N.   79  RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 21 giugno 2006.
 
Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 21 giugno 2006 (della Regione Marche)

(GU n. 34 del 23-8-2006)

    Ricorso  della  Regione  Marche,  in  persona  del presidente pro
tempore  della giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazione
della  giunta  regionale  n. 673  del 5 giugno 2006 (all. doc. n. 1),
rappresentata  e difesa dall'avv. prof. Gustavo Visentini del Foro di
Roma  ed  elettivamente  domiciliata  presso  il  suo studio in Roma,
piazza  Barberini n. 12, come da procura speciale per atto del notaio
Stefano  Sabatini  di  Ancona, n. rep. 40.858 del 7 giugno 2006 (all.
doc. n. 2);
    Contro  lo  Stato,  in  persona  del Presidente del Consiglio dei
ministri   pro   tempore,  per  la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale  del  d.lgs.  3  aprile 2006, n. 152 «Norme in materia
ambientale»,  pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile
2006,  Supp. ordinario n. 96/2006, con riferimento ai seguenti artt.:
3,  comma  4;  6, comma 6 e art. 17; 7, commi 3 e 8; 10, commi 3 e 5;
25,  comma  1,  lettera a); 35, comma 1, lettera b); 42, commi 1 e 3;
25,  comma  1, lettera b); 51, comma 3; 57, commi 4 e 6; 58, comma 3,
lettere  a)  e  d);  61,  comma  1, lettere d) e e); 63 (autorita' di
bacino  distrettuale)  e 64 (distretti idrografici); 65; 75, comma 5;
77,  comma  5; 87, comma 1; 91, commi 2 e 6; 113 e 114, commi 1; 116;
148,  comma  5;  149,  comma 6; 154; 155; 159, comma 2; 160, comma 2,
lettere  f)  e g); 181, commi 7, 8, 9, 10 e 11; 183, comma 1, lettera
f)  e  q); 185, comma 1; 186; 189, commi 1 e 3; 195, commi 1, 1ettera
f),  comma  2, lettere &ib;b), e), l), m) e s); 196, comma 1, lettera
d);  199,  commi  9  e  10; 201, comma 6; 202, comma 1; 203, comma 2,
lettera  c);  208, comma 10; 212, commi 2 e 3; 214, commi 2 e 3; 215,
commi  1,  3 e 4; 216, commi 1, 3 e 4; 238, comma 3, 6, 7, 8, 9 e 10;
240, comma 1, lettera b); 241; 242, commi 2, 3, 4, 5, 7; 252, commi 3
e  4;  per  violazione  degli  artt. 11, 76, 117, 118, 119 Cost., del
principio  di  leale collaborazione, del principio di ragionevolezza,
nonche'  dei principi e delle norme del diritto comunitario, nei modi
e per i profili di seguito indicati.

                              F a t t o

    A) Considerazioni preliminari.
    1.1.  -  In  data  3  aprile  2006  e'  stato  emanato il decreto
legislativo  n. 152 del 2006, indicato in epigrafe con cui il Governo
ha esercitato la delega legislativa contenuta nella legge 15 dicembre
2004,  n. 308,  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 302 del 27
dicembre  2004  - Supp. ordinario n. 187. La legge delega autorizzava
il Governo ad emanare entro 18 mesi - quindi entro l'11 luglio 2006 -
uno  o  piu' decreti «di riordino, coordinamento e integrazione delle
disposizioni  legislative  nei  seguenti  settori  e  materie,  anche
mediante la redazione di testi unici».
    A  norma  dell'art. 1,  comma  4,  della  legge delega, i decreti
legislativi avrebbero dovuto essere adottati «sentito il parere della
Conferenza  unificata  di  cui  all'art. 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281».
    Il  comma  8  dell'articolo  di legge sopra citato richiedeva che
nella  redazione  dei  decreti  legislativi  venissero  rispettati «i
principi  e  delle  norme  comunitarie e delle competenze per materia
delle  amministrazioni  statali,  nonche'  delle  attribuzioni  delle
regioni  e  degli  enti  locali, come definite ai sensi dell'art. 117
della  Costituzione,  della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto
legislativo  31 marzo 1998, n. 112, e fatte salve le norme statutarie
e  le relative norme di attuazione delle regioni a statuto speciale e
delle  province  autonome  di Trento e di Bolzano, e del principio di
sussidiarieta».
    Come  di  seguito  esposto,  tutti  i  principi  e  criteri sopra
indicati  sono stati violati nella redazione ed emanazione del d.lgs.
n. 152/2006.
    La  violazione  di  legge  peraltro  non  ha  riguardato  solo il
contenuto  delle  singole  disposizioni  normative ma anche, e non di
minore  importanza, il procedimento attraverso il quale il Governo ha
provveduto all'emanazione del citato d.lgs. n. 152/2006.
     1.2. - Sinteticamente, infatti, si fa presente quanto segue.
    Lo  schema  di  decreto  e' stato approvato, a seguito dei pareri
delle  Commissioni  parlamentari,  nella  seduta  del  Consiglio  dei
ministri   del  18  novembre  2005.  Nel  corso  della  seduta  della
Conferenza  unificata  del  24  novembre 2005, i rappresentanti delle
regioni  e  degli  enti  locali  chiedevano di essere informati sullo
stato di attuazione della delega legislativa: in risposta il Ministro
La  Loggia comunicava che, data la lunghezza, la Relazione al decreto
non  sarebbe  stata  illustrata oralmente ma depositata agli atti «in
modo  che possa essere visionata e vi sia tutto il tempo necessario a
fare eventuali osservazioni».
      Il  testo del decreto legislativo e' stato trasmesso, senza gli
allegati,  alle  regioni  con nota della Presidenza del Consiglio dei
ministri  in data 29 novembre 2005. Il parere sul decreto legislativo
e'  stato richiesto alle regioni e agli enti locali dal Governo entro
il  15  dicembre  2005:  cio' nonostante la «mole» e complessita' del
testo  di  legge  e  degli  allegati.  Successivamente, nonostante le
numerose  richieste di rinvio del termine per formulare il prescritto
parere, il Governo ha rifiutato ogni ipotesi di sospensione dell'iter
arrivando  ad  affermare che un ritardo nello stesso avrebbe precluso
la  possibilita'  di  eserciate  la  delega  in  scadenza nel mese di
dicembre  2005 (!) (in realta' come detto la scadenza era fissata nel
giorno 11 luglio 2006).
    Nell'impossibilita'  di  un  esame approfondito del testo e degli
allegati, il parere non e' stato espresso.
    Cio'  nonostante  il  Consiglio dei ministri, nella seduta del 19
gennaio  2006  approvava  «in  via  definitiva»  il testo del decreto
legislativo.
    Nella  successiva  riunione  della  Conferenza  unificata  del 26
gennaio  2006,  i presidenti delle regioni e delle province autonome,
dell'ANCI,  dell'UPI  e  dell'UNCEM presentavano un ordine del giorno
recante  il  parere negativo sullo schema di decreto, motivandolo sia
nel  merito  che  nel  metodo, parere del quale il rappresentante del
Governo si limitava a dichiarare di «prendere atto».
    Il  10  febbraio il Consiglio dei ministri riapprovava, di nuovo,
«in  via  definitiva»  il decreto legislativo (Consiglio dei ministri
n. 43),  e  quindi  senza  tenere  in  alcun  conto  le  osservazioni
formulate nel citato parere.
    Il  15  marzo  2006  il  Presidente  della Repubblica chiedeva al
Governo  alcuni chiarimenti nel merito e in relazione al procedimento
di  formazione  del decreto legislativo, sospendendo l'emanazione del
provvedimento.
    In  seguito a questa richiesta, in data 29 marzo 2006, il decreto
legislativo  e'  stato  ulteriormente riapprovato con alcune limitate
modifiche  dal  Consiglio  dei  ministri. E' stato dunque approvato e
successivamente  emanato  in  data 3 aprile 2006 un testo formalmente
(sia  pure parzialmente) diverso da quello sottoposto all'esame delle
Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata.
    B) Il  contenuto  del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 recante «Norme
in materia ambientale».
      2.1.  -  Con  il  d.lgs.  n. 152/2006,  il Governo, in parziale
attuazione  della  legge  delega  n. 308/2004,  ha elaborato un testo
unico  comprendente  tutte le disposizioni di legge aventi ad oggetto
«la  materia  ambientale».  Ai  sensi  infatti dell'art. 1 il decreto
legislativo  citato  disciplina  le seguenti materie: «a) nella parte
seconda, le procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS),
per  la valutazione d'impatto ambientale (VIA) e per l'autorizzazione
ambientale integrata (IPPC); b) nella parte terza la difesa del suolo
e   la   lotta   alla   desertificazione,   la   tutela  delle  acque
dall'inquinamento e la gestione delle risorse idriche; c) nella parte
quarta  la  gestione  dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati;
d) nella  parte  quinta,  la  tutela  dell'aria  e la riduzione delle
emissioni  in atmosfera; e) nella parte sesta, la tutela risarcitoria
contro i danni all'ambiente».
    Restano  escluse  dal Testo unico la gestione delle aree protette
nonche'  la  conservazione  e  l'utilizzo  sostenibile  delle  specie
protette  di flora e fauna le quali continuano ad essere disciplinate
dalle specifiche normative di riferimento.
    2.2.  -  Il  d.lgs.  n. 152/2006,  tuttavia, non si e' limitato a
coordinare  e/o  riordinare  la  normativa  dei diversi settori sopra
menzionati  ma,  spesso,  e' intervenuto con una disciplina del tutto
innovativa  con  violazione  di  una  pluralita' di norme e principi,
anche di carattere comunitario, come di seguito illustrato.
    In  via  preliminare  peraltro  e'  necessario  evidenziare anche
quanto segue.
    La  materia  disciplinata  con  il  decreto in epigrafe coinvolge
profili  non solo attinenti all'ambiente «in senso stretto», ma anche
relativi  e  connessi  alla  materia del governo del territorio, alla
tutela della salute, alla tutela dei beni culturali etc.
    A  fronte di una simile «complessita» e pluralita' di interessi e
di  oggetti  la  Corte  costituzionale,  alla luce del rinnovato dato
costituzionale  contenuto  nel  Titolo  V, ha gia' avuto occasione di
chiarire  che  la  materia  della tutela dell' ambiente - la quale ai
sensi  dell'art. 117,  secondo  comma, lettera s) Cost. e' attribuita
alla competenza dello Stato - deve essere disciplinata nel rispetto e
con  la  salvaguardia  della  potesta'  legislativa  «corrente» delle
regioni a statuto ordinario.
    Come  piu'  volte  messo  in evidenza dalla Corte costituzionale,
infatti,  la  materia dell'ambiente, «piu' che una "materia" in senso
stretto,  rappresenta  un  compito  nell'esercizio del quale lo Stato
conserva  il potere di dettare standard di protezione uniformi validi
in  tutte  le  regioni  e  non  derogabili  da queste; e che cio' non
esclude   affatto   la  possibilita'  che  leggi  regionali,  emanate
nell'esercizio  della potesta' concorrente di cui all'art. 117, terzo
comma,   della   Costituzione,   o   di  quella  "residuale"  di  cui
all'art. 117, quarto comma, possano assumere fra i propri scopi anche
finalita'  di tutela ambientale» (cfr. Corte cost., sent. n. 307/2003
punto  5  del  Considerato  in  diritto;  nello stesso senso anche le
sentenze n. 407/2002; n. 222/2003; n. 62/2005 e n. 232/2005).
    Secondo   l'insegnamento   della  Corte  costituzionale,  quindi,
l'intervento  del  legislatore  statale  in  materia di ambiente deve
svolgersi nel rispetto delle prerogative costituzionali delle regioni
in modo tale da assicurare alle stesse un ruolo «attivo» nel dettarne
la  regolamentazione dato che questa coinvolge molteplici profili fra
loro connessi.
    Il  decreto  legislativo in esame non sembra, invece, raccordarsi
con  i sopra esposti principi e riferimenti costituzionali contenendo
disposizioni  non  solo  in contrasto con la normativa comunitaria in
materia  di  ambiente;  ma  anche con gli artt. 117 e 118 Cost. ed in
generale   con   i   principi  costituzionali  di  sussidiarieta'  ed
adeguatezza.
    Si evidenzia, infine, che il d.lgs. n. 152/2006 (di seguito anche
Testo unico ambiente) per le considerazioni in precedenza esposte, si
configura  come  un  atto  unilaterale  del Governo, in quanto non e'
stata  data  la possibilita' alle regioni di apportare un effettivo e
concreto  contributo  all'elaborazione  del testo in palese contrasto
con il principio di leale collaborazione fra organi dello Stato.
    C) La Regione Marche, con deliberazione della giunta n. 673 del 5
giugno  2006,  ha  deciso  di  impugnare, anche per le considerazioni
sopra  esposte, davanti a questa Corte le norme indicate in epigrafe,
perche'   illegittime   e  lesive  dell'autonomia  costituzionalmente
riconosciuta  e  garantita  alla  stessa  regione  ricorrente, per le
seguenti ragioni di

                            D i r i t t o

    1) Illegittimita' dell'art 3, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006 per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    La  norma  di  cui  all'art. 3,  comma  4,  stabilisce  che  alle
modifiche  e  alle  integrazioni  delle  norme  tecniche  in  materia
ambientale  provveda  il  Ministro  dell'ambiente  e della tutela del
territorio con propri regolamenti.
    Si  tratta di una procedura che, non prevedendo il coinvolgimento
delle regioni e/o della Conferenza Stato-Regioni, comporta l'adozione
di  provvedimenti  in via unilaterale su materie rispetto alle quali,
invece, sussiste anche la potesta' regionale. Di conseguenza la norma
impugnata risulta in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost. e con il
principio di leale collaborazione.
    2)  Illegittimita'  dell'art. 6, comma 6 e art. 17 per violazione
degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
    Si contesta la legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 6 e
dell'art. 17,  4  d.lgs. n. 152/2006 nella parte in cui non prevedono
la  partecipazione  delle  regioni  al  procedimento  di  valutazione
strategica (VAS) di piani e programmi di competenza statale.
    L'art. 6,   infatti,  nel  disciplinare  la  Commissione  statale
tecnico-consultiva   per  le  valutazioni  ambientali  di  competenza
statale,  al  comma  6,  prescrive  che,  in  ragione degli specifici
interessi  regionali di volta in volta coinvolti, la sottocommissione
sia  integrata  da un esperto designato dalla regione interessata. La
norma, tuttavia, delinea un ruolo estremamente limitato delle regioni
dato  che e' prevista la loro partecipazione alla Commissione statale
solo  attraverso  la  figura  di  un  «esperto»  e non con un proprio
rappresentante istituzionale.
      Per  valutare  appieno l'illegittimita' di questa disciplina si
deve  tener  presente che con riguardo ai procedimenti di valutazione
strategica  (c.d. VAS) di piani e programmi di competenza statale, la
partecipazione  ad  una  Commissione  «allargata»  nel quale cioe' la
presenza  dei  rappresentanti  delle  regioni non sia solo formale e'
l'unico  modo  per  esse di far valere le proprie ragioni ed i propri
interessi  su  aspetti  che  riguardano  non  solo  le  problematiche
ambientali, ma che incidono anche direttamente sulla pianificazione e
programmazione   del   proprio   territorio.   L'art. 17  del  d.lgs.
n. 152/2006,  infatti,  non prevede per la VAS in sede statale alcuna
partecipazione   o   consultazione  delle  regioni  nel  procedimento
finalizzato  alla  valutazione  dei piani o programmi (come e' invece
previsto  per  il  procedimento  di VIA statale, nel quale le regioni
devono  esprimere  il  proprio  parere),  se  non  nelle  forme delle
«consultazioni»  di  cui  all'art. 10 del Testo unico ambiente (fase,
quella  delle consultazioni, peraltro di molto svilita rispetto anche
alla normativa comunitaria ed internazionale).
    Cio' e' tanto piu' grave se si considera che l'art. 33 del d.lgs.
n. 152/2006,  recante  la  disciplina  sulla relazione tra VAS e VIA,
prevede  che  «Per  progetti di opere ed interventi da realizzarsi in
attuazione  di  piani  o  programmi  gia'  sottoposti  a  valutazione
ambientale  strategica, e che rientrino tra le categorie per le quali
e'  prescritta  la  valutazione  di  impatto  ambientale,  in sede di
esperimento  di  quest'ultima  costituiscono dati acquisiti tutti gli
elementi  positivamente  valutati  in  sede di valutazione di impatto
strategico  o  comunque  decisi  in  sede di approvazione del piano o
programma».
    Le  norme  in  esame contrastano non solo con gli artt. 117 e 118
Cost. ma anche con la procedura comunitaria contenuta nella Direttiva
2001/42/CE  (recante  la  disciplina  relativa alla valutazione degli
effetti   di   determinati   piani  e  programmi  sull'ambiente).  La
disciplina   comunitaria,   e'   il   caso  di  ricordare,  evidenzia
l'importanza    della    partecipazione   alla   VAS   dei   soggetti
istituzionali,  competenti  in  materia ambientale e territoriale, al
fine  di  assicurare  e perseguire scelte rispettose delle funzioni e
competenze  proprie  di  ciascun soggetto coinvolto nell'attivita' di
programmazione   e   tutela  dell'ambiente.  E'  evidente  allora  il
contrasto  fra  normativa interna e normativa comunitaria e quindi la
violazione,  da  parte  della  norma contenuta nel d.lgs. n. 152/2006
sopra  richiamata,  dell'art. 11  Cost.  Ne consegue l'illegittimita'
delle norme impugnate.
    3) Illegittimita' dell'art. 7, comma 3 per violazione degli artt.
117 e 118 Cost.
    La  norma  di cui all'art. 7, comma 3, d.lgs. n. 152/2006 dispone
che  siano  sottoposti a VAS, oltre ai piani e programmi indicati nel
precedente comma 2 dello stesso articolo anche «i piani e i programmi
contenenti   la   definizione   del   quadro   di   riferimento   per
l'approvazione, l'autorizzazione, l'area di localizzazione o comunque
la  realizzazione  di  opere  ed  interventi  i cui progetti, pur non
essendo  sottoposti  a valutazione di impatto ambientale in base alle
presenti   norme,   possono   tuttavia  avere  effetti  significativi
sull'ambiente   e   sul   patrimonio   culturale,  a  giudizio  della
sottocommissione    competente    per   la   valutazione   ambientale
strategica».   Per   effetto   di  questa  disposizione,  quindi,  la
sottocommissione   (alla   quale,   come   evidenziato,   la  regione
interessata  partecipa solo attraverso la figura di un «esperto»), ha
il  potere  di  indicare,  caso  per  caso,  gli  ulteriori  piani da
sottoporre a VAS, senza distinguere tra piani statali e regionali. E'
evidente  allora  che  per effetto di tale disciplina lo Stato potra'
incidere   in  maniera  sostanzialmente  unilaterale  su  materie  di
competenza regionale, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del
principio di leale collaborazione.
    4) Illegittimita'  dell'art. 7,  comma  8  per  violazione  degli
artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
    La  norma  di cui all'art. 7, comma 8, d.lgs. n. 152/2006 sottrae
al  procedimento  di  valutazione  strategica  (c.d.  VAS)  i piani e
programmi relativi ad interventi di telefonia mobile.
    Questa  esclusione  in  primo  luogo  e'  irrazionale e non trova
giustificazioni  ne'  sulla base della pre-vigente disciplina interna
ne'  sulla  base  della  disciplina  comunitaria.  La  non  logicita'
dell'esclusione  discende dal fatto che in questo modo i citati piani
risultano  esonerati dalla VAS al pari dei piani destinati a scopi di
difesa nazionale ed ai piani finanziari e di bilancio. Inoltre non si
capiscono le ragioni di una simile esclusione anche in considerazione
del   fatto  che  invece  la  precedente  normativa,  sulla  base  di
approfonditi studi in materia di tutela della salute e dell'ambiente,
li  aveva  assoggettati  alle disposizioni di cui all'art. 87, d.lgs.
n. 259/2003.  L'esclusione  in  parola,  quindi,  risulta illegittima
anche  perche'  va  ad  incidere (con disciplina statale unilaterale)
sulle competenze regionali costituzionalmente garantite in materia di
governo  del  territorio  e  tutela  della salute, ex art. 117, terzo
comma e art. 118 Cost.
    In  secondo luogo l'esclusione dalla VAS si pone in contrasto con
la  Direttiva  comunitaria  2001/42/CE, dato che in questa i piani di
telefonia  mobile  vi  sono  ricompresi.  Si  configura  pertanto una
violazione  dell'art. 11  Cost.  e quindi un contrasto con i principi
contenuti nella legge delega n. 308/2004, art. 1, comma 8, lettera e)
ed  f),  secondo i quali il nuovo testo unico avrebbe dovuto dare, da
un lato, «piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al
fine   di   garantire   elevati  livelli  di  tutela  dell'ambiente»,
dell'altro,  «affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di
precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni
ambientali  e  del  principio «chi inquina paga». Da quanto detto, in
conclusione,  discende  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 7,
comma 8, per violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
    5) Illegittimita'  dell'art. 10, commi 3 e 5 per violazione degli
artt. 117 e 118 Cost.
    La previsione di cui al comma 3, art. 10 del Testo unico ambiente
stabilisce  che le modalita' di pubblicazione totale e/o parziale del
piano o progetto da sottoporre a VAS sono stabilite con «regolamento»
misteriale.
      La  previsione  di  legge  e' costituzionalmente illegittima in
quanto  con  una  simile  disciplina  vengano  a  stabilirsi  in  via
unilateralmente  regole  valide anche per le regioni, senza prevedere
alcun  coinvolgimento  delle stesse e senza riconoscere ad esse forme
di  pubblicazione aggiuntive (come invece previsto per i procedimenti
di  VIA  regionale, per le regioni e province autonome di Trento e di
Bolzano, art. 43, comma 4).
    In altre parole quindi con il regolamento che sara' emanato sulla
base  della  norma  citata, lo Stato non solo potra' dettare standard
minimi  in  materia  ma risultera' autorizzato ad intervenire con una
normativa   dettagliata   e  puntuale  a  disciplinare  le  forme  di
pubblicita' valide per tutti i procedimenti di VAS, anche regionali.
    Quanto  detto  rileva  anche  alla  luce  di  quanto disposto dal
successivo comma 5 dello stesso art. 10 che prevede che «i depositi e
le  pubblicazioni,  di  cui  ai  commi  2  e  3,  con  le  connesse e
conseguenti  consultazioni,  di cui al comma 4, sostituiscono ad ogni
effetto tutte le forme di informazione e partecipazione eventualmente
previste  dalle  procedure  ordinarie di adozione ed approvazione dei
medesimi  piani  o  programmi». Per effetto di questa disposizione si
determina  una  grave  ingerenza  nelle  materie  di competenza delle
regioni  come  l'approvazione  di piani territoriali ed urbanistici e
dei   relativi   procedimenti.  E  pertanto  evidente  la  violazione
dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. e dell'art. 118 Cost. dato
che  non  ci  si  e'  limitati  a  dettare  disposizioni di principio
finalizzate  a garantire l'adeguatezza dell'informazione al pubblico,
ma  invece  e'  stata  prevista la possibilita' di dettare specifiche
modalita'  di  pubblicita' vincolanti anche per i procedimenti di VAS
regionali.
    6) Illegittimita'  dell'art. 25,  comma  1,  lettera a); art. 35,
comma  1,  lettera  b),  art. 42,  commi  1 e 3, per violazione degli
artt. 117 e 118 Cost.
    Le  disposizioni contenute nell'art. 25, nell'art. art. 35, comma
1,  lettera  b),  e  nell'art. 42, commi 1 e 3 del d.lgs. n. 152/2006
prevedono  che  siano  sottoposti a valutazione di impatto ambientale
(c.d.  VIA)  in  sede  statale  anche  i  progetti aventi impatto sul
territorio  della  regione  e/o  che  comunque  possano avere impatto
rilevante su piu' regioni.
    Le   disposizioni  sopra  citate  vanno  a  rafforzare  oltremodo
l'ambito  di  competenza statale in materia di VIA: fin'ora, infatti,
gli  interventi interregionali erano sottoposti ad un procedimento di
valutazione  di  impatto  ambientale  di  intesa tra tutte le regioni
interessate.  In  conseguenza,  invece,  della  nuova  normativa,  si
assiste  ad un indebito accentramento ditali funzioni, senza peraltro
prevedere,  per  detti  procedimenti,  la  necessaria  intesa  con le
regioni.  Cio'  comporta  in  primo  luogo la violazione dell'art. 76
Cost.,  per  il  contrasto  con  la legge delega n. 308/2004, art. 1,
comma  8, che prevedeva il rispetto del principio di sussidiarieta' e
delle  competenze cosi' come delineate dal d.lgs. n. 112/1998; di poi
la  violazione delle prerogative riconosciute alle regioni in materia
di  governo  del  territorio  e  tutela  della salute, ai sensi degli
artt. 117, e 118 Cost.
    7) Illegittimita'   dell'art.   25,  comma  1,  lettera  b),  per
violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
    La  norma  di  cui  all'art. 25,  comma  1,  lettera  b),  d.lgs.
n. 152/2006  prevede  che  la  regione,  nell'individuare  con  legge
l'autorita'  cui  compete  la  valutazione  di  impatto ambientale da
svolgersi  in  sede  regionale, tenga conto «delle attribuzioni della
competenza  al  rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione delle
varie  opere  ed  interventi  e  secondo  le  procedure  dalla stessa
stabilite  sulla  base  dei  criteri direttivi di cui al capo III del
presente  titolo,  ferme  restando  le  disposizioni comuni di cui al
presente capo I».
    La norma, il cui significato non risulta a prima vista chiaro, si
presta ad una interpretazione che, pur essendo formalmente legittima,
non e' rispettosa del dettato costituzionale.
    Essa  infatti  puo'  essere  intesa  nel senso che il legislatore
statale  ha voluto obbligare le regioni ad attribuire il procedimento
di  VIA,  all'ente titolare del potere autorizzatorio. In questo caso
si  avrebbe  una  diretta  ingerenza  nella potesta' delle regioni di
allocare  le  funzioni  e, quindi, di scegliere il livello di governo
piu'  idoneo  ad  esercitare  la  VIA,  in  palese  violazione  degli
artt. 117 e art. 118 Cost.
    Si osserva, inoltre, che porre in capo al medesimo ente il potere
autorizzatorio   dell'opera   o  del  progetto  e  contemporaneamente
affidargli  la competenza alla valutazione dell'impatto sull'ambiente
di  tale  opera,  si  pone  in  evidente  contrasto  con la normativa
comunitaria ed in particolare con la Direttiva 85/337/CEE (recante la
disciplina  dei  procedimenti di VIA su progetti pubblici e privati),
la  quale  impone  innanzitutto  che  «gli  effetti  di  un  progetto
sull'ambiente debbono essere valutati per proteggere la salute umana,
contribuire  con  un  migliore  ambiente  alla  qualita'  della vita,
provvedere  al  mantenimento della varieta' delle specie e conservare
la  capacita'  di  riproduzione  dell'ecosistema  in  quanto  risorsa
essenziale   di   vita»  (undicesimo  considerando  della  Premessa).
L'art. 3 delle direttiva in esame, poi, prevede espressamente che «La
valutazione  dell'impatto ambientale individua, descrive e valuta, in
modo  appropriato, per ciascun caso particolare e a norma degli artt.
da  4  a  11,  gli  effetti  diretti  e  indiretti di un progetto sui
seguenti fattori:
        l'uomo, la fauna e la flora;
        il suolo, l'acqua, l'aria, il clima e il paesaggio;
        i beni materiali ed il patrimonio culturale;
        l'interazione  tra i fattori di cui al primo, secondo e terzo
trattino».
      Ed  infatti,  oggi  -  conformemente  alle  finalita'  indicate
dall'ordinamento  comunitario - la maggior parte delle autorizzazioni
sono  rilasciate  dagli  enti  locali,  comuni  e province, mentre la
valutazione  dell'incidenza  sull'ambiente di dette opere spetta alla
regione.  Cio'  proprio a maggiore garanzia delle esigenze ambientali
che evidentemente hanno implicazioni non limitate al territorio di un
singolo comune o di una sola provincia.
    Si eccepisce pertanto la violazione degli artt. 11 e 76 Cost. per
violazione  dei criteri contenuti nella legge di delega i quali, come
gia'  evidenziato,  impongono il rispetto della normativa comunitaria
in  materia  ambientale (cfr. art. 1, comma 8, lettere e) ed f) legge
n. 308/2004).
    8) Illegittimita'  dell'art.  51, comma 3, d.lgs. n. 152/2006 per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    La  disposizione  di  al  comma  3,  art. 51,  d.lgs. n. 152/2006
sancisce che le norme tecniche integrative della disciplina sulla VIA
siano  emanate  con decreto del Presidente del Consiglio, su proposta
del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri competenti per
materia,  e  «solo»  sentita  la  Commissione  di cui all'art. 6, cui
peraltro  la  regione  partecipa  in  maniera  formale» attraverso la
figura dell'esperto.
      Anche  rispetto  a  questa  procedura  lo  Stato, quindi, detta
unilateralmente  una  disciplina  che  va  ad incidere non solo sulla
materia  della  tutela  dell'ambiente  ma  anche su materie, quali il
governo  del  territorio  e  la  tutela  della  salute, di competenza
regionale,   senza  alcun  coinvolgimento  neanche  della  Conferenza
Stato-Regioni.   Di  conseguenza  e'  evidente  la  violazione  degli
artt. 117,  118  Cost. (e del principio di leale collaborazione, come
di seguito illustrato).
      9) Illegittimita'  dell'art.  57,  comma  4 e 6, per violazione
degli artt. 117 e 118 Cost.
      9.1) La  parte  terza,  Sezione  prima,  del d.lgs. n. 152/2006
contiene  un  insieme  di  disposizioni  (da  art. 53 ad art. 72) che
regolamentano la difesa del suolo e la lotta alla desertificazione.
    La sezione si compone di due titoli: il primo contiene i principi
generali  e  il  riparto di competenze fra tutti i soggetti coinvolti
(Presidente  Consiglio  dei  ministri; Conferenza Stato-Regioni; enti
locali;   Autorita'  ecc.);  il  secondo  e'  relativo  ai  distretti
idrografici, agli strumenti e agli interventi finalizzati alla difesa
del suolo.
    L'insieme  degli  articoli  di  legge  citati  sono relativi alla
difesa  del suolo che, in base al nuovo art. 117 Cost., rientra nella
materia  «governo  del  territorio»  soggetta  a potesta' legislativa
concorrente  e  in cui, quindi, lo Stato puo' dettare solo i principi
fondamentali, cui devono attenersi le regioni nell'elaborazione delle
proprie  normative.  Dalla  lettura delle norme sopra citate, invece,
emerge  come  il  d.lgs.  n. 152/2006  abbia  dettato disposizioni di
carattere  specifico  in  aperto  contrasto quindi con le prerogative
regionali. Non solo. Il legislatore delegato ha anche violato criteri
e principi in materia di tutela dell'ambiente dettati dal legislatore
comunitario e pertanto la nuova disciplina si pone in contrasto anche
con essa, come di seguito evidenziato.
    9.2) L'art. 57  del  d.lgs.  n. 152/2006  elenca  le funzioni del
Presidente del Consiglio dei ministri e del Comitato dei ministri per
gli interventi nel settore della difesa del suolo.
    In   particolare  al  Comitato  (presieduto  dal  Presidente  del
Consiglio  e  composto  dal Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio,  dai  Ministri  delle  infrastrutture  e trasporti, dalle
attivita'  produttive,  dalle politiche agricole e forestali, per gli
affari regionali e per i beni e le attivita' culturali e dal delegato
del  Presidente  del  Consiglio dei ministri in materia di protezione
civile),   sono   attribuite   funzioni   di   alta  vigilanza  e  di
coordinamento  del  programma nazionale di intervento con i programmi
predisposti  e  realizzati  dalle regioni e degli altri enti pubblici
nazionali.
    In  questo contesto il quarto comma dispone che per assicurare il
necessario coordinamento tra le diverse amministrazioni, «il Comitato
dei   Ministri  propone  gli  indirizzi  delle  politiche  settoriali
direttamente   o  indirettamente  connesse  con  gli  obiettivi  e  i
contenuti  della pianficazione di distretto e ne verifica la coerenza
nella fase di approvazione dei relativi atti».
    Tale  disposizione  e' molto estesa anche in considerazione della
previsione   di  cui  al  successivo  art. 65.  Dalla  lettura  delle
previsioni  di  cui  all'articolo  da  ultimo  citato, che indica gli
obiettivi e i contenuti del piano di distretto, e' agevole verificare
che  il  piano  presenta  strette  connessioni con le piu' importanti
politiche  settoriali  rientranti  in  ambiti di competenza regionale
(quali   ad   esempio  l'utilizzazione  delle  risorse  forestali  ed
estrattive; delle risorse idriche, ecc.).
    Ebbene, la norma in esame attribuisce al Comitato dei Ministri il
compito di proporre (per l'approvazione con d.P.C.m.) indirizzi delle
politiche  settoriali connesse con i contenuti del piano di distretto
e  cio'  anche  ove  tale  connessione  sia  solo indiretta: cosi' si
attribuisce   all'Amministrazione  statale  un  rilevante  potere  di
indirizzo che potra' essere rivolto anche nei confronti di molteplici
e significativi piani di settore di competenza regionale.
    In  considerazione  di  quanto  sopra  esposto la norma contenuta
nell'art. 57,  comma  4,  contrasta con l'art. 117 Cost. ed anche con
l'art. 118  Cost.  perche'  non  si  prevede,  nella  definizione dei
previsti   indirizzi,   un   adeguato  coinvolgimento  delle  regioni
interessate  che  poi  sono  tenute  a  recepire  ed  adeguarsi  agli
indirizzi stessi.
    Per   effetto   di   quanto   appena   detto,   allora,   risulta
costituzionalmente  illegittima  anche  la disposizione contenuta nel
comma  6  dato  che  la  previsione  del solo parere della Conferenza
Stato-Regioni,  insufficiente  a  garantire  il  reale  ed  effettivo
coinvolgimento di quest'ultime.
    In  conclusione risulta incostituzionale anche il sesto comma la'
dove  non  prevede  l'intesa (in luogo del parere) per la definizione
degli  indirizzi (in luogo dei soli principi degli atti di indirizzo)
di cui al quarto comma.
    10) Illegittimita'  dell'art.  58,  comma  3, lettere a) e d) per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    L'art. 58   del   d.lgs  n. 152/2006  elenca  le  competenze  del
Ministero  dell'ambiente  e  della  tutela del territorio; tra queste
attribuisce al medesimo: «a) la programmazione, il finanziamento e il
controllo   degli   interventi   in   materia  del  suolo;  (...)  d)
l'identificazione   delle   linee   fondamentali   dell'assetto   del
territorio  nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali
e  alla difesa del suolo, nonche' con riguardo all'impatto ambientale
dell'articolazione  territoriale  delle  reti infrastrutturali, delle
opere  di  competenza  statale  e  delle trasformazioni territoriali»
(comma 3).
    Le   sopra   menzionate  competenze  si  sovrappongono,  fino  ad
eliminare qualsiasi autonomia, alle attribuzioni regionali in materia
di gestione del territorio. Si puo' infatti evidenziare quanto segue.
    La  lettera a) del comma 3, con una locuzione quanto mai ampia ed
omnicomprensiva  attribuisce  al  Ministero  tutti  gli interventi in
materia  di  difesa  del  suolo. Non e' previsto alcun ruolo «attivo»
delle  regioni alle quali, infatti, e' riconosciuto un mero potere di
proposta  e  di  osservazione  da  esercitarsi  in sede di Conferenza
Stato-Regioni (art. 59).
    Anche   la   previsione   contenuta  nella  lettera  d)  comporta
un'interferenza rilevante con le attribuzioni regionali in materia di
governo del territorio dato che attribuisce al Ministro, senza alcuna
intesa  con  la regione, l'identificazione delle «1inee fondamentali»
dell'assetto del territorio con riguardo all'impatto ambientale delle
reti infrastrutturali.
    La  violazione  delle  attribuzioni  regionali, determinata dalla
disposizione  in  commento,  risalta evidente tenendo presente che la
competenza  attribuita  al  Ministro riguarda le «linee fondamentali»
vvero  il  «cuore»  del  governo  del  territorio. In altre parole la
lettera   d),   attribuisce  all'Autorita'  centrale  di  incidere  e
progettare  la  realizzazione  delle  piu'  importanti  ed «invasive»
infrastrutture  sulle quali invece la «concertazione» con l'autorita'
regionale dovrebbe trovare la migliore capacita' d'intesa.
    Su   questione   analoga   si   e'   gia'  pronunciata  la  Corte
costituzionale con la sentenza n. 303/2003, in riferimento alle opere
infrastrutturali  strategiche. La Corte ha riconosciuto essenziale in
queste materie la previsione di una fase di collaborazione - non solo
formale  -  tra  Stato  e  le  regioni,  stante  l'interferenza della
realizzazione   di  dette  opere  con  le  competenze  regionali.  In
applicazione  allora  ai medesimi principi si chiede la declatoria di
incostituzionalita' dell'art. 58, comma 3, lettere a)e d).
    11) Illegittimita'  dell'art.  61,  comma 1, lettere d) ed e) per
violazione degli artt. 76 e 117 Cost.
    La norma contenuta nell'articolo 61, d.lgs. n. 152/2006 elenca le
competenze  delle  regioni  in materia di difesa del suolo e di lotta
alla desertificazione.
    In  via  preliminare  si  rileva  che  le regioni per effetto del
combinato  disposto  della  disposizione  appena  citata  e di quella
contenuta  nell'art. 58,  vengono esautorate dalle loro competenze in
materia  di  governo del territorio. Alla regione come pure agli enti
locali,     vengono     attribuite    soltanto    alcune    attivita'
attuativo-gestionali,  peraltro  in applicazione di decisioni assunte
in  sede  statale. Piu' in particolare, la disposizione contenuta nel
corna i elenca le competenze regionali.
    In questa sede l'eccezione di illegittimita' costituzionale viene
sollevata con riferimento alle previsioni contenute nella lettera d),
che  prevede  che  le  regioni  «per  la  parte di propria competenza
dispongono    la    redazione   e   provvedono   all'approvazione   e
all'esecuzione  dei  progetti,  degli  interventi  e  delle  opere da
realizzare   nei  distretti  idrografici,  istituendo,  ove  occorra,
gestioni  comuni»;  ed a quella contenuta nella lettera e) secondo la
quale  le  regioni  «per  la  parte  di propria competenza provvedono
all'organizzazione   e  al  funzionamento  del  servizio  di  polizia
idraulica ed a quelli per la gestione e la manutenzione delle opere e
degli impianti e la conservazione dei beni».
     Le disposizioni riportate si pongono in contrasto con i principi
e  criteri  direttivi  posti  nella materia de quo dalla legge delega
n. 308/2004  in  quanto  il  legislatore delegante ha stabilito che i
decreti  legislativi  di  attuazione  avrebbero  dovuto rispettare le
attribuzioni regionali come definite dalla precedente normativa.
    E'  il  caso  di  ricordare  allora  che la previgente normativa,
contenuta  nel  d.lgs.  n. 112/1998  aveva  trasferito  alle  regioni
funzioni e compiti relativi a:
        progettazione,   realizzazione   e   gestione   delle   opere
idrauliche di qualsiasi natura (art. 89, lettera a);
        servizi  di  polizia  idraulica  e  pronto intervento nonche'
gestione dei relativi impianti (art. 89, lettera c);
        manutenzione  ordinaria  e  straordinaria delle opere e degli
impianti nel settore della polizia delle acque (art. 89, lettera g).
    In  considerazione  della disciplina sopra riportata e' allora e'
ravvisabile  un  palese  contrasto  tra  il  contenuto della delega e
quello della disposizione in esame del decreto legislativo e pertanto
la violazione dell'art. 76 Cost.
    Piu'  precisamente  le  disposizioni di cui al d.lgs. n. 152/2006
affermano che le regioni «per la parte di loro competenza» dispongono
la  redazione  e  provvedono  all'approvazione  e  all'esecuzione dei
progetti,  degli interventi e delle opere da realizzare nei distretti
idrografici,  nonche'  svolgono  il servizio di polizia idraulica, di
piena e pronto intervento idraulico, la gestione e manutenzione delle
opere;  cio'  in  contrasto  con  il  d.lgs.  n. 112/1998 dove queste
funzioni erano integralmente trasferite alle regioni.
      Per  i  citati  motivi  quindi si eccepisce la violazione degli
artt. 76 e 117 Cost.
    12) Illegittimita'    dell'artt.    63   (autorita'   di   bacino
distrettuale) e 64 (distretti idrografici) per violazione degli artt.
117 e 118 Cost.
    12.1) L'art. 63,   comma   3   d.lgs.  n. 152/2006  dispone:  «Le
autorita' di bacino previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono
soppresse  a  far data dal 30 aprile 2006 e le relative funzioni sono
esercitate  dalle  Autorita' di bacino distrettuale di cui alla parte
terza del presente decreto».
    Tale  norma  accorpa  in  otto distretti i numerosi bacini che la
legge n. 183/1989 aveva istituito suddividendoli in bacini nazionali,
interregionali  e  regionali.  Tra  gli  otto  distretti  figurano il
distretto    delle    Alpi    orientali,   dell'Appennino   centrale,
dell'Appennino  meridionale,  della  Sardegna,  della  Sicilia, ed il
distretto idrografico pilota del Serchio, di ridottissime dimensioni.
    L'intero  territorio  nazionale  e'  dunque stato suddiviso dalla
nuova    normativa   in   otto   distretti   idrografici,   vagamente
corrispondenti   a   delle   macro-regioni.  Questa  suddivisione,  a
prescindere da considerazioni di merito, e' stata stabilita a livello
centrale  senza alcuna partecipazione delle regioni interessate. Essa
appare  senza  dubbio  costituzionalmente  illegittima per violazione
degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
    Si  puo'  ravvisare  inoltre la violazione dell'art. 76 Cost., in
quanto la legge n. 308/2004 delegava il Governo ad emanare decreti di
«riordino,  coordinamento  od integrazione» e quindi a redigere testi
unici   compilativi   e   ricognitivi   per  il  coordinamento  e  la
semplificazione  delle  norme  di  settore;  stabiliva altresi' che i
decreti legislativi avrebbero dovuto rispettare i principi e le norme
comunitarie   e  le  competenze  per  materia  delle  amministrazioni
statali,  nonche'  le attribuzioni delle regioni e degli enti locali,
come  definite  ai  sensi dell'articolo 117 della Costituzione, della
legge  15  marzo 1997, n. 59 e del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 112.
    Le  impugnate disposizioni invece apportano modifiche sostanziali
alla  previgente disciplina perche' individuano ex novo i confini dei
distretti  idrografici  in violazione quindi di quanto esplicitamente
previsto dall'art. 1, commi 1 e 8, della legge n. 308/2004.
    La  nuova  disciplina  relativa  alle  autorita'  di bacino ed ai
distretti  idrografici  non  solo si pone in contrasto con i principi
costituzionali    sopra   enunciati   (assenza   di   una   effettiva
collaborazione  fra  Stato  e  regioni  ed eccesso di delega) ma sono
affette da illegittimita' costituzionale anche sotto altri profili.
    In primo luogo, l'unificazione sotto un'unica autorita' di bacini
che  non  hanno  in realta' alcuna correlazione ne' geografica ne' di
altro tipo, determina un accentramento organizzativo funzionale privo
di  qualunque giustificazione ed «espropria» le regioni delle proprie
competenze,  in  violazione  sia  della competenza legislativa di cui
all'art. 117 Cost. sia del principio di sussidiarieta'.
    In  secondo  luogo i distretti stessi sono stati configurati come
enti  amministrativi  sovraregionali  cosi' distorcendo totalmente la
fisionomia  delle  Autorita'  di  bacino  come risultante dalla legge
n. 183/1989.   Queste  infatti  erano  modellate  con  riferimento  a
dimensioni   idrogeografiche  «naturali»  che  ne  giustificavano  la
competenza   pianificatoria   e   decisionale,  mentre  le  Autorita'
distrettuali  istituite  dalle  disposizioni  impugnate rappresentano
delle    semplici    articolazioni   burocratico-amministrative   che
costituiscono  in  realta'  una  sorta  di amministrazione decentrata
dello  Stato  in  cui  la  centralizzazione  amministrativa e' appena
temperata da elementi di partecipazione delle regioni.
      Si  consideri che, ai sensi della legge n. 183/1989, le regioni
erano  contitolari del governo dei bacini nazionali (configurati come
organismi  a partecipazione mista Stato-regioni) e titolari esclusive
delle  funzioni  relative ai bacini regionali e interregionali. Oggi,
all'opposto,  rappresentanti  delle  regioni  sono  presenti in netta
minoranza   nel   fondamentale   organo  decisionale,  la  Conferenza
istituzionale  permanente  (che nomina anche il Segretario generale),
nonche'  nella  Conferenza operativa, le cui competenze sono peraltro
piuttosto oscure.
    La regola secondo la quale si decide a maggioranza, espressamente
enunciata  al  comma  4,  art. 63,  data  la  composizione sperequata
dell'organo  (in  cui  il  numero  dei  rappresentanti dello Stato e'
sempre  sette, mentre quello dei rappresentanti delle regioni dipende
da  quante  regioni  sono concretamente coinvolte, ma queste non sono
mai  pari  a  sette),  appare  espropriare  le  regioni  da qualsiasi
garanzia giuridica delle loro prerogative.
    12.2) Particolarmente  lesiva  delle  attribuzioni  regionali  e'
inoltre  la  disposizione  contenuta nell'art. 63, comma terzo, nella
quale  si  prevede  che  le  autorita' di bacino previste dalla legge
n. 183/1989  sono  soppresse  a  far  data  dal  30  aprile 2006 e le
relative  funzioni  sono  esercitate  dalle nuove Autorita' di bacino
distrettuale;  a  tal  fine  e'  stabilito che il decreto previsto al
secondo  comma dell'art. 63 disciplini il trasferimento di funzioni e
regolamenti  il  periodo  transitorio.  Tale d.P.C.m. dovrebbe essere
adottato  entro  trenta  giorni  dalla  data di entrata in vigore del
d.lgs. n. 152/2006.
    La  norma  lede le attribuzioni regionali perche' ha soppresso le
autorita'  di  bacino  esistenti  (le  quali esercitano, in base alla
legislazione  regionale,  nei  bacini  regionali  ed  interregionali,
rilevanti  funzioni  amministrative  volte  a  garantire  il corretto
utilizzo  del  territorio  nelle  zone soggette a rischio idraulico),
entro  il  30  aprile  e  a quella data non risultavano costituite le
nuove  autorita'  di  distretto.  Non  solo,  ma  non e' ancora stato
emanato  il, d.P.C.m. di disciplina della fase transitoria, cosi' che
non   e'  noto  il  procedimento  da  seguire  per  la  gestione  dei
procedimenti attualmente pendenti.
     Cio' determina una evidente incisione delle competenze regionali
in  materia  di  difesa  del  suolo  come  disciplinate  dalla  legge
regionale,  con  conseguente  ulteriore lesione degli artt. 117 e 118
Cost.
    12.3) Gli  organi  dei  nuovi distretti sono individuati dall'art
63,   comma   2,   nella  Conferenza  istituzionale  permanente,  nel
Segretario  generale,  nella  Segreteria  tecnico-operativa  e  nella
Conferenza  operativa  di  servizi.  La stessa disposizione rinvia la
definizione  dei  criteri  e  delle modalita' per l'attribuzione o il
trasferimento   del   personale   e   delle  risorse  patrimoniali  e
finanziarie di tali organi ad un decreto del Presidente del Consiglio
dei  ministri,  da  emanarsi su proposta del Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio di concerto con il Ministro dell'economia
e  delle finanze e con il Ministro per la funzione pubblica, «sentita
la  Conferenza  permanente  Stato-regioni», entro trenta giorni dalla
data  di  entrata in vigore del decreto. E' stabilito altresi' che lo
stesso   d.P.C.m.   «disciplina   il   trasferimento  di  funzioni  e
regolamenta il periodo transitorio».
      Le disposizioni impugnate appaiono da un lato gravemente lesive
delle attribuzioni regionali e, dall'altro, lesive dell'oggetto e dei
principi e criteri direttivi della delega.
    Sotto il primo profilo va osservato che la Sezione in cui trovano
collocazione  le  disposizioni  impugnate evoca con chiarezza sin dal
titolo  -  «Norme  in  materia  di  difesa  del  suolo  e  lotta alla
desertificazione» - che la disciplina contenuta insiste sulla materia
«governo  del territorio» che l'art. 117, comma terzo, Cost., assegna
alla competenza concorrente.
    E'   allora   appena   il   caso   di  ricordare  come  la  Corte
costituzionale   ha   ripetutamente   affermato   che  nelle  materie
concorrenti  lo  Stato  puo'  intervenire  esclusivamente  con  norme
legislative  di principio e non puo' riservare a se' e/o alle proprie
strutture   decentrate   funzioni   amministrative   che   non  siano
giustificate  dalla  «chiamata  in sussidiarieta». In ogni caso anche
allorquando  la  disciplina  costituzionale consentisse allo Stato di
esercitare  determinate  funzioni amministrative incidenti in materie
di  competenza regionale, cio' non puo' avvenire che nel rispetto del
principio  di  leale  collaborazione,  ovvero attraverso procedure di
co-decisione   e   non   semplicemente   «sentendo»   la   Conferenza
Stato-regioni, e del principio di proporzionalita'.
    12.4) Gli  articoli  63  e  64  inoltre sono incostituzionali per
violazione  dell'art. 76  Cost.  per  violazione  dei  principi e dei
criteri  posti  dalla legge delega n. 308/2004 la quale attribuiva al
Governo la facolta' di emanare decreti di «riordino, coordinamento od
integrazione»   e   quindi  a  redigere  testi  unici  compilativi  e
ricognitivi  per il coordinamento e la semplificazione delle norme di
settore.  La  legge  di  delega  stabiliva  altresi'  che  i  decreti
legislativi  avrebbero  dovuto  rispettare  i  principi  e  le  norme
comunitarie   e  le  competenze  per  materia  delle  amministrazioni
statali,  nonche'  le attribuzioni delle regioni e degli enti locali,
come  definite ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, della legge
15 marzo 1997, n. 59 e del d.lgs. 31marzo l998, n. 112.
    Le  considerazioni sopra esposte, con riferimento alla disciplina
contenuta  negli  artt. 63  e  64,  d.lgs.  n. 152/2006  si  reputano
sufficienti  ad  evidenziare  come  la  nuova  disciplina  in tema di
Autorita'  di  bacino e distretti idrografici abbia violato i criteri
stabiliti dal legislatore delegante.
    E'  allora  appena  il  caso  di evidenziare come codesta ecc.ima
Corte  abbia  sistematicamente  ripetuto  (cfr. ex multis le sentenze
nn. 303/2005, 66/2005, 280/2004), che «la revisione e il riordino» di
testi  normativi  «ove  comportino  l'introduzione  di  norme  aventi
contenuto innovativo rispetto alla disciplina previgente, necessitano
della  indicazione  di  principi  e  di  criteri  direttivi  idonei a
circoscrivere  le diverse scelte discrezionali dell'esecutivo, mentre
tale  specifica  indicazione  puo'  anche  mancare allorche' le nuove
disposizioni   abbiano   carattere   di  sostanziale  conferma  delle
precedenti»  (sentenza  n. 66/2005,  che  richiama  anche la sentenza
n. 354/1998).  Nel caso de quo l'oggetto della delega prevede solo il
«riordino», neppure la «revisione», per cui la massima espressa dalla
giurisprudenza   costituzionale  va  applicata  con  ancora  maggiore
rigore.
    D'altro   canto,  nessuno  dei  «principi  e  criteri  direttivi»
elencati   dall'art. 1,   comma   8,   legge   n. 308/2004  autorizza
un'innovazione legislativa e amministrativa come quella apportata dal
capovolgimento del sistema delle Autorita' di bacino.
    13) Illegittimita'  dell'art.  65  per violazione degli artt. 76,
117 e 118 Cost.
    La  norma  di  cui  all'art. 65, d.lgs. n. 152/2006 disciplina il
contenuto e le finalita' del piano di bacino distrettuale.
    Ai  sensi  della  disposizione  citata  esso si configura come lo
strumento con cui sono pianificate, programmate e dettate le azioni e
le  norme  d'uso  finalizzate  alla conservazione, alla difesa e alla
valorizzazione  del  suolo e alla corretta utilizzazione delle acque.
Il  piano  e' predisposto dall'Autorita' di bacino distrettuale ed ha
un   contenuto   molto   esteso,   non   limitato   ai  soli  aspetti
idrogeologici.   Ed   infatti,   secondo   la   normativa   contenuta
nell'art. 65, il piano dovra' indicare anche:
        le  opere necessarie distinte in funzione, «del perseguimento
degli  obiettivi  di  sviluppo sociale ed economico o di riequilibrio
territoriale  nonche' del tempo necessario per assicurare l'efficacia
degli interventi» (comma 3, lettera d), punto 4);
        «la  programmazione  e l'utilizzazione delle risorse idriche,
agrarie, forestali ed estrattive» (comma 3, lettera e));
          «le  opere di protezione, consolidamento e sistemazione dei
litorali  marini  che  sottendono  il distretto idrografico» (lettera
h));
        «il   rilievo  conoscitivo  delle  derivazioni  in  atto  con
specificazione degli scopi energetici, idropotabili, irrigui od altri
e delle portate» (lettera p));
        «il  piano  delle  possibili  utilizzazioni future sia per le
derivazioni  che  per altri scopi, distinte per tipologie d'impiego e
secondo le quantita« (lettera r)).
      La  norma dispone inoltre, nel comma 4, che le disposizioni del
piano di bacino hanno carattere immediatamente vincolante e che entro
dodici   mesi  le  autorita'  competenti  (regioni  comprese)  devono
adeguare  i  piani  territoriali  ed  i programmi regionali quali, in
particolare,  quelli  relativi  alle attivita' agricole, zootecniche,
agro-forestali,  tutela  della  qualita'  delle  acque,  gestione dei
rifiuti, tutela dei beni ambientali, bonifica.
    Le  disposizioni  sopra  citate  si  pongono  in contrasto con le
competenze  regionali  in  materia  di  difesa  del suolo e quindi di
governo del territorio. Cio' per diversi motivi.
    Innanzitutto perche', in considerazione dell'esteso contenuto del
piano, si va ad un accentramento in capo allo Stato delle funzioni di
pianificazione,  programmazione  e gestione di funzioni di competenza
regionale.  E'  sufficiente  tener  presente,  infatti, come il piano
arrivi  a  definire  gli  obiettivi di sviluppo sociale ed economico,
l'uso  delle  risorse  idriche, agrarie, forestali ed estrattive, che
sono di competenza delle regioni a partire dalle previsioni contenute
nel  d.lgs.  n. 112/1998.  Di  conseguenza  e' evidente la violazione
dell'art. 117 Cost.
    In  secondo  luogo  la  violazione  delle competenze regionali si
verifica  anche  rispetto  alla procedura prevista per l'approvazione
del piano.
    Questo   infatti  e'  adottato  a  maggioranza  dalla  Conferenza
istituzionale  e  poi,  dopo  l'esperimento  del procedura di VAS, e'
approvato  con  decreto  del  Presidente  del Consiglio dei ministri,
sentita la Conferenza Stato-regioni (art. 57, primo comma).
    Il  piano  di  bacino  ha  effetti  molto  penetranti  sia  sulla
pianificazione  territoriale  sia  sulla programmazione regionale. Si
tenga  ad  esempio  presente  che  i piani ed i programmi di sviluppo
socio-economici  e  di  assetto  ed  uso del territorio devono essere
coordinati  e  comunque  non  in  contrasto  con  il  piano di bacino
approvato. Per assicurare il coordinamento tra gli stessi e' previsto
che   entro   12  mesi  dall'approvazione  del  piano,  le  autorita'
competenti  (enti  locali  e  regioni comprese, ognuno per la propria
competenza),  debbano  adeguare  i  rispettivi  piani  territoriali e
programmi  regionali,  quali,  in  particolare,  quelli relativi alle
attivita'  agricole,  zootecniche  ed agro-forestali; alla tutela dei
beni  ambientali;  alla  tutela delle acque (commi 4 e 5). Sempre per
assicurare  le finalita' sopra menzionate e' altresi' previsto che le
regioni  entro  novanta  giorni dalla pubblicazione del piano debbano
emanare  le  disposizioni  per l'attuazione del piano e, in mancanza,
gli   enti   interessati   sono   comunque  tenuti  a  rispettare  le
prescrizioni dello stesso.
    E'  pertanto  evidente  che  il  piano  di  bacino finisca con il
prevalere   sugli   atti   di   programmazione  e  di  pianificazione
territoriale.
    In   considerazione   di   tale  efficacia,  il  procedimento  di
formazione   dovrebbe   coinvolgere  le  regioni,  nel  rispetto  del
principio  di leale cooperazione cosi' come interpretato ed applicato
dalla stessa Corte costituzionale.
      Nulla  di tutto questo e' previsto. Percio' potra' essere fatta
valere la violazione degli artt. 117 e 118 Cost., tenendo anche conto
che  la  Corte costituzionale, nella sentenza n. 85/1990, ha rilevato
che  «non  puo'  rinvenirsi  una  qualsiasi giustificazione sul piano
costituzionale   per   dare   alle   amplissime   determinazioni   di
pianificazione   del   predetto   Comitato   istituzionale,  relative
all'assetto    idrogeologico,    alla    conservazione,    difesa   e
valorizzazione  del  suolo e utilizzazione delle acque, una incidenza
diretta  ed  automatica di modifica degli strumenti di pianificazione
urbanistica, tanto piu' con carattere permanente».
    Infine,  rispetto  alla  disposizione  sopra citata, si prospetta
anche  la  violazione  dell'art. 76  Cost. per violazione della legge
delega.  Infatti  la legge n. 308/2004 delegava il Governo ad emanare
decreti  di  «riordino,  coordinamento od integrazione» nelle materie
oggetto  dello  schema  e quindi a redigere testi unici compilativi e
ricognitivi  per il coordinamento e la semplificazione delle norme di
settore.
    Con  le  norme  qui  contestate,  invece, il decreto ha apportato
modifiche   sostanziali   alla  disciplina  vigente,  disponendo  una
radicale   riforma  delle  Autorita'  di  bacino  che  determina  uno
sconvolgimento  dell'assetto delle competenze tra Stato e regioni, in
violazione  di  quanto esplicitamente previsto dall'art. 1, commi 1 e
8, della legge n. 308/2004.
    14) Illegittimita' dell'art. 75, comma 5 per violazione dell'art.
119 Cost.
    La   disposizione   contenuta   nel   comma  5,  art. 75,  d.lgs.
n. 152/2006  pone  a  carico  della  regione una serie di obblighi di
informazione sullo stato di qualita' delle acque nonche' l'obbligo di
trasmettere  al  Dipartimento  tutela  acque  interne e marine i dati
conoscitivi  e  le  informazioni  relative  all'attuazione del d.lgs.
n. 152/2006.
    Questa  serie  di obblighi informativi presuppone un'attivita' di
rilevazione   e   monitoraggio  delle  acque  indubbiamente  costosa.
Attivita'   che   e'   riconducibile   alla   materia   della  tutela
dell'ambiente,  materia  demandata dalla Costituzione alla competenza
esclusiva  dello  Stato, dove nella sostanza le regioni agiscono come
meri  «bracci  operativi  dello» Stato. Con la disposizione in esame,
invece, sono stati attribuiti al1e regioni compiti e funzioni che, in
primo  luogo, non sono loro proprie ed inoltre senza che venisse loro
riconosciuta  la  destinazione  di  specifiche  ed aggiuntive risorse
finanziarie.
    In  particolare  allora  rispetto  alla  previsione  del comma 5,
art. 75  si  puo'  sostenere  il  contrasto  con l'art. 119 Cost. per
violazione  dell'autonomia  finanziaria  delle  regioni dato che sono
state   attribuite   alle   stesse   specifici  compiti  senza  pero'
un'adeguata  copertura  finanziaria. Il comma 5 dell'art. 119 dispone
infatti  che  «per  provvedere  a scopi diversi dal normale esercizio
delle  loro funzioni lo Stato destina risorse aggiuntive» a favore di
comuni, province e regioni.
    15) Illegittimita'  dell'art. 77, comma 5, d.lgs. n. 152/2006 per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    La  norma di cui all'art. 77, comma 5, d.lgs. n. 152/2006 dispone
che  «la  designazione  di  un  corpo idrico artificiale o fortemente
modifiato  e  la relativa motivazione siano esplicitamente menzionate
nei  piani di bacino e sono riesaminate ogni sei anni». Di seguito il
comma  5  riconosce alle regioni la possibilita' di definire un corpo
idrico   artificiale   o  fortemente  modificato  in  presenza  delle
condizioni individuate nella norma medesima (lettera  a e b).
    La  censura di legittimita' costituzionale coinvolge la locuzione
«designazione».
    Essa  infatti  non esclude che «l'individuazione del corpo idrico
artificiale  o  fortemente modificato» sia effettuata dallo Stato. Se
cosi'  fosse allora si ricondurrebbe in capo allo stesso un'attivita'
finalizzata  a  politiche  di  «governo  del  territorio»  come  tali
riservate,   dall'art. 117,  comma  terzo  Cost.,  alla  legislazione
concorrente Statoregione, e rispetto alla quale compete allo Stato la
sola fissazione dei principi fondamentali.
      La  norma, pertanto, qualora la «designazione» del corpo idrico
artificiale   o   fortemente   modificato   debba   intendersi   come
individuazione dello stesso da parte dello Stato, appare lesiva degli
artt. 117 e 118 Cost.
    16) Illegittimita'  dell'art. 87, comma 1, d.lgs. n. 152/2006 per
violazione degli artt. 117, 118 Cost.
    La  norma  di  cui all'art. 87, comma 1, del Testo unico ambiente
dispone  che  «Le  regioni, d'intesa con il Ministero delle politiche
agricole  e  forestali,  designino,  nell'ambito  delle  acque marine
costiere  e  salmastre  che  sono  sede  di  banchi  e di popolazioni
naturali  di  molluschi  bivalvi  e  gasteropodi,  quelle richiedenti
protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo degli
stessi  e  per  contribuire  alla  buona  qualita' dei prodotti della
molluschicoltura direttamente commestibili per l'uomo».
    La  finalita'  della  disposizione  sopra  citata - assicurare la
qualita'  dei  prodotti  commestibili - porta a ritenere che la norma
incida  su  diversi  interessi  ora  di competenza della legislazione
statale  (tutela  dell'ambiente);  ora della legislazione concorrente
(tutela della salute); ora della legislazione residuale delle regioni
(agricoltura).
    Secondo  l'orientamento  consolidato  della  Corte costituzionale
nella  materia  dell'agricoltura  vi rientra tutto cio' che «ha a che
fare   con   le   produzioni   di   vegetali   ed  animali  destinati
all'alimentazione»  (Cost.  n. 12/2004). Questa impostazione nel caso
di  specie risulta anche confermata dall'individuazione del Ministero
delle  politiche  agricole  e  forestali  quale  Ministro  competente
all'intesa.
    Detto cio' allora non si ravvede la legittimita costituzionale di
una  previsione  che  impone la necessaria intesa tra le regioni e il
Ministero  delle  politiche  agricole  e  forestali  in  una  materia
riconducibile pero' alla competenza esclusiva delle regioni.
    Il  primo  comma  dell'articolo,  pertanto,  nella  parte  in cui
prevede   l'intesa  con  il  Ministero  delle  politiche  agricole  e
forestali, viola il disposto degli art. 117 e 118 Cost.
    17) Illegittimita'  dell'art.  91 commi 2 e 6, d.lgs. n. 152/2006
per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
     La disposizione contenuta nel comma 2 dell' art. 91, dispone che
il  Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, sentita la
Conferenza  Stato-regioni individui le aree sensibili (ovvero le aree
particolarmente  esposte  ad  inquinamento); quella di cui al comma 6
che  il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, sempre
sentita  la  Conferenza Stato-regioni, proceda alla reidentificazione
delle  aree  sensibili  e  dei  bacini  drenanti  che  contribuiscono
all'inquinamento delle aree medesime.
    Se   e'   vero   che   l'ambito  di  intervento  della  norma  e'
riconducibile  alla  materia dell'ambiente, materia che e' attribuita
dall'art. 117  Cost. alla competenza esclusiva statale, e' anche vero
che  dalla  individuazione delle aree sensibili discendono importanti
conseguenze a livello di politiche del territorio (basti pensare alla
scelta di sistemi depurativi), che attengono invece piu' propriamente
alla  materia  del  «governo  del  territorio»  e della «tutela della
salute»  in  relazione  alla  quale  l'art. 117  Cost. riconosce alle
regioni una competenza legislativa concorrente.
    Di  conseguenza  la  disposizione sopra citata avrebbe dovuto non
solo  limitarsi  a  prevedere  l'obbligo  per  lo Stato di sentire la
Conferenza   Stato-regioni,   ma   avrebbe   dovuto  prevedere  anche
l'acquisizione di un'intesa con la stessa.
    Cio'  in  conformita' anche dell'orientamento piu' volte espresso
dalla  Corte costituzionale in base al quale, qualora per esigenza di
esercizio   unitario   vengono   attratte   insieme   alla   funzione
amministrativa  funzioni  legislative  deve  essere  dato  il  dovuto
risalto  alle «attivita' concertative e di coordinamento orizzontale,
ovverosia  le intese, che devono essere condotte in base al principio
di lealta» (sentenza n. 303/2003).
    La  disposizione, pertanto, nella parte in cui non prevede che il
processo codecisionale sia garantito attraverso un'intesa fra Stato e
regioni viola il disposto degli artt. 117 e 118 Cost.
    18) Illegittimita'  dell'art.  113,  comma 1 e art. 114, comma 1,
d.lgs. n. 152/2006 per violazione dell'art. 117 Cost.
    Le  norme  di  cui  agli  artt 113 e 114 del Testo unico ambiente
subordinano   la  potesta'  normativa  regionale  in  tema  di  acque
meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia nonche' in tema di
restituzione  delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica,
per  scopi  irrigui  e  in impianti di potabilizzazione, ad un previo
parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.
    Piu'  precisamente nel comma 1 dell'art. 113 e' disposto che: «Ai
fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, le regioni,
previo   parere  del  Ministero  dell'ambiente  e  della  tutela  del
territorio, disciplinano e attuano: (...)»; nel comma 1 dell'art. 114
e'   stabilito   che   «Le   regioni,  previo  parere  del  Ministero
dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio,  adottano  apposita
disciplina  in  materia di restituzione delle acque utilizzate per la
produzione idroelettrica, (...)».
    Le  disposizioni  sopra  riportate  non  trovano precedenti nella
normativa  ambientale.  Una  loro  interpretazione  letterale porta a
riconoscere una natura obbligatoria al parere statale in grado quindi
di   limitare,  o  piu'  precisamente  subordinarne  lo  svolgimento,
l'attivita' legislativa regionale. Ne consegue la loro illegittimita'
costituzionale per violazione dell' art. 117 Cost.
    19) Illegittimita' dell'art. 116 per violazione degli artt. 117 e
118 Cost. Violazione del principio di leale cooperazione.
    La  disposizione  contenuta  nell'  art. 116,  d.lgs. n. 152/2006
disciplina  l'iter per l'adozione dei «programmi di misura» destinati
ad  integrare  i  piani di tutela (iter peraltro differente da quello
indicato per l'adozione dei piani di tutela stessa).
    I  programmi di misura per le loro caratteristiche sono destinati
ad  individuare  interventi  specifici, attuativi dei piani di tutela
con forti ricadute sul territorio.
    In  base  alla  disposizione  in esame i programmi di misura sono
predisposti   dalle   regioni   e   sottoposti   per   l'approvazione
all'Autorita'  di  bacino,  che  puo' invitare la regione, qualora le
misure  non  risultino sufficienti al raggiungimento degli obiettivi,
ad apportare le dovute modifiche.
    La  procedura  prevede,  quindi,  un  coinvolgimento  dei livelli
regionali,   che   predispongono  i  programmi,  ma  poi  attribuisce
sostanzialmente   le   decisioni   allo  Stato  o  piu'  precisamente
all'Autorita'  di  bacino (statale) la loro approvazione. E' evidente
allora  che  il  modello  procedimentale  previsto  non  consente  un
confronto  paritario  fra  i  vari interessi coinvolti e non risulta,
pertanto, rispettoso delle competenze riconosciute alle regioni dalla
Costituzione.
    La   disposizione,   pertanto,   nella   parte   in  cui  prevede
l'approvazione  dei  programmi  e delle misure supplementari da parte
dell'Autorita'   di   bacino  e'  illegittima  per  violazione  degli
artt. 117 e 118 Cost. nonche' del principio della leale cooperazione.
    20) Illegittimita'   dell'art.   148,  comma  5,  per  violazione
dell'art. 117 Cost.
    La  disciplina  di  cui all'art. 148, d.lgs. n. 152/2006 contiene
disposizioni in tema di Autorita' d'ambito territoriale.
    Il  comma  1,  prevede  l'obbligatoria  partecipazione degli enti
locali  alle  autorita'  d'ambito.  Il  comma 5 stabilisce che «Ferma
restando  la  partecipazione  obbligatoria  all'Autorita' d'ambito di
tutti  gli enti locali ai sensi del comma 1, 1'adesione alla gestione
unica  del  servizio idrico integrato e' facoltativa per i comuni con
popolazione  fino  a  1.000  abitanti  inclusi  nel  territorio delle
comunita'  montane,  a  condizione  che  la gestione del servizio con
particolare    riferimento    all'adeguatezza    degli   investimenti
programmati  in  relazione  ai livelli minimi di servizio individuati
quali obiettivi della gestione (...)».
    La  disposizione  di  cui  al  comma 5 e' lesiva della competenza
legislativa in materia di servizi pubblici locali.
    E'  noto  che  la Corte costituzionale ha operato una distinzione
all'interno   dei  servizi  pubblici  locali  tra  quelli  dotati  di
rilevanza economica e quelli che ne sono sprovvisti.
      Mentre  questi  ultimi  possono  ricondursi  nelle  materie  di
competenza  esclusiva  residuale delle regioni ai sensi dell'art. 117
Cost,  comma  quarto,  per  quelli  a rilevanza economica lo Stato e'
legittimato a porre principi in virtu' della sua competenza esclusiva
in  materia  di  tutela  della concorrenza. «L'accoglimento di questa
interpretazione  comporta  da  un  lato,  che  l'indicato  titolo  di
legittimazione  statale  e'  riferibile  solo  alle  disposizioni  di
carattere  generale  che  disciplinano  le  modalita'  di  gestione e
l'affidamento  dei  servizi  pubblici locali di rilevanza economica e
dall'altro  lato che solo le predette disposizioni non possono essere
derogate da norme regionali» (sentenza n. 272/2004).
    La  disciplina  della  composizione  delle Autorita' d'ambito non
appare  riconducibile  nei  confini  di  competenza statale delineati
dalla  Corte, costituzionale: la previsione di eventuali deroghe alla
gestione  unica,  per particolari enti territoriali ed in particolari
circostanze,   non   concretizza  una  misura  volta  a  tutelare  la
concorrenza;  al  contrario  l'individuazione delle ipotesi di deroga
alla   gestione   unica  del  servizio  e'  strettamente  connessa  a
valutazioni  sulle  caratteristiche  e sulle tipologie degli enti che
insistono  sul  territorio nonche' a valutazioni sull'opportunita' ed
economicita'  di gestioni separate che non possono che competere alla
regione  in  virtu' delle attribuzioni alle stesse riconosciute dalla
Costituzione in materia di servizi pubblici locali.
    La   disposizione  in  esame  risulta,  pertanto  invasiva  delle
competenze regionali in materia di servizi pubblici locali e viola il
disposto dell'art. 117 Cost.
    21) Illegittimita'   dell'art.   149,  comma  6,  per  violazione
dell'art. 117 Cost.
    La  disposizione contenuta nell'art. 149, comma 6, prevede che il
Piano  d'ambito, sia trasmesso entro dieci giorni dalla deliberazione
di  approvazione  da  parte  dell'Autorita'  d'ambito  alla  regione,
all'Autorita'  di  vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio. L'Autorita' di
vigilanza  puo'  notificare  all'ATO  i  propri  rilievi e le proprie
osservazioni  entro novanta giorni dettando prescrizioni in relazione
ai  livelli  minimi  di  servizio  individuati  quali obiettivi della
gestione;  al  piano  finanziario  con  particolare  riferimento alla
capacita'   dell'evoluzione   tariffaria  di  garantire  l'equilibrio
economico  della  gestione.  Va  evidenziato che la norma non prevede
alcuna   sanzione   in   caso   di   mancata  ottemperanza  da  parte
dell'Autorita' d'ambito ai rilievi sollevati.
    Le  finalita'  del controllo consentono di ricondurre l'attivita'
in parte alla materia dei servizi pubblici, in parte alla materia del
governo del territorio (programma degli investimenti).
    A  ben  vedere  il controllo previsto dalla disposizione in esame
non  appare  giustificabile ne' in relazione alla materia dei servizi
pubblici  locali,  (non venendo qui in rilievo, stante quanto esposto
in  relazione  all'art. 148,  comma  5 profili attinenti alla «tutela
della  concorrenza»  ne'  in  relazione alla materia del «governo del
territorio»  dove  lo  Stato  deve  limitarsi  a  dettare  i principi
fondamentali.  Ne'  tanto  meno  e'  costituzionalmente  legittimo un
controllo sul piano finanziario consistendo quest'ultimo in un vero e
proprio controllo sulla gestione del servizio medesimo.
    22) Illegittimita' dell' art. 154, per violazione degli artt. 117
e 119 Cost.
    La  norma  di  cui all'art. 154, d.lgs. n. 152/2006 istituisce la
Tariffa  per  il  servizio  idrico  quale  corrispettivo del servizio
idrico  integrato  e  fissa  i  parametri  con cui questa deve essere
determinata.
    L'art. 154  determina  altresi'  le  competenze  attuative  della
Tariffa  attribuendo  al  Ministro  del'ambiente  e  della tutela del
territorio,  su  proposta  dell'Autorita'  di vigilanza sulle risorse
idriche  e  sui  rifiuti,  il  compito  di  definire  con decreto «le
componenti  di  costo per la determinazione della tariffa relativa ai
servizi  idrici  per i vari settori di impiego dell'acqua» (comma 2);
al Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro
dell'ambiente  «al  fine  di  assicurare  un'omogenea  disciplina sul
territorio nazionale» il compito di stabilire i «criteri generali per
la  determinazione  da  parte delle regioni dei canoni di concessione
per  l'utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi ambientali e
dei costi di risorsa».
    Dalla  lettura  delle  attribuzioni  sopra  riportate  vengono in
rilievo poteri ministeriali sovra ordinati a quello delle regioni, in
violazione  delle  competenze ad esse riconosciute dal titolo V della
Costituzione.
      A  supporto di quanto affermato va richiamata la sentenza della
Corte  costituzionale  n. 335/2005 nella quale il giudice delle leggi
ha  dichiarato inammissibile il ricorso governativo presentato contro
la   legge   regionale   dell'Emilia-Romagna  che  disponeva  che  la
determinazione  della  tariffa  relativa al servizio integrato e alla
gestione  dei  rifiuti  fosse  demandata ad un decreto del presidente
della giunta regionale. La Corte ha evidenziato che il ricorrente non
aveva  trovato  basi  argomentative  sulle  quali  fondare l'asserita
competenza statale sulla materia.
    Come infatti, affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza
n. 282/2002,  il  nuovo riparto della potesta' legislativa risultante
dalla  riforma  del Titolo V, parte II, della Costituzione impone non
tanto   la   ricerca   di  uno  specifico  titolo  costituzionale  di
legittimazione   dell'intervento  regionale,  quanto,  al  contrario,
un'indagine  sulla  sussistenza  di riserve, esclusive o parziali, di
competenza statale.
    La  disposizione  si ingerisce in una materia, i servizi pubblici
locali,  riservata  alla  potesta'  residuale delle regioni (sentenza
n. 273/2004;  sentenza  n. 29/2006)  e  viola,  pertanto, il disposto
dell'art. 117 Cost.
    La norma di cui all'art. 154, d.lgs. n. 152/2006 viola, altresi',
l'art. 119  Cost.  commi  1  e  2,  in quanto invasiva dell'autonomia
finanziaria  e  tributaria  delle  regioni,  incidendo  la  stessa su
un'entrata la cui disciplina ricade nella competenza regionale.
    23) Illegittimita   dell'art.   155,   d.lgs.   n. 152/2006   per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    Considerazioni  del tutto analoghe a quelle sopra esposte possono
essere fatte con riferimento alla disciplina contenuta nell'art. 155,
d.lgs.  n. 152/2006  e pertanto anche quest'ultima disposizione viola
gli artt. 117 e 119 Cost.
    24) Illegittimita'   dell'art.   159,  comma  2,  per  violazione
dell'art. 117 Cost.
    La  norma  di  cui  all'art. 159,  comma  2,  d.lgs. n. 152/2006,
disciplina  la composizione dell'Autorita' di vigilanza sulle risorse
idriche  e  sui  rifiuti  prevedendo  una  presenza  minoritaria  dei
rappresentanti delle regioni (quattro membri nominati su designazione
della  Conferenza  dei  presidenti  delle  regioni  e  delle province
autonome)  rispetto  a  quella  riconosciuta  ai vari Ministeri (nove
membri piu' il Presidente).
    L'illegittimita'  costituzionale  di questa disposizione emerge a
prima  vista tenendo presente quanto previsto dal successivo art. 160
rubricato   «compiti   e   funzioni   dell'Autorita'  di  vigilanza».
Nell'articolo  da  ultimo  citato,  infatti,  il legislatore delegato
riconosce   alla  predetta  Autorita'  numerosi  compiti,  fortemente
incisivi  in materie di competenza regionale, quali ad esempio in via
puramente  esemplificativa:  l'osservanza dei principi e delle regole
della  concorrenza e della trasparenza nelle procedure di affidamento
dei  servizi;  la tutela dei diritti degli utenti; il controllo della
qualita'  dei  servizi  erogati agli utenti ecc. Si tratta di materie
rispetto  alle  quali  vengono in rilievo interessi riconducibili sia
alla  competenza statale sia a quella concorrente delle regioni sia a
quella esclusiva delle stesse.
    In  considerazione  dei  compiti e delle funzioni dell'Autorita',
come  sopra  sintetizzate  e  della  composizione della medesima come
prevista  dal  comma  2  dell'art. 159, e' evidente che la censura di
illegittimita'  costituzionale  riguardi quest'ultima previsione. Per
effetto  infatti  di  quanto  ivi disposto si verifica un'illegittima
attribuzione  in  capo  allo  Stato  di  funzioni  costituzionalmente
garantite  alle regioni in materia di servizi pubblici locali. Di qui
la violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    25) Illegittimita'  dell'art.  160, comma 2, lettera f); art. 160
comma  2  lettera g), d.lgs. n. 152/2006 per violazione dell'art. 117
Cost.
    L'art. 160  comma  2,  lettera  f),  d.lgs.  n. 152/2006  demanda
all'Autorita'  di  vigilanza  sulle  risorse  idriche  e  sui rifiuti
l'indicazione  dei  livelli  generali  di  qualita'  dei  servizi  da
prestare  nel  rispetto  delle prescrizioni contenute nei regolamenti
del  Ministero  dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio  che
disciplinano la materia.
       L'art. 160,  lett.  g),  affida  alla  medesima  Autorita'  il
controllo sull'adozione da parte dei gestori di una carta di servizio
pubblico con l'indicazione di standard dei singoli servizi nonche' la
verifica del rispetto della carta medesima.
    In  entrambi i casi, come ha gia' avuto occasione di affermare la
Corte costituzionale con le sentenze nn. 273/2004 e 29/2006 si tratta
di disposizioni che attengono alla materia di servizi pubblici locali
riservata alla potesta' residuale delle regioni.
    Se  e'  vero che compete allo Stato la determinazione dei livelli
generali   di   qualita'   dei   servizi,   e'  anche  vero  che,  la
specificazione  degli  stessi,  non  puo'  che  essere  affidata alle
regioni.
    Il  comma  2,  lettera  f),  dell'art. 160,  viola,  pertanto, il
riparto di competenze individuato dal titolo V Cost.
    Allo  stesso modo e' indubbio che la gestione del servizio idrico
sia  di  competenza  delle  regioni  che  vi provvedono attraverso la
costituzione  delle  Autorita'  d'ambito  alle  quali e' demandato il
compito  di  individuare,  con  le  forme  stabilite  dallo Stato, il
gestore   del  servizio  nonche'  di  controllare  la  regolarita'  e
correttezza del servizio medesimo.
    Il   comma   2,   lettera   g),  e'  pertanto  costituzionalmente
illegittimo per violazione dell'art. 117 Cost.
    26) Illegittimita'  dell'art.  181,  commi  7,  8,  9, 10 e 11, e
dell'art.  183,  comma 1, lettera q), per violazione degli artt. 117,
118, 11 e 76 Cost.
    26.1) La  Parte  quarta  del  d.lgs.  n. 152/2006 detta «Norme in
materia  di  gestione  dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati».
Essa  e'  suddivisa  in sei Titoli: «Gestione dei rifiuti»; «Gestione
degli  imballaggi»;  «Gestione  di particolari categorie di rifiuti»;
«Tariffa  per  la  gestione  dei  rifiuti  urbani»; «Bonifica di siti
contaminati»;  «Sistema  sanzionatario  e  disposizioni transitorie e
finali».  Si  tratta  di una complessa ed articolata normativa che si
caratterizza  da  un  lato  per  contenere  numerose  disposizioni in
contrasto con la disciplina comunitaria e, dall'altro, che violano il
riparto di competenze Stato-regioni.
    26.2) L'art. 181,  d.lgs.  n. 152/2006  nel  disciplinare il c.d.
«Recupero  dei  rifiuti»,  prevede  al comma 7 la possibilita' per «i
soggetti   economici  interessati  o  le  associazioni  di  categoria
rappresentative  dei  settori  interessati,  anche con riferimento ad
interi  settori  economici e produttivi» di stipulare con il Ministro
dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio «appositi accordi di
programma  (...)  per  definire  i  metodi  di  recupero  dei rifiuti
destinati   all'ottenimento   di   materie   prime   secondarie,   di
combustibili  o  di prodotti». Tali accordi, continua la disposizione
in parola, «fissano le modalita' e gli adempimenti amministrativi per
la  raccolta,  per la messa in riserva, per il trasporto dei rifiuti,
per la loro commercializzazione, anche tramite il mercato telematico,
con  particolare  riferimento  a quello del recupero realizzato dalle
Camere  di  commercio,  e  per  i controlli delle caratteristiche e i
relativi  metodi  di  prova;  i  medesimi accordi fissano altresi' le
caratteristiche  delle  materie  prime secondarie, dei combustibili o
dei  prodotti  ottenuti,  nonche' le modalita' per assicurare in ogni
caso  la  loro  tracciabilita'  fino  all'ingresso  nell'impianto  di
effettivo impiego».
    I  successivi  commi dall'8 all'11 dell'art. 181, disciplinano le
modalita'  procedurali  per  la  stipulazione,  l'approvazione  e  la
pubblicazione degli accordi di programma.
    Gran  parte  delle  locuzioni  utilizzate  dal  legislatore nelle
disposizioni   sopra   citate   trovano  il  loro  significato  nelle
definizioni   contenute   nel   successivo   art. 183,  comma  1.  In
particolare,  vengono  in  considerazione le definizioni dei termini:
g) «smaltimento»;     h) «recupero»;     m) «deposito    temporaneo»;
q) «materia  prima  secondaria».  Tali  disposizioni, considerate nei
loro effetti complessivi, operano una deregolamentazione «mascherata»
del  settore,  in  pieno  contrasto  con  le  normative  europee.  Di
conseguenza  la  violazione  degli  artt. 11,  76,  117  e  118 della
Costituzione.
    Piu' precisamente e' possibile evidenziare quanto segue.
    Gli   accordi   di  programma  previsti  dalla  normativa  citata
consentono, infatti, di derogare al sistema normativo pre-vigente (in
parte  trasfuso  nello  stesso  Testo  unico)  in materia di rifiuti,
istituendo  una  contrattazione  diretta  tra  soggetti  economici  e
Amministrazione  statale idonea ad escludere dal regime dei rifiuti e
dalle  relative  procedure di autorizzazione e di controllo tutta una
serie di materiali o sostanze - tra cui le materie prime secondarie -
che  nella  legislazione vigente e nel diritto comunitario (direttiva
n. 75/442/CEE,  cosi'  come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE)
invece vi sono assoggettati.
    In  particolare il contrasto fra la normativa nazionale di cui al
d.lgs.  n. 152/2006  e  la normativa comunitaria e' evidente rispetto
alla  previsione dell'art. 11, direttiva n. 75/442 nella parte in cui
si  stabilisce  che  l'obbligo  generale  dell'autorizzazione  per lo
svolgimento  di  attivita'  di  recupero  dei  rifiuti  possa  essere
derogato  solo  «qualora le autorita' competenti abbiano adottato per
ciascun  tipo  di  attivita'  norme  generali che fissano i tipi e le
quantita'  di  rifiuti  e  le  condizioni alle quali l'attivita' puo'
essere dispensata dall'autorizzazione».
    Violazione  di  tutta  evidenze se solo si considera che ai sensi
dell'art. 181,  comma  9,  le  norme generali che fissano i tipi e le
quantita'  di  rifiuti  e  le  condizioni alle quali l'attivita' puo'
essere   dispensata   dall'autorizzazione   dovranno  essere  fissate
necessariamente   dai   predetti   accordi   di  programma  anzi  che
dall'autorita' competente come richiesto a livello comunitario.
    In   secondo   luogo   risulta  in  contrasto  con  la  normativa
comunitaria  la  previsione  di cui al comma 7 il quale, rinviando al
precedente  comma  5,  richiama la comunicazione della Commissione al
Parlamento europeo ed al Consiglio e al Comitato delle regioni del 17
luglio  2002,  quale  modello  cui  si devono ispirare gli accordi di
programma  previsti.  Si tratta di accordi finalizzati alla riduzione
dei  livelli  di  inquinamento  di cui all'art. 174 del Trattato. Gli
accordi  invece  previsti  dalle  disposizioni  censurate,  diretti a
deregolamentare  la disciplina dei rifiuti, non corrispondono affatto
a  quanto  ipotizzato nella predetta comunicazione della Commissione,
ossia  alla  possibilita'  che  -  tramite  accordi fra le parti - si
raggiungano obbiettivi di una migliore tutela ambientale.
    Anche per le ragioni sopra esposte, le disposizioni contenute nei
commi  7, 8, 9, 10 e 11 dell' art. 181, si pongono in contrasto con i
principi  e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, della
legge  delega n. 308/2004 e, in particolare, con i principi e criteri
di  cui  alle  lettere e) ed f), secondo i quali il nuovo testo unico
doveva dare, da un lato, «piena e coerente attuazione delle direttive
comunitarie,   al   fine  di  garantire  elevati  livelli  di  tutela
dell'ambiente  e  di contribuire in tale modo alla competitivita' dei
sistemi   territoriali   e   delle   imprese,  evitando  fenomeni  di
distorsione  della  concorrenza»;  e,  dall'altro,  «affermazione dei
principi  comunitari  di prevenzione, di precauzione, di correzione e
riduzione  degli  inquinamenti e dei danni ambientali e del principio
"chi inquina paga"».
    Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione.
    Violazioni  che  si  ripercuotono sulle competenze costituzionali
della  regione dato che la materia dei rifiuti si colloca in una zona
in   cui  si  intersecano  gli  aspetti  tipicamente  ambientali,  di
competenza  dello  Stato  e  gli aspetti di tutela del territorio, di
tutela  igienico-sanitaria  e  di  sicurezza  della  popolazione,  di
competenza  regionale.  Per  effetto  infatti  della nuova disciplina
un'ampia  congerie  di  categorie  di  rifiuti,  nonche'  i metodi di
recupero  dei  rifiuti  e  le  modalita'  di  raccolta,  di  messa in
sicurezza,  di  trasporto,  verranno, con detti accordi di programma,
dispensati   dall'assoggettamento   dei   poteri  di  autorizzazione,
controllo  e  pianificazione  riconosciuti  in  capo alle regioni dal
combinato  disposto  della normativa comunitaria e della legislazione
nazionale  previgente,  con  evidenti  pregiudizi  per  la  sicurezza
dell'intera collettivita'.
    26.3) L'art. 183,   comma   1,  lettera  f),  d.lgs.  n. 152/2006
definisce  la  «raccolta  differenziata»  come  «la  raccolta idonea,
secondo   criteri   di   economicita',   efficacia,   trasparenza  ed
efficienza,  a raggruppare i rifiuti urbani in frazioni merceologiche
omogenee,  al  momento  della  raccolta  o,  per la frazione organica
umida,  anche  al  momento  del  trattamento, nonche' a raggruppare i
rifiuti  di  imballaggio  separatamente dagli altri rifiuti urbani, a
condizione  che  tutti  i rifiuti sopra indicati siano effettivamente
destinati al recupero».
    La  definizione legislativa sopra riportata ammette, in sostanza,
la  possibilita' di procedere al raggruppamento dei rifiuti urbani in
frazioni  merceologiche omogenee anche, con riferimento alla frazione
organica umida, in momento successivo alla raccolta.
    Tale previsione si pone in contrasto con la normativa comunitaria
in  materia  di  rifiuti  nonche'  con  la  legge  delega  e  quindi,
conseguentemente,   contrasta  con  gli  artt. 11,  76  e  117  della
Costituzione.
    In  primo  luogo  infatti  si pone in contrasto con la disciplina
comunitaria   la   cui   finalita',   ai  sensi  di  quanto  previsto
dall'art. 3,  direttiva 75/442/CEE, e' quella di aumentare e favorire
il  recupero  dei  rifiuti  mediante  il  loro  riciclo,  reimpiego o
riutilizzo.
    Conseguentemente, per le ragioni sopra esposte, l'art. 183, comma
1,  lett.  f) si pone in contrasto con i principi e criteri direttivi
individuati  dall'art. 1,  comma 8, della legge delega n. 308/2004 e,
in  particolare,  con  i principi e criteri di cui alle lettere e) ed
f),  secondo  i  quali  il nuovo testo unico doveva dare, da un lato,
«piena  e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di
garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e di contribuire in
tale  modo  alla  competitivita'  dei  sistemi  territoriali  e delle
imprese,  evitando  fenomeni  di  distorsione  della concorrenza»; e,
dall'altro,  «affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di
precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni
ambientali e del principio «chi inquina paga».
    Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituione.
    In  secondo  luogo la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 152/2006
determina    una    illegittima    compressione    delle   competenze
costituzionali  della  regione  in  materia  di tutela dell'ambiente,
tutela  della  salute  e  governo  del  territorio,  dal  momento che
aumenteranno   i   materiali   da   conferire  in  discarica  o  alla
termovalorizzazione   con   evidenti   pregiudizi   sul   potere   di
programmazione  delle  regioni,  con  pregiudizi  per  la sicurezza e
salute della popolazione.
    28) Illegittimita'  dell'art. 185,  comma 1, per violazione degli
artt. 117, 11 e 76 Cost.
    L'art. 185 limita il campo di applicazione della Parte quarta del
d.lgs.  n. 152/2006,  disponendo  che  «non  rientrano  nel  campo di
applicazione  della  parte  quarta  del  presente  decreto (...)». Si
tratta  ad  esempio:  delle emissioni costituite da effluenti gassosi
emessi nell'atmosfera di cui all'art. 183; degli scarichi idrici; dei
rifiuti  radioattivi  ecc. (lettere da a) ad n)). Come e' evidente si
tratta  delle  stesse  tipologie di rifiuti che invece ai sensi della
disciplina  comunitaria  per poter essere escluse dalla normativa sui
rifiuti   dovrebbero   essere   comunque  assoggettate  a  specifiche
discipline di settore.
    Consegue quindi che la disposizione citata e' in contrasto con la
normativa  comunitaria in materia nonche' con le disposizioni dettate
dal legislatore delegante.
    In  particolare,  risulta non conforme con quanto richiesto dalla
direttiva   n. 75/442/CEE   (art. 2),  dato  che  i  rifiuti  di  cui
all'art. 185  vengono sottratti dall'applicazione della disciplina in
materia  di  gestione  dei  rifiuti  a  prescindere  da una qualsiasi
valutazione   circa   la   sussistenza  di  una  loro  disciplina  in
disposizioni specifiche.
    Da  cio'  segue,  pertanto,  che i rifiuti elencati nell'art. 185
saranno  sottratti  dal  regime autorizzatorio e di controllo proprio
dei  rifiuti  nel  caso  in cui manchi o venga abrogata una specifica
disciplina di legge che ne disciplini la specifica gestione.
    Conseguentemente, per le ragioni sopra esposte, l'art. 185, comma
1,   si  pone  in  contrasto  con  i  principi  e  criteri  direttivi
individuati  dall'art. 1,  comma 8, della legge delega n. 308/2004 e,
in  particolare,  con  i  gia'  citati principi e criteri di cui alle
lettere  e)  ed  f).  Da  qui la violazione degli artt. 11 e 76 della
Costituzione.
    29)Illegittimita'  dell'art.  186 per violazione degli artt. 117,
11 e 76 Cost.
    La  norma  di  cui  all'art. 1, d.lgs. n. 152/2006 sottrae in via
generale dalla disciplina in materia di gestione dei rifiuti le terre
e  rocce  da scavo, anche di gallerie, ed i residui della lavorazione
della  pietra.  L'articolo  di legge citato, infatti, dispone che «le
terre  e  rocce  da  scavo,  anche  di  gallerie,  ed i residui della
lavorazione   della   pietra  destinate  all'effettivo  utilizzo  per
reinterri, riempimenti, rilevati e macinati non costituiscono rifiuti
e  sono,  percio',  esclusi  dall'ambito  di applicazione della parte
quarta  del  presente  decreto  solo  nel  caso  in cui, anche quando
contaminati,  durante  il  ciclo  produttivo,  da sostanze inquinanti
derivanti  dalle attivita' di escavazione, perforazione e costruzione
siano   utilizzati,  senza  trasformazioni  preliminari,  secondo  le
modalita'  previste  nel progetto sottoposto a valutazione di impatto
ambientale   ovvero,   qualora  il  progetto  non  sia  sottoposto  a
valutazione  di impatto ambientale, secondo le modalita' previste nel
progetto approvato dall'autorita' amministrativa competente, ove cio'
sia  espressamente  previsto, previo parere delle Agenzie regionali e
delle  province  autonome per la protezione dell'ambiente, sempreche'
la   composizione   media   dell'intera   massa   non   presenti  una
concentrazione  di  inquinanti  superiore  ai limiti massimi previsti
dalle norme vigenti e dal decreto di cui al comma 3» (comma 1).
    Nei  successivi  commi  il  legislatore  delegato  disciplina  le
modalita'  procedurali  per  la  determinazione  dei  limiti  massimi
accettabili  nonche'  le  modalita'  di analisi dei materiali ai fini
della loro caratterizzazione. Vengono altresi' dettate le definizioni
di  «effettivo  utilizzo»  per  reinterri,  riempimenti,  rilevati  e
macinati (comma 5).
    In  particolare,  il  terzo  comma  prevede  che «il rispetto dei
limiti  di cui al comma 1 puo' essere verificato, in alternativa agli
accertamenti  sul sito di produzione, anche mediante accertamenti sui
siti  di deposito, in caso di impossibilita' di immediato utilizzo. I
limiti  massimi  accettabili  nonche'  le  modalita'  di  analisi dei
materiali ai fini della loro caratterizzazione, da eseguire secondo i
criteri  di  cui  all'Allegato  2 del Titolo V della parte quarta del
presente   decreto,   sono   determinati  con  decreto  del  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio da emanarsi entro novanta
giorni  dall'entrata  in  vigore  della  parte  quarta  del  presente
decreto,  salvo  limiti  inferiori previsti da disposizioni speciali.
Sino  all'emanazione  del predetto decreto continuano ad applicarsi i
valori  di  concentrazione  limite accettabili di cui all'Allegato 1,
tabella  1,  colonna  B,  del  decreto  del Ministro dell'ambiente 25
ottobre 1999, n. 471».
    La  sottrazione  dal  regime  dei  rifiuti delle terre e rocce da
scavo,  disposta  dal  sopra  riportato  testo di legge, viola sia la
normativa comunitaria in materia di rifiuti sia i criteri dettati dal
legislatore    con    la   delega   n. 308/2004   risultando   quindi
costituzionalmente  illegittima  per contrasto con gli artt. 11, 76 e
117 Cost.
    In  via preliminare risulta evidente il contrasto con la legge di
delega  la  quale  prevedeva  tra  i  criteri  direttivi  da seguirsi
nell'adozione  del  testo unico la «piena e coerente attuazione delle
direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela
dell'ambiente  e  di contribuire in tale modo alla competitivita' dei
sistemi   territoriali   e   delle   imprese,  evitando  fenomeni  di
distorsione della concorrenza» (art. 1, comma 8, lettera e); ed anche
l'«affermazione   dei   principi   comunitari   di   prevenzione,  di
precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni
ambientali e del principio "chi inquina paga"» (lettera f)).
    Tali  illegittimita'  si ripercuotono, ovviamente, in modo lesivo
sulle  competenze  costituzionali  della regione in materia di tutela
dell'ambiente,   tutela   della  salute  e  governo  del  territorio,
pregiudicando  il  corretto  svolgimento  delle funzioni regionali in
queste materie.
    In  secondo luogo, come detto, la normativa contenuta nella norma
impugnata   viola   la   disciplina   comunitaria  cosi'  come  anche
interpretata  dalla  Corte  di  giustizia.  In  particolare  viene in
rilievo  la  violazione  da  un  lato della nozione di rifiuti di cui
all'art. 1,  comma  1,  lettera  a),  direttiva 75/442/CEE cosi' come
anche   interpretata,  in  maniera  molto  rigorosa  dalla  Corte  di
giustizia  europea  (cause  C-418/97  e  C-419/1997 - «Arco» C-9/00 -
«Palin   Granit»,   C-114/01,  «AvestaPolarit  Chrome»;  e  C-457/02,
«Niselli».  Interpretazione  rigorosa, per vero, avallata anche dalla
Corte  di  cassazione con la sentenza n. 47269/2005 e con l'ordinanza
n. 1414/2006  la  quale  ha confermato che la nozione di rifiuto deve
essere  intesa  in  senso  estensivo  e  non  restrittivo come invece
avviene  con  le  norme  impugnate.  La  nuova disciplina inoltre non
appare in linea con quella dettata dall'art. 11 direttiva comunitaria
n. 75/442/CEE,  cosi'  come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE.
La   norma  comunitaria,  infatti,  prevede  che  la  dispensa  dall'
autorizzazione  sia  possibile  solo  quando  le autorita' competenti
abbiano fissato norme generali che stabiliscano i tipi e le quantita'
di  rifiuti  e  le  condizioni  alle  quali  l'attivita'  puo' essere
dispensata dall'autorizzazione.
    Il  decreto  legislativo  impugnato fa al contrario venir meno il
quadro   normativo   generale   richiesto  dalle  direttive  europee,
sostituendolo  con  una  vasta  «privatizzazione»  della  disciplina;
mentre,   per   altro  verso,  la  normativa  europea  richiede,  per
«ecludere»  un  rifiuto  dal  campo  di  applicazione della direttiva
75/442,  che  le esenzioni siano ammissibili soltanto se disciplinate
da  specifica  norma  speciale cio' che non avviene con la disciplina
generale  di  esenzione  che  le  norme impugnate prevedono per MPS e
sottoprodotti.
    Da  qui  la  violazione  degli  artt. 11, 76 e, conseguentemente,
dell'art. 117  della  Costituzione,  atteso  che  tale  violazioni  e
irrazionalita'  si ripercuotono sulle competenze costituzionali della
regione  in  materia  di  tutela  dell'ambiente,  della  salute e del
governo  del  territorio,  dal  momento che le terre e rocce di scavo
vengono dispensati dall'assoggettamento dei poteri di autorizzazione,
controllo  e  pianificazione  riconosciuti  in capo alle, regioni dal
combinato  disposto  della normativa comunitaria e della legislazione
nazionale  previgente, con evidenti pregiudizi per la sicurezza della
popolazione.
    30) Illegittimita'  dell'art.  189,  commi  1 e 3, per violazione
degli artt. 117, 118, 11 e 76 Cost.
    L'art. 189,  d.lgs.  n. 152/2006  disciplina  il c.d. Catasto dei
rifiuti,  riproducendo  per  la maggior parte le disposizioni vigenti
ante riforma (art. 11, legge n. 22/1997).
    Le  disposizioni  rispetto alle quali, allora, viene sollevato il
vizio  di legittimita' costituzione sono quelle contenute nei commi 1
e 3.
    Il  comma  1  dell'art. 189,  innovando  rispetto alla precedente
normativa,  ha  eliminato  la  necessaria  audizione della Conferenza
permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e le province
autonome  di Trento e Bolzano per la riorganizzazione del Catasto dei
rifiuti,  istituito  dall'art. 3  del decreto-legge 9 settembre 1988,
n. 397,  convertito,  con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988,
n. 475.
    Il  comma  3  dell'art. 189  del  Testo  unico ambiente esonera i
produttori  di  rifiuti  non pericolosi dall'obbligo di presentare il
c.d.   MUD   (ovvero   il  «modello  unico»  introdotto  dalla  legge
n. 70/1994),  ossia di comunicare annualmente alle Camere di comercio
le  quantita' e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto di
raccolta, trasporto e recupero.
    L'art. 189,  comma 1, si pone in contrasto con gli articoli 117 e
118  della  Costituzione,  atteso che, come ha rilevato in passato la
Corte  costituzionale  (cfr.  sentenza  n. 407/2002),  allorquando il
legislatore  nazionale interviene in una materia (nel caso di specie,
i  rifiuti)  ove gli interessi ambientali si sovrappongono con quelli
di  tutela  del  territorio  e  della tutela della salute e sicurezza
della  popolazione,  e'  necessario  il  coinvolgimento delle regioni
attraverso  l'intesa  con la Conferenza unificata. Tale procedura non
e'  stata rispettata ed inoltre non e' prevista neanche nessuna forma
di coinvolgimento delle regioni in una fase successiva.
    Anche il terzo comma dell'art. l89, d.lgs. n. 152/2006 si pone in
contrasto  sia con la normativa comunitaria (di cui agli artt. 6 e 14
della   direttiva  75/442/CEE),  sia  con  la  legge  delega:  quindi
contrasta  con  gli  artt. 11, 76, 117 della Costituzione. Tutto cio'
per i motivi di seguito illustrati.
    L'ambito  di  applicazione  dell'obbligo  di  comunicazione viene
delimitato  dalla  normativa  introdotta  dal  d.lgs.  n. 152/2006 in
maniera  assai  restrittiva dato che ne vengono esentate le imprese e
gli  enti  che  producono  rifiuti  non  pericolosi.  Si produrra' di
conseguenza  una  preoccupante  perdita  di  informazioni  per quanto
riguarda  molteplici  categorie  di  rifiuti  che  potranno circolare
liberamente,  senza  consentire  alle strutture chiamate a svolgere i
controlli ambientali di conoscere i dati relativi alla produzione che
sono base di conoscenza per seguire il percorso dei rifiuti.
    Per le ragioni sopra esposte, l'art. 189 si pone in contrasto con
i  principi  e  criteri  direttivi  individuati dall'art. 1, comma 8,
della  legge  delega  n. 308/2004 e, in particolare, con i principi e
criteri  di cui alle lettere e) ed f), secondo i quali il nuovo testo
unico  doveva  dare,  da  un lato, «piena e coerente attuazione delle
direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela
dell'ambiente  e  di contribuire in tale modo alla competitivita' dei
sistemi   territoriali   e   delle   imprese,  evitando  fenomeni  di
distorsione  della  concorrenza»;  e,  dall'altro,  «affermazione dei
principi  comunitari  di prevenzione, di precauzione, di correzione e
riduzione  degli  inquinamenti e dei danni ambientali e del principio
"chi inquina paga"».
    In  conclusione  e'  allora  evidente  che  le disposizioni sopra
esposte   si   ripercuotono   -   negativamente  -  sulle  competenze
costituzionali  della  regione  in  materia  di tutela dell'ambiente,
tutela  della  salute  e  governo  del territorio, dal momento che le
imprese  e  gli  enti  che  producono  rifiuti non pericolosi vengono
dispensati  dalla  comunicazione  annuale  al  Catasto  dei  rifiuti,
andando  cosi'  a  incidere sui poteri di autorizzazione, controllo e
pianificazione  riconosciuti  in  capo  alle  regioni  dal  combinato
disposto  della  normativa comunitaria e della legislazione nazionale
previgente,   con   evidenti   pregiudizi   per  la  sicurezza  della
popolazione.
    31) Illegittimita'  dell'art.  195, comma 1, lettera f); comma 2,
lettere  b),  e),  l),  m)  e  s); art. 196, comma 1, lettera d), per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    Gli  artt. 195  e  196  del  d.lgs.  n. 152/2006  stabiliscono le
competenze  dello  Stato  e  delle  regioni in materia di rifiuti. La
materia  e' completata dalle disposizioni contenute negli artt. 197 e
198 che delineano le competenze delle province e dei comuni.
    La  disciplina che risulta dal combinato disposto degli artt. 195
e  196  produce una notevole limitazione dell'autonomia regolamentare
delle  regioni e pertanto si pone in contrasto con gli articoli 117 e
118 della Costituzione.
    Piu' precisamente il pregiudizio dell'autonomia regionale risulta
rispetto all'attivita' programmatoria del «ciclo» rifiuti (dalla loro
raccolta   all'attivita'   di   bonifica  dei  siti  inquinati),  con
pregiudizio  quindi  dell'autonomia  regionale  in  materia di tutela
dell'ambiente,  della  salute, di governo del territorio, di gestione
dei servizi pubblici.
    Le   censure   di   costituzionalita'   riguardano   le  seguenti
previsioni.
    La  disposizione  contenuta  nella  lettera  f)  del  primo comma
dell'art. 195,  e'  illegittima  nella  parte in cui attribuisce allo
Stato    «l'individuazione,    nel    rispetto   delle   attribuzioni
costituzionali  delle  regioni,  degli  impianti  di  recupero  e  di
smaltimento  di  preminente  interesse nazionale da realizzare per la
modernizzazione  e  lo  sviluppo  del  Paese»,  dal  momento che tale
individuazione  avverra'  sulla  base  di  una  mera  audizione della
Conferenza  unificata  di  cui  all'art. 8, d.lgs. n. 281/1997, e non
gia'  previa  intesa  con  la  regione  interessata,  che  appare  il
provvedimento  piu'  idoneo  a garantire il rispetto nella materia de
quo delle prerogative regionali.
      Comporta  altresi' una limitazione delle attribuzioni regionali
la  previsione contenuta nell'art. 196, comma 1, lettera d), la quale
riconosce  in  capo  alla «competenza delle regioni, nel rispetto dei
principi  previsti  dalla  normativa vigente e dalla parte quarta del
presente decreto, ivi compresi quelli di cui all'articolo 195:
        (...) d) l'approvazione dei progetti di nuovi impianti per la
gestione  dei  rifiuti,  anche  pericolosi  e  l'autorizzazione  alle
modifiche degli impianti esistenti, fatte salve le competenze statali
di cui all'art. 195, comma 1, lettera f)».
    Dal  combinato  disposto  di cui agli artt. 195, comma 1, lettera
f), e 196, comma 1, lettera d), d.lgs. n. 152/2006, si desume che gli
impianti  di  recupero e di smaltimento d'interesse nazionale saranno
individuati   ed  approvati  direttamente  dallo  Stato  senza  alcun
coinvolgimento della regione con conseguente illegittima compressione
delle funzioni di questa in materia di salute, ambiente e governo del
territorio.
    Del pari illegittime, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.,
risultano le disposizioni contenute nelle lettere b), e), l), m) e s)
dell'art. 195, comma 2.
    Si  prevede infatti che: «sono inoltre di competenza dello Stato:
(...);
        b) l'adozione    delle   norme   e   delle   condizioni   per
l'applicazione  delle  procedure semplificate di cui agli artt.  214,
215  e  216, ivi comprese le linee guida contenenti la specificazione
della  relazione  da  allegare  alla  comunicazione  prevista da tali
articoli; (...)
        e) la    determinazione    dei    criteri    qualitativi    e
quali-quantitativi  per  l'assimilazione,  ai  fini  della raccolta e
dello  smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, derivanti
da  enti e imprese esercitate su aree con superficie non superiore ai
150  metri  quadri  nei  comuni con popolazione residente inferiore a
10.000  abitanti,  o  superficie non superiore a 250 metri quadri nei
comuni  con  popolazione  residente  superiore a 10.000 abitanti. Non
possono essere di norma assimilati ai rifiuti urbani i rifiuti che si
formano  nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime
e  di  prodotti  finiti,  salvo i rfluti prodotti negli uffici, nelle
mense,  negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori
o comunque aperti al pubblico; (...)
        l) la  definizione  del modello e dei contenuti del formulano
di  cui  all'art. 193 e la regolamentazione del trasporto dei rifiuti
ivi  inclusa  l'individuazione  delle  tipologie  di  rifiuti che per
comprovate  ragioni  tecniche, ambientali ed economiche devono essere
trasportati con modalita' ferroviaria;
        m) l'individuazione   delle  tipologie  di  rifiuti  che  per
comprovate  ragioni tecniche, ambientali ed economiche possono essere
smaltiti direttamente in discarica; (...)
        s) l'individuazione  della misura delle sostanze assorbenti e
neutralizzanti,   previamente   testate  da  Universita'  o  Istituti
specializzati,  di  cui  devono  dotarsi  gli impianti destinati allo
stoccaggio,   ricarica,  manutenzione,  deposito  e  sostituzione  di
accumulatori  alfine  di  prevenire  l'inquinamento  del  suolo,  del
sottosuolo  e  di  evitare danni alla salute e all'ambiente derivanti
dalla  fuoriuscita  di  acido,  tenuto  conto  della dimensione degli
impianti,  del numero degli accumulatori e del rischio di sversamento
connesso alla tipologia dell'attivita' esercitata».
    Come  risulta dalla lettura delle disposizioni sopra riportate si
tratta  di  un'elencazione  di  competenze  in favore dello Stato che
consente  allo  stesso  di  dettare norme di dettaglio (e non solo di
carattere   generale)  in  materie  che  risultano  connesse  con  le
attribuzioni regionali in tema di tutela della salute, di gestione di
servizi  pubblici, di pianificazione e programmazione del territorio,
ecc.   al  punto  da  pregiudicare  il  potere  di  programmazione  e
disciplina  riconosciuto  invece  alle  regioni.  Di  qui  quindi  la
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    32) Illegittimita'  dell'art.  199, commi 9, e 10, per violazione
degli artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
    La  norma  di  cui  all'art. 199, d.lgs. n. 152/2006 disciplina i
piani regionali di gestione dei rifiuti.
    Il  comma  9  prevede  in  capo  al solo Stato ovvero al Ministro
dell'ambiente  e  tutela  del  territorio il potere sostitutivo della
loro   realizzazione   allorquando   «le   autorita'  competenti  non
realizzino  gli interventi previsti dal piano regionale nei termini e
con le modalita' stabiliti e tali omissioni possano arrecare un grave
pregiudizio all'attuazione del piano medesimo».
    La  disposizione  sopra riportata viola gli artt. 117 e 118 della
Costituzione,  in quanto, il potere sostitutivo avrebbe dovuto essere
riconosciuto,  in via preliminare, alle regioni dato che si tratta di
esercitarlo   rispetto  ad  enti  locali  su  materie  di  competenza
regionale.
    Del pari illegittima per violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118
della  Costituzione,  e'  la  disposizione  contenuta  nel  comma 10,
perche',  da un lato, individua il contenuto dei provvedimenti in via
sostitutiva  di  cui al comma 9 anche nell'ipotesi in cui, come si e'
visto,  il  potere  sostitutivo ricade nella competenza regionale; e,
dall'altro,  nell'individuare  il  contenuto  di  detti provvedimenti
sostitutivi   non   riprende  la  disposizione  di  cui  all'art. 22,
comma 10,   lettera   c)   della  legge  n. 22/1997,  che  consentiva
l'introduzione  di  sistemi  di  deposito cauzionale obbligatorio dei
contenitori.
    Sotto  quest'ultimo  aspetto  allora  il comma 10 del Testo unico
ambiente  si  pone  in  contrasto  anche con la direttiva comunitaria
n. 75/442/CEE   (come   modificata  dalla  direttiva  n. 91/156/CEE),
laddove  prevede,  tra le finalita' che la normativa sui rifiuti deve
perseguire,   la  prevenzione  o  la  riduzione  della  produzione  e
nocivita'  degli  stessi.  La  soppressione  da parte della normativa
nazionale della costituzione di un deposito cauzionale che costituiva
un  deterrente  all'aumento della produzione e nocivita' dei rifiuti,
costituisce  un  motivo  di  lesione  e  compressione  dell'autonomia
finanziaria  delle  regioni dato che si ripercuote direttamente sulle
risorse economiche di cui queste potranno disporre.
    Per  le  ragioni  sopra  esposte,  l'art. 199,  comma 10, si pone
quindi  anche  in  contrasto  con  i  principi  e  criteri  direttivi
individuati  dall'art. 1,  comma  8,  della  legge delega n. 308/2004
(lettre e) ed f) secondo i quali la normativa italiana avrebbe dovuto
uniformarsi a quella comunitaria. Da qui la violazione degli artt. 11
e 76 della Costituzione.
      E'  evidente  che la violazione dei sopra menzionati criteri di
delega  si ripercuotono sulle competenze costituzionali della regione
in materia di tutela dell'ambiente, tutela della salute e governo del
territorio,  e  quindi comporta anche la violazione degli artt. 117 e
118 Cost.
    33) Illegittimita'  dell'art. 201,  comma 6, e art. 203, comma 2,
lettera e), per violazione degli artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
    L'art. 201,  del  Testo  unico  ambiente, detta la disciplina del
servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani.
    Al  comma  6  il  legislatore  delegato stabilisce che «la durata
della  gestione  da  parte  dei  soggetti affidatari, non inferiore a
quindici anni, e' disciplinata dalle regioni in modo da consentire il
raggiungimento di obiettivi di efficienza, efficacia ed economicita».
    L'art. 203,  del  citato  d.lgs. n. 152/2006, detta la disciplina
dello  schema tipo di contratto di servizio tra le Autorita' d'ambito
e i soggetti affidatari del servizio integrato.
    Nel  dettarne  i  contenuti,  la  lettera c)prevede che la durata
dell'affidamento non debba essere inferiore a quindici anni.
    La  previsione  di una durata minima quindicennale delle gestioni
integrate  dei  rifiuti  urbani  si  pone  in  contrasto  sia  con la
normativa  comunitaria  in  materia  di  rifiuti sia con i criteri di
riforma dettati dalla legge delega.
    E'  il  caso  di  evidenziare infatti come una durata di quindici
anni  per  le  gestioni  integrate  dei  rifiuti  si pone in evidente
conflitto  con  la  disciplina  contenuta nella direttiva comunitaria
n. 75/442/CEE   (come   modificata  dalla  direttiva  n. 91/156/CEE),
laddove,  all'art. 5,  si stabilisce che gli Stati membri adottino le
«misure appropriate per la creazione di una rete integrata e adeguata
di  impianti  di  smaltimento,  che tenga conto delle tecnologie piu'
perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi» e che
«tale  rete deve inoltre permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno
degli  impianti appropriati piu' vicini, grazie all'utilizzazione dei
metodi  e  delle  tecnologie piu' idonei a garantire un alto grado di
protezione dell'ambiente e della salute pubblica».
    In   sostanza   quindi   la   disciplina  comunitaria  sottolinea
l'importanza   di   un   frequente   aggiornamento  delle  tecnologie
utilizzate  per  il  trattamento dei rifiuti presupponendo ovviamente
che  nel  tempo queste diventino sempre piu' efficaci nel trattamento
dei  rifiuti  e  nella  salvaguardia dell'ambiente e della salute dei
cittadini.
    All'opposto  invece, con le disposizioni sopra citate, si pone la
normativa  italiana.  E'  evidente  infatti  che  la  concessione  di
un'autorizzazione  per la durata di quindici anni non puo' consentire
di  perseguire  l'obiettivo  di  tenere  conto  delle tecnologie piu'
aggiornate  e  di utilizzare i metodi piu' idonei a garantire un alto
grado di protezione ambientale e della salute pubblica.
    D'altra parte, per le ragioni sopra esposte, l'art. 201, comma 6,
si  pone  anche  in  contrasto  con  i  principi  e criteri direttivi
individuati  dall'art. 1,  comma 8, della legge delega n. 308/2004 e,
in  particolare,  con  i principi e criteri di cui alle lettere e) ed
f), con conseguente violazione degli artt. 11 e 76 Cost.
    34) Illegittimita'  dell'art.  202, comma 1, per violazione degli
artt. 117 e 118 Cost.
    La  norma  di  cui  all'art. 202,  d.lgs.  n. 152/2006 disciplina
l'affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani.
    Nel  comma  1 e' stabilito che «l'Autorita' d'ambito aggiudica il
servizio  di  gestione  integrata  dei  rifiuti  urbani mediante gara
disciplinata  dai  principi  e  dalle  disposizioni  comunitarie,  in
conformita'  ai  criteri  di  cui  all'art. 113,  comma 7 del decreto
legislativo   18   agosto   2000,  n. 267,  nonche'  con  riferimento
all'ammontare  del corrispettivo per la gestione svolta, tenuto conto
delle  garanzie  di  carattere  tecnico e delle precedenti esperienze
specifiche  dei concorrenti, secondo modalita' e termini definiti con
decreto  dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nel
rispetto delle competenze regionali in materia».
    La  disposizione  e'  in  contrasto con gli artt. 117 e 118 della
Costituzione  in  quanto la previsione che l'affidamento del servizio
avvenga  sulla  base  delle  modalita'  e nei termini definiti con un
decreto   ministeriale   comporta  una  violazione  delle  competenze
regionali  dato  che le norme ad esse relative saranno di dettaglio e
non di carattere generale come invece dovrebbe essere ogni qual volta
sussiste una competenza concorrente Stato-regione.
    A  confutare  l'illegittima  compressione  delle  funzioni  della
regione  non puo' certamente valere la previsione secondo la quale il
Ministero   nell'adozione   del  citato  d.m.  dovra'  rispettare  le
«competenze regionali in materia». Trattandosi infatti di materia che
coinvolge  anche  discipline  di  competenza  regionale  (governo del
territorio,  salute,  servizi  pubblici,  ecc.),  il  procedimento di
adozione   del   decreto   ministeriale   avrebbe   dovuto  prevedere
l'acquisizione di una previa intesa con le stesse.
    35) Illegittimita'  dell'art. 208, comma 10, per violazione degli
artt. 11, 76, 117, 118 Cost.
    L'art. 208,  d.lgs. n. 152/2006 disciplina la c.d. autorizzazione
unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti.
    Il  comma 10 del menzionato articolo prevede che «ove l'autorita'
competente  non  provveda  a  concludere  il procedimento di rilascio
dell'autorizzazione  unica  entro  i  termini previsti al comma 8, si
applica   il   potere  sostitutivo  di  cui  all'art. 5  del  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112».
    La  disposizione  di  legge  prevede quindi un potere sostitutivo
dello  Stato  nel  caso in cui vi sia un inadempimento nell'esercizio
della menzionata funzione.
    La  disposizione  viola  gli artt. 117, 118 della Costituzione in
quanto, come piu' volte ha gia' ricordato la Corte costituzionale (ex
multis:  sentenza  n. 43/2004),  anche  le regioni hanno il potere di
sostituirsi   a   enti   inadempienti  nelle  materie  di  competenza
regionale.  Il  caso  di specie e' uno di questi dato che si verte su
materia  che  va  ad  intersecarsi  con altre di competenza regionale
quali la tutela della salute, il governo del territorio, ecc.
    36) Illegittimita'  dell'art.  212,  commi  2 e 3, per violazione
degli artt. 117 e 118 Cost.
    L'art. 212,  d.lgs.  n  152/2006  disciplina l'Albo nazionale dei
gestori  ambientali  stabilendo che esso e' articolato in un Comitato
nazionale,  con sede presso il Ministero dell'ambiente, ed in sezioni
regionali e provinciali, istituite presso le Camere di commercio.
    La  disciplina  contenuta nei commi 2 e 3, modifica la precedente
(contenuta  nel  d.lgs. n. 22/1997), con riferimento fra l'altro alla
composizione del Comitato nazionale.
    In  particolare si prevede un aumento del numero dei componenti a
favore  del  Ministero  per quanto concerne il Comitato nazionale e a
favore  delle  organizzazioni  sindacali e delle categorie economiche
relativamente  alle  sezioni  regionali  o provinciali dell'Albo, con
contestuale riduzione dei componenti di nomina regionale.
    Le  disposizioni  sopra  citate  si  pongono in contrasto con gli
artt. 117   e  118  della  Costituzione  in  quanto,  prevedendo  una
diminuzione  del  numero  dei  rappresentanti  regionali  in  seno al
Comitato  nazionale  e  alle  sezioni  regionali, vengono a ledere le
prerogative  delle  regioni  nelle  materia  ad esse attribuite dalla
normativa  costituzionale (tutela dell'ambientale, della salute e del
governo  del  territorio).  E'  evidente infatti che i rappresentanti
delle   regioni  non  avranno  la  possibilita'  di  condizionare  la
definizione  delle  linee  guida in materia di smaltimento e recupero
dei    rifiuti.   Ne   consegue   quindi   la   loro   illegittimita'
costituzionale.
    37) Illegittimita'  dell'art. 214,  commi  2  e 3, per violazione
degli artt. 117, 118, 11 e 76 Cost.
    Gli  articoli  214, 215 e 216 del d.lgs. n. 152/2006 disciplinano
le  c.d.  procedure  semplificate  per  lo smaltimento e recupero dei
rifiuti  non pericolosi. Il comma 2 dell'art. 214, stabilisce che con
decreto  del  Ministro dell'ambiente di concerto con i Ministri delle
attivita'  produttive, della salute e delle politiche agricole, siano
adottati  per ciascun tipo di attivita' le norme che fissano i tipi e
le  quantita'  di  rifiuti  e  le  condizioni  in  base alle quali le
attivita'  di  smaltimento  dei rifiuti non pericolosi effettuate dai
produttori  nei  luoghi  di produzione degli stessi e le attivita' di
recupero  di  cui  all'Allegato  C alla parte quarta del decreto sono
sottoposte  alle  procedure semplificate di cui agli artt. 215 e 216.
E'  altresi'  stabilito  che  con  la  medesima procedura si provveda
all'aggiornamento della predetta disciplina.
    Il  comma  3, invece, prevede che «il comma 2 puo' essere attuato
anche  secondo  la disciplina vigente per gli accordi di programma di
cui agli artt. 181 e 206 e nel rispetto degli orientamenti comunitari
in materia».
    La  previsione  di  accordi  di programma in materia di procedure
semplificate per lo smaltimento e il recupero dei rifiuti nei termini
di  cui  all'art. 181, d.lgs. n. 152/2006 si pone in contrasto con la
normativa  comunitaria  in  materia  di  rifiuti nonche' con la legge
delega  e  quindi,  conseguentemente, contrasta con gli artt. 11, 76,
117 e 118 della Costituzione.
    Detti  accordi  di  programma consentono, infatti, di derogare al
sistema  normativo  previgente  (in parte trasfuso nello stesso Testo
unico)  in  materia di rifiuti, istituendo una contrattazione diretta
tra  privati e Amministrazione statale idonea ad escludere dal regime
dei  rifiuti  e  dalle  relative  procedure  di  autorizzazione  e di
controllo   tutta  una  serie  di  materiali  o  sostanze  che  nella
legislazione  vigente  e  nel  diritto  comunitario  invece  vi  sono
assoggettati.
      Questa  «privatizzazione»  della  disciplina  del  recupero dei
rifiuti,  avendo  come naturale conseguenza la sottrazione dal regime
di  rifiuti  di  molte  sostanze  e  materie  sulla  base di una mera
contrattazione,  si  pone  in  evidente  contrasto  con  la direttiva
comunitaria  n. 75/442/CEE,  cosi'  come  modificata  dalla direttiva
n. 91/156/CEE,  laddove  prevede  all'art. 11 che il generale obbligo
dell'autorizzazione  per  lo svolgimento di attivita' di recupero dei
rifiuti  (art. 10)  possa  essere derogato solo «qualora le autorita'
competenti  abbiano  adottato  per  ciascun  tipo  di attivita' norme
generali che fissano i tipi e le quantita' di rifiuti e le condizioni
alle quali l'attivita' puo' essere dispensata dall'autorizzazione».
    Violazione  di  tutta evidenza se solo si considera che - al pari
di  quanto  previsto  dall'art. 181,  comma 9 - le norme generali che
fissano  i  tipi e le quantita' di rifiuti e le condizioni alle quali
l'attivita'   puo'  essere  dispensata  dall'autorizzazione  dovranno
essere fissate necessariamente dai predetti accordi di programma anzi
che dall'autorita' competente come richiesto a livello comunitario.
    D'altra parte, per le ragioni sopra esposte, l'art. 214, comma 3,
si  pone  in contrasto con i principi e criteri direttivi individuati
dall'art. 1,   comma   8,   della  legge  delega  n. 308/2004  e,  in
particolare,  con  i principi e criteri di cui alle lettere e) ed f).
Ne  consegue  pertanto  la violazione anche degli artt. 11 e 76 della
Costituzione.
    38) Illegittimita'  dell'art.  215,  commi  1, 3 e 4, e dell'art.
216, commi 1, 3 e 4, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
      Gli  articoli 215 e 216, d.lgs. n. 152/2006 nel disciplinare le
procedure   semplificate   di   trattamento   dei   rifiuti   dettano
disposizioni   specifiche   con   riferimento   alle   attivita'   di
auto-smaltimento  e  alle  operazioni  di  recupero, attribuendo alla
Sezione  regionale  dell'Albo  nazionale  dei  gestori  ambientali le
funzioni  che  la  precedente  legislazione  attribuiva alle province
(cfr. artt. 32 e 33 del d.lgs. n. 22/1997).
    I  commi  1  e  3  di  entrambi  gli  artt.  215 e 216 del d.lgs.
n. 152/2006 prevedono, infatti, che la Sezione regionale dell'Albo e'
competente  a  ricevere la comunicazione di inizio delle attivita' ed
iscriverle  in  apposito  registro all'uopo tenuto dallo stesso Albo,
nonche'  a  verificare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti
richiesti.
    La disciplina sopra sinteticamente descritta non risulta in linea
con il quadro costituzionale di riferimento per i seguenti motivi.
    La  scelta  di sottrarre dalla competenza provinciale la tenuta e
il  controllo  delle  comunicazioni  di  inizio  delle  attivita'  di
smaltimento  e  recupero  dei rifiuti nelle procedure semplificate e'
del tutto irrazionale ed illogica e non certo ispirata ad esigenze di
semplificazione.  A  conferma  c'e'  la  circostanza della disciplina
dettata  nel  comma  4  degli articoli 215 e 216 la quale prevede che
«qualora  la  Sezione regionale dell'Albo accerti il mancato rispetto
delle  norme  tecniche  e  delle  condizioni  di  cui  al comma 1, la
medesima Sezione propone alla provincia di disporre con provvedimento
motivato  il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell'attivita».
Non comporta certamente una semplificazione l'attribuire il potere di
controllo  a  un  soggetto  e  il  potere  sanzionatorio  ad un altro
soggetto.
    In  conclusione,  la  disciplina  di cui agli artt. 215 e 216 del
Testo  unico  ambiente  risulta  in contrasto con gli artt. 117 e 118
Cost. in quanto essa ha sottratto alla regione le importanti funzioni
in materia di tutela della salute e del governo del territorio.
    39) Illegittimita'  dell'art.  238, comma 3, 6, 7, 8, 9 e 10, per
violazione degli artt. 117, 118, 119 Cost.
    L'art. 238,  d.lgs.  n. 152/2006  disciplina  la  Tariffa  per la
gestione dei rifiuti urbani.
    Il corna 3 dispone che «la tariffa e' determinata, entro tre mesi
dalla  data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 6, dalle
Autorita' d'ambito ed e' applicata e riscossa dai soggetti affidatari
del servizio di gestione integrata sulla base dei criteri fissati dal
regolamento di cui al comma 6».
    I   commi  da  6  a  10  disciplinano  le  competenze  attuative,
disponendo che:
        «Il  Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di
concerto  con  il  Ministro  delle  attivita'  produttive, sentiti la
Conferenza  Stato-regioni  e  le  province  autonome  di  Trento e di
Bolzano,  le  rappresentanze  qualificate degli interessi economici e
sociali  presenti  nel Consiglio economico e sociale per le politiche
ambientali (CESPA) e i soggetti interessati, disciplina, con apposito
regolamento  da  emanarsi  entro  sei  mesi  dalla data di entrata in
vigore  della  parte quarta del presente decreto e nel rispetto delle
disposizioni  di  cui  al presente articolo, i criteri generali sulla
base  dei  quali  vengono  definite  le  componenti dei costi e viene
determinata  la  tariffa,  anche con riferimento alle agevolazioni di
cui  al  comma  7,  garantendo  comunque  l'assenza  di  oneri per le
autorita' interessate.
        Nella  determinazione  della  tariffa possono essere previste
agevolazioni  per  le  utenze  domestiche e per quelle adibite ad uso
stagionale  o non continuativo, debitamente documentato ed accertato,
che  tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di
utenza  e  territoriali. In questo caso, nel piano finanziario devono
essere  indicate  le  risorse  necessarie  per  garantire l'integrale
copertura dei minori introiti derivanti dalle agevolazioni, secondo i
criteri fissati dal regolamento di cui al comma 6.
        Il  regolamento  di  cui  al  comma 6 tiene conto anche degli
obiettivi  di  miglioramento della produttivita' e della qualita' del
servizio fornito e del tasso di inflazione programmato.
        L'eventuale  modulazione  della  tariffa  tiene  conto  degli
investimenti  effettuati dai comuni o dai gestori che risultino utili
ai fini dell'organizzazione del servizio.
        Alla  tariffa  e'  applicato  un  coefficiente  di  riduzione
proporzionale  alle quantita' di rifiuti assimilati che il produttore
dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata
dal soggetto che effettua l'attivita' di recupero dei rfluti stessi».
    La disciplina sopra riportata e' illegittimo per violazione degli
artt. 117, 118, 119 e 76 della Costituzione.
    Cio'  in  quanto i poteri regolamentari riconosciuti al Ministero
dall'art. 238  relativi  alla  disciplina  delle varie voci di cui e'
composta vanno ad ingerire sulla competenza legislativa propria delle
regioni  in  materia di servizi pubblici locali. Su questione analoga
si  e'  gia'  pronunciata  la  Corte  costituzione  con  le  sentenze
nn. 272/2004  e 29/2006. La disciplina dettata dall'art. 238, quindi,
comporta  una  violazione  del riparto delle potesta' legislativa tra
Stato e regioni, con conseguente violazione dell'art. 117, comma 4 in
materia   di   disciplina   dei   servizi   pubblici  locali  nonche'
sull'autonomia  finanziaria  e  tributaria  delle  regioni  garantita
dall'art. 119,  commi 1 e 2, Cost., in quanto incide su un'entrata la
cui disciplina ricade nella competenza regionale.
    40) Illegittimita'  dell'art. 241, per violazione degli artt. 117
e 118 Cost.
    L'art. 241  prevede il c.d. regolamento aree agricole, disponendo
«il  regolamento  relativo  agli  interventi  di  bonfica, ripristino
ambientale   e  di  messa  in  sicurezza,  d'emergenza,  operativa  e
permanente,   delle   aree   destinate  alla  produzione  agricola  e
all'allevamento  e' adottato con decreto del Ministro dell'ambiente e
della  tutela  del  territorio  di  concerto  con  i  Ministri  delle
attivita'  produttive,  della  salute  e  delle  politiche agricole e
forestali».
    Il rinvio, a tempo indeterminato, della disciplina della bonifica
delle  aree  destinate  alla  produzione  agricola  e all'allevamento
impedisce  di bonificare tali aree e di procedere al riutilizzo delle
stesse   con   conseguente   violazione  dell'art. 117  e  118  della
Costituzione. In proposito infatti si deve ricordare che, sebbene una
tale  disposizione  fosse  presente anche nel decreto Ronchi, ad oggi
non   si  e'  avuta  l'emanazione  di  tale  regolamento,  con  gravi
pregiudizi  per  la  tutela dell'ambiente, della salute e del governo
del territorio.
    41) Illegittimita'  dell'art.  242,  commi 2, 3, 4, 5 e dell'art.
240,  comma  1, lettera b), per violazione degli artt. 117, 118 e 119
Cost, nonche' degli artt. 11 e 76 Cost.
    41.1) Gli  artt. 240  e  242,  contenuti nel Titolo V della Parte
quarta  del  d.lgs.  n. 152/2006,  contengono disposizioni in tema di
bonifica dei siti inquinati.
    L'art. 240 dette le definizioni necessarie per l'applicazione del
Titolo   V,  tra  le  quali,  al  comma  1,  lettera  b),  quella  di
«concentrazioni   soglia   di  contaminazione  (CSC):  i  livelli  di
contaminazione  delle  matrici ambientali che costituiscono valori al
di  sopra  dei  quali  e'  necessaria la caratterizzazione del sito e
l'analisi di rischio sito specifica, come individuati nell'Allegato 5
alla  parte  quarta  del  presente  decreto.  Nel caso in cui il sito
potenzialmente  contaminato  sia  ubicato  in  un'area interessata da
fenomeni  antropici o naturali che abbiano determinato il superamento
di  una o piu' concentrazioni soglia di contaminazione, queste ultime
si  assumono  pari al valore di fondo esistente per tutti i parametri
superati».
    L'  art. 242  disciplina, invece, le procedure amministrative per
procedere alla bonifica dei siti inquinati, disponendo:
        «al  verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado
di  contaminare  il  sito, il responsabile dell'inquinamento mette in
opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne
da'  immediata  comunicazione  ai  sensi  e  con  le modalita' di cui
all'articolo 304, comma 2» (comma 1);
        «il  responsabile  dell'inquinamento,  attuate  le necessarie
misure   di   prevenzione,   svolge,  nelle  zone  interessate  dalla
contaminazione,   un'indagine   preliminare   sui  parametri  oggetto
dell'inquinamento  e, ove accerti che il livello delle concentrazioni
soglia  di  contaminazione  (CSC) non sia stato superato, provvede al
ripristino  della  zona  contaminata,  dandone  notizia, con apposita
autocertificazione,  al  comune  ed  alla  provincia  competenti  per
territorio     entro    quarantotto    ore    dalla    comunicazione.
L'autocertificazione  conclude  il procedimento di notifica di cui al
presente  articolo,  ferme  restando  le  attivita'  di verifica e di
controllo  da  parte  dell'autorita'  competente  da  effettuarsi nei
successivi quindici giorni» (comma 2);
        «qualora  l'indagine  preliminare  di  cui al comma 2 accerti
l'avvenuto  superamento  delle  CSC  anche  per un solo parametro, il
responsabile  dell'inquinamento ne da' immediata notizia al comune ed
alle  province  competenti  per  territorio  con la descrizione delle
misure  di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate.
Nei  successivi trenta giorni presenta alle predette amministrazioni,
nonche'   alla   regione  territorialmente  competente  il  piano  di
caratterizzazione  con  i  requisiti di cui all'Allegato 2 alla parte
quarta  del  presente  decreto.  Entro  i trenta giorni successivi la
regione,  convocata  la  conferenza di servizi, autorizza il piano di
caratterizzazione    con    eventuali    prescrizioni    integrative.
L'autorizzazione  regionale  costituisce  assenso  per tutte le opere
connesse   alla   caratterizzazione,   sostituendosi  ad  ogni  altra
autorizzazione,  concessione,  concerto,  intesa, nulla osta da parte
della pubblica amministrazione» (comma 3);
        «sulla base delle risultanze della caratterizzazione, al sito
e'  applicata  la procedura di analisi del rischio sito specifica per
la  determinazione  delle  concentrazioni  soglia di rischio (CSR). I
criteri per l'applicazione della procedura di analisi di rischio sono
riportati  nell'Allegato  1  alla  parte quarta del presente decreto.
Entro  sei  mesi dall'approvazione del piano di caratterizzazione, il
soggetto  responsabile presenta alla regione i risultati dell'analisi
di rischio. (...)» (comma 4);
        «qualora  gli  esiti  della procedura dell'analisi di rischio
dimostrino  che  la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito
e' inferiore alle concentrazioni soglia di rischio, la conferenza dei
servizi,  con  l'approvazione del documento dell'analisi del rischio,
dichiara concluso positivamente il procedimento (...)» (comma 5).
    41.2) Il  sistema  normativo  delle  bonifiche dei siti inquinati
contenuto nelle disposizioni sopra riportate si pone in contrasto con
la  normativa  comunitaria  in  materia di rifiuti nonche' con alcuni
criteri  dettati  dalla  legge  delega  e  quindi,  conseguentemente,
contrasta con gli artt. 11, 76, 117 e 118 della Costituzione.
    L'illegittimita'  della  nuova disciplina discende in primo luogo
dalla  circostanza  che  essa comporta un pregiudizio derivante da un
minor  rigore  nella  tutela  ambientale  e  una  compressione  delle
attribuzioni  regionali in materia di tutela della salute nonche' del
governo del territorio.
    In  particolare, si contesta l'art. 242, d.lgs. n. 152/2006 nella
parte  in  cui  viene stabilito l'obbligo di bonifica per il soggetto
inquinatore,  agli  esiti  della  procedura  di analisi del rischio -
svolta  peraltro  dallo stesso soggetto che ha inquinato - cosi' come
descritta  dall'Allegato  1  alla parte quarta del decreto. In base a
tale  Allegato  1,  infatti,  l'analisi  del  rischio sito specifica,
finalizzata   alla  determinazione  delle  concentrazioni  soglia  di
rischio,  e'  ancorata a parametri del tutto incerti e non oggettivi:
da  cio'  deriva  che  l'inquinatore potra' effettuare un'analisi del
rischio  piu'  favorevole ai propri interessi, evitando la successiva
fase di bonifica.
    In   altri   termini,   l'art. 242,   demanda   al   responsabile
dell'inquinamento  - previo svolgimento, nelle zone interessate dalla
contaminazione,  di  un'indagine  preliminare  sui  parametri oggetto
dell'inquinamento  -  la  valutazione  del  superamento  o meno delle
concentrazioni    soglia   di   contaminazione   (CSC)   e,   quindi,
conseguentemente,  la  valutazione  se provvedere al ripristino della
zona  contaminata  (dandone notizia, con apposita autocertificazione,
al  comune  ed  alla  provincia competenti per territorio), oppure di
dare  immediata  notizia  al  comune  ed alle province competenti per
territorio  con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa
in sicurezza di emergenza adottate.
    Appare  evidente  che  una  tale  disposizione  si pone in aperto
contrasto   con   la   normativa   comunitaria  a  tutela  dei  suoli
dall'inquinamento,  dal  momento che a fronte dell'inquinamento di un
sito  si  demanda  alla  discrezionalita'  dell'inquinatore la scelta
della procedura piu' appropriata nel caso di specie.
    L'Ente  pubblico  competente,  se  in  disaccordo  con  l'analisi
prodotta  dal  soggetto,  potra'  non  approvare lo studio, ma a quel
punto dovra' decidere:
        se  procedere d'ufficio alla bonifica del sito, con ben poche
probabilita'   di   recuperare  le  spese  sostenute,  anche  in  via
giudiziaria (data l'incertezza dei parametri di riferimento; peraltro
con   prevedibile  aumento  del  contenzioso  tra  Ente  pubblico  ed
imprese), e cio' comportera' gravi ripercussioni sull'erario; ovvero
          non  procedere  alla  bonifica, con gravi ripercussioni sul
territorio e sulla tutela della salute dei cittadini.
    Le  disposizioni  qui  impugnate pertanto si pongono in contrasto
con gli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    La disciplina sopra descritta risulta inoltre in aperto contrasto
con il principio comunitario «chi inquina paga»; conseguentemente, la
norma  di  cui  all'art. 242  viola  i  principi  e criteri direttivi
individuati  dall'art. 1,  comma 8, della legge delega n. 308/2004 e,
in  particolare,  con  i principi e criteri di cui alle lettere e) ed
f).  Da qui la violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione, che
si  ripercuote  sulle  competenze  costituzionali  della regione come
sopra evidenziate.
    41.3) Considerazioni    analoghe    valgono    con    riferimento
all'art. 240,  comma  1,  lettera  b), nella parte in cui prevede che
nelle  ipotesi  in cui un sito potenzialmente contaminato sia ubicato
in  un'area  interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano
determinato  il  superamento  di  una o piu' concentrazioni soglia di
contaminazione  «queste  ultime  si  assumono pari al valore di fondo
esistente  per  tutti  i  parametri  superati». Questa specificazione
determina  gravi incertezze sulle modalita' di rilevamento dei valori
di fondo e, conseguentemente, sui valori di riferimento, con evidenti
gravi  ripercussioni  sulla tutela dell'ambiente e della salute e sul
governo del territorio.
    42) Illegittimita'  dell'art.  242, comma 7, per violazione degli
artt. 117, 118, 11 e 76 Cost.
    L'art. 242  del  Testo  unico  ambiente  disciplina  le procedure
operative ed amministrative per la bonifica dei siti inquinati.
    Nel  comma  7,  in  merito  alle  garanzie finanziarie che devono
essere  prestate  a  favore  della  regione  per  la  realizzazione e
l'esercizio   degli   impianti  previsti  dal  progetto  di  bonifica
medesimo,  e'  previsto  che  «con  il provvedimento (...) e' fissata
l'entita'  delle  garanzie  finanziarie,  in  misura non superiore al
cinquanta  per  cento  del  costo stimato dell'intervento, che devono
essere prestate in favore della regione per la corretta esecuzione ed
il completamento degli interventi medesimi».
    Tale  norma  si pone in contrasto con la normativa comunitaria in
materia   di   rifiuti   nonche'   con  la  legge  delega  e  quindi,
conseguentemente,  contrasta  con  gli  artt. 11, 76, 117 e 118 della
Costituzione,   atteso   che  l'individuata  procedura  operativa  ed
amministrativa  per  la  bonifica dei siti inquinati ha come naturale
conseguenza un pregiudizio o quanto meno un minor rigore nella tutela
ambientale.
    Invero,  il  comma 7 dell'art. 242 - pur riproducendo la norma di
cui  all'art. 17,  comma  4,  del  decreto  Ronchi nella parte in cui
prevedeva   la  possibilita'  per  l'ente  pubblico  di  fissare  con
l'autorizzazione  alla  bonifica  adeguate  «garanzie finanziarie che
devono  essere prestate a favore della regione per la realizzazione e
l'esercizio   degli   impianti  previsti  dal  progetto  di  bonifica
medesimo»  - limita il quantum della garanzia finanziaria, disponendo
che  «con  il provvedimento (...) e' fissata l'entita' delle garanzie
finanziarie, in misura non superiore al cinquanta per cento del costo
stimato  dell'intervento,  che devono essere prestate in favore della
regione   per  la  corretta  esecuzione  ed  il  completamento  degli
interventi medesimi».
    Detta   disposizione,   oltre   ad   essere  norma  di  dettaglio
incompatibile  con  le  competenze  regionali  in materia ambientale,
della  salute,  del governo del territorio e dei servizi pubblici, si
pone  in  contrasto  i  principi comunitari di tutela ambientale e in
particolare  con  il  principio  «chi  inquina paga», dal momento che
consente a chi ha procurato un inquinamento di non garantire in pieno
per la bonifica del sito.
    Dalla  violazione  delle direttive comunitarie segue il contrasto
con  i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8,
della  legge  delega  n. 308/2004 e, in particolare, con i principi e
criteri  di cui alle lettere e) ed f), secondo i quali il nuovo testo
unico  doveva  dare,  da  un  lato «piena e coerente attuazione delle
direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela
dell'ambiente  e  di contribuire in tale modo alla competitivita' dei
sistemi   territoriali   e   delle   imprese,  evitando  fenomeni  di
distorsione  della  concorrenza»;  e,  dall'altro,  «affermazione dei
principi  comunitari  di prevenzione, di precauzione, di correzione e
riduzione  degli  inquinamenti e dei danni ambientali e del principio
"chi  inquina  paga"».  Ne consegue la violazione degli artt. 11 e 76
della Costituzione.
    La  previsione  di  un  tetto massimo per le garanzie finanziarie
peraltro  si  pone in contrasto anche con i principi direttivi di cui
alle lett. c), ed i) del comma 8 dell'art. 1 della legge n. 308/2004,
secondo  i  quali  la  nuova disciplina non avrebbe dovuto comportare
maggiori  oneri  per  la  finanza  pubblica ed inoltre avrebbe dovuto
assicurare  una  piu'  efficace  tutela  in materia ambientale «anche
mediante  il  coordinamento  e  l'integrazione  della  disciplina del
sistema  sanzionatorio,  amministrativo  e  penale,  fermi restando i
limiti  di  pena  e  l'entita'  delle  sanzioni  amministrative  gia'
stabilite dalla legge» (lettera i).
    E' evidente che la disciplina contenuta nel comma 7 dell'art. 242
si pone in contrasto con i principi sopra richiamati e quindi risulta
costituzionalmente  illegittima  anche  per  violazione  dell'art. 76
Cost.
    43) Illegittimita' dell'art. 252, commi 3 e 4, d.lgs. n. 152/2006
per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    L'art,  252 disciplina i c.d. siti di interesse nazionale ai fini
della  bonifica,  prevedendo  che mentre alla loro individuazione «si
provvede  con  decreto  del Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio,  d'intesa  con le regioni interessate, secondo i seguenti
principi   e   criteri   direttivi   [...]»;   ai   fini  della  loro
perimetrazione  e'  sufficiente  sentire  «i  comuni, le province, le
regioni  e  gli  altri enti locali, assicurando la partecipazione dei
responsabili  nonche'  dei  proprietari  delle aree da bonificare, se
diversi dai soggetti responsabili» (comma 3).
    Il  quarto  comma stabilisce che «la procedura di bonifica di cui
all'art.  242  dei  siti  di  interesse  nazionale e' attribuita alla
competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio,
sentito  il  Ministero  delle  attivita'  produttive»,  senza  alcuna
previsione  di  una  intesa  con le regioni, cosi' come era stabilito
nella  pre-vigente normativa contenuta nell'art. 17, comma 14, d.lgs.
n. 22/1997.
    La  mancata  previsione  dell'intesa con la regione ai fini della
perimetrazione  e dell'approvazione di bonifica dei progetti dei siti
di  interesse nazionale si pone in aperto contrasto con gli artt. 117
e  118  della Costituzione, atteso che si ripercuote sulle competenze
costituzionali  della  regione in materia di tutela della salute e di
governo del territorio. E' sufficiente infatti tener presente che per
effetto della normativa sopra riportata le sopra menzionate attivita'
vincolano la destinazione urbanistica dei siti di interesse nazionale
da   bonificare   senza  alcun  intervento  da  parte  de1le  regioni
interessate.
    Illegittimita'   costituzionale   delle   norme   impugnate   per
violazione del principio di leale collaborazione.
    Le  norme  impugnate  non  contrastano  solo  con  le  richiamate
disposizioni  comunitarie  e  con  le attribuzioni costituzionalmente
garantite alle regioni dagli artt. 117 e 118 Cost.
    La  disciplina  dettata  nel Testo unico ambiente con riferimento
alle  procedure  di  VAS e VIA, ed in materia di rifiuti, di bonifica
dei  siti  inquinati,  di  istituzione  e funzionamento dei distretti
idrografici  e  di  autorita'  di  bacino  distrettuale,  di tutela e
programmazione  dell'ambiente,  infatti,  per la sua interconnessione
con  profili  e  tematiche  di competenza regionale (quali ad esempio
governo  del  territorio,  tutela  igienico-sanitaria,  tutela  della
sicurezza  della  popolazione),  contrasta  con il principio di leale
collaborazione fra Organi dello Stato in considerazione del fatto che
essa   e'  stata  dettata  in  maniera  pressocche'  unilaterale  dal
legislatore nazionale.
    L'importanza  del  rispetto  di questo principio nella materia de
quo,   e'   stata   gia'   affermata   e   riconosciuta  dalla  Corte
costituzionale  con la sentenza n. 62/2005. Si e' affermato, infatti,
che  nell'esercizio  di  funzioni in materia di tutela ambientale, di
competenza  esclusiva dello Stato, «quando gli interventi individuati
come  necessari  e  realizzati  dallo  Stato,  in  vista di interessi
unitari  di  tutela  ambientale, concernono l'uso del territorio e in
particolare  la  realizzazione  di  opere  e  di  insediamenti atti a
condizionare  in  modo  rilevante  lo  stato e lo sviluppo di singole
aree,  l'intreccio da un lato con la competenza regionale concorrente
in  materia di governo del territorio, oltre che con altre competenze
regionali,  dall'altro  lato  con  gli  interessi  delle  popolazioni
insediate   nei  rispettivi  territori,  impone  che  siano  adottate
modalita'  di  attuazione  degli interventi medesimi che coinvolgono,
attraverso  opportune  forme  di  collaborazione,  le regioni sul cui
territorio gli interventi sono destinati a realizzarsi (cfr. sentenza
n. 303/2003)».
    Le  disposizioni  impugnate  invece prevedono un intervento dello
Stato  (ad  esempio  in via diretta ossia con le norme di legge sopra
menzionate  non  recanti  principi  generali  e/o  programmatiche, ma
specifiche  e  vincolanti)  ovvero  del Ministro dell'ambiente (e' il
caso ad esempio della potesta' regolamentare di cui agli artt. 3, 10,
57),  senza un contestuale effettivo coinvolgimento delle regioni e/o
della  Conferenza  Stato-regioni  -  in  materie  quali la tutela del
territorio,  della salute della popolazione di competenza regionale -
che  comporta,  anche  in  virtu'  di  quanto  sopra  menzionato,  la
violazione del principio di leale collaborazione.
                              P. Q. M.
    Si chiede la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle
disposizioni  qui  impugnate del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 recante
«Norme  in materia ambientale» per le ragioni e per i profili esposti
nel presente ricorso.
        Roma, 12 giugno 2006
                    Avv. Prof. Gustavo Visentini
 

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