RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 ottobre 2009 , n. 78
Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 7 ottobre 2009 (della Regione Veneto). 
 
  
(GU n. 45 dell'11-11-2009) 
 
 
    Ricorso della Regione  Veneto,  in  persona  del  Presidente  pro
tempore della Giunta regionale,  autorizzato  mediante  deliberazione
della Giunta stessa del 29 settembre 2009, n. 2923,  rappresentata  e
difesa, come da procura speciale a margine del presente  atto,  dagli
avv.  prof.  Mario  Bertolissi  del  Foro  di  Padova,   Ezio   Zanon
dell'Avvocatura regionale e Luigi Manzi  del  Foro  di  Roma,  presso
quest'ultimo domiciliata in Roma, alla via Federico  Confalonieri  n.
5; 
    Contro il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege, in Roma, alla via dei Portoghesi  n.
12,  per  la  declaratoria  di  illegittimita'   costituzionale   per
violazione degli artt.  3,  97,  100,  114,  117,  118  e  119  della
Costituzione, dell'art. 9 della legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3, nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli artt.
5  e  120,  secondo  comma,  della  Costituzione  e  11  della  legge
costituzionale 18 ottobre 2001,  n.  3;  dell'art.  17,  comma  30  e
30-bis,  del  decreto-legge  1°   luglio   2009,   n.   78,   recante
«Provvedimenti  anticrisi,  nonche'  proroga  di  termini   e   della
partecipazione  italiana  a  missioni  internazionali»,  cosi'   come
risultante a seguito della conversione in legge  3  agosto  2009,  n.
102, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 179 del 4 agosto 2009, n.
140 S.O. 
 
                     F a t t o  e  d i r i t t o 
 
    1. - Mediante la previsione  di  cui  all'art.  17,  comma  30  e
30-bis,  del  decreto-legge  1°   luglio   2009,   n.   78,   recante
«Provvedimenti  anticrisi,  nonche'  proroga  di  termini   e   della
partecipazione  italiana  a  missioni  internazionali»,  cosi'   come
risultante a seguito della conversione in legge  3  agosto  2009,  n.
102,  il  legislatore  nazionale  ha  modificato,  integrandolo,   il
disposto normativo di cui all'art. 3 della legge 14 gennaio 1994,  n.
20, rubricato «Norme in materia di controllo della Corte dei conti». 
    Piu' specificamente il Parlamento, con il comma 30 dell'art.  17,
ha disposto che: «All'art. 3, comma 1, della legge 14  gennaio  1994,
n. 20, dopo la lettera f), sono inserite le seguenti: ''f-bis) atti e
contratti di cui all'art. 7, comma  6,  del  decreto  legislativo  30
marzo  2001,  n.  165,  e  successive  modificazioni  f-ter)  atti  e
contratti concernenti studi e consulenze di cui all'articolo 1, comma
9, della legge 23 dicembre 2005, n. 266''. Mentre il successivo comma
30-bis recita: «Dopo il  comma  1  dell'articolo  3  della  legge  14
gennaio 1994, n. 20,  e  successive  modificazioni,  e'  inserito  il
seguente: ''1-bis. Per i controlli previsti dalle  lettere  f-bis)  e
f-ter) del comma 1 e' competente in ogni caso la sezione centrale del
controllo di legittimita'». 
    In sostanza l'impugnata disposizione di cui  all'art.  17,  comma
30,  ha  previsto  la  sottoposizione  al  controllo  preventivo   di
legittimita' operato dalla Corte dei conti di due nuove tipologie  di
atti: 
        atti e contratti di conferimento  di  incarichi  individuali,
con «contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata
e   continuativa,   ad   esperti   di   particolare   e    comprovata
specializzazione anche universitaria» (art. 7, comma 6, del d.lgs. n.
165/2001); 
        atti e contratti concernenti studi e consulenze  conferiti  a
soggetti    estranei     all'amministrazione,     stipulati     dalle
amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del  d.lgs.  n.  165/2001
(art. 1, comma 9, della legge n. 266/2005). 
    Il successivo comma 30-bis, invece, ha attribuito  la  competenza
ad effettuare i controlli di legittimita' su detti atti alla  sezione
centrale del controllo di legittimita' presso la Corte dei conti. 
    Le disposizioni impugnate non si attardano a chiarire se, tra  le
nuove categorie di atti da  sottoporre  al  vaglio  preventivo  della
Corte dei conti, debbano  rientrare  anche  gli  atti  assunti  dalle
regioni e dagli enti locali. L'assenza di una precisa indicazione  in
senso contrario, ed anzi il rinvio espresso che le previsioni di  cui
alle nuove lettere f-bis) e f-ter) dell'art. 3, comma 1, della  legge
n. 20/1994, fanno al d.lgs. n. 165/2001, che - come noto  -,  tra  le
pubbliche amministrazioni, alle quali  si  rivolge,  comprende  anche
regioni, province, comuni,  comunita'  montane,  e  loro  consorzi  e
associazioni (art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001),  inducono  la
Regione  Veneto  a  ritenere  la  diretta  applicabilita'  di   detta
disciplina anche agli enti regionali e agli enti locali.  La  lettera
dei disposti, infatti, e' inequivoca. 
    L'odierna ricorrente, pertanto, si rivolge a codesta ecc.ma Corte
perche' dichiari  l'illegittimita'  costituzionale  della  disciplina
statale impugnata la' dove essa  dispone  -  attraverso  il  richiamo
dell'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 - che anche gli atti e i
contratti con i quali le  regioni  e  gli  enti  locali  conferiscono
incarichi, studi o consulenze a soggetti esterni alla p.a.  siano  da
oggi soggetti a controllo preventivo di  legittimita'  della  sezione
centrale della Corte dei conti. Essa viola, infatti, sotto molteplici
profili, le prerogative costituzionalmente  garantite  a  regioni  ed
enti locali. 
    E anche per conto  degli  enti  locali  oggi  la  Regione  Veneto
ricorre, essendo a cio' certamente legittimata,  stante  la  «stretta
connessione, in particolare [...] in  tema  di  finanza  regionale  e
locale, tra  le  attribuzioni  regionali  e  quelle  delle  autonomie
locali», connessione che «consente di ritenere che la  lesione  delle
competenze  locali  sia  potenzialmente  idonea  a  determinare   una
vulnerazione delle competenze regionali» (cosi' Corte  cost.,  sent.,
14 novembre 2005, n. 417, riprendendo Corte cost., sent.,  28  giugno
2004, n. 196). 
    2. - Prima di procedere con l'illustrazione delle censure, sembra
opportuno   svolgere   qualche   considerazione   preliminare   circa
l'evoluzione del sistema dei controlli, al fine di meglio  inquadrare
il  panorama  costituzionale-ordinamentale,  nel   quale   anche   la
disciplina impugnata si inquadra. 
    E' noto che, pur  essendo  l'origine  del  controllo  comunemente
fatta  risalire  allo  Stato  assoluto,  l'elaborazione  dogmatica  e
concettuale della funzione di  controllo  e'  coeva  all'affermazione
della forma di Stato liberale di diritto.  Vigente  questa  forma  di
Stato, il sistema dei controlli era  «statocentrico»,  finalizzato  a
garantire allo Stato il mantenimento della supremazia  su  tutti  gli
altri enti. La figura principale di controllo era  rappresentata  dal
controllo preventivo di legittimita' su singoli atti, riflesso  della
concezione formale del principio di legalita'. 
    Con l'avvento della Repubblica democratica e dello Stato sociale,
detto  sistema  di  controlli  divenne  presto  inadatto  alla  nuova
missione  della  pubblica  amministrazione,  sempre  piu'   impegnata
nell'erogazione di servizi e sempre  meno  nell'esercizio  di  poteri
autoritativi.  La  nuova  forma   di   Stato   richiedeva,   infatti,
l'esplicazione di controlli sull'attivita' di gestione delle  risorse
investite nella prestazione di servizi, controlli che,  al  contempo,
non impedissero il pronto concludersi dei procedimenti amministrativi
e che  fossero  in  grado  di  valutare,  non  tanto  la  rispondenza
dell'azione  al  mero  parametro  normativo,  quanto  il   grado   di
efficienza, efficacia ed economicita' della stessa. Fu  cosi'  che  i
controlli preventivi di legittimita' su atti cominciarono a  lasciare
spazio ai controlli successivi sulla gestione. 
    Negli anni Novanta,  alla  tratteggiata  riforma  della  pubblica
amministrazione si aggiunse un processo  di  lenta  emancipazione  di
quelle autonomie locali, che il Costituente, in  primis  nell'art.  5
della Carta costituzionale, aveva pensate e riconosciute e che,  gia'
dal 1948, avrebbe voluto promosse. 
    A  seguito   del   progressivo   decentramento   delle   funzioni
amministrative  e  del  rafforzamento   dell'autonomia   degli   enti
territoriali e locali, i controlli preventivi di  legittimita',  gia'
recessivi, subirono un ulteriore abbattimento. Con legge  n.  20  del
1994, infatti, il legislatore statale tento' di adeguare le forme  di
controllo sulle p.a. alle esigenze  derivanti  dalla  moltiplicazione
dei centri autonomi di spesa, da un lato, riducendo e tipizzando  gli
atti, esclusivamente statali, da assoggettare a controllo  preventivo
di legittimita', dall'altro, conferendo primario rilievo al controllo
successivo di gestione svolto dalla Corte dei conti. Fiori', inoltre,
un articolato  sistema  di  controlli  interni,  finalizzati  ad  una
valutazione sul  rendimento  dell'azione  amministrativa,  spesso  in
chiave  di  autocorrezione  degli   enti   controllati   e,   dunque,
decisamente piu' rispettoso dell'autonomia di questi ultimi. 
    Su questa linea evolutiva si e' inserita, nel  2001,  la  riforma
del titolo V della Costituzione, operata con legge costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3, la quale ha reso obsoleti i controlli  preventivi
di legittimita' sugli atti  di  regioni  ed  enti  locali,  non  solo
attraverso l'abrogazione espressa degli artt. 125, primo comma, e 130
Cost., ma anche riscrivendo i rapporti tra  gli  enti  componenti  la
Repubblica. Nel vigente art. 114 Cost., infatti, si apprende  che  la
Repubblica e' composta da  comuni,  province,  citta'  metropolitane,
regioni e Stato, tutti - pur con le innegabili differenze - dotati di
pari dignita' e, dunque, non piu' assoggettabili a  controlli  «stato
centrici» (1) . 
    La legge 5 giugno 2003, n. 131, promulgata al  fine  di  adeguare
l'ordinamento   all'intervenuta   riforma   del   titolo   V    della
Costituzione, ha a sua volta riconosciuto l'avvenuta emancipazione di
regioni ed enti locali, confermando la prevalente linea  di  tendenza
legislativa  che  riservava  e  riserva  all'autonomia  normativa   e
organizzativa di detti enti la materia dei controlli. 
    In relazione a  regione  ed  enti  locali,  gli  unici  controlli
previsti  dalla  Costituzione  vigente  sono   quelli   a   carattere
sostitutivo di cui  all'art.  120,  secondo  comma,  Cost.,  con  gli
specifici limiti  e  vincoli  ivi  previsti,  e,  implicitamente,  il
controllo sugli «organi  di  governo»  attribuito  alla  legislazione
esclusiva dello Stato dall'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost. 
    Al di fuori di essi vige la  regola  dell'autonomia  degli  enti,
anche nella ideazione del sistema dei controlli;  autonomia  che  non
significa impunita', bensi' responsabilita',  in  primis  davanti  ai
propri elettori. 
    Rispetto a questa autonomia, la presenza di controlli esterni  di
legittimita' si presenta come incompatibile, come del resto e'  stato
rilevato anche a livello europeo. Il riferimento e', anzitutto,  alla
Carta europea dell'autonomia  locale  del  Consiglio  d'Europa,  che,
all'art.  8,  fissa  rigorosissimi  limiti  all'introduzione   o   al
mantenimento di controlli amministrativi sulle autonomie locali. 
    Gia' da queste brevi note, dunque, emergono le ragioni che devono
condurre  a  considerare  non  conformi  a  Costituzione   tutte   le
previsioni  legislative  che  intendessero  nuovamente  sottoporre  a
controllo preventivo di legittimita'  alcune  categorie  di  atti  di
regioni ed enti locali;  previsioni  quali  quella  portata  oggi  al
vaglio di codesta ecc.ma Corte. 
    3. - Deve, anzitutto, rilevarsi che la modifica al dettato di cui
all'art. 3 della legge n. 20/1994, in materia di controllo preventivo
di legittimita' svolto dalla Corte dei conti,  apportato  con  l'art.
17, comma 30 e 30-bis,  del  decreto-legge  n.  78/2009  si  pone  in
contrasto con l'art. 117 Cost. 
    La materia cui afferiscono le previsioni normative  impugnate  e'
incontestabilmente quella del «controllo». 
    Per  individuare  la  precisa  distribuzione   della   competenza
normativa in materia di  controlli,  e'  necessario  considerare  due
materie  distinte:  quella  dell'«ordinamento  degli  enti   locali»,
prevista all'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost., da un lato,  e
quella dell'«armonizzazione  dei  bilanci  pubblici  e  coordinamento
della  finanza  pubblica  e   del   sistema   tributario»,   inserita
nell'elenco dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Quanto alla previsione di cui all'art. 117, seconda comma,  lett.
p) e' necessario il rilevare che della riserva in esso  contenuta  la
giurisprudenza di codesta ecc.ma  Corte  ha  dato  un'interpretazione
rigorosa,  ritenendola  limitata  alle  tre   tassative   sub-materie
elencate (legislazione  elettorale,  organi  di  governo  e  funzioni
fondamentali) e riferibile esclusivamente agli enti ivi espressamente
indicati (cfr. Corte cost.,  sent.,  24  giugno  2005,  n.  244).  Ne
discende che essa certo  non  puo'  «coprire»  l'imposizione  di  una
disciplina statale sul controllo, ambito non  intersecato  dalle  tre
sub-materie ricordate, tanto piu' se detto controllo  ha  ad  oggetto
atti di un ente, quello regionale, non menzionato dalla lettera p). 
    Con riferimento alla potesta' legislativa concorrente in  materia
di «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza
pubblica», invece, il discorso e', in parte, piu' complesso. 
    E'  incontestabile  che,  nella  maggior  parte  dei   casi   che
recentemente si son dati, il  controllo  e'  posto  e  imposto  quale
strumento per verificare e coartare,  mediante  la  minaccia  di  una
sanzione, un obiettivo economico-finanziario. La disciplina impugnata
non fa eccezione. E' di tutta evidenza, infatti,  che  la  soggezione
degli  atti  regionali,  provinciali   e   comunali   relativi   alla
contrattazione di incarichi esterni, studi e consulenze al  controllo
preventivo di legittimita' svolto dalla sezione centrale della  Corte
dei conti e' finalizzata a dare attuazione  alla  disciplina  statale
sul contenimento della spesa corrente per detti incarichi. 
    Cio' non basta, tuttavia, a far sussumere la fattispecie  portata
al vaglio  di  codesta  ecc.ma  Corte  nell'ambito  della  richiamata
previsione di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Non e', infatti, anzitutto, possibile invocare, a salvezza  della
disciplina impugnata, l'esigenza di  garantire  gli  equilibri  della
finanza pubblica, dal momento che il  rispetto  del  tetto  di  spesa
riguarda il bilancio nel suo complesso e non  puo'  certo  comportare
l'assoggettamento  di  singoli  atti  di  regioni  o  enti  locali  a
controlli  esterni,  tanto  peggio   se   a   carattere   preventivo.
L'esistenza di un sistema articolato di controlli interni, unito  con
il normale, esercizio  della  giurisdizione  sulle  illegittimita'  e
sulle  illiceita'  amministrative,  deve  considerarsi  assolutamente
sufficiente a garantire il rispetto della legge statale. E cio' anche
non  considerando  che  l'ultradecennale  esperienza   di   controlli
preventivi di legittimita' non ha dimostrato la maggiore efficacia di
questi rispetto ai controlli interni, differenziati per territorio  e
per p.a. 
    Inoltre, non si puo' ignorare un ulteriore dato:  la  scelta  dei
collaboratori della p.a. - che, per mezzo  del  controllo,  lo  Stato
intende ricondurre  sotto  la  sua  egida  (2)   -  e'  rimessa  alla
discrezionalita' della regione, al punto  che  questa  -  come  anche
codesta ecc.ma Corte ha recentemente affermato  -  e'  legittimata  a
derogare alla disciplina statale relativa ai  limiti  del  ricorso  a
personale esterno all'amministrazione (cfr. Corte  cost.,  sent.,  30
luglio 2009, n. 252). 
    Nella denegata ipotesi in cui codesta ecc.ma Corte  ritenesse  di
inquadrare la disciplina del «controllo»  nell'ambito  della  materia
del «coordinamento della  finanza  pubblica»,  tuttavia,  la  regione
ricorrente non puo' non rilevare, fin da ora, che, per essa, lo Stato
e'  legittimato  a  porre  solo  i  «principi   fondamentali».   Cio'
significa, con riguardo alla fattispecie concreta in  esame,  che  il
legislatore nazionale ben avrebbe potuto imporre il  principio  della
necessita'  di  un  controllo  rigoroso  sulle  spese  correnti   per
incarichi esterni alla pubblica amministrazione, ma  qui  si  sarebbe
dovuto arrestare, rientrando certamente nell'autonomia di regioni  ed
enti locali la strutturazione di adeguati strumenti e procedimenti di
verifica. Nella parte in cui  questo  non  e'  avvenuto,  dunque,  la
disciplina    impugnata    deve    essere     comunque     dichiarata
costituzionalmente illegittima. 
    Escluso che la materia del «controllo» possa essere riferita alla
competenza  legislativa  esclusiva  statale,  come  pure   a   quella
concorrente Stato-Regioni, deve ora darsi  quella  che  sembra  -  ad
avviso della ricorrente  -  l'unica  qualificazione  possibile  della
stessa: quella di materia rimessa alla potesta' legislativa esclusiva
regionale, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost., e, per quanto
di spettanza, alla competenza regolamentare  degli  enti  locali.  Da
cio'  deriva,  dunque,  l'assoluta   incompatibilita'   del   dettato
normativo impugnato con quello costituzionale  di  cui  all'art.  117
Cost. 
    4. - L'inquadramento della materia  del  «controllo»  nell'ambito
della  potesta'  legislativa  esclusiva  regionale  appare,  inoltre,
l'unico compatibile con la gia' ricordata equiordinazione degli  enti
che compongono la Repubblica ai sensi dell'art. 114 Cost. 
    Solo  l'assenza  di  controlli  invasivi  e  pervasivi  quali   i
controlli esterni preventivi di legittimita', finalizzati  a  imporre
delle linee guida del controllante sul  controllato,  puo',  infatti,
rendere  effettiva  quell'autonomia  di  indirizzo  politico   e   di
gestione, di cui godono, oltre allo  Stato,  anche  regioni  ed  enti
locali. 
    Non si dimentichi, poi, che la stessa legge costituzionale che ha
dato all'art. 114  Cost.  la  veste  vigente  si  e'  preoccupata  di
abrogare le due ipotesi di controllo preventivo  di  legittimita'  su
atti di regioni, province e comuni,  con  cio'  intendendo  espungere
definitivamente detti controlli dall'ordinamento.  Il  tentativo  del
legislatore ordinario di reintrodurli,  quindi,  finisce  col  porsi,
anche  sotto  questo  profilo,  in  contrasto  con  la  volonta'  del
Costituente. 
    5. -  Con  cio'  non  si  intende  sostenere  che  le  previsioni
costituzionali in materia di controlli sulla  p.a.  rappresentino  un
sistema tipico. Il patrocinio della Regione ricorrente ben conosce la
giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte sul punto e sa, dunque, che le
figure di controllo costituzionalmente previste  all'art.  100  Cost.
possono essere incrementate da altre poste dal legislatore ordinario. 
    La possibilita' rimessa a quest'ultimo incontra, pero', una serie
di limiti, enucleata dal Giudice delle leggi e finalizzata a  rendere
quantomeno difficile  il  sovvertimento  del  dettato  costituzionale
circa il riconoscimento e la tutela delle autonomie. 
    Per  superare  il  vaglio  di  costituzionalita',   innanzitutto,
eventuali nuove forme di controllo  poste  dal  Parlamento  nazionale
debbono  avere  un  «adeguato  fondamento  normativo  o   un   sicuro
ancoraggio a  interessi  costituzionalmente  tutelati»  (cosi'  Corte
cost., sent., 27 gennaio 1995, n. 29; ma anche in Corte cost., sent.,
30 dicembre 1997, n. 470; Corte cost., sent., 6 luglio 2006, n.  267;
Corte cost., sent.,  7  giugno  2007,  n.  179).  Dall'analisi  della
giurisprudenza  della  Corte,  inoltre,  emerge  che  possono   dirsi
conformi a Costituzione  i  controlli  aventi  natura  collaborativa,
ossia che non si risolvano nell'adozione di una misura  sanzionatoria
da parte dell'organo controllante, il  quale  si  limiti,  invece,  a
riferire gli esiti del controllo  e/o,  al  massimo,  ad  incentivare
interventi di autocorrezione e miglioramento della gestione  pubblica
(cfr. Corte cost., sent., 27 gennaio 1995, n. 29). 
    Si avvicinano a  questa  categoria,  e -  come  questa -  passano
indenni il vaglio di costituzionalita',  anche  tutte  le  discipline
normative che impongono «monitoraggi», «trasmissione di  note»  o  la
sottoposizione di  risultati  di  gestione  a  non  meglio  precisate
«valutazioni». Questi istituti,  infatti,  presuppongono  l'esame  di
dati e a volte un loro giudizio, ma non prevedono mai  l'adozione  di
misure e provvedimenti sanzionatori, come invece avviene all'esito di
un controllo «classico». La loro finalita', poi,  non  e'  quella  di
ricondurre  le  attivita'  controllate   nell'ambito   dell'indirizzo
politico facente capo  al  controllante,  quanto  quello  di  rendere
trasparente e dare pubblicita' all'agire amministrativo. 
    La disciplina normativa portata al vaglio di codesta ecc.ma Corte
non puo' dirsi rispettosa di alcuno tra i limiti ricordati. 
    Il controllo preventivo introdotto dalle disposizioni  impugnate,
infatti, e' sprovvisto di un fondamento costituzionale; anzi  -  come
si e' gia' evidenziato - esso si pone  in  antitesi  con  il  disegno
costituzionale complessivo in materia di autonomie e controlli. 
    Esso non  mira,  poi,  a  tutelare  interessi  costituzionalmente
garantiti: il suo unico fine, ossia il raggiungimento di un effettivo
risparmio sugli affidamenti di incarichi esterni alla p.a., non  puo'
certo bastare a giustificare una tale compressione dell'autonomia  di
regioni ed enti locali. 
    Per il caso di controllo ad esito negativo, poi, come  per  tutti
gli  altri  controlli  preventivi  di   legittimita',   e'   prevista
l'assunzione di una  misura  sanzionatoria,  forse  la  peggiore:  il
mancato perfezionamento dell'atto o, comunque, la sua  impossibilita'
di acquistare efficacia. Basta questo ad escludere in radice che  gli
si possa attribuire funzione collaboratrice o di  puro  strumento  di
pubblicita' e trasparenza. 
    6.  -  Sembra  necessario,  ora,  proseguendo  il   ragionamento,
censurare la disciplina normativa di cui  all'art.  17,  comma  30  e
30-bis, del decreto-legge c.d. Anticrisi per violazione del principio
di leale collaborazione. 
    Chiarite  le  ragioni  dell'impossibilita',  per  il   Parlamento
nazionale, di prevedere forme di controllo preventivo di legittimita'
per regioni ed enti locali, per il caso di loro mancato accoglimento,
resta da precisare che - a tutto concedere - lo Stato potrebbe creare
comunque nuovi tipi di controllo esterno sugli  atti  di  regioni  ed
enti locali, ma solo attivando meccanismi di leale collaborazione con
questi   ultimi,   seguendo   il   percorso   segnato   anche   dalla
giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte (cfr. Corte cost.,  sent.,  1°
ottobre 2003, n. 303). 
    Nel caso di specie, invece, nessun dialogo  e'  stato  cercato  e
nessuna intesa e' stata raggiunta con gli enti interessati. 
    7. - Le disposizioni di cui  all'art.  17,  comma  30  e  30-bis,
inoltre,  devono  essere  dichiarate  costituzionalmente  illegittime
anche per contrasto con l'art. 118 Cost., dal momento  che  ottengono
l'effetto di coartare  sensibilmente  l'autonomia  amministrativa  di
regioni ed enti locali. 
    La previsione di un controllo preventivo  di  legittimita'  sugli
atti e sui contratti di regioni ed enti locali aventi ad  oggetto  il
conferimento di incarichi esterni alla p.a., comprime, anzitutto,  la
potesta' costituzionalmente garantita a tali enti di gestire in piena
autonomia il sistema dei controlli relativi a funzioni proprie. 
    Inoltre, l'esistenza di un controllo obbligatorio  preventivo  di
legittimita', se non altro per l'incisivita' della sanzione,  ottiene
indirettamente l'effetto di conculcare  al  controllato  il  medesimo
indirizzo politico del controllante, nel caso di specie, in relazione
alle scelte di conferimento di incarichi esterni, studi e consulenze.
E cio' anche oltre il dettato legislativo specifico  sull'affidamento
di questi servizi esternamente alla p.a. (quando, invece, le  regioni
sarebbero addirittura libere di  derogarvi:  sul  punto,  cfr.  Corte
cost., sent., 30 luglio 2009, n. 252). 
    8. - Ma se, mediante il controllo svolto dalle  sezioni  centrali
della Corte  dei  conti,  lo  Stato  puo'  ottenere  di  dirigere  le
operazioni di conferimento di incarichi esterni di  regioni  ed  enti
locali, e' evidente che, con  cio',  finisce  con  il  violare  anche
l'autonomia finanziaria di spesa di detti enti, di cui  all'art.  119
Cost. 
    Questi, infatti, nella gestione  delle  proprie  risorse  per  lo
svolgimento delle  funzioni  amministrative  loro  affidate,  debbono
poter decidere autonomamente se e quanto spendere per  ciascuna  voce
in bilancio, essendo possibile allo Stato unicamente l'imposizione di
vincoli alle politiche  di  bilancio,  ma  «solo  con  disciplina  di
principio»  e  con  la  precisazione  che   detti   vincoli   possono
considerarsi rispettosi delle autonomie regionali e  locali  solo  se
hanno ad «oggetto o l'entita' del disavanzo di parte corrente  oppure
- ma solo in via ''transitoria ed in vista di specifici obiettivi  di
riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore'' - la
crescita della spesa corrente degli enti autonomi». La legge  statale
puo' stabilire solo un «limite complessivo»; non puo' approfittare di
un controllo per imporre altri standard (cfr. Corte cost., sent.,  14
novembre 2005, n. 417; Corte cost., sent., 26 gennaio 2004, n. 36). 
    9.  -  Deve  rilevarsi,  poi,   l'assoluta   irragionevolezza   e
inadeguatezza della disciplina impugnata per aver preteso di affidare
alla sezione centrale della Corte dei conti il  controllo  preventivo
di legittimita' sugli atti di conferimento di  incarichi  esterni  di
regioni ed enti locali. 
    Sembra, anzitutto, opportuno  evidenziare  l'inadeguatezza  della
scelta del legislatore nazionale, la' dove ha  rimesso  ad  un  unico
organo il compito di garantire il rispetto della legge in un  sistema
articolato sul pluralismo paritario di una molteplicita'  di  enti  e
ispirato al principio di differenziazione, di cui all'art. 118 Cost. 
    E questa considerazione non cambia se quell'organo  e'  la  Corte
dei conti. 
    Certo,  lo  scrivente  patrocinio  ha  contezza  della  pregressa
giurisprudenza di codesto ecc.mo Collegio, per cui - spesso - proprio
l'attribuzione della qualifica di ente controllante  alla  Corte  dei
conti ha condotto a ritenere legittima la normativa  portata  al  suo
esame. 
    A partire dalla sentenza n. 29/1995, la Corte dei conti e'  stata
sempre individuata, infatti, come l'organo ideale per lo  svolgimento
di controlli sulle  autonomie,  per  un  verso  considerando  la  sua
privilegiata posizione di indipendenza e  neutralita'  rispetto  agli
altri poteri, per un  altro  interpretandone  le  funzioni  in  senso
espansivo come organo posto  al  servizio  dello  Stato-comunita'  e,
infine, esaltandone il «ruolo complessivo  quale  garante  imparziale
dell'equilibrio economico-finanziario  del  settore  pubblico  e,  in
particolare, della corretta gestione delle risorse collettive». 
    Sembra giunto, tuttavia, il momento di rilevare che dal  1995  il
quadro  costituzionale  e'  sensibilmente  cambiato  e  la   sentenza
richiamata, sul punto, potrebbe non essere piu' attuale. Il  processo
di progressiva emancipazione della Corte dei  conti  della  sfera  di
influenza del Governo non sembra aver seguito quello, di  gran  lunga
piu' rapido, di affrancazione delle autonomie territoriali dall'egida
dello Stato; tanto da condurre parte della  dottrina  a  qualificarla
ancora come «organo  dello  Stato»  (3)  .  In  effetti  essa  svolge
funzioni riservate allo Stato, in primis la funzione giurisdizionale.
Per trasformarla in organo della Repubblica, la Corte dovrebbe essere
investita da una riforma che, a partire dalla  sua  composizione,  la
rendesse organo esponenziale anche degli enti territoriali. 
    Resta,   infine,   da   considerare   un   ultimo   profilo    di
irragionevolezza  delle  disposizioni  impugnate:  esse  affidano  il
controllo preventivo su tutti gli atti e i contratti  di  regioni  ed
enti locali aventi  ad  oggetto  incarichi  esterni  alla  p.a.  alla
sezione   centrale   di   controllo   della    Corte,    sottraendoli
ingiustificatamente dalla sfera di  competenza,  ben  piu'  naturale,
delle sezioni regionali.  Il  risultato  sara',  tra  l'altro,  quasi
certamente quello di intasare gli uffici centrali, che  non  sembrano
disporre delle risorse necessarie a  farsi  carico  dell'espletamento
della funzione ad essi demandata. 
    10. - Anche sotto il profilo del rispetto del principio  di  buon
andamento  sancito  all'art.  97  Cost.,  la   disciplina   normativa
impugnata si presenta carente. 
    L'imposizione di detto controllo preventivo, cosi' come  previsto
dal decreto-legge anticrisi,  dato  l'enorme  afflusso  di  atti  che
presumibilmente saranno inviati al controllo  e  la  scarsita'  delle
risorse degli uffici della sezione centrale della  Corte  dei  conti,
finira' presto con l'intasare la sezione, paralizzando l'attivita' di
questa e  quella  degli  enti  controllati  che  dovranno  rallentare
sensibilmente la propria attivita' procedimentale e l'erogazione  dei
servizi che dovessero dipendere dell'assunzione della  collaborazione
(di studio o consulenza) esterna. 
    11.  -  Ci  sia  consentito,  ora,   lo   sviluppo   di   qualche
considerazione conclusiva. 
    E' innegabile che il  progressivo  sempre  maggior  decentramento
delle funzioni amministrative ha comportato, e continua a tutt'oggi a
comportare, la moltiplicazione dei centri  di  spesa.  Questa,  unita
alla  sempre  piu'  evidente   carenza   di   risorse   pubbliche   e
all'introduzione  e  al  rafforzamento  dei  vincoli  di   equilibrio
economico-finanziario imposti  dall'adesione  dell'Italia  all'Unione
europea, sta conducendo il legislatore a riconsiderare l'opportunita'
di  affiancare  ai  controlli  interni  di  ciascun  ente,  controlli
«classici» di legittimita' affidati ad un unico organo  esterno  alla
pubblica amministrazione. 
    L'introduzione di nuovi controlli, pero', specie se preventivi di
legittimita', non puo' in alcun modo prescindere  dal  piu'  rigoroso
rispetto delle autonomie territoriali,  pena  la  loro  intollerabile
prevaricazione. E' evidente, infatti,  l'incompatibilita'  pressoche'
assoluta che sussiste tra l'autonomia  e  la  presenza  di  controlli
esterni di legittimita'. 

(1) La stessa Corte costituzionale ha definito l'art. 100 Cost.  come
    un riflesso di una «dimensione un tempo ''statale'' della finanza
    pubblica»  da  superare,  stante  la  riconosciuta  autonomia  ed
    equiordinazione degli enti territoriali componenti la Repubblica.
    Cfr. Corte cost., sent., 6 luglio 2006, n. 267. 

(2) Per verificare come il controllo riesca a imporre  l'accoglimento
    dell'indirizzo politico dell'ente  controllante,  si  vedano:  C.
    Pagliarin,   Nuove   chimere:   il   controllo   sulla   gestione
    finanziaria, in Federalismo fiscale, n. 1/2008, C. Pinelli, Quali
    controlli per gli enti locali dopo la riforma del Titolo V  della
    Costituzione, in Le Regioni, n. 1-2 del 2005,  165;  F.  Merloni,
    Vecchie e nuove forme  di  controllo  sull'attivita'  degli  enti
    locali, in Le Regioni, n. 1-2 del 2005, 141. 

(3) F. Merloni, Vecchie e nuove  forme  di  controllo  sull'attivita'
    degli enti locali, in Le Regioni, n. 1-2 del 2005, 157. 

        
      
 
                              P. Q. M. 
 
    Si  chiede  che  codesto  ecc.  mo  Collegio  voglia   dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 30 e 30-bis,  del
decreto-legge  1°  luglio  2009,  n.   78,   recante   «Provvedimenti
anticrisi, nonche' proroga di termini e della partecipazione italiana
e missioni internazionali», cosi' come  risultante  a  seguito  della
conversione in legge 3 agosto 2009, n. 102, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale n. 179 del 4 agosto 2009, S.O. n. 140 per violazione  degli
artt. 3, 97, 100, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, dell'art. 9
della legge  costituzionale  18  ottobre  2001,  n.  3,  nonche'  del
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120,  secondo
comma, della Costituzione e 11 della legge costituzionale 18  ottobre
2001, n. 3. 
    Si allega deliberazione della Giunta della Regione Veneto n. 2923
del 29 settembre 2009 recante l'autorizzazione alla proposizione  del
ricorso. 
        Padova-Venezia-Roma, addi' 1° ottobre 2009 
 
  Avv. prof. Mario Bertolissi - Avv. Ezio Zanon - Avv. Luigi Manzi 
 

Menu

Contenuti