Ricorso n. 78 del 27 ottobre 2008 (Regione Puglia)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 27 ottobre 2008 , n. 78
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 27 ottobre 2008 (della Regione Puglia)
(GU n. 52 del 17-12-2008)
Ricorso per la Regione Puglia, in persona del Presidente della Giunta regionale, dott. Nicola Vendola, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Nino Matassa, in virtu' di procura a margine del presente atto e di delibera di G.R. n. 1911 del 14 ottobre 2008, con lui domiciliato in Roma, via Cosseria n. 2 (presso il dott. Alfredo Placidi); Contro il Presidente pro tempore del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per la declaratoria dell'illegittimita' costituzionale degli artt. 11 e 13, commi 1, 2, 3 e 3-bis della legge n. 133 del 6 agosto 2008, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 195 del 21 agosto 2008. F a t t o Con la legge n. 133 del 6 agosto 2008, di conversione (con modificazioni) del d.-l. 25 giugno 2008, n. 112, il Parlamento ha varato una eterogenea serie di misure finalizzate allo sviluppo economico, alla semplificazione, alla competitivita', alla stabilizzazione della finanza pubblica ed alla perequazione tributaria. Nella congerie di norme che fanno parte del provvedimento ve ne sono due (gli artt. 11 e 13) che incidono profondamente sulla materia dell'edilizia residenziale pubblica e sociale. L'art. 11, titolato «Piano Casa», si propone di «garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo della persona umana». A tal fine, viene prevista una complessa procedura per la realizzazione di nuove costruzioni e per il recupero del patrimonio edilizio esistente da destinare prioritariamente (dunque, non esclusivamente) a prima casa per categorie sociali svantaggiate (nuclei familiari e giovani coppie a basso reddito, anziani, studenti fuori sede, soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio, nuclei familiari in locazione con familiari ultrassessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap grave, immigrati regolari a basso reddito). L'impalcatura del «Piano casa», che viene approvato con un d.P.C.m. previa delibera del CIPE, si regge sui seguenti principi: il finanziamento degli interventi avviene mediante la costituzione di un fondo nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture (art. 11, comma 12) nel quale confluiscono (tra l'altro) le risorse che precedenti norme avevano gia' attribuito alle regioni per il finanziamento degli interventi di edilizia residenziale pubblica (l'art. 1, comma 1154 della legge n. 296/2006 e gli artt. 21, 21-bis e 41 della legge n. 222/2007). Altra fonte di finanziamento discende dalle risorse derivanti dall'alienazione di alloggi di edilizia pubblica, con le modalita' previste dal successivo art. 13 (art. 11, comma 3, lettera b). l'individuazione e la definizione degli interventi da finanziare avviene a seguito di appositi accordi di programma promossi esclusivamente dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (art. 11, comma 4), avendo riguardo alla «effettiva richiesta abitativa dei singoli contesti», previa delibera del CIPE e d'intesa con la Conferenza unificata Stato-citta' ed autonomie locali. Decorsi novanta giorni senza che sia stata raggiunta l'intesa, il Presidente del Consiglio dei ministri puo' comunque approvare gli accordi di programma; gli interventi edificatori sono attuati (tra l'altro) anche mediante trasferimento o cessione di diritti edificatori in favore dei promotori degli interventi di incremento del patrimonio abitativo e l'incremento premiale di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi e spazi pubblici e di miglioramento della qualita' urbana (art. 11, comma 5). Le misure premiali sono indicate in linea del tutto generale, lasciando amplissimo spazio al successivo d.P.C.m. di approvazione del Piano Casa l'indicazione delle concrete modalita' attuative; l'attuazione del Piano Casa puo' avvenire, in alternativa alla procedura dell'accordo di programma previsto dal comma 4, con le modalita' dettate per gli interventi strategici di preminente interesse nazionale (ex lege n. 443/2001). L'art. 13 della legge n. 133/2008 ha specifico riguardo all'edilizia residenziale pubblica. La norma ricalca pressoche' testualmente i commi 597, 598, 599 e 600 dell'art. 1, legge n. 266/2005, gia' dichiarati incostituzionali dalla sentenza n. 94 del 21 marzo 2007 di codesta Corte. Sinteticamente, la norma prevede «misure di valorizzazione» degli immobili di proprieta' degli Istituti autonomi per le case popolari, mediante la semplificazione delle procedure per la vendita degli immobili di proprieta', previa stipula di accordi con regioni ed enti locali. Tali accordi dovranno informarsi ad alcuni criteri, tra i quali quello della determinazione del prezzo di vendita in proporzione al canone di locazione e del riconoscimento del diritto di opzione all'acquisto in favore dell'assegnatario non moroso o suoi congiunti. I proventi delle alienazioni vanno destinati ad interventi volti ad alleviare il disagio abitativo (art. 13, commi 1 e 2). Il comma 3 dello stesso articolo detta alcune norme per consentire anche alle amministrazioni locali (in aggiunta a quelle regionali) operazioni di cartolarizzazione degli immobili; il comma 3-bis, infine, costituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un Fondo Speciale di Garanzia per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie. Le menzionate disposizioni della legge n. 133/2008 sono palesemente invasive della potesta' che la Carta costituzionale riconosce alle regioni in materia di edilizia in generale e, piu' specificamente, di edilizia residenziale pubblica e/o sociale, operando un'indebita compressione delle potesta' medesime a beneficio di una gestione totalmente accentrata di tali interventi in capo allo Stato. Si chiede pertanto che venga dichiarata l'illegittimita' costituzionale delle norme citate per le seguenti ragioni in D i r i t t o A) Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, legge n. 133/2008. Come rapidamente rilevato in fatto, il Piano Casa previsto dalla norma rubricata accentra, esclusivamente, in capo allo Stato i poteri e le funzioni finalizzati alla localizzazione e realizzazione degli interventi di edilizia abitativa, prioritariamente (e dunque non esclusivamente) di carattere sociale, concentrando in un unico fondo tutte le somme che la normativa previgente aveva destinato alle regioni per la realizzazione di interventi di edilizia sociale. Nel medesimo fondo sembrerebbero destinate a confluire anche le somme derivanti dall'alienazione di alloggi di edilizia pubblica, ancorche' non appartenenti allo Stato (art. 11, comma 3, lettera b). L'utilizzo di tale fondo e la destinazione delle somme in favore di un intervento piuttosto che di un altro avviene a seguito di un procedimento il cui impulso e' attribuito esclusivamente al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, mediante la stipula di Accordi di Programma con gli enti (anche privati) promotori degli interventi costruttivi. Tali accordi sono perseguiti all'interno della Conferenza unificata Stato-citta' ed autonomie locali; tuttavia, in difetto di intesa entro 90 giorni, il Presidente del Consiglio dei ministri puo' comunque approvare l'accordo di programma. L'effetto che discende dall'approvazione dei programmi medesimi incide direttamente sull'assetto urbanistico della zona individuata per ospitarlo: ai soggetti attuatori possono essere, infatti, riconosciuti diritti edificatori e incrementi premiali di diritti edificatori, evidentemente in variante agli strumenti regolatori. In ogni caso, il ricorso allo strumento dell'Accordo di Programma consente di attribuire allo stesso efficacia di variante agli strumenti urbanistici locali e sovracomunali. Ad ulteriore conferma della natura derogatoria della pianificazione territoriale riconosciuta al Piano Casa, vi e' la circostanza che, a norma del comma 9, la sua attuazione puo' essere perseguita con le modalita' previste dagli artt. 161 sgg. d.lgs. n. 163/2006 per la realizzazione delle opere strategiche (modalita' che, com'e' noto, sono ampiamente derogatorie delle norme che disciplinano sia la materia urbanistica che quella degli appalti pubblici). Cosi' delineato il disegno del Legislatore statale, e' agevole verificare la profonda contrarieta' dell'art. 11 della legge n. 133/2008 ai precetti costituzionali sotto molteplici profili. 1) Violazione dell'art. 117, terzo comma Cost. Viene in preminente rilievo la palese violazione della competenza legislativa delle regioni ad opera della norma impugnata. Con il «Piano Casa» lo Stato intende localizzare e realizzare interventi di edilizia residenziale pubblica e sociale. Se non vi sono dubbi sulla riconducibilita' della materia edilizia alla potesta' legislativa concorrente delle regioni (cfr. ex plur. sentenza n. 343 del 29 luglio 2005: «La materia edilizia rientra nel governo del territorio, come prima rientrava nell'urbanistica, ed e' quindi oggetto di legislazione concorrente»), ad analoghe conclusioni occorre giungere per la materia dell'edilizia residenziale pubblica e/o sociale, con le precisazioni che seguono. La materia dell'edilizia residenziale pubblica e' stata organicamente disciplinata con d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, che definiva la relativa nozione con riguardo agli alloggi sovvenzionati dallo Stato. Il d.P.R. n. 1036 emesso nella medesima data precisava che «la realizzazione unitaria degli obiettivi stabiliti nei programmi di interventi di edilizia abitativa pubblica e di edilizia sociale di cui all'art. 1 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e' affidata al Ministro per i lavori pubblici e alle regioni in conformita' con gli indirizzi del CIPE e con le modalita' stabilite dal presente decreto». Dal 1975 in poi si e' sviluppato e razionalizzato l'ambito dei poteri di competenza regionale non piu' per materie analiticamente elencate, ma per «settori organici». In relazione a tale complessa normativa, prima della riforma del Titolo V della Costituzione, la giurisprudenza costituzionale aveva delineato una «triplice fase» nella quale si articola la materia dell'edilizia residenziale pubblica: «la prima, avente carattere di presupposto rispetto alle altre, propriamente urbanistica; la seconda, di programmazione e realizzazione delle costruzioni, concettualmente riconducibile ai ''lavori pubblici'' […]; la terza, infine, attinente alla prestazione e gestione del servizio della casa (disciplina delle assegnazioni degli alloggi, in locazione od in proprieta', ecc.), limitatamente all'edilizia residenziale pubblica in senso stretto» (sentenza della Corte costituzionale n. 221/1975). La giurisprudenza ha quindi ravvisato nell'edilizia residenziale pubblica una «nuova materia» con carattere trasversale rispetto alle norme che delineavano la competenza dello Stato e delle regioni; veniva quindi individuata «una ''nuova'' materia di competenza regionale al di la' della ricostruzione iniziale operata con la sentenza n. 221 del 1975 - l'edilizia residenziale pubblica appunto - avente una sua consistenza indipendentemente dal riferimento all'urbanistica e ai lavori pubblici» (sentenza Corte n. 27/1996). Le medesime conclusioni restano valide anche all'indomani della riforma del Titolo V, con riferimento al nuovo riparto di competenze legislative voluto dalla Riforma. La verifica della compatibilita' della precedente sistematica al nuovo quadro costituzionale e' stata puntualmente effettuata da codesta Corte con la sentenza n. 94 del 21 marzo 2007: con questa, il Giudice delle leggi ha precisato che «La ''nuova materia'' continua ad esistere come corpus normativo» e, piu' precisamente, come corpus dalla portata trasversale rispetto ai vari ambiti di normazione. Sicche', ai tre livelli dell'e.r.p. corrispondono altrettanti livelli di potesta' legislativa: «Il primo riguarda la determinazione dell'offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti. In tale determinazione - che, qualora esercitata, rientra nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m) cost. - si inserisce la fissazione di principi che valgano a garantire l'uniformita' dei criteri di assegnazione su tutto il territorio nazionale, secondo quanto prescritto dalla sentenza n. 486 del 1995. Il secondo livello normativo riguarda la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia ''governo del territorio'', ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., come precisato di recente da questa Corte con la sentenza n. 451 del 2006. Il terzo livello normativo, rientrante nel quarto comma dell'art. 117 Cost., riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprieta' degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione regionale». Alla luce di tali consolidati principi, non puo' dubitarsi che la previsione di un potere statale che decida, anche in assenza di consenso delle regioni, ogni piu' minuto dettaglio in ordine agli interventi di edilizia residenziale pubblica, configga drasticamente con la regola sancita dall'art. 117, terzo comma Cost. E' pacifico, in proposito, che la programmazione e la localizzazione degli interventi di edilizia residenziale pubblica o sociale rientri nella competenza legislativa concorrente delle regioni, in quanto ascrivibile alla materia «governo del territorio» elencata al terzo comma dell'art. 117 Cost.: «gli interventi che investono il settore dell'edilizia, attengono, sotto tale profilo, alla materia del ''governo del territorio'', attribuita alla competenza legislativa concorrente (ad. 117 terzo comma Cost.)» (Corte cost., sentenza n. 451 del 2006). In tale materia, pertanto, lo Stato puo' dettare soltanto principi fondamentali. Tale non puo' essere, evidentemente, una norma che consente allo Stato di localizzare, individuare e finanziare, in maniera unilaterale ed in assenza di assenso regionale, i singoli progetti costruttivi da realizzare nel territorio delle singole regioni. La normativa contenuta nell'art. 11 della legge n. 133/2008, infatti, non fissa (come sara' innanzi precisato), criteri generali in materia di localizzazione o assegnazione di alloggi popolari. La stessa si risolve, invece, in un'attribuzione incondizionata al Governo del potere di procedere alla localizzazione, esecuzione (mediante individuazione del soggetto attuatone) e gestione degli interventi di edilizia residenziale pubblica e sociale, utilizzando fondi (e competenze) di pertinenza regionale. La norma impugnata, che istituisce il «Piano Casa», in definitiva, lungi dal porre un qualunque principio fondamentale alla normazione regionale, attribuisce allo Stato il potere di intervenire in maniera diretta e onnicomprensiva nella materia dell'edilizia residenziale, in spregio alle prerogative che la Carta fondamentale garantisce all'autonomia regionale. Si tratta, a ben vedere, di norma di gestione diretta di interventi costruttivi anziche' di individuazione di generali principi fondamentali. Unica eccezione e' costituita dal comma 7, il quale pone il principio che «l'alloggio sociale, in quanto servizio economico generale, e' identificato, ai fini dell'esenzione dall'obbligo della notifica degli aiuti di Stato, di cui agli articoli 87 e 88 del Trattato che istituisce la Comunita' europea, come parte essenziale e integrante della piu' complessiva offerta di edilizia residenziale sociale, che costituisce nel suo insieme servizio abitativo finalizzato al soddisfacimento di esigenze primarie». La norma impugnata e' quindi illegittima per contrasto con l'art. 117 della Costituzione. 2) Violazione dell'art. 117, terzo comma Cost. sotto ulteriore profilo. La norma impugnata si apre con la (asserita) individuazione del titolo che legittima lo Stato a ledere la potesta' legislativa concorrente regionale: «Al fine di garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo della persona umana…». Il richiamo e' alla lettera m) del primo comma dell'art. 117 Cost., il quale ascrive alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernente i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Ma e' evidente che l'art. 11 della legge n. 133/2008 non ha alcun legame con tale previsione in quanto, come visto al numero precedente, non stabilisce in alcun modo quali siano i livelli minimi essenziali del fabbisogno abitativo: nessun comma del complesso articolato, difatti, indica i requisiti minimi per l'accesso al bene casa o i livelli minimi di tale servizio sociale, validi su tutto il territorio nazionale. La norma si dilunga invece esclusivamente nella previsione e disciplina degli strumenti di attuazione del «Piano Casa» che si risolvono nella attribuzione allo Stato del potere di procedere alla approvazione diretta degli interventi di edilizia residenziale pubblica, anche in mancanza di accordo regionale. Come codesta Corte ha avuto modo di precisare, «il potere di predeterminare eventualmente i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche nelle materie che la Costituzione affida alla competenza legislativa delle regioni, (non puo') trasformarsi nella pretesa dello Stato di disciplinare e gestire direttamente queste materie, escludendo il ruolo delle regioni» (sentenza n. 248 del 2006). Sicche', l'aspirazione a raggiungere un «livello minimo» di prestazioni sociali, se consente allo Stato di predeterminare generali standard quali/quantitativi da raggiungere da parte della normazione regionale, non puo', al contrario, consentire la gestione diretta dei servizi necessari al raggiungimento di tali standard, peraltro, nella specie neppure enunciati). Va osservato che, come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, la definizione dei livelli minimi essenziali non costituisce una materia in senso stretto ma individua una competenza del legislatore idonea ad investire tutte le materie, «rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che il legislatore regionale possa limitarle o condizionarle» (sentenza n. 282 del 2002). La norma impugnata, invece, non definisce alcun livello minimo di prestazione, cioe' non fissa alcuno standard generale nella materia dell'edilizia sociale, limitandosi esclusivamente a creare i presupposti per consentire allo Stato la totalizzante (e solitaria) gestione degli interventi di edilizia sociale sull'intero territorio nazionale. Codesta Corte ha gia' recentemente affrontato una questione analoga a quella che ci occupa, inerente la legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 285 della Finanziaria 2006, col quale veniva direttamente disposto in ordine alla destinazione delle somme per edilizia ospedaliera attribuite alla regioni. Con la sentenza n. 105 del 2007 la Corte ha osservato: «Con riferimento all'evocata competenza statale sulla fissazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), si deve Osservare che la norma censurata disciplina la destinazione delle risorse residue finalizzate all'edilizia sanitaria (…). Un intervento statale teso a fissare, nella materia dell'edilizia sanitaria, un limite indiretto all'autonomia regionale, giustificato dall'esigenza di fornire il servizio sanitario mediante strutture di dimensioni previste da norme nazionali, mal si concilia con il carattere residuale delle risorse cui la norma censurata si riferisce e si pone in contrasto con la necessaria generalita' di una previsione di LEA ai sensi dell'ad. 117, secondo comma, lettera m).». Nell'esaminare altra norma connessa alla precedente, la Corte ha ribadito: «La norma censurata impone invece, in contrasto con la disciplina vigente nel recente passato, un vincolo di destinazione sull'intero ammontare delle risorse residue, che non lascia alle regioni alcun margine di autonomia sia per determinare le proprie scelte sia per negoziare eventuali intese con lo Stato. Tale costrizione non costituisce esplicazione della potesta' statale di determinazione dei LEA, ma indebita ingerenza nell'autonomia finanziaria regionale, in quanto sottrae del tutto alle regioni la possibilita' di utilizzare, secondo propri orientamenti, le risorse disponibili in materia di edilizia sanitaria, rientrante nella potesta' legislativa concorrente». L'art. 117 Cost. risulta, dunque, violato anche sotto tale profilo dalla norma gravata. 3) Violazione dell'art. 118 cost. Violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e regione, nonche' dei principi di sussidiarieta' ed adeguatezza. Violazione dell'art. 117 Cost. sotto ulteriore profilo. L'Accordo di programma finalizzato alla realizzazione degli interventi costruttivi e' promosso esclusivamente dal Ministero il quale, ove non raggiunga l'accordo con le regioni (e gli altri enti) in seno alla ConferenzauUnificata Stato-citta' ed autonomie locali, puo' ugualmente procedere chiedendo l'approvazione al Presidente del Consiglio dei ministri. Il ruolo delle regioni scolora cosi' a mero apporto consultivo, liberamente disattendibile da parte dell'organo ministeriale, nonostante l'evidente impatto che l'Accordo medesimo produce sul territorio della regione destinata ad ospitare l'intervento costruttivo. L'accordo di programma, difatti, costituisce deroga alla pianificazione urbanistica locale e sovralocale; tale effetto e' amplificato dalle previsioni premiali di diritti edificatori a favore dei soggetti attuatori del programma di edilizia residenziale, le quali possono consentire la trasformazione di ambiti territoriali piu' o meno estesi in contrasto con le norme di piano e con gli stessi indirizzi per la pianificazione dettati a livello regionale. In altri termini, l'accordo tra Governo e soggetto attuatore dell'intervento costruttivo e' idoneo ad obliterare totalmente ogni spazio di autonomia regionale incidendo direttamente sull'assetto urbanistico del suo territorio. Evidente la violazione sia del principio di leale collaborazione tra Stato e regione che delle previsioni contenute nell'art. 118 Cost. In proposito, giova richiamare la ricostruzione del meccanismo di interazione tra i due principi operata dalla sentenza n. 313 del 2003 di codesta Corte, emessa proprio in relazione alla legge-obiettivo n. 443/2001 (espressamente ritenuta applicabile alle fattispecie che ci occupano dall'art. 11, comma 9). Osserva la Corte: «Una volta stabilito che, nelle materie di competenza statale esclusiva o concorrente, in virtu' dell'art. 118, primo comma, la legge puo' attribuire allo Stato funzioni amministrative e riconosciuto che, in ossequio ai canoni fondanti dello Stato di diritto, essa e' anche abilitata a organizzarle e regolarle, al fine di renderne l'esercizio permanentemente raffrontabile a un parametro legale, resta da chiarire che i principi di sussidiarieta' e di adeguatezza convivono con il normale riparto di competenze legislative contenuto nel Titolo V e possono giustificarne una deroga solo se la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalita', e sia oggetto di un accordo stipulato con la regione interessata. Che dal congiunto disposto degli artt. 117 e 118, primo comma, sia desumibile anche il principio dell'intesa consegue alla peculiare funzione attribuita alla sussidiarieta', che si discosta in parte da quella gia' conosciuta nel nostro diritto di fonte legale (…). l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'" (sentenza Corte cost. n. 313 del 2003). La conclusione e' che «Per giudicare se una legge statale che occupi questo spazio (quello della potesta' legislativa concorrente, n.d.r.) sia invasiva delle attribuzioni regionali o non costituisca invece applicazione dei principi di sussidiarieta' e adeguatezza diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un'intesa fra lo Stato e le regioni interessate, alla quale sia subordinata l'operativita' della disciplina (…) l'attrazione allo Stato di funzioni amministrative da regolare con legge non e' giustificabile solo invocando l'interesse a un esercizio centralizzato di esse, ma e' necessario un procedimento attraverso il quale l'istanza unitaria venga saggiata nella sua reale consistenza e quindi commisurata all'esigenza di coinvolgere i soggetti titolari delle attribuzioni attratte, salvaguardandone la posizione costituzionale. Ben puo' darsi, infatti, che nell'articolarsi del procedimento, al riscontro concreto delle caratteristiche oggettive dell'opera e dell'organizzazione di persone e mezzi che essa richiede per essere realizzata, la pretesa statale di attrarre in sussidiarieta' le funzioni amministrative ad essa relative risulti vanificata, perche' l'interesse sottostante, quale che ne sia la dimensione, possa essere interamente soddisfatto dalla regione, la quale, nel contraddittorio, ispirato al canone di leale collaborazione, che deve instaurarsi con lo Stato, non solo alleghi, ma argomenti e dimostri la propria adeguatezza e la propria capacita' di svolgere in tutto o in parte la funzione. (In definitiva) la Costituzione impone, a salvaguardia delle competenze regionali, che una intesa vi sia…» (sentenza Corte cost. n. 313 del 2003). Evidente, nel caso di specie, la lesione di tali principi, atteso che il Governo resta totalmente libero di approvare i programmi costruttivi anche allorche' l'intesa in seno alla Conferenza unificata non venga raggiunta. La norma gravata riproduce in sostanza la previsione contenuta nell'art. 1, comma 3-bis della legge n. 443/2001, dichiarata incostituzionale con la menzionata sentenza n. 313 del 2003 «per il fatto che alle regioni viene riservato un ruolo meramente consultivo nella fase di approvazione dei progetti definitivi delle opere individuate nel programma governativo. La disposizione denunciata consente che tale approvazione (…) avvenga con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Per questa procedura alternativa e' previsto che il decreto del Presidente del Consiglio sia adottato previa deliberazione del CIPE integrato dai Presidenti delle regioni o delle province autonome interessate, sentita la Conferenza unificata e previo parere delle competenti commissioni parlamentari. Dalla degradazione della posizione del CIPE da organo di amministrazione attiva (nel procedimento ordinario) ad organo che svolge funzioni preparatorie (nel procedimento ''alternativo'') discende che la partecipazione in esso delle regioni interessate non costituisce piu' una garanzia sufficiente, tanto piu' se si considera che non e' previsto, nel procedimento alternativo, alcun ruolo delle regioni interessate nella fase preordinata al superamento del loro eventuale dissenso». Analoghi principi ha espresso codesta Corte allorche' ha giudicato delle disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica (la legge n. 290/2003) che prevede l'individuazione da parte dello Stato degli impianti e delle infrastrutture di produzione di energia elettrica da localizzare in ambito regionale. Le relative norme sono state dichiarate incostituzionali dalla sentenza n. 383 del 2005 in quanto «la chiamata in sussidiarieta' da parte dello Stato dei poteri amministrativi di determinazione delle linee generali di sviluppo della rete di trasmissione nazionale dell'energia elettrica (non prevede) idonei moduli collaborativi nella forma dell'intesa in senso forte fra gli organi statali e la Conferenza unificata, rappresentativa dell'intera pluralita' degli enti regionali e locali» (sentenza Corte cost. n. 383 del 2005). Le previsioni contenute nell'art. 11 della legge n. 113/2008 sono dunque incostituzionali per una duplice ragione: in primo luogo, perche' lo Stato puo' procedere ugualmente alla approvazione dell'accordo di programma anche in mancanza dell'intesa; in secondo luogo, perche' la norma prevede l'intesa in seno alla Conferenza unificata e non, come dovrebbe essere in ossequio alle previsioni costituzionali, con la singola regione interessata dal concreto intervento approvato. Non si vede, difatti, come possa essere ritenuta conforme a Costituzione una norma di legge che consente allo Stato di approvare la localizzazione di un intervento di edilizia residenziale pubblica e di modificare direttamente le previsioni urbanistiche in vigore, senza una necessaria intesa con la singola regione interessata. Inoltre, risultano violati i principi di sussidierata', adeguatezza e leale collaborazione: non vi e' alcuna necessita' che lo Stato individui a livello centrale quali programmi di edilizia residenziale vadano realizzati e la relativa localizzazione. Gli interventi costruttivi di tal genere non assolvono, infatti, ad alcuna esigenza unitaria (quale puo' essere quella rappresentata dalle grandi opere infrastrutturali, di trasporto energetico, di telecomunicazione, ecc.), risolvendosi in interventi puntuali tesi ad alleviare il disagio abitativo in determinate zone del Paese. L'attivita' assunta dallo Stato si pone, pertanto, in manifesta distonia con i principi dettati dall'art. 118 Cost. Il livello decisionale centrale dovrebbe, invece, esplicarsi esclusivamente nella quantificazione delle risorse da assegnare per programmi di edilizia residenziale e nella loro assegnazione alle regioni in sede di Conferenza unificata, restando estranei tutti gli ulteriori aspetti di carattere gestorio: dalla localizzazione degli interventi nei singoli contesti territoriale, alla gestione della fase di scelta del contraente, dall'individuazione delle tipologie d'intervento, alla concreta esecuzione dell'intervento medesimo. Palese e' pertanto la incostituzionalita' delle norme impugnate. 4) Violazione dell'art. 117, sesto comma Cost. La assoluta indeterminatezza delle norme dettate dall'art. 11 della legge n. 133/2008 comporta che la normazione secondaria che dovra' darvi attuazione avra' la necessita' di dettare la necessaria normativa di dettaglio. L'ascrizione della materia dell'edilizia alla potesta' legislativa concorrente delle regioni, impedisce tuttavia allo Stato di dettare norme a mezzo di fonti diverse da quella legislativa, pena la violazione dell'art. 117, sesto comma Cost., che attribuisce potesta' regolamentare all'Amministrazione centrale soltanto nelle materie di legislazione esclusiva. Il principio era gia' stato affermato dalla Adunanza generale del Consiglio di Stato che, con parere del 17 ottobre 2002, nel ribadire l'efficacia immediatamente precettiva del citato comma dell'art. 117 Cost., ha evidenziato che «e' precluso al legislatore statale, dopo la modifica del Titolo V, dar vita a nuove competenze regolamentari statali al di la' delle aree attribuite alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Spetta, invece, in tali ambiti, alla legge regionale (in sede di competenza concorrente o esclusiva) procedere alla gestione normativa della materia, decidendo, con norme di carattere generale o di volta in volta, se alla disciplina della materia debba provvedere direttamente la legge regionale stessa o, in tutto o in parte, anche la normativa regolamentare». Il principio e' stato ampiamente ribadito dalla giurisprudenza costituzionale. Oltre a quanto affermato dalla gia' citata sentenza n. 94 del 2007 (sulla quale si ritornera' sub B), va segnalata la sentenza n. 328 del 2006, secondo la quale «e' precluso allo Stato, ai sensi dell'ad. 117, sesto comma Cost., adottare regolamenti in materie (nella specie provinciali) di competenza residuale e/o concorrente». La norma impugnata e' dunque illegittima anche sotto tale profilo. 5) Violazione dell'art. 119 e dell'art. 117, quarto comma Cost. La pacifica iscrizione alla potesta' legislativa concorrente della materia dell'edilizia residenziale pubblica rende inoltre pacificamente illegittima la costituzione di un fondo con finalita' di finanziamento degli interventi definiti dal Piano Casa, in ragione del contrasto con l'art. 119 Cost. L'appena citata sentenza della Corte n. 105 del 2007 rammenta che «questa Corte ha stabilito, con giurisprudenza univoca e costante, che la legittimita' della destinazione di fondi a finalita' specifiche, operata da leggi dello Stato, e' condizionata dalla finalizzazione dei finanziamenti ad opere o servizi di competenza statale. Al riguardo la Corte ha affermato: ''La finalizzazione a scopi rientranti in materia di competenza residuale delle regioni o anche di competenza concorrente comporta la illegittimita' costituzionale delle norme statali'' (sentenza n. 231 del 2005; in senso conforme, ex plurimis, sentenza n. 118 del 2006, n. 424 del 2004, n. 370 del 2003). I vincoli di destinazione previsti dalla norma censurata sono specifici e dettagliati e presenterebbero pertanto, secondo le prospettazioni delle ricorrenti, le caratteristiche delineate da questa Corte per individuare gli interventi legislativi statali lesivi della sfera di autonomia garantita alle regioni dagli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.» (sentenza della Corte n. 105 del 2007). Con specifico riferimento alla costituzione di un fondo per consentire a determinate fasce sociali «deboli» la contrazione di mutui per la prima casa (questione evidentemente del tutto affine a quelle in esame), la sentenza n. 137 del 2007 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 336, comma 1 della Finanziaria 2006 in riferimento agli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost. Ribadendo quanto gia' affermato con la sentenza n. 118 del 2006, la Corte ha confermato «il proprio giudizio di illegittimita' costituzionale delle norme, inserite in varie leggi finanziarie, che prevedono l'istituzione di fondi speciali in materie riservate alla competenza residuale o concorrente delle regioni (ex plurimis, sentenza n. 118 del 2006, n. 231 del 2005, n. 423 del 2004) (…) la finalita' sociale della norma impugnata non vale a rendere ammissibile la costituzione di un fondo speciale, mediante ''disposizioni che non trovano la loro fonte legittimatrice in alcuna delle materie di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione. Pertanto, poiche' si verte in materie nelle quali non e' individuabile una specifica competenza statale, deve ritenersi sussistente la competenza della regione'' (sentenza n. 118 del 2006)». Va aggiunto che, in virtu' dell'art. 11, comma. 2, lettera b), della legge n. 133/2008, nel fondo costituito presso il Ministero per il finanziamento del Piano Casa sembrerebbero confluire anche i proventi derivanti dalla alienazione degli alloggi in favore degli assegnatari degli stessi. Orbene, e' macroscopica la illegittimita' della norma con cui lo Stato si appropri delle somme derivanti dalla alienazione di immobili di proprieta' della regione o di suoi enti strumentali. Cio' costituisce palese violazione dell'art. 117, quarto comma della Costituzione, in quanto la gestione degli alloggi di edilizia popolare rientra, come piu' sopra visto, nel «terzo livello» degli ambiti di legislazione in materia, ascritto alla potesta' normativa residuale esclusiva della regione. La gia' citata sentenza n. 94 del 2007 osserva che la norma che attribuisce allo Stato competenze nella alienazione degli alloggi di e.r.p. (su cui si veda sub B) «viola l'art. 117, commi quarto e sesto, Cost., in quanto interviene nella gestione degli alloggi di proprieta' degli lacp, ossia di enti strumentali delle regioni, determinando cosi' un'ingerenza in una materia ricompresa nella potesta' legislativa residuale delle regioni ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost., materia nella quale la prevista fonte regolamentare non puo' operare, a cio' ostando l'art. 117, sesto comma, Cost.» Viene, infine, ulteriormente violato l'art. 119 cost. in quanto lo Stato, in virtu' della previsione legislativa impugnata, finisce per utilizzare per fini propri somme di spettanza regionale, perche' rivenienti dall'alienazione di beni propri e perche' incidenti, come sopra rilevato, in materia di legislazione residuale. Risulta dunque evidente la illegittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge n. 133/2008 per i molteplici profili sin qui evidenziati. B) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 1, 2, 3 e 3-bis, legge n. 133/2008. 1) Violazione dell'art. 117, commi quarto e sesto Cost. da parte dei commi 1 2 e 3. La norma rubricata detta misure per «valorizzare» il patrimonio residenziale pubblico. Come gia' accennato in fatto, i commi 1, 2 e 3 dell'art. 13 della legge n. 133/2008 ricalcano quasi testualmente i commi 597, 598, 599 e 600 dell'art. 1, legge n. 266/2005, gia' dichiarati incostituzionali dalla sentenza n. 94 del 21 marzo 2007 di codesta Corte. Le norme in esame prevedono la stipula di accordi tra Ministero, regioni e autonomie locali, in sede di Conferenza unificata Stato-citta' ed autonomie locali tesi alla semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili di proprieta' degli Istituti Autonomi per le case popolari. Tali accordi vengono stipulati in sede di Conferenza unificata disciplinata dall'art. 8, d.lgs. n. 281/1997 e devono essere informati ai principi previsti dal comma 2 dell'articolo: determinazione del prezzo di vendita in proporzione al canone di locazione, del riconoscimento del diritto di opzione all'acquisto in favore dell'assegnatario non moroso o suoi congiunti, destinazione dei proventi delle alienazioni alla realizzazione di interventi volti ad alleviare il disagio abitativo (art. 12, commi 1 e 2). Norme analoghe erano previste dai commi 597sgg. dell'art. 1, legge n. 266/2005. In particolare, il comma 597 prevedeva: «Ai fini della valorizzazione degli immobili costituenti il patrimonio degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono semplificate le norme in materia di alienazione degli immobili di proprieta' degli Istituti medesimi. Il decreto, da emanare previo accordo tra Governo e regioni, e' predisposto sulla base della proposta dei Ministri del lavoro e delle politiche sociali, dell'economia e delle finanze, delle infrastrutture e dei trasporti da presentare in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano». Il comma 1 dell'art. 13 della legge n. 133/2008 costituisce, pertanto, trasposizione pressoche' testuale di quella norma. Unica differenza rispetto alla norma dichiarata incostituzionale e' che gli accordi tra Stato e regioni vanno stipulati in sede di Conferenza unificata e che l'atto terminale del procedimento e', per l'appunto, l'accordo e non un d.P.C.m. In pratica la differenza tra le due disposizioni sta nel fatto che la prima dettava i principi cui doveva uniformarsi l'accordo tra Governo e regioni, preliminare al d.P.C.m. che avrebbe stabilito le norme semplificate per l'alienazione degli alloggi; la norma attuale, invece, fissa i criteri (esattamente uguali ai principi del precedente comma 598) in base ai quali dovranno essere stipulati gli accordi tra Stato, regioni ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle normative per l'alienazione dei beni in esame. La nuova previsione, dunque, e' negli aspetti sostanziali identica alla precedente: il legislatore nazionale ha stabilito dei criteri che devono essere seguiti nella normativa semplificata e per quest'ultima si rinvia ad un accordo Stato-regioni. La norma dichiarata incostituzionale prevedeva, in piu' rispetto all'attuale, un d.P.C.m. che, posto a valle dell'accordo, ne recepisse i contenuti. Il comma 598, a sua volta, disponeva: «I principi fissati dall'accordo tra Governo e regioni e regolati dal decreto di cui al comma 597 devono consentire che: a) il prezzo di vendita delle unita' immobiliari sia determinato in proporzione al canone dovuto e computato ai sensi delle vigenti leggi regionali, ovvero, laddove non ancora approvate, ai sensi della legge 8 agosto 1977, n. 513; b) per le unita' ad uso residenziale sia riconosciuto il diritto all'esercizio del diritto di opzione all'acquisto per l'assegnatario unitamente al proprio coniuge, qualora risulti in regime di comunione dei beni; che, in caso di rinunzia da parte dell'assegnatario, subentrino, con facolta' di rinunzia, nel diritto all'acquisto, nell'ordine: il coniuge in regime di separazione dei beni, il convivente more uxorio purche' la convivenza duri da almeno cinque anni, i figli conviventi, i figli non conviventi; c) i proventi delle alienazioni siano destinati alla realizzazione di nuovi alloggi, al contenimento degli oneri dei mutui sottoscritti da giovani coppie per l'acquisto della prima casa, a promuovere il recupero sociale dei quartieri degradati e per azioni in favore di famiglie in particolare stato di bisogno». A parte la piu' ampia finalita' nella destinazione dei proventi derivanti dalle alienazioni prevista dalla norma gia' dichiarata incostituzionale, la formulazione del comma 2 dell'art. 13 della legge n. 133/2008 e' assolutamente identica al comma 598 appena riportato. Il comma 3 dell'art. 13 impugnato prevede, infine, che negli accordi di cui al comma 1 «puo' essere prevista la facolta' per le amministrazioni regionali e locali di stipulare convenzioni con societa' di settore per lo svolgimento delle attivita' strumentali alla vendita dei singoli beni immobili». La norma si differenzia ben poco dai commi 599 e 600 dell'art. 1, legge n. 266/2005; il primo prevedeva la possibilita' di cartolarizzare gli immobili di proprieta' pubblica; il secondo attribuiva tale possibilita' ai singoli enti proprietari, affidando «a societa' di comprovata professionalita' ed esperienza in materia immobiliare e con specifiche competenze nell'edilizia residenziale pubblica, la gestione delle attivita' necessarie al censimento, alla regolarizzazione ed alla vendita dei singoli beni immobili». Come ampiamente osservato sub A), la gestione degli alloggi di edilizia popolare ed economica e' materia ascritta alla competenza normativa esclusiva delle regioni, ex art. 117, quarto comma Cost. Si tratta del cosiddetto «terzo livello» normativo in subiecta materia. Pertanto, la legislazione statale non puo' dettare norme che incidano sulla materia, trattandosi di ambiti coperti dalla potesta' legislativa residuale regionale (si rinvia in proposito a quanto rilevato sub 4 della precedente lettera A). La pressoche' assoluta identita' tra le norme dichiarate incostituzionali e quelle oggetto del presente scrutinio di costituzionalita' consente di invocare le medesime statuizioni che codesta Corte ha espresso nella sentenza n. 94 del 21 aprile 2007 allorche' ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dei citati commi dell'art. 1 della legge n. 266/2005, in applicazione del riparto di competenze legislative in subiecta materia delineato sub A). In tale occasione la Corte ha statuito: «Il comma 597 dell'art. 1 della finanziaria 2006 si pone l'obiettivo «della valorizzazione degli immobili costituenti il patrimonio degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati». Tale valorizzazione deve essere ottenuta, a tenore del comma impugnato, mediante la semplificazione delle procedure in materia di alienazione degli immobili di proprieta' degli Istituti medesimi. La specificazione delle modalita' di semplificazione e' demandata ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi nel termine di sei mesi dall'entrata in vigore della legge finanziaria. Il fine della disposizione in esame non e' quello di dettare una disciplina generale in tema di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, di competenza dello Stato, secondo quanto prima argomentato con riferimento alla sentenza di questa Corte n. 486 del 1995, bensi' quello di regolare le procedure amministrative e organizzative per arrivare ad una piu' rapida e conveniente cessione degli immobili. Si tratta quindi di un intervento normativo dello Stato nella gestione degli alloggi di proprieta' degli I.A.C.P. (o di altri enti o strutture sostitutivi di questi), che esplicitamente viene motivato dalla legge statale con finalita' di valorizzazione di un patrimonio immobiliare non appartenente allo Stato, ma ad enti strumentali delle regioni. Si profila, pertanto, una ingerenza nel terzo livello di normazione riguardante l'edilizia residenziale pubblica, sicuramente ricompreso nella potesta' legislativa residuale delle regioni, ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost. Di conseguenza - come rilevato in uno dei ricorsi - la fonte regolamentare, destinata dalla disposizione impugnata a disciplinare le procedure di alienazione degli immobili, e' stata prevista in una materia non di competenza esclusiva dello Stato, in violazione del sesto comma del medesimo art. 117» (sentenza della Corte n. 94 del 21 aprile 2007). E' appena il caso di precisare che la modifica che la norma attuale prevede rispetto a quella dichiarata incostituzionale (l'eliminazione del d.P.C.m. a valle dell'accordo Stato-regione) e' del tutto inidonea a superare i profili di incostituzionalita' accertati nella citata sentenza n. 94 del 2007, attesa la accertata devoluzione della materia costituita dall'edilizia residenziale alla potesta' legislativa residuale regionale. Con la conseguenza che e' rimessa alle regioni la relativa disciplina, ne' e' ammissibile vincolare l'esercizio della stessa potesta' legislativa regionale ad accordi con lo Stato, perche' cio' viola l'autonomia legislativa costituzionalmente garantita alle Regioni, la quale non puo' essere condizionata da assensi esterni non previsti in Costituzione. Con specifico riferimento al tema dell'accordo, previsto nuovamente dalla norma oggi impugnata, la Corte ha sancito quanto segue: «Il comma 598 e' una logica conseguenza del comma precedente, giacche' fissa alcuni obiettivi al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanarsi successivamente e si riferisce ad un ''accordo'' tra Stato e regioni, che deve precedere l'emanazione del suddetto regolamento. Non si tratta pertanto di principi generali volti a stabilire criteri uniformi di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica in relazione alla soddisfazione del diritto sociale all'abitazione, ma di indirizzi e limiti volti a circoscrivere l'esercizio della potesta' regolamentare del Governo in un campo nel quale la stessa non puo' essere esercitata ratione materiae. Ne' varrebbe richiamare il principio di leale collaborazione, giacche', nella specie, si versa in ambito materiale riservato esclusivamente alle regioni: non vengono in rilevo, infatti, profili programmatori o progettuali idonei ad avere un qualsiasi impatto con il territorio. Non e', d'altra parte, condivisibile l'assunto dell'Avvocatura dello Stato, che fa rientrare la norma impugnata nella materia ''ordinamento civile'', poiche' si tratta di criteri destinati ad incidere sulle procedure amministrative inerenti all'alienazione degli immobili di proprieta' di enti regionali e non gia' a regolare rapporti giuridici di natura privatistica. La competenza regionale in materia e' stata gia' riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (si veda, ad esempio, la sentenza n. 486 de11995) e non v'e' spazio, pertanto, per una normativa statale che si sostituisca o si sovrapponga a quella delle regioni, tuttora in vigore. Se l'alienazione degli alloggi deve essere considerata, come s'e' visto, ''indissolubilmente connessa con l'assegnazione degli stessi'' (sentenza n. 486 del 1992), e se la ''disciplina organica dell'assegnazione e cessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica [...] costituisce, in linea di principio, espressione della competenza spettante alla regione in questa materia'' (ordinanza n. 104 del 2004), la disciplina delle procedure amministrative tendenti all'alienazione non rientra nell'ordinamento civile, ma deve essere ricondotta al potere di gestione dei propri beni e del proprio patrimonio, appartenente in via esclusiva alle regioni ed ai loro enti strumentali» (sentenza della Corte n. 94 del 21 aprile 2007). E' quindi evidente che le norme oggi impugnate sono viziate dalle medesime ragioni di incostituzionalita': non puo' lo Stato imporre unilateralmente i principi cui dovranno attenersi le regioni nel raggiungere «intese» sulla disciplina da seguire per la alienazione del patrimonio regionale. Infine, con riferimento alle norme sulla cartolarizzazione contenute nei commi 599 e 600 e riprodotti nel comma 3 dell'art. 13, legge n. 133/2006, codesta Corte ha osservato: «Il comma 599 prevede che le norme statali sulla cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, dettate dal decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351 (…), si applicano agli I.A.C.P. che ne facciano richiesta tramite le regioni. A tal proposito, si deve mettere in rilievo che la facolta' delle regioni di avvalersi della suddetta normativa statale e' prevista dall'art. 1, comma 6 del decreto-legge prima citato. L'attribuzione della medesima facolta' anche ad enti strumentali della regione o e' priva di autonomo contenuto normativo o assegna loro la possibilita' di esercitare la facolta' in parola anche contro, in ipotesi, il volere della regione di riferimento, la quale diventerebbe, pertanto, un mero tramite burocratico per l'esercizio di un potere direttamente attribuito dallo Stato a tali enti, con evidente lesione della sfera di competenza costituzionalmente garantita delle regioni. 5.4. - Analoghe considerazioni valgono per il comma 600, che conferisce direttamente agli enti proprietari la facolta' di rivolgersi a societa' specializzate per il censimento, la regolarizzazione e la vendita dei singoli beni immobili. Vengono in tal modo scavalcate le possibili scelte gestionali della Regione, i cui enti strumentali potrebbero invocare un titolo giuridico autonomo che li autorizzi ad agire in contrasto con le linee direttive regionali» (sentenza della Corte n. 94 del 21 aprile 2007). Identiche previsioni sono contenute nel comma 3 dell'art. n. 133/2008, con la sola precisazione che il nuovo testo dispone, in maniera piu' «secca» rispetto al precedente, che la facolta' di cartolarizzare gli immobili puo' essere attribuita alle amministrazioni «locali», oltre che a quelle regionali, cosi' reiterando l'illegittima scelta statale di consentire anche ad enti sub-regionali di effettuare scelte gestionali in contrasto con differenti indirizzi da parte della regione. Tali previsioni sono quindi incostituzionali per le ragioni gia' evidenziate nella citata sentenza della Corte. In definitiva, alla luce della citata recente pronuncia della Corte su disposizioni pressoche' identiche, e' del tutto evidente la incostituzionalita' della previsioni impugnate. 2) Violazione dell'art. 119 Cost. da parte del comma 3-bis. Va, infine, denunciata anche l'incostituzionalita' del comma 3-bis dell'art. 13, col quale viene istituito un fondo per l'acquisto della prima casa. La norma viola l'art. 119 per le ragioni gia' espresse al n. 5 della precedente lettera A), non essendo ammissibile la costituzione di fondi da gestire a livello centrale per ambiti materiali di normazione concorrente o addirittura esclusiva regionale. Peraltro, pressoche' analoga previsione e' gia' stata dichiarata incostituzionale da codesta Corte con la sentenza n. 137 del 2007, ampiamente citata al predetto n. 5 lettera A).
P. Q. M. Si chiede che l'ecc.ma Corte Costituzionale, in accoglimento del ricorso, dichiari l'illegittimita' costituzionale degli artt. 11 e 13, commi 1, 2, 3 e 3-bis della legge n. 133 del 6 agosto 2008, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 195 del 21 agosto 2008 per contrasto con gli artt. 117, 118, 119 della Costituzione, nonche' per violazione dei principi di sussidiarieta', leale collaborazione e adeguatezza, per tutte le ragioni innanzi evidenziate. Bari-Roma, addi' 18 ottobre 2008 Avv. Nino Matassa