N. 8 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 26 gennaio 2004.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 26 gennaio 2004 (della Regione Marche)
(GU n. 6 dell'11-2-2004)

Ricorso, (ai sensi dell'art. 127, secondo comma, Cost.;
dell'art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; degli
artt. 32, 34 e 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87) della Regione
Marche, in persona del presidente pro tempore della giunta regionale,
a cio' autorizzato con deliberazione della giunta regionale, n. 1.794
del 23 dicembre 2003, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Stefano
Grassi ed elettivamente domiciliato presso il suo studio di Roma,
piazza Barberini n. 12, come da procura speciale per atto del notaio
Sabatini, n. rep. 39.300 del 7 gennaio 2004;

Contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei
ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita'
costituzionale dell'art. 32 (Misure per la riqualificazione
urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione
dell'attivita' di repressione dell'abusivismo edilizio, nonche' per
la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree
demaniali), del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti
per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti
pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre
2003, n. 236, pubblicata nel supplemento ordinario n. 274 alla
Gazzetta Ufficiale n. 181 del 25 novembre 2003, sia nel suo complesso
sia, in particolare, dei commi 1, 2, 3, 5, 6, 9, 10, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 19-bis, 20, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34,
35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, per violazione degli artt. 3, 9, 25,
secondo comma, 32, 41, 42, 77, 79, 97, 117, 118, 119 della
Costituzione.
1. - L'art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 nel testo
modificato dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326,
prevede che «al fine di pervenire alla regolarizzazione del settore
e' consentito, in conseguenza del condono di cui al presente
articolo, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria
delle opere esistenti non conformi alla disciplina vigente», (primo
comma cui, in sede di conversione in legge, si e' aggiunta la
dicitura «di cui al presente articolo»), precisando, nel successivo
terzo comma, che «le condizioni, i limiti e le modalita' del rilascio
del predetto titolo abilitativo sono stabilite dal presente articolo
e dalle normative regionali».
La disciplina di sanatoria e' espressamente disposta «nelle more
dell'adeguamento della disciplina regionale ai principi contenuti nel
testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6
giugno 2001, n. 380, in conformita' al Titolo V della Costituzione
comemodificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e
comunque fatte salve le competenze delle autonomie locali sul governo
del territorio» (secondo comma), ma non si pronuncia in ordine alle
regioni che hanno gia' adottato una disciplina del territorio in
conseguenza dello stesso testo unico e del nuovo art. 117 Cost.
L'art. 32 del decreto affida al Ministero delle infrastrutture e
dei trasporti il compito di supportare i comuni nell'applicazione
della disciplina di sanatoria (comma 5), nonche' di individuare gli
interventi di riqualificazione urbanistica attivati dalle regioni da
ammettere al finanziamento (comma 6), stanziando fondi per gli
interventi di riqualificazione urbanistica di ambiti territoriali
caratterizzati da consistente degrado economico e sociale.
Secondo la modifica del nono comma intervenuta in sede di
conversione, tali ambiti sono individuati, in particolare, con
decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto
con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e per i
beni e le attivita' culturali nonche' di intesa con la Conferenza
unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997,
n. 281 (nella versione in attesa di conversione del nono comma del
d.l. n. 269/2003 la Conferenza veniva semplicemente sentita). Lo
stesso nono comma, con le modifiche introdotte dalla legge di
conversione, attribuisce comunque «priorita' alle aree oggetto di
programmi di riqualificazione gia' approvati di cui al decreto del
Ministro dei lavori pubblici dell'8 ottobre 1998, pubblicato nel
supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 278 del 27 novembre
1998 e di cui all'art. 120 del testo unico di cui al decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267».
Il successivo decimo comma, analogamente modificato in sede di
conversione, prevede «la realizzazione di un programma di interventi
di messa in sicurezza del territorio nazionale del dissesto
idrogeologico», le cui aree sono individuate «con decreto del
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di intesa con
la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281» (laddove, nella versione in attesa di
conversione del decimo comma del d.l. n. 269/2003 era semplicemente
sentita), ma, nello stesso tempo, specifica che «su tali aree, il
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con i
soggetti pubblici interessati, predispone un programma operativo di
interventi e le relative modalita' di attuazione».
L'art. 32 disciplina la sanatoria degli abusi edilizi realizzati
su aree del demanio dello Stato (commi da 14 a 20) e prevede che «le
opere eseguite da terzi su aree appartenenti al patrimonio
disponibile dello Stato, per le quali e' stato rilasciato il titolo
abilitativo edilizio in sanatoria da parte dell'ente locale
competente, sono inalie-nabili per un periodo di cinque anni dalla
data di perfezionamento delle procedure di vendita delle aree sulle
quali insistono le opere medesime» (art. 19-bis, introdotto dalla
legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326).
E' cosi' prevista la riapertura dei termini dei condoni edilizi
disposti nel 1985 (legge n. 47 del 28 febbraio) e nel 1994 (legge
n. 724 del 23 dicembre) a favore delle opere edilizie realizzate fino
alla data del 31 marzo 2003 («le disposizioni di cui ai capi IV e V
della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e successive modificazioni e
integrazioni, come ulteriormente modificate dall'art. 39 della legge
23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni,
nonche' dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che
risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano
comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della
volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un
ampliamento superiore a 750 mc. Le suddette disposizioni trovano
altresi' applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di
cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a
750 mc. per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in
sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi
complessivamente i 3.000 metri cubi» (comma 25, modificato in sede di
conversione, solo per quest'ultima condizione).
La stessa norma di cui all'art. 32 individua, in termini
dettagliati, le tipologie di illecito (comma 26 ed allegato 1), le
opere abusive non suscettibili di sanatoria (comma 27), i termini
decorrenti dalla data di entrata in vigore dell'art. 39 della legge
23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni,
che «sono da intendersi come riferiti alla data di entrata in vigore
del presente decreto» (comma 28), la sospensione del procedimento di
sanatoria degli abusi edilizi posti in essere dalla persona (o da
terzi per suo conto) di uno dei delitti di cui agli artt. 416-bis,
648-bis e 648-ter del codice penale (commi 29 e 30), fatti comunque
salvi i diritti dei terzi (comma 31), il termine del 31 marzo 2004
per la presentazione della domanda relativa alla definizione
dell'illecito edilizio (comma 32), nonche' disposizioni dettagliate
sulla domanda e sulla procedura di rilascio (commi da 35 a 40,
ulteriormente dettagliato in sede di conversione, laddove aggiunge
che «per l'attivita' istruttoria connessa al rilascio delle
concessioni in sanatoria i comuni possono utilizzare i diritti e
oneri di cui al precedente periodo, per progetti finalizzati da
svolgere oltre l'orario di lavoro ordinario») e l'indicazione del
termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del
decreto, entro il quale le regioni provvedono all'emanazione di
«norme per la definizione del procedimento amministrativo relativo al
rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria» (comma 33).
2. - La Regione Marche ha deliberato di impugnare dinanzi a
questa Corte la disciplina di cui all'art. 32 del 30 settembre 2003,
n. 269 con le modifiche introdotte dalla legge n. 326/2003 perche'
lesiva dell'autonomia costituzionalmente riconosciuta e garantita
dagli artt. 117, 118, 119 Cost., nonche' in relazione agli artt. 3,
9, 25, secondo comma, 32, 41, 42, 77, 79, 97, 117, 118 e 119 Cost.
La Regione Marche ha gia' impugnato la norma di cui all'art. 32
del d.l. n. 269/2003 nel periodo di vigenza antecedente alla
conversione (ricorso depositato il 19 novembre 2003, iscritto al
n. 81 Atti di promovimento), cosi' come l'hanno impugnata altre
regioni, tra cui la Regione Campania (ricorso depositato il 25
ottobre 2003, iscritto al n. 76 Atti di promovimento) e la Regione
Toscana (ricorso depositato il 21 novembre 2003, iscritto al n. 82
Atti di promovimento) e la Regione Emilia-Romagna (ricorso depositato
il 26 novembre 2003, iscritto al n. 83 Atti di promovimento).
La questione di legittimita' costituzionale della stessa norma di
cui all'art. 32, d.l. n. 269/2003 e' stata rimessa alla Corte dal
Tribunale amministrativo regionale Emilia-Romagna - Parma con
ordinanza 20 novembre 2003.
L'evidente mancanza dei presupposti della decretazione d'urgenza
sottolineata nel precedente ricorso avverso l'art. 32 del d.l.
n. 269/2003 configura «un vizio in procedendo della stessa legge di
conversione, avendo quest'ultima valutato erroneamente l'esistenza di
presupposti di validita' in realta' insussistenti e, quindi,
convertito in legge un atto che non poteva essere legittimo oggetto
di conversione» (Corte costituzionale, sentenza 25 novembre 2003,
n. 341, punto 4 della parte in diritto, che richiama la precedente
sentenza della Corte n. 29 del 1995).
In particolare, la disciplina di cui all'art. 32, d.l. 30
settembre 2003, n. 269, modificato dalla legge di conversione
n. 326/2003, riaprendo i termini dei precedenti condoni (comma 28) e,
quindi, integrando una vera e propria reiterazione in tempi
ravvicinati della sanatoria, si pone in contrasto con le norme
relative al principio di eguaglianza e al principio di tassativita' e
certezza delle norme penali (art. 25, secondo comma, Cost.).
Si configura, in altre parole, un vero e proprio «privilegio
odioso» per i soggetti che hanno violato le norme urbanistiche ed
edilizie, in contrasto con gli interessi pubblici e collettivi,
legati all'ordinato assetto del territorio, con gravi danni sia degli
enti rappresentativi di tali interessi, sia di coloro che hanno
rispettato la disciplina urbanistica e si sono assunti i relativi
oneri.
Lo Stato, utilizzando una norma penale di favore, in realta'
disciplina procedimenti e norme sostanziali relative all'ordinato
assetto del territorio e al corretto esercizio delle attivita'
edilizie, determinando la violazione delle competenze in materia di
«governo del territorio» (competenze concorrenti ai sensi
dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione) e delle competenze in
materia urbanistica nonche' in materia edilizia (materie di
competenza residuale di cui all'art. 117, quarto comma, della
Costituzione). Con la disciplina di sanatoria lo Stato invade la
competenza amministrativa delle regioni e dei comuni, ledendo anche
la loro autonomia finanziaria.
La disciplina impugnata, lesiva delle competenze
costituzionalmente spettanti alla regione ricorrente, e' in
particolare illegittima costituzionalmente per i seguenti motivi di
diritto.
Illegittimita' dell'art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269,
convertito con modifiche, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, per
violazione dei principi contenuti negli artt. 3, 25, secondo comma e
97 Cost., nonche' dei valori tutelati dagli artt. 9, 32, 41 e 42
Cost., in relazione alle competenze legislative attribuite alla
regione dagli artt. 117, 118 e 119, Cost. e per violazione
dell'art. 79 Cost.
3. - La disciplina impugnata si pone in contrasto con le norme
relative al principio di eguaglianza e al principio di tassativita' e
certezza delle norme penali nonche' al principio di imparzialita'
dell'azione dei pubblici poteri. La disciplina impugnata incide nel
suo complesso sull'ordinato assetto del territorio e quindi sui
valori costituzionali ad esso comuni come la tutela della qualita'
dell'ambiente e della salute, nonche' sul corretto esercizio
dell'attivita' imprenditoriale edilizia e sulla tutela del diritto di
proprieta' che anche le discipline regionali sono chiamate a
garantire nella loro effettivita'.
In particolare, l'art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269,
modificato dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326,
riaprendo ed estendendo i termini del condono edilizio, come risulta
chiaramente dai commi 1, 2, 25 e 28 dello stesso decreto, giustifica
un sistema discriminatorio nei confronti dei soggetti che,
rispettando la normativa, non hanno costruito perche' privi del
titolo abilitativo, e che si troverebbero, con l'applicazione della
disciplina impugnata, a dover subire l'illegalita' edilizia cosi'
legittimata e il connesso degrado urbanistico che ne deriva.
In altri termini, l'art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269,
convertito con modifiche dalla legge n. 326/2003 interviene nella
materia come legge singolare e motivo di lesione dell'eguaglianza dei
cittadini. Infatti, essa non solo discrimina tra chi ha
legittimamente costruito e chi ha violato le norme edilizie, ma
introduce il principio di periodica sanatoria dell'edificazione
abusiva. Cio' vanifica ogni funzione deterrente delle sanzioni
previste dalla normativa urbanistica ed edilizia, ed incide,
attraverso la sanatoria, sugli equilibri territoriali, consentendo il
permanere dell'alterazione causata dagli abusi, con conseguente
incisione su beni e interessi costituzionalmente garantiti per la
tutela del territorio e del patrimonio paesistico e con palese
violazione del sistema della legalita'.
Non e' senza significato che la sanatoria dettata dal decreto
impugnato interviene a distanza di nove anni dalla precedente
sanatoria del 1994, a sua volta successiva di altri nove anni
rispetto a quella introdotta nel 1985. La reiterazione dei condoni a
scadenza «novennale» implica non solo la lesione del principio di
legalita', lede soprattutto la fiducia dei cittadini sull'effettiva
capacita' degli organi pubblici di garantire il rispetto dei valori
costituzionali coinvolti dalla disciplina urbanistica ed edilizia
(dalla tutela dell'ambiente e della sua qualita' e salubrita' al
corretto svolgimento delle attivita' imprenditoriali edilizie, alla
stessa tutela del diritto di proprieta). Si crea una forma di
continuita' nell'«istituto» del condono, che legittima il «privilegio
odioso» dei cittadini che non hanno rispettato le leggi e che sono
incoraggiati a ripetere le loro violazioni.
La reiterazione, ponendosi in contrasto sia con i principi di
imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione, sia con i valori
costituzionali sopra richiamati lede in termini gravi la competenza
regionale.
3.1. - La lesione dei principi sopra richiamati trova fondamento
e compiuta esplicitazione nella stessa giurisprudenza di questa Corte
costituzionale.
In particolare, questa Corte, nel punto 7 della parte in diritto
della sentenza n. 416/1995 - in cui e' stata decisa la questione di
legittimita' costituzionale del precedente condono, di cui
all'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 - ha osservato, da
un lato, che «deve escludersi che l'apertura e l'estensione dei
termini (riferiti all'epoca dell'abuso commesso) del condono edilizio
(peraltro con ulteriori limiti e presupposti riduttivi) il cui
carattere essenziale nella fattispecie e' quello di norma del tutto
eccezionale in relazione ad esigenze di contestuale intervento sulla
disciplina concessoria e a contingenti e straordinarie ragioni
finanziarie e di recupero della base impositiva dei fabbricati,
vanifichi di per se' l'azione di controllo e di repressione delle
amministrazioni ed in particolare di quelle piu' attente».
La stessa sentenza ha, dall'altro, evidenziato che «ben diversa
sarebbe, invece, la situazione in caso di altra reiterazione di una
norma del genere, soprattutto con ulteriore e persistente spostamento
dei termini temporali di riferimento del commesso abusivismo
edilizio. Conseguentemente differenti sarebbero i risultati della
valutazione sul piano della ragionevolezza, venendo meno il carattere
contingente e del tutto eccezionale della norma (con le peculiari
caratteristiche della singolarita' ed ulteriore irrepetibilita) in
relazione ai valori in gioco, non solo sotto il profilo della
esigenza di repressione dei comportamenti che il legislatore
considera illegali e di cui mantiene la sanzionabilita' in via
amministrativa e penale, ma soprattutto sotto il profilo della tutela
del territorio e del correlato ambiente in cui vive l'uomo»
(affermazioni riprese e confermate dalla successiva sentenza
n. 427/1995, punto 2.2. della parte in diritto).
Di conseguenza, la non punibilita' conseguente al condono «in
modo speciale quando cancella reati lesivi di beni fondamentali della
societa', va usata negli stretti limiti consentiti dal sistema
costituzionale. Questa non punibilita', incidendo sul principio di
uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, deve, cioe',
trovare giustificazione in un principio di ragionevolezza, che, solo,
puo' consentire di superare il vaglio di costituzionalita» (punto
2.2. della parte in diritto della sentenza n. 427/1995).
3.2. - Proprio alla luce della giurisprudenza costituzionale, non
sussistono per l'art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269,
convertito con modifiche dalla legge n. 326 del 2003 quelle
circostanze eccezionali che possono giustificare il condono quando il
legislatore sia «necessitato, nel cancellare il passato, ad incidere
sulle sanzioni penali poste a rafforzamento di quelle extra-penali»
(Corte cost. sentenza n. 369/1988) e che avevano giustificato
l'intervento dello Stato con l'art. 39 della legge n. 724 del 1994,
rinvenute dalla Corte, nell'ipotesi specifica, nel «difetto di una
attivita' di polizia locale specializzata sul controllo del
territorio» e nella «scarsa (o quasi nulla in talune regioni)
incisivita' e tempestivita' dell'azione di controllo e di repressione
degli enti locali e delle regioni» (punto 7 della parte in diritto,
sentenza Corte cost. n. 416/1995).
La Regione Marche ha, infatti, effettuato con tempestivita' e
incisivita' la propria attivita' di controllo, gia' con la legge
Regione Marche 18 giugno 1986, n. 14 (Norme regionali in materia di
controllo e snellimento di procedure urbanistico-edilizie ed in
materia di sanzioni e sanatoria delle opere abusive), «sulla base dei
principi della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive
modificazioni ed integrazioni» (art. 1), che prevede, tra l'altro che
«a conclusione delle procedure di sanatoria delle opere abusive
previste dal capo IV della legge n. 47/1985 su richiesta della giunta
regionale e con le modalita' da essa definite, i comuni sono tenuti a
fornire i dati relativi alle opere sanate»; poi con la legge
regionale Marche 5 agosto 1992, n. 34 (Norme in materia urbanistica,
paesaggistica e di assetto del territorio), modificata dalla legge
regionale Marche 16 agosto 2001, n. 19, che delega alle province le
funzioni amministrative di competenza regionale riguardanti «d) i
pareri previsti dal primo comma dell'art. 32 della legge 28 febbraio
1985, n. 47, e successive modificazioni ed integrazioni» (art. 5,
secondo comma) e con la legge regionale Marche 17 maggio 1999, n. 10
(Riordino delle funzioni amministrative della regione e degli enti
locali nei settori dello sviluppo economico ed attivita' produttive,
del territorio, ambiente e infrastrutture, dei servizi alla persona e
alla comunita', nonche' dell'ordinamento ed organizzazione
amministrativa). Ed infine la giunta della Regione Marche ha
presentato la proposta di legge «Norme concernenti la vigilanza
sull'attivita' edilizia nel territorio regionale», con la quale
disciplina «l'esercizio della vigilanza sull'attivita' edilizia nel
territorio regionale, adeguandosi ai principi contenuti nel testo
unico nazionale in materia di edilizia di cui al d.P.R. 6 giugno
2001, n. 380» (Relazione proposta di legge n. 211 del 31 ottobre 2003
della giunta Regione Marche). Tale proposta e' stata approvata con
deliberazione legislativa dal consiglio regionale delle Marche in
data 22 dicembre 2003 e promulgata in data 23 dicembre 2003, con il
n. 29.
Appare d'altra parte del tutto formale e pretestuoso il richiamo,
effettuato dal comma 2 della legge impugnata, al sopravvenire del
testo unico dell'edilizia e del nuovo titolo V Cost. Da un lato, la
disciplina del testo unico, in quanto tale, non ha innovato il
sistema normativo, ma ha confermato e riordinato i principi vigenti
senza peraltro prevedere alcuna esigenza di sanatoria, per cui,
comunque, non e' dato comprendere il rapporto che dovrebbe sussistere
tra l'ennesima sanatoria edilizia cosi' introdotta e l'intervento
normativo di settore.
In secondo luogo, e' evidente come l'entrata in vigore del nuovo
assetto delle competenze costituzionali abbia semplicemente
rafforzato le attribuzioni regionali in materia di assetto del
territorio e di edilizia, rendendo ancor piu' ingiustificato
l'intervento statale che impone una deroga illegittima all'ordinato
esercizio delle competenze regionali.
In definitiva, la disciplina del condono edilizio posta dal d.l.
n. 269/2003 convertito e' sprovvista dei caratteri di
straordinarieta' ed eccezionalita' che soli potrebbero giustificarla,
determinando un'irragionevole discriminazione tra i cittadini, in
violazione dell'art. 3 Cost.
La discriminazione incide direttamente sulle competenze della
Regione Marche che, da un lato, vede alterato il sistema normativo
predisposto a tutela dell'ordinato sviluppo del suo territorio e
dall'altro subisce un intervento che non trova giustificazione
nell'ambito del territorio marchigiano che illegittimamente viene
coinvolto in una disciplina di sanatoria che - anche se eventualmente
dettata per quelle regioni che non avessero predisposto una
disciplina analogamente efficace - risulta, nelle stesse intenzioni
del legislatore statale (come prova il contesto normativo della legge
impugnata), giustificata solo da esigenze finanziarie dell'apparato
centrale.
Ne' si puo' ritenere che la norma impugnata sia legittima, in
quanto dettata dallo Stato nell'esercizio della competenza penale, da
ritenere esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma
dell'art. 117 Cost. L'irragionevolezza della reiterazione del
condono, adottata con decretazione d'urgenza - ma in assenza dei
presupposti di cui all'art. 77 Cost. -, impedisce di riconoscere la
competenza dello Stato, perche' il Governo centrale, attraverso un
esercizio illegittimo delle attribuzioni di cui e' titolare in
materia penale, interferisce e lede gravemente gli interessi pubblici
connessi con la disciplina del territorio e la disciplina urbanistica
ed edilizia dettata dalla regione nell'esercizio delle sue competenze
costituzionali.
L'irragionevolezza della disciplina dettata dal decreto impugnato
risulta confermata dalla incidenza negativa che la «sanatoria» ha nei
confronti di valori costituzionali che tutti i livelli di governo (e
quindi anche, ed in particolare, la regione) hanno il diritto-dovere
di tutelare: i valori paesistici ed ambientali di cui all'art. 9
Cost.; il valore della salute di cui all'art. 32 Cost.; il valore del
corretto ed ordinato svolgimento dell'attivita' imprenditoriale in
materia edilizia, garantita dall'art. 41 Cost., con i limiti e gli
obiettivi di cui allo stesso art. 41, commi 2 e 3 Cost.
L'assoluta assenza di giustificazione delle misure di clemenza
permette di evidenziare un ulteriore profilo di illegittimita' del
condono di cui all'art. 32 impugnato, in quanto sostanzialmente si
traduce in un provvedimento di amnistia: sotto questo profilo e'
manifesta la violazione dell'art. 79 Cost. che condiziona l'adozione
delle misure di clemenza alla forma della procedura aggravata con
l'approvazione da parte dei due terzi dei componenti di ciascuna
Camera.
Illegittimita' dell'art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269,
convertito, con modifiche, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, per
violazione dell'art. 117 della Costituzione.
4. - L'edilizia, in quanto materia non menzionata negli elenchi
di cui al secondo e terzo comma dell'art. 117 Cost., e' materia
autonoma e, in quanto tale, rientra tra le materie a competenza
legislativa regionale residuale, a norma dell'art. 117, quarto comma,
Cost.
E' quanto si puo' desumere dagli stessi lavori preparatori della
legge costituzionale n. 3 del 2001, dal cui esame si evince la
volonta' di considerare l'urbanistica e l'edilizia come materie
soggette a riserva di legislazione regionale.
Nell'intenzione del revisore della Costituzione era chiara la
volonta' di attribuire alle regioni un campo piu' ampio di
competenze: sarebbe stato singolare escludere tale ampliamento in un
settore che piu' di ogni altro gia' era stato affidato alla
competenza legislativa regionale. L'edilizia, infatti, ricomprende i
rapporti che si instaurano tra la pubblica amministrazione e quanti
intendano realizzare lavori od opere che trasformino il territorio ed
e' stata fin qui disciplinata dalle regioni in quanto comprese nelle
competenze in materia urbanistica e di tutela della salute. La
materia edilizia si riferisce alla sola definizione dei titoli
abilitativi ad eseguire le opere e alla disciplina della vigilanza e
repressione degli abusi edilizi, in relazione all'assenza o
insufficienza del titolo richiesto. La verifica ed il rilascio dei
titoli abilitativi restano distinti nel sistema normativo (come prova
la stessa recente redazione del testo unico della legislazione
edilizia - d.lgs. n. 380 del 6 giugno 2001 - che disciplina, nella
sua prima parte, i titoli abilitativi e le sanzioni e, nella sua
seconda parte, le normative tecniche per l'edificazione) dalla
disciplina urbanistica (che regola gli strumenti di pianificazione) e
dal governo del territorio (che regola le istituzioni e gli strumenti
di coordinamento ed impulso delle attivita' e delle infrastrutture
che incidono sulla politica e sull'assetto del territorio).
Dopo l'entrata in vigore del nuovo Titolo V, piu' di una regione
ha introdotto normative di modifica delle leggi regionali in materia
di edilizia, in considerazione della propria competenza esclusiva
nella materia (legge regionale Toscana 2 aprile 2002, n. 13, che ha
introdotto modifiche alla legge regionale Toscana 14 ottobre 1999,
n. 52, per adeguarsi alla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3; legge
regionale Emilia-Romagna 25 novembre 2002, n. 31, modificata con
legge regionale Emilia-Romagna 19 dicembre 2002, n. 37: sia queste,
sia altre leggi regionali analoghe non risultano impugnate dallo
Stato).
A seguito dell'adozione dell'art. 32 d.l. n. 269/2003 con
deliberazione n. 211 del 31 ottobre 2003, la Regione Marche ha
approvato la legge n. 29 del 23 dicembre 2003, «Norme concernenti la
vigilanza sull'attivita' edilizia nel territorio regionale».
La Regione Toscana ha approvato la legge regionale 4 dicembre
2003, n. 55 (Accertamento di conformita' delle opere edilizie
eseguite in assenza di titoli abilitativi, in totale o parziale
difformita' o con variazioni essenziali, nel territorio della Regione
Toscana) che prevede che il rilascio della concessione e
dell'attestazione di conformita' in sanatoria e' disciplinato
esclusivamente dall'art. 37 della legge regionale 14 ottobre 1999,
n. 52, come da ultimo sostituito dall'art. 33 della legge regionale 5
agosto 2003, n. 43, emanata per adeguare la disciplina regionale ai
principi contenuti nel decreto del Presidente della Repubblica 6
giugno 2001, n. 380 (art. 1, primo comma), per cui «ai sensi
dell'art. 32, comma 2, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269
(Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento dei conti pubblici), convertito con modificazioni
dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, i commi da 25 a 38 e da 40 a 45
non si applicano nel territorio della Regione Toscana, ad eccezione
delle disposizioni di detti commi concernenti l'oblazione penale»
(art. 1, secondo comma).
La giunta della Regione Campania, che aveva gia' emanato il
d.P.G.R. n. 634 del 22 settembre 2003 (Regolamento in materia di
repressione dell'abusivismo edilizio e di esercizio dei poteri
d'intervento sostitutivo), nella seduta del 30 settembre 2003 ha
adottato la deliberazione n. 39 che non ammette «dalla data di
entrata in vigore della presente legge, la sanatoria delle opere
edilizie realizzate, in assenza dei necessari titoli abilitativi»
(art. 1).
Il consiglio regionale della Regione Friuli-Venezia Giulia, nella
seduta del 20 novembre 2003, ha approvato la legge sul «Divieto di
sanatoria eccezionale delle opere abusive», che consente la
conformita' alle istanze presentate entro novanta giorni dalla sua
entrata in vigore per gli interventi edilizi conformi agli strumenti
urbanistici o ai regolamenti edilizi vigenti e non in contrasto con
gli strumenti urbanistici adottati al momento di presentazione delle
istanze.
La giunta della Regione Emilia-Romagna, con deliberazione n. 2111
del 27 ottobre 2003, ha approvato il progetto di legge n. 4990
(«Misure urgenti per la salvaguardia del territorio dell'abusivismo
edilizio»), che «detta, entro il 31 marzo 2004, nuove norme in
materia di vigilanza sull'attivita' urbanistico-edilizia,
responsabilita' e sanzioni, promuovendo l'aggiornamento della
strumentazione pianificatoria, potenziando gli apparati organizzativi
e incentivando i sistemi tecnologici di controllo del territorio»
(art. 1, secondo comma). In data 2 dicembre 2003 e' stato presentato
alla giunta della Regione Calabria dall'Assessorato urbanistica e
demanio il disegno di legge n. 963 recante «Norme per la
riqualificazione ed il riordino urbanistico edilizio e per la
sanatoria di opere edilizie abusive nel territorio regionale».
La giunta regionale del Lazio ha approvato una proposta di legge
(«Misure urgenti per la salvaguardia del territorio dall'abusivismo
edilizio»), che definisce gli obiettivi che dovranno essere
perseguiti dalla legge regionale, da adottarsi entro il 31 marzo 2004
per impedire di sanare gli abusi commessi in violazione degli
strumenti urbanistici vigenti.
4.1. - La materia edilizia si puo' quindi distinguere dalla
materia «governo del territorio», attribuita alla competenza
concorrente dall'art. 117, terzo comma Cost., che invece comprende
«in linea di principio, tutto cio' che attiene all'uso del territorio
e alla localizzazione di impianti o attivita» (Corte cost., 7 ottobre
2003, n. 307, punto 5 della parte in diritto), quindi alla gestione
di molteplici interessi (afferenti alla politica delle grandi
infrastrutture, alla politica dello sviluppo economico, alla politica
agricola), che in parte limitano l'urbanistica, in parte se ne
differenziano, in conformita' della nozione di assetto territoriale
che si rinviene nello stesso Trattato U.E., comprendente sia le aree
rurali sia le zone urbane o urbanizzate (art. 175, secondo comma
lett. b), che, nella versione inglese, si riferisce a «measures
concerning town and country planning»).
4.2. - La materia edilizia e', altresi', materia distinta
dall'urbanistica, dal momento che assolve ad una funzione di mero
accertamento della sussistenza del titolo legittimante l'esecuzione
delle opere e, in caso negativo, delle sanzioni da applicare per la
sua mancanza.
Tenuto conto che il rilascio del titolo e', a sua volta,
vincolato alla conformita' urbanistica del progetto alla sovrastante
pianificazione particolareggiata e generale, come al rispetto delle
norme statali e regionali, risulta evidente che l'uso e la
trasformazione del territorio «si decide a monte», in sede di
strumentazione urbanistica o di legislazione statale e regionale, ma
non al momento della verifica e del rilascio del titolo. In altre
parole l'edilizia riguarda i criteri dell'edificazione, mentre
l'urbanistica ne delimita l'area di intervento e l'organizzazione del
territorio per la sua fruizione, secondo la ripartizione che sussiste
fra piano regolatore e programma di fabbricazione da un lato e
regolamento edilizio, dall'altro. Anche ricomprendendo l'edilizia
nella materia urbanistica, la distinzione con la materia «governo del
territorio» e' evidente. L'urbanistica, in quanto disciplina dei
centri abitati, non implicante anche la gestione e il coordinamento
piu' ampio degli interessi connessi con il territorio (non solo
edilizi, ma anche economici, turistici, ambientali, ecc.) e'
demandata alla legislazione esclusiva regionale, con il limite
rappresentato dalle funzioni fondamentali attribuite agli enti locali
direttamente dalla legge dello Stato. Il «governo del territorio»
(che investe il piu' ampio coordinamento degli interessi che si
radicano nel territorio) spetta alla legislazione concorrente, con
principi fondamentali dettati dallo Stato e con norme di dettaglio
emanate dalle regioni.
L'art. 32 impugnato (ed in particolare la disciplina di cui ai
commi da 1 a 3 e da 14 a 41) detta norme di dettaglio e non cedevoli
in materia edilizia ed urbanistica al di fuori delle competenze
statali, con invasione della competenza «residuale» della regione
ricorrente, con evidente violazione dell'art. 117, quarto comma,
della Costituzione.
Illegittimita' dell'art. 32, d.l. 30 settembre 2003, n. 269,
convertito, con modifiche, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 per
violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
5. - Illegittimita' dell' art. 32, nel suo complesso e in
particolare dei commi 1-3, 25-38, 40-41 d.l. 30 settembre 2003,
n. 269, convertito con modifiche dal1a legge 24 novembre 2003, n. 326
sussiste anche se si ritiene che la materia edilizia rientri nella
materia urbanistica e che l'urbanistica sia a sua volta ricompresa
nel (o addirittura coincidente con il) «governo del territorio» di
cui al terzo comma dell'art. 117 Cost. (facendo rientrare, in
particolare, il controllo dell'attivita' edilizia nella definizione
dell'assetto urbanistico, facente parte del piu' ampio concetto di
governo del territorio), opinione cui si conforma la recente sentenza
della Corte 19 dicembre 2003, n. 362, punto 5.1. della parte in
diritto.
Occorre, infatti, osservare che, anche considerando l'edilizia
quale materia ricompresa nel «governo del territorio» attribuita alla
competenza legislativa concorrente delle regioni, a norma
dell'art. 117, terzo comma, Cost., la nuova formulazione operata
dalla riforma costituzionale della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3,
riserva allo Stato la sola «determinazione dei principi
fondamentali».
Si devono ritenere principi fondamentali «solo i nuclei
essenziali del contenuto normativo che quelle disposizioni esprimono
per i principi enunciati o da esse desumibili» (Corte cost., sent. 7
novembre 1995, n. 482), con un «livello di maggior astrattezza»
rispetto alle regole positivamente stabilite dal legislatore
regionale (Corte cost., 16 marzo 2001, n. 65).
Ora, pur considerando la funzione di tali principi in termini
ampi, di indirizzo e coordinamento delle competenze regionali per la
realizzazione di esigenze unitarie, la nuova formulazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost., rispetto a quella previgente
dell'art. 117, primo comma, Cost., opera una netta distinzione fra la
competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza
statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della
disciplina, «comunque risultanti dalla legislazione statale gia' in
vigore» (Corte, cost., 26 giugno 2002, n. 282, in motivazione), fermo
restando che le norme per essere considerate principi fondamentali
devono essere «espressive di scelte politico-legislative fondamentali
o, quantomeno, di criteri o modalita' generali tali da costituire un
saldo punto di riferimento in grado di orientare l'esercizio del
potere legislativo regionale» (Corte cost., sentenza 18 febbraio
1988, n. 177, punto 2.3.1 della parte in diritto) e che le regioni
sono in ogni caso responsabili nel proprio territorio delle norme di
organizzazione e di procedura (Corte costituzionale, 14 novembre
2003, n. 338 punto 5.1 della parte in diritto).
In definitiva, una volta accolto il duplice presupposto che su
tali materie:
a) il potere di legiferare spetta alle regioni;
b) la competenza dello Stato e' limitata alla determinazione
dei principi fondamentali della disciplina, non si vede in che modo
che si potrebbe giustificare l'adozione da parte di quest'ultimo, di
prescrizioni che principi non siano.
5.1. - In particolare, lo Stato, nella disciplina della materia
edilizia pur intesa quale materia a disciplina concorrente, rimane
titolare esclusivo per la definizione dei principi fondamentali, la
cui determinazione, nello stesso tempo, costituisce limite ed area
circoscritta della sua competenza, esclusa, pertanto, per la
disciplina di dettaglio.
Di qui, l'illegittimita' della norma di cui all'art. 32, d.l. 30
settembre 2003, n. 269, convertito con modifiche dalla legge 24
novembre 2003, n. 326 che, da un lato, prevede, al secondo comma, che
«la normativa e' disposta nelle more dell'adeguamento della
disciplina regionale ai principi e contenuti nel testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia,
approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in conformita' al Titolo
V della Costituzione come modificato dalla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3 e, comunque, fatte salve le competenze delle
autonomie locali sul governo del territorio», dall'altro, nei commi
successivi, introduce una disciplina di dettaglio sulla procedura di
redazione della domanda e di rilascio del titolo abilitativo edilizio
in sanatoria, specificando, gia' nel terzo comma, che «le condizioni,
i limiti e le modalita' del rilascio del predetto titolo abilitativo
sono stabilite dal presente articolo e dalle normative regionali», e
prescrivendo poi l'elencazione dei documenti da allegare alla domanda
(comma 35), cui puo' aggiungersi «ulteriore documentazione
eventualmente prescritta con norma regionale» (comma 35, lett. c),
nonche' le stesse modalita' di presentazione della domanda (comma
32).
E' evidente come queste norme di dettaglio, ivi compresi gli
allegati cui rinviano, sono da considerare illegittime in quanto
invasive della competenza, sia concorrente, sia residuale della
regione.
In particolare, risulta evidentemente di dettaglio e non
giustificata in alcun modo da esigenze di disciplina unitaria, la
precisazione negli allegati del decreto impugnato delle tipologie di
abusi per i quali e' imposto di adottare il condono (v. tabelle di
cui all'allegato I) per tutto il territorio nazionale (nn. 1, 2, 3),
secondo modalita', condizioni e possibilita' fissate dalle leggi
regionali (nn. 4, 5, 6), senza che sia in alcun modo possibile
individuare il criterio che risulta seguito per consentire una scelta
cosi' drastica, che impone l'obbligo per le regioni di sanare gli
abusi piu' gravi e di scegliere se sanare o meno gli abusi minori.
Ancor piu' evidente e' l'illegittimita' della precisazione in tutte
le sue fasi della procedura per il rilascio della sanatoria
(nell'allegato I), nonche' della definizione delle misure delle
oblazioni, e dell'indicazione dello stesso modello di domanda, con le
modalita' di calcolo dell'oblazione, dell'anticipazione degli oneri
concessori e dei moduli dei relativi versamenti (sempre nell'allegato
I). Si tratta di dettagli e precisazioni sicuramente capaci di ledere
il diritto della Regione di dettare tale disciplina.
Si puo' anche osservare che la stessa natura della disciplina
dettata dall'art. 32 impugnato - che dispone una sanatoria con
riferimento alle intervenute violazioni delle norme di edilizia
vigenti - implica una violazione della competenza dello Stato a
definire i soli principi fondamentali della materia. Una disciplina
di sanatoria costituisce, infatti, come ampiamente sottolineato dalla
giurisprudenza di questa Corte e gia' indicato nei precedenti motivi
del presente ricorso, norma eccezionale e derogatoria rispetto
all'ordinato svolgimento dell'attivita' normativa regionale e della
attivita' legislativa dello stesso Stato. Costituisce una evidente
contraddizione affermare la natura di principio fondamentale di una
disciplina disposta in via d'urgenza come deroga ed eccezione
rispetto alla disciplina ordinaria.
Si deve anche ribadire che lo Stato prevede in modo obbligatorio
1' applicazione di misure di sanatoria, con riferimento a violazioni
piu' gravi (quali quelle relative a nuove costruzioni e
ristrutturazioni edilizie realizzate in assenza o in difformita' del
titolo abilitativi e non conformi alle norme urbanistiche ed alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici), prevedendo che le regioni,
con riferimento a tali abusi, possano soltanto stabilire un eventuale
aumento dell'oblazione e disciplinare il procedimento di condono,
peraltro in termini che sono gia' dettagliatamente indicati dallo
stesso legislatore statale. Laddove e' consentito alle regioni di
stabilire se sia ammissibile, ed a quali condizioni, il condono degli
abusi minori (restauro, risanamento conservativo e manutenzione
straordinaria realizzata in assenza o difformita' del titolo
edilizio) (commi da 26 a 33 dell'art. 32 impugnato). E' evidente come
non si possa considerare ammissibile la fissazione, come principio
fondamentale, di criteri diretti a vincolare l'applicazione di una
sanatoria con riferimento a determinate tipologie di abusi. Il
criterio indicato dallo Stato conferma la volonta' di imporre alle
regioni una deroga inammissibile rispetto all'ordinato assetto del
territorio.
La necessaria concertazione nella disciplina dell'assetto
territoriale e' stata, del resto, riconosciuta dalla stessa normativa
comunitaria, come si evince dalla modifica introdotta al Trattato
U.E. dal Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001, in particolare
dall'art. 175 (che ha sostituito l'art. 130 S), che prevede ora la
previa consultazione del Comitato delle regioni da parte del
consiglio per l'adozione delle «misure aventi incidenza: -
sull'assetto territoriale ...» (art. 175, secondo comma, lett. b)
Trattato U.E).
Si deve quindi concludere per la violazione della competenza
legislativa concorrente attribuita alla regione in materia di
«governo del territorio», dall'art. 117, terzo comma della
Costituzione.
Illegittimita' dell'art. 32, d.-l. 30 settembre 2003, n. 269,
convertito, con modifiche, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, per
violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
6. - La disciplina di sanatoria dettata dal legislatore statale
implica, come ovvio, l'attivazione di procedure e la realizzazione di
strutture idonee ad effettuare i controlli sulla regolarita' delle
domande di sanatoria e sull'accertamento dei presupposti per
l'applicazione della disciplina, che si riflettono in oneri rilevanti
sul piano dell'organizzazione amministrativa e dell'attivazione di
competenze tecniche, in grado di incidere in modo rilevante sulla
finanza locale.
La circostanza che la disciplina di sanatoria sia stata dettata
per finalita' connesse alle previsioni finanziarie dello Stato non
puo' in alcun modo escludere il controllo di legittimita'
costituzionale sotto questo profilo delle norme impugnate.
In primo luogo, la circostanza che la sanatoria sia in
particolare giustificata dalla ricerca di introiti per lo Stato
finalizzati al riequilibrio del bilancio complessivo della nostra
organizzazione centrale, permette di individuare un ulteriore sintomo
della irragionevolezza della disciplina statale e della
illegittimita' delle conseguenti interferenze che essa produce
sull'esercizio delle competenze costituzionalmente spettanti alla
regione.
In secondo luogo, la disciplina statale prevede che, solo in
minima parte, quanto viene introitato dallo Stato a seguito del
pagamento degli oneri correlati all'applicazione della sanatoria
venga poi finalizzato e attribuito direttamente agli enti locali.
In terzo luogo, la disciplina di sanatoria non si limita a creare
a carico delle amministrazioni locali obblighi connessi con le
singole situazioni di abuso che vengono sanate (con il correlato
onere di controllo, ma anche con l'eventuale possibilita' di
pretendere dai privati il pagamento dei contributi connessi al
rilascio delle concessioni). L'applicazione della disciplina di
sanatoria, anche e soprattutto in relazione al suo carattere di
reiterazione rispetto alle discipline del 1985 e del 1994, implica la
necessita' per gli enti locali della Regione Marche e per la stessa
Regione Marche di apprestare strumenti urbanistici o soluzioni di
governo del territorio che obblighino le collettivita' locali a
sostenere i costi sia sociali che materiali relativi alla
ridefinizione dell'assetto urbanistico in presenza delle opere
sanate; laddove la disciplina regionale, correttamente e
tempestivamente applicata, senza le deroghe oggi imposte dallo Stato
implicherebbe la demolizione delle eventuali opere abusive e
l'applicazione nei confronti di coloro che hanno commesso il relativo
illecito delle sanzioni, anche pecuniarie, che verrebbero incamerate
dagli enti locali.
Di qui la denunciata violazione delle competenze legislative e
amministrative, ma anche della stessa autonomia finanziaria
attribuita alle regioni dall'art. 119 Cost. Lesione tanto piu' grave
per la parte in cui la decisione di adottare la disciplina di
sanatoria costituisce una scelta unilaterale dello Stato in assenza
del necessario coordinamento con la finanza locale, secondo i
principi deducibili anche dall'art. 119, secondo comma, Cost.;
nonche' in assenza di qualsiasi previa consultazione con le regioni
(eludendo il passaggio in Conferenza Stato-regioni ai sensi
dell'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 28 agosto 1997).
L'incostituzionalita' delle previsioni denunciate in questo motivo
deve essere estesa anche ai commi 6, 9 e 10 dell'art. 32 anche con le
modifiche intervenute in sede di conversione.
Rimane in sede di conversione in legge la competenza del Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti per l'individuazione degli
interventi da ammettere a finanziamento tra quelli di
riqualificazione urbanistica attivati dalle regioni, peraltro avendo
sentito soltanto la conferenza unificata e senza la previsione di una
intesa con le regioni interessate (comma 6).
Ai sensi del successivo nono comma, la stessa rilevanza e
l'interesse nazionale degli interventi di riqualificazione di ambiti
territoriali caratterizzati da consistente degrado economico e
sociale, sono individuati in particolare con decreto del Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con i Ministri
dell'ambiente e della tutela del territorio e per i beni e le
attivita' culturali nonche' di intesa con la Conferenza unificata di
cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (nella
versione iniziale del nono comma del d.l. n. 269/2003 la Conferenza
veniva semplicemente sentita), ma e' lo stesso nono comma, con le
modifiche introdotte dalla legge di conversione, ad attribuire
«priorita' alle aree oggetto di programmi di riqualificazione gia'
approvati di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici dell'8
ottobre 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta
Ufficiale n. 278 del 27 novembre 1998 e di cui all'art. 120 del testo
unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267». E'
evidente come l'art. 32, escludendo l'acquisizione del consenso di
tutti i livelli di governo interessati, violi le norme che
garantiscono l'autonomia amministrativa e finanziaria delle regioni
nonche' confermi la violazione dei principi denunciata nel presente
ricorso.
I profili di illegittimita' evidenziati hanno trovato conferma
nella legge 24 dicembre 2003, n. 350 («Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2004», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre
2003 - Supplemento ordinario n. 196), che ha abrogato, tra l'altro, i
suddetti commi 6 e 9 dell'art. 32 impugnato (art. 2, comma 70).
Illegittimita' costituzionale dell'art. 32 d.l. 30 settembre
2003, n. 269, convertito, con modifiche, dalla legge n. 326 del 24
novembre 2003, per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost.
7. - Nei commi da 14 a 20 e 24, la norma impugnata ammette la
sanatoria degli abusi sulle aree di proprieta' dello Stato.
Si prevede, infatti, che possano essere sanate le opere abusive
realizzate su tali aree, se ed in quanto lo Stato sia disponibile a
cedere la proprieta' dei terreni occupati dalle opere abusive. E'
evidente l'illegittimita' della previsione, sia con riferimento a
tutti i motivi gia' dedotti nella prima parte del presente ricorso e
che qui vengono espressamente richiamati, sia perche' la decisione
sull'ammissibilita' della sanatoria viene riservata al soggetto
proprietario dell'area e cioe' allo Stato, senza che vi sia alcuna
possibilita' di verifica e di contraddittorio con gli enti locali
interessati ed in particolare, in assenza di una previa intesa con le
regioni circa la possibilita' di cedere l'area e di concedere il
beneficio della sanatoria (intesa che, invece, sarebbe necessaria per
rendere «rilevante la volonta' di tutte le regioni, garantendo le
attribuzioni costituzionali regionali», afferma Corte cost., 17
luglio 2001, n. 317; v. anche, Corte cost. 26 giugno 2001, n. 206).
La censura si estende ovviamente anche al comma 24 dell'articolo,
che, modificato in sede di conversione, prevede un programma di
interventi di riqualificazione delle aree demaniali predisposto
dall'Agenzia del demanio, «di concerto con il Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio, il Ministro dei beni e delle attivita'
culturali, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano».
Si osserva che il comma 24 e' stato abrogato dalla legge 24
dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria 2004), in particolare
dall'art. 2, comma 70.
Istanza di applicazione dell'art. 35 della legge n. 87 del 1953.
8. - Ai sensi dell'art. 35 della legge n. 87 del 1953, cosi' come
modificato dall'art. 9 della legge n. 131 del 2003, la Regione Marche
confida che questa Corte voglia sospendere l'esecuzione del decreto
impugnato, per la parte in cui altera gravemente l'assetto delle
competenze costituzionalmente attribuite alla ricorrente, provocando
danni gravi ed irreparabili sotto molteplici profili.
In primo luogo, la reiterazione di una disciplina di sanatoria di
questa natura incide negativamente nel rapporto di fiducia tra
cittadini ed istituzioni, favorendo lo sviluppo incontrollato di
iniziative tendenti a porre in essere opere abusive, in attesa della
prossima sanatoria. L'irragionevolezza della disciplina di sanatoria
e' lesiva degli interessi pubblici ad un ordinato assetto del
territorio, nonche' dei diritti dei cittadini ad un corretto ed
imparziale esercizio dei poteri pubblici in materia edilizia. In
altri termini, la possibilita' di sanare gli abusi edilizi, commessi
anche dopo le due sanatorie concesse nel 1985 e nel 1994, lede non
soltanto l'affidamento dei cittadini nella corretta gestione del
territorio, ma anche direttamente i loro diritti ad un territorio
rispettoso dei valori costituzionali di cui agli artt. 9, 32, 41 e 42
della Costituzione.
In secondo luogo, la regione segnala il danno grave ed
irreparabile che deriva dall'applicazione delle norme di sanatoria e
dalla predisposizione degli strumenti amministrativi ed organizzativi
necessari per dare seguito alla disciplina statale. Gli oneri che la
regione dovrebbe sostenere per far fronte a quanto disposto dalla
legge statale non sono sufficientemente coperti dalle misure di
finanziamento indicate dall'art. 32 impugnato e sono comunque oneri
che non potrebbero piu' essere recuperati, in assenza di una
sospensione degli effetti del provvedimento legislativo del Governo.
Inoltre, la vigenza del decreto implica, in attesa della sentenza
sul presente ricorso, una situazione di incertezza normativa che
incide sui cittadini destinatari della disciplina di sanatoria, con
riferimento a norme di rilevanza anche penale, favorendo - anche
sotto questo profilo - comportamenti capaci di dare luogo ad
ulteriori illeciti.
La stessa finalita' perseguita dal decreto, quella di ottenere
entrate finanziarie ai fini del bilancio statale, pone in evidenza
l'urgenza di ristabilire un principio di legalita' costituzionale
inderogabile: l'impossibilita' di fondare le entrate dello Stato sui
comportamenti palesemente ed ingiustificatamente illeciti dei
cittadini; l'impossibilita' di usare la «clemenza» al solo ed
esclusivo scopo di incassare «denaro».


P. Q. M.
Si chiede che questa Corte voglia dichiarare l'illegittimita'
dell'art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 e della relativa
legge di conversione 24 novembre 2003 n. 326, ed in particolare dei
commi 1, 2, 3, 5, 6, 9, 10, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 19-bis, 20,
24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40 e
41, per violazione degli artt. 3, 9, 25, secondo comma, 32, 41, 42,
77, 79, 97, 117, 118, 119 Cost., previa adozione - ai sensi
dell'art. 35 della legge n. 87 del 1953 - del provvedimento di
sospensione della norma impugnata, in relazione all'irreparabile
pregiudizio agli interessi pubblici ed ai diritti dei cittadini
derivanti dalla sua applicazione.
Roma addi' 16 gennaio 2004
Prof. avv. Stefano Grassi

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