Ricorso n. 8 del 28 febbraio 2014 (Regione Lazio)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 28 febbraio 2014 (della Regione Lazio).
(GU n. 13 del 19.3.2014)
Ricorso della Regione Lazio, con sede in 00145 Roma, Via Rosa
Raimondi Garibaldi, n. 7, codice fiscale n. 80143490581, in persona
del Presidente pro tempore della Giunta regionale Nicola Zingaretti,
giusta mandato a margine del presente atto rappresentata e difesa
dall'Avv. Prof. Massimo Luciani (codice fiscale …;
fax: ..; PEC …), presso
il cui studio in 00153 Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, n. 9, e'
elettivamente domiciliata;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in persona del
Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
Generale dello Stato, presso i cui uffici in 00186 Roma, Via dei
Portoghesi, n. 12, e' domiciliata ex lege, per la dichiarazione
d'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 422, della legge
27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita'
2014)», pubbl. nella Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2013, n. 302,
S.O. n. 87.
Fatto
1. - La legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
di stabilita' 2014)», pubbl. nella Gazzetta Ufficiale 27 dicembre
2013, n. 302, S.O. n, 87, si compone di un unico articolo, del quale
fanno parte ben 749 commi. Detta legge, nei dettare le disposizioni
di bilancio per il triennio 2014-2016, ha disciplinato una vasta
pluralita' di oggetti, tra i quali - per quanto qui interessa
direttamente - la successione nei rapporti gia' intercorrenti fra i
terzi e i soggetti deputati alla gestione di uno "stato di emergenza"
ai sensi della legge n. 225 del 1992, di istituzione del servizio
nazionale di protezione civile.
In particolare, l'art. 1, comma 422, della legge impugnata
dispone che «Alla scadenza dello stato di emergenza, le
amministrazioni e gli enti ordinariamente competenti, individuati
anche ai sensi dell'articolo 5, commi 4-ter e 4-quater, della legge
24 febbraio 1992, n. 225, subentrano in tutti i rapporti attivi e
passivi, nei procedimenti giurisdizionali pendenti, anche ai sensi
dell'articolo 110 del codice di procedura civile, nonche' in tutti
quelli derivanti dalle dichiarazioni di cui all'articolo 5-bis, comma
5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con
modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, gia' facenti capo
ai soggetti nominati ai sensi dell'articolo 5 della citata legge n.
225 del 1992. Le disposizioni di cui al presente comma trovano
applicazione nelle sole ipotesi in cui i soggetti nominati ai sensi
dell'articolo 5 della medesima legge n. 225 del 1992 siano
rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente
competenti ovvero soggetti dagli stessi designati».
La disposizione impugnata, nell'onerare altre Amministrazioni
(tra le quali anche le Regioni e, dunque, la ricorrente) della
successione nei rapporti (anche) passivi gia' facenti capo al
Dipartimento di protezione civile presso la Presidenza del Consiglio
dei ministri e nell'estendere ad altre Amministrazioni (tra cui,
ancora una volta, anche la Regione ricorrente) la condizione di parte
processuale di giudizi pendenti, e' gravemente lesiva degli interessi
e delle attribuzioni costituzionali della Regione Lazio, che ne
chiede la declaratoria d'illegittimita' costituzionale per i seguenti
motivi di
Diritto
1. - La disposizione impugnata prevede che, «alla scadenza dello
stato di emergenza, le amministrazioni e gli enti ordinariamente
competenti, individuati anche ai sensi dell'articolo 5, commi 4-ter e
4-quater, della legge 24, febbraio 1992, n. 225, subentrano in tutti
i rapporti attivi e passivi, nei procedimenti giurisdizionali
pendenti, anche ai sensi dell'articolo 110 del codice di procedura
civile, nonche' in lutti quelli derivanti dalle dichiarazioni di cui
all'articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n.
343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n.
401, gia' facenti capo ai soggetti nominati ai sensi dell'articolo 5
della citata legge n. 225 del 1992. Le disposizioni di cui al
presente comma trovano applicazione nelle sole ipotesi in cui i
soggetti nominati ai sensi dell'articolo 5 della medesima legge n.
225 del 1992 siano rappresentanti delle amministrazioni e degli enti
ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati».
1.1. - La complessa oscurita' della previsione impugnata
necessita che si tenti di definirne, in via preliminare, gli ambiti
di applicazione:
I «soggetti nominati ai sensi dell'articolo 5» della legge n.
225 del 1992 sono i seguenti: a) i "commissari delegati" alla
gestione dell'emergenza, di cui ai commi 4 e 4-bis; b) i soggetti
investiti dei potere di ordinanza di protezione civile in vece del
Capo del dipartimento della protezione civile, ai sensi del comma 2
dello stesso art. 5; c) laddove si propenda per un'interpretazione
estensiva del rinvio all'art. 5 della legge n. 225 del 1992, anche lo
stesso Capo del Dipartimento della protezione civile istituito presso
la Presidenza del Consiglio dei ministri.
I soggetti ora menzionati, ai sensi dello stesso art. 5 della
legge n. 225 del 2012, operano "al verificarsi degli eventi di cui
all'art. 2, comma 1, lett. c) [della stessa legge n. 225 del 2012],
ovvero nella loro imminenza", ossia nel caso di "calamita' naturali o
connesse con l'attivita' dell'uomo che in ragione della loro
intensita' ed estensione debbono, con immediatezza d'intervento,
essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare
durante limitati e predefiniti periodi di tempo".
Di conseguenza. i "rapporti attivi e passivi" e i "procedimenti
giurisdizionali pendenti" di cui si occupa il comma impugnato sono,
anzitutto, quelli sorti e instaurati nello svolgimento delle funzioni
confidate ai soggetti di cui sopra, nella gestione dello stato di
emergenza (da fronteggiare con "mezzi e poteri straordinari")
deliberato dal Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi
dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992.
1.1.1. - A questo proposito, deve essere segnalato che il testo
della disposizione impugnata presenta un'ambiguita'. Il legislatore
statale ha previsto che le Amministrazioni diverse dal Dipartimento
di protezione civile "subentrano in tutti i rapporti attivi e
passivi, nei procedimenti giurisdizionali pendenti, anche ai sensi
dell'articolo 110 del codice di procedura civile, [...] gia' facenti
capo ai soggetti nominati ai sensi dell'articolo 5 della citata legge
n. 225 del 1992". La struttura della frase e l'approssimativo uso
della punteggiatura fanno si che non sia immediatamente comprensibile
se il legislatore abbia inteso prevedere la successione solamente nei
procedimenti giurisdizionali pendenti, oppure se il subentro sia
relativo a tutti i' rapporti attivi e passivi, anche sostanziali,
compresi quelli dedotti in giudizio.
Ragioni di ordine logico e sistematico inducono a propendere per
la seconda ipotesi. Anzitutto, non avrebbe propriamente senso parlare
di "attivita'" e "passivita'" dei rapporti, laddove questi fossero
esclusivamente quelli processuali, atteso che l'attivita'" e la
"passivita'" si predicano, logicamente, dei rapporti sostanziali. In
secondo luogo, una volta che si disponga la successione in tutti i
rapporti (attivi e passivi), sarebbe illogico limitarla a quelli
processuali. In ogni caso, la stessa previsione della successione nei
soli rapporti processuali e' del tutto illegittima, come appresso -
si confida - si' dimostrera'.
1.1.2. - Tra i rapporti per i quali si dispone l'illegittima
successione vi sono anche quelli "derivanti dalle dichiarazioni di
cui all'articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001,
n. 343". Il comma 5 dell'art. 5-bis del d.l. n. 343 del 2001, oggi
abrogato dal comma 1 dell'art. 40-bis del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1,
faceva riferimento alla "dichiarazione dei grandi eventi rientranti
nella competenza del Dipartimento della protezione civile". Di
conseguenza, se si vuole assegnare alla disposizione impugnata un
«effetto utile», pare evidente che il legislatore statale abbia
inteso identificare, evidentemente ex post e con efficacia
sostanzialmente retroattiva, il centro d'imputazione dei rapporti
relativi alla gestione dei c.d. "grandi eventi" gia' celebrati e
gestiti dal Dipartimento della Protezione civile presso la Presidenza
del Consiglio dei ministri (hinc inde, anche DPC).
1.1.3. - Infine, tenuti a subentrare al DPC sono in generale "le
amministrazioni e gli enti" che sarebbero "ordinariamente
competenti", nonche' quelli "individuati anche ai sensi dell'articolo
5, commi 4-ter e 4-quater, della legge 24 febbraio 1992, n. 225".
Il comma 4-ter ora menzionato prevede che, "Almeno dieci giorni
prima della scadenza del termine di cui al comma 1-bis, il Capo del
Dipartimento della protezione civile emana, di concerto con il
Ministero dell'economia e delle finanze, apposita ordinanza volta a
favorire e regolare il subentro dell'amministrazione pubblica
competente in via ordinaria a coordinare gli interventi, conseguenti
all'evento, che si rendono necessari successivamente alla scadenza
del termine di durata dello stato di emergenza. Ferma in ogni caso
l'inderogabilita' dei vincoli di finanza pubblica, con tale ordinanza
possono essere altresi' emanate, per la durata massima di sei mesi
non prorogabile e per i soli interventi connessi all'evento,
disposizioni derogatorie a quelle in materia di affidamento di lavori
pubblici e di acquisizione di beni e servizi".
Il successivo comma 4-quater, poi, specifica che, "Con
l'ordinanza di cui al comma 4-ter puo' essere individuato,
nell'ambito dell'amministrazione pubblica competente a coordinare gli
interventi, il soggetto cui viene intestata la contabilita' speciale
appositamente aperta per l'emergenza in questione, per la
prosecuzione della gestione operativa della stessa, per un periodo di
tempo determinato ai fini del completamento degli interventi previsti
dalle ordinanze adottate ai sensi dei commi 2 e 4-ter. Per gli
ulteriori interventi da realizzare secondo le ordinarie procedure di
spesa con le disponibilita' che residuano alla chiusura della
contabilita' speciale, le risorse ivi giacenti sono trasferite alla
regione o all'ente locale ordinariamente competente ovvero, ove si
tratti di altra amministrazione, sono versate all'entrata del
bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione".
2. - Come si evince dalla lettura delle disposizioni impugnate e
di quelle cui ivi si rinvia, il comma 422 dell'art. 1 della legge n.
147 del 2013 regola l'imputazione dei rapporti sorti in ragione della
gestione di una grave emergenza che necessita l'impiego di mezzi e
poteri straordinari, che la legge, in via istituzionale, confida al
DPC. Del tutto estraneo al presente giudizio, dunque, e' l'esercizio
in via sostitutiva dell'ordinaria gestione di funzioni pubbliche che
l'ordinamento attribuisce agli enti territoriali autonomi (e in
particolare alle Regioni).
Al contrario, l'intervento dello Stato e il ricorso ai mezzi e ai
poteri straordinari previsti dall'art. 5 della legge n. 225 del 1992
non sottendono un giudizio negativo sull'operato della Regione, sia
pure di tipo omissivo, ma si' giustificano solo in ragione
dell'eccezionalita' dell'evento cui si collegano. Le funzioni
esercitate dal Capo del Dipartimento della protezione civile e dai
commissari delegati di cui ci si sia avvalsi ai sensi dell'art. 5,
comma 4, della legge n. 225 del 1992, conseguentemente, non
sostituiscono le ordinarie funzioni normative ed amministrative
demandate alle Regioni, ma a queste si sovrappongono, e soltanto per
la durata dello stato di emergenza.
A tal proposito, codesta Ecc.ma Corte, pronunziandosi sulla
possibile lesione delle funzioni regionali o degli enti locali da
parte dell'art. 5, comma 4, della legge n. 225 del 1992, ha affermato
che "tenuto conto della rilevanza nazionale delle attivita' di tutela
nel loro complesso, e dell'ampio coinvolgimento in esse
dell'amministrazione statale, i poteri di promozione e coordinamento
non possono che essere conferiti al Governo". Codesto Ecc.mo Collegio
ha altresi' sottolineato che "la nomina dei commissari delegati e'
consentita nelle ipotesi indicate dall'art. 2, lett. c), cioe' quando
si verifichino eventi calamitosi che, per intensita' ed estensione,
devono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari [...] Nel
ricorrere di cosi' gravi emergenze, quando l'ambiente, i beni e la
stessa vita delle popolazioni sono in pericolo e si richiede
un'attivita' di soccorso straordinaria ed urgente, risulta
giustificato che si adottino misure eccezionali, quale puo' essere la
nomina di commissari delegati [...] Allo stesso modo risulta
giustificato che, nelle ipotesi gia' considerate o comunque quando la
natura e l'estensione dell'evento comportano l'intervento coordinato
di piu' enti ed amministrazioni, il prefetto assuma la direzione
unitaria dei servizi di emergenza da attivare a livello provinciale
ed eserciti tutte le altre funzioni demandategli dall'art. 14. Non
risulta irrazionale infatti che, di fronte alla imminenza e alla
gravita' del pericolo per l'integrita' di beni fondamentali per
l'uomo, siano individuate autorita' in grado di agire immediatamente,
coordinando l'azione di tutti gli organismi implicati, ne' risulta
irrazionale che tali autorita' siano individuate in quelle statali,
tenuto conto del coinvolgimento nella emergenza di amministrazioni di
ogni livello, incluso per l'appunto quello centrale" (sent. n. 418
del 1992).
La gestione delle emergenze in cui si inserisce la disposizione
censurata, dunque, attiene al dominio dello Stato. A riprova del
fatto che i commissari delegati operano nell'esercizio di una
competenza prettamente governativa, del resto, sta il dato che l'art.
5 della legge n. 225 del 1992, come gia' accennato, limita il proprio
ambito di applicazione alle sole ipotesi di cui all'art. 2, comma 1,
lett. c), ovvero alle ipotesi piu' gravi di "eventi naturali o
connessi con l'attivita' dell'uomo", che non "possono essere
fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e
amministrazioni competenti in via ordinaria" (art. 2, comma 1, lett.
a)), ne' con "l'intervento coordinato di piu' enti o amministrazioni
competenti in via ordinaria" (art. 2, comma 1, lett. b)).
2.2. - Nel peculiare meccanismo previsto dalla legge sulla
protezione civile, dunque, non e' possibile rinvenire un'ipotesi di
"sostituzione" del Governo nei confronti degli organi delle autonomie
ordinariamente competenti, in quanto, a ben vedere, lungi dal
"sostituirsi" nell'esercizio di una o piu' funzioni regionali (a
seguito, ad esempio, dell'inadempimento o dell'inerzia della
Regione), il Governo e' chiamato a svolgere una funzione sua propria,
quella della cura dell'emergenza, che non modifica, ma si sovrappone
a quelle regionali e fatalmente le interseca.
Vale, sul punto, ancora l'attenta giurisprudenza dell'Ecc.ma
Corte, nella quale si e' chiarito che "indipendentemente dal loro
(piu' o meno delimitato) ambito territoriale di efficacia, i
provvedimenti posti in essere dai commissari delegati sono atti
dell'amministrazione centrale dello Stato (in quanto emessi da organi
che operano come longa manus del Governo) finalizzati a soddisfare
interessi che trascendono quelli delle comunita' locali coinvolte
dalle singole situazioni di emergenza, e cio' in ragione tanto della
rilevanza delle stesse, quanto della straordinarieta' dei poteri
necessari per farvi fronte" (sent. n. 237 del 2007). Su tali basi, si
e' affermato che "costituisce una precipita competenza del Governo -
come ribadito da questa Corte nella sentenza n. 284 del 2006 - quella
di «disciplinare gli eventi di natura straordinaria di cui al citato
art. 2, comma 1, lettera c)» (cosi' ancora la sent. n. 237 del 2007).
2.3. - Quanto sin qui affermato trova conferma nei tipi di atti e
negli strumenti finanziari che la legge assicura al DPC nella
gestione dell'emergenza. Quanto ai primi, ci si riferisce alle
ordinanze di protezione civile, che possono avere anche efficacia
derogatoria della legge (art. 5, comma 5, della legge n. 225 del
1992). Quanto ai secondi, il DPC ha accesso al Fondo per la
protezione civile e, cio' che piu' conta, al Fondo per le emergenze
nazionali istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Si tratta di mezzi sconosciuti agli enti territoriali e che sono
nell'esclusiva disponibilita' dello Stato, approntati
dall'ordinamento per consentire al Governo, e per esso al DPC, di
intervenire nella gestione delle emergenze.
3. - Si e' visto nei precedenti paragrafi che le disposizioni
impugnate impongono alle Amministrazioni diverse da quelle competenti
alla gestione dell'emergenza di subentrare nei rapporti nati dalla
gestione di una funzione pubblica (la cura delle emergenze maggiori)
che e' di esclusiva spettanza statale e che - per quanto piu'
interessa in questa sede - non comporta l'esercizio sostitutivo di
competenze regionali.
Tutto cio' considerato, la lesione degli interessi e delle
attribuzioni costituzionali della ricorrente risulta evidente.
3.1. - Anzitutto, il complesso di disposizioni in esame esorbita
dai confini delimitati dall'art. 117, comma 3, Cost., che attribuisce
la materia "protezione civile" alla competenza legislativa
concorrente di Stato e Regioni. Non compete, infatti, allo Stato
imputare ad altre Amministrazioni gli effetti dei rapporti attivi e
passivi e dei procedimenti giudiziari pendenti, sorti in ragione
della gestione di uno stato d'emergenza, cosi' scaricandone la
responsabilita' e i costi ad essa conseguenti sui soggetti che non ne
sono stati responsabili.
Si e' visto, infatti, che la legge impugnata non concerne gli
"eventi naturali o connessi con l'attivita' dell'uomo che possono
essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e
amministrazioni competenti in via ordinaria" (art. 2, comma 1, lett.
a), della legge n. 225 del 2012), ne' gli "eventi naturali o connessi
con l'attivita' dell'uomo che per loro natura ed estensione
comportano l'intervento coordinato di piu' enti o amministrazioni
competenti in via ordinaria" (art. 2, comma 1, lett. b), della legge
n. 225 del 2012), bensi' "calamita' naturali o connesse con
l'attivita' dell'uomo che in ragione della loro intensita' ed
estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere
fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante
limitati e predefiniti periodi di tempo" (art. 2, comma 1, lett. c),
della legge n. 225 del 2012).
Si tratta, dunque, di interventi straordinari, che, per la
gravita' degli eventi cui far fronte, non possono in alcun caso
essere compiuti dagli enti territoriali, nemmeno in forma coordinata,
sicche' la legge dispone l'intervento diretto (si ripete: non
sostitutivo) dell'Amministrazione statale al fine di fronteggiare
l'emergenza.
Cio' considerato, e' del tutto evidente che i rapporti giuridici
sorti in ragione della gestione di un'emergenza cosi' acuta, cui non
si puo' far fronte da parte degli enti territoriali, non possono che
essere imputati allo Stato.
Ne', si badi, puo' essere qui invocato il principio "cuius
commoda eius et incommoda" (di cui e' nota l'applicazione anche nei
rapporti di natura pubblicistica: v. Cons. Stato, Sez. VI, sentt. 7
marzo 2008, n. 1005; 5 aprile 2006, n. 1775; CGA Reg. Sicilia, sent.
29 luglio 2013, n. 677). Come si e' sopra indicato, lo Stato,
nell'affrontare le emergenze ex art. 2, comma 1, lett. c), della 1.
n. 225 del 2012, non interviene ne' in forma sostitutiva ne' in forma
suppletiva o integrativa rispetto agli enti territoriali, proprio
perche' si tratta di eventi che sono in via immediata e diretta
affidati alla gestione dello Stato e che non potrebbero in alcun modo
essere affrontati dalle Regioni o dalle altre Amministrazioni
territoriali. E, come la Corte ha chiarito nell'arresto sopra
ricordato, l'interesse a che le emergenze siano fronteggiate non e'
delle popolazioni di volta in volta colpite, bensi' nazionale, per la
semplice ragione che gli eventi calamitosi possono toccare l'intero
territorio del Paese. Di qui l'erroneita' dell'ipotesi che
all'interesse "locale" consegua direttamente la successiva
attribuzione "locale" dei rapporti sorti in forza dell'emergenza.
E', dunque, evidente che la disposizione in esame non concerne un
intervento che l'Amministrazione statale ponga in essere
nell'interesse degli enti territoriali, con cio' sollevando le
istituzioni locali da oneri che sarebbero ad esse spettati in via
originaria. Al contrario, l'intervento del DPC vale a "soddisfare
interessi che trascendono quelli delle comunita' locali coinvolte
dalle singole situazioni di emergenza" (cfr. sent. n. 237 del 2007,
cit.), sicche' e' lo Stato che deve farsene carico, sia agendo
nell'immediatezza dell'evento, sia facendo fronte ai rapporti
giuridici che ne sono derivati.
Si badi. Che la gestione dell'emergenza produca effetti che,
prima o poi, debbano imputarsi agli enti territoriali nei quali si e'
verificata e' inevitabile. Nondimeno: a) tale imputazione non puo'
concernere anche il regime della responsabilita' (di cio' si dira'
sub par. 3.2.); b) essa non puo' estendersi ai rapporti processuali
in essere, oltretutto nella forma della successione a titolo
universale (di cio' si dira' sub par. 4.); c) deve essere definita
secondo una corretta regolazione del passaggio dall'uno all'altro
soggetto.
Per quanto riguarda quest'ultima considerazione, e' agevole
notare che un ordinato modello di regolazione e' gia' previsto (sul
corretto presupposto che non si possa operare un passaggio ex
abrupto) dall'art. 5, commi 4-ter e 4-quater, della legge n. 225 del
1992, e cioe' dalla disciplina generale della materia, che il comma
impugnato stravolge con un intervento tanto puntuale quanto illogico,
estemporaneo e privo di coordinamento sistematico.
Nelle disposizioni ora menzionate, infatti, si prevede la
possibilita' che venga individuata un'Amministrazione pubblica
competente a coordinare gli interventi "conseguenti all'evento
[calamitoso], che si rendono necessari successivamente alla scadenza
del termine di durata dello stato di emergenza". In questi casi,
pero', all'Amministrazione che subentra viene "intestata la
contabilita' speciale appositamente aperta per l'emergenza in
questione, per la prosecuzione della gestione operativa della
stessa". Tale Amministrazione, dunque, viene dotata di mezzi
straordinari, che non sarebbero nelle disponibilita' di soggetti
diversi dal DPC.
L'utilizzo delle dotazioni finanziarie ordinarie di enti e
soggetti diversi dal DPC e' regolato nel secondo periodo del
menzionato comma 5-quater, ove si specifica che, "per gli ulteriori
interventi da realizzare secondo le ordinarie procedure di spesa con
le disponibilita' che residuano alla chiusura della contabilita'
speciale, le risorse ivi giacenti sono trasferite alla regione o
all'ente locale ordinariamente competente ovvero, ove si tratti di
altra amministrazione, sono versate all'entrata del bilancio dello
Stato per la successiva riassegnazione".
In definitiva, lo schema della legge n. 225 del 1992 e' molto
preciso e puo' essere cosi' sintetizzato:
i) le emergenze maggiori di cui all'art. 2, comma 1, lett.
c), della legge n. 225 del 1992 sono gestite dal DPC, dato che gli
enti minori non avrebbero i mezzi per farvi fronte;
ii) terminata l'emergenza, v'e' la possibilita' che un'altra
Amministrazione sia chiamata a svolgere gli interventi di
completamento delle misure di contrasto all'emergenza stessa, anche
utilizzando la contabilita' speciale gia' apprestata e utilizzata dal
DPC;
iii) esaurita anche questa fase e chiusa la contabilita'
speciale, l'Amministrazione competente (si badi: solo in questo
momento la legge generale in materia contempla le Amministrazioni
territoriali, come Regioni ed Enti locali) procede secondo le
ordinarie procedure di spesa, eventualmente anche impiegando quanto
possa residuare della contabilita' speciale, ormai chiusa.
La disposizione impugnata sconvolge questo meccanismo, imputando
gia' alla "scadenza dello stato di emergenza" ad altre
Amministrazioni, tra le quali anche le Regioni, rapporti attivi e
passivi e procedimenti giudiziari pendenti, logicamente attinenti
(ratione temporis) alla gestione dell' emergenza.
3.2. - Come si vede, il legislatore statale ha ampiamente
oltrepassato i confini della sua competenza concorrente in materia di
"protezione civile". Cosi' facendo, pero', ha: a) invaso la
corrispettiva competenza legislativa regionale, per il semplice fatto
che la discrezionalita' del legislatore regionale in tale ambito
materiale e' oggi vincolata da un'illegittima, illogica ed
irragionevole disciplina statale; b) leso tutte le attribuzioni
regionali costituzionalmente protette, in quanto ha: b1) accollato
alla Regione oneri derivanti dall'azione di un organo statale e
responsabilita' connesse ad una res inter alios acta; b2) determinato
lo stravolgimento di tutte le attribuzioni legislative e
amministrative della Regione, costretta a distogliere risorse umane e
materiali agli altri impieghi, necessari per l'esercizio delle
funzioni regionali costituzionalmente garantite.
Per le stesse ragioni sono lese anche le competenze regolamentari
e amministrative confidate alla Regione ai sensi degli artt. 117,
comma 6, e 118 Cost. Il subentro nei rapporti e nei giudizi pendenti
attinenti alla gestione di uno stato di emergenza, infatti, e' di per
se' idoneo ad interferire con lo svolgimento delle ordinarie funzioni
amministrative regionali, sia nella materia della protezione civile
che, come ora osservato, nelle altre materie di competenza regionale.
L'art. 118 e' violato anche pel profilo del principio di
sussidiarieta': stride evidentemente con tale principio l'affidamento
ad altre Amministrazioni pubbliche la gestione dei rapporti attivi e
passivi e dei giudizi pendenti, sorti e instaurati in ragione di uno
stato d'emergenza che gli enti territoriali sono strutturalmente
inidonei ad affrontare, come dimostra il rinvio da parte del comma in
esame all'art. 5 della legge n. 225 del 2012 e, di conseguenza,
all'art. 2, comma 1, lett. c), di quella stessa legge.
Violato e' anche, in combinato disposto con l'art. 3 Cost.,
l'art. 119 Cost., perche' la successione ex lege nei rapporti passivi
e nei rapporti processuali derivanti dalla gestione, da parte dello
Stato, dello stato di emergenza comporta nuovi e maggiori oneri in
capo alle Amministrazioni territoriali (tra cui le Regioni),
necessari per finanziare spese determinate dalla gestione statale
dell'emergenza e imputabili alla sola responsabilita' statale. Qui,
invece, si accolla alla Regione 10 responsabilita' per fatto del
terzo, gravandola automaticamente e irrimediabilmente di tutte le
conseguenze pregiudizievoli che, per avventura, possono essere state
determinate dall'organo statale gestore dell'emergenza, in lesione
dell'autonomia finanziaria della Regione e in violazione dei piu'
elementari principi di ragionevolezza (e, prima ancora, di civilta'
giuridica) implicati dall'art. 3 Cost.
L'art. 119 Cost., poi, e' violato anche per un ulteriore profilo.
La successione anche nei rapporti passivi implica, ovviamente,
l'accollo di costi supplementari e non previsti, in violazione di
quanto disposto dal comma 4 dello stesso art. 119, a tenor del quale
tutte le funzioni regionali debbono essere integralmente finanziate
dalle risorse disponibili. Lo stesso, ovviamente, vale per i costi,
essi pure supplementari e non previsti, derivanti dalla successione
nelle liti, che implica oneri materiali gravosissimi, sia per
l'apprestamento e il pagamento delle difese tecniche, sia per
l'apprestamento delle risorse organizzative idonee al trattamento
delle pratiche.
Violato, poi, e' anche l'art. 3 Cost., pel profilo del principio
di ragionevolezza, in relazione agli artt. 117, 118 e 119 Cost., per
la semplice constatazione che e' irragionevole imporre ad altre
Amministrazioni, in particolare alla Regione ricorrente, gli oneri
derivanti dalla precedente gestione di un'emergenza pubblica da parte
dello Stato, dunque dallo svolgimento di una funzione pubblica che la
legge confida esclusivamente allo Stato e che e' strutturalmente
inaccessibile agli enti territoriali. Non si potrebbe obiettare, si
badi, che la successione e' limitata all'ipotesi in cui la gestione
dell'emergenza sia stata affidata ai "rappresentanti delle
amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti ovvero [a]
soggetti dagli stessi designati", quasi che, in tale ipotesi, la
Regione sia chiamata a subentrare in rapporti ch'essa stessa ha
contribuito a stringere. Cosi' ragionando, invero, si commetterebbe
un errore giuridico addirittura elementare, perche' si confonderebbe
fra l'organo e la persona che ne e' titolare. Il Presidente della
Regione (immaginiamo il caso piu' comune, ma il ragionamento vale per
tutte le ipotesi analoghe), invero, una volta che e' stato incaricato
della gestione dell'emergenza agisce (si insiste) da organo statale e
con tutti i vincoli nella normativa statale (che e' tenuto ad
applicare fedelmente) e il fatto che la medesima "persona" sia
titolare di due "organi" diversi non sposta minimamente il dato
giuridico della diversita' - appunto - di tali organi (cfr. Corte
cost., sent. n. 219 del 2013).
Violato e' anche l'art. 24 Cost., ancora una volta in relazione
al principio di ragionevolezza e alle attribuzioni regionali ex artt.
117, 118 e 119 Cost., perche' collide con l'ordinato esercizio delle
attribuzioni regionali e col principio di ragionevolezza pretendere
che un'altra Amministrazione debba rispondere, dentro e fuori dalle
aule giudiziarie, degli effetti determinati dall'Amministrazione
statale nello svolgimento di funzioni pubbliche sue proprie, dunque
non esercitate in sostituzione o integrazione dell'Amministrazione
regionale o locale.
Infine, violato e' il principio di leale collaborazione tra Stato
e Regione, ancora per il fatto che, con la disposizione impugnata, lo
Stato si sottrae irragionevolmente agli impegni contratti
nell'esercizio di una funzione pubblica che la legge stessa gli
affida, scaricandone i costi su altre Amministrazioni, tra cui la
ricorrente, Si badi: e' vero che, almeno in linea di massima, il
principio di leale collaborazione non puo' essere invocato in
riferimento all'esercizio della funzione legislativa. Non e' meno
vero, pero', che in questo caso la legge impugnata ha la sostanza del
provvedimento puntuale, derogatorio della disciplina generale,
funzionalizzato al solo scopo di avvantaggiare l'Amministrazione
statale in danno delle Regioni (e di tutti gli enti territoriali
autonomi). E si aggiunga che l'attivita' regolata dalla legge
impugnata dovrebbe essere caratterizzata proprio (e al massimo grado)
dalla leale collaborazione, che - invece - e' totalmente assente
dalla relativa disciplina.
3.3. - Si e' gia' accennato al par. 1.1.2. che la disposizione
impugnata prevede che la successione al DPC si verifichi anche per
tutti i rapporti attivi e passivi "derivanti dalle dichiarazioni di
cui all'articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001,
n. 343". Il comma 5 dell'art. 5-bis del d.l. n. 343 del 2001, faceva
riferimento alla "dichiarazione dei grandi eventi rientranti nella
competenza del Dipartimento della protezione civile", sicche' alle
Amministrazioni diverse dal DPC dovrebbero essere imputati anche
tutti i rapporti attivi e passivi e i procedimenti pendenti relativi
alla gestione dei c.d. "grandi eventi", precedentemente gestiti dal
DPC stesso.
L'art. 5-bis, comma 5, del d.l. n. 343 del 2011, pero', e' stato
abrogato dal comma 1 dell'art. 40-bis del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1.
Ora, richiamando una disposizione abrogata, e' evidente che la
disposizione impugnata ha inteso imputare ad altre Amministrazioni
pubbliche, tra cui anche la ricorrente, alcuni rapporti attivi e
passivi e la posizione di parte processuale nei giudizi pendenti, in
riferimento a fattispecie gia' consumatesi e regolate da disposizioni
non piu' in vigore. Si tratta, appunto, di quelle relative alla
gestione dei c.d. "grandi eventi" gia' celebrati e gestiti dal
Dipartimento della Protezione civile presso la Presidenza del
Consiglio dei ministri. Considerato il fatto che non possono piu'
darsi, pro futuro, nuove dichiarazioni di "grandi eventi", confidati
alla gestione del DPC, appare evidente che la disposizione impugnata
regola pro praeterito tempore lo svolgimento di funzioni pubbliche
(anche) affidate alla Regione ricorrente nell'ambito della materia
"protezione civile".
Ancora una volta, dunque, la disposizione in esame esorbita dalla
competenza legislativa statale nella materia "protezione civile" e
lede le contrapposte potesta' legislative, regolamentari e
amministrative della Regione, tutelate dagli artt. 117, 118 e 119
Cost., in quanto, in connessione tra loro e con i parametri
costituzionali che definiscono la sfera delle attribuzioni regionali,
sono violati:
il principio d'irretroattivita' della legge, nella misura in
cui alla Regione e alle altre amministrazioni sono affidati ex post
costi, oneri e posizioni di svantaggio nei giudizi pendenti,
nonostante che questi oneri siano dovuti allo svolgimento di funzioni
pubbliche gia' esercitate, per di piu' di competenza esclusiva dello
Stato;
in connessione a questo, il principio della certezza del
diritto e del legittimo affidamento, con evidente pregiudizio della
Regione, che si trova a dover far fronte in via successiva agli oneri
determinati da una precedente gestione di un c.d. "grande evento",
che era stata affidata alla potesta' dai competenti organi statali;
l'art. 117, comma 1, Cost., in riferimento agli artt. 6 e 13
della CEDU, i quali tutelano anch'essi i principi di non
retroattivita' della legge, di tutela dell'affidamento e di certezza
del diritto, come insegna la giurisprudenza costituzionale e quella
della Corte di Strasburgo (cfr. sentt. 11 dicembre 2012, De Rosa c.
Italia; 14 febbraio 2012, Arras c. Italia; 7 giugno 2011, Agrati c.
Italia; 31 maggio 2011, Maggio c. Italia; 10 giugno 2008, Bortesi c.
Italia; Grande Camera, 29 marzo 2006, Scordino c. Italia).
A questo proposito, nella sent. n. 78 del 2012 l'Ecc.ma Corte
costituzionale ha affermato che il divieto di retroattivita' della
legge costituisce "valore fondamentale di civilta' giuridica",
sicche' il legislatore puo' emanare norme retroattive solo laddove la
"retroattivita' trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di
tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che
costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse generale»,
ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU)".
Tanto, come si e' gia' visto, non accade nel caso di specie. La
precedente gestione dei grandi eventi e' stata operata da parte della
protezione civile in ragione di scelte discrezionali del legislatore
e dell'Amministrazione statale, ne' l'imputazione, in un successivo
momento, dei rapporti attivi e passivi determinati da quella gestione
dell'evento e' necessaria per servire un "motivo imperativo di
interesse generale".
Se si aggiunge che, come ha specificato la Corte EDU, le
circostanze addotte per giustificare misure retroattive devono essere
intese in senso restrittivo (sent. 14 febbraio 2012, Arras contro
Italia), risulta evidente che non vi e' alcuna valida ragione
giustificatrice dell'imputazione dei costi della gestione di un c.d.
"grande evento" gia' celebratosi in capo ad altre Amministrazioni
pubbliche, invece che a quella che ne e' stata responsabile
originariamente.
3.4. - Non basta. Si e' detto che il comma impugnato deve essere
interpretato nel senso che esso dispone la successione universale nei
rapporti attivi e passivi relativi alla gestione degli stati di
emergenza e dei c.d. "grandi eventi" gia' gestiti dal DPC. Fra tali
rapporti (eventualmente di durata) devono necessariamente essere
annoverati anche quelli ormai definiti in base ad un accertamento
giurisdizionale definitivo, passato in giudicato.
In questo caso, dunque, l'accertamento svolto dal giudice sarebbe
immediatamente travolto dall'individuazione, retroattiva ed in forza
di legge, di una nuova e diversa parte del rapporto giuridico in
esame.
Il rovesciamento (per quanto limitato all'ambito soggettivo) del
giudicato e l'estensione, in via diretta, dei dicta dei giudici che
si sono gia' pronunciati anche alle Amministrazioni subentranti (tra
cui la ricorrente) rappresenta una nuova e piu' grave lesione delle
attribuzioni regionali relative all'esercizio della potesta'
legislativa, regolamentare, amministrativa e finanziaria nella
materia di competenza concorrente "protezione civile" e - come gia'
si e' osservato, in tutte le materie di competenza regionale, con
contestuale violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost. La lesione
delle attribuzioni regionali, in particolare, discende di conseguenza
dalla violazione, in connessione tra loro e con i parametri
costituzionali che definiscono la sfera delle attribuzioni regionali:
dei principi del contraddittorio tra le parti e del giusto
processo, di cui all'art. 111 Cost.;
degli artt. 101 e 102 Cost., per l'evidente illegittima
interferenza nella funzione giurisdizionale;
degli artt. 24 e 113 Cost., stante la lesione del diritto
alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi
dell'Amministrazione subentrante;
dell'art. 117, comma 1, Cost., in riferimento agli artt. 6 e
13 della CEDU, i quali tutelano - come gia' detto - i principi di non
retroattivita' della legge, di tutela dell'affidamento e di certezza
del diritto.
3.5. - Non basta. Se si tiene conto del fatto che le
Amministrazioni (tra cui quella regionale) diverse dal DPC subentrano
anche nel contenzioso pendente relativo alla gestione pro praeterito
tempore dei c.d. "grandi eventi", emerge con ancor piu' forza la
lesione della potesta' legislativa, regolamentare, amministrativa e
finanziaria della Regione tutelata dagli artt. 117, 118 e 119 Cost.
derivante dalla violazione dei principi costituzionali di
irretroattivita' della legge, di tutela dell'affidamento e di
certezza del diritto, nonche' degli artt. 24, 101, 102, 111, 113, e
117 Cost., comma 1, in riferimento agli artt. 6 e 13 CEDU.
L'Amministrazione subentrante, infatti, si trova inserita iussu
principis in un procedimento giurisdizionale pendente, sottoposta a
tutte le decadenze e preclusioni gia' intervenute, dunque in
posizione di svantaggio rispetto alle altre parti processuali, che
hanno potuto svolgere le loro difese con la pienezza degli strumenti
riconosciuti dal diritto processuale.
Tanto dimostra l'evidente violazione dei principi costituzionali
e di diritto internazionale che presidiano l'attivita'
giurisdizionale e, di conseguenza, un immediato pregiudizio delle
attribuzioni costituzionali della ricorrente. In particolare, in
connessione tra loro e con i parametri costituzionali che definiscono
la sfera delle attribuzioni regionali:
sono violati i principi del contraddittorio tra le parti e
del giusto processo, di cui all'art. 111 Cost.;
si produce un'illegittima interferenza nella funzione
giurisdizionale, con evidente lesione degli artt. 101 e 102 Cost.;
di conseguenza, e' violato il diritto alla tutela
giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi di ciascun
soggetto privato o pubblico dell'ordinamento, riconosciuto dagli
artt. 24 e 113 Cost.;
e' violato l'art. 117, comma 1, Cost., in quanto sono lesi il
diritto della Regione Lazio ad un processo equo, di cui all'art. 6
CEDU, il diritto all'effettivita' della tutela giurisdizionale, di
cui all'art. 13 CEDU; il principio della "parita' delle armi" tra le
parti processuali, ricavato dalla giurisprudenza della Corte EDU
proprio dai menzionati artt. 6 e 13 CEDU (cfr., ex plurimis, Corte
EDU, sentt. 27 ottobre 1993, Dombo Beheer c. Paesi Bassi; 9 dicembre
1994, Raffinerie Greche Stran e Stratis Andreatis c. Grecia; 22
ottobre 1997, Papageorgiou c. Grecia).
A questo proposito, occorre ricordare che "La Corte europea dei
diritti dell'uomo ha piu' volte affermato che se, in linea di
principio, nulla vieta al potere legislativo di regolamentare in
materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva,
diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza
del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall'art. 6 della
Convenzione ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse
generale [che qui non si danno], all'ingerenza del potere legislativo
nell'amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l'esito
giudiziario di una controversia (ex plurimis: Corte europea, sentenza
sezione seconda, 7 giugno 2011, Agrati ed altri contro Italia;
sezione seconda, 31 maggio 2011, Maggio contro Italia; sezione
quinta, 11 febbraio 2010, Javaugue contro Francia; sezione seconda,
10 giugno 2008, Bortesi e altri contro Italia)" (Corte cost., cent.
n. 78 del 2012).
Il pregiudizio che la Regione soffre sul piano processuale, gia'
di per se' di assoluta gravita', comporta - come si e' gia' accennato
- un illegittimo sacrificio della potesta' legislativa,
regolamentare, amministrativa e finanziaria della Regione, con
evidente lesione, in primo luogo nella materia "protezione civile",
ma anche in tutte le altre materie di competenza regionale, delle
attribuzioni riconosciute alla ricorrente dagli artt. 117, 118 e 119
Cost.
3.6. - Infine, e' costituzionalmente illegittimo anche l'ultimo
periodo del comma in questione, che prevede che "Le disposizioni di
cui al presente comma trovano applicazione nelle sole ipotesi in cui
i soggetti nominati ai sensi dell' articolo 5 della medesima legge n.
225 del 1992 siano rappresentanti delle amministrazioni e degli enti
ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati".
In virtu' di tale disposizione, infatti, il subentro in tutti i
rapporti giuridici attivi e passivi e nelle liti pendenti e'
destinato ad operare soltanto per gli enti nei quali il ruolo di
commissario sia stato svolto da un rappresentante dell'ente stesso o
da un soggetto da quest'ultimo designato. Negli altri casi, invece, i
rapporti giuridici della fase di emergenza resterebbero in capo allo
Stato, pur cessando la gestione commissariale.
Tale distinzione presenta evidenti profili di violazione
dell'art. 3 Cost., per disparita' di trattamento. Come si e' visto
nei paragrafi precedenti, infatti, la gestione degli stati di
emergenza di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), della legge n. 225
del 2012 compete in via esclusiva allo Stato, dato che le Regioni e
gli altri enti territoriali non hanno a disposizione gli strumenti
materiali e istituzionali per farvi fronte.
Se cosi' e', come e', il fatto che uno dei soggetti nominati ai
sensi dell'art. 5 della legge n. 225 del 2012 sia contestualmente
titolare di un mandato da parte di una diversa Amministrazione e' del
tutto irrilevante quanto all'imputazione degli effetti derivanti
dalla gestione dello stato di emergenza. In altri termini, e' il dato
oggettivo delle funzioni di protezione civile in esame (che - si
ripete - esorbitano dall'ambito degli interessi delle sole comunita'
locali, come ha detto l'Ecc.ma Corte nella sent. n. 237 del 2007) che
stabilisce un collegamento funzionale tra i rapporti attivi e passivi
sorti e l'Amministrazione statale, collegamento che non puo' essere
interrotto dal dato soggettivo dell'eventuale sovrapposizione di
munera di diverse Amministrazioni.
L'irragionevole definizione dell'ambito di applicazione del comma
422 dell'art. 1 della legge n. 147 del 2013 operata dall'ultimo
periodo dello stesso comma, dunque, ne aggrava ulteriormente
l'illegittimita' per irragionevolezza e lesione delle attribuzioni
regionali nell'esercizio della potesta' legislativa, regolamentare,
amministrativa e finanziaria sia nella materia "protezione civile"
che in tutte le altre materie di competenza regionale, gia' vulnerate
per i profili esposti nei paragrafi precedenti.
4. - Si e' visto che la disposizione in esame e' illegittima in
quanto dispone la successione di altre Amministrazioni pubbliche nei
rapporti conseguenti alla gestione dello stato di emergenza da parte
del DPC.
Nella denegata ipotesi che le precedenti censure fossero
rigettate, il comma impugnato sarebbe comunque illegittimo,
quantomeno nella misura in cui dispone la successione nei giudizi
pendenti a titolo universale, per violazione dell'art. 3 Cost., e
precisamente per disparita' di trattamento delle amministrazioni
pubbliche (tra cui e' la ricorrente) cui si applica la disposizione
in esame rispetto alla platea generale dei soggetti interessati da
fenomeni di successione nei giudizi pendenti (soggetti non solo
privati, ma anche pubblici, nei casi diversi rispetto alla gestione
dello stato di emergenza ex art. 2, comma 1, lett. c), della legge n.
225 del 1992).
4.1. - Come si e' visto, il comma 422 dell'art. 1 della legge n.
147 del 2013 prevede che l'ente competente subentri nei giudizi
pendenti ai sensi dell'art. 110 cod. proc. civ., ossia a titolo di
successione universale ("Quando la parte vien meno per morte o per
altra causa, il processo e' proseguito dal successore universale o in
suo confronto"), escludendo l'ipotesi di successione in via
particolare nel processo, regolata dall'art. 111, comma 1, cod. proc.
civ. ("Se nel corso del processo si trasferisce il diritto
controverso per atto tra vivi a titolo particolare. il processo
prosegue tra le parti originarie. Se il trasferimento a titolo
particolare avviene a causa di morte, il processo e' proseguito dal
successore universale o in suo confronto. In ogni caso il successore
a titolo particolare puo' intervenire o essere chiamato nel processo
e, se le altre parti vi consentono, l'alienante o il successore
universale puo' esserne estromesso. La sentenza pronunciata contro
questi ultimi spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore
a titolo particolare ed e' impugnabile anche da lui, salve le norme
sull'acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione").
Questa previsione, pero', e' in aperta contraddizione con un
consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita', che
deve essere rapidamente ricordato.
Nella sent. Sez. I, 26 luglio 2002, n. 11045, la Suprema Corte ha
affermato che "costituisce giurisprudenza ormai consolidata di questa
S. C. il principio (affermato proprio con riferimento ad ipotesi
espropriative promosse dalla Provincia di Firenze in aree di Comuni
distaccati, ad opera del d.lgs. 27 marzo 1992, n. 254, da quella
stessa Provincia per l'istituzione della nuova Provincia di Prato)
secondo cui la disciplina dettata dall'art. 110 c.p.c., in tema di
successione nel processo, presuppone il venir meno della parte
processuale, sicche' nell'ipotesi di successione a titolo particolare
tra enti con trasferimento ex lege di una parte di beni e rapporti ad
un ente di nuova istituzione, senza estinzione dell'ente i cui beni e
rapporti sono in parte trasferiti (ipotesi verificatasi nella
specie), il processo prosegue tra le parti originarie. Il principio,
tradotto in tema espropriativo, comporta che non e' possibile ,far
transitare nel patrimonio della Provincia di nuova istituzione il
debito indennitario sorto in precedenza, per effetto di
espropriazione, a carico della Provincia gia' esistente, la cui
legittimazione passiva nel relativo procedimento di opposizione alla
stima permane, dunque, anche a seguito della creazione di detto nuovo
ente territoriale". In maniera analoga, nella sent. Sez. I, 19 marzo
2007, n. 6521, in merito ad un giudizio "promosso nei confronti del
Ministero delle Poste e Telecomunicazioni con citazione notificata il
3 agosto 1993, prima della nascita dell'Ente Poste italiane", e'
stata affermata "la riconducibilita' della fattispecie nell'ambito
dell'art. 111 c.p.c., a norma del quale se nel corso del processo si
trasferisce il diritto controverso a titolo particolare, il processo
prosegue fra le parti originarie, tenuto conto che, in tema di
successione nel processo, la diversa disciplina dettata dall'art. 110
c.p.c., presuppone il venire meno della parte processuale, mentre
nell'ipotesi di successione a titolo particolare, con trasferimento -
come nella specie - ex lege solo di una parte di beni e rapporti ad
uno o piu' soggetti senza estinzione dell'ente i cui beni e rapporti
sono in parte trasferiti, il processo prosegue tra le parti
originarie, essendo irrilevanti, ai sensi del citato art. 111 c.p.c.,
le modificazioni delle posizioni giuridiche attive e passive
successive all'inizio della controversia (Cass. 12 aprile 2006, n.
8515; 31 ottobre 2005, n. 21107; 22 giugno 2005, n. 13401; 22 maggio
2003, n, 8052; 26 luglio 2002, n. 11045; 16 gennaio 1999, n. 398)".
Lo stesso orientamento e' stato seguito anche nelle sentt. Sez.
I, 29 maggio 2001, n. 7528; 16 gennaio 1999, n. 398, SS.UU., 14
febbraio 2006, n. 3116, sicche' esso assume la connotazione di
"diritto vivente" (cfr. ancora sent. n. 78 del 2012).
4.2. - L'aver disposto in senso contrario comporta che la
Regione, come tutte le Amministrazioni territoriali che possono
essere chiamate a subentrare ai DPC nei rapporti derivanti dalla
gestione di un grave stato di emergenza, debba sopportare una
evidente ed ulteriore lesione del diritto di difesa.
L'applicazione della successione proprio a titolo universale,
infatti, comporta in capo alla Regione il dovere di accettare lo
stato e il grado del processo, con le decadenze e le preclusioni gia'
intervenute, senza poter dispiegare con pienezza tutta l'attivita'
difensiva consentita alle altre parti.
Se e' vero che anche il successore a titolo particolare puo'
essere chiamato in causa, e' altrettanto vero che quest'ultimo ha
ogni possibilita' di allegazione dei fatti e di partecipazione
all'istruzione probatoria e puo' anche ampliare il thema decidendum
attraverso la chiamata di un terzo, anche in garanzia. Si tratta di
possibilita' che la disposizione impugnata, invece, non contempla.
La Regione, dunque, e' confinata in una posizione ulteriormente
deteriore rispetto alle altre parti processuali, con evidente
violazione dei principi costituzionali e di diritto internazionale
che presidiano l'attivita' giurisdizionale e con immediato riflesso
sulle proprie attribuzioni costituzionali. In particolare, in
connessione tra loro e con i parametri costituzionali che definiscono
la sfera delle attribuzioni regionali:
sono violati i principi del contraddittorio tra le parti e
del giusto processo, di cui all'art. 111 Cost.;
e' lesa, per illegittima interferenza, la funzione
giurisdizionale, con evidente violazione degli artt. 101 e 102 Cost.
di conseguenza, e' violato il diritto alla tutela
giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi di ogni
soggetto privato o pubblico nell'ordinamento, riconosciuto dagli
artt. 24 e 113 Cost.;
e' violato l'art. 117, comma 1, Cost., in quanto sono violati
il diritto della Regione Lazio ad un processo equo, di cui all'art. 6
CEDU, il diritto all'effettivita' della tutela giurisdizionale, di
cui all'art. 13 CEDU; il principio della "parita' delle armi" tra le
parti processuali, ricavato dalla giurisprudenza della Corte EDU
proprio dai menzionati artt. 6 e 13 CEDU (cfr., ex plurimis, Corte
EDU, sentt. 27 ottobre 1993, Dombo Beheer c. Paesi Bassi; 9 dicembre
1994, Raffinerie Greche Stran e Stratis Andreatis c. Grecia; 22
ottobre 1997, Papageorgiou c. Grecia).
4.3. - Il pregiudizio che la Regione soffre sul piano
processuale, gia' di per se' di assoluta gravita', deve essere qui
apprezzato anche e soprattutto pel profilo degli effetti che comporta
sull'esercizio, da parte della Regione, delle competenze riconosciute
dalla Costituzione, in primo luogo nella materia di competenza
concorrente "protezione civile", ex art. 117, comma 3, Cost.
E' di tutta evidenza, infatti, che l'automatico subentro allo
Stato nel far fronte ai giudizi pendenti sorti in ragione della
gestione dell'emergenza limita, come si e' avuto modo di dire, la
potesta' legislativa regolamentare e amministrativa della Regione
nella suddetta materia, come pure ne viola l'autonomia finanziaria in
ragione dei costi imposti dalla disposizione in esame, con
conseguente violazione degli artt. 117, commi 3 e 6, 118 e 119 Cost.
Per le ragioni che prima si sono indicate, peraltro e ancor piu'
decisivamente, il pregiudizio qui lamentato si estende a tutte le
altre competenze regionali, lese dalla necessita' di affrontare gli
oneri (finanziari ed organizzativi) implicati dall'illegittima
successione prevista dalle disposizioni censurate.
P.Q.M.
Chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento
del presente ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 422, della legge 27 dicembre 2013,
n. 147, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2013, n. 302,
S.O. n. 87, per violazione, per i profili sopra specificati, degli
artt. 3, 24, 101, 102, 111, 117, 118, 119 Cost., anche in relazione
agli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo,
nonche' dei principi di ragionevolezza, di leale collaborazione, di
irreotrattivita' della legge, di certezza del diritto, di legittimo
affidamento e di "parita' delle armi" nelle controversie
giurisdizionali.
Si produrra' copia conforme all'originale delle Deliberazioni
della Giunta regionale della Regione Lazio n. 80 del 24 febbraio 2014
e n. 88 del 25 febbraio 2014, con allegati i rispettivi estratti del
verbale d'approvazione.
Roma, 25 febbraio 2014
Avv. Prof. Luciani