferenza unificata il giorno 18 ottobre 2018.

In primo luogo, occorre osservare che l'accordo concluso in Conferenza e' condizionato ad una successiva attivita' legislativa, della quale ne' l'an e ne' il quando sono nella disponibilita' del Governo, trattandosi di introdurre nuove disposizioni di legge, corrispondenti ad una competenza del Parlamento.

Per contro il potere di impugnativa della legge in via di azione e' soggetto a termini prestabiliti e perentori, sicche' la regione, non essendo ancora stato adempiuto l'impegno assunto dal Governo, deve comunque adire codesta ecc.ma Corte entro il termine di cui all'art. 127, secondo comma, Cost.

Inoltre, anche a prescindere da quanto ora detto, stante l'indisponibilita' delle competenze costituzionali, gli eventuali accordi di livello politico o amministrativi con lo Stato non incidono sul potere regionale di contestare la costituzionalita' della legge ai sensi dell'art. 127, secondo comma, Cost. Come codesta ecc. Corte costituzionale ha sempre ribadito nella propria consolidata giurisprudenza «l'istituto dell'acquiescenza non e' applicabile nel giudizio di legittimita' costituzionale in via principale» (sentenza n. 171 del 2018, con rinvio, tra le molte, alle sentenze n. 169 del 2017, n. 231 del 2016, n. 215 e n. 124 del 2015, n. 139 del 2013, n. 71 del 2012 e n. 187 del 2011), anche in presenza di vere e proprie intese validamente perfezionate (in questo senso si veda, specificamente, la sentenza n. 169 del 2017, al punto 3).

II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 02, 03 e 04, del decreto-legge n. 91 del 2018, nel testo risultante dalla legge di conversione n. 108 del 2018, per violazione dell'art. 77 Cost., per difetto di omogeneita' rispetto all'oggetto del decreto-legge.

Gli impugnati commi 02, 03 e 04 dell'art. 13 del decreto-legge n. 91 del 2018 sono, ad avviso della ricorrente regione, costituzionalmente illegittimi in primo luogo per una ragione che, secondo la giurisprudenza di codesta Corte, ha carattere pregiudiziale, sul piano logico-giuridico, rispetto ad altri motivi di doglianza, in quanto «investe lo stesso corretto esercizio della funzione normativa primaria», cosi' che «la sua eventuale fondatezza eliderebbe in radice il contenuto precettivo della norma» (in questi termini, e con rinvio ai precedenti, la sentenza n. 154 del 2015; nel senso del carattere logicamente preliminare della censura di violazione dell'art. 77 Cost. si veda anche la sentenza n. 186 del 2015).

Esse, infatti violano l'art. 77 della Costituzione, in quanto sono norme intruse rispetto all'oggetto del decreto-legge, rappresentato, come risulta gia' dal titolo dell'atto, dalla proroga di termini in scadenza.

Secondo l'insegnamento di codesta Corte costituzionale, le norme aggiunte in sede di conversione del decreto-legge, essendo di produzione parlamentare, non sono condizionate nella loro validita' alla sussistenza dei requisiti straordinari di necessita' e di urgenza, che ai sensi dell'art. 77, secondo comma, Cost., rappresentano il presupposto costituzionale per la decretazione legislativa di urgenza.

Ma esse sono condizionate dal legame procedimentale che unisce il decreto-legge alla legge di conversione; ed e' tale legame a rendere illegittimo l'inserimento nel decreto di disposizioni che non siano attinenti alla materia oggetto del decreto-legge o alle finalita' di quest'ultimo, come richiesto dalla giurisprudenza costituzionale (tra le molte, sentenze n. 22 del 2012, n. 237 del 2013, n. 32 del 2014, n. 254 del 2015) e gia' prima dai regolamenti parlamentari (v. l'art. 96-bis, comma 7, della Camera, a mente del quale «il Presidente dichiara inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge»; v. anche l'art. 97 del Senato, come, interpretato dalla prassi parlamentare).

Come ha chiarito in modo limpido la sentenza n. 32 del 2014, «la legge di conversione per l'approvazione della quale le Camere, anche se sciolte, si riuniscono entro cinque giorni dalla presentazione del relativo disegno di legge (art. 77, secondo comma, Cost.) - segue un iter parlamentare semplificato e caratterizzato dal rispetto di tempi particolarmente rapidi, che si giustificano alla luce della sua natura di legge funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge, emanato provvisoriamente dal Governo e valido per un lasso temporale breve e circoscritto». Ed e' dalla connotazione di «legge a competenza tipica» - funzionalizzata e specializzata - della legge di conversione che discendono i limiti alla emendabilita' del decreto-legge e l'impossibilita', per questa, di aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore: «diversamente - ricorda ancora la sentenza n. 34 del 2014 - l'iter semplificato potrebbe essere sfruttato per scopi estranei a quelli che giustificano l'atto con forza di legge, a detrimento delle ordinarie dinamiche di confronto parlamentare».

Il divieto di spezzare la sequenza con norme intruse vale anche in caso di provvedimenti governativi ab origine a contenuto plurimo, per i quali, anzi, il collegamento deve essere particolarmente stretto e va verificato «rispetto alla ratio dominante del provvedimento originario considerato» (sentenza n. 154 del 2015), in considerazione della piu' volte riconosciuta problematicita', sul piano costituzionale, di decreti d'urgenza aventi questa struttura, anche in considerazione di quanto dispone l'art. 15, terzo comma della legge n. 400 del 1988 (che richiede un contenuto «specifico, omogeneo e corrispondente al titolo»). Tale problematicita' sarebbe amplificata se la pluralita' dei contenuti potesse diventare pretesto per interventi ad ampio raggio nei piu' vari settori dell'ordinamento, approfittando del procedimento accelerato previsto per la legge di conversione.

Ora, se si considera il contenuto delle norme impugnate, e' palese che esse costituiscono norme intruse, estranee rispetto al contenuto del decreto-legge, il quale detta norme parallelamente dirette a prorogare termini in scadenza. In relazione alle convenzioni di cui al bando periferie non vi era invece alcuna esigenza di prorogare termini in scadenza; ne' le norme impugnate dispongono in concreto una proroga.

Non tragga in inganno la manipolazione temporale dell'efficacia delle convenzioni, rinviata al 2020 dal comma 02. Infatti, come e' reso evidente dai successivi commi 03 e 04, non si tratta di una proroga dell'efficacia delle convenzioni, cioe' di un congelamento delle stesse fino al 2020; e nemmeno si tratta, a ben vedere, di un differimento della efficacia delle stesse, giacche' le norme qui censurate tolgono sine die la copertura finanziaria a tali interventi e riallocano tali risorse per generali operazioni di investimento assunte dagli enti in avanzo di amministrazione, nei limiti coperti da tale avanzo.

Ora, una tale operazione equivale ad un recesso, da parte dello Stato, dalle convenzioni gia' stipulate e gia' finanziate; e tale recesso si traduce in una diversa scelta di allocazione delle risorse la quale, anche a prescindere dalla illegittimita' in se' della decisione (per le ragioni che si argomentano ai punti successivi), non poteva comunque essere introdotta abusivamente nel decreto-legge «milleproroghe», avendo invece la sua naturale collocazione nella legge di bilancio e nelle altre leggi finanziarie correttive delle manovre di finanza pubblica, cui la Corte, con la sentenza n. 61 del 2018, ha riconosciuto una capacita' di «regia di interventi complessi e coordinati, finalizzati ad assicurare sostenibilita' economica e sviluppo, su diverse scale territoriali nel cui ambito vengono inevitabilmente coinvolte anche competenze regionali residuali».

Corrispondentemente, le convenzioni sospese non sono neppure suscettibili di tornare operative dopo il 2020. A prescindere dalla circostanza che a tre anni di distanza possono essere mutate le situazioni di fatto sulle quali si innestavano gli interventi progettati, e' evidente che per l'operativita' delle convenzioni saranno necessarie nuove disposizioni legislative, rientranti nella discrezionalita' del legislatore. Non si tratta dunque ne' di proroga di termini ne' di mera sospensione per un periodo predeterminato, ma di una pura decisione di spostare determinate risorse da una finalita' ad un'altra: cio' che non ha - appunto - nulla a che fare con il decreto milleproroghe.

Di cio' si trae conferma se poi si guarda alla ratio del decreto-legge esposta nel preambolo - elemento che la giurisprudenza costituzionale valorizza specificamente, ai fini del sindacato dei decreti-legge alla stregua dell'art. 77 Cost. (cosi', da ultimo, la sentenza n. 5 del 2018) - risulta confermata l'estraneita' delle disposizioni impugnate rispetto alle finalita' del decreto.

Il preambolo, infatti, giustifica l'intervento del Governo a mezzo di decreto-legge con la «straordinaria necessita' ed urgenza di provvedere alla proroga e definizione di termini di prossima scadenza al fine di garantire la continuita', l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa e l'operativita' di fondi a fini di sostegno agli investimenti, nonche' di provvedere alla proroga di termini per il completamento delle operazioni di trasformazioni societarie e di conclusione degli accordi di gruppo previste dalla normativa in materia di banche popolari e di banche di credito cooperativo».

Dunque, se sono queste le finalita' del decreto-legge, la norma impugnata risulta non solo intrusa, ma persino contraria alla ratio del decreto, visto che essa, anziche' garantire «la continuita', l'efficienza, e l'efficacia dell'azione amministrativa e l'operativita' di fondi a fini di sostegno agli investimenti», vanifica azioni amministrative gia' intraprese, pregiudicandone continuita' ed efficienza (di qui la censura al successivo punto III) e sterilizza fondi gia' impegnati e gia' investiti, avocandoli al bilancio dello Stato e rendendoli inoperativi fino alla successiva riassegnazione sotto forma di autorizzazione ad utilizzare l'avanzo di amministrazione: operazione che peraltro costituisce un finanziamento solo apparente, che in realta' contraddice l'esplicito giudicato di codesta ecc.ma Corte costituzionale in materia di uso dell'avanzo, come meglio sara' esposto sotto, al punto VII.

Accertato il vizio, chiara ne e' la ridondanza sia sulle funzioni amministrative dei comuni, e segnatamente sulle funzioni in materia di urbanistica, e sulla finanza comunale, sia sulle competenze della regione, principalmente in materia di governo del territorio, di competenza concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., ma anche nelle diverse materie, anche residuali, coinvolte quoad obiectum dagli interventi bloccati (si pensi alla istruzione, alla assistenza sociale, ai trasporti pubblici locali, alla valorizzazione dei beni culturali, al turismo), e piu' in generale di centro promotore e di regia dell'attivita' degli enti locali necessario per realizzare quell'«efficiente sistema delle autonomie locali al servizio dello sviluppo economico, sociale e civile» previsto dall'art. 4, comma 4, del decreto legislativo n. 267 del 2000, testo unico enti locali, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza costituzionale quando ha descritto il ruolo della regione nei termini di «centro propulsore e di coordinamento dell'intero sistema delle autonomie locali» (sentenza n. 343 del 1991, ripresa poi dalle sentenze n. 408 del 1998 e nn. 179 e 229 del 2001).

III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 02, 03 e 04, per violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3, primo comma, Cost., e dei connessi principi costituzionali di certezza del diritto e di affidamento. Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97, secondo comma, Cost.

Anche nel loro merito specifico, ad avviso della Regione Emilia-Romagna i commi 02, 03 e 04 dell'art. 13 sono costituzionalmente illegittimi in quanto essi, nel loro insieme, determinano la irragionevole ed imprevedibile revoca di finanziamenti per progetti in corso d'opera, con lesione anche del principio di buon andamento della amministrazione.

Che questo sia l'effetto dell'art. 13, comma 02, e' indubitabile, visto che la disposizione, nel secondo periodo, impegna le amministrazioni locali, conseguentemente, a rimodulare i relativi impegni di spesa e i connessi pagamenti a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione.

La ricorrente non ignora, naturalmente, come la giurisprudenza di codesta Corte costituzionale ha affermato in diverse occasioni, che la revoca di finanziamenti statali, che non siano ancora stati utilizzati dagli enti territoriali destinatari, non e' di per se' e solo percio' illegittima.

Tuttavia, il fatto che la revoca non sia di per se' e solo percio' illegittima non significa certo che essa debba risultare legittima in ogni circostanza e per qualunque ragione decisa.

Al contrario, le decisioni piu' recenti sono molto attente nel connettere la giustificazione della revoca di fondi ad una condotta inerte dell'amministrazione beneficiaria, o comunque al mancato impegno delle somme da parte di queste.

Si veda, in particolare, la sentenza n. 143 del 2017, al punto 9.2, in cui una norma relativa alla revoca dei finanziamenti derivanti dal Piano di azione coesione e' sottoposta ad interpretazione costituzionalmente orientata, riferendo la revocabilita' alle sole risorse non impegnate, con la conseguenza «che non saranno disponibili, ai fini della nuova destinazione prevista dal comma 110, le risorse vincolate al completamento dell'intervento come scandito dal cronoprogramma»; ed e' «nei i limiti indicati» che «l'intervento statale, dunque, non risulta irragionevole ne' lesivo dei principi di affidamento e di certezza del diritto». In quel caso, dunque, e' stata decisiva «l'assenza d'impegni giuridicamente vincolanti sulle risorse» per rendere «legittima la sottrazione delle stesse alle regioni e la loro destinazione a finalita' d'interesse generale».

A fronte di convenzioni gia' stipulate, fonte di obbligazioni tra pubbliche amministrazioni, inclusa quella statale, e tra amministrazioni e privati, l'intervento legislativo si configura dunque come legge provvedimento, il cui scrutinio sotto il profilo della ragionevolezza e della tutela dell'affidamento e' particolarmente intenso.

Nel presente caso alla lesione dell'affidamento - e di un affidamento particolarmente qualificato, perche' l'aspettativa fondata sulla legge precedente si era successivamente consolidata in atti amministrativi (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica) e aveva trovato sanzione nelle convenzioni giuridicamente vincolanti - si aggiunge l'irrazionalita' intrinseca dell'azione legislativa nel suo complesso, visto che la legge aveva promosso e finanziato i programmi proprio sulla base dei criteri, previsti dall'art. 1, comma 978, della legge n. 208 del 2015, della «tempestiva esecutivita' degli interventi» e della «capacita' di attivare sinergie tra finanziamenti pubblici e privati».

Ora, proprio quei progetti che erano stati scelti per la tempestiva esecutivita' degli interventi (e quindi per l'urgenza) e per la capacita' di attrarre cofinanziamenti privati risultano bloccati e rinviati (sine die, come si e' detto): il che contraddice sia l'urgenza gia' riconosciuta dell'intervento, sia l'affidamento del privato finanziatore, sia l'interesse pubblico ad un uso sociale del capitale privato, interesse costituzionalmente riconosciuto nell'art. 118, ultimo comma, Cost.

Anche in relazione alla presente censura, ad integrazione di quanto gia' diffusamente allegato nella parte in Fatto si deve evidenziare, ai fini della ridondanza del vizio, da un lato l'interferenza delle norme impugnate con le competenze regionali in materia di urbanistica e nei diversi settori materiali interessati dall'intervento; dall'altro, la diretta incidenza dell'illegittimita' sulle attribuzioni dei comuni in materia di urbanistica e sulla loro autonomia finanziaria, visto che e' tradito il loro affidamento, e' bloccata la loro attivita' amministrativa e impedito il buon andamento della amministrazione comunale, con ulteriore ridondanza sulla funzione della regione di governo e di rappresentanza degli interessi anche locali, nei termini gia' sopra illustrati.

IV. Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 02, 03 e 04, per violazione del principio di leale collaborazione (art. 120, secondo comma, Cost.) e dei principi e metodi di legislazione prescritti dall'art. 5 Cost. Violazione della autonomia politica dei Comuni (artt. 5 e 114, primo e secondo comma, Cost.) e dell'autonomia amministrativa della regione e dei comuni (art. 118, primo e secondo comma, Cost.).

Il blocco degli interventi (comma 02) e la connessa sottrazione di risorse (comma 03) violano anche, ad avviso della ricorrente regione, il principio di leale collaborazione, in ragione del fatto che quegli interventi e quei finanziamenti formano oggetto di apposite convenzioni stipulate tra i singoli enti territoriali e lo Stato.

Ne deriva che l'eventuale revoca unilaterale di tali fondi appare lesiva di specifici accordi consacrati in convenzioni di diritto pubblico, e quindi del principio di leale collaborazione che tali convenzioni permea e governa.

Non a caso, come si e' ricordato innanzi, lo stesso Governo, sancendo l'accordo in Conferenza unificata in data 18 ottobre 2018, ha riconosciuto l'opportunita' di concordare con le regioni e gli enti locali la rimodulazione delle convenzioni secondo un diverso schema normativo, da proporre al Parlamento in sede di legge di bilancio. Tale dato di prassi conferma che, nel procedere unilateralmente, le norme impugnate avevano impropriamente derogato al metodo concertativo imposto dai precedenti accordi.

Anche in relazione a questa censura la regione e' consapevole che la giurisprudenza di codesta Corte ha in passato escluso che la revoca di fondi assegnati agli enti territoriali integrasse violazione del principio di leale collaborazione; ma osserva che tale compatibilita' con l'imperativo di collaborazione leale e' stata affermata in relazione a casi in cui i fondi erano rimasti a lungo inutilizzati.

Si vedano, in questo senso, la sentenza n. 83 del 2016, la quale ha ribadito che, «in caso di revoca di risorse assegnate alle regioni e da tempo inutilizzate, le esigenze di leale collaborazione possono essere considerate recessive» - peraltro escludendo la lesione del principio anche sul rilievo che, secondo la disposizione allora impugnata, «le regioni sono coinvolte nell'adozione dell'atto di revoca».

Analogamente, nella sentenza n. 105 del 2007, codesta Corte aveva affermato che «ne' la sfera di competenze costituzionalmente garantita delle regioni, ne' il principio di leale collaborazione risultano violati da una norma che prende atto dell'inattivita' di alcune regioni nell'utilizzare risorse poste a loro disposizione nel bilancio dello Stato».

Nel presente caso, invece, risorse in corso di utilizzazione vengono rese inutilizzabili dal comma 02 al fine della loro avocazione ad un apposito fondo del Ministero dell'economia e delle finanze (comma 03) e della diversa destinazione che ad esse imprime il comma 04.

Tale modo di procedere appare poi incompatibile anche con i metodi di legislazione adeguati alle esigenze dell'autonomia e del decentramento prescritti dall'art. 5 Cost. Infatti tale disposizione, se puo' apparire come meramente programmatica e bisognosa di specificazione da parte delle diverse fonti statali competenti ove riferita alla legislazione in genere, non puo' invece (se non si vuol privare di qualunque significato operativo una delle disposizioni portanti della Costituzione) non operare come ostacolo, quando la legge abbia gia' destinato al sistema locale risorse ritenute necessarie, in applicazione dell'art. 119, quinto comma, nel quale il Programma periferie (che di per se' interviene in materie di competenza regionale) trova il suo fondamento.

Ora, una volta compiuta questa destinazione, sembra evidente che non corrisponde alle esigenze dell'autonomia e del decentramento un «metodo di legislazione» che si esprime nella mera revoca unilaterale delle risorse, mediante legge provvedimento, in violazione degli impegni concordati.

Le norme impugnate violano poi l'autonomia politica dei comuni, riconosciuta e promossa dall'art. 5 Cost. e garantita dall'art. 114, primo e secondo comma, disposizioni che rispettivamente individuano i comuni come enti costituitivi della Repubblica e come enti dotati di propri statuti, poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione.

Tale violazione e' determinata dalla strumentalizzazione degli enti territoriali, trattati dalle norme impugnate non come enti capaci di scelte autonome, bensi' come enti strumentali o propaggini dello Stato, meri mezzi attraverso i quali passano liberamente le decisioni della maggioranza di governo, fino alla demolizione - allo scopo di una diversa allocazione delle risorse - di scelte che invece sono costituzionalmente riservate agli enti locali (come ad esempio le scelte in materia di urbanistica).

Tale incisione diretta sull'efficacia di atti gia' perfetti deliberati dal comune comporta inoltre lesione della autonomia amministrativa dei comuni, con esorbitanza dalla stessa competenza statale ex art. 117, secondo comma, lett. p), Cost., la quale e' limitata alla cornice legislativa delle funzioni fondamentali degli enti locali e non si estende alla adozione di atti legislativi in sostituzione di provvedimenti amministrativi di competenza comunale.

Stanti le strettissime connessioni tra le competenze amministrative dei Comuni e quelle regionali - si pensi, ancora, al caso del governo del territorio - l'incisione delle competenze dei Comuni si riflette sulle competenze regionali ad esse collegate.

V. Illegittimita' dell'art. 13, commi 02, 03 e 04, per violazione del principio di certezza del diritto e degli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., sotto il profilo dell'elusione delle regole di copertura delle spese e di veridicita' dei bilanci.

L'art. 13, commi 02, 03 e 04, e' altresi' illegittimo, perche' tali norme avocano al bilancio dello Stato il risparmio di spesa derivante dalla rimodulazione dei cronoprogrammi e degli impegni di spesa da esse stessa imposta, ma nello stesso tempo mantengono ferma la dotazione complessiva dei finanziamenti assegnata agli enti beneficiari, considerati come categoria.

Tale dotazione, pero', e' solo apparente, perche' il successivo comma 04 non restituisce ai comuni tali somme, confluite nell'apposito fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, bensi' prevede che tale fondo sia destinato genericamente a favorire gli investimenti delle citta' metropolitane, delle province e dei comuni - e dunque anche gli investimenti di enti, quali le province, non partecipanti ai fondi del Programma periferie; e prevede, soprattutto, che tali investimenti siano realizzati «attraverso l'utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti», cioe' con risorse che sono gia' proprie dei singoli comuni in avanzo.

Dalla combinazione delle tre disposizioni, dunque, risulta una apparenza di copertura che invece non sussiste oppure che sussiste soltanto ove il comune vada a finanziare l'intervento mediante l'avanzo di amministrazione.

Ne risulta violato il principio di chiarezza normativa e di certezza del diritto, aspetto specifico del principio di ragionevolezza. Infatti, essendo l'avanzo di amministrazione gia' a disposizione dell'ente che ne e' titolare, non si comprende come e per quale ragione le assegnazioni previste dal comma 04 potrebbero «favorirne» l'uso. Se esse fossero necessarie per consentirlo sarebbe violato il principio della sua libera disponibilita'; ove invece si trattasse di risorse aggiuntive non si comprenderebbe la ragione della loro sottrazione ad una precedente destinazione gia' definita e della loro riassegnazione meramente discrezionale da parte del Ministero dell'economia (v. anche oltre, punto VII).

VI. Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 03 e 04, per violazione della autonomia finanziaria dei comuni (art. 119 Cost.).

Le disposizioni impugnate risultano poi ulteriormente illegittime per violazione della autonomia finanziaria dei comuni, riconosciuta e garantita dall'art. 119 Cost., e segnatamente dal primo comma, che attribuisce a tali enti «autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci»; al secondo comma, che garantisce ai comuni «risorse autonome», la facolta' di stabilire ed applicare «tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», la disponibilita' di «compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio»; al quarto comma, che stabilisce il principio di sufficienza delle risorse per l'integrale finanziamento per l'esercizio delle funzioni loro attribuite; al quinto comma, che prevede le risorse aggiuntive e gli interventi speciali; al sesto, che riconosce il patrimonio dei comuni, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge Stato.

Le risorse del Programma, infatti, una volta acquisite dal comune mediante la stipula della convenzione con la Presidenza del Consiglio dei ministri sono a tutti gli effetti risorse comunali, iscritte a bilancio e costituenti elementi del patrimonio del comune.

Il fatto che tali risorse, ai sensi dell'art. 119, quinto comma, Cost., si atteggino a risorse aggiuntive - cioe' finalizzate a promuovere la coesione e la solidarieta' sociale, a rimuovere gli squilibri economici e sociali, a favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o in generale per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni comunali - non toglie che esse, quanto lo Stato le ha destinate a particolari comuni, siano in senso proprio risorse del comune.

Ed e' dunque chiaro che la sottrazione unilaterale di risorse determinate attribuite ai comuni comporta lesione della autonomia finanziaria e puntualmente contrasta, nello specifico, con la previsione dell'art. 119, quinto comma, Cost.

La violazione della autonomia finanziaria non e' evitata dal fatto che l'impugnato comma 04 parrebbe restituire agli enti locali, sia pure genericamente presi e non individualmente considerati, le somme avocate al fondo statale. Tale restituzione, infatti, e' meramente contabile e in ultima analisi fittizia, posto che il finanziamento degli investimenti, di cui ragiona la disposizione contestata, avviene utilizzando l'avanzo di amministrazione dell'ente, e quindi impiegando risorse proprie dell'ente stesso.

VII. Illegittimita' dell'art. 13, commi 02 e 03, per violazione dell'art. 5, comma 2, della legge cost. n. 1 del 2012, e degli artt. 9 e 10 della legge n. 243 del 2012, e per elusione del giudicato costituzionale, con violazione dell'art. 136 Cost.

Il rilievo da ultimo svolto mette in luce una ulteriore illegittimita'.

La giurisprudenza di codesta Corte costituzionale ha chiarito che l'avanzo di amministrazione di un ente, una volta accertato nel bilancio, costituisce a tutti gli effetti una risorsa propria dell'ente che lo ha realizzato, da esso liberamente impiegabile, e non necessariamente utilizzabile solo attraverso il meccanismo delle intese o dei patti di solidarieta' di cui all'art. 10 della legge n. 243 del 212, nel testo oggi vigente.

Tali chiarimenti sono stati forniti prima con le sentenze n. 247 del 2017 e 252 del 2017, che hanno offerto una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 9, comma 1-bis, e 10 della legge n. 243 del 2012, come modificata dalla legge n. 164 del 2016: poi, a fronte della inerzia dello Stato nel recepire l'interpretazione adeguatrice degli artt. 9 e 10 della legge n. 243 del 2012, con la sentenza di accoglimento n. 101 del 2018, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 466, della legge n. 232 del 2016, «nella parte in cui non prevede che l'inserimento dell'avanzo di amministrazione e del fondo pluriennale vincolato nei bilanci dei medesimi enti territoriali abbia effetti neutrali rispetto alla determinazione dell'equilibrio dell'esercizio di competenza» (punto 1 del dispositivo).

Ora, le norme qui impugnate eludono queste indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza costituzionale e sono incompatibili con i principi sanciti dalla legge n. 243 del 2012, in attuazione dell'art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012, perche', dopo aver sottratto risorse ai comuni, le rimettono a disposizioni degli enti locali (globalmente considerati) sotto forma di avanzo di amministrazione degli enti stessi, quasi che tale avanzo non fosse gia' nella disponibilita' dell'ente.

Se tale e' il significato da attribuire alle disposizioni in questione, ne conseguirebbe una duplice illegittimita', in quanto da un lato gli enti locali si vedrebbero assegnare discrezionalmente dal Ministero la possibilita' di utilizzare fondi che in quanto avanzi di amministrazione sono gia' disponibili per gli enti interessati (anche in forza di quanto dispone l'art. 9, commi 1 e 1-bis della legge n. 243 del 2012), dall'altro in quanto la stessa disposizione implicitamente affermerebbe gli l'avanzo di amministrazione puo' essere utilizzato solo con una sostanziale autorizzazione del Ministero dell'economia e finanze.

VIII. In subordine. Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 04, per violazione del principio di ragionevolezza e di buon andamento di cui all'art. 97, secondo comma, Cost., degli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, secondo comma, e dell'art. 119, quinto comma, Cost., nonche' del principio di leale collaborazione.

In subordine, qualora la riassegnazione a Comuni e province fosse effettiva, cioe' aggiuntiva rispetto all'avanzo di amministrazione del beneficiario, la regione deve osservare che l'operazione e' comunque illegittima, perche' la revoca delle destinazioni gia' assegnate, con successiva devoluzione agli enti locali apparirebbe soltanto come una operazione rivolta a consentire all'esecutivo di riallocare, in piena liberta', risorse comunali riportate allo stato dall'impugnato comma 02.

In tale caso va contestata la violazione del principio di ragionevolezza e di buon andamento, per l'irrazionale stravolgimento dell'attivita' amministrativa in corso, corrispondente a ragioni di pubblica utilita' attestata dalla legge e dai procedimenti amministrativi svolti, a favore di azioni generiche e ancora da determinare.

In secondo luogo, va contestata l'assenza di competenza statale, e quindi la violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., dal momento che se gli interventi speciali di cui al Programma periferie trovavano copertura nell'art. 119, quinto comma, Cost., un generico finanziamento degli investimenti comunali e provinciali nelle materie di competenza regionale dovrebbe passare attraverso le regioni, pena la violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. e dell'art. 118, primo e secondo comma, Cost. In ulteriore subordine, tale riparto dovrebbe essere oggetto di concertazione.

Al di la' della procedura concorsuale gia' svolta ai sensi della precedente legislazione non sussiste alcuna ragione per la quale interventi in materia regionale debbano essere finanziati direttamente dal centro, in violazione del principio di sussidiarieta', anziche' attraverso il previo riparto territoriale tra le regioni competenti. E se pure vi fossero ragioni - che ad avviso della ricorrente regione palesemente non vi sono - per una attrazione al centro del finanziamento, sembra evidente che tale attrazione dovrebbe essere corretta con lo strumento dell'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni o Unificata.

Poiche' il comma 04 prevede una destinazione diretta e in ogni caso non contempla alcuna forma di coinvolgimento delle regioni e degli enti locali, risulta evidente l'incostituzionalita' della disposizione per violazione della competenza regionale e del principio di leale collaborazione.

P. Q. M.

Per le esposte ragioni, la Regione Emilia-Romagna, come sopra rappresentata e difesa, chiede

Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il presente ricorso, dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 02, 03 e 04, del decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91, nel testo risultante dalla legge di conversione 21 settembre 2018, n. 108, nei termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso.

 

Padova - Roma, 19 novembre 2018

Prof. Avv. Falcon - Avv. Manzi

 

Menu

Contenuti