Ricorso n. 78 del 30 ottobre 2003 (Presidente del Consiglio dei ministri)
N. 78 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 ottobre 2003.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 30 ottobre 2003 (del Presidente del Consiglio dei
ministri)
(GU n. 48 del 3-12-2003)
Il Governo della Repubblica italiana, in persona del Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato e presso la stessa dom. to in Roma, via dei
Portoghesi n. 12.
Propone impugnativa per illegittimita' costituzionale ai sensi
dell'art. 127 della Costituzione;
Contro la Regione Puglia, in persona del presidente della giunta
pro tempore della legge regionale n. 15 del 25 agosto 2003 pubblicata
nel B.U.R. n. 99 del 29 agosto 2003 recante: Modifica legge regionale
13 agosto 1998, n. 27. Norme per la protezione della fauna selvatica
omeoterma per la tutela e la programmazione delle risorse faunistico
ambientali e per la regolamentazione dell'attivita' venatoria in base
ai seguenti
M o t i v i
Con la legge n. 15/2003 la regione Puglia modifica un articolo
della propria disciplina organica della caccia, dando la possibilita'
di effettuare il prelievo venatorio nel territorio regionale fino ad
un'ora dopo il tramonto, oltre che nei confronti della gia' prevista
categoria degli ungulati anche per gli acquatici, ad apportamento in
prossimita' di masse d'acqua stagnanti o correnti.
Tale disposizione eccede l'ambito delle competenze regionali ed
e' censurabile in base ai seguenti motivi.
La regione Puglia lede il riparto costituzionale di competenze
legislative come disciplinato nel riformato titolo V, in particolare
compromettendo la competenza esclusiva dello Stato in materia di
tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, secondo
il dettato della lettera s), comma secondo, dell'art. 117 della
Costituzione.
Secondo una consolidata giurisprudenza di codesta Corte, gia'
prima della riforma del titolo V della Costituzione, la tutela
dell'ambiente aveva assunto una sua autonoma rilevanza come ambito
materiale di interessi unitari in grado di vincolare il legislatore
regionale, tanto ordinario che speciale, nelle materie di sua
competenza ripartita e/o primaria, attraverso il funzionamento dei
limiti dei principi fondamentali delle leggi dello Stato e delle
norme delle grandi riforme economico sociali. La percezione
dell'esistenza di un bene ambiente unitario e infrazionabile spingeva
la Corte a sottrarre la sua disciplina giuridica a interventi
settoriali (cfr. Corte cost. n. 356 del 1994) e a salvaguardarlo
nella sua piena interezza (cfr. Corte cost. n. 67 del 1992).
Piu' recentemente, e in periodo successivo all'entrata in vigore
della riforma del tit. V, la Corte ha avuto occasione di tornare
sull'argomento, arricchendo la nozione di ambiente come risultante
dalla precedente giurisprudenza. Con la sentenza n. 407 del 2002.
Essa ha precisato che «l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza
costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una
"materia" in senso tecnico, qualificabile come "tutela
dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile come sfera
di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata,
giacche', al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente
con altri interessi e competenze. In particolare, dalla
giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del
Titolo V della Costituzione e' agevole ricavare una configurazione
dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in
quanto tale, delinea una sorta di materia trasversale, in ordine alla
quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere
regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad
esigenze meritevoli di disciplina uniforme all'interno del territorio
nazionale».
Con ancora maggiore chiarezza codesta Corte in una pronuncia
ancora piu' vicina nel tempo, nel richiamarsi esplicitamente alla
suddetta sentenza, precisa che proprio in funzione dell'ambiente come
valore costituzionale lo Stato "puo' dettare standards di tutela
uniformi sull'intero territorio nazionale anche incidenti sulle
competenze legislative regionali ex art. 117 della Costituzione». Ed,
inoltre, che l'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione
«esprime un'esigenza unitaria per cio' che concerne la tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, ponendo un limite agli interventi a
livello regionale che possano pregiudicare gli equilibri ambientali»
(Corte cost. n. 536/2002).
La considerazione unitaria e trasversale che viene ad assumere il
valore ambiente alla luce della piu' recente giurisprudenza
costituzionale, consente, dunque, di affermare che, laddove sia
rilevabile l'emersione di tale valore, e' sempre possibile per lo
Stato intervenire con legge allo scopo di garantire la sussistenza di
quegli standard di tutela uniforme senza i quali «l'equilibrio
ambientale» non sarebbe garantito in maniera unitaria e soddisfacente
su tutto il territorio nazionale, al di la' dell'ambito materiale
della disciplina in cui tale intervento si concreta. E questo proprio
in virtu' della competenza esclusiva che l'art. 117, comma secondo,
lettera s), attribuisce allo Stato.
Da queste premesse si ricava che ove si renda necessario per le
ragioni anzidette un intervento uniforme dello Stato a garanzia di
standard minimi ambientali, questo intervento puo' giungere anche a
lambire le materie, non enumerate dalla Costituzione, che ricadono
nella competenza esclusiva delle regioni ex art. 117, comma quarto,
restringendone la portata e sottraendo ad esse quegli oggetti che
piu' propriamente si devono far rientrare all'interno della materia
valore ambiente.
La stessa materia «caccia» che, dopo la riforma del tit. V, puo'
farsi rientrare pacificamente nella competenza residuale ed esclusiva
delle regioni ordinarie ex art. 117, comma quarto, e' stata fatta
oggetto da codesta Corte di una interpretazione evolutiva che tenga
conto di «una moderna e sempre piu' ampia concezione», secondo la
quale «per caccia non possa intendersi soltanto l'attivita'
concernente l'abbattimento di animali selvatici, bensi' anche quella,
congiuntamente diretta alla protezione dell'ambiente naturale e di
ogni forma di vita, a cui viene subordinata qualsiasi attivita'
sportiva» (Corte cost. n. 63/1990).
Se pero', nella vigenza delle norme ante riforma, la tutela
ambientale all'interno dell'ambito caccia poteva essere fatta valere
dalla Corte identificando tale tutela nei principi fondamentali delle
leggi dello Stato con riguardo alle regioni ordinarie e nelle norme
delle grandi riforme economico sociali con riferimento alle regioni
ad autonomia speciale, oggi tale tutela, per le regioni ordinarie,
non passa piu' attraverso il vincolo dei principi fondamentali delle
leggi cornice in materia, bensi' attraverso l'individuazione di
quegli standard uniformi direttamente riconducibili alla competenza
esclusiva dello Stato in materia di tutela di ambiente e di
ecosistema ex art. 117, comma secondo, lettera s), della
Costituzione.
La legge febbraio 1992, n. 157 recante «Norme per la protezione
della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio»,
recependo e dando attuazione integrale alle direttive 79/409/CEE del
Consiglio del 2 aprile 1979, 85/41 I/CEE della Commissione del 25
luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991, con i
relativi allegati, concernenti la conservazione degli uccelli
selvatici, e alle Convenzioni di Parigi del 18 ottobre 1950 e di
Berna del 19 settembre 1979, rispettivamente per la protezione degli
uccelli e per la conservazione della vita selvatica e dei suoi
biotipi in Europa, ha dettato una disciplina quadro di livello
nazionale contenente principi fondamentali.
Una giurisprudenza costituzionale consolidata, gia' da prima
della riforma del tit. V, ha individuato all'interno della piu' ampia
materia «caccia» ambiti materiali di tutela della fauna selvatica e,
quindi, dell'ambiente come valore. In particolare si e' rilevato che
la suddetta tutela non si arresta alla individuazione da parte del
legislatore statale delle «specie cacciabili», «specie» che per tale
ragione non possono essere derogate dalle leggi regionali, ma
«implica [... 1 che tale carattere sia proprio anche delle norme
strettamente connesse con quelle che individuano le specie ammesse».
Questa disciplina statale vincola le regioni ordinarie e speciali
nonche' le province autonome «nella parte in cui delinea il nucleo
minimo di salvaguardia della fauna selvatica, nel quale deve
includersi, accanto alla elencazione delle specie cacciabili, la
disciplina delle modalita' di caccia, nei limiti in cui prevede
misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la
riproduzione delle specie cacciabili. Al novero di tali misure va
ascritta la disciplina che, «anche in funzione di adeguamento agli
obblighi comunitari, delimita il periodo venatorio» (Corte cost.
n. 323/1998). La legge statale n. 157 del 1992, pertanto,
interpretata evolutivamente da codesta Corte, conteneva, gia' prima
dell'entrata in vigore della riforma del Tit. V, un nucleo minimo di
salvaguardia della fauna selvatica, che andava dall'elencazione delle
specie cacciabili ad ogni altro profilo di disciplina contenente
misure da ritenersi «indispensabili» al fine di assicurare la
sopravvivenza e la riproduzione delle specie selvatiche. Tra queste
misure codesta Corte individuava, quale oggetto specifico di
protezione uniforme, quelle rivolte alla fissazione di un periodo di
tempo entro cui esercitare l'attivita' venatoria, anche in funzione
dell'attuazione del diritto comunitario che la stessa legge si
preoccupava di realizzare.
Con la riforma del tit. V queste esigenze di tutela unitaria, in
materia ambientale e di ecosistema, hanno trovato esplicito
riconoscimento nella competenza esclusiva dello Stato ex art. 117,
comma secondo, lett. s), della Costituzione.
Con la sentenza 536 del 2002, sopra richiamata, codesta Corte,
affrontando un caso analogo a quello in esame, ha inoltre precisato
che «la delimitazione temporale del prelievo venatorio disposta
dall'art. 18 della legge n. 157 del 1992 e' rivolta ad assicurare la
sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili e risponde
all'esigenza di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema per il cui
soddisfacimento l'art. 117, secondo comma, lettera s), ritiene
necessario l'intervento in via esclusiva della potesta' legislativa
statale».
P. Q. M.
Si chiede a codesta ecc.ma Corte di dichiarare l'illegittimita'
costituzionale della legge indicata in epigrafe.
Roma, addi' 15 ottobre 2003
Avvocato dello Stato: Massimiliano Mari
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 30 ottobre 2003 (del Presidente del Consiglio dei
ministri)
(GU n. 48 del 3-12-2003)
Il Governo della Repubblica italiana, in persona del Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato e presso la stessa dom. to in Roma, via dei
Portoghesi n. 12.
Propone impugnativa per illegittimita' costituzionale ai sensi
dell'art. 127 della Costituzione;
Contro la Regione Puglia, in persona del presidente della giunta
pro tempore della legge regionale n. 15 del 25 agosto 2003 pubblicata
nel B.U.R. n. 99 del 29 agosto 2003 recante: Modifica legge regionale
13 agosto 1998, n. 27. Norme per la protezione della fauna selvatica
omeoterma per la tutela e la programmazione delle risorse faunistico
ambientali e per la regolamentazione dell'attivita' venatoria in base
ai seguenti
M o t i v i
Con la legge n. 15/2003 la regione Puglia modifica un articolo
della propria disciplina organica della caccia, dando la possibilita'
di effettuare il prelievo venatorio nel territorio regionale fino ad
un'ora dopo il tramonto, oltre che nei confronti della gia' prevista
categoria degli ungulati anche per gli acquatici, ad apportamento in
prossimita' di masse d'acqua stagnanti o correnti.
Tale disposizione eccede l'ambito delle competenze regionali ed
e' censurabile in base ai seguenti motivi.
La regione Puglia lede il riparto costituzionale di competenze
legislative come disciplinato nel riformato titolo V, in particolare
compromettendo la competenza esclusiva dello Stato in materia di
tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, secondo
il dettato della lettera s), comma secondo, dell'art. 117 della
Costituzione.
Secondo una consolidata giurisprudenza di codesta Corte, gia'
prima della riforma del titolo V della Costituzione, la tutela
dell'ambiente aveva assunto una sua autonoma rilevanza come ambito
materiale di interessi unitari in grado di vincolare il legislatore
regionale, tanto ordinario che speciale, nelle materie di sua
competenza ripartita e/o primaria, attraverso il funzionamento dei
limiti dei principi fondamentali delle leggi dello Stato e delle
norme delle grandi riforme economico sociali. La percezione
dell'esistenza di un bene ambiente unitario e infrazionabile spingeva
la Corte a sottrarre la sua disciplina giuridica a interventi
settoriali (cfr. Corte cost. n. 356 del 1994) e a salvaguardarlo
nella sua piena interezza (cfr. Corte cost. n. 67 del 1992).
Piu' recentemente, e in periodo successivo all'entrata in vigore
della riforma del tit. V, la Corte ha avuto occasione di tornare
sull'argomento, arricchendo la nozione di ambiente come risultante
dalla precedente giurisprudenza. Con la sentenza n. 407 del 2002.
Essa ha precisato che «l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza
costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una
"materia" in senso tecnico, qualificabile come "tutela
dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile come sfera
di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata,
giacche', al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente
con altri interessi e competenze. In particolare, dalla
giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del
Titolo V della Costituzione e' agevole ricavare una configurazione
dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in
quanto tale, delinea una sorta di materia trasversale, in ordine alla
quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere
regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad
esigenze meritevoli di disciplina uniforme all'interno del territorio
nazionale».
Con ancora maggiore chiarezza codesta Corte in una pronuncia
ancora piu' vicina nel tempo, nel richiamarsi esplicitamente alla
suddetta sentenza, precisa che proprio in funzione dell'ambiente come
valore costituzionale lo Stato "puo' dettare standards di tutela
uniformi sull'intero territorio nazionale anche incidenti sulle
competenze legislative regionali ex art. 117 della Costituzione». Ed,
inoltre, che l'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione
«esprime un'esigenza unitaria per cio' che concerne la tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, ponendo un limite agli interventi a
livello regionale che possano pregiudicare gli equilibri ambientali»
(Corte cost. n. 536/2002).
La considerazione unitaria e trasversale che viene ad assumere il
valore ambiente alla luce della piu' recente giurisprudenza
costituzionale, consente, dunque, di affermare che, laddove sia
rilevabile l'emersione di tale valore, e' sempre possibile per lo
Stato intervenire con legge allo scopo di garantire la sussistenza di
quegli standard di tutela uniforme senza i quali «l'equilibrio
ambientale» non sarebbe garantito in maniera unitaria e soddisfacente
su tutto il territorio nazionale, al di la' dell'ambito materiale
della disciplina in cui tale intervento si concreta. E questo proprio
in virtu' della competenza esclusiva che l'art. 117, comma secondo,
lettera s), attribuisce allo Stato.
Da queste premesse si ricava che ove si renda necessario per le
ragioni anzidette un intervento uniforme dello Stato a garanzia di
standard minimi ambientali, questo intervento puo' giungere anche a
lambire le materie, non enumerate dalla Costituzione, che ricadono
nella competenza esclusiva delle regioni ex art. 117, comma quarto,
restringendone la portata e sottraendo ad esse quegli oggetti che
piu' propriamente si devono far rientrare all'interno della materia
valore ambiente.
La stessa materia «caccia» che, dopo la riforma del tit. V, puo'
farsi rientrare pacificamente nella competenza residuale ed esclusiva
delle regioni ordinarie ex art. 117, comma quarto, e' stata fatta
oggetto da codesta Corte di una interpretazione evolutiva che tenga
conto di «una moderna e sempre piu' ampia concezione», secondo la
quale «per caccia non possa intendersi soltanto l'attivita'
concernente l'abbattimento di animali selvatici, bensi' anche quella,
congiuntamente diretta alla protezione dell'ambiente naturale e di
ogni forma di vita, a cui viene subordinata qualsiasi attivita'
sportiva» (Corte cost. n. 63/1990).
Se pero', nella vigenza delle norme ante riforma, la tutela
ambientale all'interno dell'ambito caccia poteva essere fatta valere
dalla Corte identificando tale tutela nei principi fondamentali delle
leggi dello Stato con riguardo alle regioni ordinarie e nelle norme
delle grandi riforme economico sociali con riferimento alle regioni
ad autonomia speciale, oggi tale tutela, per le regioni ordinarie,
non passa piu' attraverso il vincolo dei principi fondamentali delle
leggi cornice in materia, bensi' attraverso l'individuazione di
quegli standard uniformi direttamente riconducibili alla competenza
esclusiva dello Stato in materia di tutela di ambiente e di
ecosistema ex art. 117, comma secondo, lettera s), della
Costituzione.
La legge febbraio 1992, n. 157 recante «Norme per la protezione
della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio»,
recependo e dando attuazione integrale alle direttive 79/409/CEE del
Consiglio del 2 aprile 1979, 85/41 I/CEE della Commissione del 25
luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991, con i
relativi allegati, concernenti la conservazione degli uccelli
selvatici, e alle Convenzioni di Parigi del 18 ottobre 1950 e di
Berna del 19 settembre 1979, rispettivamente per la protezione degli
uccelli e per la conservazione della vita selvatica e dei suoi
biotipi in Europa, ha dettato una disciplina quadro di livello
nazionale contenente principi fondamentali.
Una giurisprudenza costituzionale consolidata, gia' da prima
della riforma del tit. V, ha individuato all'interno della piu' ampia
materia «caccia» ambiti materiali di tutela della fauna selvatica e,
quindi, dell'ambiente come valore. In particolare si e' rilevato che
la suddetta tutela non si arresta alla individuazione da parte del
legislatore statale delle «specie cacciabili», «specie» che per tale
ragione non possono essere derogate dalle leggi regionali, ma
«implica [... 1 che tale carattere sia proprio anche delle norme
strettamente connesse con quelle che individuano le specie ammesse».
Questa disciplina statale vincola le regioni ordinarie e speciali
nonche' le province autonome «nella parte in cui delinea il nucleo
minimo di salvaguardia della fauna selvatica, nel quale deve
includersi, accanto alla elencazione delle specie cacciabili, la
disciplina delle modalita' di caccia, nei limiti in cui prevede
misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la
riproduzione delle specie cacciabili. Al novero di tali misure va
ascritta la disciplina che, «anche in funzione di adeguamento agli
obblighi comunitari, delimita il periodo venatorio» (Corte cost.
n. 323/1998). La legge statale n. 157 del 1992, pertanto,
interpretata evolutivamente da codesta Corte, conteneva, gia' prima
dell'entrata in vigore della riforma del Tit. V, un nucleo minimo di
salvaguardia della fauna selvatica, che andava dall'elencazione delle
specie cacciabili ad ogni altro profilo di disciplina contenente
misure da ritenersi «indispensabili» al fine di assicurare la
sopravvivenza e la riproduzione delle specie selvatiche. Tra queste
misure codesta Corte individuava, quale oggetto specifico di
protezione uniforme, quelle rivolte alla fissazione di un periodo di
tempo entro cui esercitare l'attivita' venatoria, anche in funzione
dell'attuazione del diritto comunitario che la stessa legge si
preoccupava di realizzare.
Con la riforma del tit. V queste esigenze di tutela unitaria, in
materia ambientale e di ecosistema, hanno trovato esplicito
riconoscimento nella competenza esclusiva dello Stato ex art. 117,
comma secondo, lett. s), della Costituzione.
Con la sentenza 536 del 2002, sopra richiamata, codesta Corte,
affrontando un caso analogo a quello in esame, ha inoltre precisato
che «la delimitazione temporale del prelievo venatorio disposta
dall'art. 18 della legge n. 157 del 1992 e' rivolta ad assicurare la
sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili e risponde
all'esigenza di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema per il cui
soddisfacimento l'art. 117, secondo comma, lettera s), ritiene
necessario l'intervento in via esclusiva della potesta' legislativa
statale».
P. Q. M.
Si chiede a codesta ecc.ma Corte di dichiarare l'illegittimita'
costituzionale della legge indicata in epigrafe.
Roma, addi' 15 ottobre 2003
Avvocato dello Stato: Massimiliano Mari