Ricorso n. 80 del 12 agosto 2013 ( Regione autonoma della Sardegna)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 12 agosto 2013 (della regione autonoma della
Sardegna).
(GU n. 40 del 2.10.2013)
Ricorso per la regione autonoma della Sardegna (codice fiscale
…), in persona del presidente pro tempore dott. Ugo
Cappellacci, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del
presente atto, dagli avvocati Tiziana Ledda (codice fiscale
…; fax …; pec:
…) e prof. Massimo Luciani (codice
fiscale …; fax …; pec:
…), con domicilio eletto presso
lo studio del secondo in 00153 Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio n.
9.
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in persona del
Presidente del Consiglio pro tempore, per la dichiarazione
d'illegittimita' costituzionale dell'art. 11, commi 5-bis e 8, del
decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale 8 aprile 2013, n. 82, convertito in legge 6 giugno 2013, n.
64, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 7 giugno 2013, n. 132.
Fatto
1. - Nella Gazzetta Ufficiale 8 aprile 2013, n. 82, e' stato
pubblicato il decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, recante
«Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della
pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti
territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi degli enti
locali».
L'art. 11 del suddetto decreto recava (e reca tuttora) alcune
disposizioni che disciplinano i rapporti finanziari dello Stato
(solo) con la Regione siciliana (commi da 1 a 5) e con la regione
Piemonte (commi 6 e 7) e che modificano il regime dei contributi di
finanza pubblica imposti dallo Stato a tutte le autonomie speciali
con l'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2013 (comma 8).
La legge di conversione n. 64 del 2012, pubblicata in Gazzetta
Ufficiale 7 giugno 2013, n. 132, ha aggiunto all'articolo in esame il
comma 5-bis, che disciplina alcuni profili dello specifico rapporto
di finanza pubblica tra lo Stato e la ricorrente regione Sardegna.
Ha, altresi', riformulato il comma 8, relativo, come si diceva, alla
disciplina dei contributi di finanza pubblica gia' imposti con l'art.
16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012.
Nella formulazione vigente, introdotta dalla legge di conversione
del decreto-legge qui impugnato, i commi 5-bis e 8 dell'art. 11 del
decreto-legge n. 35 del 2013 prevedono quanto segue:
comma 5-bis: «Fatte salve le previsioni dell'art. 16, comma 3,
del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e dei commi 1 e 2
dell'art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, al fine di dare
piena applicazione, secondo i principi enunciati nella sentenza della
Corte costituzionale n. 118 del 2012, al nuovo regime regolatore dei
rapporti finanziari tra lo Stato e la regione Sardegna, disciplinato
dalle disposizioni di cui all'art. 1, comma 834, della legge 27
dicembre 2006, n. 296, tenendo conto degli stanziamenti di competenza
e cassa allo scopo previsti nel bilancio di previsione per l'anno
finanziario 2013 e nel bilancio pluriennale per il triennio
2013-2015, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto, il Ministro
dell'economia e delle finanze concorda, nel rispetto dei saldi di
finanza pubblica, con la regione Sardegna, con le procedure di cui
all'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le modifiche da
apportare al patto di stabilita' interno per la regione Sardegna»;
comma 8: «Al fine di garantire una sufficiente liquidita' per far
fronte ai pagamenti in conto capitale degli enti territoriali e, per
la parte corrente, nel comparto dei trasporti e per il funzionamento
di infrastrutture indispensabili per lo sviluppo delle regioni, al
comma 3 dell'art. 16 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135,
dopo le parole: "compartecipazione ai tributi erariali" sono inserite
le seguenti parole: "o, previo accordo tra la regione richiedente, il
Ministero per la coesione territoriale e il Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, a valere sulle risorse destinate alla
programmazione regionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione" ed
e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: "In caso di utilizzo delle
risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione per le finalita' di
cui al presente comma, la regione interessata propone
conseguentemente al CIPE per la presa d'atto, la nuova programmazione
nel limite delle disponibilita' residue, con priorita' per il
finanziamento di interventi finalizzati alla promozione dello
sviluppo in materia di trasporti, di infrastrutture e di investimenti
locali."».
2. - Il comma 5-bis dell'art. 11 del decreto-legge n. 35 del 2013
detta disposizioni circa l'adeguamento dell'accordo sul patto di
stabilita' tra la regione Sardegna e lo Stato, obbligando il
Ministero dell'economia e delle finanze a concordare con la regione
le modifiche al patto di stabilita' medesimo, al fine di renderlo
congruente con il nuovo regime delle entrate regionali stabilito
dall'art. 8 dello Statuto sardo, come novellato dall'art. 1, comma
834, della legge n. 296 del 2006.
Entrambi i commi, poi, concernono anche l'art. 16, comma 3, del
decreto-legge n. 95 del 2012: il primo perche', quanto ai rapporti
finanziari tra Stato e regione Sardegna, fa salvo detto art. 16,
comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012; il secondo perche'
modifica in alcune sue parti quello stesso comma 3.
2.1. - Conviene, dunque, per comodita' di lettura, riportare il
testo del suddetto art. 16, comma 3, decreto-legge n. 95 del 2012,
nella formulazione vigente (sono sottolineate le parti novellate dal
comma 8 dell'art. 11 del decreto-legge n. 35 del 2013): «Con le
procedure previste dall'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le
regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano
assicurano un concorso alla finanza pubblica per l'importo
complessivo di 600 milioni di euro per l'anno 2012, 1.200 milioni di
euro per l'anno 2013 e 1.500 milioni di euro per l'anno 2014 e 1.575
milioni di euro a decorrere dall'anno 2015. Fino all'emanazione delle
norme di attuazione di cui al predetto art. 27, l'importo del
concorso complessivo di cui al primo periodo del presente comma e'
annualmente accantonato, a valere sulle quote di compartecipazione ai
tributi erariali, o, previo accordo tra la regione richiedente, il
Ministero per la coesione territoriale e il Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, a valere sulle risorse destinate alla
programmazione regionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione
sulla base di apposito accordo sancito tra le medesime autonomie
speciali in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e
recepito con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze
entro il 31 gennaio di ciascun anno. In caso di mancato accordo in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le province autonome di Trento e di Bolzano, l'accantonamento e'
effettuato, con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze
da emanare entro il 15 febbraio di ciascun anno, in proporzione alle
spese sostenute per consumi intermedi desunte, per l'anno 2011, dal
SIOPE.
Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al citato
art. 27, gli obiettivi del patto di stabilita' interno delle predette
autonomie speciali sono rideterminati tenendo conto degli importi
incrementati di 500 milioni di euro annui derivanti dalle predette
procedure. In caso di utilizzo delle risorse del Fondo per lo
sviluppo e la coesione per le finalita' di cui al presente comma, la
regione interessata propone conseguentemente al CIPE per la presa
d'atto, la nuova programmazione nel limite delle disponibilita'
residue, con priorita' per il finanziamento di interventi finalizzati
alla promozione dello sviluppo in materia di trasporti, di
infrastrutture e di investimenti locali».
3. - Si puo', ora, comprendere quale effetto producano le
disposizioni oggetto del presente giudizio sugli interessi e sulle
attribuzioni costituzionali e statutarie della ricorrente.
Il comma 5-bis dell'art. 11 del decreto-legge n. 35 del 2013
impone al Ministero dell'economia e delle finanze di concordare con
la regione Sardegna l'adeguamento dei rapporti finanziari tra Stato e
regione al nuovo regime delle entrate regionali derivanti dalle quote
di compartecipazione ai tributi erariali disposto dall'art. 8 dello
statuto sardo, come riformato dall'art. 1, comma 834, della legge n.
296 del 2006.
Come e' ben noto all'Ecc.ma Corte, che ha avuto modo di
pronunciarsi sulla questione piu' volte (cfr. sentenze nn. 99 e 118
del 2012 e 95 del 2013), la regione Sardegna e' tuttora in attesa che
lo Stato dia compiuta esecuzione alla nuova formulazione dell'art. 8
dello statuto, tanto che sulla questione e' maturato un consistente
contenzioso, in parte tuttora pendente (cfr. i giudizi rubricati al
R. Ric. nn. 196/2012 e 41/2013), concernente la concreta
disponibilita' finanziaria e la relativa capacita' di spesa delle
somme assicurate dallo stesso art. 8 dello statuto. Ora, finalmente,
con l'art. 11, comma 5-bis, del decreto-legge n. 34 del 2013, lo
Stato ha imposto (o, per meglio dire, esplicitato un'imposizione gia'
derivante dallo statuto e dalla giurisprudenza costituzionale) ai
competenti uffici del Ministero di concordare con la regione Sardegna
una formulazione del patto di stabilita' interno che sia coerente e
congruente con il nuovo regime delle entrate regionali, in modo da
assicurare alla regione la possibilita' di effettivo utilizzo di
quelle somme.
Nondimeno, il legislatore statale ha inteso vincolare l'accordo
che Ministero e regione dovranno stipulare al rispetto di due
condizioni:
che siano «fatte salve le previsioni dell'art. 16, comma 3, del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95»;
che siano rispettate le «procedure di cui all'art. 27 della legge
5 maggio 2009, n. 42».
Entrambe queste condizioni previste dalla legge sono illegittime
e pregiudizievoli per la ricorrente.
Quanto all'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, va
detto che con quella disposizione lo Stato, come risulta dal testo
sopra riportato, ha imposto alle autonomie speciali un contributo
straordinario di finanza pubblica che, gia' di elevato ammontare per
il 2012 («600 milioni di euro»), raddoppia nel 2013 («1.200 milioni
di euro») e arriva praticamente a triplicare nel 2015 e negli anni
seguenti («1.575 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015»).
Per questa ragione l'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95
del 2012, anche per come ora novellato, e' certamente illegittimo, in
quanto impone un contributo straordinario di finanza pubblica che e'
indeterminato nel tempo, cosi' violando i principi piu' volte
ribaditi dall'Ecc.ma Corte costituzionale nell'interpretazione delle
disposizioni che presidiano i rapporti finanziari tra Stato e regione
(articoli 117 e 119 Cost.; articoli 7 e 8 dello statuto).
Cio' e' tanto vero che la regione Sardegna si e' trovata
costretta ad impugnare, innanzi l'Ecc.ma Corte costituzionale, la
predetta disposizione con il ricorso rubricato al n. 160 del R. Ric.
2012, tuttora pendente (per completezza si osserva che la successiva
modificazione dell'art. 16, comma 3, intervenuta con l'art. 1 della
legge n. 228 del 2012, e' stata anch'essa impugnata dall'odierna
ricorrente con ricorso esso pure pendente e rubricato al n. 41 del R.
Ric. 2013).
Quanto alle procedure di cui all'art. 27 della legge n. 42 del
2009, in detto articolo e' previsto che «Le regioni a statuto
speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto
degli statuti speciali, concorrono al conseguimento degli obiettivi
di perequazione e di solidarieta' ed all'esercizio dei diritti e
doveri da essi derivanti, nonche' al patto di stabilita' interno e
all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario,
secondo criteri e modalita' stabiliti da norme di attuazione dei
rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli
statuti medesimi [...]».
Cio' significa che (a meno che il rapporto tra il decreto-legge
n. 35 del 2013 e la legge n. 42 del 2009 non si ricostruisca
diversamente) e' possibile, per lo Stato, rifiutarsi di adempiere
all'obbligo posto dalla legge fino a che non siano state adottate le
norme di attuazione di cui all'art. 27 della legge n. 42 del 2009 ora
citata. In questo modo, pero', la regione Sardegna patisce
un'ulteriore dilazione dei tempi di completa esecuzione dell'art. 8
dello statuto, nonostante che l'art. 1, comma 838, della legge n. 296
del 2006 abbia previsto che il nuovo regime delle entrate regionali
entri a regime dal 2010.
4. - Si consideri, inoltre, che - come gia' riportato - il
legislatore statale, con l'art. 11, comma 8, del decreto-legge n. 35
del 2013 ha modificato l'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95
del 2012, prevedendo che il contributo di finanza pubblica ivi
previsto possa essere scontato non solo sulle quote di
compartecipazione ai tributi erariali di spettanza regionale (come
previsto nella precedente formulazione della norma), ma anche sulla
parte del «Fondo per lo sviluppo e la coesione» destinato agli
interventi a favore delle regioni chiamate a versare il contributo.
In questo modo, pero', la lesivita' della norma e' addirittura
aumentata, perche' alla disponibilita' delle autonomie speciali, tra
cui la ricorrente, possono venire a mancare fondi indispensabili per
lo sviluppo socio-economico del territorio, preordinati ad adempiere
a quelle funzioni di solidarieta' sociale che l'art. 119 Cost.
prevede siano esercitate nelle forme della perequazione finanziaria a
favore dei territori svantaggiati.
Per le ragioni anzidette, l'art. 11, commi 5-bis e 8, del
decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, pubblicato in Gazzetta Ufficiale
8 aprile 2013, n. 82, convertito in legge 6 giugno 2013, n. 64,
pubblicata in Gazzetta Ufficiale 7 giugno 2013, n. 132, e' gravemente
lesivo degli interessi e delle attribuzioni costituzionali e
statutarie della regione autonoma della Sardegna, che ne chiede la
declaratoria d'illegittimita' costituzionale per i seguenti motivi di
Diritto
1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, commi 5-bis, per
un primo profilo, e 8 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35,
pubblicato in Gazzetta Ufficiale 8 aprile 2013, n. 82, convertito in
legge 6 giugno 2013, n. 64, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 7 giugno
2013, n. 132. Violazione del principio di leale collaborazione di cui
agli articoli 5 e 117 Cost., degli articoli 117 e 119 Cost. (anche in
combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del
2001) e degli articoli 6, 7 e 8 della legge costituzionale n. 3 del
1948, recante statuto speciale per la Sardegna. La prima doglianza
investe:
a) il comma 5-bis dell'art. 11 del decreto-legge n. 35 del 2013,
nella parte in cui, nell'obbligare il Ministero dell'economia e delle
finanze all'adeguamento del regime dei rapporti finanziari tra Stato
e regione Sardegna al nuovo art. 8 dello statuto, fa «salve le
previsioni dell'art. 16, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.
95», cosi' confermando, in capo alla ricorrente, il contributo
straordinario di finanza pubblica previsto dal medesimo art. 16,
comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012;
b) il comma 8, in quanto modifica l'art. 16, comma 3, del
decreto-legge n. 95 del 2012, confermandone la vigenza e aggiungendo
ulteriori profili lesivi dell'autonomia finanziaria della ricorrente,
in quanto idoneo a sottrarre risorse dai capitoli del Fondo per lo
sviluppo e la coesione destinati agli interventi perequativi nella
regione Sardegna.
E' evidente che l'art. 11 del decreto-legge n. 35 del 2013, in
queste parti, e' illegittimo per gli stessi motivi gia' dedotti nel
ricorso avverso l'art. 16 del decreto-legge n. 95 del 2012, ricordato
in narrativa (n. 160 R. Ric. 2012). Tali motivi sono qui appresso
ribaditi e integrati, alla luce delle novita' medio tempore
determinatesi.
1.1. - In ragione dell'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95
del 2012 e, oggi, dell'art. 11, comma 5-bis (ma anche, come si dira'
di seguito, comma 8), del decreto-legge n. 35 del 2013, a carico
della regione Sardegna e' imposto un contributo aggiuntivo alla
finanza pubblica. Tale contributo non e' delimitato nel tempo (del
resto, la c.d. spending review che si e' inteso avviare con il
decreto-legge n. 95 del 2012 non e' una manovra di finanza pubblica
temporanea, ma una rideterminazione complessiva della spesa pubblica,
che si vuole strutturalmente applicabile di qui in avanti), ma cresce
fino a toccare l'enorme somma di un miliardo e cinquecento milioni di
euro «a decorrere dall'anno 2015» (e quindi di li' in avanti).
Se questo e', come e', vero, sono violati i principi che codesta
Ecc.ma Corte costituzionale ha ricavato dal testo costituzionale (in
particolare dall'art. 117 Cost., espressamente menzionato nella
giurisprudenza, applicabile anche alle autonomie speciali se
maggiormente favorevole, stante il disposto dell'art. 10 della legge
n. 3 del 2001) a presidio dei rapporti finanziari tra Stato e
regione. Nella sentenza n. 82 del 2007, codesta Ecc.ma Corte
costituzionale ha affermato che le «limitazioni indirette
all'autonomia di spesa degli enti» possono darsi solamente «in via
transitoria e in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio
della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale». La
disposizione in esame, invece, non pone vincoli transitori, ma
definitivi, eppercio' illegittimi.
Nella piu' recente sentenza n. 193 del 2012, poi, codesta Ecc.ma
Corte costituzionale ha ricordato di essersi «espressa sulla non
incompatibilita' con la Costituzione delle misure disposte con l'art.
14, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, sul presupposto -
richiesto dalla propria costante giurisprudenza - che possono essere
ritenute principi fondamentali in materia di coordinamento della
finanza pubblica, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., le
norme che «si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della
finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento
complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non
prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il
perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenza n. 148 del 2012;
conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010)».
Per tale ragione, le disposizioni impugnate violano l'art. 117,
comma 3, Cost., in combinato disposto con l'art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, perche' lo Stato, nel disciplinare la
partecipazione delle regioni alla manovra di finanza pubblica, ha
imposto un contributo straordinario senza limiti di tempo in capo
alle regioni a statuto speciale, disposizione che - stante la
consolidata giurisprudenza costituzionale - non puo' essere
ricondotta ad un «principio fondamentale» della materia
«coordinamento della finanza pubblica. Di conseguenza, la norma
impugnata esorbita dalla competenza statale - appunto limitata ai
soli «principi fondamentali» - nella materia di competenza
concorrente «coordinamento della finanza pubblica» ex art. 117, comma
3, Cost., cosi' impedendo alla regione lo svolgimento autonomo delle
funzioni economico-finanziarie attribuite dallo statuto, dalla
Costituzione e dalla legge.
Per gli stessi motivi, sono violati gli articoli 7 dello statuto
e 119 della Costituzione, che tutelano la particolare autonomia
finanziaria della regione Sardegna, che e' qui incisa dallo Stato con
disposizioni - si ripete - non riconducibili ai «principi generali
della materia» e dagli effetti pregiudizievoli permanenti, senza
alcuna valida base costituzionale o statutaria.
Violato e', altresi', l'art. 119, comma 4, Cost., in quanto il
contributo richiesto dallo Stato impedisce, di fatto, alla regione di
provvedere all'integrale finanziamento delle funzioni pubbliche di
cui e' titolare in ragione della Costituzione, dello statuto e della
legge in generale. Tali funzioni, e' bene ribadire, sono cosi' ampie
che si e' resa necessaria, nel 2006, la riforma dell'art. 8 dello
statuto, introducendo nuove fonti di entrata idonee a coprire i
fabbisogni. Il prelievo ora imposto, dunque, contraddice frontalmente
quella scelta (di rango costituzionale) ed e' per tabulas (per
implicito, eppero' chiarissimo riconoscimento da parte della legge n.
296 del 2006) impeditivo del corretto assolvimento dei compiti
istituzionali della regione.
Infine e' violato anche l'art. 6 dello statuto, che affida alla
regione Sardegna le funzioni amministrative nelle materie di
competenza regionale, funzioni che, per le ragioni ora ribadite, la
regione non potra' compiutamente svolgere a causa dell'illegittima
diminuzione di risorse imposta dal legislatore statale.
1.2. - Quanto al comma 8 dell'art. 11 qui impugnato, esso - come
si e' visto - modifica lo stesso comma 3 dell'art. 16 del
decreto-legge n. 95 del 2012, prevedendo che, nelle more
dell'attuazione dell'art. 27 della legge n. 42 del 2009, il
contributo imposto dal legislatore statale possa essere scontato non
solo sulle quote di compartecipazione alle entrate erariali, bensi'
anche sulla quota del Fondo per la coesione e lo sviluppo destinato
agli interventi di perequazione nel territorio regionale.
Queste circostanze confermano e anzi aggravano i vizi che gia'
affliggevano l'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012.
1.2.1. - Anzitutto, come si e' detto, anche la disposizione
impugnata conferma in capo alla ricorrente un contributo di finanza
pubblica indefinito nel tempo, eppercio' illegittimo, in quanto
esorbita dalla competenza statale in materia di «coordinamento della
finanza pubblica», cosi' violando la corrispondente competenza
regionale ex art. 117, comma 3, Cost. in combinato disposto con
l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, oltre che
l'autonomia finanziaria della regione Sardegna, tutelata dagli
articoli 7 e 8 dello statuto e dall'art. 119 Cost.
1.2.2. - In secondo luogo, si deve ricordare che, come l'Ecc.ma
Corte ha da ultimo rilevato nella sentenza n. 95 del 2013, sussiste
«un annoso contrasto tra la regione Sardegna e lo Stato su cui la
Corte e' stata gia' piu' volte chiamata a pronunciarsi (a partire
dalla sentenza n. 213 del 2008 e, anche recentemente, con le sentenze
n. 99 e n. 118 del 2012)». In particolare «la causa del contenzioso
e' legata al ritardo nell'esecuzione del nuovo sistema di
finanziamento della regione Sardegna» (sentenza n. 95 del 2013).
Tanto perche' - si legge ancora nella sentenza n. 95 del 2013 -
«negli anni seguenti alla novella legislativa del 2006, le nuove
previsioni hanno ricevuto puntuale attuazione sul versante delle
spese, con la conseguenza che, a decorrere dalla scadenza del periodo
transitorio (2009), gli oneri relativi alla sanita', al trasporto
pubblico locale e alla continuita' territoriale sono venuti a gravare
sul bilancio della regione Sardegna», mentre «sul fronte delle
entrate [...] lo Stato non ha trasferito alla regione le risorse
corrispondenti alle maggiori compartecipazioni al gettito dei tributi
erariali, cosi' come previsto dall'art. 8 dello statuto». In ragione
di questa circostanza, ha affermato codesto Ecc.mo collegio, persiste
«uno stato di incertezza che determina conseguenze negative sulle
finanze regionali, alle quali occorre tempestivamente porre rimedio,
trasferendo, senza ulteriore indugio, le risorse determinate a norma
dello statuto», onde scongiurare una vera e propria «emergenza
finanziaria in Sardegna» che «il ritardo accumulato sta determinando»
(cosi' ancora la sentenza n. 95 del 2013).
Ebbene, e' assolutamente evidente che l'accantonamento
dell'illegittimo contributo di cui al comma 3 dell'art. 16 del
decreto-legge n. 95 del 2012 sulle quote di compartecipazione alle
entrate erariali aggrava, una volta di piu', l'«emergenza
finanziaria» dovuta all'inerzia dello Stato nel dare esecuzione
all'art. 8 dello statuto.
Anche per tale profilo, dunque, le disposizioni impugnate violano
l'art. 8 dello statuto, diminuendo le somme che lo Stato (avendole
espressamente considerate necessarie perche' la regione svolgesse le
sue funzioni) deve liquidare alla regione in ossequio al regime di
compartecipazione al gettito delle entrate erariali. Di conseguenza,
e' ulteriormente pregiudicata l'autonomia finanziaria della regione
e, sempre di conseguenza, sono violati gli articoli 7 e 8 dello
statuto e 119 Cost., che tale autonomia fondano e tutelano.
Violato e', altresi', il principio di leale collaborazione, in
relazione all'art. 8 dello statuto, perche' il contributo alla
finanza pubblica e' fatto valere direttamente sulle quote di
compartecipazione alle entrate erariali nonostante che lo Stato,
sottraendosi al dovere di leale collaborazione, non abbia ancora dato
completa esecuzione al nuovo regime delle medesime, fissato, appunto,
dall'art. 8. Ne consegue che, se il principio di leale
collaborazione, in linea di massima, non e' invocabile nei giudizi in
via principale, tanto non vale in questo caso, perche' l'aver
sostanzialmente recepito la situazione determinata da una pratica
amministrativa illegittima per violazione del principio di leale
collaborazione fa si' che il vizio si riverberi anche sulla legge
stessa.
1.2.3. - Infine, come gia' si diceva, si deve considerare che, in
ragione delle disposizioni qui impugnate, il contributo straordinario
di cui all'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, puo'
essere fatto valere anche sulle risorse del «Fondo per lo sviluppo e
la coesione». Detto fondo, disciplinato dagli articoli 2 e seguenti
del decreto legislativo n. 88 del 2011, e' destinato «a rimuovere le
disuguaglianze di capacita' amministrativa per l'equilibrata
attuazione del titolo V della Costituzione nonche' alle spese per lo
sviluppo ammesse dai regolamenti dell'Unione europea» (art. 2, comma
1, del decreto legislativo n. 88 del 2011), onde «perseguire anche la
perequazione infrastrutturale» (art. 1, comma 2, del decreto
legislativo n. 88 del 2011). Il Fondo, dunque, e' lo strumento
adottato dal legislatore per dare attuazione al principio di
perequazione territoriale fissato dall'art. 119, comma 3, Cost., ove
si prevede che «la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo,
senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacita'
fiscale per abitante».
Tutto cio' premesso, appare evidente che le disposizioni in esame
violano l'art. 119, comma 3, Cost., perche' consentono che
addirittura il Fondo per lo sviluppo e la coesione sia depauperato in
ragione di un contributo di finanza pubblica illegittimo.
Dato che il Fondo per la coesione e lo sviluppo e' destinato a
perseguire la «perequazione infrastrutturale», e' violato anche
l'art. 8 dello statuto, che alla lettera i) del comma 1 prevede che
tra le entrate della regione vi siano anche «contributi straordinari
dello Stato per particolari piani di opere pubbliche».
Infine, e' evidente che il depauperamento della parte del Fondo
per lo sviluppo e la coesione destinato agli interventi perequativi
nel territorio regionale sardo, lede ulteriormente l'autonomia
finanziaria della regione Sardegna e, con essa, gli articoli 7 e 8
dello statuto e 119 della Costituzione.
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 5-bis, del
decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, pubblicato in Gazzetta Ufficiale
8 aprile 2013, n. 82, convertito in legge 6 giugno 2013, n. 64,
pubblicata in Gazzetta Ufficiale 7 giugno 2013, n. 132, per un
ulteriore profilo. Violazione del principio di ragionevolezza di cui
all'art. 3 Cost., del principio di leale collaborazione di cui agli
articoli 5 e 117 Cost., degli articoli 81, 117 e 119 Cost. (anche in
combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del
2001) e degli articoli 7 e 8 della legge costituzionale n. 3 del
1948, recante statuto speciale per la Sardegna, anche in relazione
all'art. 1 della legge n. 182 del 2012. Una seconda ragione di
doglianza concerne il comma 5-bis dell'art. 11 del decreto-legge n.
35 del 2013, nella parte in cui disciplina l'adeguamento del patto di
stabilita' fra lo Stato e la regione Sardegna, in particolare laddove
rinvia alle «procedure» di cui all'art. 27 della legge n. 42 del
2009.
2.1. - Sul punto e' necessaria una premessa. In questa parte il
comma 5-bis dell'art. 11 del decreto-legge n. 35 del 2013 si
inserisce nel lungo contenzioso sorto tra la regione autonoma della
Sardegna e lo Stato (in particolare, il Ministero dell'economia e
delle finanze), relativo agli effetti derivanti sul regime
finanziario della regione dalla riforma delle entrate regionali
introdotta con l'art. 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006 (che
ha riscritto l'art. 8 dello statuto, rendendo piu' favorevole il
regime della compartecipazione regionale alle entrate erariali).
Detto contenzioso ha interessato tre distinti profili, tutti portati
all'attenzione della Corte costituzionale.
In primo luogo, codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha affermato
che la regione puo' (e deve) appostare in bilancio le maggiori somme
derivanti dalla riforma dell'art. 8 dello statuto (sentenza n. 99 del
2012). In secondo luogo ha affermato che «il contenuto dell'accordo»
sul patto di stabilita' «deve essere conforme e congruente con le
norme statutarie della regione, ed in particolare con l'art. 8 dello
statuto modificato - per effetto del meccanismo normativo introdotto
dall'art. 54 dello statuto stesso - dall'art. 1, comma 834, della
legge 27 dicembre 2006, n. 296», che «ha rideterminato e quantificato
le entrate tributarie e la loro misura di pertinenza della regione
autonoma Sardegna» (sentenza n. 118 del 2012). Infine, ha affermato
che «l'inerzia statale» nel conferire le somme di spettanza alla
regione Sardegna ha determinato «conseguenze negative sulle finanze
regionali, alle quali occorre tempestivamente porre rimedio,
trasferendo, senza ulteriore indugio, le risorse determinate a norma
dello statuto» (sentenza n. 95 del 2013).
Il legislatore statale ha dovuto adeguarsi ai richiami
dell'Ecc.mo collegio. Dapprima, «nell'adottare disposizioni per
l'assestamento del bilancio per l'anno finanziario 2012, con la legge
16 ottobre 2012, n. 182, ha destinato 1.383.000.000 euro al fine di
devolvere alla regione il gettito delle entrate erariali ad essa
spettanti in quota fissa e variabile» (cosi' la recentissima sentenza
n. 95 del 2013, resa inter partes), in ossequio alla riforma
dell'art. 8 dello statuto. Adesso, come si accennava in narrativa,
con l'art. 11, comma 5-bis del decreto-legge n. 35 del 2013 ha
imposto (per meglio dire: come si e' gia' osservato, esplicitato
un'imposizione gia' derivante dallo statuto e dalla giurisprudenza
costituzionale) ai competenti uffici del Ministero di concordare con
la regione Sardegna una formulazione del patto di stabilita' interno
che sia coerente e congruente con il nuovo regime delle entrate
regionali, in modo da assicurare alla regione la possibilita' di
effettivo utilizzo delle risorse di spettanza, cosi' applicando i
principi gia' statuiti dall'Ecc.mo collegio con la sopra citata
sentenza n. 118 del 2012 (non a caso richiamata anche nel testo della
legge).
2.1.1. - Come si e' gia' visto in narrativa, l'art. 27 della
legge n. 42 del 2009, cui rimanda il comma 5-bis dell'art. 11 del
decreto-legge n. 35 del 2013, prevede che il quadro generale della
legislazione statale e regionale inerenti i rapporti finanziari tra
lo Stato e le autonomie speciali (in particolar modo relative al
«conseguimento degli obiettivi di perequazione», al «patto di
stabilita' interno» e all'assolvimento «degli obblighi posti
dall'ordinamento comunitario») sia disegnato da norme di attuazione
dei rispettivi statuti. Ivi, infatti, si stabilisce che «Le regioni a
statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel
rispetto degli statuti speciali, concorrono al conseguimento degli
obiettivi di perequazione e di solidarieta' ed all'esercizio dei
diritti e doveri da essi derivanti, nonche' al patto di stabilita'
interno e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento
comunitario, secondo criteri e modalita' stabiliti da norme di
attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure
previste dagli statuti medesimi, e secondo il principio del graduale
superamento del criterio della spesa storica di cui all' art. 2,
comma 2, lettera m)».
Nel caso della regione Sardegna, l'art. 56 della legge
costituzionale n. 3 del 1948 prevede che: a) «Una commissione
paritetica di quattro membri [...] proporra' le norme relative al
passaggio degli uffici e del personale dallo Stato alla regione,
nonche' le norme di attuazione del presente statuto» (comma 1); b)
«Tali norme saranno sottoposte al parere della consulta o del
consiglio regionale e saranno emanate con decreto legislativo» (comma
2).
Il senso del rinvio all'art. 27 della legge n. 42 del 2009 e' di
difficile lettura. Nondimeno, in assenza di qualsivoglia
specificazione da parte della disposizione impugnata (che sarebbe
stata assolutamente indispensabile) deve ritenersi che ad esso sia
sottesa l'intenzione di imporre l'adozione delle citate norme di
attuazione prima che il patto di stabilita' tra Stato e regione
Sardegna sia finalmente adeguato al novellato art. 8 dello statuto
sardo. Conformemente a tale intenzione, l'obbligo, imposto in capo al
MEF, di concordare l'adeguamento del patto di stabilita' alle nuove
risorse finanziarie della regione appare sottoposto ad una condizione
sospensiva, che verra' meno solo al momento dell'emanazione del
decreto legislativo contenente le apposite norme di attuazione. Tale
condizione sospensiva, peraltro, si configura come meramente
potestativa, perche' rimessa alla volonta' dello Stato di approvare
(nella commissione paritetica) e poi di adottare in concreto la fonte
recante le norme di attuazione statutaria. Volonta', questa, che e'
tutt'altro che scontata (si consideri che ad oggi, dopo piu' di
quattro anni dall'entrata in vigore della legge n. 42 del 2009, non
sono state ancora adottate le norme di attuazione relative alla
perequazione fiscale e finanziaria per le regioni a statuto
speciale).
2.1.2. - Vero quanto precede, il comma 5-bis dell'art. 11 del
decreto-legge n. 35 del 2013, nella parte in cui richiama le
«procedure» di cui all'art. 27 della legge n. 42 del 2009 risulta
senz'altro pregiudizievole per la regione Sardegna.
E' opportuno osservare che il MEF, ogniqualvolta ha opposto il
proprio diniego alle proposte della regione Sardegna in tema di patto
di stabilita', ha costantemente affermato che «in assenza di una
disposizione legislativa che preveda misure compensative a favore di
codesta regione, si ritiene che, a livello tecnico, non sussistano
margini per un ampliamento del tetto dei pagamenti» (cfr. nota della
Ragioneria generale dello Stato prot. n. 54891 del 17 luglio 2012 e,
in termini assolutamente analoghi, la nota prot. n. 50971 del 7
giugno 2011). In altri termini: il MEF ha costantemente ritenuto
necessaria una specifica intermediazione legislativa perche' potesse
darsi compiuta esecuzione al nuovo art. 8 dello statuto.
Anche l'Avvocatura generale dello Stato, nel proporre questione
di legittimita' costituzionale in via principale dell'art. 3 della
legge regionale Sardegna n. 12 del 2011 (che ha introdotto l'obbligo
per la regione di appostare nel bilancio le somme derivanti dal
novellato art. 8 dello statuto), ha affermato che quell'articolo
avrebbe disciplinato «unilateralmente con legge regionale aspetti
demandati a norme di attuazione dello statuto speciale di autonomia,
consentendo di derogare alle vigenti norme di attuazione dell'art. 8
dello statuto speciale di autonomia, contenute negli articoli da 32 a
38 del decreto del Presidente della Repubblica n. 250/1949» (cfr. gli
atti relativi al ricorso iscritto al R.Ric. n. 85 del 2011, che, nel
brano citato, riporta finanche testualmente il contenuto della
relazione del Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza
del Consiglio dei ministri, allegata alla delibera di impugnazione
della suddetta legge adottata dal Consiglio dei ministri in data 28
luglio 2011).
2.1.3. - E' evidente, dunque, che l'amministrazione statale
ritiene necessaria l'adozione di norme di attuazione statutaria per
l'esecuzione dell'art. 8 dello statuto. Questo orientamento risulta
seguito anche da una recente sentenza del TAR della Sardegna (che ci
si riserva di gravare di apposito appello), adito dall'odierna
ricorrente per l'annullamento della sopra citata nota della
Ragioneria generale dello Stato, prot. n. 54891 del 17 luglio 2012,
con la quale il MEF ha opposto il proprio diniego alla richiesta
della regione Sardegna di adeguamento del patto di stabilita' interno
al novellato art. 8 dello statuto. In particolare, il TAR
cagliaritano, dopo aver (giustamente) ricordato che «L'art. 1, comma
834, legge n. 296/2006, ha apportato modifiche al sistema di
finanziamento della regione Sardegna novellando l'art. 8 dello
statuto speciale», ha (erroneamente) affermato, «con cio'
condividendo la posizione espressa dal Ministero, che la sopra
menzionata disposizione necessiti di attuazione», che vi sarebbe «la
previa necessita' di un'intermediazione legislativa dell'art. 8 dello
statuto onde poter adeguare i profili di spesa alle nuove maggiori
disponibilita' finanziarie, nel rispetto dell'ineludibile principio
dell'equilibrio del bilancio» (sentenza 26 luglio 2013, n. 574).
2.1.4. - Ora, a fronte di questo ripetuto comportamento, il
rinvio alla legge n. 42 del 2009 da parte della disposizione
impugnata, in mancanza di una contraria ed esplicita indicazione
legislativa, cela l'intenzione di un'ulteriore dilazione e fa si' che
la regione autonoma della Sardegna sia costretta ad impugnare l'art.
11, comma 5-bis, del decreto-legge n. 35 del 2013 anche nella parte
in cui sottopone l'obbligo del MEF di concordare l'adeguamento del
patto di stabilita' della regione alla condizione della previa
emanazione di norme di attuazione dello statuto sardo. Tanto, per i
seguenti motivi.
2.2. - L'art. 8 dello statuto dispone che «Le entrate della
regione sono costituite: a) dai sette decimi del gettito delle
imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone
giuridiche riscosse nel territorio della regione; b) dai nove decimi
del gettito delle imposte sul bollo, di registro, ipotecarie, sul
consumo dell'energia elettrica e delle tasse sulle concessioni
governative percette nel territorio della regione; c) dai cinque
decimi delle imposte sulle successioni e donazioni riscosse nel
territorio della regione; d) dai nove decimi dell'imposta di
fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percetta nel
territorio della regione; e) dai nove decimi della quota fiscale
dell'imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli
dei tabacchi consumati nella regione; f) dai nove decimi del gettito
dell'imposta sul valore aggiunto generata sul territorio regionale da
determinare sulla base dei consumi regionali delle famiglie rilevati
annualmente dall'ISTAT; g) dai canoni per le concessioni
idroelettriche; h) da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi
propri che la regione ha facolta' di istituire con legge in armonia
con i principi del sistema tributario dello Stato; i) dai redditi
derivanti dal proprio patrimonio e dal proprio demanio; l) da
contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere
pubbliche e di trasformazione fondiaria; m) dai sette decimi di tutte
le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad
eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici.
Nelle entrate spettanti alla regione sono comprese anche quelle
che, sebbene relative a fattispecie tributarie maturate nell'ambito
regionale, affluiscono, in attuazione di disposizioni legislative o
per esigenze amministrative, ad uffici finanziari situati fuori del
territorio della regione».
Gia' ad una prima lettura le disposizioni ora riportate si
presentano come immediatamente precettive in merito alla regolazione
degli accertamenti delle compartecipazioni regionali ai tributi
erariali. Esse, nell'enumerare le fonti delle entrate tributarie e
patrimoniali della regione Sardegna e le quote di compartecipazione
alle entrate erariali dello Stato, non prevedono alcun trasferimento
di funzioni amministrative, ne' alcun esercizio coordinato delle
medesime, ne' - quindi - subordinano lo svolgimento di alcuna
attribuzione regionale alla previa adozione di norme di attuazione.
Di conseguenza, allo Stato non rimarrebbe che prendere atto del
nuovo contesto normativo previsto dalle fonti di rango costituzionale
e adeguarvi il bilancio statale, procedere alla coerente
determinazione dei saldi di finanza pubblica e provvedere alla
materiale liquidazione delle somme spettanti alla regione Sardegna.
Sempre di conseguenza, lo Stato dovrebbe prendere atto del nuovo
contesto normativo nel concordare con la regione ricorrente
l'adeguamento del patto di stabilita' alle nuove entrate che lo
statuto garantisce.
2.3. - E' orientamento consolidato nella giurisprudenza
costituzionale che gli statuti delle regioni autonome sono pienamente
cogenti e immediatamente esecutivi senza la necessaria interposizione
di norme di attuazione (cfr. sentenze n. 58 del 1958, n. 136 del
1969, n. 108 del 1971, n. 312 del 1983), proprio le pronunce piu'
recenti relative ai rapporti finanziari tra Stato e Sardegna
confortano nell'assunto ora riferito.
Anzitutto, con la sentenza n. 99 del 2012, codesta Ecc.ma Corte
ha rigettato il sopra menzionato ricorso dell'Avvocatura erariale
avverso l'art. 3 della legge regionale Sardegna n. 3 12 del 2011,
rilevando che «il ricorrente, [...] pur evocando gli articoli 4, 5 e
56 dello statuto, omette di argomentare le ragioni per le quali alla
regione non dovrebbe spettare il potere di quantificare l'ammontare
delle compartecipazioni ai tributi erariali, al fine di redigere il
bilancio di previsione». Questa pronuncia, per quanto sia di
inammissibilita' del gravame allora proposto, e' significativa,
proprio perche' riconosce che e' priva di fondamento l'intera
impostazione del problema dell'esecuzione dell'art. 8 dello statuto,
fatta propria tanto dall'Avvocatura dello Stato in sede contenziosa,
quanto dal Ministero dell'economia e delle finanze in sede di
trattative sulla determinazione del patto di stabilita' per la
regione Sardegna.
Nella gia' riportata sentenza n. 118 del 2012, poi, resa proprio
in tema di patto di stabilita' della regione Sardegna seguente alla
riforma dell'art. 8 dello statuto, codesta Ecc.ma Corte
costituzionale ha affermato che sono (solo) lo stesso art. 8 dello
statuto e le disposizioni di legge relative agli obblighi di finanza
pubblica delle regioni che «costituiscono, nel loro complesso, il
quadro normativo di riferimento della finanza regionale della
Sardegna», sicche' «il combinato delle suddette disposizioni in
materia di entrata e spesa compone dunque la disciplina delle
relazioni finanziarie tra Stato e regione autonoma».
Piu' specificamente, come si e' gia' avuto modo di osservare,
nella medesima sentenza si e' affermato che, «l'equilibrio del
bilancio [...] non potra' che realizzarsi all'interno dello spazio
finanziario delimitato, in modo compensativo, dalle maggiori risorse
regionali risultanti dalla entrata in vigore dell'art. 8 dello
statuto (con decorrenza dal 1° gennaio 2010 per effetto dell'art. 1,
comma 838, della legge n. 296 del 2006) e dalla riduzione della spesa
conseguente alla applicazione del patto di stabilita' 2011».
Peraltro, proprio nella pronuncia ora in esame e' stato ben
chiarito che l'aumento delle entrate regionali produce effetti
immediati anche sul versante della spesa: «E' infatti di palmare
evidenza che proprio il principio inderogabile dell'equilibrio in
sede preventiva del bilancio di competenza comporta che non possono
rimanere indipendenti e non coordinati, nel suo ambito, i profili
della spesa e quelli dell'entrata».
Non basta. Nella recentissima sentenza n. 95 del 2013, poi,
codesto Ecc.mo collegio ha osservato che sussiste «un annoso
contrasto tra la regione Sardegna e lo Stato su cui la Corte e' stata
gia' piu' volte chiamata a pronunciarsi (a partire dalla sentenza n.
213 del 2008 e, anche recentemente, con le sentenze n. 99 e n. 118
del 2012)». In particolare, «la causa del contenzioso e' legata al
ritardo nell'esecuzione del nuovo sistema di finanziamento della
regione Sardegna, previsto dall'art. 1, commi 834-840, della legge 27
dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), che ha
modificato l'art. 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3
(statuto speciale per la Sardegna)» (sentenza n. 95 del 2013).
Tanto perche' - si legge ancora nella sentenza n. 95 del 2013 -
«negli anni seguenti alla novella legislativa del 2006, le nuove
previsioni [relative ai rapporti economico-finanziari tra Stato e
regione] hanno ricevuto puntuale attuazione sul versante delle spese,
con la conseguenza che, a decorrere dalla scadenza del periodo
transitorio (2009), gli oneri relativi alla sanita', al trasporto
pubblico locale e alla continuita' territoriale sono venuti a gravare
sul bilancio della regione Sardegna», mentre «sul fronte delle
entrate [...] lo Stato non ha trasferito alla regione le risorse
corrispondenti alle maggiori compartecipazioni al gettito dei tributi
erariali, cosi' come previsto dall'art. 8 dello statuto, sostenendo
che, per individuare esattamente l'ammontare dovuto, sarebbero
occorse ulteriori norme attuative».
Codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha censurato la condotta
ambivalente dello Stato, che da una parte ha immediatamente onerato
la regione di nuove e assai complesse e costose funzioni pubbliche,
dall'altra si e' rifiutato di versare alla regione stessa quanto di
sua spettanza. Ed e' decisivo osservare che nella sentenza n. 95 del
2013 si afferma che «l'inerzia statale troppo a lungo ha fatto
permanere uno stato di incertezza che determina conseguenze negative
sulle finanze regionali, alle quali occorre tempestivamente porre
rimedio, trasferendo, senza ulteriore indugio, le risorse determinate
a norma dello statuto».
Ebbene, se senza alcun indugio debbono essere trasferite le somme
spettanti alla Sardegna in ragione dell'art. 8 dello statuto, sempre
senza indugio lo Stato deve consentire alla regione di impiegare
quelle somme, che sono necessarie per la tutela dei diritti e degli
interessi costituzionalmente protetti dei cittadini sardi e per il
corretto svolgimento delle funzioni pubbliche assegnate alla regione
dalla Costituzione, dallo statuto, dalla legge.
Non basta ancora. Come e' ricordato sempre nella sentenza n. 95
del 2013, «il legislatore statale, nell'adottare disposizioni per
l'assestamento del bilancio per l'anno finanziario 2012, con la legge
16 ottobre 2012, n. 182 (Disposizioni urgenti in materia di
trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici), ha operato gli
aggiustamenti contabili necessari all'esecuzione del dettato
dell'art. 8 dello statuto Sardegna. In particolare il legislatore
statale risulta aver destinato 1.383.000.000 euro al fine di
«devolvere alla regione il gettito delle entrate erariali ad essa
spettanti in quota fissa e variabile»».
E', dunque, acclarato che il legislatore statale ha gia'
provveduto ad adeguare il bilancio statale al nuovo art. 8 dello
statuto sardo, determinando di conseguenza i coerenti saldi di
finanza pubblica.
Nulla piu' era necessario per procedere all'adeguamento del patto
di stabilita' tra lo Stato e la Sardegna.
2.4. - L'art. 11, comma 5-bis, del decreto-legge n. 35 del 2013,
nella parte in cui manifesta l'intenzione di subordinare l'efficacia
dell'art. 8 dello statuto sardo all'adozione di norme di attuazione
statutaria, e' violativo del ricordato art. 8 dello statuto, perche'
di fatto consente allo Stato di astenersi dal darvi compiuta e
immediata esecuzione nelle more dell'adozione di tali norme di
attuazione. Norme che, invece, non sono necessarie per regolare i
rapporti finanziari tra Stato e regione in una fattispecie come la
presente, nella quale tutto e' gia' stato definito da altre fonti
costituzionali e legislative.
Di conseguenza, sono violati anche l'art. 7 dello statuto e
l'art. 119 Cost., che riconoscono e tutelano l'autonomia finanziaria
della regione, anche perche' il mancato adeguamento del patto di
stabilita' regionale al nuovo art. 8 dello statuto impedisce alla
regione di esercitare le sue attribuzioni costituzionali e statutarie
per il versante della spendita delle risorse di spettanza.
Gli articoli 7 e 8 dello statuto e 119 Cost. sono violati anche
in relazione all'art. 1 della legge n. 182 del 2012, che ha inserito
nel bilancio statale le somme per finanziare il nuovo regime delle
entrate regionali di cui all'art. 8 dello statuto, per la semplice
ragione che rende quelle somme non utilizzabili dalla regione
Sardegna per lo svolgimento delle funzioni pubbliche che le sono
attribuite dalla Costituzione, dallo statuto e dalla legge.
Per ragioni analoghe, gli articoli 7 e 8 dello statuto e 119
Cost. sono violati anche in combinato disposto con l'art. 81 Cost.,
che fissa il principio dell'equilibrio di bilancio. Tanto, perche' il
mancato adeguamento del patto di stabilita' regionale (oggi
sottoposto alla condizione incerta an e incerta quando dell'adozione
di norme di attuazione statutaria) spezza il legame di coerenza che
vi deve essere tra «i profili della spesa e quelli dell'entrata» nel
bilancio regionale.
Violato e' anche il principio di leale collaborazione tra Stato e
regione, di cui all'art. 117 Cost., in combinato disposto con gli
articoli 7 e 8 dello statuto. Come e' stato gia' accennato supra, il
principio di leale collaborazione non puo' essere invocato come vizio
formale della legge, ma puo' esserlo come vizio materiale delle
disposizioni impugnate (da ultimo, cfr. la sentenza n. 230 del 2013,
resa inter partes). Tale e' il caso in esame, perche' la disposizione
impugnata, richiedendo la previa emanazione di norme di attuazione
statutaria ex art. 27 della legge n. 42 del 2009, sottrae lo Stato ad
un obbligo (convenire con la regione sull'adeguamento del patto di
stabilita' al novellato art. 8 dello statuto) che gli deriva da fonti
di rango costituzionale (articoli 7 e 8 della legge costituzionale n.
3 del 1948).
Violato, infine, e' anche il generale principio di ragionevolezza
di cui all'art. 3 Cost., in combinato disposto con gli articoli 7 e 8
dello statuto sardo. Infatti, la disposizione impugnata e'
evidentemente contraddittoria, in quanto:
a) da una parte impone al MEF di concordare con la regione entro
un preciso limite temporale l'adeguamento del patto di stabilita'
all'art. 8 dello statuto, ma dall'altra subordina (e di fatto rinvia
sine die) detto adeguamento all'adozione di nonne di attuazione
statuaria non necessarie;
b) richiama la sentenza di codesta Ecc.ma Corte n. 118 del 2012,
postulando l'esecuzione dei principi ivi stabiliti, ma
contemporaneamente li pone nel nulla, rinviando sine die
l'adeguamento del patto di stabilita';
c) come si e' gia' detto, sulla scorta della sentenza n. 95 del
2013, il legislatore statale, con la legge n. 182 del 2012, ha
«operato gli aggiustamenti contabili necessari all'esecuzione del
dettato dell'art. 8 dello statuto Sardegna», cosi' provvedendo ad
adeguare il bilancio statale al nuovo art. 8 dello statuto sardo e
determinando di conseguenza i coerenti saldi di finanza pubblica.
Essendo gia' stati disposti, dunque, i dovuti adeguamenti del
bilancio statale, la previsione di ulteriori norme di attuazione
statutaria per dare seguito al medesimo art. 8 dello statuto risulta
illegittima anche per l'intrinseca contraddittorieta' che manifesta,
ritardando l'esecuzione di obblighi di legge e impedendo alla regione
di esercitare la sua autonomia finanziaria in attesa di ulteriori
adempimenti assolutamente non necessari.
2.5. - Si badi: un possibile equivoco deve essere subito rimosso.
La regione Sardegna, chiedendo che le sia finalmente riconosciuto il
diritto all'adeguamento del patto di stabilita' alle nuove condizioni
statutarie e legislative, senza ulteriori dilazioni connesse
all'adozione di non necessarie norme di attuazione statutaria, non
intende minimamente sottrarsi agli oneri di partecipazione al
riequilibrio della finanza pubblica che gravano su tutte le autonomie
speciali. Tali oneri, infatti, si applicano sulla base dei patti di
stabilita' vigenti. Il problema, per la regione Sardegna, e' che tale
patto di stabilita', nonostante i ripetuti sforzi, anche in sede
giurisdizionale, non e' stato adeguato ai parametri di rango
costituzionale. Nulla di piu'.
2.6. - La regione ricorrente e' tenuta, infine, a precisare che
il presente motivo di ricorso ben avrebbe potuto non essere proposto,
ove lo Stato avesse prospettato e condiviso un'interpretazione del
rinvio all'art. 27 della legge n. 42 del 2009 secundum
Constitutionem. Almeno per doveroso tuziorismo, pero', il motivo va
tenuto fermo, perche' di tale condivisione non v'e' sicura traccia
nella disposizione impugnata (che bene avrebbe potuto - e dovuto -
dare indicazioni chiare in proposito), ne' ve ne sono le avvisaglie
nel concreto comportamento dello Stato, che - come gia' detto - si e'
costantemente nascosto dietro l'asserita necessita' di un'ulteriore
intermediazione legislativa per la compiuta esecuzione dell'art. 8
dello statuto.
P. Q. M.
Chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento
del presente ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita'
costituzionale degli articoli 11, comma 5-bis e 8, del decreto-legge
8 aprile 2013, n. 35, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 8 aprile 2013,
n. 82, convertito in legge 6 giugno 2013, n. 64, pubblicata in
Gazzetta Ufficiale 7 giugno 2013, n. 132, per violazione del
principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., del principio di
leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 117 Cost., degli
articoli 81, 117 e 119 Cost., anche in combinato disposto con l'art.
10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, e degli articoli 6, 7 e
8 della legge costituzionale n. 3 del 1948, recante statuto speciale
per la Sardegna, anche in relazione all'art. 1 della legge n. 182 del
2012.
Si produce la deliberazione della giunta regionale della regione
autonoma della Sardegna di proposizione del gravame e di conferimento
dell'incarico defensionale.
Cagliari-Roma, 4 agosto 2013
L'avvocato: Ledda
L'avvocato professore: Luciani