Ricorso n. 78 del 7 ottobre 2009 (Regione Veneto)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 ottobre 2009 , n. 78
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 7 ottobre 2009 (della Regione Veneto).
(GU n. 45 dell'11-11-2009)
Ricorso della Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, autorizzato mediante deliberazione della Giunta stessa del 29 settembre 2009, n. 2923, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avv. prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova, Ezio Zanon dell'Avvocatura regionale e Luigi Manzi del Foro di Roma, presso quest'ultimo domiciliata in Roma, alla via Federico Confalonieri n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege, in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale per violazione degli artt. 3, 97, 100, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, dell'art. 9 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120, secondo comma, della Costituzione e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; dell'art. 17, comma 30 e 30-bis, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, recante «Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali», cosi' come risultante a seguito della conversione in legge 3 agosto 2009, n. 102, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 179 del 4 agosto 2009, n. 140 S.O. F a t t o e d i r i t t o 1. - Mediante la previsione di cui all'art. 17, comma 30 e 30-bis, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, recante «Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali», cosi' come risultante a seguito della conversione in legge 3 agosto 2009, n. 102, il legislatore nazionale ha modificato, integrandolo, il disposto normativo di cui all'art. 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, rubricato «Norme in materia di controllo della Corte dei conti». Piu' specificamente il Parlamento, con il comma 30 dell'art. 17, ha disposto che: «All'art. 3, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, dopo la lettera f), sono inserite le seguenti: ''f-bis) atti e contratti di cui all'art. 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni f-ter) atti e contratti concernenti studi e consulenze di cui all'articolo 1, comma 9, della legge 23 dicembre 2005, n. 266''. Mentre il successivo comma 30-bis recita: «Dopo il comma 1 dell'articolo 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni, e' inserito il seguente: ''1-bis. Per i controlli previsti dalle lettere f-bis) e f-ter) del comma 1 e' competente in ogni caso la sezione centrale del controllo di legittimita'». In sostanza l'impugnata disposizione di cui all'art. 17, comma 30, ha previsto la sottoposizione al controllo preventivo di legittimita' operato dalla Corte dei conti di due nuove tipologie di atti: atti e contratti di conferimento di incarichi individuali, con «contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria» (art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001); atti e contratti concernenti studi e consulenze conferiti a soggetti estranei all'amministrazione, stipulati dalle amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 (art. 1, comma 9, della legge n. 266/2005). Il successivo comma 30-bis, invece, ha attribuito la competenza ad effettuare i controlli di legittimita' su detti atti alla sezione centrale del controllo di legittimita' presso la Corte dei conti. Le disposizioni impugnate non si attardano a chiarire se, tra le nuove categorie di atti da sottoporre al vaglio preventivo della Corte dei conti, debbano rientrare anche gli atti assunti dalle regioni e dagli enti locali. L'assenza di una precisa indicazione in senso contrario, ed anzi il rinvio espresso che le previsioni di cui alle nuove lettere f-bis) e f-ter) dell'art. 3, comma 1, della legge n. 20/1994, fanno al d.lgs. n. 165/2001, che - come noto -, tra le pubbliche amministrazioni, alle quali si rivolge, comprende anche regioni, province, comuni, comunita' montane, e loro consorzi e associazioni (art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001), inducono la Regione Veneto a ritenere la diretta applicabilita' di detta disciplina anche agli enti regionali e agli enti locali. La lettera dei disposti, infatti, e' inequivoca. L'odierna ricorrente, pertanto, si rivolge a codesta ecc.ma Corte perche' dichiari l'illegittimita' costituzionale della disciplina statale impugnata la' dove essa dispone - attraverso il richiamo dell'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 - che anche gli atti e i contratti con i quali le regioni e gli enti locali conferiscono incarichi, studi o consulenze a soggetti esterni alla p.a. siano da oggi soggetti a controllo preventivo di legittimita' della sezione centrale della Corte dei conti. Essa viola, infatti, sotto molteplici profili, le prerogative costituzionalmente garantite a regioni ed enti locali. E anche per conto degli enti locali oggi la Regione Veneto ricorre, essendo a cio' certamente legittimata, stante la «stretta connessione, in particolare [...] in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali», connessione che «consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (cosi' Corte cost., sent., 14 novembre 2005, n. 417, riprendendo Corte cost., sent., 28 giugno 2004, n. 196). 2. - Prima di procedere con l'illustrazione delle censure, sembra opportuno svolgere qualche considerazione preliminare circa l'evoluzione del sistema dei controlli, al fine di meglio inquadrare il panorama costituzionale-ordinamentale, nel quale anche la disciplina impugnata si inquadra. E' noto che, pur essendo l'origine del controllo comunemente fatta risalire allo Stato assoluto, l'elaborazione dogmatica e concettuale della funzione di controllo e' coeva all'affermazione della forma di Stato liberale di diritto. Vigente questa forma di Stato, il sistema dei controlli era «statocentrico», finalizzato a garantire allo Stato il mantenimento della supremazia su tutti gli altri enti. La figura principale di controllo era rappresentata dal controllo preventivo di legittimita' su singoli atti, riflesso della concezione formale del principio di legalita'. Con l'avvento della Repubblica democratica e dello Stato sociale, detto sistema di controlli divenne presto inadatto alla nuova missione della pubblica amministrazione, sempre piu' impegnata nell'erogazione di servizi e sempre meno nell'esercizio di poteri autoritativi. La nuova forma di Stato richiedeva, infatti, l'esplicazione di controlli sull'attivita' di gestione delle risorse investite nella prestazione di servizi, controlli che, al contempo, non impedissero il pronto concludersi dei procedimenti amministrativi e che fossero in grado di valutare, non tanto la rispondenza dell'azione al mero parametro normativo, quanto il grado di efficienza, efficacia ed economicita' della stessa. Fu cosi' che i controlli preventivi di legittimita' su atti cominciarono a lasciare spazio ai controlli successivi sulla gestione. Negli anni Novanta, alla tratteggiata riforma della pubblica amministrazione si aggiunse un processo di lenta emancipazione di quelle autonomie locali, che il Costituente, in primis nell'art. 5 della Carta costituzionale, aveva pensate e riconosciute e che, gia' dal 1948, avrebbe voluto promosse. A seguito del progressivo decentramento delle funzioni amministrative e del rafforzamento dell'autonomia degli enti territoriali e locali, i controlli preventivi di legittimita', gia' recessivi, subirono un ulteriore abbattimento. Con legge n. 20 del 1994, infatti, il legislatore statale tento' di adeguare le forme di controllo sulle p.a. alle esigenze derivanti dalla moltiplicazione dei centri autonomi di spesa, da un lato, riducendo e tipizzando gli atti, esclusivamente statali, da assoggettare a controllo preventivo di legittimita', dall'altro, conferendo primario rilievo al controllo successivo di gestione svolto dalla Corte dei conti. Fiori', inoltre, un articolato sistema di controlli interni, finalizzati ad una valutazione sul rendimento dell'azione amministrativa, spesso in chiave di autocorrezione degli enti controllati e, dunque, decisamente piu' rispettoso dell'autonomia di questi ultimi. Su questa linea evolutiva si e' inserita, nel 2001, la riforma del titolo V della Costituzione, operata con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, la quale ha reso obsoleti i controlli preventivi di legittimita' sugli atti di regioni ed enti locali, non solo attraverso l'abrogazione espressa degli artt. 125, primo comma, e 130 Cost., ma anche riscrivendo i rapporti tra gli enti componenti la Repubblica. Nel vigente art. 114 Cost., infatti, si apprende che la Repubblica e' composta da comuni, province, citta' metropolitane, regioni e Stato, tutti - pur con le innegabili differenze - dotati di pari dignita' e, dunque, non piu' assoggettabili a controlli «stato centrici» (1) . La legge 5 giugno 2003, n. 131, promulgata al fine di adeguare l'ordinamento all'intervenuta riforma del titolo V della Costituzione, ha a sua volta riconosciuto l'avvenuta emancipazione di regioni ed enti locali, confermando la prevalente linea di tendenza legislativa che riservava e riserva all'autonomia normativa e organizzativa di detti enti la materia dei controlli. In relazione a regione ed enti locali, gli unici controlli previsti dalla Costituzione vigente sono quelli a carattere sostitutivo di cui all'art. 120, secondo comma, Cost., con gli specifici limiti e vincoli ivi previsti, e, implicitamente, il controllo sugli «organi di governo» attribuito alla legislazione esclusiva dello Stato dall'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost. Al di fuori di essi vige la regola dell'autonomia degli enti, anche nella ideazione del sistema dei controlli; autonomia che non significa impunita', bensi' responsabilita', in primis davanti ai propri elettori. Rispetto a questa autonomia, la presenza di controlli esterni di legittimita' si presenta come incompatibile, come del resto e' stato rilevato anche a livello europeo. Il riferimento e', anzitutto, alla Carta europea dell'autonomia locale del Consiglio d'Europa, che, all'art. 8, fissa rigorosissimi limiti all'introduzione o al mantenimento di controlli amministrativi sulle autonomie locali. Gia' da queste brevi note, dunque, emergono le ragioni che devono condurre a considerare non conformi a Costituzione tutte le previsioni legislative che intendessero nuovamente sottoporre a controllo preventivo di legittimita' alcune categorie di atti di regioni ed enti locali; previsioni quali quella portata oggi al vaglio di codesta ecc.ma Corte. 3. - Deve, anzitutto, rilevarsi che la modifica al dettato di cui all'art. 3 della legge n. 20/1994, in materia di controllo preventivo di legittimita' svolto dalla Corte dei conti, apportato con l'art. 17, comma 30 e 30-bis, del decreto-legge n. 78/2009 si pone in contrasto con l'art. 117 Cost. La materia cui afferiscono le previsioni normative impugnate e' incontestabilmente quella del «controllo». Per individuare la precisa distribuzione della competenza normativa in materia di controlli, e' necessario considerare due materie distinte: quella dell'«ordinamento degli enti locali», prevista all'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost., da un lato, e quella dell'«armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», inserita nell'elenco dell'art. 117, terzo comma, Cost. Quanto alla previsione di cui all'art. 117, seconda comma, lett. p) e' necessario il rilevare che della riserva in esso contenuta la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte ha dato un'interpretazione rigorosa, ritenendola limitata alle tre tassative sub-materie elencate (legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali) e riferibile esclusivamente agli enti ivi espressamente indicati (cfr. Corte cost., sent., 24 giugno 2005, n. 244). Ne discende che essa certo non puo' «coprire» l'imposizione di una disciplina statale sul controllo, ambito non intersecato dalle tre sub-materie ricordate, tanto piu' se detto controllo ha ad oggetto atti di un ente, quello regionale, non menzionato dalla lettera p). Con riferimento alla potesta' legislativa concorrente in materia di «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica», invece, il discorso e', in parte, piu' complesso. E' incontestabile che, nella maggior parte dei casi che recentemente si son dati, il controllo e' posto e imposto quale strumento per verificare e coartare, mediante la minaccia di una sanzione, un obiettivo economico-finanziario. La disciplina impugnata non fa eccezione. E' di tutta evidenza, infatti, che la soggezione degli atti regionali, provinciali e comunali relativi alla contrattazione di incarichi esterni, studi e consulenze al controllo preventivo di legittimita' svolto dalla sezione centrale della Corte dei conti e' finalizzata a dare attuazione alla disciplina statale sul contenimento della spesa corrente per detti incarichi. Cio' non basta, tuttavia, a far sussumere la fattispecie portata al vaglio di codesta ecc.ma Corte nell'ambito della richiamata previsione di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. Non e', infatti, anzitutto, possibile invocare, a salvezza della disciplina impugnata, l'esigenza di garantire gli equilibri della finanza pubblica, dal momento che il rispetto del tetto di spesa riguarda il bilancio nel suo complesso e non puo' certo comportare l'assoggettamento di singoli atti di regioni o enti locali a controlli esterni, tanto peggio se a carattere preventivo. L'esistenza di un sistema articolato di controlli interni, unito con il normale, esercizio della giurisdizione sulle illegittimita' e sulle illiceita' amministrative, deve considerarsi assolutamente sufficiente a garantire il rispetto della legge statale. E cio' anche non considerando che l'ultradecennale esperienza di controlli preventivi di legittimita' non ha dimostrato la maggiore efficacia di questi rispetto ai controlli interni, differenziati per territorio e per p.a. Inoltre, non si puo' ignorare un ulteriore dato: la scelta dei collaboratori della p.a. - che, per mezzo del controllo, lo Stato intende ricondurre sotto la sua egida (2) - e' rimessa alla discrezionalita' della regione, al punto che questa - come anche codesta ecc.ma Corte ha recentemente affermato - e' legittimata a derogare alla disciplina statale relativa ai limiti del ricorso a personale esterno all'amministrazione (cfr. Corte cost., sent., 30 luglio 2009, n. 252). Nella denegata ipotesi in cui codesta ecc.ma Corte ritenesse di inquadrare la disciplina del «controllo» nell'ambito della materia del «coordinamento della finanza pubblica», tuttavia, la regione ricorrente non puo' non rilevare, fin da ora, che, per essa, lo Stato e' legittimato a porre solo i «principi fondamentali». Cio' significa, con riguardo alla fattispecie concreta in esame, che il legislatore nazionale ben avrebbe potuto imporre il principio della necessita' di un controllo rigoroso sulle spese correnti per incarichi esterni alla pubblica amministrazione, ma qui si sarebbe dovuto arrestare, rientrando certamente nell'autonomia di regioni ed enti locali la strutturazione di adeguati strumenti e procedimenti di verifica. Nella parte in cui questo non e' avvenuto, dunque, la disciplina impugnata deve essere comunque dichiarata costituzionalmente illegittima. Escluso che la materia del «controllo» possa essere riferita alla competenza legislativa esclusiva statale, come pure a quella concorrente Stato-Regioni, deve ora darsi quella che sembra - ad avviso della ricorrente - l'unica qualificazione possibile della stessa: quella di materia rimessa alla potesta' legislativa esclusiva regionale, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost., e, per quanto di spettanza, alla competenza regolamentare degli enti locali. Da cio' deriva, dunque, l'assoluta incompatibilita' del dettato normativo impugnato con quello costituzionale di cui all'art. 117 Cost. 4. - L'inquadramento della materia del «controllo» nell'ambito della potesta' legislativa esclusiva regionale appare, inoltre, l'unico compatibile con la gia' ricordata equiordinazione degli enti che compongono la Repubblica ai sensi dell'art. 114 Cost. Solo l'assenza di controlli invasivi e pervasivi quali i controlli esterni preventivi di legittimita', finalizzati a imporre delle linee guida del controllante sul controllato, puo', infatti, rendere effettiva quell'autonomia di indirizzo politico e di gestione, di cui godono, oltre allo Stato, anche regioni ed enti locali. Non si dimentichi, poi, che la stessa legge costituzionale che ha dato all'art. 114 Cost. la veste vigente si e' preoccupata di abrogare le due ipotesi di controllo preventivo di legittimita' su atti di regioni, province e comuni, con cio' intendendo espungere definitivamente detti controlli dall'ordinamento. Il tentativo del legislatore ordinario di reintrodurli, quindi, finisce col porsi, anche sotto questo profilo, in contrasto con la volonta' del Costituente. 5. - Con cio' non si intende sostenere che le previsioni costituzionali in materia di controlli sulla p.a. rappresentino un sistema tipico. Il patrocinio della Regione ricorrente ben conosce la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte sul punto e sa, dunque, che le figure di controllo costituzionalmente previste all'art. 100 Cost. possono essere incrementate da altre poste dal legislatore ordinario. La possibilita' rimessa a quest'ultimo incontra, pero', una serie di limiti, enucleata dal Giudice delle leggi e finalizzata a rendere quantomeno difficile il sovvertimento del dettato costituzionale circa il riconoscimento e la tutela delle autonomie. Per superare il vaglio di costituzionalita', innanzitutto, eventuali nuove forme di controllo poste dal Parlamento nazionale debbono avere un «adeguato fondamento normativo o un sicuro ancoraggio a interessi costituzionalmente tutelati» (cosi' Corte cost., sent., 27 gennaio 1995, n. 29; ma anche in Corte cost., sent., 30 dicembre 1997, n. 470; Corte cost., sent., 6 luglio 2006, n. 267; Corte cost., sent., 7 giugno 2007, n. 179). Dall'analisi della giurisprudenza della Corte, inoltre, emerge che possono dirsi conformi a Costituzione i controlli aventi natura collaborativa, ossia che non si risolvano nell'adozione di una misura sanzionatoria da parte dell'organo controllante, il quale si limiti, invece, a riferire gli esiti del controllo e/o, al massimo, ad incentivare interventi di autocorrezione e miglioramento della gestione pubblica (cfr. Corte cost., sent., 27 gennaio 1995, n. 29). Si avvicinano a questa categoria, e - come questa - passano indenni il vaglio di costituzionalita', anche tutte le discipline normative che impongono «monitoraggi», «trasmissione di note» o la sottoposizione di risultati di gestione a non meglio precisate «valutazioni». Questi istituti, infatti, presuppongono l'esame di dati e a volte un loro giudizio, ma non prevedono mai l'adozione di misure e provvedimenti sanzionatori, come invece avviene all'esito di un controllo «classico». La loro finalita', poi, non e' quella di ricondurre le attivita' controllate nell'ambito dell'indirizzo politico facente capo al controllante, quanto quello di rendere trasparente e dare pubblicita' all'agire amministrativo. La disciplina normativa portata al vaglio di codesta ecc.ma Corte non puo' dirsi rispettosa di alcuno tra i limiti ricordati. Il controllo preventivo introdotto dalle disposizioni impugnate, infatti, e' sprovvisto di un fondamento costituzionale; anzi - come si e' gia' evidenziato - esso si pone in antitesi con il disegno costituzionale complessivo in materia di autonomie e controlli. Esso non mira, poi, a tutelare interessi costituzionalmente garantiti: il suo unico fine, ossia il raggiungimento di un effettivo risparmio sugli affidamenti di incarichi esterni alla p.a., non puo' certo bastare a giustificare una tale compressione dell'autonomia di regioni ed enti locali. Per il caso di controllo ad esito negativo, poi, come per tutti gli altri controlli preventivi di legittimita', e' prevista l'assunzione di una misura sanzionatoria, forse la peggiore: il mancato perfezionamento dell'atto o, comunque, la sua impossibilita' di acquistare efficacia. Basta questo ad escludere in radice che gli si possa attribuire funzione collaboratrice o di puro strumento di pubblicita' e trasparenza. 6. - Sembra necessario, ora, proseguendo il ragionamento, censurare la disciplina normativa di cui all'art. 17, comma 30 e 30-bis, del decreto-legge c.d. Anticrisi per violazione del principio di leale collaborazione. Chiarite le ragioni dell'impossibilita', per il Parlamento nazionale, di prevedere forme di controllo preventivo di legittimita' per regioni ed enti locali, per il caso di loro mancato accoglimento, resta da precisare che - a tutto concedere - lo Stato potrebbe creare comunque nuovi tipi di controllo esterno sugli atti di regioni ed enti locali, ma solo attivando meccanismi di leale collaborazione con questi ultimi, seguendo il percorso segnato anche dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte (cfr. Corte cost., sent., 1° ottobre 2003, n. 303). Nel caso di specie, invece, nessun dialogo e' stato cercato e nessuna intesa e' stata raggiunta con gli enti interessati. 7. - Le disposizioni di cui all'art. 17, comma 30 e 30-bis, inoltre, devono essere dichiarate costituzionalmente illegittime anche per contrasto con l'art. 118 Cost., dal momento che ottengono l'effetto di coartare sensibilmente l'autonomia amministrativa di regioni ed enti locali. La previsione di un controllo preventivo di legittimita' sugli atti e sui contratti di regioni ed enti locali aventi ad oggetto il conferimento di incarichi esterni alla p.a., comprime, anzitutto, la potesta' costituzionalmente garantita a tali enti di gestire in piena autonomia il sistema dei controlli relativi a funzioni proprie. Inoltre, l'esistenza di un controllo obbligatorio preventivo di legittimita', se non altro per l'incisivita' della sanzione, ottiene indirettamente l'effetto di conculcare al controllato il medesimo indirizzo politico del controllante, nel caso di specie, in relazione alle scelte di conferimento di incarichi esterni, studi e consulenze. E cio' anche oltre il dettato legislativo specifico sull'affidamento di questi servizi esternamente alla p.a. (quando, invece, le regioni sarebbero addirittura libere di derogarvi: sul punto, cfr. Corte cost., sent., 30 luglio 2009, n. 252). 8. - Ma se, mediante il controllo svolto dalle sezioni centrali della Corte dei conti, lo Stato puo' ottenere di dirigere le operazioni di conferimento di incarichi esterni di regioni ed enti locali, e' evidente che, con cio', finisce con il violare anche l'autonomia finanziaria di spesa di detti enti, di cui all'art. 119 Cost. Questi, infatti, nella gestione delle proprie risorse per lo svolgimento delle funzioni amministrative loro affidate, debbono poter decidere autonomamente se e quanto spendere per ciascuna voce in bilancio, essendo possibile allo Stato unicamente l'imposizione di vincoli alle politiche di bilancio, ma «solo con disciplina di principio» e con la precisazione che detti vincoli possono considerarsi rispettosi delle autonomie regionali e locali solo se hanno ad «oggetto o l'entita' del disavanzo di parte corrente oppure - ma solo in via ''transitoria ed in vista di specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore'' - la crescita della spesa corrente degli enti autonomi». La legge statale puo' stabilire solo un «limite complessivo»; non puo' approfittare di un controllo per imporre altri standard (cfr. Corte cost., sent., 14 novembre 2005, n. 417; Corte cost., sent., 26 gennaio 2004, n. 36). 9. - Deve rilevarsi, poi, l'assoluta irragionevolezza e inadeguatezza della disciplina impugnata per aver preteso di affidare alla sezione centrale della Corte dei conti il controllo preventivo di legittimita' sugli atti di conferimento di incarichi esterni di regioni ed enti locali. Sembra, anzitutto, opportuno evidenziare l'inadeguatezza della scelta del legislatore nazionale, la' dove ha rimesso ad un unico organo il compito di garantire il rispetto della legge in un sistema articolato sul pluralismo paritario di una molteplicita' di enti e ispirato al principio di differenziazione, di cui all'art. 118 Cost. E questa considerazione non cambia se quell'organo e' la Corte dei conti. Certo, lo scrivente patrocinio ha contezza della pregressa giurisprudenza di codesto ecc.mo Collegio, per cui - spesso - proprio l'attribuzione della qualifica di ente controllante alla Corte dei conti ha condotto a ritenere legittima la normativa portata al suo esame. A partire dalla sentenza n. 29/1995, la Corte dei conti e' stata sempre individuata, infatti, come l'organo ideale per lo svolgimento di controlli sulle autonomie, per un verso considerando la sua privilegiata posizione di indipendenza e neutralita' rispetto agli altri poteri, per un altro interpretandone le funzioni in senso espansivo come organo posto al servizio dello Stato-comunita' e, infine, esaltandone il «ruolo complessivo quale garante imparziale dell'equilibrio economico-finanziario del settore pubblico e, in particolare, della corretta gestione delle risorse collettive». Sembra giunto, tuttavia, il momento di rilevare che dal 1995 il quadro costituzionale e' sensibilmente cambiato e la sentenza richiamata, sul punto, potrebbe non essere piu' attuale. Il processo di progressiva emancipazione della Corte dei conti della sfera di influenza del Governo non sembra aver seguito quello, di gran lunga piu' rapido, di affrancazione delle autonomie territoriali dall'egida dello Stato; tanto da condurre parte della dottrina a qualificarla ancora come «organo dello Stato» (3) . In effetti essa svolge funzioni riservate allo Stato, in primis la funzione giurisdizionale. Per trasformarla in organo della Repubblica, la Corte dovrebbe essere investita da una riforma che, a partire dalla sua composizione, la rendesse organo esponenziale anche degli enti territoriali. Resta, infine, da considerare un ultimo profilo di irragionevolezza delle disposizioni impugnate: esse affidano il controllo preventivo su tutti gli atti e i contratti di regioni ed enti locali aventi ad oggetto incarichi esterni alla p.a. alla sezione centrale di controllo della Corte, sottraendoli ingiustificatamente dalla sfera di competenza, ben piu' naturale, delle sezioni regionali. Il risultato sara', tra l'altro, quasi certamente quello di intasare gli uffici centrali, che non sembrano disporre delle risorse necessarie a farsi carico dell'espletamento della funzione ad essi demandata. 10. - Anche sotto il profilo del rispetto del principio di buon andamento sancito all'art. 97 Cost., la disciplina normativa impugnata si presenta carente. L'imposizione di detto controllo preventivo, cosi' come previsto dal decreto-legge anticrisi, dato l'enorme afflusso di atti che presumibilmente saranno inviati al controllo e la scarsita' delle risorse degli uffici della sezione centrale della Corte dei conti, finira' presto con l'intasare la sezione, paralizzando l'attivita' di questa e quella degli enti controllati che dovranno rallentare sensibilmente la propria attivita' procedimentale e l'erogazione dei servizi che dovessero dipendere dell'assunzione della collaborazione (di studio o consulenza) esterna. 11. - Ci sia consentito, ora, lo sviluppo di qualche considerazione conclusiva. E' innegabile che il progressivo sempre maggior decentramento delle funzioni amministrative ha comportato, e continua a tutt'oggi a comportare, la moltiplicazione dei centri di spesa. Questa, unita alla sempre piu' evidente carenza di risorse pubbliche e all'introduzione e al rafforzamento dei vincoli di equilibrio economico-finanziario imposti dall'adesione dell'Italia all'Unione europea, sta conducendo il legislatore a riconsiderare l'opportunita' di affiancare ai controlli interni di ciascun ente, controlli «classici» di legittimita' affidati ad un unico organo esterno alla pubblica amministrazione. L'introduzione di nuovi controlli, pero', specie se preventivi di legittimita', non puo' in alcun modo prescindere dal piu' rigoroso rispetto delle autonomie territoriali, pena la loro intollerabile prevaricazione. E' evidente, infatti, l'incompatibilita' pressoche' assoluta che sussiste tra l'autonomia e la presenza di controlli esterni di legittimita'. (1) La stessa Corte costituzionale ha definito l'art. 100 Cost. come un riflesso di una «dimensione un tempo ''statale'' della finanza pubblica» da superare, stante la riconosciuta autonomia ed equiordinazione degli enti territoriali componenti la Repubblica. Cfr. Corte cost., sent., 6 luglio 2006, n. 267. (2) Per verificare come il controllo riesca a imporre l'accoglimento dell'indirizzo politico dell'ente controllante, si vedano: C. Pagliarin, Nuove chimere: il controllo sulla gestione finanziaria, in Federalismo fiscale, n. 1/2008, C. Pinelli, Quali controlli per gli enti locali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, n. 1-2 del 2005, 165; F. Merloni, Vecchie e nuove forme di controllo sull'attivita' degli enti locali, in Le Regioni, n. 1-2 del 2005, 141. (3) F. Merloni, Vecchie e nuove forme di controllo sull'attivita' degli enti locali, in Le Regioni, n. 1-2 del 2005, 157.
P. Q. M. Si chiede che codesto ecc. mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 30 e 30-bis, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, recante «Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga di termini e della partecipazione italiana e missioni internazionali», cosi' come risultante a seguito della conversione in legge 3 agosto 2009, n. 102, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 179 del 4 agosto 2009, S.O. n. 140 per violazione degli artt. 3, 97, 100, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, dell'art. 9 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120, secondo comma, della Costituzione e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Si allega deliberazione della Giunta della Regione Veneto n. 2923 del 29 settembre 2009 recante l'autorizzazione alla proposizione del ricorso. Padova-Venezia-Roma, addi' 1° ottobre 2009 Avv. prof. Mario Bertolissi - Avv. Ezio Zanon - Avv. Luigi Manzi