Ricorso n. 79 del 24 agosto 2005 (Regione Toscana)
N. 79 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 24 agosto 2005.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 24 agosto 2005 (della Regione Toscana)
(GU n. 39 del 28-09-2005)
Ricorso della Regione Toscana, in persona del presidente pro
tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 808
dell'8 agosto 2005 rappresentato e difeso, per mandato in calce al
presente atto, dagli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni e presso
lo studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via del
Viminale n. 43;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 5 del
decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 100, per violazione degli
articoli 5, 76, 117, 118 e 119 della Costituzione.
Nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 136 del 14 giugno
2005 e' stato pubblicato il decreto legislativo 27 maggio 2005 n. 100
recante «Ulteriori disposizioni per la modernizzazione dei settori
della pesca e dell'acquacoltura e per il potenziamento della
vigilanza e del controllo della pesca marittima, a norma dell'ad. 1,
comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38».
Detto decreto interviene a disciplinare ulteriormente i settori
della pesca e della acquacoltura, sempre in attuazione della delega
di cui alla legge n. 38/2003, gia' impugnata da questa
amministrazione (Registro ricorsi n. 46/2003), per violazione delle
competenze regionali costituzionalmente garantite.
Il decreto legislativo in oggetto e' stato adottato in sede di
Conferenza Stato--regioni limitatamente ai primi 4 articoli; infatti
gli artt. 5, 6 e 7 del decreto cosi' come poi definitivamente
approvato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale non erano riportati
nella versione dello schema di decreto sottoposta ai rappresentanti
delle regioni per l'espressione del relativo parere (V. doc. n. 1).
In particolare, l'art. 5 del d.lgs. n. 100/2005 dispone
preliminarmente che il Programma nazionale della pesca - cosi' come
definito agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 154/2004, anch'esso impugnato
dalla Regione Toscana (registro ricorsi n. 86/2004) -- entrera' in
vigore dal 2006; per il 2005 e' stabilito che gli obiettivi di
intervento sono quelli previsti dagli artt. 4, 14 e l4-bis del
decreto n. 154/2004 e che tali obiettivi verranno attuati mediante
l'utilizzo di stanziamenti statali, da quantificarsi in legge
finanziaria. A tal fine, secondo il dettato dello stesso articolo, il
Ministro delle politiche agricole e forestali (o il Sottosegretario
di Stato delegato alla pesca) adotta con proprio decreto le linee
guida per l'utilizzazione e la distribuzione delle suddette risorse
finanziarie con riferimento alle finalita' di cui al d.lgs.
n. 154/2004.
L'art. 5 del d.lgs. n. 100/2005 contiene disposizioni lesive
delle competenze regionali e viene pertanto impugnato per i seguenti
motivi di
D i r i t t o
A)Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, d.lgs. n. 100/2005
per violazione dell'art. 76 Cost.
Si ravvisa innanzitutto la violazione dell'art. 76 Cost. e,
quindi, l'eccesso di delega: infatti l'art. 1, comma 2 della legge
n. 38/2003, cui l'articolo impugnato da' attuazione, non prevede tra
i contenuti della delega, la disciplina del programma nazionale della
pesca e dell'acquacoltura ne' l'introduzione di un sistema
finanziario direttamente gestito a livello statale.
B) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, d.lgs. n. 100/2005
per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
L'art. 5 in esame e' incostituzionale in quanto interviene a
disciplinare un ambito materiale - la pesca e l'acquacoltura -- che
l'art. 117, secondo comma, Cost. non riserva in via esclusiva allo
Stato. D'altra parte la pesca e l'acquacoltura non sono ricomprese
nell'elenco di materie soggette, ai sensi dell'art. 117 terzo comma
Cost., alla potesta' legislativa concorrente.
Ne consegue che in detta materia sussiste la potesta' legislativa
regionale di tipo residuale-esclusivo, ai sensi dell'art. 117, quarto
coma, Cost. In materia di pesca ed acquacoltura, del resto, le
regioni avevano gia' competenze trasferite dal d.P.R. n. 616/1977,
nella vigenza del precedente Titolo V della parte seconda della
Costituzione.
La disciplina della pesca e dell'acquacoltura inoltre presenta
molteplici interferenze con altre materie sempre di competenza delle
regioni (quali, ad esempio, il commercio e le attivita' produttive)
e, quindi, anche per tale motivo, e' rilevante il riconoscimento
delle attribuzioni regionali per quanto riguarda la pesca e
l'acquacoltura.
La norma impugnata, per contro, oltre a confermare il sistema di
finanziamento statale, ribadisce gli obiettivi - gia' individuati
agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 154/2004 - che il programma nazionale
della pesca e dell'acquacoltura intende perseguire. In assoluta
prevalenza questi obiettivi non sono in alcun modo ricollegabili a
competenze statali (si vedano ad esempio le lettere c), d), f), g),
h), ed i riguardanti, rispettivamente: lo sviluppo delle opportunita'
occupazionali, il ricambio generale delle attivita' economiche e
delle tutele sociali, la promozione della cooperazione,
dell'associazionismo e delle iniziative in favore dei lavoratori
dipendenti; la tutela del consumatore, la valorizzazione della
qualita' della produzione nazionale e della trasparenza informativa;
lo sviluppo della ricerca scientifica applicata alla pesca e
all'acquacoltura; la semplificazione delle procedure amministrative;
la promozione dell'aggiornamento professionale, la divulgazione dei
fabbisogni formativi del comparto della pesca e dell'acquacoltura,
l'economia ittica regioni).
Ne' puo' sostenersi che la competenza statale sia legittimata
dalla necessita' di dare, in materia, attuazione a normative
comunitarie (che disciplinano molteplici aspetti inerenti la pesca e
l'acquacoltura): tale attuazione infatti compete alle regioni nelle
materie loro attribuite, secondo quanto disposto dall'art. 117,
quinto comma, Cost.
E' vero che la materia della pesca e dell'acquacoltura puo' avere
interferenze con la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e, in
parte, con la tutela della concorrenza sui mercati. Tuttavia detta
interferenza con titoli trasversali di competenza statale non puo'
determinare una totale espropriazione alle regioni della disciplina
sostanziale della materia. L'intervento statale dovra' essere
limitato solo alla disciplina degli apetti inerenti la tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema che interferiscono con la pesca e
l'acquacoltura, cioe' gli unici aspetti rientranti negli ambiti
materiali statali, cio' anche considerando che la tutela
dell'ambiente e' un valore costituzionalmente protetto che, percio',
delinea una sorta di materia trasversale in ordine alla quale si
manifestano competenze diverse che ben possono essere regionali
(sentenze n. 259/2004; n. 96/2003; n. 407/2002).
Invece -- come gia' detto - con la disposizione impugnata il
legislatore statale non ha circoscritto la normativa agli aspetti di
sua competenza, ma ribadendo l'ambito di riferimento del Programma
nazionale della pesca e dell'acquacoltura e gli obiettivi con lo
stesso perseguiti, cosi' come disposto dagli artt. 4 e 5 del d.lgs.
n. 154/2004, e confermando il sistema di finanziamento gestito a
livello statale, e' intervenuto ancora una volta con una normativa
dettagliata e completa, svilendo il ruolo delle regioni.
Infatti, e' di tutta evidenza come la normativa qui contestata e'
completa e non lascia vuoti; le disposizioni sono dettagliate e
nemmeno cedevoli.
Dunque se il legislatore regionale intervenisse, si avrebbero
leggi regionali che costituirebbero «un mero duplicato» delIa legge
statale. Ma tale risultato, oltre ad essere irrazionale e
contrastante con un efficiente sistema amministrativo, viola
totalmente l'impianto costituzionale delineato dall'art. 117 Cost.
che non ammette che il legislatore statale e regionale disciplinino
gli stessi aspetti della medesima materia.
Ed ancora, il totale accentramento di competenze in capo allo
Stato, cosi' come ribadito con la disposizione impugnata, non appare
giustificabile neppure in virtu' del principio di sussidiarieta' di
cui all'art. 118 Cost.
Infatti, in base alla giurisprudenza costituzionale, il criterio
di sussidiarieta' di cui alla citata norma puo' legittimare una
disciplina statale nella materia regionale ove lo Stato decida di
allocare a se' l'esercizio di determinate funzioni amministrative.
In tal caso, infatti, la potesta' legislativa «si sposta» dall
regione allo Stato, in quanto tale spostamento e' necessario per
normare l'esercizio delle funzioni amministrative allocate in capo
allo Stato stesso.
Ma non e' questa l'ipotesi delle norme in esame in cui il
legislatore statale disciplina la materia indipendentemente dalle
esigenze di susidiarieta' per l'esercizio delle funzioni
amministrative.
In denegata ipotesi resterebbe la denunciata illegittimita' per
l'assenza di adeguate forme di intesa con le regioni.
I motivi suddetti concretizzano una sicura violazione degli
artt. 117 e 118 Cost.
C) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, d.lgs. n. 100/2005
per violazione dell'art. 119 Cost.
L'art. 5 e' ulteriormente incostituzionale per violazione
dell'art. 119 della Costituzione, nella parte in cui prevede che gli
obiettivi di riferimento del Programma nazionale della pesca siano
perseguiti attraverso dotazioni finanziarie gestite in via esclusiva
dallo Stato (in particolare la norma in esame prevede stanziamenti da
quantificarsi nella legge finanziaria e l'adozione da parte del
Ministro delle politiche agricole e forestali delle linee guida per
l'utilizzazione e l'allocazione di tali risorse).
Infatti, nelle materie non riservate esclusivamente allo Stato,
le risorse finanziarie dovrebbero essere trasferite integralmente
alle regioni per la loro successiva erogazione agli aventi diritto,
nell'ambito della disciplina della materia. L'art. 5 in esame, invece
prevede interventi finanziari diretti dallo Stato in materie quali la
pesca e l'acquacoltura, che l'art. 117 affida alla competenza
regionale.
L'art. 119 Cost. ha costituzionalizzato il principio del congruo
finanziamento delle competenze regionali, perche' non puo' esservi
effettiva autonomia senza adeguate risorse finanziarie.
Gia' da ora devono essere rispettati i criteri introdotti dalla
norma e percio' l'Amministrazione statale non puo' continuare a
disciplinare le modalita' di erogazione diretta dei finanziamenti a
soggetti terzi per attivita' inerenti a materie attribuite alla
competenza delle regioni, perche' cio' determina una sicura lesione
delle attribuzioni di queste ultime. La Corte costituzionale ha
rilevato l'inammissibilita' di siffatte forme di intervento
nell'ambito di materie e funzioni la cui disciplina competa alla
legge regionale (sent. nn. 16/2004; 49/2004; 320/2004; 51/2005;
77/2005; 285/2005).
Puo' dirsi sostanzialmente pacifico che la pesca e l'acquacoltura
attengano alla competenza legislativa regionale, per i motivi sopra
esposti. Non puo' dunque spettare allo Stato altro compito che quello
di ripartire i finanziamenti tra le regioni, competenti a
disciplinarne ed assicurarne l'utilizzo.
Il rispetto delle competenze regionali rende necessario il
trasferimento delle risorse finanziarie disponibili alle regioni alle
quali poi compete, nell'esercizio della riconosciuta potesta'
legislativa nel settore, disciplinare la procedura per l'erogazione
delle risorse stesse agli aventi diritto.
Come rilevato nella citata sentenza n. 16/2004 non vi sono
ostacoli all'immediata applicabilita' del nuovo sistema
costituzionale per quanto riguarda la disciplina della spesa e il
trasferimento di risorse dal bilancio statale: «in questo campo, fin
d'ora lo Stato puo' e deve agire in conformita' al nuovo riparto di
competenze e alle nuove regole, disponendo i trasferimenti senza
vincoli di destinazione specifica, o, se del caso, passando
attraverso il filtro dei programmi regionali, coinvolgendo dunque le
regioni interessate nei processi decisionali con concernenti il
riparto e la destinazione dei fondi, e rispettando altresi'
l'autonomia di spesa degli enti locali».
Conseguentemente i finanziamenti relativi alla pesca devono
essere decentrati e ripartiti, nell'ambito di chiari principi di
ridistribuzione delle risorse, tra le regioni.
Come gia' rilevato, la disposizione in esame, invece, del tutto
noncurante dei suddetti criteri costituzionali, ribadisce, come gia'
l'art. 5 del d.lgs. n. 154/2004, il sistema dei finanziamenti gestiti
direttamente da parte dello Stato.
Da qui i vizi eccepiti.
D) Legittimita' costituzionale dell'art. 5, d.lgs. n. 100/2005
per violazione degli artt. 5, 117, 118 Cost., anche in relazione
all'art. 2 del d.lgs. n. 281/1997. Violazione del principio di leale
collaborazione.
L'art. 5 del d.lgs. n. 100/2005 non faceva parte del testo
sottoposto all'esame della Conferenza Stato-regioni per l'espressione
del prorio parere. Infatti tale articolo e' stato inserito dopo
l'acquisizione del parere della Conferenza Stato-regioni (come
attestato dal depositato verbale della Conferenza Stato-regioni
seduta del 3 marzo 2005, doc. n. 1).
La Conferenza Stato-regioni ha infatti espresso il proprio parere
in data 3 marzo 2005 (citato doc. n. 1); tale Conferenza costituisce
la sede della concertazione, del confronto politico, della
valutazione e ponderazione di una pluralita' di interessi che si
imputano a soggetti diversi dell'ordinamento e rappresenta pertanto
uno strumento essenziale per la leale cooperazione, che trova il suo
diretto fondamento nell'art. 5 Cost. (sentenza Corte cost.
n. 373/1997). Come ha chiarito la giurisprudenza costituzionale «la
premessa per l'intervento della Conferenza e' sempre la presenza di
una qualche implicazione degli indirizzi di politica generale di
pertinenza degli organi statali e la conferenza e' sede di raccordo
per consentire alle regioni di partecipare a processi decisionali che
resterebbero altrimenti nella esclusiva diponibilita' dello Stato»
(Corte cost. sentenza n. 408/1998). In tale ottica, attuando il
criterio del potenziamento delle funzioni della Conferenza di cui
all'art. 9 della legge n. 59/1997, in considerazione delle piu'
rilevanti attribuzioni riconosciute alle regioni dalla stessa legge,
l'art. 2, terzo comma, del decreto legislativo n. 281/1997 ha
stabilito che la Conferenza Stato-regioni e' obbligatoriamente
sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e del decreto
legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza
delle regioni o delle province autonome, che si pronuncia entro venti
giorni; decorso tale termine i provvedimenti recanti attuazione di
direttive comunitarie sono emanati anche in mancanza di detto parere.
E' percio' chiaro che il parere della Conferenza sarebbe stato
obbligatorio nel caso in esame perche' le disposizioni dell'articolo
in questione interferiscono con materie regionali.
Di qui la violazione degli artt. 5, 117 e 118 Cost., anche in
riferimento all'art. 2 del d.lgs. n. 281/1997, sotto il profilo della
lesione del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni.
P. Q. M.
Si chiede che la Corte costituzionaIe accolga il presente ricorso
e, per l'effetto, annulli l'art. 5 del decreto legislativo 27 maggio
2005 n. 100 per i motivi indicati nel presente ricorso.
Si depositano i seguenti documenti:
1) Verbale della Conferenza Stato-regioni, seduta del 3 marzo
2005.
Si deposita altresi' la delibera della giunta regionale di
autorizzazione a promuovere il giudizio.
Firenze - Roma, 10 agosto 2005
Avv. Lucia Bora - Avv. Fabio Lorenzoni
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 24 agosto 2005 (della Regione Toscana)
(GU n. 39 del 28-09-2005)
Ricorso della Regione Toscana, in persona del presidente pro
tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 808
dell'8 agosto 2005 rappresentato e difeso, per mandato in calce al
presente atto, dagli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni e presso
lo studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via del
Viminale n. 43;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 5 del
decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 100, per violazione degli
articoli 5, 76, 117, 118 e 119 della Costituzione.
Nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 136 del 14 giugno
2005 e' stato pubblicato il decreto legislativo 27 maggio 2005 n. 100
recante «Ulteriori disposizioni per la modernizzazione dei settori
della pesca e dell'acquacoltura e per il potenziamento della
vigilanza e del controllo della pesca marittima, a norma dell'ad. 1,
comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38».
Detto decreto interviene a disciplinare ulteriormente i settori
della pesca e della acquacoltura, sempre in attuazione della delega
di cui alla legge n. 38/2003, gia' impugnata da questa
amministrazione (Registro ricorsi n. 46/2003), per violazione delle
competenze regionali costituzionalmente garantite.
Il decreto legislativo in oggetto e' stato adottato in sede di
Conferenza Stato--regioni limitatamente ai primi 4 articoli; infatti
gli artt. 5, 6 e 7 del decreto cosi' come poi definitivamente
approvato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale non erano riportati
nella versione dello schema di decreto sottoposta ai rappresentanti
delle regioni per l'espressione del relativo parere (V. doc. n. 1).
In particolare, l'art. 5 del d.lgs. n. 100/2005 dispone
preliminarmente che il Programma nazionale della pesca - cosi' come
definito agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 154/2004, anch'esso impugnato
dalla Regione Toscana (registro ricorsi n. 86/2004) -- entrera' in
vigore dal 2006; per il 2005 e' stabilito che gli obiettivi di
intervento sono quelli previsti dagli artt. 4, 14 e l4-bis del
decreto n. 154/2004 e che tali obiettivi verranno attuati mediante
l'utilizzo di stanziamenti statali, da quantificarsi in legge
finanziaria. A tal fine, secondo il dettato dello stesso articolo, il
Ministro delle politiche agricole e forestali (o il Sottosegretario
di Stato delegato alla pesca) adotta con proprio decreto le linee
guida per l'utilizzazione e la distribuzione delle suddette risorse
finanziarie con riferimento alle finalita' di cui al d.lgs.
n. 154/2004.
L'art. 5 del d.lgs. n. 100/2005 contiene disposizioni lesive
delle competenze regionali e viene pertanto impugnato per i seguenti
motivi di
D i r i t t o
A)Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, d.lgs. n. 100/2005
per violazione dell'art. 76 Cost.
Si ravvisa innanzitutto la violazione dell'art. 76 Cost. e,
quindi, l'eccesso di delega: infatti l'art. 1, comma 2 della legge
n. 38/2003, cui l'articolo impugnato da' attuazione, non prevede tra
i contenuti della delega, la disciplina del programma nazionale della
pesca e dell'acquacoltura ne' l'introduzione di un sistema
finanziario direttamente gestito a livello statale.
B) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, d.lgs. n. 100/2005
per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
L'art. 5 in esame e' incostituzionale in quanto interviene a
disciplinare un ambito materiale - la pesca e l'acquacoltura -- che
l'art. 117, secondo comma, Cost. non riserva in via esclusiva allo
Stato. D'altra parte la pesca e l'acquacoltura non sono ricomprese
nell'elenco di materie soggette, ai sensi dell'art. 117 terzo comma
Cost., alla potesta' legislativa concorrente.
Ne consegue che in detta materia sussiste la potesta' legislativa
regionale di tipo residuale-esclusivo, ai sensi dell'art. 117, quarto
coma, Cost. In materia di pesca ed acquacoltura, del resto, le
regioni avevano gia' competenze trasferite dal d.P.R. n. 616/1977,
nella vigenza del precedente Titolo V della parte seconda della
Costituzione.
La disciplina della pesca e dell'acquacoltura inoltre presenta
molteplici interferenze con altre materie sempre di competenza delle
regioni (quali, ad esempio, il commercio e le attivita' produttive)
e, quindi, anche per tale motivo, e' rilevante il riconoscimento
delle attribuzioni regionali per quanto riguarda la pesca e
l'acquacoltura.
La norma impugnata, per contro, oltre a confermare il sistema di
finanziamento statale, ribadisce gli obiettivi - gia' individuati
agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 154/2004 - che il programma nazionale
della pesca e dell'acquacoltura intende perseguire. In assoluta
prevalenza questi obiettivi non sono in alcun modo ricollegabili a
competenze statali (si vedano ad esempio le lettere c), d), f), g),
h), ed i riguardanti, rispettivamente: lo sviluppo delle opportunita'
occupazionali, il ricambio generale delle attivita' economiche e
delle tutele sociali, la promozione della cooperazione,
dell'associazionismo e delle iniziative in favore dei lavoratori
dipendenti; la tutela del consumatore, la valorizzazione della
qualita' della produzione nazionale e della trasparenza informativa;
lo sviluppo della ricerca scientifica applicata alla pesca e
all'acquacoltura; la semplificazione delle procedure amministrative;
la promozione dell'aggiornamento professionale, la divulgazione dei
fabbisogni formativi del comparto della pesca e dell'acquacoltura,
l'economia ittica regioni).
Ne' puo' sostenersi che la competenza statale sia legittimata
dalla necessita' di dare, in materia, attuazione a normative
comunitarie (che disciplinano molteplici aspetti inerenti la pesca e
l'acquacoltura): tale attuazione infatti compete alle regioni nelle
materie loro attribuite, secondo quanto disposto dall'art. 117,
quinto comma, Cost.
E' vero che la materia della pesca e dell'acquacoltura puo' avere
interferenze con la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e, in
parte, con la tutela della concorrenza sui mercati. Tuttavia detta
interferenza con titoli trasversali di competenza statale non puo'
determinare una totale espropriazione alle regioni della disciplina
sostanziale della materia. L'intervento statale dovra' essere
limitato solo alla disciplina degli apetti inerenti la tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema che interferiscono con la pesca e
l'acquacoltura, cioe' gli unici aspetti rientranti negli ambiti
materiali statali, cio' anche considerando che la tutela
dell'ambiente e' un valore costituzionalmente protetto che, percio',
delinea una sorta di materia trasversale in ordine alla quale si
manifestano competenze diverse che ben possono essere regionali
(sentenze n. 259/2004; n. 96/2003; n. 407/2002).
Invece -- come gia' detto - con la disposizione impugnata il
legislatore statale non ha circoscritto la normativa agli aspetti di
sua competenza, ma ribadendo l'ambito di riferimento del Programma
nazionale della pesca e dell'acquacoltura e gli obiettivi con lo
stesso perseguiti, cosi' come disposto dagli artt. 4 e 5 del d.lgs.
n. 154/2004, e confermando il sistema di finanziamento gestito a
livello statale, e' intervenuto ancora una volta con una normativa
dettagliata e completa, svilendo il ruolo delle regioni.
Infatti, e' di tutta evidenza come la normativa qui contestata e'
completa e non lascia vuoti; le disposizioni sono dettagliate e
nemmeno cedevoli.
Dunque se il legislatore regionale intervenisse, si avrebbero
leggi regionali che costituirebbero «un mero duplicato» delIa legge
statale. Ma tale risultato, oltre ad essere irrazionale e
contrastante con un efficiente sistema amministrativo, viola
totalmente l'impianto costituzionale delineato dall'art. 117 Cost.
che non ammette che il legislatore statale e regionale disciplinino
gli stessi aspetti della medesima materia.
Ed ancora, il totale accentramento di competenze in capo allo
Stato, cosi' come ribadito con la disposizione impugnata, non appare
giustificabile neppure in virtu' del principio di sussidiarieta' di
cui all'art. 118 Cost.
Infatti, in base alla giurisprudenza costituzionale, il criterio
di sussidiarieta' di cui alla citata norma puo' legittimare una
disciplina statale nella materia regionale ove lo Stato decida di
allocare a se' l'esercizio di determinate funzioni amministrative.
In tal caso, infatti, la potesta' legislativa «si sposta» dall
regione allo Stato, in quanto tale spostamento e' necessario per
normare l'esercizio delle funzioni amministrative allocate in capo
allo Stato stesso.
Ma non e' questa l'ipotesi delle norme in esame in cui il
legislatore statale disciplina la materia indipendentemente dalle
esigenze di susidiarieta' per l'esercizio delle funzioni
amministrative.
In denegata ipotesi resterebbe la denunciata illegittimita' per
l'assenza di adeguate forme di intesa con le regioni.
I motivi suddetti concretizzano una sicura violazione degli
artt. 117 e 118 Cost.
C) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, d.lgs. n. 100/2005
per violazione dell'art. 119 Cost.
L'art. 5 e' ulteriormente incostituzionale per violazione
dell'art. 119 della Costituzione, nella parte in cui prevede che gli
obiettivi di riferimento del Programma nazionale della pesca siano
perseguiti attraverso dotazioni finanziarie gestite in via esclusiva
dallo Stato (in particolare la norma in esame prevede stanziamenti da
quantificarsi nella legge finanziaria e l'adozione da parte del
Ministro delle politiche agricole e forestali delle linee guida per
l'utilizzazione e l'allocazione di tali risorse).
Infatti, nelle materie non riservate esclusivamente allo Stato,
le risorse finanziarie dovrebbero essere trasferite integralmente
alle regioni per la loro successiva erogazione agli aventi diritto,
nell'ambito della disciplina della materia. L'art. 5 in esame, invece
prevede interventi finanziari diretti dallo Stato in materie quali la
pesca e l'acquacoltura, che l'art. 117 affida alla competenza
regionale.
L'art. 119 Cost. ha costituzionalizzato il principio del congruo
finanziamento delle competenze regionali, perche' non puo' esservi
effettiva autonomia senza adeguate risorse finanziarie.
Gia' da ora devono essere rispettati i criteri introdotti dalla
norma e percio' l'Amministrazione statale non puo' continuare a
disciplinare le modalita' di erogazione diretta dei finanziamenti a
soggetti terzi per attivita' inerenti a materie attribuite alla
competenza delle regioni, perche' cio' determina una sicura lesione
delle attribuzioni di queste ultime. La Corte costituzionale ha
rilevato l'inammissibilita' di siffatte forme di intervento
nell'ambito di materie e funzioni la cui disciplina competa alla
legge regionale (sent. nn. 16/2004; 49/2004; 320/2004; 51/2005;
77/2005; 285/2005).
Puo' dirsi sostanzialmente pacifico che la pesca e l'acquacoltura
attengano alla competenza legislativa regionale, per i motivi sopra
esposti. Non puo' dunque spettare allo Stato altro compito che quello
di ripartire i finanziamenti tra le regioni, competenti a
disciplinarne ed assicurarne l'utilizzo.
Il rispetto delle competenze regionali rende necessario il
trasferimento delle risorse finanziarie disponibili alle regioni alle
quali poi compete, nell'esercizio della riconosciuta potesta'
legislativa nel settore, disciplinare la procedura per l'erogazione
delle risorse stesse agli aventi diritto.
Come rilevato nella citata sentenza n. 16/2004 non vi sono
ostacoli all'immediata applicabilita' del nuovo sistema
costituzionale per quanto riguarda la disciplina della spesa e il
trasferimento di risorse dal bilancio statale: «in questo campo, fin
d'ora lo Stato puo' e deve agire in conformita' al nuovo riparto di
competenze e alle nuove regole, disponendo i trasferimenti senza
vincoli di destinazione specifica, o, se del caso, passando
attraverso il filtro dei programmi regionali, coinvolgendo dunque le
regioni interessate nei processi decisionali con concernenti il
riparto e la destinazione dei fondi, e rispettando altresi'
l'autonomia di spesa degli enti locali».
Conseguentemente i finanziamenti relativi alla pesca devono
essere decentrati e ripartiti, nell'ambito di chiari principi di
ridistribuzione delle risorse, tra le regioni.
Come gia' rilevato, la disposizione in esame, invece, del tutto
noncurante dei suddetti criteri costituzionali, ribadisce, come gia'
l'art. 5 del d.lgs. n. 154/2004, il sistema dei finanziamenti gestiti
direttamente da parte dello Stato.
Da qui i vizi eccepiti.
D) Legittimita' costituzionale dell'art. 5, d.lgs. n. 100/2005
per violazione degli artt. 5, 117, 118 Cost., anche in relazione
all'art. 2 del d.lgs. n. 281/1997. Violazione del principio di leale
collaborazione.
L'art. 5 del d.lgs. n. 100/2005 non faceva parte del testo
sottoposto all'esame della Conferenza Stato-regioni per l'espressione
del prorio parere. Infatti tale articolo e' stato inserito dopo
l'acquisizione del parere della Conferenza Stato-regioni (come
attestato dal depositato verbale della Conferenza Stato-regioni
seduta del 3 marzo 2005, doc. n. 1).
La Conferenza Stato-regioni ha infatti espresso il proprio parere
in data 3 marzo 2005 (citato doc. n. 1); tale Conferenza costituisce
la sede della concertazione, del confronto politico, della
valutazione e ponderazione di una pluralita' di interessi che si
imputano a soggetti diversi dell'ordinamento e rappresenta pertanto
uno strumento essenziale per la leale cooperazione, che trova il suo
diretto fondamento nell'art. 5 Cost. (sentenza Corte cost.
n. 373/1997). Come ha chiarito la giurisprudenza costituzionale «la
premessa per l'intervento della Conferenza e' sempre la presenza di
una qualche implicazione degli indirizzi di politica generale di
pertinenza degli organi statali e la conferenza e' sede di raccordo
per consentire alle regioni di partecipare a processi decisionali che
resterebbero altrimenti nella esclusiva diponibilita' dello Stato»
(Corte cost. sentenza n. 408/1998). In tale ottica, attuando il
criterio del potenziamento delle funzioni della Conferenza di cui
all'art. 9 della legge n. 59/1997, in considerazione delle piu'
rilevanti attribuzioni riconosciute alle regioni dalla stessa legge,
l'art. 2, terzo comma, del decreto legislativo n. 281/1997 ha
stabilito che la Conferenza Stato-regioni e' obbligatoriamente
sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e del decreto
legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza
delle regioni o delle province autonome, che si pronuncia entro venti
giorni; decorso tale termine i provvedimenti recanti attuazione di
direttive comunitarie sono emanati anche in mancanza di detto parere.
E' percio' chiaro che il parere della Conferenza sarebbe stato
obbligatorio nel caso in esame perche' le disposizioni dell'articolo
in questione interferiscono con materie regionali.
Di qui la violazione degli artt. 5, 117 e 118 Cost., anche in
riferimento all'art. 2 del d.lgs. n. 281/1997, sotto il profilo della
lesione del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni.
P. Q. M.
Si chiede che la Corte costituzionaIe accolga il presente ricorso
e, per l'effetto, annulli l'art. 5 del decreto legislativo 27 maggio
2005 n. 100 per i motivi indicati nel presente ricorso.
Si depositano i seguenti documenti:
1) Verbale della Conferenza Stato-regioni, seduta del 3 marzo
2005.
Si deposita altresi' la delibera della giunta regionale di
autorizzazione a promuovere il giudizio.
Firenze - Roma, 10 agosto 2005
Avv. Lucia Bora - Avv. Fabio Lorenzoni