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N. 79 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 21 giugno 2006. |
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Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 21 giugno 2006 (della Regione Marche)
(GU n. 34 del 23-8-2006) |
Ricorso della Regione Marche, in persona del presidente pro
tempore della giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazione
della giunta regionale n. 673 del 5 giugno 2006 (all. doc. n. 1),
rappresentata e difesa dall'avv. prof. Gustavo Visentini del Foro di
Roma ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma,
piazza Barberini n. 12, come da procura speciale per atto del notaio
Stefano Sabatini di Ancona, n. rep. 40.858 del 7 giugno 2006 (all.
doc. n. 2);
Contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei
ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita'
costituzionale del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 «Norme in materia
ambientale», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile
2006, Supp. ordinario n. 96/2006, con riferimento ai seguenti artt.:
3, comma 4; 6, comma 6 e art. 17; 7, commi 3 e 8; 10, commi 3 e 5;
25, comma 1, lettera a); 35, comma 1, lettera b); 42, commi 1 e 3;
25, comma 1, lettera b); 51, comma 3; 57, commi 4 e 6; 58, comma 3,
lettere a) e d); 61, comma 1, lettere d) e e); 63 (autorita' di
bacino distrettuale) e 64 (distretti idrografici); 65; 75, comma 5;
77, comma 5; 87, comma 1; 91, commi 2 e 6; 113 e 114, commi 1; 116;
148, comma 5; 149, comma 6; 154; 155; 159, comma 2; 160, comma 2,
lettere f) e g); 181, commi 7, 8, 9, 10 e 11; 183, comma 1, lettera
f) e q); 185, comma 1; 186; 189, commi 1 e 3; 195, commi 1, 1ettera
f), comma 2, lettere &ib;b), e), l), m) e s); 196, comma 1, lettera
d); 199, commi 9 e 10; 201, comma 6; 202, comma 1; 203, comma 2,
lettera c); 208, comma 10; 212, commi 2 e 3; 214, commi 2 e 3; 215,
commi 1, 3 e 4; 216, commi 1, 3 e 4; 238, comma 3, 6, 7, 8, 9 e 10;
240, comma 1, lettera b); 241; 242, commi 2, 3, 4, 5, 7; 252, commi 3
e 4; per violazione degli artt. 11, 76, 117, 118, 119 Cost., del
principio di leale collaborazione, del principio di ragionevolezza,
nonche' dei principi e delle norme del diritto comunitario, nei modi
e per i profili di seguito indicati.
F a t t o
A) Considerazioni preliminari.
1.1. - In data 3 aprile 2006 e' stato emanato il decreto
legislativo n. 152 del 2006, indicato in epigrafe con cui il Governo
ha esercitato la delega legislativa contenuta nella legge 15 dicembre
2004, n. 308, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27
dicembre 2004 - Supp. ordinario n. 187. La legge delega autorizzava
il Governo ad emanare entro 18 mesi - quindi entro l'11 luglio 2006 -
uno o piu' decreti «di riordino, coordinamento e integrazione delle
disposizioni legislative nei seguenti settori e materie, anche
mediante la redazione di testi unici».
A norma dell'art. 1, comma 4, della legge delega, i decreti
legislativi avrebbero dovuto essere adottati «sentito il parere della
Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281».
Il comma 8 dell'articolo di legge sopra citato richiedeva che
nella redazione dei decreti legislativi venissero rispettati «i
principi e delle norme comunitarie e delle competenze per materia
delle amministrazioni statali, nonche' delle attribuzioni delle
regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'art. 117
della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e fatte salve le norme statutarie
e le relative norme di attuazione delle regioni a statuto speciale e
delle province autonome di Trento e di Bolzano, e del principio di
sussidiarieta».
Come di seguito esposto, tutti i principi e criteri sopra
indicati sono stati violati nella redazione ed emanazione del d.lgs.
n. 152/2006.
La violazione di legge peraltro non ha riguardato solo il
contenuto delle singole disposizioni normative ma anche, e non di
minore importanza, il procedimento attraverso il quale il Governo ha
provveduto all'emanazione del citato d.lgs. n. 152/2006.
1.2. - Sinteticamente, infatti, si fa presente quanto segue.
Lo schema di decreto e' stato approvato, a seguito dei pareri
delle Commissioni parlamentari, nella seduta del Consiglio dei
ministri del 18 novembre 2005. Nel corso della seduta della
Conferenza unificata del 24 novembre 2005, i rappresentanti delle
regioni e degli enti locali chiedevano di essere informati sullo
stato di attuazione della delega legislativa: in risposta il Ministro
La Loggia comunicava che, data la lunghezza, la Relazione al decreto
non sarebbe stata illustrata oralmente ma depositata agli atti «in
modo che possa essere visionata e vi sia tutto il tempo necessario a
fare eventuali osservazioni».
Il testo del decreto legislativo e' stato trasmesso, senza gli
allegati, alle regioni con nota della Presidenza del Consiglio dei
ministri in data 29 novembre 2005. Il parere sul decreto legislativo
e' stato richiesto alle regioni e agli enti locali dal Governo entro
il 15 dicembre 2005: cio' nonostante la «mole» e complessita' del
testo di legge e degli allegati. Successivamente, nonostante le
numerose richieste di rinvio del termine per formulare il prescritto
parere, il Governo ha rifiutato ogni ipotesi di sospensione dell'iter
arrivando ad affermare che un ritardo nello stesso avrebbe precluso
la possibilita' di eserciate la delega in scadenza nel mese di
dicembre 2005 (!) (in realta' come detto la scadenza era fissata nel
giorno 11 luglio 2006).
Nell'impossibilita' di un esame approfondito del testo e degli
allegati, il parere non e' stato espresso.
Cio' nonostante il Consiglio dei ministri, nella seduta del 19
gennaio 2006 approvava «in via definitiva» il testo del decreto
legislativo.
Nella successiva riunione della Conferenza unificata del 26
gennaio 2006, i presidenti delle regioni e delle province autonome,
dell'ANCI, dell'UPI e dell'UNCEM presentavano un ordine del giorno
recante il parere negativo sullo schema di decreto, motivandolo sia
nel merito che nel metodo, parere del quale il rappresentante del
Governo si limitava a dichiarare di «prendere atto».
Il 10 febbraio il Consiglio dei ministri riapprovava, di nuovo,
«in via definitiva» il decreto legislativo (Consiglio dei ministri
n. 43), e quindi senza tenere in alcun conto le osservazioni
formulate nel citato parere.
Il 15 marzo 2006 il Presidente della Repubblica chiedeva al
Governo alcuni chiarimenti nel merito e in relazione al procedimento
di formazione del decreto legislativo, sospendendo l'emanazione del
provvedimento.
In seguito a questa richiesta, in data 29 marzo 2006, il decreto
legislativo e' stato ulteriormente riapprovato con alcune limitate
modifiche dal Consiglio dei ministri. E' stato dunque approvato e
successivamente emanato in data 3 aprile 2006 un testo formalmente
(sia pure parzialmente) diverso da quello sottoposto all'esame delle
Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata.
B) Il contenuto del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 recante «Norme
in materia ambientale».
2.1. - Con il d.lgs. n. 152/2006, il Governo, in parziale
attuazione della legge delega n. 308/2004, ha elaborato un testo
unico comprendente tutte le disposizioni di legge aventi ad oggetto
«la materia ambientale». Ai sensi infatti dell'art. 1 il decreto
legislativo citato disciplina le seguenti materie: «a) nella parte
seconda, le procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS),
per la valutazione d'impatto ambientale (VIA) e per l'autorizzazione
ambientale integrata (IPPC); b) nella parte terza la difesa del suolo
e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque
dall'inquinamento e la gestione delle risorse idriche; c) nella parte
quarta la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati;
d) nella parte quinta, la tutela dell'aria e la riduzione delle
emissioni in atmosfera; e) nella parte sesta, la tutela risarcitoria
contro i danni all'ambiente».
Restano escluse dal Testo unico la gestione delle aree protette
nonche' la conservazione e l'utilizzo sostenibile delle specie
protette di flora e fauna le quali continuano ad essere disciplinate
dalle specifiche normative di riferimento.
2.2. - Il d.lgs. n. 152/2006, tuttavia, non si e' limitato a
coordinare e/o riordinare la normativa dei diversi settori sopra
menzionati ma, spesso, e' intervenuto con una disciplina del tutto
innovativa con violazione di una pluralita' di norme e principi,
anche di carattere comunitario, come di seguito illustrato.
In via preliminare peraltro e' necessario evidenziare anche
quanto segue.
La materia disciplinata con il decreto in epigrafe coinvolge
profili non solo attinenti all'ambiente «in senso stretto», ma anche
relativi e connessi alla materia del governo del territorio, alla
tutela della salute, alla tutela dei beni culturali etc.
A fronte di una simile «complessita» e pluralita' di interessi e
di oggetti la Corte costituzionale, alla luce del rinnovato dato
costituzionale contenuto nel Titolo V, ha gia' avuto occasione di
chiarire che la materia della tutela dell' ambiente - la quale ai
sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s) Cost. e' attribuita
alla competenza dello Stato - deve essere disciplinata nel rispetto e
con la salvaguardia della potesta' legislativa «corrente» delle
regioni a statuto ordinario.
Come piu' volte messo in evidenza dalla Corte costituzionale,
infatti, la materia dell'ambiente, «piu' che una "materia" in senso
stretto, rappresenta un compito nell'esercizio del quale lo Stato
conserva il potere di dettare standard di protezione uniformi validi
in tutte le regioni e non derogabili da queste; e che cio' non
esclude affatto la possibilita' che leggi regionali, emanate
nell'esercizio della potesta' concorrente di cui all'art. 117, terzo
comma, della Costituzione, o di quella "residuale" di cui
all'art. 117, quarto comma, possano assumere fra i propri scopi anche
finalita' di tutela ambientale» (cfr. Corte cost., sent. n. 307/2003
punto 5 del Considerato in diritto; nello stesso senso anche le
sentenze n. 407/2002; n. 222/2003; n. 62/2005 e n. 232/2005).
Secondo l'insegnamento della Corte costituzionale, quindi,
l'intervento del legislatore statale in materia di ambiente deve
svolgersi nel rispetto delle prerogative costituzionali delle regioni
in modo tale da assicurare alle stesse un ruolo «attivo» nel dettarne
la regolamentazione dato che questa coinvolge molteplici profili fra
loro connessi.
Il decreto legislativo in esame non sembra, invece, raccordarsi
con i sopra esposti principi e riferimenti costituzionali contenendo
disposizioni non solo in contrasto con la normativa comunitaria in
materia di ambiente; ma anche con gli artt. 117 e 118 Cost. ed in
generale con i principi costituzionali di sussidiarieta' ed
adeguatezza.
Si evidenzia, infine, che il d.lgs. n. 152/2006 (di seguito anche
Testo unico ambiente) per le considerazioni in precedenza esposte, si
configura come un atto unilaterale del Governo, in quanto non e'
stata data la possibilita' alle regioni di apportare un effettivo e
concreto contributo all'elaborazione del testo in palese contrasto
con il principio di leale collaborazione fra organi dello Stato.
C) La Regione Marche, con deliberazione della giunta n. 673 del 5
giugno 2006, ha deciso di impugnare, anche per le considerazioni
sopra esposte, davanti a questa Corte le norme indicate in epigrafe,
perche' illegittime e lesive dell'autonomia costituzionalmente
riconosciuta e garantita alla stessa regione ricorrente, per le
seguenti ragioni di
D i r i t t o
1) Illegittimita' dell'art 3, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006 per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
La norma di cui all'art. 3, comma 4, stabilisce che alle
modifiche e alle integrazioni delle norme tecniche in materia
ambientale provveda il Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio con propri regolamenti.
Si tratta di una procedura che, non prevedendo il coinvolgimento
delle regioni e/o della Conferenza Stato-Regioni, comporta l'adozione
di provvedimenti in via unilaterale su materie rispetto alle quali,
invece, sussiste anche la potesta' regionale. Di conseguenza la norma
impugnata risulta in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost. e con il
principio di leale collaborazione.
2) Illegittimita' dell'art. 6, comma 6 e art. 17 per violazione
degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
Si contesta la legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 6 e
dell'art. 17, 4 d.lgs. n. 152/2006 nella parte in cui non prevedono
la partecipazione delle regioni al procedimento di valutazione
strategica (VAS) di piani e programmi di competenza statale.
L'art. 6, infatti, nel disciplinare la Commissione statale
tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali di competenza
statale, al comma 6, prescrive che, in ragione degli specifici
interessi regionali di volta in volta coinvolti, la sottocommissione
sia integrata da un esperto designato dalla regione interessata. La
norma, tuttavia, delinea un ruolo estremamente limitato delle regioni
dato che e' prevista la loro partecipazione alla Commissione statale
solo attraverso la figura di un «esperto» e non con un proprio
rappresentante istituzionale.
Per valutare appieno l'illegittimita' di questa disciplina si
deve tener presente che con riguardo ai procedimenti di valutazione
strategica (c.d. VAS) di piani e programmi di competenza statale, la
partecipazione ad una Commissione «allargata» nel quale cioe' la
presenza dei rappresentanti delle regioni non sia solo formale e'
l'unico modo per esse di far valere le proprie ragioni ed i propri
interessi su aspetti che riguardano non solo le problematiche
ambientali, ma che incidono anche direttamente sulla pianificazione e
programmazione del proprio territorio. L'art. 17 del d.lgs.
n. 152/2006, infatti, non prevede per la VAS in sede statale alcuna
partecipazione o consultazione delle regioni nel procedimento
finalizzato alla valutazione dei piani o programmi (come e' invece
previsto per il procedimento di VIA statale, nel quale le regioni
devono esprimere il proprio parere), se non nelle forme delle
«consultazioni» di cui all'art. 10 del Testo unico ambiente (fase,
quella delle consultazioni, peraltro di molto svilita rispetto anche
alla normativa comunitaria ed internazionale).
Cio' e' tanto piu' grave se si considera che l'art. 33 del d.lgs.
n. 152/2006, recante la disciplina sulla relazione tra VAS e VIA,
prevede che «Per progetti di opere ed interventi da realizzarsi in
attuazione di piani o programmi gia' sottoposti a valutazione
ambientale strategica, e che rientrino tra le categorie per le quali
e' prescritta la valutazione di impatto ambientale, in sede di
esperimento di quest'ultima costituiscono dati acquisiti tutti gli
elementi positivamente valutati in sede di valutazione di impatto
strategico o comunque decisi in sede di approvazione del piano o
programma».
Le norme in esame contrastano non solo con gli artt. 117 e 118
Cost. ma anche con la procedura comunitaria contenuta nella Direttiva
2001/42/CE (recante la disciplina relativa alla valutazione degli
effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente). La
disciplina comunitaria, e' il caso di ricordare, evidenzia
l'importanza della partecipazione alla VAS dei soggetti
istituzionali, competenti in materia ambientale e territoriale, al
fine di assicurare e perseguire scelte rispettose delle funzioni e
competenze proprie di ciascun soggetto coinvolto nell'attivita' di
programmazione e tutela dell'ambiente. E' evidente allora il
contrasto fra normativa interna e normativa comunitaria e quindi la
violazione, da parte della norma contenuta nel d.lgs. n. 152/2006
sopra richiamata, dell'art. 11 Cost. Ne consegue l'illegittimita'
delle norme impugnate.
3) Illegittimita' dell'art. 7, comma 3 per violazione degli artt.
117 e 118 Cost.
La norma di cui all'art. 7, comma 3, d.lgs. n. 152/2006 dispone
che siano sottoposti a VAS, oltre ai piani e programmi indicati nel
precedente comma 2 dello stesso articolo anche «i piani e i programmi
contenenti la definizione del quadro di riferimento per
l'approvazione, l'autorizzazione, l'area di localizzazione o comunque
la realizzazione di opere ed interventi i cui progetti, pur non
essendo sottoposti a valutazione di impatto ambientale in base alle
presenti norme, possono tuttavia avere effetti significativi
sull'ambiente e sul patrimonio culturale, a giudizio della
sottocommissione competente per la valutazione ambientale
strategica». Per effetto di questa disposizione, quindi, la
sottocommissione (alla quale, come evidenziato, la regione
interessata partecipa solo attraverso la figura di un «esperto»), ha
il potere di indicare, caso per caso, gli ulteriori piani da
sottoporre a VAS, senza distinguere tra piani statali e regionali. E'
evidente allora che per effetto di tale disciplina lo Stato potra'
incidere in maniera sostanzialmente unilaterale su materie di
competenza regionale, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del
principio di leale collaborazione.
4) Illegittimita' dell'art. 7, comma 8 per violazione degli
artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
La norma di cui all'art. 7, comma 8, d.lgs. n. 152/2006 sottrae
al procedimento di valutazione strategica (c.d. VAS) i piani e
programmi relativi ad interventi di telefonia mobile.
Questa esclusione in primo luogo e' irrazionale e non trova
giustificazioni ne' sulla base della pre-vigente disciplina interna
ne' sulla base della disciplina comunitaria. La non logicita'
dell'esclusione discende dal fatto che in questo modo i citati piani
risultano esonerati dalla VAS al pari dei piani destinati a scopi di
difesa nazionale ed ai piani finanziari e di bilancio. Inoltre non si
capiscono le ragioni di una simile esclusione anche in considerazione
del fatto che invece la precedente normativa, sulla base di
approfonditi studi in materia di tutela della salute e dell'ambiente,
li aveva assoggettati alle disposizioni di cui all'art. 87, d.lgs.
n. 259/2003. L'esclusione in parola, quindi, risulta illegittima
anche perche' va ad incidere (con disciplina statale unilaterale)
sulle competenze regionali costituzionalmente garantite in materia di
governo del territorio e tutela della salute, ex art. 117, terzo
comma e art. 118 Cost.
In secondo luogo l'esclusione dalla VAS si pone in contrasto con
la Direttiva comunitaria 2001/42/CE, dato che in questa i piani di
telefonia mobile vi sono ricompresi. Si configura pertanto una
violazione dell'art. 11 Cost. e quindi un contrasto con i principi
contenuti nella legge delega n. 308/2004, art. 1, comma 8, lettera e)
ed f), secondo i quali il nuovo testo unico avrebbe dovuto dare, da
un lato, «piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al
fine di garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente»,
dell'altro, «affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di
precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni
ambientali e del principio «chi inquina paga». Da quanto detto, in
conclusione, discende l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7,
comma 8, per violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
5) Illegittimita' dell'art. 10, commi 3 e 5 per violazione degli
artt. 117 e 118 Cost.
La previsione di cui al comma 3, art. 10 del Testo unico ambiente
stabilisce che le modalita' di pubblicazione totale e/o parziale del
piano o progetto da sottoporre a VAS sono stabilite con «regolamento»
misteriale.
La previsione di legge e' costituzionalmente illegittima in
quanto con una simile disciplina vengano a stabilirsi in via
unilateralmente regole valide anche per le regioni, senza prevedere
alcun coinvolgimento delle stesse e senza riconoscere ad esse forme
di pubblicazione aggiuntive (come invece previsto per i procedimenti
di VIA regionale, per le regioni e province autonome di Trento e di
Bolzano, art. 43, comma 4).
In altre parole quindi con il regolamento che sara' emanato sulla
base della norma citata, lo Stato non solo potra' dettare standard
minimi in materia ma risultera' autorizzato ad intervenire con una
normativa dettagliata e puntuale a disciplinare le forme di
pubblicita' valide per tutti i procedimenti di VAS, anche regionali.
Quanto detto rileva anche alla luce di quanto disposto dal
successivo comma 5 dello stesso art. 10 che prevede che «i depositi e
le pubblicazioni, di cui ai commi 2 e 3, con le connesse e
conseguenti consultazioni, di cui al comma 4, sostituiscono ad ogni
effetto tutte le forme di informazione e partecipazione eventualmente
previste dalle procedure ordinarie di adozione ed approvazione dei
medesimi piani o programmi». Per effetto di questa disposizione si
determina una grave ingerenza nelle materie di competenza delle
regioni come l'approvazione di piani territoriali ed urbanistici e
dei relativi procedimenti. E pertanto evidente la violazione
dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. e dell'art. 118 Cost. dato
che non ci si e' limitati a dettare disposizioni di principio
finalizzate a garantire l'adeguatezza dell'informazione al pubblico,
ma invece e' stata prevista la possibilita' di dettare specifiche
modalita' di pubblicita' vincolanti anche per i procedimenti di VAS
regionali.
6) Illegittimita' dell'art. 25, comma 1, lettera a); art. 35,
comma 1, lettera b), art. 42, commi 1 e 3, per violazione degli
artt. 117 e 118 Cost.
Le disposizioni contenute nell'art. 25, nell'art. art. 35, comma
1, lettera b), e nell'art. 42, commi 1 e 3 del d.lgs. n. 152/2006
prevedono che siano sottoposti a valutazione di impatto ambientale
(c.d. VIA) in sede statale anche i progetti aventi impatto sul
territorio della regione e/o che comunque possano avere impatto
rilevante su piu' regioni.
Le disposizioni sopra citate vanno a rafforzare oltremodo
l'ambito di competenza statale in materia di VIA: fin'ora, infatti,
gli interventi interregionali erano sottoposti ad un procedimento di
valutazione di impatto ambientale di intesa tra tutte le regioni
interessate. In conseguenza, invece, della nuova normativa, si
assiste ad un indebito accentramento ditali funzioni, senza peraltro
prevedere, per detti procedimenti, la necessaria intesa con le
regioni. Cio' comporta in primo luogo la violazione dell'art. 76
Cost., per il contrasto con la legge delega n. 308/2004, art. 1,
comma 8, che prevedeva il rispetto del principio di sussidiarieta' e
delle competenze cosi' come delineate dal d.lgs. n. 112/1998; di poi
la violazione delle prerogative riconosciute alle regioni in materia
di governo del territorio e tutela della salute, ai sensi degli
artt. 117, e 118 Cost.
7) Illegittimita' dell'art. 25, comma 1, lettera b), per
violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
La norma di cui all'art. 25, comma 1, lettera b), d.lgs.
n. 152/2006 prevede che la regione, nell'individuare con legge
l'autorita' cui compete la valutazione di impatto ambientale da
svolgersi in sede regionale, tenga conto «delle attribuzioni della
competenza al rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione delle
varie opere ed interventi e secondo le procedure dalla stessa
stabilite sulla base dei criteri direttivi di cui al capo III del
presente titolo, ferme restando le disposizioni comuni di cui al
presente capo I».
La norma, il cui significato non risulta a prima vista chiaro, si
presta ad una interpretazione che, pur essendo formalmente legittima,
non e' rispettosa del dettato costituzionale.
Essa infatti puo' essere intesa nel senso che il legislatore
statale ha voluto obbligare le regioni ad attribuire il procedimento
di VIA, all'ente titolare del potere autorizzatorio. In questo caso
si avrebbe una diretta ingerenza nella potesta' delle regioni di
allocare le funzioni e, quindi, di scegliere il livello di governo
piu' idoneo ad esercitare la VIA, in palese violazione degli
artt. 117 e art. 118 Cost.
Si osserva, inoltre, che porre in capo al medesimo ente il potere
autorizzatorio dell'opera o del progetto e contemporaneamente
affidargli la competenza alla valutazione dell'impatto sull'ambiente
di tale opera, si pone in evidente contrasto con la normativa
comunitaria ed in particolare con la Direttiva 85/337/CEE (recante la
disciplina dei procedimenti di VIA su progetti pubblici e privati),
la quale impone innanzitutto che «gli effetti di un progetto
sull'ambiente debbono essere valutati per proteggere la salute umana,
contribuire con un migliore ambiente alla qualita' della vita,
provvedere al mantenimento della varieta' delle specie e conservare
la capacita' di riproduzione dell'ecosistema in quanto risorsa
essenziale di vita» (undicesimo considerando della Premessa).
L'art. 3 delle direttiva in esame, poi, prevede espressamente che «La
valutazione dell'impatto ambientale individua, descrive e valuta, in
modo appropriato, per ciascun caso particolare e a norma degli artt.
da 4 a 11, gli effetti diretti e indiretti di un progetto sui
seguenti fattori:
l'uomo, la fauna e la flora;
il suolo, l'acqua, l'aria, il clima e il paesaggio;
i beni materiali ed il patrimonio culturale;
l'interazione tra i fattori di cui al primo, secondo e terzo
trattino».
Ed infatti, oggi - conformemente alle finalita' indicate
dall'ordinamento comunitario - la maggior parte delle autorizzazioni
sono rilasciate dagli enti locali, comuni e province, mentre la
valutazione dell'incidenza sull'ambiente di dette opere spetta alla
regione. Cio' proprio a maggiore garanzia delle esigenze ambientali
che evidentemente hanno implicazioni non limitate al territorio di un
singolo comune o di una sola provincia.
Si eccepisce pertanto la violazione degli artt. 11 e 76 Cost. per
violazione dei criteri contenuti nella legge di delega i quali, come
gia' evidenziato, impongono il rispetto della normativa comunitaria
in materia ambientale (cfr. art. 1, comma 8, lettere e) ed f) legge
n. 308/2004).
8) Illegittimita' dell'art. 51, comma 3, d.lgs. n. 152/2006 per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
La disposizione di al comma 3, art. 51, d.lgs. n. 152/2006
sancisce che le norme tecniche integrative della disciplina sulla VIA
siano emanate con decreto del Presidente del Consiglio, su proposta
del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri competenti per
materia, e «solo» sentita la Commissione di cui all'art. 6, cui
peraltro la regione partecipa in maniera formale» attraverso la
figura dell'esperto.
Anche rispetto a questa procedura lo Stato, quindi, detta
unilateralmente una disciplina che va ad incidere non solo sulla
materia della tutela dell'ambiente ma anche su materie, quali il
governo del territorio e la tutela della salute, di competenza
regionale, senza alcun coinvolgimento neanche della Conferenza
Stato-Regioni. Di conseguenza e' evidente la violazione degli
artt. 117, 118 Cost. (e del principio di leale collaborazione, come
di seguito illustrato).
9) Illegittimita' dell'art. 57, comma 4 e 6, per violazione
degli artt. 117 e 118 Cost.
9.1) La parte terza, Sezione prima, del d.lgs. n. 152/2006
contiene un insieme di disposizioni (da art. 53 ad art. 72) che
regolamentano la difesa del suolo e la lotta alla desertificazione.
La sezione si compone di due titoli: il primo contiene i principi
generali e il riparto di competenze fra tutti i soggetti coinvolti
(Presidente Consiglio dei ministri; Conferenza Stato-Regioni; enti
locali; Autorita' ecc.); il secondo e' relativo ai distretti
idrografici, agli strumenti e agli interventi finalizzati alla difesa
del suolo.
L'insieme degli articoli di legge citati sono relativi alla
difesa del suolo che, in base al nuovo art. 117 Cost., rientra nella
materia «governo del territorio» soggetta a potesta' legislativa
concorrente e in cui, quindi, lo Stato puo' dettare solo i principi
fondamentali, cui devono attenersi le regioni nell'elaborazione delle
proprie normative. Dalla lettura delle norme sopra citate, invece,
emerge come il d.lgs. n. 152/2006 abbia dettato disposizioni di
carattere specifico in aperto contrasto quindi con le prerogative
regionali. Non solo. Il legislatore delegato ha anche violato criteri
e principi in materia di tutela dell'ambiente dettati dal legislatore
comunitario e pertanto la nuova disciplina si pone in contrasto anche
con essa, come di seguito evidenziato.
9.2) L'art. 57 del d.lgs. n. 152/2006 elenca le funzioni del
Presidente del Consiglio dei ministri e del Comitato dei ministri per
gli interventi nel settore della difesa del suolo.
In particolare al Comitato (presieduto dal Presidente del
Consiglio e composto dal Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio, dai Ministri delle infrastrutture e trasporti, dalle
attivita' produttive, dalle politiche agricole e forestali, per gli
affari regionali e per i beni e le attivita' culturali e dal delegato
del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di protezione
civile), sono attribuite funzioni di alta vigilanza e di
coordinamento del programma nazionale di intervento con i programmi
predisposti e realizzati dalle regioni e degli altri enti pubblici
nazionali.
In questo contesto il quarto comma dispone che per assicurare il
necessario coordinamento tra le diverse amministrazioni, «il Comitato
dei Ministri propone gli indirizzi delle politiche settoriali
direttamente o indirettamente connesse con gli obiettivi e i
contenuti della pianficazione di distretto e ne verifica la coerenza
nella fase di approvazione dei relativi atti».
Tale disposizione e' molto estesa anche in considerazione della
previsione di cui al successivo art. 65. Dalla lettura delle
previsioni di cui all'articolo da ultimo citato, che indica gli
obiettivi e i contenuti del piano di distretto, e' agevole verificare
che il piano presenta strette connessioni con le piu' importanti
politiche settoriali rientranti in ambiti di competenza regionale
(quali ad esempio l'utilizzazione delle risorse forestali ed
estrattive; delle risorse idriche, ecc.).
Ebbene, la norma in esame attribuisce al Comitato dei Ministri il
compito di proporre (per l'approvazione con d.P.C.m.) indirizzi delle
politiche settoriali connesse con i contenuti del piano di distretto
e cio' anche ove tale connessione sia solo indiretta: cosi' si
attribuisce all'Amministrazione statale un rilevante potere di
indirizzo che potra' essere rivolto anche nei confronti di molteplici
e significativi piani di settore di competenza regionale.
In considerazione di quanto sopra esposto la norma contenuta
nell'art. 57, comma 4, contrasta con l'art. 117 Cost. ed anche con
l'art. 118 Cost. perche' non si prevede, nella definizione dei
previsti indirizzi, un adeguato coinvolgimento delle regioni
interessate che poi sono tenute a recepire ed adeguarsi agli
indirizzi stessi.
Per effetto di quanto appena detto, allora, risulta
costituzionalmente illegittima anche la disposizione contenuta nel
comma 6 dato che la previsione del solo parere della Conferenza
Stato-Regioni, insufficiente a garantire il reale ed effettivo
coinvolgimento di quest'ultime.
In conclusione risulta incostituzionale anche il sesto comma la'
dove non prevede l'intesa (in luogo del parere) per la definizione
degli indirizzi (in luogo dei soli principi degli atti di indirizzo)
di cui al quarto comma.
10) Illegittimita' dell'art. 58, comma 3, lettere a) e d) per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
L'art. 58 del d.lgs n. 152/2006 elenca le competenze del
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio; tra queste
attribuisce al medesimo: «a) la programmazione, il finanziamento e il
controllo degli interventi in materia del suolo; (...) d)
l'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del
territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali
e alla difesa del suolo, nonche' con riguardo all'impatto ambientale
dell'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali, delle
opere di competenza statale e delle trasformazioni territoriali»
(comma 3).
Le sopra menzionate competenze si sovrappongono, fino ad
eliminare qualsiasi autonomia, alle attribuzioni regionali in materia
di gestione del territorio. Si puo' infatti evidenziare quanto segue.
La lettera a) del comma 3, con una locuzione quanto mai ampia ed
omnicomprensiva attribuisce al Ministero tutti gli interventi in
materia di difesa del suolo. Non e' previsto alcun ruolo «attivo»
delle regioni alle quali, infatti, e' riconosciuto un mero potere di
proposta e di osservazione da esercitarsi in sede di Conferenza
Stato-Regioni (art. 59).
Anche la previsione contenuta nella lettera d) comporta
un'interferenza rilevante con le attribuzioni regionali in materia di
governo del territorio dato che attribuisce al Ministro, senza alcuna
intesa con la regione, l'identificazione delle «1inee fondamentali»
dell'assetto del territorio con riguardo all'impatto ambientale delle
reti infrastrutturali.
La violazione delle attribuzioni regionali, determinata dalla
disposizione in commento, risalta evidente tenendo presente che la
competenza attribuita al Ministro riguarda le «linee fondamentali»
vvero il «cuore» del governo del territorio. In altre parole la
lettera d), attribuisce all'Autorita' centrale di incidere e
progettare la realizzazione delle piu' importanti ed «invasive»
infrastrutture sulle quali invece la «concertazione» con l'autorita'
regionale dovrebbe trovare la migliore capacita' d'intesa.
Su questione analoga si e' gia' pronunciata la Corte
costituzionale con la sentenza n. 303/2003, in riferimento alle opere
infrastrutturali strategiche. La Corte ha riconosciuto essenziale in
queste materie la previsione di una fase di collaborazione - non solo
formale - tra Stato e le regioni, stante l'interferenza della
realizzazione di dette opere con le competenze regionali. In
applicazione allora ai medesimi principi si chiede la declatoria di
incostituzionalita' dell'art. 58, comma 3, lettere a)e d).
11) Illegittimita' dell'art. 61, comma 1, lettere d) ed e) per
violazione degli artt. 76 e 117 Cost.
La norma contenuta nell'articolo 61, d.lgs. n. 152/2006 elenca le
competenze delle regioni in materia di difesa del suolo e di lotta
alla desertificazione.
In via preliminare si rileva che le regioni per effetto del
combinato disposto della disposizione appena citata e di quella
contenuta nell'art. 58, vengono esautorate dalle loro competenze in
materia di governo del territorio. Alla regione come pure agli enti
locali, vengono attribuite soltanto alcune attivita'
attuativo-gestionali, peraltro in applicazione di decisioni assunte
in sede statale. Piu' in particolare, la disposizione contenuta nel
corna i elenca le competenze regionali.
In questa sede l'eccezione di illegittimita' costituzionale viene
sollevata con riferimento alle previsioni contenute nella lettera d),
che prevede che le regioni «per la parte di propria competenza
dispongono la redazione e provvedono all'approvazione e
all'esecuzione dei progetti, degli interventi e delle opere da
realizzare nei distretti idrografici, istituendo, ove occorra,
gestioni comuni»; ed a quella contenuta nella lettera e) secondo la
quale le regioni «per la parte di propria competenza provvedono
all'organizzazione e al funzionamento del servizio di polizia
idraulica ed a quelli per la gestione e la manutenzione delle opere e
degli impianti e la conservazione dei beni».
Le disposizioni riportate si pongono in contrasto con i principi
e criteri direttivi posti nella materia de quo dalla legge delega
n. 308/2004 in quanto il legislatore delegante ha stabilito che i
decreti legislativi di attuazione avrebbero dovuto rispettare le
attribuzioni regionali come definite dalla precedente normativa.
E' il caso di ricordare allora che la previgente normativa,
contenuta nel d.lgs. n. 112/1998 aveva trasferito alle regioni
funzioni e compiti relativi a:
progettazione, realizzazione e gestione delle opere
idrauliche di qualsiasi natura (art. 89, lettera a);
servizi di polizia idraulica e pronto intervento nonche'
gestione dei relativi impianti (art. 89, lettera c);
manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere e degli
impianti nel settore della polizia delle acque (art. 89, lettera g).
In considerazione della disciplina sopra riportata e' allora e'
ravvisabile un palese contrasto tra il contenuto della delega e
quello della disposizione in esame del decreto legislativo e pertanto
la violazione dell'art. 76 Cost.
Piu' precisamente le disposizioni di cui al d.lgs. n. 152/2006
affermano che le regioni «per la parte di loro competenza» dispongono
la redazione e provvedono all'approvazione e all'esecuzione dei
progetti, degli interventi e delle opere da realizzare nei distretti
idrografici, nonche' svolgono il servizio di polizia idraulica, di
piena e pronto intervento idraulico, la gestione e manutenzione delle
opere; cio' in contrasto con il d.lgs. n. 112/1998 dove queste
funzioni erano integralmente trasferite alle regioni.
Per i citati motivi quindi si eccepisce la violazione degli
artt. 76 e 117 Cost.
12) Illegittimita' dell'artt. 63 (autorita' di bacino
distrettuale) e 64 (distretti idrografici) per violazione degli artt.
117 e 118 Cost.
12.1) L'art. 63, comma 3 d.lgs. n. 152/2006 dispone: «Le
autorita' di bacino previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono
soppresse a far data dal 30 aprile 2006 e le relative funzioni sono
esercitate dalle Autorita' di bacino distrettuale di cui alla parte
terza del presente decreto».
Tale norma accorpa in otto distretti i numerosi bacini che la
legge n. 183/1989 aveva istituito suddividendoli in bacini nazionali,
interregionali e regionali. Tra gli otto distretti figurano il
distretto delle Alpi orientali, dell'Appennino centrale,
dell'Appennino meridionale, della Sardegna, della Sicilia, ed il
distretto idrografico pilota del Serchio, di ridottissime dimensioni.
L'intero territorio nazionale e' dunque stato suddiviso dalla
nuova normativa in otto distretti idrografici, vagamente
corrispondenti a delle macro-regioni. Questa suddivisione, a
prescindere da considerazioni di merito, e' stata stabilita a livello
centrale senza alcuna partecipazione delle regioni interessate. Essa
appare senza dubbio costituzionalmente illegittima per violazione
degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
Si puo' ravvisare inoltre la violazione dell'art. 76 Cost., in
quanto la legge n. 308/2004 delegava il Governo ad emanare decreti di
«riordino, coordinamento od integrazione» e quindi a redigere testi
unici compilativi e ricognitivi per il coordinamento e la
semplificazione delle norme di settore; stabiliva altresi' che i
decreti legislativi avrebbero dovuto rispettare i principi e le norme
comunitarie e le competenze per materia delle amministrazioni
statali, nonche' le attribuzioni delle regioni e degli enti locali,
come definite ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, della
legge 15 marzo 1997, n. 59 e del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 112.
Le impugnate disposizioni invece apportano modifiche sostanziali
alla previgente disciplina perche' individuano ex novo i confini dei
distretti idrografici in violazione quindi di quanto esplicitamente
previsto dall'art. 1, commi 1 e 8, della legge n. 308/2004.
La nuova disciplina relativa alle autorita' di bacino ed ai
distretti idrografici non solo si pone in contrasto con i principi
costituzionali sopra enunciati (assenza di una effettiva
collaborazione fra Stato e regioni ed eccesso di delega) ma sono
affette da illegittimita' costituzionale anche sotto altri profili.
In primo luogo, l'unificazione sotto un'unica autorita' di bacini
che non hanno in realta' alcuna correlazione ne' geografica ne' di
altro tipo, determina un accentramento organizzativo funzionale privo
di qualunque giustificazione ed «espropria» le regioni delle proprie
competenze, in violazione sia della competenza legislativa di cui
all'art. 117 Cost. sia del principio di sussidiarieta'.
In secondo luogo i distretti stessi sono stati configurati come
enti amministrativi sovraregionali cosi' distorcendo totalmente la
fisionomia delle Autorita' di bacino come risultante dalla legge
n. 183/1989. Queste infatti erano modellate con riferimento a
dimensioni idrogeografiche «naturali» che ne giustificavano la
competenza pianificatoria e decisionale, mentre le Autorita'
distrettuali istituite dalle disposizioni impugnate rappresentano
delle semplici articolazioni burocratico-amministrative che
costituiscono in realta' una sorta di amministrazione decentrata
dello Stato in cui la centralizzazione amministrativa e' appena
temperata da elementi di partecipazione delle regioni.
Si consideri che, ai sensi della legge n. 183/1989, le regioni
erano contitolari del governo dei bacini nazionali (configurati come
organismi a partecipazione mista Stato-regioni) e titolari esclusive
delle funzioni relative ai bacini regionali e interregionali. Oggi,
all'opposto, rappresentanti delle regioni sono presenti in netta
minoranza nel fondamentale organo decisionale, la Conferenza
istituzionale permanente (che nomina anche il Segretario generale),
nonche' nella Conferenza operativa, le cui competenze sono peraltro
piuttosto oscure.
La regola secondo la quale si decide a maggioranza, espressamente
enunciata al comma 4, art. 63, data la composizione sperequata
dell'organo (in cui il numero dei rappresentanti dello Stato e'
sempre sette, mentre quello dei rappresentanti delle regioni dipende
da quante regioni sono concretamente coinvolte, ma queste non sono
mai pari a sette), appare espropriare le regioni da qualsiasi
garanzia giuridica delle loro prerogative.
12.2) Particolarmente lesiva delle attribuzioni regionali e'
inoltre la disposizione contenuta nell'art. 63, comma terzo, nella
quale si prevede che le autorita' di bacino previste dalla legge
n. 183/1989 sono soppresse a far data dal 30 aprile 2006 e le
relative funzioni sono esercitate dalle nuove Autorita' di bacino
distrettuale; a tal fine e' stabilito che il decreto previsto al
secondo comma dell'art. 63 disciplini il trasferimento di funzioni e
regolamenti il periodo transitorio. Tale d.P.C.m. dovrebbe essere
adottato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del
d.lgs. n. 152/2006.
La norma lede le attribuzioni regionali perche' ha soppresso le
autorita' di bacino esistenti (le quali esercitano, in base alla
legislazione regionale, nei bacini regionali ed interregionali,
rilevanti funzioni amministrative volte a garantire il corretto
utilizzo del territorio nelle zone soggette a rischio idraulico),
entro il 30 aprile e a quella data non risultavano costituite le
nuove autorita' di distretto. Non solo, ma non e' ancora stato
emanato il, d.P.C.m. di disciplina della fase transitoria, cosi' che
non e' noto il procedimento da seguire per la gestione dei
procedimenti attualmente pendenti.
Cio' determina una evidente incisione delle competenze regionali
in materia di difesa del suolo come disciplinate dalla legge
regionale, con conseguente ulteriore lesione degli artt. 117 e 118
Cost.
12.3) Gli organi dei nuovi distretti sono individuati dall'art
63, comma 2, nella Conferenza istituzionale permanente, nel
Segretario generale, nella Segreteria tecnico-operativa e nella
Conferenza operativa di servizi. La stessa disposizione rinvia la
definizione dei criteri e delle modalita' per l'attribuzione o il
trasferimento del personale e delle risorse patrimoniali e
finanziarie di tali organi ad un decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri, da emanarsi su proposta del Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio di concerto con il Ministro dell'economia
e delle finanze e con il Ministro per la funzione pubblica, «sentita
la Conferenza permanente Stato-regioni», entro trenta giorni dalla
data di entrata in vigore del decreto. E' stabilito altresi' che lo
stesso d.P.C.m. «disciplina il trasferimento di funzioni e
regolamenta il periodo transitorio».
Le disposizioni impugnate appaiono da un lato gravemente lesive
delle attribuzioni regionali e, dall'altro, lesive dell'oggetto e dei
principi e criteri direttivi della delega.
Sotto il primo profilo va osservato che la Sezione in cui trovano
collocazione le disposizioni impugnate evoca con chiarezza sin dal
titolo - «Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla
desertificazione» - che la disciplina contenuta insiste sulla materia
«governo del territorio» che l'art. 117, comma terzo, Cost., assegna
alla competenza concorrente.
E' allora appena il caso di ricordare come la Corte
costituzionale ha ripetutamente affermato che nelle materie
concorrenti lo Stato puo' intervenire esclusivamente con norme
legislative di principio e non puo' riservare a se' e/o alle proprie
strutture decentrate funzioni amministrative che non siano
giustificate dalla «chiamata in sussidiarieta». In ogni caso anche
allorquando la disciplina costituzionale consentisse allo Stato di
esercitare determinate funzioni amministrative incidenti in materie
di competenza regionale, cio' non puo' avvenire che nel rispetto del
principio di leale collaborazione, ovvero attraverso procedure di
co-decisione e non semplicemente «sentendo» la Conferenza
Stato-regioni, e del principio di proporzionalita'.
12.4) Gli articoli 63 e 64 inoltre sono incostituzionali per
violazione dell'art. 76 Cost. per violazione dei principi e dei
criteri posti dalla legge delega n. 308/2004 la quale attribuiva al
Governo la facolta' di emanare decreti di «riordino, coordinamento od
integrazione» e quindi a redigere testi unici compilativi e
ricognitivi per il coordinamento e la semplificazione delle norme di
settore. La legge di delega stabiliva altresi' che i decreti
legislativi avrebbero dovuto rispettare i principi e le norme
comunitarie e le competenze per materia delle amministrazioni
statali, nonche' le attribuzioni delle regioni e degli enti locali,
come definite ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, della legge
15 marzo 1997, n. 59 e del d.lgs. 31marzo l998, n. 112.
Le considerazioni sopra esposte, con riferimento alla disciplina
contenuta negli artt. 63 e 64, d.lgs. n. 152/2006 si reputano
sufficienti ad evidenziare come la nuova disciplina in tema di
Autorita' di bacino e distretti idrografici abbia violato i criteri
stabiliti dal legislatore delegante.
E' allora appena il caso di evidenziare come codesta ecc.ima
Corte abbia sistematicamente ripetuto (cfr. ex multis le sentenze
nn. 303/2005, 66/2005, 280/2004), che «la revisione e il riordino» di
testi normativi «ove comportino l'introduzione di norme aventi
contenuto innovativo rispetto alla disciplina previgente, necessitano
della indicazione di principi e di criteri direttivi idonei a
circoscrivere le diverse scelte discrezionali dell'esecutivo, mentre
tale specifica indicazione puo' anche mancare allorche' le nuove
disposizioni abbiano carattere di sostanziale conferma delle
precedenti» (sentenza n. 66/2005, che richiama anche la sentenza
n. 354/1998). Nel caso de quo l'oggetto della delega prevede solo il
«riordino», neppure la «revisione», per cui la massima espressa dalla
giurisprudenza costituzionale va applicata con ancora maggiore
rigore.
D'altro canto, nessuno dei «principi e criteri direttivi»
elencati dall'art. 1, comma 8, legge n. 308/2004 autorizza
un'innovazione legislativa e amministrativa come quella apportata dal
capovolgimento del sistema delle Autorita' di bacino.
13) Illegittimita' dell'art. 65 per violazione degli artt. 76,
117 e 118 Cost.
La norma di cui all'art. 65, d.lgs. n. 152/2006 disciplina il
contenuto e le finalita' del piano di bacino distrettuale.
Ai sensi della disposizione citata esso si configura come lo
strumento con cui sono pianificate, programmate e dettate le azioni e
le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla
valorizzazione del suolo e alla corretta utilizzazione delle acque.
Il piano e' predisposto dall'Autorita' di bacino distrettuale ed ha
un contenuto molto esteso, non limitato ai soli aspetti
idrogeologici. Ed infatti, secondo la normativa contenuta
nell'art. 65, il piano dovra' indicare anche:
le opere necessarie distinte in funzione, «del perseguimento
degli obiettivi di sviluppo sociale ed economico o di riequilibrio
territoriale nonche' del tempo necessario per assicurare l'efficacia
degli interventi» (comma 3, lettera d), punto 4);
«la programmazione e l'utilizzazione delle risorse idriche,
agrarie, forestali ed estrattive» (comma 3, lettera e));
«le opere di protezione, consolidamento e sistemazione dei
litorali marini che sottendono il distretto idrografico» (lettera
h));
«il rilievo conoscitivo delle derivazioni in atto con
specificazione degli scopi energetici, idropotabili, irrigui od altri
e delle portate» (lettera p));
«il piano delle possibili utilizzazioni future sia per le
derivazioni che per altri scopi, distinte per tipologie d'impiego e
secondo le quantita« (lettera r)).
La norma dispone inoltre, nel comma 4, che le disposizioni del
piano di bacino hanno carattere immediatamente vincolante e che entro
dodici mesi le autorita' competenti (regioni comprese) devono
adeguare i piani territoriali ed i programmi regionali quali, in
particolare, quelli relativi alle attivita' agricole, zootecniche,
agro-forestali, tutela della qualita' delle acque, gestione dei
rifiuti, tutela dei beni ambientali, bonifica.
Le disposizioni sopra citate si pongono in contrasto con le
competenze regionali in materia di difesa del suolo e quindi di
governo del territorio. Cio' per diversi motivi.
Innanzitutto perche', in considerazione dell'esteso contenuto del
piano, si va ad un accentramento in capo allo Stato delle funzioni di
pianificazione, programmazione e gestione di funzioni di competenza
regionale. E' sufficiente tener presente, infatti, come il piano
arrivi a definire gli obiettivi di sviluppo sociale ed economico,
l'uso delle risorse idriche, agrarie, forestali ed estrattive, che
sono di competenza delle regioni a partire dalle previsioni contenute
nel d.lgs. n. 112/1998. Di conseguenza e' evidente la violazione
dell'art. 117 Cost.
In secondo luogo la violazione delle competenze regionali si
verifica anche rispetto alla procedura prevista per l'approvazione
del piano.
Questo infatti e' adottato a maggioranza dalla Conferenza
istituzionale e poi, dopo l'esperimento del procedura di VAS, e'
approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,
sentita la Conferenza Stato-regioni (art. 57, primo comma).
Il piano di bacino ha effetti molto penetranti sia sulla
pianificazione territoriale sia sulla programmazione regionale. Si
tenga ad esempio presente che i piani ed i programmi di sviluppo
socio-economici e di assetto ed uso del territorio devono essere
coordinati e comunque non in contrasto con il piano di bacino
approvato. Per assicurare il coordinamento tra gli stessi e' previsto
che entro 12 mesi dall'approvazione del piano, le autorita'
competenti (enti locali e regioni comprese, ognuno per la propria
competenza), debbano adeguare i rispettivi piani territoriali e
programmi regionali, quali, in particolare, quelli relativi alle
attivita' agricole, zootecniche ed agro-forestali; alla tutela dei
beni ambientali; alla tutela delle acque (commi 4 e 5). Sempre per
assicurare le finalita' sopra menzionate e' altresi' previsto che le
regioni entro novanta giorni dalla pubblicazione del piano debbano
emanare le disposizioni per l'attuazione del piano e, in mancanza,
gli enti interessati sono comunque tenuti a rispettare le
prescrizioni dello stesso.
E' pertanto evidente che il piano di bacino finisca con il
prevalere sugli atti di programmazione e di pianificazione
territoriale.
In considerazione di tale efficacia, il procedimento di
formazione dovrebbe coinvolgere le regioni, nel rispetto del
principio di leale cooperazione cosi' come interpretato ed applicato
dalla stessa Corte costituzionale.
Nulla di tutto questo e' previsto. Percio' potra' essere fatta
valere la violazione degli artt. 117 e 118 Cost., tenendo anche conto
che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 85/1990, ha rilevato
che «non puo' rinvenirsi una qualsiasi giustificazione sul piano
costituzionale per dare alle amplissime determinazioni di
pianificazione del predetto Comitato istituzionale, relative
all'assetto idrogeologico, alla conservazione, difesa e
valorizzazione del suolo e utilizzazione delle acque, una incidenza
diretta ed automatica di modifica degli strumenti di pianificazione
urbanistica, tanto piu' con carattere permanente».
Infine, rispetto alla disposizione sopra citata, si prospetta
anche la violazione dell'art. 76 Cost. per violazione della legge
delega. Infatti la legge n. 308/2004 delegava il Governo ad emanare
decreti di «riordino, coordinamento od integrazione» nelle materie
oggetto dello schema e quindi a redigere testi unici compilativi e
ricognitivi per il coordinamento e la semplificazione delle norme di
settore.
Con le norme qui contestate, invece, il decreto ha apportato
modifiche sostanziali alla disciplina vigente, disponendo una
radicale riforma delle Autorita' di bacino che determina uno
sconvolgimento dell'assetto delle competenze tra Stato e regioni, in
violazione di quanto esplicitamente previsto dall'art. 1, commi 1 e
8, della legge n. 308/2004.
14) Illegittimita' dell'art. 75, comma 5 per violazione dell'art.
119 Cost.
La disposizione contenuta nel comma 5, art. 75, d.lgs.
n. 152/2006 pone a carico della regione una serie di obblighi di
informazione sullo stato di qualita' delle acque nonche' l'obbligo di
trasmettere al Dipartimento tutela acque interne e marine i dati
conoscitivi e le informazioni relative all'attuazione del d.lgs.
n. 152/2006.
Questa serie di obblighi informativi presuppone un'attivita' di
rilevazione e monitoraggio delle acque indubbiamente costosa.
Attivita' che e' riconducibile alla materia della tutela
dell'ambiente, materia demandata dalla Costituzione alla competenza
esclusiva dello Stato, dove nella sostanza le regioni agiscono come
meri «bracci operativi dello» Stato. Con la disposizione in esame,
invece, sono stati attribuiti al1e regioni compiti e funzioni che, in
primo luogo, non sono loro proprie ed inoltre senza che venisse loro
riconosciuta la destinazione di specifiche ed aggiuntive risorse
finanziarie.
In particolare allora rispetto alla previsione del comma 5,
art. 75 si puo' sostenere il contrasto con l'art. 119 Cost. per
violazione dell'autonomia finanziaria delle regioni dato che sono
state attribuite alle stesse specifici compiti senza pero'
un'adeguata copertura finanziaria. Il comma 5 dell'art. 119 dispone
infatti che «per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio
delle loro funzioni lo Stato destina risorse aggiuntive» a favore di
comuni, province e regioni.
15) Illegittimita' dell'art. 77, comma 5, d.lgs. n. 152/2006 per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
La norma di cui all'art. 77, comma 5, d.lgs. n. 152/2006 dispone
che «la designazione di un corpo idrico artificiale o fortemente
modifiato e la relativa motivazione siano esplicitamente menzionate
nei piani di bacino e sono riesaminate ogni sei anni». Di seguito il
comma 5 riconosce alle regioni la possibilita' di definire un corpo
idrico artificiale o fortemente modificato in presenza delle
condizioni individuate nella norma medesima (lettera a e b).
La censura di legittimita' costituzionale coinvolge la locuzione
«designazione».
Essa infatti non esclude che «l'individuazione del corpo idrico
artificiale o fortemente modificato» sia effettuata dallo Stato. Se
cosi' fosse allora si ricondurrebbe in capo allo stesso un'attivita'
finalizzata a politiche di «governo del territorio» come tali
riservate, dall'art. 117, comma terzo Cost., alla legislazione
concorrente Statoregione, e rispetto alla quale compete allo Stato la
sola fissazione dei principi fondamentali.
La norma, pertanto, qualora la «designazione» del corpo idrico
artificiale o fortemente modificato debba intendersi come
individuazione dello stesso da parte dello Stato, appare lesiva degli
artt. 117 e 118 Cost.
16) Illegittimita' dell'art. 87, comma 1, d.lgs. n. 152/2006 per
violazione degli artt. 117, 118 Cost.
La norma di cui all'art. 87, comma 1, del Testo unico ambiente
dispone che «Le regioni, d'intesa con il Ministero delle politiche
agricole e forestali, designino, nell'ambito delle acque marine
costiere e salmastre che sono sede di banchi e di popolazioni
naturali di molluschi bivalvi e gasteropodi, quelle richiedenti
protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo degli
stessi e per contribuire alla buona qualita' dei prodotti della
molluschicoltura direttamente commestibili per l'uomo».
La finalita' della disposizione sopra citata - assicurare la
qualita' dei prodotti commestibili - porta a ritenere che la norma
incida su diversi interessi ora di competenza della legislazione
statale (tutela dell'ambiente); ora della legislazione concorrente
(tutela della salute); ora della legislazione residuale delle regioni
(agricoltura).
Secondo l'orientamento consolidato della Corte costituzionale
nella materia dell'agricoltura vi rientra tutto cio' che «ha a che
fare con le produzioni di vegetali ed animali destinati
all'alimentazione» (Cost. n. 12/2004). Questa impostazione nel caso
di specie risulta anche confermata dall'individuazione del Ministero
delle politiche agricole e forestali quale Ministro competente
all'intesa.
Detto cio' allora non si ravvede la legittimita costituzionale di
una previsione che impone la necessaria intesa tra le regioni e il
Ministero delle politiche agricole e forestali in una materia
riconducibile pero' alla competenza esclusiva delle regioni.
Il primo comma dell'articolo, pertanto, nella parte in cui
prevede l'intesa con il Ministero delle politiche agricole e
forestali, viola il disposto degli art. 117 e 118 Cost.
17) Illegittimita' dell'art. 91 commi 2 e 6, d.lgs. n. 152/2006
per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
La disposizione contenuta nel comma 2 dell' art. 91, dispone che
il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, sentita la
Conferenza Stato-regioni individui le aree sensibili (ovvero le aree
particolarmente esposte ad inquinamento); quella di cui al comma 6
che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, sempre
sentita la Conferenza Stato-regioni, proceda alla reidentificazione
delle aree sensibili e dei bacini drenanti che contribuiscono
all'inquinamento delle aree medesime.
Se e' vero che l'ambito di intervento della norma e'
riconducibile alla materia dell'ambiente, materia che e' attribuita
dall'art. 117 Cost. alla competenza esclusiva statale, e' anche vero
che dalla individuazione delle aree sensibili discendono importanti
conseguenze a livello di politiche del territorio (basti pensare alla
scelta di sistemi depurativi), che attengono invece piu' propriamente
alla materia del «governo del territorio» e della «tutela della
salute» in relazione alla quale l'art. 117 Cost. riconosce alle
regioni una competenza legislativa concorrente.
Di conseguenza la disposizione sopra citata avrebbe dovuto non
solo limitarsi a prevedere l'obbligo per lo Stato di sentire la
Conferenza Stato-regioni, ma avrebbe dovuto prevedere anche
l'acquisizione di un'intesa con la stessa.
Cio' in conformita' anche dell'orientamento piu' volte espresso
dalla Corte costituzionale in base al quale, qualora per esigenza di
esercizio unitario vengono attratte insieme alla funzione
amministrativa funzioni legislative deve essere dato il dovuto
risalto alle «attivita' concertative e di coordinamento orizzontale,
ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio
di lealta» (sentenza n. 303/2003).
La disposizione, pertanto, nella parte in cui non prevede che il
processo codecisionale sia garantito attraverso un'intesa fra Stato e
regioni viola il disposto degli artt. 117 e 118 Cost.
18) Illegittimita' dell'art. 113, comma 1 e art. 114, comma 1,
d.lgs. n. 152/2006 per violazione dell'art. 117 Cost.
Le norme di cui agli artt 113 e 114 del Testo unico ambiente
subordinano la potesta' normativa regionale in tema di acque
meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia nonche' in tema di
restituzione delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica,
per scopi irrigui e in impianti di potabilizzazione, ad un previo
parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.
Piu' precisamente nel comma 1 dell'art. 113 e' disposto che: «Ai
fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, le regioni,
previo parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio, disciplinano e attuano: (...)»; nel comma 1 dell'art. 114
e' stabilito che «Le regioni, previo parere del Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio, adottano apposita
disciplina in materia di restituzione delle acque utilizzate per la
produzione idroelettrica, (...)».
Le disposizioni sopra riportate non trovano precedenti nella
normativa ambientale. Una loro interpretazione letterale porta a
riconoscere una natura obbligatoria al parere statale in grado quindi
di limitare, o piu' precisamente subordinarne lo svolgimento,
l'attivita' legislativa regionale. Ne consegue la loro illegittimita'
costituzionale per violazione dell' art. 117 Cost.
19) Illegittimita' dell'art. 116 per violazione degli artt. 117 e
118 Cost. Violazione del principio di leale cooperazione.
La disposizione contenuta nell' art. 116, d.lgs. n. 152/2006
disciplina l'iter per l'adozione dei «programmi di misura» destinati
ad integrare i piani di tutela (iter peraltro differente da quello
indicato per l'adozione dei piani di tutela stessa).
I programmi di misura per le loro caratteristiche sono destinati
ad individuare interventi specifici, attuativi dei piani di tutela
con forti ricadute sul territorio.
In base alla disposizione in esame i programmi di misura sono
predisposti dalle regioni e sottoposti per l'approvazione
all'Autorita' di bacino, che puo' invitare la regione, qualora le
misure non risultino sufficienti al raggiungimento degli obiettivi,
ad apportare le dovute modifiche.
La procedura prevede, quindi, un coinvolgimento dei livelli
regionali, che predispongono i programmi, ma poi attribuisce
sostanzialmente le decisioni allo Stato o piu' precisamente
all'Autorita' di bacino (statale) la loro approvazione. E' evidente
allora che il modello procedimentale previsto non consente un
confronto paritario fra i vari interessi coinvolti e non risulta,
pertanto, rispettoso delle competenze riconosciute alle regioni dalla
Costituzione.
La disposizione, pertanto, nella parte in cui prevede
l'approvazione dei programmi e delle misure supplementari da parte
dell'Autorita' di bacino e' illegittima per violazione degli
artt. 117 e 118 Cost. nonche' del principio della leale cooperazione.
20) Illegittimita' dell'art. 148, comma 5, per violazione
dell'art. 117 Cost.
La disciplina di cui all'art. 148, d.lgs. n. 152/2006 contiene
disposizioni in tema di Autorita' d'ambito territoriale.
Il comma 1, prevede l'obbligatoria partecipazione degli enti
locali alle autorita' d'ambito. Il comma 5 stabilisce che «Ferma
restando la partecipazione obbligatoria all'Autorita' d'ambito di
tutti gli enti locali ai sensi del comma 1, 1'adesione alla gestione
unica del servizio idrico integrato e' facoltativa per i comuni con
popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle
comunita' montane, a condizione che la gestione del servizio con
particolare riferimento all'adeguatezza degli investimenti
programmati in relazione ai livelli minimi di servizio individuati
quali obiettivi della gestione (...)».
La disposizione di cui al comma 5 e' lesiva della competenza
legislativa in materia di servizi pubblici locali.
E' noto che la Corte costituzionale ha operato una distinzione
all'interno dei servizi pubblici locali tra quelli dotati di
rilevanza economica e quelli che ne sono sprovvisti.
Mentre questi ultimi possono ricondursi nelle materie di
competenza esclusiva residuale delle regioni ai sensi dell'art. 117
Cost, comma quarto, per quelli a rilevanza economica lo Stato e'
legittimato a porre principi in virtu' della sua competenza esclusiva
in materia di tutela della concorrenza. «L'accoglimento di questa
interpretazione comporta da un lato, che l'indicato titolo di
legittimazione statale e' riferibile solo alle disposizioni di
carattere generale che disciplinano le modalita' di gestione e
l'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e
dall'altro lato che solo le predette disposizioni non possono essere
derogate da norme regionali» (sentenza n. 272/2004).
La disciplina della composizione delle Autorita' d'ambito non
appare riconducibile nei confini di competenza statale delineati
dalla Corte, costituzionale: la previsione di eventuali deroghe alla
gestione unica, per particolari enti territoriali ed in particolari
circostanze, non concretizza una misura volta a tutelare la
concorrenza; al contrario l'individuazione delle ipotesi di deroga
alla gestione unica del servizio e' strettamente connessa a
valutazioni sulle caratteristiche e sulle tipologie degli enti che
insistono sul territorio nonche' a valutazioni sull'opportunita' ed
economicita' di gestioni separate che non possono che competere alla
regione in virtu' delle attribuzioni alle stesse riconosciute dalla
Costituzione in materia di servizi pubblici locali.
La disposizione in esame risulta, pertanto invasiva delle
competenze regionali in materia di servizi pubblici locali e viola il
disposto dell'art. 117 Cost.
21) Illegittimita' dell'art. 149, comma 6, per violazione
dell'art. 117 Cost.
La disposizione contenuta nell'art. 149, comma 6, prevede che il
Piano d'ambito, sia trasmesso entro dieci giorni dalla deliberazione
di approvazione da parte dell'Autorita' d'ambito alla regione,
all'Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio. L'Autorita' di
vigilanza puo' notificare all'ATO i propri rilievi e le proprie
osservazioni entro novanta giorni dettando prescrizioni in relazione
ai livelli minimi di servizio individuati quali obiettivi della
gestione; al piano finanziario con particolare riferimento alla
capacita' dell'evoluzione tariffaria di garantire l'equilibrio
economico della gestione. Va evidenziato che la norma non prevede
alcuna sanzione in caso di mancata ottemperanza da parte
dell'Autorita' d'ambito ai rilievi sollevati.
Le finalita' del controllo consentono di ricondurre l'attivita'
in parte alla materia dei servizi pubblici, in parte alla materia del
governo del territorio (programma degli investimenti).
A ben vedere il controllo previsto dalla disposizione in esame
non appare giustificabile ne' in relazione alla materia dei servizi
pubblici locali, (non venendo qui in rilievo, stante quanto esposto
in relazione all'art. 148, comma 5 profili attinenti alla «tutela
della concorrenza» ne' in relazione alla materia del «governo del
territorio» dove lo Stato deve limitarsi a dettare i principi
fondamentali. Ne' tanto meno e' costituzionalmente legittimo un
controllo sul piano finanziario consistendo quest'ultimo in un vero e
proprio controllo sulla gestione del servizio medesimo.
22) Illegittimita' dell' art. 154, per violazione degli artt. 117
e 119 Cost.
La norma di cui all'art. 154, d.lgs. n. 152/2006 istituisce la
Tariffa per il servizio idrico quale corrispettivo del servizio
idrico integrato e fissa i parametri con cui questa deve essere
determinata.
L'art. 154 determina altresi' le competenze attuative della
Tariffa attribuendo al Ministro del'ambiente e della tutela del
territorio, su proposta dell'Autorita' di vigilanza sulle risorse
idriche e sui rifiuti, il compito di definire con decreto «le
componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai
servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua» (comma 2);
al Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro
dell'ambiente «al fine di assicurare un'omogenea disciplina sul
territorio nazionale» il compito di stabilire i «criteri generali per
la determinazione da parte delle regioni dei canoni di concessione
per l'utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi ambientali e
dei costi di risorsa».
Dalla lettura delle attribuzioni sopra riportate vengono in
rilievo poteri ministeriali sovra ordinati a quello delle regioni, in
violazione delle competenze ad esse riconosciute dal titolo V della
Costituzione.
A supporto di quanto affermato va richiamata la sentenza della
Corte costituzionale n. 335/2005 nella quale il giudice delle leggi
ha dichiarato inammissibile il ricorso governativo presentato contro
la legge regionale dell'Emilia-Romagna che disponeva che la
determinazione della tariffa relativa al servizio integrato e alla
gestione dei rifiuti fosse demandata ad un decreto del presidente
della giunta regionale. La Corte ha evidenziato che il ricorrente non
aveva trovato basi argomentative sulle quali fondare l'asserita
competenza statale sulla materia.
Come infatti, affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza
n. 282/2002, il nuovo riparto della potesta' legislativa risultante
dalla riforma del Titolo V, parte II, della Costituzione impone non
tanto la ricerca di uno specifico titolo costituzionale di
legittimazione dell'intervento regionale, quanto, al contrario,
un'indagine sulla sussistenza di riserve, esclusive o parziali, di
competenza statale.
La disposizione si ingerisce in una materia, i servizi pubblici
locali, riservata alla potesta' residuale delle regioni (sentenza
n. 273/2004; sentenza n. 29/2006) e viola, pertanto, il disposto
dell'art. 117 Cost.
La norma di cui all'art. 154, d.lgs. n. 152/2006 viola, altresi',
l'art. 119 Cost. commi 1 e 2, in quanto invasiva dell'autonomia
finanziaria e tributaria delle regioni, incidendo la stessa su
un'entrata la cui disciplina ricade nella competenza regionale.
23) Illegittimita dell'art. 155, d.lgs. n. 152/2006 per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
Considerazioni del tutto analoghe a quelle sopra esposte possono
essere fatte con riferimento alla disciplina contenuta nell'art. 155,
d.lgs. n. 152/2006 e pertanto anche quest'ultima disposizione viola
gli artt. 117 e 119 Cost.
24) Illegittimita' dell'art. 159, comma 2, per violazione
dell'art. 117 Cost.
La norma di cui all'art. 159, comma 2, d.lgs. n. 152/2006,
disciplina la composizione dell'Autorita' di vigilanza sulle risorse
idriche e sui rifiuti prevedendo una presenza minoritaria dei
rappresentanti delle regioni (quattro membri nominati su designazione
della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province
autonome) rispetto a quella riconosciuta ai vari Ministeri (nove
membri piu' il Presidente).
L'illegittimita' costituzionale di questa disposizione emerge a
prima vista tenendo presente quanto previsto dal successivo art. 160
rubricato «compiti e funzioni dell'Autorita' di vigilanza».
Nell'articolo da ultimo citato, infatti, il legislatore delegato
riconosce alla predetta Autorita' numerosi compiti, fortemente
incisivi in materie di competenza regionale, quali ad esempio in via
puramente esemplificativa: l'osservanza dei principi e delle regole
della concorrenza e della trasparenza nelle procedure di affidamento
dei servizi; la tutela dei diritti degli utenti; il controllo della
qualita' dei servizi erogati agli utenti ecc. Si tratta di materie
rispetto alle quali vengono in rilievo interessi riconducibili sia
alla competenza statale sia a quella concorrente delle regioni sia a
quella esclusiva delle stesse.
In considerazione dei compiti e delle funzioni dell'Autorita',
come sopra sintetizzate e della composizione della medesima come
prevista dal comma 2 dell'art. 159, e' evidente che la censura di
illegittimita' costituzionale riguardi quest'ultima previsione. Per
effetto infatti di quanto ivi disposto si verifica un'illegittima
attribuzione in capo allo Stato di funzioni costituzionalmente
garantite alle regioni in materia di servizi pubblici locali. Di qui
la violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
25) Illegittimita' dell'art. 160, comma 2, lettera f); art. 160
comma 2 lettera g), d.lgs. n. 152/2006 per violazione dell'art. 117
Cost.
L'art. 160 comma 2, lettera f), d.lgs. n. 152/2006 demanda
all'Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti
l'indicazione dei livelli generali di qualita' dei servizi da
prestare nel rispetto delle prescrizioni contenute nei regolamenti
del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio che
disciplinano la materia.
L'art. 160, lett. g), affida alla medesima Autorita' il
controllo sull'adozione da parte dei gestori di una carta di servizio
pubblico con l'indicazione di standard dei singoli servizi nonche' la
verifica del rispetto della carta medesima.
In entrambi i casi, come ha gia' avuto occasione di affermare la
Corte costituzionale con le sentenze nn. 273/2004 e 29/2006 si tratta
di disposizioni che attengono alla materia di servizi pubblici locali
riservata alla potesta' residuale delle regioni.
Se e' vero che compete allo Stato la determinazione dei livelli
generali di qualita' dei servizi, e' anche vero che, la
specificazione degli stessi, non puo' che essere affidata alle
regioni.
Il comma 2, lettera f), dell'art. 160, viola, pertanto, il
riparto di competenze individuato dal titolo V Cost.
Allo stesso modo e' indubbio che la gestione del servizio idrico
sia di competenza delle regioni che vi provvedono attraverso la
costituzione delle Autorita' d'ambito alle quali e' demandato il
compito di individuare, con le forme stabilite dallo Stato, il
gestore del servizio nonche' di controllare la regolarita' e
correttezza del servizio medesimo.
Il comma 2, lettera g), e' pertanto costituzionalmente
illegittimo per violazione dell'art. 117 Cost.
26) Illegittimita' dell'art. 181, commi 7, 8, 9, 10 e 11, e
dell'art. 183, comma 1, lettera q), per violazione degli artt. 117,
118, 11 e 76 Cost.
26.1) La Parte quarta del d.lgs. n. 152/2006 detta «Norme in
materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati».
Essa e' suddivisa in sei Titoli: «Gestione dei rifiuti»; «Gestione
degli imballaggi»; «Gestione di particolari categorie di rifiuti»;
«Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani»; «Bonifica di siti
contaminati»; «Sistema sanzionatario e disposizioni transitorie e
finali». Si tratta di una complessa ed articolata normativa che si
caratterizza da un lato per contenere numerose disposizioni in
contrasto con la disciplina comunitaria e, dall'altro, che violano il
riparto di competenze Stato-regioni.
26.2) L'art. 181, d.lgs. n. 152/2006 nel disciplinare il c.d.
«Recupero dei rifiuti», prevede al comma 7 la possibilita' per «i
soggetti economici interessati o le associazioni di categoria
rappresentative dei settori interessati, anche con riferimento ad
interi settori economici e produttivi» di stipulare con il Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio «appositi accordi di
programma (...) per definire i metodi di recupero dei rifiuti
destinati all'ottenimento di materie prime secondarie, di
combustibili o di prodotti». Tali accordi, continua la disposizione
in parola, «fissano le modalita' e gli adempimenti amministrativi per
la raccolta, per la messa in riserva, per il trasporto dei rifiuti,
per la loro commercializzazione, anche tramite il mercato telematico,
con particolare riferimento a quello del recupero realizzato dalle
Camere di commercio, e per i controlli delle caratteristiche e i
relativi metodi di prova; i medesimi accordi fissano altresi' le
caratteristiche delle materie prime secondarie, dei combustibili o
dei prodotti ottenuti, nonche' le modalita' per assicurare in ogni
caso la loro tracciabilita' fino all'ingresso nell'impianto di
effettivo impiego».
I successivi commi dall'8 all'11 dell'art. 181, disciplinano le
modalita' procedurali per la stipulazione, l'approvazione e la
pubblicazione degli accordi di programma.
Gran parte delle locuzioni utilizzate dal legislatore nelle
disposizioni sopra citate trovano il loro significato nelle
definizioni contenute nel successivo art. 183, comma 1. In
particolare, vengono in considerazione le definizioni dei termini:
g) «smaltimento»; h) «recupero»; m) «deposito temporaneo»;
q) «materia prima secondaria». Tali disposizioni, considerate nei
loro effetti complessivi, operano una deregolamentazione «mascherata»
del settore, in pieno contrasto con le normative europee. Di
conseguenza la violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 della
Costituzione.
Piu' precisamente e' possibile evidenziare quanto segue.
Gli accordi di programma previsti dalla normativa citata
consentono, infatti, di derogare al sistema normativo pre-vigente (in
parte trasfuso nello stesso Testo unico) in materia di rifiuti,
istituendo una contrattazione diretta tra soggetti economici e
Amministrazione statale idonea ad escludere dal regime dei rifiuti e
dalle relative procedure di autorizzazione e di controllo tutta una
serie di materiali o sostanze - tra cui le materie prime secondarie -
che nella legislazione vigente e nel diritto comunitario (direttiva
n. 75/442/CEE, cosi' come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE)
invece vi sono assoggettati.
In particolare il contrasto fra la normativa nazionale di cui al
d.lgs. n. 152/2006 e la normativa comunitaria e' evidente rispetto
alla previsione dell'art. 11, direttiva n. 75/442 nella parte in cui
si stabilisce che l'obbligo generale dell'autorizzazione per lo
svolgimento di attivita' di recupero dei rifiuti possa essere
derogato solo «qualora le autorita' competenti abbiano adottato per
ciascun tipo di attivita' norme generali che fissano i tipi e le
quantita' di rifiuti e le condizioni alle quali l'attivita' puo'
essere dispensata dall'autorizzazione».
Violazione di tutta evidenze se solo si considera che ai sensi
dell'art. 181, comma 9, le norme generali che fissano i tipi e le
quantita' di rifiuti e le condizioni alle quali l'attivita' puo'
essere dispensata dall'autorizzazione dovranno essere fissate
necessariamente dai predetti accordi di programma anzi che
dall'autorita' competente come richiesto a livello comunitario.
In secondo luogo risulta in contrasto con la normativa
comunitaria la previsione di cui al comma 7 il quale, rinviando al
precedente comma 5, richiama la comunicazione della Commissione al
Parlamento europeo ed al Consiglio e al Comitato delle regioni del 17
luglio 2002, quale modello cui si devono ispirare gli accordi di
programma previsti. Si tratta di accordi finalizzati alla riduzione
dei livelli di inquinamento di cui all'art. 174 del Trattato. Gli
accordi invece previsti dalle disposizioni censurate, diretti a
deregolamentare la disciplina dei rifiuti, non corrispondono affatto
a quanto ipotizzato nella predetta comunicazione della Commissione,
ossia alla possibilita' che - tramite accordi fra le parti - si
raggiungano obbiettivi di una migliore tutela ambientale.
Anche per le ragioni sopra esposte, le disposizioni contenute nei
commi 7, 8, 9, 10 e 11 dell' art. 181, si pongono in contrasto con i
principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, della
legge delega n. 308/2004 e, in particolare, con i principi e criteri
di cui alle lettere e) ed f), secondo i quali il nuovo testo unico
doveva dare, da un lato, «piena e coerente attuazione delle direttive
comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela
dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitivita' dei
sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di
distorsione della concorrenza»; e, dall'altro, «affermazione dei
principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e
riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio
"chi inquina paga"».
Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione.
Violazioni che si ripercuotono sulle competenze costituzionali
della regione dato che la materia dei rifiuti si colloca in una zona
in cui si intersecano gli aspetti tipicamente ambientali, di
competenza dello Stato e gli aspetti di tutela del territorio, di
tutela igienico-sanitaria e di sicurezza della popolazione, di
competenza regionale. Per effetto infatti della nuova disciplina
un'ampia congerie di categorie di rifiuti, nonche' i metodi di
recupero dei rifiuti e le modalita' di raccolta, di messa in
sicurezza, di trasporto, verranno, con detti accordi di programma,
dispensati dall'assoggettamento dei poteri di autorizzazione,
controllo e pianificazione riconosciuti in capo alle regioni dal
combinato disposto della normativa comunitaria e della legislazione
nazionale previgente, con evidenti pregiudizi per la sicurezza
dell'intera collettivita'.
26.3) L'art. 183, comma 1, lettera f), d.lgs. n. 152/2006
definisce la «raccolta differenziata» come «la raccolta idonea,
secondo criteri di economicita', efficacia, trasparenza ed
efficienza, a raggruppare i rifiuti urbani in frazioni merceologiche
omogenee, al momento della raccolta o, per la frazione organica
umida, anche al momento del trattamento, nonche' a raggruppare i
rifiuti di imballaggio separatamente dagli altri rifiuti urbani, a
condizione che tutti i rifiuti sopra indicati siano effettivamente
destinati al recupero».
La definizione legislativa sopra riportata ammette, in sostanza,
la possibilita' di procedere al raggruppamento dei rifiuti urbani in
frazioni merceologiche omogenee anche, con riferimento alla frazione
organica umida, in momento successivo alla raccolta.
Tale previsione si pone in contrasto con la normativa comunitaria
in materia di rifiuti nonche' con la legge delega e quindi,
conseguentemente, contrasta con gli artt. 11, 76 e 117 della
Costituzione.
In primo luogo infatti si pone in contrasto con la disciplina
comunitaria la cui finalita', ai sensi di quanto previsto
dall'art. 3, direttiva 75/442/CEE, e' quella di aumentare e favorire
il recupero dei rifiuti mediante il loro riciclo, reimpiego o
riutilizzo.
Conseguentemente, per le ragioni sopra esposte, l'art. 183, comma
1, lett. f) si pone in contrasto con i principi e criteri direttivi
individuati dall'art. 1, comma 8, della legge delega n. 308/2004 e,
in particolare, con i principi e criteri di cui alle lettere e) ed
f), secondo i quali il nuovo testo unico doveva dare, da un lato,
«piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di
garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e di contribuire in
tale modo alla competitivita' dei sistemi territoriali e delle
imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza»; e,
dall'altro, «affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di
precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni
ambientali e del principio «chi inquina paga».
Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituione.
In secondo luogo la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 152/2006
determina una illegittima compressione delle competenze
costituzionali della regione in materia di tutela dell'ambiente,
tutela della salute e governo del territorio, dal momento che
aumenteranno i materiali da conferire in discarica o alla
termovalorizzazione con evidenti pregiudizi sul potere di
programmazione delle regioni, con pregiudizi per la sicurezza e
salute della popolazione.
28) Illegittimita' dell'art. 185, comma 1, per violazione degli
artt. 117, 11 e 76 Cost.
L'art. 185 limita il campo di applicazione della Parte quarta del
d.lgs. n. 152/2006, disponendo che «non rientrano nel campo di
applicazione della parte quarta del presente decreto (...)». Si
tratta ad esempio: delle emissioni costituite da effluenti gassosi
emessi nell'atmosfera di cui all'art. 183; degli scarichi idrici; dei
rifiuti radioattivi ecc. (lettere da a) ad n)). Come e' evidente si
tratta delle stesse tipologie di rifiuti che invece ai sensi della
disciplina comunitaria per poter essere escluse dalla normativa sui
rifiuti dovrebbero essere comunque assoggettate a specifiche
discipline di settore.
Consegue quindi che la disposizione citata e' in contrasto con la
normativa comunitaria in materia nonche' con le disposizioni dettate
dal legislatore delegante.
In particolare, risulta non conforme con quanto richiesto dalla
direttiva n. 75/442/CEE (art. 2), dato che i rifiuti di cui
all'art. 185 vengono sottratti dall'applicazione della disciplina in
materia di gestione dei rifiuti a prescindere da una qualsiasi
valutazione circa la sussistenza di una loro disciplina in
disposizioni specifiche.
Da cio' segue, pertanto, che i rifiuti elencati nell'art. 185
saranno sottratti dal regime autorizzatorio e di controllo proprio
dei rifiuti nel caso in cui manchi o venga abrogata una specifica
disciplina di legge che ne disciplini la specifica gestione.
Conseguentemente, per le ragioni sopra esposte, l'art. 185, comma
1, si pone in contrasto con i principi e criteri direttivi
individuati dall'art. 1, comma 8, della legge delega n. 308/2004 e,
in particolare, con i gia' citati principi e criteri di cui alle
lettere e) ed f). Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della
Costituzione.
29)Illegittimita' dell'art. 186 per violazione degli artt. 117,
11 e 76 Cost.
La norma di cui all'art. 1, d.lgs. n. 152/2006 sottrae in via
generale dalla disciplina in materia di gestione dei rifiuti le terre
e rocce da scavo, anche di gallerie, ed i residui della lavorazione
della pietra. L'articolo di legge citato, infatti, dispone che «le
terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ed i residui della
lavorazione della pietra destinate all'effettivo utilizzo per
reinterri, riempimenti, rilevati e macinati non costituiscono rifiuti
e sono, percio', esclusi dall'ambito di applicazione della parte
quarta del presente decreto solo nel caso in cui, anche quando
contaminati, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti
derivanti dalle attivita' di escavazione, perforazione e costruzione
siano utilizzati, senza trasformazioni preliminari, secondo le
modalita' previste nel progetto sottoposto a valutazione di impatto
ambientale ovvero, qualora il progetto non sia sottoposto a
valutazione di impatto ambientale, secondo le modalita' previste nel
progetto approvato dall'autorita' amministrativa competente, ove cio'
sia espressamente previsto, previo parere delle Agenzie regionali e
delle province autonome per la protezione dell'ambiente, sempreche'
la composizione media dell'intera massa non presenti una
concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti
dalle norme vigenti e dal decreto di cui al comma 3» (comma 1).
Nei successivi commi il legislatore delegato disciplina le
modalita' procedurali per la determinazione dei limiti massimi
accettabili nonche' le modalita' di analisi dei materiali ai fini
della loro caratterizzazione. Vengono altresi' dettate le definizioni
di «effettivo utilizzo» per reinterri, riempimenti, rilevati e
macinati (comma 5).
In particolare, il terzo comma prevede che «il rispetto dei
limiti di cui al comma 1 puo' essere verificato, in alternativa agli
accertamenti sul sito di produzione, anche mediante accertamenti sui
siti di deposito, in caso di impossibilita' di immediato utilizzo. I
limiti massimi accettabili nonche' le modalita' di analisi dei
materiali ai fini della loro caratterizzazione, da eseguire secondo i
criteri di cui all'Allegato 2 del Titolo V della parte quarta del
presente decreto, sono determinati con decreto del Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio da emanarsi entro novanta
giorni dall'entrata in vigore della parte quarta del presente
decreto, salvo limiti inferiori previsti da disposizioni speciali.
Sino all'emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi i
valori di concentrazione limite accettabili di cui all'Allegato 1,
tabella 1, colonna B, del decreto del Ministro dell'ambiente 25
ottobre 1999, n. 471».
La sottrazione dal regime dei rifiuti delle terre e rocce da
scavo, disposta dal sopra riportato testo di legge, viola sia la
normativa comunitaria in materia di rifiuti sia i criteri dettati dal
legislatore con la delega n. 308/2004 risultando quindi
costituzionalmente illegittima per contrasto con gli artt. 11, 76 e
117 Cost.
In via preliminare risulta evidente il contrasto con la legge di
delega la quale prevedeva tra i criteri direttivi da seguirsi
nell'adozione del testo unico la «piena e coerente attuazione delle
direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela
dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitivita' dei
sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di
distorsione della concorrenza» (art. 1, comma 8, lettera e); ed anche
l'«affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di
precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni
ambientali e del principio "chi inquina paga"» (lettera f)).
Tali illegittimita' si ripercuotono, ovviamente, in modo lesivo
sulle competenze costituzionali della regione in materia di tutela
dell'ambiente, tutela della salute e governo del territorio,
pregiudicando il corretto svolgimento delle funzioni regionali in
queste materie.
In secondo luogo, come detto, la normativa contenuta nella norma
impugnata viola la disciplina comunitaria cosi' come anche
interpretata dalla Corte di giustizia. In particolare viene in
rilievo la violazione da un lato della nozione di rifiuti di cui
all'art. 1, comma 1, lettera a), direttiva 75/442/CEE cosi' come
anche interpretata, in maniera molto rigorosa dalla Corte di
giustizia europea (cause C-418/97 e C-419/1997 - «Arco» C-9/00 -
«Palin Granit», C-114/01, «AvestaPolarit Chrome»; e C-457/02,
«Niselli». Interpretazione rigorosa, per vero, avallata anche dalla
Corte di cassazione con la sentenza n. 47269/2005 e con l'ordinanza
n. 1414/2006 la quale ha confermato che la nozione di rifiuto deve
essere intesa in senso estensivo e non restrittivo come invece
avviene con le norme impugnate. La nuova disciplina inoltre non
appare in linea con quella dettata dall'art. 11 direttiva comunitaria
n. 75/442/CEE, cosi' come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE.
La norma comunitaria, infatti, prevede che la dispensa dall'
autorizzazione sia possibile solo quando le autorita' competenti
abbiano fissato norme generali che stabiliscano i tipi e le quantita'
di rifiuti e le condizioni alle quali l'attivita' puo' essere
dispensata dall'autorizzazione.
Il decreto legislativo impugnato fa al contrario venir meno il
quadro normativo generale richiesto dalle direttive europee,
sostituendolo con una vasta «privatizzazione» della disciplina;
mentre, per altro verso, la normativa europea richiede, per
«ecludere» un rifiuto dal campo di applicazione della direttiva
75/442, che le esenzioni siano ammissibili soltanto se disciplinate
da specifica norma speciale cio' che non avviene con la disciplina
generale di esenzione che le norme impugnate prevedono per MPS e
sottoprodotti.
Da qui la violazione degli artt. 11, 76 e, conseguentemente,
dell'art. 117 della Costituzione, atteso che tale violazioni e
irrazionalita' si ripercuotono sulle competenze costituzionali della
regione in materia di tutela dell'ambiente, della salute e del
governo del territorio, dal momento che le terre e rocce di scavo
vengono dispensati dall'assoggettamento dei poteri di autorizzazione,
controllo e pianificazione riconosciuti in capo alle, regioni dal
combinato disposto della normativa comunitaria e della legislazione
nazionale previgente, con evidenti pregiudizi per la sicurezza della
popolazione.
30) Illegittimita' dell'art. 189, commi 1 e 3, per violazione
degli artt. 117, 118, 11 e 76 Cost.
L'art. 189, d.lgs. n. 152/2006 disciplina il c.d. Catasto dei
rifiuti, riproducendo per la maggior parte le disposizioni vigenti
ante riforma (art. 11, legge n. 22/1997).
Le disposizioni rispetto alle quali, allora, viene sollevato il
vizio di legittimita' costituzione sono quelle contenute nei commi 1
e 3.
Il comma 1 dell'art. 189, innovando rispetto alla precedente
normativa, ha eliminato la necessaria audizione della Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e Bolzano per la riorganizzazione del Catasto dei
rifiuti, istituito dall'art. 3 del decreto-legge 9 settembre 1988,
n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988,
n. 475.
Il comma 3 dell'art. 189 del Testo unico ambiente esonera i
produttori di rifiuti non pericolosi dall'obbligo di presentare il
c.d. MUD (ovvero il «modello unico» introdotto dalla legge
n. 70/1994), ossia di comunicare annualmente alle Camere di comercio
le quantita' e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto di
raccolta, trasporto e recupero.
L'art. 189, comma 1, si pone in contrasto con gli articoli 117 e
118 della Costituzione, atteso che, come ha rilevato in passato la
Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 407/2002), allorquando il
legislatore nazionale interviene in una materia (nel caso di specie,
i rifiuti) ove gli interessi ambientali si sovrappongono con quelli
di tutela del territorio e della tutela della salute e sicurezza
della popolazione, e' necessario il coinvolgimento delle regioni
attraverso l'intesa con la Conferenza unificata. Tale procedura non
e' stata rispettata ed inoltre non e' prevista neanche nessuna forma
di coinvolgimento delle regioni in una fase successiva.
Anche il terzo comma dell'art. l89, d.lgs. n. 152/2006 si pone in
contrasto sia con la normativa comunitaria (di cui agli artt. 6 e 14
della direttiva 75/442/CEE), sia con la legge delega: quindi
contrasta con gli artt. 11, 76, 117 della Costituzione. Tutto cio'
per i motivi di seguito illustrati.
L'ambito di applicazione dell'obbligo di comunicazione viene
delimitato dalla normativa introdotta dal d.lgs. n. 152/2006 in
maniera assai restrittiva dato che ne vengono esentate le imprese e
gli enti che producono rifiuti non pericolosi. Si produrra' di
conseguenza una preoccupante perdita di informazioni per quanto
riguarda molteplici categorie di rifiuti che potranno circolare
liberamente, senza consentire alle strutture chiamate a svolgere i
controlli ambientali di conoscere i dati relativi alla produzione che
sono base di conoscenza per seguire il percorso dei rifiuti.
Per le ragioni sopra esposte, l'art. 189 si pone in contrasto con
i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8,
della legge delega n. 308/2004 e, in particolare, con i principi e
criteri di cui alle lettere e) ed f), secondo i quali il nuovo testo
unico doveva dare, da un lato, «piena e coerente attuazione delle
direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela
dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitivita' dei
sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di
distorsione della concorrenza»; e, dall'altro, «affermazione dei
principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e
riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio
"chi inquina paga"».
In conclusione e' allora evidente che le disposizioni sopra
esposte si ripercuotono - negativamente - sulle competenze
costituzionali della regione in materia di tutela dell'ambiente,
tutela della salute e governo del territorio, dal momento che le
imprese e gli enti che producono rifiuti non pericolosi vengono
dispensati dalla comunicazione annuale al Catasto dei rifiuti,
andando cosi' a incidere sui poteri di autorizzazione, controllo e
pianificazione riconosciuti in capo alle regioni dal combinato
disposto della normativa comunitaria e della legislazione nazionale
previgente, con evidenti pregiudizi per la sicurezza della
popolazione.
31) Illegittimita' dell'art. 195, comma 1, lettera f); comma 2,
lettere b), e), l), m) e s); art. 196, comma 1, lettera d), per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
Gli artt. 195 e 196 del d.lgs. n. 152/2006 stabiliscono le
competenze dello Stato e delle regioni in materia di rifiuti. La
materia e' completata dalle disposizioni contenute negli artt. 197 e
198 che delineano le competenze delle province e dei comuni.
La disciplina che risulta dal combinato disposto degli artt. 195
e 196 produce una notevole limitazione dell'autonomia regolamentare
delle regioni e pertanto si pone in contrasto con gli articoli 117 e
118 della Costituzione.
Piu' precisamente il pregiudizio dell'autonomia regionale risulta
rispetto all'attivita' programmatoria del «ciclo» rifiuti (dalla loro
raccolta all'attivita' di bonifica dei siti inquinati), con
pregiudizio quindi dell'autonomia regionale in materia di tutela
dell'ambiente, della salute, di governo del territorio, di gestione
dei servizi pubblici.
Le censure di costituzionalita' riguardano le seguenti
previsioni.
La disposizione contenuta nella lettera f) del primo comma
dell'art. 195, e' illegittima nella parte in cui attribuisce allo
Stato «l'individuazione, nel rispetto delle attribuzioni
costituzionali delle regioni, degli impianti di recupero e di
smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la
modernizzazione e lo sviluppo del Paese», dal momento che tale
individuazione avverra' sulla base di una mera audizione della
Conferenza unificata di cui all'art. 8, d.lgs. n. 281/1997, e non
gia' previa intesa con la regione interessata, che appare il
provvedimento piu' idoneo a garantire il rispetto nella materia de
quo delle prerogative regionali.
Comporta altresi' una limitazione delle attribuzioni regionali
la previsione contenuta nell'art. 196, comma 1, lettera d), la quale
riconosce in capo alla «competenza delle regioni, nel rispetto dei
principi previsti dalla normativa vigente e dalla parte quarta del
presente decreto, ivi compresi quelli di cui all'articolo 195:
(...) d) l'approvazione dei progetti di nuovi impianti per la
gestione dei rifiuti, anche pericolosi e l'autorizzazione alle
modifiche degli impianti esistenti, fatte salve le competenze statali
di cui all'art. 195, comma 1, lettera f)».
Dal combinato disposto di cui agli artt. 195, comma 1, lettera
f), e 196, comma 1, lettera d), d.lgs. n. 152/2006, si desume che gli
impianti di recupero e di smaltimento d'interesse nazionale saranno
individuati ed approvati direttamente dallo Stato senza alcun
coinvolgimento della regione con conseguente illegittima compressione
delle funzioni di questa in materia di salute, ambiente e governo del
territorio.
Del pari illegittime, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.,
risultano le disposizioni contenute nelle lettere b), e), l), m) e s)
dell'art. 195, comma 2.
Si prevede infatti che: «sono inoltre di competenza dello Stato:
(...);
b) l'adozione delle norme e delle condizioni per
l'applicazione delle procedure semplificate di cui agli artt. 214,
215 e 216, ivi comprese le linee guida contenenti la specificazione
della relazione da allegare alla comunicazione prevista da tali
articoli; (...)
e) la determinazione dei criteri qualitativi e
quali-quantitativi per l'assimilazione, ai fini della raccolta e
dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, derivanti
da enti e imprese esercitate su aree con superficie non superiore ai
150 metri quadri nei comuni con popolazione residente inferiore a
10.000 abitanti, o superficie non superiore a 250 metri quadri nei
comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti. Non
possono essere di norma assimilati ai rifiuti urbani i rifiuti che si
formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime
e di prodotti finiti, salvo i rfluti prodotti negli uffici, nelle
mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori
o comunque aperti al pubblico; (...)
l) la definizione del modello e dei contenuti del formulano
di cui all'art. 193 e la regolamentazione del trasporto dei rifiuti
ivi inclusa l'individuazione delle tipologie di rifiuti che per
comprovate ragioni tecniche, ambientali ed economiche devono essere
trasportati con modalita' ferroviaria;
m) l'individuazione delle tipologie di rifiuti che per
comprovate ragioni tecniche, ambientali ed economiche possono essere
smaltiti direttamente in discarica; (...)
s) l'individuazione della misura delle sostanze assorbenti e
neutralizzanti, previamente testate da Universita' o Istituti
specializzati, di cui devono dotarsi gli impianti destinati allo
stoccaggio, ricarica, manutenzione, deposito e sostituzione di
accumulatori alfine di prevenire l'inquinamento del suolo, del
sottosuolo e di evitare danni alla salute e all'ambiente derivanti
dalla fuoriuscita di acido, tenuto conto della dimensione degli
impianti, del numero degli accumulatori e del rischio di sversamento
connesso alla tipologia dell'attivita' esercitata».
Come risulta dalla lettura delle disposizioni sopra riportate si
tratta di un'elencazione di competenze in favore dello Stato che
consente allo stesso di dettare norme di dettaglio (e non solo di
carattere generale) in materie che risultano connesse con le
attribuzioni regionali in tema di tutela della salute, di gestione di
servizi pubblici, di pianificazione e programmazione del territorio,
ecc. al punto da pregiudicare il potere di programmazione e
disciplina riconosciuto invece alle regioni. Di qui quindi la
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
32) Illegittimita' dell'art. 199, commi 9, e 10, per violazione
degli artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
La norma di cui all'art. 199, d.lgs. n. 152/2006 disciplina i
piani regionali di gestione dei rifiuti.
Il comma 9 prevede in capo al solo Stato ovvero al Ministro
dell'ambiente e tutela del territorio il potere sostitutivo della
loro realizzazione allorquando «le autorita' competenti non
realizzino gli interventi previsti dal piano regionale nei termini e
con le modalita' stabiliti e tali omissioni possano arrecare un grave
pregiudizio all'attuazione del piano medesimo».
La disposizione sopra riportata viola gli artt. 117 e 118 della
Costituzione, in quanto, il potere sostitutivo avrebbe dovuto essere
riconosciuto, in via preliminare, alle regioni dato che si tratta di
esercitarlo rispetto ad enti locali su materie di competenza
regionale.
Del pari illegittima per violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118
della Costituzione, e' la disposizione contenuta nel comma 10,
perche', da un lato, individua il contenuto dei provvedimenti in via
sostitutiva di cui al comma 9 anche nell'ipotesi in cui, come si e'
visto, il potere sostitutivo ricade nella competenza regionale; e,
dall'altro, nell'individuare il contenuto di detti provvedimenti
sostitutivi non riprende la disposizione di cui all'art. 22,
comma 10, lettera c) della legge n. 22/1997, che consentiva
l'introduzione di sistemi di deposito cauzionale obbligatorio dei
contenitori.
Sotto quest'ultimo aspetto allora il comma 10 del Testo unico
ambiente si pone in contrasto anche con la direttiva comunitaria
n. 75/442/CEE (come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE),
laddove prevede, tra le finalita' che la normativa sui rifiuti deve
perseguire, la prevenzione o la riduzione della produzione e
nocivita' degli stessi. La soppressione da parte della normativa
nazionale della costituzione di un deposito cauzionale che costituiva
un deterrente all'aumento della produzione e nocivita' dei rifiuti,
costituisce un motivo di lesione e compressione dell'autonomia
finanziaria delle regioni dato che si ripercuote direttamente sulle
risorse economiche di cui queste potranno disporre.
Per le ragioni sopra esposte, l'art. 199, comma 10, si pone
quindi anche in contrasto con i principi e criteri direttivi
individuati dall'art. 1, comma 8, della legge delega n. 308/2004
(lettre e) ed f) secondo i quali la normativa italiana avrebbe dovuto
uniformarsi a quella comunitaria. Da qui la violazione degli artt. 11
e 76 della Costituzione.
E' evidente che la violazione dei sopra menzionati criteri di
delega si ripercuotono sulle competenze costituzionali della regione
in materia di tutela dell'ambiente, tutela della salute e governo del
territorio, e quindi comporta anche la violazione degli artt. 117 e
118 Cost.
33) Illegittimita' dell'art. 201, comma 6, e art. 203, comma 2,
lettera e), per violazione degli artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
L'art. 201, del Testo unico ambiente, detta la disciplina del
servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani.
Al comma 6 il legislatore delegato stabilisce che «la durata
della gestione da parte dei soggetti affidatari, non inferiore a
quindici anni, e' disciplinata dalle regioni in modo da consentire il
raggiungimento di obiettivi di efficienza, efficacia ed economicita».
L'art. 203, del citato d.lgs. n. 152/2006, detta la disciplina
dello schema tipo di contratto di servizio tra le Autorita' d'ambito
e i soggetti affidatari del servizio integrato.
Nel dettarne i contenuti, la lettera c)prevede che la durata
dell'affidamento non debba essere inferiore a quindici anni.
La previsione di una durata minima quindicennale delle gestioni
integrate dei rifiuti urbani si pone in contrasto sia con la
normativa comunitaria in materia di rifiuti sia con i criteri di
riforma dettati dalla legge delega.
E' il caso di evidenziare infatti come una durata di quindici
anni per le gestioni integrate dei rifiuti si pone in evidente
conflitto con la disciplina contenuta nella direttiva comunitaria
n. 75/442/CEE (come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE),
laddove, all'art. 5, si stabilisce che gli Stati membri adottino le
«misure appropriate per la creazione di una rete integrata e adeguata
di impianti di smaltimento, che tenga conto delle tecnologie piu'
perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi» e che
«tale rete deve inoltre permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno
degli impianti appropriati piu' vicini, grazie all'utilizzazione dei
metodi e delle tecnologie piu' idonei a garantire un alto grado di
protezione dell'ambiente e della salute pubblica».
In sostanza quindi la disciplina comunitaria sottolinea
l'importanza di un frequente aggiornamento delle tecnologie
utilizzate per il trattamento dei rifiuti presupponendo ovviamente
che nel tempo queste diventino sempre piu' efficaci nel trattamento
dei rifiuti e nella salvaguardia dell'ambiente e della salute dei
cittadini.
All'opposto invece, con le disposizioni sopra citate, si pone la
normativa italiana. E' evidente infatti che la concessione di
un'autorizzazione per la durata di quindici anni non puo' consentire
di perseguire l'obiettivo di tenere conto delle tecnologie piu'
aggiornate e di utilizzare i metodi piu' idonei a garantire un alto
grado di protezione ambientale e della salute pubblica.
D'altra parte, per le ragioni sopra esposte, l'art. 201, comma 6,
si pone anche in contrasto con i principi e criteri direttivi
individuati dall'art. 1, comma 8, della legge delega n. 308/2004 e,
in particolare, con i principi e criteri di cui alle lettere e) ed
f), con conseguente violazione degli artt. 11 e 76 Cost.
34) Illegittimita' dell'art. 202, comma 1, per violazione degli
artt. 117 e 118 Cost.
La norma di cui all'art. 202, d.lgs. n. 152/2006 disciplina
l'affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani.
Nel comma 1 e' stabilito che «l'Autorita' d'ambito aggiudica il
servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara
disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in
conformita' ai criteri di cui all'art. 113, comma 7 del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonche' con riferimento
all'ammontare del corrispettivo per la gestione svolta, tenuto conto
delle garanzie di carattere tecnico e delle precedenti esperienze
specifiche dei concorrenti, secondo modalita' e termini definiti con
decreto dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nel
rispetto delle competenze regionali in materia».
La disposizione e' in contrasto con gli artt. 117 e 118 della
Costituzione in quanto la previsione che l'affidamento del servizio
avvenga sulla base delle modalita' e nei termini definiti con un
decreto ministeriale comporta una violazione delle competenze
regionali dato che le norme ad esse relative saranno di dettaglio e
non di carattere generale come invece dovrebbe essere ogni qual volta
sussiste una competenza concorrente Stato-regione.
A confutare l'illegittima compressione delle funzioni della
regione non puo' certamente valere la previsione secondo la quale il
Ministero nell'adozione del citato d.m. dovra' rispettare le
«competenze regionali in materia». Trattandosi infatti di materia che
coinvolge anche discipline di competenza regionale (governo del
territorio, salute, servizi pubblici, ecc.), il procedimento di
adozione del decreto ministeriale avrebbe dovuto prevedere
l'acquisizione di una previa intesa con le stesse.
35) Illegittimita' dell'art. 208, comma 10, per violazione degli
artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
L'art. 208, d.lgs. n. 152/2006 disciplina la c.d. autorizzazione
unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti.
Il comma 10 del menzionato articolo prevede che «ove l'autorita'
competente non provveda a concludere il procedimento di rilascio
dell'autorizzazione unica entro i termini previsti al comma 8, si
applica il potere sostitutivo di cui all'art. 5 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112».
La disposizione di legge prevede quindi un potere sostitutivo
dello Stato nel caso in cui vi sia un inadempimento nell'esercizio
della menzionata funzione.
La disposizione viola gli artt. 117, 118 della Costituzione in
quanto, come piu' volte ha gia' ricordato la Corte costituzionale (ex
multis: sentenza n. 43/2004), anche le regioni hanno il potere di
sostituirsi a enti inadempienti nelle materie di competenza
regionale. Il caso di specie e' uno di questi dato che si verte su
materia che va ad intersecarsi con altre di competenza regionale
quali la tutela della salute, il governo del territorio, ecc.
36) Illegittimita' dell'art. 212, commi 2 e 3, per violazione
degli artt. 117 e 118 Cost.
L'art. 212, d.lgs. n 152/2006 disciplina l'Albo nazionale dei
gestori ambientali stabilendo che esso e' articolato in un Comitato
nazionale, con sede presso il Ministero dell'ambiente, ed in sezioni
regionali e provinciali, istituite presso le Camere di commercio.
La disciplina contenuta nei commi 2 e 3, modifica la precedente
(contenuta nel d.lgs. n. 22/1997), con riferimento fra l'altro alla
composizione del Comitato nazionale.
In particolare si prevede un aumento del numero dei componenti a
favore del Ministero per quanto concerne il Comitato nazionale e a
favore delle organizzazioni sindacali e delle categorie economiche
relativamente alle sezioni regionali o provinciali dell'Albo, con
contestuale riduzione dei componenti di nomina regionale.
Le disposizioni sopra citate si pongono in contrasto con gli
artt. 117 e 118 della Costituzione in quanto, prevedendo una
diminuzione del numero dei rappresentanti regionali in seno al
Comitato nazionale e alle sezioni regionali, vengono a ledere le
prerogative delle regioni nelle materia ad esse attribuite dalla
normativa costituzionale (tutela dell'ambientale, della salute e del
governo del territorio). E' evidente infatti che i rappresentanti
delle regioni non avranno la possibilita' di condizionare la
definizione delle linee guida in materia di smaltimento e recupero
dei rifiuti. Ne consegue quindi la loro illegittimita'
costituzionale.
37) Illegittimita' dell'art. 214, commi 2 e 3, per violazione
degli artt. 117, 118, 11 e 76 Cost.
Gli articoli 214, 215 e 216 del d.lgs. n. 152/2006 disciplinano
le c.d. procedure semplificate per lo smaltimento e recupero dei
rifiuti non pericolosi. Il comma 2 dell'art. 214, stabilisce che con
decreto del Ministro dell'ambiente di concerto con i Ministri delle
attivita' produttive, della salute e delle politiche agricole, siano
adottati per ciascun tipo di attivita' le norme che fissano i tipi e
le quantita' di rifiuti e le condizioni in base alle quali le
attivita' di smaltimento dei rifiuti non pericolosi effettuate dai
produttori nei luoghi di produzione degli stessi e le attivita' di
recupero di cui all'Allegato C alla parte quarta del decreto sono
sottoposte alle procedure semplificate di cui agli artt. 215 e 216.
E' altresi' stabilito che con la medesima procedura si provveda
all'aggiornamento della predetta disciplina.
Il comma 3, invece, prevede che «il comma 2 puo' essere attuato
anche secondo la disciplina vigente per gli accordi di programma di
cui agli artt. 181 e 206 e nel rispetto degli orientamenti comunitari
in materia».
La previsione di accordi di programma in materia di procedure
semplificate per lo smaltimento e il recupero dei rifiuti nei termini
di cui all'art. 181, d.lgs. n. 152/2006 si pone in contrasto con la
normativa comunitaria in materia di rifiuti nonche' con la legge
delega e quindi, conseguentemente, contrasta con gli artt. 11, 76,
117 e 118 della Costituzione.
Detti accordi di programma consentono, infatti, di derogare al
sistema normativo previgente (in parte trasfuso nello stesso Testo
unico) in materia di rifiuti, istituendo una contrattazione diretta
tra privati e Amministrazione statale idonea ad escludere dal regime
dei rifiuti e dalle relative procedure di autorizzazione e di
controllo tutta una serie di materiali o sostanze che nella
legislazione vigente e nel diritto comunitario invece vi sono
assoggettati.
Questa «privatizzazione» della disciplina del recupero dei
rifiuti, avendo come naturale conseguenza la sottrazione dal regime
di rifiuti di molte sostanze e materie sulla base di una mera
contrattazione, si pone in evidente contrasto con la direttiva
comunitaria n. 75/442/CEE, cosi' come modificata dalla direttiva
n. 91/156/CEE, laddove prevede all'art. 11 che il generale obbligo
dell'autorizzazione per lo svolgimento di attivita' di recupero dei
rifiuti (art. 10) possa essere derogato solo «qualora le autorita'
competenti abbiano adottato per ciascun tipo di attivita' norme
generali che fissano i tipi e le quantita' di rifiuti e le condizioni
alle quali l'attivita' puo' essere dispensata dall'autorizzazione».
Violazione di tutta evidenza se solo si considera che - al pari
di quanto previsto dall'art. 181, comma 9 - le norme generali che
fissano i tipi e le quantita' di rifiuti e le condizioni alle quali
l'attivita' puo' essere dispensata dall'autorizzazione dovranno
essere fissate necessariamente dai predetti accordi di programma anzi
che dall'autorita' competente come richiesto a livello comunitario.
D'altra parte, per le ragioni sopra esposte, l'art. 214, comma 3,
si pone in contrasto con i principi e criteri direttivi individuati
dall'art. 1, comma 8, della legge delega n. 308/2004 e, in
particolare, con i principi e criteri di cui alle lettere e) ed f).
Ne consegue pertanto la violazione anche degli artt. 11 e 76 della
Costituzione.
38) Illegittimita' dell'art. 215, commi 1, 3 e 4, e dell'art.
216, commi 1, 3 e 4, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
Gli articoli 215 e 216, d.lgs. n. 152/2006 nel disciplinare le
procedure semplificate di trattamento dei rifiuti dettano
disposizioni specifiche con riferimento alle attivita' di
auto-smaltimento e alle operazioni di recupero, attribuendo alla
Sezione regionale dell'Albo nazionale dei gestori ambientali le
funzioni che la precedente legislazione attribuiva alle province
(cfr. artt. 32 e 33 del d.lgs. n. 22/1997).
I commi 1 e 3 di entrambi gli artt. 215 e 216 del d.lgs.
n. 152/2006 prevedono, infatti, che la Sezione regionale dell'Albo e'
competente a ricevere la comunicazione di inizio delle attivita' ed
iscriverle in apposito registro all'uopo tenuto dallo stesso Albo,
nonche' a verificare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti
richiesti.
La disciplina sopra sinteticamente descritta non risulta in linea
con il quadro costituzionale di riferimento per i seguenti motivi.
La scelta di sottrarre dalla competenza provinciale la tenuta e
il controllo delle comunicazioni di inizio delle attivita' di
smaltimento e recupero dei rifiuti nelle procedure semplificate e'
del tutto irrazionale ed illogica e non certo ispirata ad esigenze di
semplificazione. A conferma c'e' la circostanza della disciplina
dettata nel comma 4 degli articoli 215 e 216 la quale prevede che
«qualora la Sezione regionale dell'Albo accerti il mancato rispetto
delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, la
medesima Sezione propone alla provincia di disporre con provvedimento
motivato il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell'attivita».
Non comporta certamente una semplificazione l'attribuire il potere di
controllo a un soggetto e il potere sanzionatorio ad un altro
soggetto.
In conclusione, la disciplina di cui agli artt. 215 e 216 del
Testo unico ambiente risulta in contrasto con gli artt. 117 e 118
Cost. in quanto essa ha sottratto alla regione le importanti funzioni
in materia di tutela della salute e del governo del territorio.
39) Illegittimita' dell'art. 238, comma 3, 6, 7, 8, 9 e 10, per
violazione degli artt. 117, 118, 119 Cost.
L'art. 238, d.lgs. n. 152/2006 disciplina la Tariffa per la
gestione dei rifiuti urbani.
Il corna 3 dispone che «la tariffa e' determinata, entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 6, dalle
Autorita' d'ambito ed e' applicata e riscossa dai soggetti affidatari
del servizio di gestione integrata sulla base dei criteri fissati dal
regolamento di cui al comma 6».
I commi da 6 a 10 disciplinano le competenze attuative,
disponendo che:
«Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di
concerto con il Ministro delle attivita' produttive, sentiti la
Conferenza Stato-regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, le rappresentanze qualificate degli interessi economici e
sociali presenti nel Consiglio economico e sociale per le politiche
ambientali (CESPA) e i soggetti interessati, disciplina, con apposito
regolamento da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in
vigore della parte quarta del presente decreto e nel rispetto delle
disposizioni di cui al presente articolo, i criteri generali sulla
base dei quali vengono definite le componenti dei costi e viene
determinata la tariffa, anche con riferimento alle agevolazioni di
cui al comma 7, garantendo comunque l'assenza di oneri per le
autorita' interessate.
Nella determinazione della tariffa possono essere previste
agevolazioni per le utenze domestiche e per quelle adibite ad uso
stagionale o non continuativo, debitamente documentato ed accertato,
che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di
utenza e territoriali. In questo caso, nel piano finanziario devono
essere indicate le risorse necessarie per garantire l'integrale
copertura dei minori introiti derivanti dalle agevolazioni, secondo i
criteri fissati dal regolamento di cui al comma 6.
Il regolamento di cui al comma 6 tiene conto anche degli
obiettivi di miglioramento della produttivita' e della qualita' del
servizio fornito e del tasso di inflazione programmato.
L'eventuale modulazione della tariffa tiene conto degli
investimenti effettuati dai comuni o dai gestori che risultino utili
ai fini dell'organizzazione del servizio.
Alla tariffa e' applicato un coefficiente di riduzione
proporzionale alle quantita' di rifiuti assimilati che il produttore
dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata
dal soggetto che effettua l'attivita' di recupero dei rfluti stessi».
La disciplina sopra riportata e' illegittimo per violazione degli
artt. 117, 118, 119 e 76 della Costituzione.
Cio' in quanto i poteri regolamentari riconosciuti al Ministero
dall'art. 238 relativi alla disciplina delle varie voci di cui e'
composta vanno ad ingerire sulla competenza legislativa propria delle
regioni in materia di servizi pubblici locali. Su questione analoga
si e' gia' pronunciata la Corte costituzione con le sentenze
nn. 272/2004 e 29/2006. La disciplina dettata dall'art. 238, quindi,
comporta una violazione del riparto delle potesta' legislativa tra
Stato e regioni, con conseguente violazione dell'art. 117, comma 4 in
materia di disciplina dei servizi pubblici locali nonche'
sull'autonomia finanziaria e tributaria delle regioni garantita
dall'art. 119, commi 1 e 2, Cost., in quanto incide su un'entrata la
cui disciplina ricade nella competenza regionale.
40) Illegittimita' dell'art. 241, per violazione degli artt. 117
e 118 Cost.
L'art. 241 prevede il c.d. regolamento aree agricole, disponendo
«il regolamento relativo agli interventi di bonfica, ripristino
ambientale e di messa in sicurezza, d'emergenza, operativa e
permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e
all'allevamento e' adottato con decreto del Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio di concerto con i Ministri delle
attivita' produttive, della salute e delle politiche agricole e
forestali».
Il rinvio, a tempo indeterminato, della disciplina della bonifica
delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento
impedisce di bonificare tali aree e di procedere al riutilizzo delle
stesse con conseguente violazione dell'art. 117 e 118 della
Costituzione. In proposito infatti si deve ricordare che, sebbene una
tale disposizione fosse presente anche nel decreto Ronchi, ad oggi
non si e' avuta l'emanazione di tale regolamento, con gravi
pregiudizi per la tutela dell'ambiente, della salute e del governo
del territorio.
41) Illegittimita' dell'art. 242, commi 2, 3, 4, 5 e dell'art.
240, comma 1, lettera b), per violazione degli artt. 117, 118 e 119
Cost, nonche' degli artt. 11 e 76 Cost.
41.1) Gli artt. 240 e 242, contenuti nel Titolo V della Parte
quarta del d.lgs. n. 152/2006, contengono disposizioni in tema di
bonifica dei siti inquinati.
L'art. 240 dette le definizioni necessarie per l'applicazione del
Titolo V, tra le quali, al comma 1, lettera b), quella di
«concentrazioni soglia di contaminazione (CSC): i livelli di
contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al
di sopra dei quali e' necessaria la caratterizzazione del sito e
l'analisi di rischio sito specifica, come individuati nell'Allegato 5
alla parte quarta del presente decreto. Nel caso in cui il sito
potenzialmente contaminato sia ubicato in un'area interessata da
fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento
di una o piu' concentrazioni soglia di contaminazione, queste ultime
si assumono pari al valore di fondo esistente per tutti i parametri
superati».
L' art. 242 disciplina, invece, le procedure amministrative per
procedere alla bonifica dei siti inquinati, disponendo:
«al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado
di contaminare il sito, il responsabile dell'inquinamento mette in
opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne
da' immediata comunicazione ai sensi e con le modalita' di cui
all'articolo 304, comma 2» (comma 1);
«il responsabile dell'inquinamento, attuate le necessarie
misure di prevenzione, svolge, nelle zone interessate dalla
contaminazione, un'indagine preliminare sui parametri oggetto
dell'inquinamento e, ove accerti che il livello delle concentrazioni
soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, provvede al
ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita
autocertificazione, al comune ed alla provincia competenti per
territorio entro quarantotto ore dalla comunicazione.
L'autocertificazione conclude il procedimento di notifica di cui al
presente articolo, ferme restando le attivita' di verifica e di
controllo da parte dell'autorita' competente da effettuarsi nei
successivi quindici giorni» (comma 2);
«qualora l'indagine preliminare di cui al comma 2 accerti
l'avvenuto superamento delle CSC anche per un solo parametro, il
responsabile dell'inquinamento ne da' immediata notizia al comune ed
alle province competenti per territorio con la descrizione delle
misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate.
Nei successivi trenta giorni presenta alle predette amministrazioni,
nonche' alla regione territorialmente competente il piano di
caratterizzazione con i requisiti di cui all'Allegato 2 alla parte
quarta del presente decreto. Entro i trenta giorni successivi la
regione, convocata la conferenza di servizi, autorizza il piano di
caratterizzazione con eventuali prescrizioni integrative.
L'autorizzazione regionale costituisce assenso per tutte le opere
connesse alla caratterizzazione, sostituendosi ad ogni altra
autorizzazione, concessione, concerto, intesa, nulla osta da parte
della pubblica amministrazione» (comma 3);
«sulla base delle risultanze della caratterizzazione, al sito
e' applicata la procedura di analisi del rischio sito specifica per
la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR). I
criteri per l'applicazione della procedura di analisi di rischio sono
riportati nell'Allegato 1 alla parte quarta del presente decreto.
Entro sei mesi dall'approvazione del piano di caratterizzazione, il
soggetto responsabile presenta alla regione i risultati dell'analisi
di rischio. (...)» (comma 4);
«qualora gli esiti della procedura dell'analisi di rischio
dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito
e' inferiore alle concentrazioni soglia di rischio, la conferenza dei
servizi, con l'approvazione del documento dell'analisi del rischio,
dichiara concluso positivamente il procedimento (...)» (comma 5).
41.2) Il sistema normativo delle bonifiche dei siti inquinati
contenuto nelle disposizioni sopra riportate si pone in contrasto con
la normativa comunitaria in materia di rifiuti nonche' con alcuni
criteri dettati dalla legge delega e quindi, conseguentemente,
contrasta con gli artt. 11, 76, 117 e 118 della Costituzione.
L'illegittimita' della nuova disciplina discende in primo luogo
dalla circostanza che essa comporta un pregiudizio derivante da un
minor rigore nella tutela ambientale e una compressione delle
attribuzioni regionali in materia di tutela della salute nonche' del
governo del territorio.
In particolare, si contesta l'art. 242, d.lgs. n. 152/2006 nella
parte in cui viene stabilito l'obbligo di bonifica per il soggetto
inquinatore, agli esiti della procedura di analisi del rischio -
svolta peraltro dallo stesso soggetto che ha inquinato - cosi' come
descritta dall'Allegato 1 alla parte quarta del decreto. In base a
tale Allegato 1, infatti, l'analisi del rischio sito specifica,
finalizzata alla determinazione delle concentrazioni soglia di
rischio, e' ancorata a parametri del tutto incerti e non oggettivi:
da cio' deriva che l'inquinatore potra' effettuare un'analisi del
rischio piu' favorevole ai propri interessi, evitando la successiva
fase di bonifica.
In altri termini, l'art. 242, demanda al responsabile
dell'inquinamento - previo svolgimento, nelle zone interessate dalla
contaminazione, di un'indagine preliminare sui parametri oggetto
dell'inquinamento - la valutazione del superamento o meno delle
concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) e, quindi,
conseguentemente, la valutazione se provvedere al ripristino della
zona contaminata (dandone notizia, con apposita autocertificazione,
al comune ed alla provincia competenti per territorio), oppure di
dare immediata notizia al comune ed alle province competenti per
territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa
in sicurezza di emergenza adottate.
Appare evidente che una tale disposizione si pone in aperto
contrasto con la normativa comunitaria a tutela dei suoli
dall'inquinamento, dal momento che a fronte dell'inquinamento di un
sito si demanda alla discrezionalita' dell'inquinatore la scelta
della procedura piu' appropriata nel caso di specie.
L'Ente pubblico competente, se in disaccordo con l'analisi
prodotta dal soggetto, potra' non approvare lo studio, ma a quel
punto dovra' decidere:
se procedere d'ufficio alla bonifica del sito, con ben poche
probabilita' di recuperare le spese sostenute, anche in via
giudiziaria (data l'incertezza dei parametri di riferimento; peraltro
con prevedibile aumento del contenzioso tra Ente pubblico ed
imprese), e cio' comportera' gravi ripercussioni sull'erario; ovvero
non procedere alla bonifica, con gravi ripercussioni sul
territorio e sulla tutela della salute dei cittadini.
Le disposizioni qui impugnate pertanto si pongono in contrasto
con gli artt. 117 e 118 della Costituzione.
La disciplina sopra descritta risulta inoltre in aperto contrasto
con il principio comunitario «chi inquina paga»; conseguentemente, la
norma di cui all'art. 242 viola i principi e criteri direttivi
individuati dall'art. 1, comma 8, della legge delega n. 308/2004 e,
in particolare, con i principi e criteri di cui alle lettere e) ed
f). Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione, che
si ripercuote sulle competenze costituzionali della regione come
sopra evidenziate.
41.3) Considerazioni analoghe valgono con riferimento
all'art. 240, comma 1, lettera b), nella parte in cui prevede che
nelle ipotesi in cui un sito potenzialmente contaminato sia ubicato
in un'area interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano
determinato il superamento di una o piu' concentrazioni soglia di
contaminazione «queste ultime si assumono pari al valore di fondo
esistente per tutti i parametri superati». Questa specificazione
determina gravi incertezze sulle modalita' di rilevamento dei valori
di fondo e, conseguentemente, sui valori di riferimento, con evidenti
gravi ripercussioni sulla tutela dell'ambiente e della salute e sul
governo del territorio.
42) Illegittimita' dell'art. 242, comma 7, per violazione degli
artt. 117, 118, 11 e 76 Cost.
L'art. 242 del Testo unico ambiente disciplina le procedure
operative ed amministrative per la bonifica dei siti inquinati.
Nel comma 7, in merito alle garanzie finanziarie che devono
essere prestate a favore della regione per la realizzazione e
l'esercizio degli impianti previsti dal progetto di bonifica
medesimo, e' previsto che «con il provvedimento (...) e' fissata
l'entita' delle garanzie finanziarie, in misura non superiore al
cinquanta per cento del costo stimato dell'intervento, che devono
essere prestate in favore della regione per la corretta esecuzione ed
il completamento degli interventi medesimi».
Tale norma si pone in contrasto con la normativa comunitaria in
materia di rifiuti nonche' con la legge delega e quindi,
conseguentemente, contrasta con gli artt. 11, 76, 117 e 118 della
Costituzione, atteso che l'individuata procedura operativa ed
amministrativa per la bonifica dei siti inquinati ha come naturale
conseguenza un pregiudizio o quanto meno un minor rigore nella tutela
ambientale.
Invero, il comma 7 dell'art. 242 - pur riproducendo la norma di
cui all'art. 17, comma 4, del decreto Ronchi nella parte in cui
prevedeva la possibilita' per l'ente pubblico di fissare con
l'autorizzazione alla bonifica adeguate «garanzie finanziarie che
devono essere prestate a favore della regione per la realizzazione e
l'esercizio degli impianti previsti dal progetto di bonifica
medesimo» - limita il quantum della garanzia finanziaria, disponendo
che «con il provvedimento (...) e' fissata l'entita' delle garanzie
finanziarie, in misura non superiore al cinquanta per cento del costo
stimato dell'intervento, che devono essere prestate in favore della
regione per la corretta esecuzione ed il completamento degli
interventi medesimi».
Detta disposizione, oltre ad essere norma di dettaglio
incompatibile con le competenze regionali in materia ambientale,
della salute, del governo del territorio e dei servizi pubblici, si
pone in contrasto i principi comunitari di tutela ambientale e in
particolare con il principio «chi inquina paga», dal momento che
consente a chi ha procurato un inquinamento di non garantire in pieno
per la bonifica del sito.
Dalla violazione delle direttive comunitarie segue il contrasto
con i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8,
della legge delega n. 308/2004 e, in particolare, con i principi e
criteri di cui alle lettere e) ed f), secondo i quali il nuovo testo
unico doveva dare, da un lato «piena e coerente attuazione delle
direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela
dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitivita' dei
sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di
distorsione della concorrenza»; e, dall'altro, «affermazione dei
principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e
riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio
"chi inquina paga"». Ne consegue la violazione degli artt. 11 e 76
della Costituzione.
La previsione di un tetto massimo per le garanzie finanziarie
peraltro si pone in contrasto anche con i principi direttivi di cui
alle lett. c), ed i) del comma 8 dell'art. 1 della legge n. 308/2004,
secondo i quali la nuova disciplina non avrebbe dovuto comportare
maggiori oneri per la finanza pubblica ed inoltre avrebbe dovuto
assicurare una piu' efficace tutela in materia ambientale «anche
mediante il coordinamento e l'integrazione della disciplina del
sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restando i
limiti di pena e l'entita' delle sanzioni amministrative gia'
stabilite dalla legge» (lettera i).
E' evidente che la disciplina contenuta nel comma 7 dell'art. 242
si pone in contrasto con i principi sopra richiamati e quindi risulta
costituzionalmente illegittima anche per violazione dell'art. 76
Cost.
43) Illegittimita' dell'art. 252, commi 3 e 4, d.lgs. n. 152/2006
per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
L'art, 252 disciplina i c.d. siti di interesse nazionale ai fini
della bonifica, prevedendo che mentre alla loro individuazione «si
provvede con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio, d'intesa con le regioni interessate, secondo i seguenti
principi e criteri direttivi [...]»; ai fini della loro
perimetrazione e' sufficiente sentire «i comuni, le province, le
regioni e gli altri enti locali, assicurando la partecipazione dei
responsabili nonche' dei proprietari delle aree da bonificare, se
diversi dai soggetti responsabili» (comma 3).
Il quarto comma stabilisce che «la procedura di bonifica di cui
all'art. 242 dei siti di interesse nazionale e' attribuita alla
competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio,
sentito il Ministero delle attivita' produttive», senza alcuna
previsione di una intesa con le regioni, cosi' come era stabilito
nella pre-vigente normativa contenuta nell'art. 17, comma 14, d.lgs.
n. 22/1997.
La mancata previsione dell'intesa con la regione ai fini della
perimetrazione e dell'approvazione di bonifica dei progetti dei siti
di interesse nazionale si pone in aperto contrasto con gli artt. 117
e 118 della Costituzione, atteso che si ripercuote sulle competenze
costituzionali della regione in materia di tutela della salute e di
governo del territorio. E' sufficiente infatti tener presente che per
effetto della normativa sopra riportata le sopra menzionate attivita'
vincolano la destinazione urbanistica dei siti di interesse nazionale
da bonificare senza alcun intervento da parte de1le regioni
interessate.
Illegittimita' costituzionale delle norme impugnate per
violazione del principio di leale collaborazione.
Le norme impugnate non contrastano solo con le richiamate
disposizioni comunitarie e con le attribuzioni costituzionalmente
garantite alle regioni dagli artt. 117 e 118 Cost.
La disciplina dettata nel Testo unico ambiente con riferimento
alle procedure di VAS e VIA, ed in materia di rifiuti, di bonifica
dei siti inquinati, di istituzione e funzionamento dei distretti
idrografici e di autorita' di bacino distrettuale, di tutela e
programmazione dell'ambiente, infatti, per la sua interconnessione
con profili e tematiche di competenza regionale (quali ad esempio
governo del territorio, tutela igienico-sanitaria, tutela della
sicurezza della popolazione), contrasta con il principio di leale
collaborazione fra Organi dello Stato in considerazione del fatto che
essa e' stata dettata in maniera pressocche' unilaterale dal
legislatore nazionale.
L'importanza del rispetto di questo principio nella materia de
quo, e' stata gia' affermata e riconosciuta dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 62/2005. Si e' affermato, infatti,
che nell'esercizio di funzioni in materia di tutela ambientale, di
competenza esclusiva dello Stato, «quando gli interventi individuati
come necessari e realizzati dallo Stato, in vista di interessi
unitari di tutela ambientale, concernono l'uso del territorio e in
particolare la realizzazione di opere e di insediamenti atti a
condizionare in modo rilevante lo stato e lo sviluppo di singole
aree, l'intreccio da un lato con la competenza regionale concorrente
in materia di governo del territorio, oltre che con altre competenze
regionali, dall'altro lato con gli interessi delle popolazioni
insediate nei rispettivi territori, impone che siano adottate
modalita' di attuazione degli interventi medesimi che coinvolgono,
attraverso opportune forme di collaborazione, le regioni sul cui
territorio gli interventi sono destinati a realizzarsi (cfr. sentenza
n. 303/2003)».
Le disposizioni impugnate invece prevedono un intervento dello
Stato (ad esempio in via diretta ossia con le norme di legge sopra
menzionate non recanti principi generali e/o programmatiche, ma
specifiche e vincolanti) ovvero del Ministro dell'ambiente (e' il
caso ad esempio della potesta' regolamentare di cui agli artt. 3, 10,
57), senza un contestuale effettivo coinvolgimento delle regioni e/o
della Conferenza Stato-regioni - in materie quali la tutela del
territorio, della salute della popolazione di competenza regionale -
che comporta, anche in virtu' di quanto sopra menzionato, la
violazione del principio di leale collaborazione.
P. Q. M.
Si chiede la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle
disposizioni qui impugnate del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 recante
«Norme in materia ambientale» per le ragioni e per i profili esposti
nel presente ricorso.
Roma, 12 giugno 2006
Avv. Prof. Gustavo Visentini
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