N. 8 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 gennaio 2003.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 30 gennaio 2003 (della Regione Umbria)
(GU n. 8 del 26-2-03)

Ricorso della Regione Umbria, in persona del presidente della
giunta regionale pro tempore, giusta decreto del presidente della
giunta n. 365 del 17 gennaio 2003 (all. 1), rappresentata e difesa -
come da mandato a margine del presente atto - dall'avv. prof.
Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con
domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via
Confalonieri, 5;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma
2, del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, come convertito dalla
legge 22 novembre 2002, n. 266, conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, recante
disposizioni urgenti in materia di emersione del lavoro sommerso e di
rapporti di lavoro a tempo parziale, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale - serie generale - n. 275 del 23 novembre 2002, per
violazione:
dell'art. 117, commi 3 e 4, e dell'art. 118, comma 2, della
Costituzione;
del principio di leale collaborazione e dell'art. 2, d.lgs.
n. 281/1997, per i profili e nei modi di seguito illustrati.

Fatto

L'art. 1, comma 2, del qui impugnato decreto-legge 25 settembre
2002, n. 210, convertito con legge 22 novembre 2002, n. 266, ha
sostituito l'art. 1-bis della legge 18 ottobre 2001, n. 383, con un
nuovo art. 1-bis, disciplinante la c.d, procedura di "emersione
progressiva" del lavoro sommerso.
Secondo tale disposizione, gli imprenditori possono presentare un
"piano individuale di emersione" al fine di adeguarsi "agli obblighi
previsti dalla normativa vigente per l'esercizio dell'attivita',
relativamente a materie diverse da quella fiscale e retributiva",
nonche' "agli obblighi previsti dai contratti collettivi nazionali di
lavoro in materia di trattamento economico" (comma 2, lett. a e b).
Il piano (che deve indicare "il numero e la remunerazione dei
lavoratori che si intende regolarizzare": lett. c) va presentato al
Comitato per il lavoro e l'emersione del sommerso (CLES), composto di
16 membri otto dei quali sono designati da otto diversi organismi e
soggetti pubblici (Ministero lavoro, Ministero ambiente, INPS, INAIL,
ASL, comune, regione, prefettura) e otto dai sindacati dei datori di
lavoro e dei prestatori di lavoro. Tutti i membri sono nominati dal
prefetto.
I CLES sono istituiti presso ciascuna direzione provinciale del
lavoro, chiamata a svolgere le funzioni di segreteria. Sia consentito
osservare, senza peraltro che la cosa risulti rilevante dal punto di
vista del rapporto tra lo Stato e le regioni, che secondo l'art. 47,
comma 2, del d.lgs. n. 300 del 1999 i compiti degli uffici periferici
gia' del Ministero del lavoro dovrebbero essere confluiti negli
uffici territoriali del Governo.
I CLES cosi' costituiti hanno il compito di "valutare le proposte
di progressivo adeguamento agli obblighi di legge diversi da quelli
fiscali e previdenziali formulando eventuali proposte di modifica",
di "valutare la fattibiita' tecnica dei contenuti del piano di
emersione", di "definire, nel rispetto degli obblighi di legge,
temporanee modalita' di adeguamento per ciascuna materia da
regolarizzare", infine di "verificare la conformita' del piano di
emersione ai minimi contrattuali contenuti negli accordi sindacali di
cui al comma 2" (comma 5).
Se le "proposte per il progressivo adeguamento ... coinvolgono
interessi urbanistici e ambientali, il CLES sottopone il piano al
parere del comune competente" il quale esprime un "parere vincolante"
(comma 5-bis).
In base al comma 8 poi, il CLES ha il compito di approvare il
piano individuale di emersione "nell'ambito delle linee generali
definite dal CIPE"; e nell'esercizio di tale competenza ha ovviamente
il potere di respingere il piano o di concordare modifiche che ne
consentano l'approvazione (comma 9). L'approvazione "comporta,
esclusivamente per le violazioni oggetto di regolarizzazione, la
sospensione, gia' nel corso dell'istruttoria finalizzata
all'approvazione del piano stesso, di eventuali ispezioni e verifiche
da parte degli organi di controllo e vigilanza nei confronti del
datore di lavora che ha presentato il piano" (comma 15).
Infine, si prevede (comma 10) che "le autorita' competenti,
previa verifica della avvenuta attuazione del piano, rilasciano le
relative autorizzazioni entro sessanta giorni" e che "l'adeguamento o
la regolarizzalione si considerano, a tutti gli effetti, come
avvenuti tempestivamente e determinano l'estinzione dei reati
contravvenzionali e delle sanzioni connesse alla violazione dei
predetti obblighi".
Come si vede, la disciplina in questione interviene nelle materie
di competenza della regione. Poiche' la regolarizzazione riguarda gli
"obblighi previsti dalla normativa vigente per l'esercizio
dell'attivita', relativamente a materie diverse da quella fiscale e
retributiva", senz'altro la legge in oggetto "tocca" le materie
dell'urbanistica, dell'ambiente e dell'igiene e sanita' (del resto,
che l'art. 1-bis legge n. 383/2001 riguardi l'urbanistica e
l'ambiente e' espressamente confermato dal comma 5-bis, che menziona
appunto tali materie).
In tutte queste la Regione Umbria ha competenza legslativa, in
virtu' di quanto disposto dall'art. 117, comma 3. Tale competenza e'
evidente in materie di igiene e sanita' e di urbanistica (art. 117,
comma 3); ma e' esistente anche in relazione alla tutela
dell'ambiente, valore tutelato non solo (per i profili unitari) dalla
competenza statale esclusiva di cui all'art. 117, comma 3, lett. s),
ma anche dalla competenza regionale in relazione alle materie
incidenti con la tutela ambientale: e' opportuno ricordare, infatti,
che - come ha chiarito la Corte costituzionale nella sent. n. 407 del
2002, punto 3.2 del Diritto - "si puo' ... ritenere che riguardo alla
protezione dell'ambiente non si sia sostanzialmente inteso eliminare
la preesistente pluralita' di titoli di legittimazione per interventi
regionali diretti a soddisfare contestualniente, nell'ambito delle
proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere
unitario definite dallo Stato" (v. anche sent. n. 536 del 2002).
La regolarizzazione prevista, pero', riguarda anche gli obblighi
previsti in materia di sicurezza sul lavoro. Anche questa materia e'
di competenza regionale, sia ai sensi dell'art. 7 e ss. del d.lgs.
n. 502/1992 (la cui disciplina e' stata tenuta ferma dall'art. 112,
comma 3, lett. l), d.lgs. n. 112/1998, come modificato dall'art. 15,
d.lgs. n. 443/1999) sia, ora, direttamente al livello costituzionale,
ai sensi dell'art. 117, comma 3, Cost., che espressamente attribuisce
alla competenza concorrente delle regioni la materia "tutela e
sicurezza del lavoro".
A tale materia, e dunque alla competenza regionale, si puo'
ascrivere anche quella norma del decreto-legge n. 210/2002 che
prevede l'adeguamento del trattamento economico dei lavoratori.
Se poi si guarda alle nonne impugnate dal punto di vista delle
attivita' oggetto della regolarizzazione, si puo' constatare come la
legge parli genericamente di attivita' di impresa: ora, poiche'
questa comprende l'attivita' industriale, commerciale e agricola e
poiche' queste tre materie ricadono ormai tutte nell'art. 117, comma
4, Cost., ne risulta che, da questo punto di vista, la legge
impugnata interviene in materie di piena potesta' regionale.
Intervenendo in materia regionale, la legislazione statale
ordinaria deve rispettare i principi e le regole di cui all'art. 117,
e piu' in generale di cui al titolo V della parte seconda della
Costituzione. Invece, commisurata a tali parametri la disciplina di
cui all'art. 1, comma 2, d.l. n. 210/2002 risulta, ad avviso della
ricorrente regione, costituzionalmente illegittima per i seguenti
motivi di

D i r i t t o

1. - Illegittimita' costituzionale per violazione delle
competenze legislative regionali.
Un intervento statale in materia di tutela e sicurezza del lavoro
avrebbe evidentemente dovuto per prima cosa prendere atto del
mutamento costituzionale intervenuto con la legge costituzionale n. 3
del 2001, e provvedere ad una disciplina statale di principio. In
secondo luogo, il legislatore statale avrebbe dovuto anche verificare
la congruita' dell'assetto organizzativo della materia con la nuova
situazione costituzionale, e provvedere al trasferimento degli
eventuali organi e apparati locali statali operanti nella materia.
Invece, come sopra illustrato, l'art. 1-bis della legge n. 383
del 2001, come introdotto dall'art. 1, comma 2, del decreto-legge
n. 210/2002, non si occupa affatto della nuova situazione
costituzionale, ma disciplina in modo dettagliato una specifica
procedura di regolarizzazione che da un lato rientra di per se stessa
nella materia tutela del lavoro, oggetto di potesta' legislativa
concorrente della regione, dall'altro ha riferimento ad obblighi
facenti capo a materie di competenza regionale concorrente,
dall'altro ancora incide su attivita' oggetto di competenza regionale
piena.
Esso interviene in modo fortemente derogatorio nelle diverse
materie sopra indicate, rimettendo in toto la decisione sull'avvenuto
adeguamento, da parte dell'imprenditore, ad obblighi facenti capo a
importanti materie di competenza regionale (salvo il parere
vincolante dei comuni - da esprimere comunque entro trenta giorni -
in materia di urbanistica e di ambiente), ad un organo che non puo'
essere caratterizzato come organo regionale (su cio' v. il punto 2).
Ora, in virtu' del combinato disposto dell'art. 118, comma 2, e
dell'art. 117, commi 3 e 4 (ricordiamo che anche "nelle materie di
legislazione concorrente spetta alle regioni la potesta' legislativa,
salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata
alla legislazione dello Stato", e' illegittima l'allocazione diretta
di funzioni amministrative con legge statale nelle materie regionali,
e a maggior ragione la loro attribuzione ad un organo, il CLES,
estraneo alla regione, come costringano a pensare non solo la
provenienza della maggior parte dei suoi elementi, ma anche la sua
istituzione presso un organo statale ed il potere di nomina affidato
ad un organo statale: con la conseguenza della totale invasione delle
funzioni legislative ed amministrative regionali.
Se poi si volesse affermare che si tratta di un organo regionale,
l'illegittimita' risulterebbe addirittura aggravata, con la
conseguenza comunque della violazione della potesta' legislativa in
materia di organizzazione regionale, oltre che nelle materie incise
dall'intervento, e con la ulteriore assurdita' giuridica della nomina
da parte di un organo statale e della sua collocazione presso
organismi statali.
In secondo luogo, tale organo esautora le autorita' che, secondo
la Costituzione e le leggi regionali, sono competenti nelle diverse
materie coinvolto nell'intervento. Una volta approvato (dal CLES) ed
attuato il piano, infatti, le autorita' competenti sono tenute a
rilasciare le relative autorizzazioni e si produce l'estinzione non
solo dei reati ma di tutte le sanzioni (v. l'art. 1-bis, legge
n. 383/2001, comma 10).
Dunque, la normativa di cui all'art. 1-bis viola chiaramente le
competenze legislative garantite alla Regione dall'art. 117, commi 3
e 4, e dall'art. 118, comma 2, Cost., sia sotto il profilo della
disciplina sostanziale sia sotto quello dell'allocazione delle
funzioni amministrative.
Sotto il primo profilo, la legislazione regionale e' soggetta
solo al limite della Costituzione e degli obblighi internazionali e
comunitari per le materie rientranti nella potesta' primaria ai sensi
dell'art. 117, comma 4, Cost., mentre nelle materie di potesta'
concorrente si aggiunge il limite dei principi fondamentali stabiliti
dalle leggi statali.
Ora, anche a voler riferire la legge prevalentemente alle materie
di potesta' concorrente (piu' che all'industria, commercio,
agricoltura, di competenza regionale piena), il solo principio
fondamentale ricavabile dalla normativa statale e' quello che
consente l'emersione del lavoro sommerso attraverso li progressivo
adeguamento a determinati obblighi, e tale principio vincola anche la
ricorrente regione. Per il resto, si tratta invece di disposizioni di
dettaglio, che rientrano nella sola ed esclusiva potesta' delle
regioni.
E sia consentito anche di ricordare che codesta ecc.ma Corte
costituzionale ha gia' sottolineato che "la nuova formulazione
dell'art. 117, comma 3, rispetto a quella previgente dell'art. 117,
comma 1, esprime l'intento di una piu' netta distinzione fra la
competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza
statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della
disciplina" (sent. n. 282 del 2002). Sotto il secondo profilo, e'
illegittima l'attribuzione di funzioni amministrative sia agli organi
statali (al CIPE, al CLES ed al prefetto) sia ai comuni. Quanto agli
organi statali, l'illegittimita' e' in particolare evidente in
relazione a competenze attribuite nelle materie regionali ad organi
locali. Quanto ai comuni, l'art. 117, comma 2, assegna alla
competenza statale la sola determinazione delle "funzioni
fondamentali", tra le quali certamente non rientra l'espressione del
parere in questione.
Da quanto sopra esposto deriva l'evidente contrasto della
normativa impugnata con la Costituzione.
2. - Illegittimita' per violazione delle competenze
amministrative delle regioni.
Come detto, il nuovo art. l-bis legge n. 383/2001 attribuisce la
competenza all'approvazione del piano di emersione ad un organo
statale, da istituire presso un ufficio statale, la cui composizione
e' inoltre interamente e dettagliatamente determinata dalla legge
statale: cioe' al CLES, che per di piu' dovrebbe essere nominato dal
prefetto.
Le decisioni prese vincolano le autorita' competenti in materia,
che devono solo verificare l'avvenuta attuazione del piano (comma
10); ma gia' l'istruttoria finalizzata all'approvazione del piano
sospende le ispezioni e verifiche da parte degli organi competenti.
Da un lato dunque vi e' addirittura esercizio diretto di funzioni
amministrative, attraverso la nomina del CLES, e la stessa attivita'
del CLES, dall'altro vi e' una evidente interferenza delle autorita'
statali sullo svolgimento delle funzioni amministrative di competenza
della Regione Umbria nelle diverse materie interessate dalla legge,
attraverso il vincolo di contento all'esercizio delle funzioni
regionali, che deriverebbe dall'attivita' dello stesso CLES.
3. - Violazione del principio di leale collaborazione per mancato
coinvolgimento delle autonomie regionali nel procedimento
legislativo.
A quanto risulta, ne' la sede di adozione del decreto-legge ne'
in sede di adozione del disegno di legge di conversione ne'
nell'esame parlamentare di tale disegno le autonomie regionali sono
state consultate attraverso la Conferenza Stato-Regioni. Poiche',
come visto, la disciplina qui impugnata riguarda materie di
competenza regionale, tale mancato coinvolgimento lede il principio
di leale collaborazione, espressamente menzionato ora nel titolo V
della Costituzione.
In particolare, risulta violato l'art. 2, comma 3, d.lgs.
n. 281/1997, in base al quale "la Conferenza Stato-regioni e'
obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e
di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di
competenza delle regioni o delle Province autonome di Trento e di
Bolzano". Ne' si puo' obiettare che, nel caso di specie, la
consultazione non era possibile, dato che l'art. 2, comma 5, d.lgs.
n. 281 disciplina espressamente i casi di urgenza: "quando il
Presidente del Consiglio dei ministri dichiara che ragioni di urgenza
non consentono la consultazione preventiva, la Conferenza
Stato-Regioni e' consultata successivamente ed il Governo tiene conto
dei suoi pareri: a) in sede di esame parlamentare dei disegni di
legge o delle leggi di conversione dei decreti-legge". Dunque, la
mancata consultazione della Conferenza risulta comunque illegittima.
Si tenga presente, per comprendere l'importanza del principio di
leale collaborazione nel nuovo Titolo V, anche il modo in cui esso
viene concretato dall'art. 11, legge costituzionale n. 3/2001. La
circostanza che non sia ancora stata realizzata la speciale
composizione integrata della commissione parlamentare per le
questioni regionali non toglie che il principio di partecipazione
regionale al procedimento legislativo delle leggi statali ordinarie,
quando queste intervengono in materia di competenza concorrente, ha
ora espresso riconoscimento costituzionale.
Del resto, e' da sottolineare che codesta Corte costituzionale
gia' nella sent. n. 398 del 1998 (punto 16 del Diritto) ha annullato
una norma legislativa statale incidente sulle competenze regionali
per mancato coinvolgimento delle regioni nel procedimento
legislativo.

P. Q. M.
La Regione Umbria, come sopra rappresentata e difesa, chiede:
Voglia l'eccellentissima Corte costituzionale dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma 2, del
decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, come convertito dalla legge
22 novembre 2002, n. 266, conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 25 settembre 2002 n. 210, recante disposizioni
urgenti in materia di emersione del lavoro sommerso e di rapporti di
lavoro a tempo parziale, per i motivi e profili illustrati nel
presente ricorso.
Padova-Roma, addi' 20 gennaio 2003
Avv. prof. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi

Menu

Contenuti