RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 11 Gennaio 2005 - 11 Gennaio 2005 , n. 8

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria l'11 gennaio 2005 (del Presidente del Consiglio dei
ministri)

(GU n. 7 del 16-2-2005)

Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato;

Nei confronti della Regione Umbria, in persona del suo presidente
della giunta, avverso l'art. 20 comma 1 lettera a) e c), l'art. 21
comma 1 lettere c), d), e), ed h), e - per connessione - l'art. 19 e
l'art. 27 comma 4, della legge regionale 3 novembre 2004 n. 21
intitolata «norme sulla vigilanza, responsabilita', sanzioni e
sanatoria in materia edilizia», pubblicata nel Bollettino ufficiale
n. 47 dell'8 novembre 2004.
Le determinazioni di proposizione del presente ricorso e' stata
approvata dal Consiglio dei ministri nella riunione del 23 dicembre
2004 (si depositera' estratto del relativo verbale).
L'art. 32 comma 25 del d.l. 30 settembre 2003 n. 269 convertito
nella legge 24 novembre 2003 n. 326 ammette al cosiddetto condono
edilizio anche le «nuove costruzioni residenziali» non superiori ai
limiti volumetrici ivi indicati. L'art. 21 comma 1 lettera d) della
legge regionale in esame invece esclude dalla sanatoria straordinaria
tutti i «nuovi edifici, salvo quanto previsto dall'art. 20 comma 1
lettera b)».
Inoltre l'anzidetto art. 32 comma 25 ammette alla sanatoria
straordinaria gli ampliamenti di fabbricati esistenti purche' non
superiori al 30 per cento della volumetria della costruzione
originaria o, in alternativa, a 750 metri cubi. L'art. 20 comma 1
lettera a) della legge regionale in esame invece, oltre ad esprimere
i «limiti» in metri quadri di superficie utile coperta (definita nel
successivo art. 27 comma 1), discrimina tra unita' immobiliari
destinate ad attivita' produttive od a servizi ed altre unita'
immobiliari, essenzialmente residenziali (surrettiziamente
penalizzate anche dall'adozione di «limiti» emessi in misure di
superficie anziche' di volume), ed inoltre stabilisce «limiti» che
irrazionalmente ed eccessivamente si discostano da quelli previsti
dalla legislazione statale. Ad esempio, i 30 metri quadrati indicati
all'art. 20 comma 1 lettera a) numero 1 equivalgono mediamente a 100
metri cubi.
L'art. 20 comma 1 lettera a) e l'art. 21 comma 1 lettera d)
citati contrastano con l'art. 117 e l'art. 119 Cost. Nella
fondamentale sentenza n. 196 del 2004 codesta Corte ha affermato che
la disciplina amministrativa del condono edilizio (non anche la
repressione penale degli abusi piu' gravi) rientra nella materia di
competenza concorrente «governo del territorio» (art. 117, comma
terzo, Cost.). Ne consegue che la regione tenuta ad attenersi ai
principi posti dalla legislazione statale. La sanabilita' delle
«nuove costruzioni residenziali» di relativamente modeste dimensioni
realizzate in contrasto con gli strumenti urbanistici (non anche in
contrasto con vincoli extraurbanistici) principio cui ogni regione
deve attenersi. Parimenti costituisce principio la sanabilita' in
misure non irrisorie degli ampliamenti realizzati indifferentemente
su edifici di qualsiasi titologia.
La regione puo' specificare i limiti (quantitativi e non) della
sanabilita', e persino «limare» entro margini di ragionevole
tollerabilita' (come qualche altra regione ha fatto) le volumetrie
massime previste del legislatore statale; non puo' invece negare in
toto o in misura prevalente (rispetto al quantum di volumetria
ammesso dalla legge statale) la sanabilita' di dette nuove
costruzioni. Un diniego totale ed aprioristico, quale quello
contenuto nell'art. 21 comma 1 lettera d), contraddice uno dei
principi fondamentali determinati dal legislatore statale e persino
la configurabilita' - ammessa anche da codesta Corte - di una
sanatoria straordinaria degli illeciti urbanistici. Anche una
drastica ed eccessiva riduzione degli ampliamenti sanabili, quale
quella disposta dall'art. 20 comma 1 lettera a), risulta
incompatibile con detti principi.
Le menzionate due disposizioni regionali contrastano inoltre con
gli artt. 117, comma secondo, e 119 Cost. L'art. 117 comma secondo
lettera a ed E attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in
materia di rapporti con l'Unione europea (e relativi stringenti
«vincoli») e di «moneta» (oggi moneta unica difesa dai noti parametri
di Maastricht) nonche' in materia di «sistema tributario e contabile
dello Stato». D'altro canto, l'art. 117, comma terzo e l'art. 119,
comma secondo, attribuiscono allo Stato il compito - particolarmente
arduo - di coordinare la «finanza pubblica» (al singolare).
Notoriamente, piu' leggi del Parlamento fanno affidamento sul gettito
del condono edilizio per la copertura 8 art. 81 Cost.) di spese
pubbliche e di minori entrate; comprimere in misura oggettivamente
eccessiva le possibilita' di accedere alla sanatoria straordinaria
riduce sensibilmente quel gettito, lede le potesta' statali di
governo della finanza pubblica e potrebbe persino essere considerato
indebita turbativa dell'equilibrio finanziario del Paese nel suo
insieme. Del resto, la regione non assume a proprio carico l'onere
conseguente alla riduzione del predetto gettito, non sposta cioe'
prelievo da coloro che hanno commesso gli abusi edilizi alla
generalita' dei cittadini che in essa risiedono.
Parimenti grave appare la lesione del principio di eguaglianza
(art. 3, comma primo, Cost.) delle persone rispetto alla legge e
della competenza esclusiva ex art. 117 comma secondo lettera L Cost.
(ordinamento civile e penale). Indubbiamente i giudici comuni devono
applicare anche le leggi regionali; conseguentemente l'eccessiva
restrizione, ad opera del legislatore umbro dell'ambito di
applicazione del legislatore statale in tema di condono edilizio
obbliga i giudici comuni a rendere, a carico dei proprietari ed
autori di illeciti (e di eventuali controinteressati e parti offese),
pronunce quanto meno asistematiche.
Identiche doglianze per inosservanza dei dianzi evocati parametri
costituzionali devono essere mosse anche nei confronti dell'art. 21
comma 1 lettera c), lettera e), e - in parte - lettera h) della legge
in esame.
La lettera c) esclude la sanabilita' di ampliamenti e in genere
di opere abusive che comportino «utilizzo di aree in zona agricola
per usi del suolo diversi da quello agricolo ...» (il resto della
disposizione sembra riguardare campi da tennis e simili opere). La
disposizione, come formulata, puo' - con qualche discrezionalita' -
impedire la sanatoria straordinaria nelle zone agricole, oltretutto
in contraddizione con il precedente art. 20 comma 1 lettera a) numero
3 ove si parla di zone E.
La predetta lettera e) esclude la sanabilita' dell'ampliamento di
edifici la cui «intera» costruzione e' stata in passato sanata per
«precedenti condoni edilizi». La disposizione, ancorche' non dia
rilevanza anche ai minori abusi edilizi in passato sanati, introduce
una disuguaglianza non sorretta da principio determinato dalla
legislazione statale, ed inoltre contrastante con gli artt. 3, 42 e
117 comma secondo lettera L Cost. Premesso che gli attuali
proprietari degli edifici di che trattasi possono essere soggetti
diversi dagli autori dei precedenti abusi edilizi e dai proprietari
all'epoca in cui questi sono stati commessi (e quindi la
penalizzazione non ha giustificazione etica), la discriminazione tra
proprieta' edilizie e relativi attuali proprietari appare invasiva
della competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento
civile e penale», ed anche irrazionale e contrastante con gli altri
parametri costituzionali dianzi evocati. Una azione di contrasto
della «recidiva» e/o della «abitualita» nella commissione degli
illeciti urbanistici dovrebbe essere mirata, anziche' contro gli
attuali proprietari, contro le imprese di costruzione non di rado
protagoniste piu' che complici dell'abusivismo (e pero' in pratica
sollevate dalle obbligazioni da condono edilizio).
La successiva lettera h) dell'art. 21 esclude persino minuscoli
interventi di ampliamento (e contraddittoriamente non anche la
chiusura di logge e portici) nei centri storici e/o zone A. Non si
nega che il legislatore regionale possa differenziare tra edifici in
zona A ed edifici siti in altre zone dell'abitato; pero' irrazionale
e non compatibile con i principi determinati dalla legislazione
statale equiparare i centri storici ai «siti archeologici» e tutti i
relativi edifici a quelli sottoposti a vincolo extraurbanistico,
considerato anche che la legislazione statale salvaguarda
adeguatamente gli edifici e le porzioni di territorio sottoposti a
vincolo. Pertanto, nella lettera h) in esame dovrebbero essere
demolite le parole «o di ampliamento nelle zone omogenee di cui al
d.m. n. 1444/1968 nonche' nei centri storici» ed anche - per palese
incoerenza - le parole «con esclusione di quelli di cui all'art. 20
comma 2».
Per connessione con le doglianze sin qui formulate doveroso
soffermarsi anche sull'art. 19 (entrambi i commi) e sull'art. 27
comma 4 della legge in esame.
L'art. 19 recita al comma 1 «i limiti, le condizioni e le
modalita' per il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria ...
sono disciplinate dal presente titolo» (la sentenza n. 196 del 2004
non parla di «limiti») e al comma 2 «per quanto non disposto dal
presente titolo, si applicano» le norme statali del 1985 e del 1994,
«nonche' i termini temporali, le modalita' e le procedure previste
(rectius previsti) dalle norme statali del 2003». L'insieme dei due
commi sembra poco chiaro, malgrado la precisazione contenuta
nell'art. 20 comma 3, che peraltro sarebbe stato opportuno estendere
ai «limiti» non volumetrici ed alla lettera c) numero 1 del comma 1.
In effetti, l'art. 19 al comma 1 sembra voler definire
autosufficiente ed esaustivo il «presente titolo» e al comma 2 invece
aprire - non pero' per i «limiti» e le «condizioni» - alla
integrazione con la normativa statale. Inoltre, questo comma 2 forse
involontariamente menziona le norme statali del 1985 e del 1994 senza
aggiungere «e successive integrazioni e modificazioni»; cosa puo'
ingenerare incertezze e controversie.
La Regione potra', nel costituirsi in questo giudizio, fornire
una sua interpretazione possibilmente sistematica dell'art. 19.
L'art. 27 comma 4 sembra recare una precisazione concernente
soltanto il caso di un unico proprietario di piu' unita' immobiliari
comprese in unico edificio e non autonome, e non anche i casi di piu'
proprietari di unita' immobiliari comprese in edificio condominiale o
di unico proprietario di piu' unita' immobiliari autonome; e sembra
escludere soltanto per il caso considerato l'applicabilita' del piu'
elevato «limite» (3000 metri cubi) previsto dall'art. 32 comma 25 del
d.l. 30 settembre 2003 n. 269, come convertito. La disposizione puo'
essere reputata una utile puntualizzazione, se cosi' interpretata;
non anche se ad essa fosse attribuita una portata piu' ampia.
Una doglianza diversa e, per cosi' dire, di segno opposto deve
essere formulata nei riguardi dell'art. 20 comma 1, lettera c) comma
che - nello incipit - appare di non agevole interpretazione. Se le
parole «alla data del 2 ottobre 2003» sono riferite agli «strumenti
urbanistici», non e' formulato dubbio di legittimita' costituzionale.
Se invece, come pare, quelle parole fossero collegate alla
espressione «siano esse (opere) realizzate» si avrebbe una palese
illegittimita' costituzionale per grave contrasto con il fondamentale
principio posto dall'art. 32 comma 25 del citato d.l. 30 settembre
2003 n. 269 («opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo
2003»).
Se e per quanto estenda l'ambito della sanabilita', detta
disposizione contrasta con principio posto dalla legislazione
statale, come riconosciuto nella sentenza n. 196 del 2004, ove «il
limite temporale massimo di realizzazione delle opere» e'
espressamente indicato. Essa inoltre invade palesemente la competenza
esclusiva del Parlamento nazionale in materia di «ordinamento civile
e penale» (art. 117 comma secondo lettera L Cost.); nei giudizi
civili e penali i proprietari (imputati o convenuti) beneficiari di
sanatoria solo «regionale» chiederebbero pronunce non consentite
dalla legislazione statale (con prevedibili questioni di legittimita'
costituzionale in via incidentale).
La demolizione delle disposizioni sin qui considerate non produce
lacune, posto che essa consente il espandersi della normativa
statale. Si confida peraltro in un nuovo sollecito intervento
legislativo della Regione, intervento che - se effettivamente idoneo
a superare la controversia - potrebbe non essere reputato tardivo.



P. Q. M.
Si chiede pertanto che sia dichiarata la illegittimita'
costituzionale delle disposizioni legislative sottoposte a giudizio,
con ogni conseguenziale pronuncia e con invito alla regione a non
procedere alla attuazione delle disposizioni stesse in pendenza del
giudizio.
Roma, addi' 28 dicembre 2004
Vice Avvocato generale: Franco Favara

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