Ricorso n. 80 del 19 novembre 2003 (Regione Marche)
N. 80 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 19 novembre 2003.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 19 novembre 2003 (della Regione Marche)
(GU n. 50 del 17-12-2003)
Ricorso per la Regione Marche, in persona del presidente pro
tempore della giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazione
della giunta regionale n. 1495 del 4 novembre 2003, rappresentato e
difeso dall'avv. prof. Stefano Grassi ed elettivamente domiciliato
presso il suo studio in Roma, piazza Barberini n. 12, come da procura
speciale per atto del notaio dott.ssa Simonetta Sabatini di Ancona,
n. rep. 39063 del 10 novembre 2003;
Contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei
ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita'
costituzionale degli artt. 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95 e
dell'allegato n. 13 del decreto legislativo 10 agosto 2003, n. 259,
recante «Codice delle comunicazioni elettroniche», pubblicato nel
supplemento ordinario n. 150 alla Gazzetta Ufficiale n. 214 del 15
settembre 2003, per violazione degli artt. 117, 118 e 119 della
Costituzione.
1. - Oggetto del ricorso.
1.1. - Il 1° agosto 2003 e' stato emanato il decreto legislativo
n. 259, con cui il Governo ha esercitato la delega legislativa
contenuta nell'art. 41 della legge 1° agosto 2002, n. 166, per il
riassetto delle disposizioni vigenti conseguenti al recepimento delle
direttive comunitarie relative all'accesso alle reti di comunicazione
elettronica (direttiva 2002/19/CE), alle autorizzazioni per le reti e
i servizi di comunicazione elettronica (direttiva 2002/20/CE), al
quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione
elettronica (direttiva 2002/21/CE), al servizio universale e ai
diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione
elettronica (direttiva 2002/22/CE).
Il titolo II del decreto legislativo in esame riguarda «le reti e
servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico». Il capo V reca
«disposizioni relative a reti ed impianti».
Il capo V riproduce in gran parte il contenuto del decreto
legislativo n. 198/2002, impugnato dalla Regione Marche, di cui la
Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale con la sentenza
n. 303/2003 per eccesso di delega.
Le norme del decreto legislativo qui impugnato, che riproducono
nella sostanza le disposizioni del decreto n. 198/2002, sono lesive
delle competenze costituzionalmente attribuite alla Regione Marche
sia per gli stessi motivi gia' evidenziati nel suo precedente ricorso
assorbiti nella decisione di annullamento di cui alla sentenza
n. 303/2003, sia per gli ulteriori profili che vengono qui
denunciati.
1.2. - Con il presente ricorso, in particolare, la Regione Marche
contesta la legittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni
del decreto impugnato:
l'art. 86 che reca disposizioni sulle «infrastrutture di
comunicazione elettronica e i diritti di passaggio» e prevede che le
autorita' competenti alla gestione del suolo pubblico adottino senza
indugio le occorrenti decisioni e rispettino procedure trasparenti,
pubbliche e non discriminatorie ai sensi dei successivi artt. 87, 88
e 89 nell'esaminare le domande per la concessione del diritto di
installare infrastrutture (comma 1); la norma aggiunge che «sono in
ogni caso fatti salvi gli accordi stipulati fra gli enti locali e gli
operatori per quanto attiene alla localizzazione, coubicazione e
condivisione delle infrastrutture di comunicazione elettronica»
(comma 2); il comma 3 riproduce l'art. 3, comma 3, del decreto
n. 198/2002 sull'assimilazione delle reti pubbliche di comunicazione
alle opere di urbanizzazione primaria di cui all'art. 16, comma 7,
del d.P.R. n. 380/2001; il comma 4, riproducendo l'art. 4, comma 3,
del decreto n. 198/2002, precisa che restano ferme le disposizioni a
tutela dei beni ambientali e culturali contenute nel decreto
legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, nonche' le disposizioni a tutela
delle servitu' militari di cui alla legge 24 dicembre 1976, n. 898;
il comma 5 riguarda la posa dei cavi sottomarini di comunicazione
elettronica e dei relativi impianti, rinviando alla legge 5 maggio
1989, n. 160 ed al codice della navigazione; il comma 6 affida
all'Autorita' il compito di vigilare affinche', laddove le
amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i comuni o gli
altri Enti locali mantengano la proprieta' o il controllo di imprese
che forniscono reti o servizi di comunicazione elettronica, vi sia
un'effettiva separazione strutturale tra la funzione attinente alla
concessione dei diritti di cui al comma 1 e le funzioni attinenti
alla proprieta' od al controllo; il comma 7 prevede che per i limiti
di esposizione ai campi elettromagnetici, i valori di attenzione e
gli obiettivi di qualita' si applicano le disposizioni di attuazione
di cui all'art. 4, comma 2, lettera a) della legge 22 febbraio 2001,
n. 36; il comma 8 stabilisce che gli operatori di reti radiomobili di
comunicazione elettronica ad uso pubblico provvedono ad inviare ai
comuni ed ai competenti ispettorati territoriali del Ministero la
descrizione di ciascun impianto installato, sulla base dei modelli A
e B dell'allegato 13 al decreto e che i soggetti interessati alla
realizzazione delle opere di cui agli artt. 88 e 89 trasmettono al
Ministero copia dei modelli C e D dello stesso allegato 13 al
decreto; il Ministero puo' a sua volta delegare ad altro Ente la
tenuta degli archivi telematici di tutte le comunicazioni
trasmessegli;
l'art. 87 del decreto disciplina i «procedimenti
autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione
elettronica per impianti radioelettrici» e riproduce integralmente
l'art. 4, comma 1, l'art. 5 e l'art. 6 del decreto n. 198/2002; si
tratta delle disposizioni che prevedono che l'installazione delle
infrastrutture per impianti radioelettrici e le relative modifiche
siano autorizzate dagli enti locali, previo accertamento del rispetto
di limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di
qualita' stabiliti uniformemente a livello nazionale (comma 1) e che
dettano una articolata disciplina di dettaglio sui procedimenti di
autorizzazione relativi alle infrastrutture di telecomunicazione per
impianti radioelettrici, prevedendo - tra l'altro - sia una forma di
autorizzazione sia una forma di denuncia di inizio di attivita',
addirittura secondo modelli predisposti e definiti nell'allegato 13
al decreto (commi 2-8) sia una forma di silenzio assenso
generalizzato sulle relative istanze (commi 9-10) in particolare si
prevede che ove un'amministrazione interessata abbia espresso
motivato dissenso, il responsabile del procedimento convoca una
conferenza di servizi e, in quella sede, l'approvazione del progetto
a maggioranza dei presenti sostituisce gli atti di competenza di ogni
Amministrazione e vale come dichiarazione di pubblica utilita',
indifferibilita' ed urgenza dei lavori; ove il dissenso sia espresso
da un'Amministrazione preposta alla tutela del vincolo ambientale
paesaggistico, la determinazione finale e' devoluta al Consiglio dei
ministri;
l'art. 88 del decreto riguarda le «Opere civili, scavi ed
occupazione di suolo pubblico» e recepisce integralmente l'art. 7
(commi 1-7 dell'art. 88) e l'art. 9 (commi 8-12 dell'art. 88) del
decreto n. 198/2002; in particolare la norma ripete la disciplina
puntuale delle modalita' - tra cui una particolare procedura di
conferenza di servizi - con le quali si possono autorizzare le opere
civili, gli scavi e l'occupazione di suolo pubblico funzionali alle
infrastrutture di comunicazione elettronica (commi 1-7), stabilisce
una procedura speciale per l'autorizzazione delle ex «reti dorsali»,
fissando anche regole perche' «le figure giuridiche soggettive alle
quali e' affidata la cura degli interessi pubblici», definiscano i
programmi di realizzazione o di manutenzione ordinaria o
straordinaria delle rispettive opere pubbliche, in modo da garantire
le esigenze di programmazione sia delle attivita' strumentali sia dei
programmi di installazione delle infrastrutture da parte dei titolari
di autorizzazione generale (commi 8-12) vengono allegati i modelli
per l'istanza di autorizzazione (modelli C e D dell'allegato 13);
l'art. 89 del decreto disciplina la «Coubicazione e
condivisione di infrastrutture» riproducendo integralmente, ai commi
3-5 l'art. 8 del decreto n. 198/2002 sulle regole di condivisione
dello scavo e di coubicazione dei cavi di comunicazione elettronica;
i commi 1 e 2 stabiliscono invece che l'Autorita' per le garanzie
nelle comunicazioni, anche mediante specifici regolamenti, mcoraggia
la coubicazione o la condivisione delle infrastrutture di
comunicazione elettronica e, quando gli operatori non dispongono di
valide alternative a causa delle esigenze connesse alla tutela
dell'ambiente, della salute pubblica, della pubblica sicurezza o
della realizzazione di obiettivi di pianificazione urbana o rurale,
l'Autorita' puo' richiedere ed eventualmente imporre la condivisione
di strutture o proprieta', compresa la coubicazione fisica, ad un
operatore che gestisce una rete di comunicazione elettronica e puo'
adottare ulteriori misure volte a facilitare il coordinamento dei
lavori, dopo un adeguato periodo di pubblica consultazione,
stabilendo altresi' i criteri per la ripartizione dei costi della
condivisione delle strutture o della proprieta';
l'art. 90 recante «Pubblica utilita' - Espropriazione»,
dispone che gli impianti di reti di comunicazione elettronica ad uso
pubblico, ovvero esercitati dallo Stato, e le opere accessorie
occorrenti per la funzionalita' di detti impianti hanno carattere di
pubblica utilita' ai sensi del testo unico sulle espropriazioni
(comma 1), quelli di uso esclusivamente privato possono invece essere
dichiarati di pubblica utilita' con decreto del Ministro delle
comunicazioni ove concorrano motivi di pubblico interesse (comma 2);
per l'acquisizione patrimoniale dei beni immobili necessari alla
realizzazione degli impianti si prevede che possa esperirsi la
procedura di esproprio prevista dal testo unico, dopo che siano
andati falliti, o non sia stato possibile effettuare i tentativi di
bonario componimento (comma 3);
l'art. 91 recante «Limitazioni legali della proprieta»
prevede disposizioni per facilitare il passaggio di fili o cavi,
l'appoggio di antenne, di sostegni, condutture o altri impianti, il
passaggio del personale esercente il servizio anche senza il consenso
del proprietario senza che questi abbia diritto ad alcuna indennita'
(commi 1-5); il comma 6 riproduce l'art. 11 del decreto n. 198/2002,
disponendo che l'operatore incaricato del servizio possa agire
direttamente in giudizio per far cessare eventuali impedimenti e
turbative al passaggio ed alla installazione delle infrastrutture;
l'art. 92 sotto la rubrica «Servitu», detta analoghe
disposizioni in tema di imposizione di servitu' per il passaggio dei
fili, cavi e di impianti connessi alle opere in questione e devolve
la giurisdizione in materia al giudice amministrativo, in via
esclusiva;
l'art. 93 recante «Divieto di imporre altri oneri» stabilisce
che le pubbliche amministrazioni, le Regioni, le Province ed i comuni
non possono imporre, per l'impianto di reti o per l'esercizio dei
servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano
stabiliti per legge (comma 1) il comma 2 della norma riproduce l'art.
10 del decreto n. 198/02, prevedendo che agli operatori che
forniscono reti di comunicazione elettronica puo' essere posto a
carico solo l'obbligo di tenere indenne l'ente locale, ovvero l'ente
proprietario, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione
delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di
installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d'arte le
medesime nei tempi stabiliti dall'ente locale, fatte salve le tasse
ed i canoni di occupazione;
l'art. 94 relativo alla «Occupazione di sedi autostradali da
gestire in concessione e di proprieta' dei concessionari», disciplina
l'imposizione di servitu' con decreto del Ministro delle
comunicazioni per la realizzazione e la manutenzione di reti di
comunicazione elettronica ad uso pubblico, lungo il percorso delle
autostrade, gestite in concessione e di proprieta' del
concessionario, all'interno delle reti di recinzione;
l'art. 95 infine, disciplina la materia degli «Impianti e
condutture di energia elettrica - Interferenze», prevedendo la
necessita' di chiedere all'Ispettorato del Ministero delle
comunicazioni il nullaosta sul progetto relativo a qualunque
costruzione, modifica o spostamento di condutture di energia
elettrica a qualunque uso destinate (commi 1-4) o di qualunque
tubazione metallica sotterrata a qualunque uso destinata (commi 5,
7); in caso di interferenze si richiede l'osservanza delle norme
generali per gli impianti elettrici del Comitato elettrotecnico
italiano del Consiglio nazionale delle ricerche (comma 8) nei casi in
cui, infine, a causa di impianti di energia elettrica si abbia un
turbamento del servizio di comunicazione elettronica, il Ministero
puo' promuovere lo spostamento degli impianti o altri provvedimenti
idonei con spese a carico di chi li rende necessari (comma 9).
1.3. - Le disposizioni ora ricordate del decreto legislativo
n. 259 del 1° agosto 2003 sono lesive:
a) della competenza legislativa regionale, cosi' come
individuata dal combinato disposto dell'art. 117, commi secondo,
terzo e quarto, quinto della Costituzione;
b) della competenza regolamentare regionale, cosi' come
individuata dall'art. 117, comma sesto, della Costituzione;
c) della competenza amministrativa regionale, cosi' come
individuata dall'art. 118, commi primo e secondo, della Costituzione;
d) dell'autonomia finanziaria regionale, cosi' come
individuata dall'art. 119 della Costituzione.
Illegittimita' degli artt. 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94 e
95 del d.lgs. n. 259/2003 per violazione della competenza legislativa
regionale ai sensi dell'art. 117, commi secondo, terzo e quarto,
quinto della Costituzione.
2. - Le norme del decreto impugnato, come gia' quelle del decreto
n. 198/02 di cui costituiscono in parte la reiterazione, investono
senza dubbio una materia, riguardante l'installazione di
infrastrutture di comunicazione elettronica, che rientra nella
competenza legislativa concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo
comma, nonche' nella competenza legislativa «residuale», ai sensi
dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione.
Infatti, la disciplina impugnata investe le materie
dell'«ordinamento della comunicazione» (per quanto attiene alla
natura degli impianti), del «governo del territorio» (per quanto
attiene alla localizzazione degli impianti e delle opere), della
«tutela della salute» (per i numerosi aspetti connessi all'esercizio
degli impianti) della «produzione, del trasporto e della
distribuzione nazionale dell'energia» (art. 117, terzo comma, della
Costituzione).
La disciplina appare per vari aspetti riconducibile anche alle
competenze residuali delle Regioni per le materie dell'urbanistica
dell'edilizia, dei lavori pubblici, dell'industria e del commercio,
non espressamente menzionate nei commi secondo e terzo dell'art. 117
e quindi comprese in tale competenza ai sensi del comma quarto dello
stesso art. 117 della Costituzione.
2.1. - La disciplina del decreto impugnato si pone chiaramente in
contrasto, in primo luogo, con il ruolo specificamente riservato allo
Stato nella legislazione concorrente; ruolo che la norma
costituzionale limita alla determinazione dei principi fondamentali
della materia e, dunque, solo agli aspetti relativi al «modo di
esercizio della potesta' legislativa regionale», senza «comportare
l'inclusione o l'esclusione di singoli settori dalla materia o
dall'ambito di essa». Piu' precisamente, si devono ritenere e
qualificare «principi fondamentali» - anche con riferimento alla
nuova formulazione dell'art. 117 della Costituzione - «solo i nuclei
essenziali del contenuto normativo che quelle disposizioni esprimono
per i principi enunciati o da esse desumibili» (Corte cost., sent.
n. 482 del 1985).
E' certo che i principi fondamentali stabiliti dalle leggi-quadro
nazionali debbano avere un «livello di maggior astrattezza» rispetto
alle regole positivamente stabilite dal legislatore regionale (Corte
cost., sent. n. 65 del 2001) e debbono comunque lasciare ampi spazi
decisionali agli organi rappresentativi della comunita' regionale,
nelle materie affidate costituzionalmente alla loro competenza
concorrente.
Anche ad ammettere che lo Stato abbia il potere di emanare
discipline autoapplicative o di dettaglio nelle materie di potesta'
legislativa concorrente, si deve ricordare che, per costante
giurisprudenza di questa Corte, tale potere si puo' estrinsecare solo
attraverso norme a carattere cedevole rispetto agli interventi del
legislatore regionale.
I principi fondamentali dovrebbero inoltre essere indirizzati in
primo luogo al legislatore regionale in modo che ne possa dare
attuazione mediante la legislazione di dettaglio.
Questi limiti costituzionali, previsti per l'intervento
legislativo statale in materie di competenza concorrente, sono stati
del tutto violati con l'approvazione del decreto qui impugnato.
Le norme del decreto sopra ricordate, infatti, recano una
disciplina dettagliata, autoapplicativa, non cedevole, direttamente
operante nei confronti dei privati, che non lascia alcuno spazio
all'intervento legislativo regionale.
Le Regioni vengono cosi' private del loro spazio di intervento
costituzionalmente garantito nella materia disciplinata dal decreto,
sacrificando in maniera del tutto illegittima ed incoerente, quel
contenuto minimo dell'autonomia legislativa regionale che, nelle
materie attribuite alla competenza legislativa concorrente delle
Regioni, il legislatore statale non puo' viceversa comprimere o
eliminare.
2.2. - La legge quadro n. 36 del 2001 aveva correttamente
previsto la competenza legislativa regionale nel definire le
modalita' per il rilascio delle autorizzazioni all'installazione
degli impianti, anche nell'ambito delle previgenti norme del Titolo V
della seconda parte della Costituzione. E' evidente come l'esclusione
della competenza regionale sia del tutto ingiustificata nel vigore
del nuovo art. 117 della Costituzione, che fra l'altro assegna alle
Regioni la competenza concorrente in materia di «ordinamento della
comunicazione».
L'assorbimento di ogni competenza regionale, nella definizione
delle procedure autorizzatorie da parte dello Stato, assume il
carattere di una vera e propria imposizione di scelte urbanistiche ed
edilizie, oltre che di scelte aventi specifica attinenza al settore
della comunicazione, in nessun modo filtrate da intese o forme di
coordinamento con le Regioni o gli enti locali, in sede di
localizzazione e definizione della disciplina urbanistica di queste
installazioni.
La competenza disegnata dalla legge n. 36/2001 e' stata
esercitata dalla Regione ricorrente con la legge regionale 13
novembre 2001, n. 25.
Tale competenza e' stata confermata anche da questa Corte nella
recente sentenza n. 307/2003, resa proprio sulla legittimita' di tale
legge regionale, in cui viene riconosciuto il ruolo della Regione
nella disciplina dell'uso del territorio in funzione della
localizzazione degli impianti, cioe' delle ulteriori misure e
prescrizioni dirette a ridurre il piu' possibile l'impatto negativo
degli impianti sul territorio. In particolare e' stata riconosciuta
la legittimita' delle norme regionali relative ai criteri di
localizzazione, agli standard urbanistici, alle prescrizioni e
incentivazioni all'utilizzo della migliore tecnologia disponibile e
alla cura dell'interesse regionale e locale all'uso piu' congruo del
territorio, sia pure nel quadro dei vincoli che derivano dalla
pianificazione nazionale delle reti e dei relativi parametri tecnici,
nonche' dai valori soglia stabiliti dallo Stato (in termini analoghi,
anche la recente pronuncia n. 311 del 7 novembre 2003).
Ancor piu' esplicitamente, nella sentenza n. 324 del 29 ottobre
2003, questa Corte ha chiarito che «gia' nella legislazione
precedente la riforma del Titolo V della seconda parte della
Costituzione, risultava espressamente riconosciuto un ruolo, per
quanto limitato, delle Regioni in tema di localizzazione dei siti
degli impianti di comunicazione. Tale ruolo e' oggi ancor piu'
innegabile sulla base dell'art. 117 della Costituzione, come
modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, che prevede fra
le materie di legislazione concorrente, non soltanto il «governo del
territorio» e la «tutela della salute», ma anche l'«ordinamento della
comunicazione».
Conseguentemente, non puo' escludersi una competenza della legge
regionale in materia, che si rivolga alla disciplina di quegli
aspetti della localizzazione e dell'attribuzione dei siti di
trasmissione che esulino da cio' che risponde propriamente a quelle
esigenze unitarie alla cui tutela sono preordinate le competenze
legislative dello Stato nonche' le funzioni affidate all'Autorita'
per le garanzie nelle comunicazioni».
L'eliminazione di tale competenza regionale ad opera della
disciplina di dettaglio e non cedevole contenuta nel decreto
impugnato, che vanifica del tutto la legge adottata dalla Regione
ricorrente, appare dunque in contrasto con la ratio e la lettera del
nuovo titolo V della Costituzione e si pone in diretto conflitto con
l'interpretazione datane da questa Corte.
2.3. - A ben vedere le norme del decreto impugnato investono
anche materie di competenza residuale come quelle dell'edilizia e
dell'urbanistica.
L'edilizia e l'urbanistica, in quanto materie non menzionate
negli elenchi di cui al secondo e terzo comma dell'art. 117 della
Costituzione, sono materie autonome e, in quanto tali, rientrano tra
le materie a competenza legislativa regionale residuale, a norma
dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione.
E' quanto si puo' desumere dagli stessi lavori preparatori della
legge costituzionale n. 3 del 2001, dal cui esame si evince la
volonta' di considerare l'urbanistica e l'edilizia come materie
soggette a riserva di legislazione regionale.
Nell'intenzione del revisore della Costituzione era chiara la
volonta' di attribuire alle Regioni un campo piu' ampio di
competenze: sarebbe stato singolare escludere tale ampliamento in un
settore che piu' di ogni altro gia' era stato affidato alla
competenza legislativa regionale. L'edilizia, infatti, ricomprende i
rapporti che si instaurano tra la pubblica amministrazione e quanti
intendano realizzare lavori od opere che trasformino il territorio ed
e' stata fin qui disciplinata dalle Regioni in quanto compresa nelle
competenze in materia urbanistica e di tutela della salute. La
materia edilizia si riferisce alla sola definizione dei titoli
abilitativi ad eseguire le opere e alla disciplina della vigilanza e
repressione degli abusi edilizi, in relazione all'assenza o
insufficienza del titolo richiesto. La verifica ed il rilascio dei
titoli abilitativi restano distinti nel sistema normativo (come prova
la stessa recente redazione del testo unico della legislazione
edilizia - d.lgs. n. 380 del 6 giugno 2001 - che disciplina, nella
sua prima parte, i titoli abilitativi e le sanzioni e, nella sua
seconda parte, le normative tecniche per l'edificazione) dalla
disciplina urbanistica (che regola gli strumenti di pianificazione) e
dal governo del territorio (che regola le istituzioni e gli strumenti
di coordinamento ed impulso delle attivita' che incidono sulla
politica e sull'assetto del territorio).
Anche la materia dell'urbanistica si distingue dalla materia
«governo del territorio», in quanto disciplina dei centri abitati,
demandata alla legislazione esclusiva regionale, con il limite
rappresentato dalle funzioni fondamentali attribuite agli enti locali
direttamente dalla legge dello Stato, laddove il «governo del
territorio» spetta alla legislazione concorrente, con principi
fondamentali dettati dallo Stato e con norme emanate dalle Regioni.
2.4. - La palese violazione dell'assetto costituzionale delle
competenze legislative dello Stato e delle Regioni risulta evidente
anche nell'ipotesi in cui si volesse ritenere che, sulla base ed in
forza dell'art. 118, comma I, della Costituzione, si possa
riconoscere allo Stato una competenza legislativa ulteriore rispetto
ai titoli di legittimazione ricavabili dall'art. 117 della
Costituzione, muovendo dalla necessita', in concreto, di attribuire
allo Stato determinate funzioni amministrative, in base alla
sussistenza di esigenze di «esercizio unitario», secondo «i principi
di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza» e di riconoscere
a tal fine una competenza legislativa statale ad hoc - anche in
materie di legislazione regionale - destinata ad allocare tali
funzioni e a disciplinarne inevitabilmente le modalita' di
organizzazione e di esercizio.
Anche in tale prospettiva, in cui appare muoversi la pronuncia
n. 303/2003, peraltro, si devono rispettare almeno due condizioni:
a) che risultino motivate espressamente e puntualmente le
specifiche esigenze di esercizio unitario delle funzioni
amministrative in grado di giustificarne l'attrazione nella sfera
statale, in conformita' ai principi di sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza;
b) che sia rispettato un procedimento di «codecisione
paritaria» con le Regioni, in considerazione dell'incidenza diretta
dell'intervento normativo statale su ambiti materiali formalmente
spettanti al legislatore regionale. La necessita' di rispettare una
simile condizione trova conferma nel meccanismo previsto, per le
leggi del Parlamento, dall'art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001,
nel quale si prevede che la Commissione parlamentare per le questioni
regionali, integrata con i rappresentanti delle autonomie
territoriali, debba sempre esprimere un parere, ad efficacia
rinforzata, su tutti i progetti di legge riguardanti le materie di
legislazione concorrente e l'autonomia finanziaria delle Regioni e
degli enti locali.
Nella sentenza n. 303/2003 questa Corte ha infatti ritenuto che
«una volta stabilito che, nelle materie di competenza statale
esclusiva o concorrente, in virtu' dell'art. 118, comma 1, la legge
puo' attribuire allo Stato funzioni amministrative e riconosciuto
che, in ossequio ai canoni fondanti dello Stato di diritto, essa e'
anche abilitata a organizzarle e regolarle, al fine di renderne
l'esercizio permanentemente raffrontabile a un parametro legale,
resta da chiarire che i principi di sussidiarieta' e di adeguatezza
convivono con il normale riparto di competenze legislative contenuto
nel Titolo V e possono giustificarne una deroga solo se la
valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di
funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non
risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio
stretto di costituzionalita', e sia oggetto di un accordo stipulato
con la Regione interessata. Che dal congiunto disposto degli artt.
117 e 118, primo comma, sia desumibile anche il principio dell'intesa
consegue alla peculiare funzione attribuita alla sussidiarieta', che
si discosta in parte da quella gia' conosciuta nel nostro diritto di
fonte legale» (punto 2.2. del Considerato in diritto).
Le disposizioni del decreto impugnato non rispettano tali
rigorosi parametri. Manca in particolare l'elemento essenziale della
previa intesa con le Regioni, oltre che qualunque indicazione sulla
giustificazione dell'attrazione delle funzioni amministrative allo
Stato.
2.5. - Infine va ravvisata anche la violazione del quinto comma
dell'articolo 117 della Costituzione, che attribuisce alle Regioni,
nelle materie di loro competenza, il compito di provvedere
all'attuazione e all'esecuzione degli atti dell'Unione europea.
Nel caso di specie il decreto impugnato investe, come si e'
detto, materie di competenza concorrente ed anche residuale delle
Regioni e quindi spetta alle stesse dare attuazione alle direttive
comunitarie ivi indicate.
3. - Tutte le disposizioni indicate nell'epigrafe del presente
motivo sono da considerare costituzionalmente illegittime per le
ragioni esposte nei precedenti paragrafi.
3.1. - In particolare, con riferimento alle singole disposizioni,
si puo' sottolineare l'illegittimita' dell'art. 86 del decreto che
sotto nessun profilo puo' ritenersi normativa di principio, dato il
suo carattere estremamente dettagliato, che non lascia alcuno spazio
alla competenza concorrente della legislazione regionale.
In particolare l'assimilazione delle infrastrutture alle opere di
urbanizzazione primaria (art. 86, comma 3), anche se di proprieta'
privata degli operatori, costituisce esercizio della competenza
legislativa in materia di governo del territorio (competenza
concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.); nonche' in
materia urbanistica e di edilizia (di competenza residuale, ai sensi
dell'art. 117, quarto comma, Cost.), mediante l'introduzione di una
classificazione che incide in termini stringenti sulle possibilita'
delle Regioni, di definire la disciplina di queste particolari
infrastrutture.
Allo stesso modo la previsione dell'applicazione dei limiti di
esposizione ai campi elettromagnetici, dei valori di attenzione e
degli obiettivi di qualita' di cui all'art. 4, comma 2, lettera a)
della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (art. 86, comma 7), sacrifica del
tutto il ruolo delle Regioni «nella disciplina dell'uso del
territorio in funzione della localizzazione degli impianti, cioe'
delle ulteriori misure e prescrizioni dirette a ridurre il piu'
possibile l'impatto negativo degli impianti sul territorio» (sentenza
n. 307/2003). In tal modo infatti si sopprimono gli obiettivi di
qualita', consistenti in criteri di localizzazione dei siti degli
impianti di comunicazione, che rientrano certamente nella competenza
della legge regionale, in quanto riconducibile alle materie
concorrenti del «governo del territorio», della «tutela della
salute», dell'«ordinamento della comunicazione» (sentenza
n. 324/2003).
La norma quindi vanifica la competenza costituzionalmente
garantita al legislatore regionale nelle materie ora ricordate.
3.2. - L'art. 87 del decreto disciplina il procedimento
autorizzatorio per l'installazione e la modifica delle infrastrutture
in oggetto attribuendo tale competenza direttamente agli enti locali.
Si tratta di una disciplina di dettaglio, autoapplicativa, non
cedevole che investe da un lato competenze residuali delle Regioni,
come quelle dell'urbanistica e dell'edilizia, dall'altro certamente
competenze concorrenti come quelle del governo del territorio,
dell'ordinamento della comumcazione e della tutela della salute.
In particolare e' illegittima la previsione secondo cui i
progetti presentati devono essere compatibili con i limiti di
esposizione, i valori di attenzione, gli obiettivi di qualita'
«stabiliti uniformemente a livello nazionale» (art. 87, comma 1).
In proposito si possono ripetere le considerazioni svolte al
precedente paragrafo con riferimento all'art. 86, comma 7. La
violazione delle competenze regionali in materia di determinazione
dei criteri localizzativi degli impianti, competenze confermate da
questa Corte nelle pronunce sopra ricordate, e' qui ancor piu'
evidente. La norma infatti esclude in modo esplicito qualunque ruolo
regionale nella determinazione degli obiettivi di qualita', che gia'
la legge quadro n. 36/2001 riconosceva prima dell'entrata in vigore
del titolo V della Costituzione.
La soppressione di qualunque intervento regionale in materia e'
dunque evidente e si pone in diretto contrasto con quanto statuito da
questa Corte, secondo la quale «non puo' escludersi una competenza
della legge regionale in materia, che si rivolga alla disciplina di
quegli aspetti della localizzazione e dell'attribuzione dei siti di
trasmissione che esulino da cio' che risponde propriamente a quelle
esigenze unitarie alla cui tutela sono preordinate le competenze
legislative dello Stato nonche' le funzioni affidate all'Autorita'
per le garanzie nelle comunicazioni» (sentenza n. 324/03).
Illegittima e' anche la previsione contenuta nei successivi commi
dell'art. 87 (commi 2-8) che disciplinano un procedimento unitario e
dettagliato per l'autorizzazione degli impianti, determinando anche i
tempi di formazione degli atti e della volonta' delle amministrazioni
coinvolte senza lasciare alcuno spazio alla legislazione regionale.
La realizzazione degli impianti oggetto del decreto tocca in modo
evidente gli interessi pubblici connessi con le competenze
legislative sopra richiamate. Competenze che non possono
ragionevolmente essere travolte dalla previsione di un procedimento
unitario tale da sopprimere qualunque diversa specifica disciplina
che in ciascuna Regione ed in ciascun territorio provinciale e
comunale deve poter essere adottata per governare correttamente lo
sviluppo edilizio e i valori paesistici ed ambientali. E', infatti,
di ogni evidenza come non soltanto vi sia un preciso compito affidato
alle autonomie regionali, nell'ambito del settore della
comunicazione, che lo Stato non puo' invadere in termini arbitrari;
ma vi sono anche situazioni urbanistiche ed edilizie, in cui le
infrastrutture di telecomunicazioni si vanno ad inserire, che sono
ampiamente differenziate, in un territorio nazionale, quale il
nostro, ricco di valori paesistici e di differenziate caratteristiche
fisiche e morfologiche, che fanno del paesaggio e della tutela del
territorio cosi' multiforme uno dei valori fondanti il nostro
ordinamento (art. 9, anche in correlazione con gli artt. 41, 42 e 44
della Costituzione).
La disciplina unitaria e assorbente dettata dal decreto impugnato
si pone in netta contraddizione con tali valori nel momento in cui
impedisce una corretta valutazione, per necessita' differenziata ed
adeguata alle singole realta' locali, da parte dei legislatori e
delle amministrazioni regionali.
La specificita' della disciplina adottata, che detta regole
puntuali in tema di semplificazione del procedimento di
autorizzazione, nonche' tempi prefissati di formazione degli atti e
di manifestazione della volonta' delle amministrazioni coinvolte (ivi
comprese quelle locali), contemplando - tra l'altro - sia una forma
di autorizzazione sia una forma di denuncia di inizio di attivita',
secondo modelli predisposti e definiti in allegato al decreto,
implica una sicura lesione delle competenze legislative regionali,
entrando nel dettaglio (e con regole che si presentano
strutturalmente - per natura e finalita' - come non derogabili dal
legislatore regionale) in un settore che sicuramente rientra, quanto
meno, nella competenza regionale concorrente.
Piu' specificamente, particolarmente lesiva appare la
regolamentazione della Conferenza di servizi (art. 87, commi 6, 7, 8)
in cui la previsione dell'approvazione dei progetti a maggioranza
degli enti intervenuti puo' comportare il sacrificio (anche sul piano
amministrativo) del ruolo della Regione. Inoltre la previsione
dell'attribuzione al Consiglio dei ministri della relativa decisione
in caso di dissenso qualificato, annulla qualsiasi ruolo anche solo
amministrativo delle Regioni in materie riconducibili alla loro
competenza concorrente e anche residuale.
La previsione del silenzio assenso con l'indicazione del termine
entro cui esso si forma (art. 87, comma 9) costituisce anch'essa una
violazione delle competenze legislative regionali, in quanto non si
lascia alcuno spazio per definire, pur nel quadro dei principi
stabiliti, termini diversi, altre forme di semplificazione
amministrativa, modalita' di contemperamento, delle esigenze di
celerita' e di certezza nel rilascio del provvedimento amministrativo
(imposte anche dalle direttive comunitarie), con la valorizzazione
dell'ambiente e delle bellezze naturali, la tutela della salute, e
piu' in generale il governo del territorio, rimessi alla competenza
delle Regioni.
Le disposizioni impugnate nel presente ricorso appaiono, inoltre,
riconducibili alle materie, di competenza residuale delle Regioni,
dell'urbanistica e soprattutto dell'edilizia (cfr. parag. 2.3) e
dunque, al di la' del loro carattere di disposizioni di principio o
di dettaglio, sono in radice illegittime per invasione della sfera di
competenza riservata alle Regioni.
Si puo' ritenere che la disciplina del rilascio dei titoli
abilitativi ad eseguire le opere per la realizzazione degli impianti
in oggetto, contenuta nelle norme ora ricordate, attenga alla materia
dell'edilizia e dunque esuli anche dal novero delle competenze di
legislazione concorrente in cui lo Stato mantiene il potere di
adottare solo una disciplina di principio.
3.3. - Le stesse considerazioni valgono per gli artt. 88 e
seguenti del decreto che disciplinano procedure dettagliate puntuali
per la realizzazione di opere civili, scavi ed occupazione di suolo
pubblico finalizzati alla realizzazione degli impianti di
comunicazione.
L'art. 88 disciplina un procedimento analogo a quello previsto
dall'art. 87, con la previsione della conferenza di servizi e del
silenzio assenso, fissa le regole perche' gli enti pubblici
definiscano i programmi di realizzazione o di manutenzione ordinaria
e straordinaria delle rispettive opere pubbliche in modo da garantire
le esigenze di programmazione da parte dei titolari di
autorizzazione, nell'ambito di una disciplina estremamente
dettagliata che non lascia alcuno spazio alla legislazione regionale.
Si ripropongono quindi le medesime censure evidenziate con
riferimento all'articolo 87 al paragraf precedente.
3.4. - L'articolo 89 stabilisce regole per la condivisione delle
infrastrutture e la coubicazione dei cavi, anche qui con una
disciplina di dettaglio che investe materie di competenza quantomeno
concorrente, se non residuale e quindi in violazione del ruolo
legislativo riservato dall'articolo 117 alle Regioni.
3.5. - Gli articoli 90, 91, 92 e 94 fissano regole per
l'acquisizione dei beni immobili necessari alla realizzazione degli
impianti (art. 90), per la limitazione legale della proprieta' (art.
91) e l'imposizione di servitu' (art. 92 e 94).
Si tratta di disposizioni che investono le materie del governo
del territorio, dell'ordinamento della comunicazione e della tutela
della salute di competenza concorrente e dunque violano l'articolo
117 Cost., nella misura in cui stabiliscono una disciplina di
dettaglio e autoapplicativa, non cedevole che esclude qualunque ruolo
delle Regioni.
Tali disposizioni appaiono inoltre investire le materie, di
competenza regionale residuale, dell'edilizia e dell'urbanistica e
dunque sono del tutto illegittime in quanto al di fuori della
competenza attribuita dalla Costituzione allo Stato.
3.6. - Nella stessa censura non puo' non essere incluso l'art. 93
del decreto legislativo impugnato, secondo cui, agli operatori puo'
essere posto a carico solo l'obbligo di tenere indenne l'ente locale,
ovvero l'ente proprietario, dalle spese necessarie per le opere di
sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli
interventi di installazione e manutenzione, e solo l'obbligo di
ripristinare a regola d'arte le medesime nei tempi stabiliti
dall'ente locale, fatte salve le tasse ed i canoni di concessione.
Anche questa norma si ingerisce in termini indebiti nelle
competenze legislative regionali sopra richiamate, perche' stabilisce
in termini uniformi la disciplina relativa ad infrastrutture che
debbono, invece, essere realizzate tenendo conto dello specifico
contesto territoriale e normativo dettato da ciascuna regione.
3.7. - L'art. 95, fissa regole per gli impianti e le condutture
di energia e elettrica e disciplina le interferenze, con una
disciplina di dettaglio e anche qui autoapplicativa non cedevole, in
materie che rientrano quanto meno nella competenza concorrente
dell'ordinamento della comunicazione e del governo del territorio.
Nessuno spazio e' lasciato alla competenza legislativa regionale
concorrente.
Illegittimita' degli artt. 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94 e
95, dell'allegato 13 del d.lgs. n. 259/03 per lesione della sfera di
competenza regolamentare regionale ai sensi dell'art. 117, sesto
comma Cost.
4.1. - Le norme e gli allegati del decreto impugnato citati nella
rubrica del presente motivo configurano l'esercizio da parte del
Governo non solo di una potesta' legislativa, ma anche di una
potesta' normativa diretta alla deroga o alla modificazione e
integrazione di tutti i regolamenti di esecuzione e di attuazione
della legislazione statale e regionale fin qui vigenti.
Le disposizioni richiamate si pongono in contrasto con quanto
stabilito dall'art. 117, sesto comma, Cost., che fissa una
ripartizione rigida della potesta' regolamentare tra gli enti che
«costituiscono» la Repubblica.
Allo Stato la potesta' regolamentare spetta solo nelle materie di
legislazione esclusiva statale; alle Regioni spetta, invece, «in ogni
altra materia». Poiche' l'oggetto della disciplina del decreto
impugnato e' riconducibile a materie elencate nell'art. 117, comma
terzo e quarto, Cost., e' altrettanto innegabile che la potesta' di
dettare norme a contenuto regolamentare, in tale ambito disciplinare,
deve essere riconosciuta solo alla Regione.
4.2. - L'evidente illegittimita' costituzionale di queste norme
del decreto legislativo impugnato non puo' essere superata neppure
sostenendo che allo Stato dovrebbe essere riconosciuto (in denegata
ipotesi) un potere di intervenire con norme legislative per la
modifica, l'integrazione o la deroga di previgenti discipline
regolamentari (statali, regionali o locali) anche in materie diverse
da quelle di legislazione statale esclusiva; potere che, nella
suddetta denegata ipotesi, sarebbe giustificabile in base alla
considerazione che allo Stato sarebbe comunque da riconoscere un
potere generale di dettare norme regolamentari in ambiti diversi da
quelli indicati nell'art. 117, secondo comma, Cost., a condizione che
tali norme risultassero «cedevoli» rispetto alla successiva
emanazione di regolamenti regionali. Infatti, una simile
ricostruzione si porrebbe in palese contrasto con la ripartizione
delle competenze regolamentari stabilita espressamente nella
Costituzione; ed e' d'altronde evidente che, nel caso di specie, le
norme del decreto legislativo impugnato si pongono come direttamente
sostitutive, senza alcun margine di derogabilita', delle norme
regolamentari previgenti, escludendo espressamente la propria
«cedevolezza», e ledendo cosi' irrimediabilmente le attribuzioni
costituzionali della Regione in tema di potesta' regolamentare.
4.3. La violazione dei principi e delle norme costituzionali ora
ricordati e' in particolare evidente nella previsione, da parte delle
norme impugnate, del contenuto dei modelli da presentarsi per le
domande di autorizzazione e per gli altri adempimenti amministrativi
connessi con l'installazione di esercizio degli impianti. In
particolare si censurano sotto questo profilo le norme di cui
all'art. 86, comma 8 (che prevede la presentazione delle
comunicazioni da parte degli operatori sulla base dei modelli A e B
dell'allegato 13); all'art. 87, comma 3, (che egualmente rinvia al
modello A ed agli altri modelli dell'allegato 13 e che comunque
definisce, in tutti i suoi commi, in termini dettagliati, i
procedimenti autorizzativi e le relative istanze); all'art. 88, comma
1, (contenente un ulteriore rinvio all'allegato 13, e anch'esso
dettagliato - in tutti i suoi commi - nel definire le modalita' di
realizzazione delle opere civili e degli scavi); all'art. 89 (che
rinvia nel suo ultimo comma alle procedure di cui all'art. 88); agli
artt. 92, 93 e 94 (che precisano in dettaglio le modalita' di domande
per acquisire le servitu', art. 92, e definiscono i presupposti per
la relativa acquisizione); all'art. 95 (che definisce in dettaglio le
norme sulle interferenze).
Le norme citate e l'allegato 13 al decreto che determina il
contenuto dei modelli richiamati dalle stesse norme, integra
l'esercizio, piu' che di una potesta' legislativa, della potesta'
regolamentare, che lo Stato non puo' esercitare in materie diverse da
quelle riservate alla sua competenza esclusiva (cfr. sentenza
n. 303/2003).
Illegittimita' degli artt. 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94 e
95 dell'allegato 13 del d.lgs. n. 259/2003 per lesione della sfera di
competenza amministrativa regionale ai sensi dell'art. 118, primo e
secondo comma, Cost.
5. - Le disposizioni impugnate hanno inoltre in vari casi natura
provvedimentale e costituiscono quindi esercizio diretto di funzioni
amministrative da parte dello Stato o attribuiscono funzioni
amministrative ad organi dell'amministrazione statale ovvero
direttamente agli enti locali.
In proposito, l'art. 118, primo comma, Cost. stabilisce che «le
funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per
assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Citta'
metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza».
La norma costituzionale non contiene un' attribuzione diretta di
funzioni amministrative ai diversi livelli territoriali di governo;
fissa, semplicemente, criteri e principi per la ripartizione di tali
funzioni da parte dell'ente che risulti, di volta in volta, titolare
di una potesta' legislativa nella specifica materia. Di conseguenza,
l'art. 118, I comma, costituisce necessario parametro di legittimita'
costituzionale di ogni intervento normativo finalizzato ad allocare
funzioni amministrative.
Tale parametro e' individuato nell'esigenza che sussistano
specifiche ragioni di esercizio unitario della funzione, puntualmente
motivate in base ai principi di sussidiarieta', differenziazione ed
adeguatezza, tali da giustificare nei singoli casi l'attrazione della
competenza ad un livello di governo superiore rispetto a quello «piu'
vicino» al cittadino. Di qui il necessario rigore nel valutare ogni
norma dalla quale consegua l'attribuzione delle competenze al livello
di governo «piu' lontano» dal cittadino, ossia al livello statale.
Vi e' dunque un obbligo per il legislatore, particolarmente per
quello statale, di accompagnare qualunque scelta di allocazione di
funzioni amministrative ad un livello diverso da quello comunale, con
una analisi ed una verifica sostanziale dell'effettiva rispondenza
della scelta (pur sempre discrezionale) ai parametri indicati dalla
norma costituzionale. Cio' implica che la norma che alloca le
funzioni dovra' anche enunciare le circostanze e le finalita' che
rendono legittima la scelta effettuata.
Si e' gia' ricordato come questa Corte nella sentenza 303/2003 ha
chiarito che l'avocazione da parte dello Stato delle funzioni
amministrative in materie non di competenza legislativa esclusiva
dello stesso, e' giustificata in base ai principi di
proporzionalita', sussidiarieta' e adeguatezza «solo se la
valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di
funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non
risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio
stretto di costituzionalita', e sia oggetto di un accordo stipulato
con la Regione interessata». Il «principio dell'intesa» costituisce
dunque uno dei presupposti essenziali per l'esercizio da parte dello
Stato delle funzioni amministrative.
Si e' aggiunto che «quando si intendano attrarre allo Stato
funzioni amministrative in sussidiarieta', di regola il titolo del
legiferare deve essere reso evidente in maniera esplicita perche' la
sussidiarieta' deroga al normale riparto delle competenze stabilito
dall'articolo 117 Cost.».
5.2. - Anche ove questa Corte volesse ritenere che lo Stato possa
autoattribuirsi funzioni amministrative nella materia in oggetto (a
prescindere dall'illegittimita' del riconoscimento di una sua
potesta' legislativa, denunciata sub-2), senza sottostare ad alcun
vincolo formale di espressa indicazione dei presupposti che ne
motivano la scelta, le disposizioni impugnate si devono comunque
ritenere costituzionalmente illegittime in quanto lesive dei limiti
sostanziali che l'art. 118, primo comma, stabilisce per la
distribuzione delle competenze amministrative nell'ordinamento.
Non sono infatti indicati, ne' altrimenti desumibili i motivi che
giustificano l'allocazione a livello centrale anche delle funzioni
amministrative che risultino relative alla loro specifica
localizzazione degli impianti di comunicazione sul territorio e alla
loro concreta realizzazione. Tali funzioni, infatti, potrebbero (e
dovrebbero) adeguatamente essere svolte dalle amministrazioni
preposte alla cura degli interessi che insistono sul territorio
regionale, ovviamente garantendo il necessario coordinamento con i
competenti organi dello Stato.
Tanto meno e' rispettato il principio dell'intesa con le Regioni.
Anche sotto questi profili risulta evidente la lesione della
sfera di autonomia amministrativa della Regione, soprattutto nella
parte in cui le disposizioni impugnate limitano il potere della
Regione nella definizione delle procedure autorizzatorie attraverso
meccanismi che prevedono una compartecipazione formalmente non
paritaria e sostituiscono, con norme di rango legislativo, tutte le
procedure sin qui avviate.
La Regione ricorrente non nega pregiudizialmente l'esigenza di
prevedere meccanismi che garantiscano, sia pure nell'ambito di una
compartecipazione paritaria di tutti gli enti interessati, la
definizione in tempi ragionevolmente certi del processo decisionale;
cio' che si contesta - e che risulta costituzionalmente illegittimo -
e' che tale risultato sia raggiunto dal decreto impugnato attraverso
il mero riconoscimento al legislatore statale della possibilita' di
sostituire direttamente e completamente ogni valutazione
discrezionale della Regione nell'esercizio dei poteri di
autorizzazione in materie di competenza regionale concorrente o
addirittura esclusiva.
5.3. - Inoltre la disciplina impugnata viola l'articolo 118
Cost., secondo comma, nella misura in cui attribuisce direttamente
l'esercizio di funzioni amministrative agli enti locali,
disciplinando il relativo procedimento.
L'articolo 118 esclude che lo Stato possa in materie di
competenza concorrente e residuale attribuire direttamente funzioni
amministrative agli enti locali, in quanto tali funzioni devono
essere conferite con legge statale o regionale «secondo le rispettive
competenze».
Pertanto in materie di competenza residuale o comunque
concorrente spetta alle Regioni disciplinare i procedimenti in
questione attribuendo agli enti locali le relative funzioni.
5.4. - In particolare vengono qui in rilievo le disposizioni di
cui all'art. 87 che attribuisce agli enti locali, con il procedimento
specificamente ivi disciplinato, il compito amministrativo di
rilasciare l'autorizzazione degli impianti di comumcazione.
La norma viola l'articolo 118, secondo comma, Cost. in quanto
attribuisce una funzione amministrativa direttamente all'ente locale
in materia di governo del territorio, di ordinamento della
comunicazione, a competenza concorrente, se non in materia di
urbanistica ed edilizia a competenza residuale.
Analoga violazione si ha al comma 8 dell'art. 87, che stabilisce
che gli operatori di reti radiomobili di comunicazione elettronica ad
uso pubblico provvedono ad inviare ai comuni ed ai competenti
ispettorati territoriali del Ministero la descrizione di ciascun
impianto installato, sulla base dei modelli A e B dell'allegato 13 al
decreto e che i soggetti interessati alla realizzazione delle opere
di cui agli artt. 88 e 89 trasmettono al Ministero copia dei modelli
C e D dello stesso allegato 13 al decreto, prevedendo che il
Ministero puo' a sua volta delegare ad altro ente la tenuta degli
archivi telematici di tutte le comunicazioni trasmessegli, si pone in
contrasto con l'articolo 118, primo comma, Cost.
Tale disposizione e' illegittima anche perche' attribuisce, in
materie a competenza concorrente e residuale, ad organi statali
l'esercizio di funzioni amministrative senza il rispetto dei rigorosi
parametri sopra ricordati, consistenti nella adeguata motivazione,
nella previa intesa con le Regioni, nel rispetto dei principi di
proporzionalita', adeguatezza e sussidiarieta'.
Anche gli articoli 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94 e 95 del decreto
non si sottraggono alla stessa censura nella misura in cui
attribuiscono direttamente funzioni amministrative agli enti locali e
riservano ad organi statali funzioni amministrative in materie a
competenza concorrente e residuale.
In particolare l'articolo 95 attribuisce ad un organo statale,
l'Ispettorato del Ministero delle comunicazioni, il potere di
rilasciare il nulla osta sui progetti relativi alle condutture di
energia elettrica e alle tubazioni metalliche sotterrate, in materie,
quindi, riconducibili al governo del territorio e all'ordinamento
delle comunicazioni a competenza legislativa concorrente, senza il
rispetto dei criteri stabiliti dall'articolo 118 Cost., cosi' come
interpretati da questa Corte.
Illegittimita' dell'art. 93 del d.lgs. n. 259/2003 per lesione
della sfera di autonomia finanziaria regionale ai sensi dell'art. 119
Cost.
6. - La disposizione impugnata, per la parte in cui limita in
modo puntuale - per gli operatori - gli oneri connessi alle attivita'
di installazione, scavo ed occupazione di suolo pubblico (art. 93),
e' costituzionalmente illegittima anche per contrasto con l'art. 119
Cost.
Infatti, il principio dell'autonomia finanziaria (sotto il
profilo dell'autonomia di spesa), unitamente alla norma secondo cui
«per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro
funzioni lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi
speciali in favore di determinati comuni, province, citta'
metropolitane e regioni», implica necessariamente che tutte le
funzioni amministrative spettanti alle Regioni e diverse da quelle
«ordinarie» risultino adeguatamente finanziate attraverso
l'attribuzione diretta ai loro bilanci di adeguate risorse, senza
vincoli sulle modalita' di spesa.
Le norme impugnate violano altresi' l'art. 119 Cost., per la
parte in cui impongono oneri finanziari a carico - sia pure
indirettamente - delle Regioni. Nella realizzazione delle opere
disciplinate dal decreto, infatti, e' ammissibile che vi sia un
interesse dello Stato a garantire il conseguimento del risultato
finale complessivo; cio' che e' costituzionalmente inammissibile e'
la limitazione dell'autonomia regionale sulle modalita' e gli
strumenti per la realizzazione in concreto degli obiettivi da
perseguire.
P. Q. M.
Si chiede che questa Corte dichiari l'illegittimita'
costituzionale degli articoli 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95
e dell'allegato n. 13 del decreto legislativo 1° agosto 2003 n. 259,
per violazione delle competenze costituzionalmente riconosciute alla
Regione ricorrente dagli articoli 117, 118 e 119 Cost.
Firenze - Roma, addi' 12 novembre 2003
Avv. prof. Stefano Grassi
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 19 novembre 2003 (della Regione Marche)
(GU n. 50 del 17-12-2003)
Ricorso per la Regione Marche, in persona del presidente pro
tempore della giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazione
della giunta regionale n. 1495 del 4 novembre 2003, rappresentato e
difeso dall'avv. prof. Stefano Grassi ed elettivamente domiciliato
presso il suo studio in Roma, piazza Barberini n. 12, come da procura
speciale per atto del notaio dott.ssa Simonetta Sabatini di Ancona,
n. rep. 39063 del 10 novembre 2003;
Contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei
ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita'
costituzionale degli artt. 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95 e
dell'allegato n. 13 del decreto legislativo 10 agosto 2003, n. 259,
recante «Codice delle comunicazioni elettroniche», pubblicato nel
supplemento ordinario n. 150 alla Gazzetta Ufficiale n. 214 del 15
settembre 2003, per violazione degli artt. 117, 118 e 119 della
Costituzione.
1. - Oggetto del ricorso.
1.1. - Il 1° agosto 2003 e' stato emanato il decreto legislativo
n. 259, con cui il Governo ha esercitato la delega legislativa
contenuta nell'art. 41 della legge 1° agosto 2002, n. 166, per il
riassetto delle disposizioni vigenti conseguenti al recepimento delle
direttive comunitarie relative all'accesso alle reti di comunicazione
elettronica (direttiva 2002/19/CE), alle autorizzazioni per le reti e
i servizi di comunicazione elettronica (direttiva 2002/20/CE), al
quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione
elettronica (direttiva 2002/21/CE), al servizio universale e ai
diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione
elettronica (direttiva 2002/22/CE).
Il titolo II del decreto legislativo in esame riguarda «le reti e
servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico». Il capo V reca
«disposizioni relative a reti ed impianti».
Il capo V riproduce in gran parte il contenuto del decreto
legislativo n. 198/2002, impugnato dalla Regione Marche, di cui la
Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale con la sentenza
n. 303/2003 per eccesso di delega.
Le norme del decreto legislativo qui impugnato, che riproducono
nella sostanza le disposizioni del decreto n. 198/2002, sono lesive
delle competenze costituzionalmente attribuite alla Regione Marche
sia per gli stessi motivi gia' evidenziati nel suo precedente ricorso
assorbiti nella decisione di annullamento di cui alla sentenza
n. 303/2003, sia per gli ulteriori profili che vengono qui
denunciati.
1.2. - Con il presente ricorso, in particolare, la Regione Marche
contesta la legittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni
del decreto impugnato:
l'art. 86 che reca disposizioni sulle «infrastrutture di
comunicazione elettronica e i diritti di passaggio» e prevede che le
autorita' competenti alla gestione del suolo pubblico adottino senza
indugio le occorrenti decisioni e rispettino procedure trasparenti,
pubbliche e non discriminatorie ai sensi dei successivi artt. 87, 88
e 89 nell'esaminare le domande per la concessione del diritto di
installare infrastrutture (comma 1); la norma aggiunge che «sono in
ogni caso fatti salvi gli accordi stipulati fra gli enti locali e gli
operatori per quanto attiene alla localizzazione, coubicazione e
condivisione delle infrastrutture di comunicazione elettronica»
(comma 2); il comma 3 riproduce l'art. 3, comma 3, del decreto
n. 198/2002 sull'assimilazione delle reti pubbliche di comunicazione
alle opere di urbanizzazione primaria di cui all'art. 16, comma 7,
del d.P.R. n. 380/2001; il comma 4, riproducendo l'art. 4, comma 3,
del decreto n. 198/2002, precisa che restano ferme le disposizioni a
tutela dei beni ambientali e culturali contenute nel decreto
legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, nonche' le disposizioni a tutela
delle servitu' militari di cui alla legge 24 dicembre 1976, n. 898;
il comma 5 riguarda la posa dei cavi sottomarini di comunicazione
elettronica e dei relativi impianti, rinviando alla legge 5 maggio
1989, n. 160 ed al codice della navigazione; il comma 6 affida
all'Autorita' il compito di vigilare affinche', laddove le
amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i comuni o gli
altri Enti locali mantengano la proprieta' o il controllo di imprese
che forniscono reti o servizi di comunicazione elettronica, vi sia
un'effettiva separazione strutturale tra la funzione attinente alla
concessione dei diritti di cui al comma 1 e le funzioni attinenti
alla proprieta' od al controllo; il comma 7 prevede che per i limiti
di esposizione ai campi elettromagnetici, i valori di attenzione e
gli obiettivi di qualita' si applicano le disposizioni di attuazione
di cui all'art. 4, comma 2, lettera a) della legge 22 febbraio 2001,
n. 36; il comma 8 stabilisce che gli operatori di reti radiomobili di
comunicazione elettronica ad uso pubblico provvedono ad inviare ai
comuni ed ai competenti ispettorati territoriali del Ministero la
descrizione di ciascun impianto installato, sulla base dei modelli A
e B dell'allegato 13 al decreto e che i soggetti interessati alla
realizzazione delle opere di cui agli artt. 88 e 89 trasmettono al
Ministero copia dei modelli C e D dello stesso allegato 13 al
decreto; il Ministero puo' a sua volta delegare ad altro Ente la
tenuta degli archivi telematici di tutte le comunicazioni
trasmessegli;
l'art. 87 del decreto disciplina i «procedimenti
autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione
elettronica per impianti radioelettrici» e riproduce integralmente
l'art. 4, comma 1, l'art. 5 e l'art. 6 del decreto n. 198/2002; si
tratta delle disposizioni che prevedono che l'installazione delle
infrastrutture per impianti radioelettrici e le relative modifiche
siano autorizzate dagli enti locali, previo accertamento del rispetto
di limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di
qualita' stabiliti uniformemente a livello nazionale (comma 1) e che
dettano una articolata disciplina di dettaglio sui procedimenti di
autorizzazione relativi alle infrastrutture di telecomunicazione per
impianti radioelettrici, prevedendo - tra l'altro - sia una forma di
autorizzazione sia una forma di denuncia di inizio di attivita',
addirittura secondo modelli predisposti e definiti nell'allegato 13
al decreto (commi 2-8) sia una forma di silenzio assenso
generalizzato sulle relative istanze (commi 9-10) in particolare si
prevede che ove un'amministrazione interessata abbia espresso
motivato dissenso, il responsabile del procedimento convoca una
conferenza di servizi e, in quella sede, l'approvazione del progetto
a maggioranza dei presenti sostituisce gli atti di competenza di ogni
Amministrazione e vale come dichiarazione di pubblica utilita',
indifferibilita' ed urgenza dei lavori; ove il dissenso sia espresso
da un'Amministrazione preposta alla tutela del vincolo ambientale
paesaggistico, la determinazione finale e' devoluta al Consiglio dei
ministri;
l'art. 88 del decreto riguarda le «Opere civili, scavi ed
occupazione di suolo pubblico» e recepisce integralmente l'art. 7
(commi 1-7 dell'art. 88) e l'art. 9 (commi 8-12 dell'art. 88) del
decreto n. 198/2002; in particolare la norma ripete la disciplina
puntuale delle modalita' - tra cui una particolare procedura di
conferenza di servizi - con le quali si possono autorizzare le opere
civili, gli scavi e l'occupazione di suolo pubblico funzionali alle
infrastrutture di comunicazione elettronica (commi 1-7), stabilisce
una procedura speciale per l'autorizzazione delle ex «reti dorsali»,
fissando anche regole perche' «le figure giuridiche soggettive alle
quali e' affidata la cura degli interessi pubblici», definiscano i
programmi di realizzazione o di manutenzione ordinaria o
straordinaria delle rispettive opere pubbliche, in modo da garantire
le esigenze di programmazione sia delle attivita' strumentali sia dei
programmi di installazione delle infrastrutture da parte dei titolari
di autorizzazione generale (commi 8-12) vengono allegati i modelli
per l'istanza di autorizzazione (modelli C e D dell'allegato 13);
l'art. 89 del decreto disciplina la «Coubicazione e
condivisione di infrastrutture» riproducendo integralmente, ai commi
3-5 l'art. 8 del decreto n. 198/2002 sulle regole di condivisione
dello scavo e di coubicazione dei cavi di comunicazione elettronica;
i commi 1 e 2 stabiliscono invece che l'Autorita' per le garanzie
nelle comunicazioni, anche mediante specifici regolamenti, mcoraggia
la coubicazione o la condivisione delle infrastrutture di
comunicazione elettronica e, quando gli operatori non dispongono di
valide alternative a causa delle esigenze connesse alla tutela
dell'ambiente, della salute pubblica, della pubblica sicurezza o
della realizzazione di obiettivi di pianificazione urbana o rurale,
l'Autorita' puo' richiedere ed eventualmente imporre la condivisione
di strutture o proprieta', compresa la coubicazione fisica, ad un
operatore che gestisce una rete di comunicazione elettronica e puo'
adottare ulteriori misure volte a facilitare il coordinamento dei
lavori, dopo un adeguato periodo di pubblica consultazione,
stabilendo altresi' i criteri per la ripartizione dei costi della
condivisione delle strutture o della proprieta';
l'art. 90 recante «Pubblica utilita' - Espropriazione»,
dispone che gli impianti di reti di comunicazione elettronica ad uso
pubblico, ovvero esercitati dallo Stato, e le opere accessorie
occorrenti per la funzionalita' di detti impianti hanno carattere di
pubblica utilita' ai sensi del testo unico sulle espropriazioni
(comma 1), quelli di uso esclusivamente privato possono invece essere
dichiarati di pubblica utilita' con decreto del Ministro delle
comunicazioni ove concorrano motivi di pubblico interesse (comma 2);
per l'acquisizione patrimoniale dei beni immobili necessari alla
realizzazione degli impianti si prevede che possa esperirsi la
procedura di esproprio prevista dal testo unico, dopo che siano
andati falliti, o non sia stato possibile effettuare i tentativi di
bonario componimento (comma 3);
l'art. 91 recante «Limitazioni legali della proprieta»
prevede disposizioni per facilitare il passaggio di fili o cavi,
l'appoggio di antenne, di sostegni, condutture o altri impianti, il
passaggio del personale esercente il servizio anche senza il consenso
del proprietario senza che questi abbia diritto ad alcuna indennita'
(commi 1-5); il comma 6 riproduce l'art. 11 del decreto n. 198/2002,
disponendo che l'operatore incaricato del servizio possa agire
direttamente in giudizio per far cessare eventuali impedimenti e
turbative al passaggio ed alla installazione delle infrastrutture;
l'art. 92 sotto la rubrica «Servitu», detta analoghe
disposizioni in tema di imposizione di servitu' per il passaggio dei
fili, cavi e di impianti connessi alle opere in questione e devolve
la giurisdizione in materia al giudice amministrativo, in via
esclusiva;
l'art. 93 recante «Divieto di imporre altri oneri» stabilisce
che le pubbliche amministrazioni, le Regioni, le Province ed i comuni
non possono imporre, per l'impianto di reti o per l'esercizio dei
servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano
stabiliti per legge (comma 1) il comma 2 della norma riproduce l'art.
10 del decreto n. 198/02, prevedendo che agli operatori che
forniscono reti di comunicazione elettronica puo' essere posto a
carico solo l'obbligo di tenere indenne l'ente locale, ovvero l'ente
proprietario, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione
delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di
installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d'arte le
medesime nei tempi stabiliti dall'ente locale, fatte salve le tasse
ed i canoni di occupazione;
l'art. 94 relativo alla «Occupazione di sedi autostradali da
gestire in concessione e di proprieta' dei concessionari», disciplina
l'imposizione di servitu' con decreto del Ministro delle
comunicazioni per la realizzazione e la manutenzione di reti di
comunicazione elettronica ad uso pubblico, lungo il percorso delle
autostrade, gestite in concessione e di proprieta' del
concessionario, all'interno delle reti di recinzione;
l'art. 95 infine, disciplina la materia degli «Impianti e
condutture di energia elettrica - Interferenze», prevedendo la
necessita' di chiedere all'Ispettorato del Ministero delle
comunicazioni il nullaosta sul progetto relativo a qualunque
costruzione, modifica o spostamento di condutture di energia
elettrica a qualunque uso destinate (commi 1-4) o di qualunque
tubazione metallica sotterrata a qualunque uso destinata (commi 5,
7); in caso di interferenze si richiede l'osservanza delle norme
generali per gli impianti elettrici del Comitato elettrotecnico
italiano del Consiglio nazionale delle ricerche (comma 8) nei casi in
cui, infine, a causa di impianti di energia elettrica si abbia un
turbamento del servizio di comunicazione elettronica, il Ministero
puo' promuovere lo spostamento degli impianti o altri provvedimenti
idonei con spese a carico di chi li rende necessari (comma 9).
1.3. - Le disposizioni ora ricordate del decreto legislativo
n. 259 del 1° agosto 2003 sono lesive:
a) della competenza legislativa regionale, cosi' come
individuata dal combinato disposto dell'art. 117, commi secondo,
terzo e quarto, quinto della Costituzione;
b) della competenza regolamentare regionale, cosi' come
individuata dall'art. 117, comma sesto, della Costituzione;
c) della competenza amministrativa regionale, cosi' come
individuata dall'art. 118, commi primo e secondo, della Costituzione;
d) dell'autonomia finanziaria regionale, cosi' come
individuata dall'art. 119 della Costituzione.
Illegittimita' degli artt. 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94 e
95 del d.lgs. n. 259/2003 per violazione della competenza legislativa
regionale ai sensi dell'art. 117, commi secondo, terzo e quarto,
quinto della Costituzione.
2. - Le norme del decreto impugnato, come gia' quelle del decreto
n. 198/02 di cui costituiscono in parte la reiterazione, investono
senza dubbio una materia, riguardante l'installazione di
infrastrutture di comunicazione elettronica, che rientra nella
competenza legislativa concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo
comma, nonche' nella competenza legislativa «residuale», ai sensi
dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione.
Infatti, la disciplina impugnata investe le materie
dell'«ordinamento della comunicazione» (per quanto attiene alla
natura degli impianti), del «governo del territorio» (per quanto
attiene alla localizzazione degli impianti e delle opere), della
«tutela della salute» (per i numerosi aspetti connessi all'esercizio
degli impianti) della «produzione, del trasporto e della
distribuzione nazionale dell'energia» (art. 117, terzo comma, della
Costituzione).
La disciplina appare per vari aspetti riconducibile anche alle
competenze residuali delle Regioni per le materie dell'urbanistica
dell'edilizia, dei lavori pubblici, dell'industria e del commercio,
non espressamente menzionate nei commi secondo e terzo dell'art. 117
e quindi comprese in tale competenza ai sensi del comma quarto dello
stesso art. 117 della Costituzione.
2.1. - La disciplina del decreto impugnato si pone chiaramente in
contrasto, in primo luogo, con il ruolo specificamente riservato allo
Stato nella legislazione concorrente; ruolo che la norma
costituzionale limita alla determinazione dei principi fondamentali
della materia e, dunque, solo agli aspetti relativi al «modo di
esercizio della potesta' legislativa regionale», senza «comportare
l'inclusione o l'esclusione di singoli settori dalla materia o
dall'ambito di essa». Piu' precisamente, si devono ritenere e
qualificare «principi fondamentali» - anche con riferimento alla
nuova formulazione dell'art. 117 della Costituzione - «solo i nuclei
essenziali del contenuto normativo che quelle disposizioni esprimono
per i principi enunciati o da esse desumibili» (Corte cost., sent.
n. 482 del 1985).
E' certo che i principi fondamentali stabiliti dalle leggi-quadro
nazionali debbano avere un «livello di maggior astrattezza» rispetto
alle regole positivamente stabilite dal legislatore regionale (Corte
cost., sent. n. 65 del 2001) e debbono comunque lasciare ampi spazi
decisionali agli organi rappresentativi della comunita' regionale,
nelle materie affidate costituzionalmente alla loro competenza
concorrente.
Anche ad ammettere che lo Stato abbia il potere di emanare
discipline autoapplicative o di dettaglio nelle materie di potesta'
legislativa concorrente, si deve ricordare che, per costante
giurisprudenza di questa Corte, tale potere si puo' estrinsecare solo
attraverso norme a carattere cedevole rispetto agli interventi del
legislatore regionale.
I principi fondamentali dovrebbero inoltre essere indirizzati in
primo luogo al legislatore regionale in modo che ne possa dare
attuazione mediante la legislazione di dettaglio.
Questi limiti costituzionali, previsti per l'intervento
legislativo statale in materie di competenza concorrente, sono stati
del tutto violati con l'approvazione del decreto qui impugnato.
Le norme del decreto sopra ricordate, infatti, recano una
disciplina dettagliata, autoapplicativa, non cedevole, direttamente
operante nei confronti dei privati, che non lascia alcuno spazio
all'intervento legislativo regionale.
Le Regioni vengono cosi' private del loro spazio di intervento
costituzionalmente garantito nella materia disciplinata dal decreto,
sacrificando in maniera del tutto illegittima ed incoerente, quel
contenuto minimo dell'autonomia legislativa regionale che, nelle
materie attribuite alla competenza legislativa concorrente delle
Regioni, il legislatore statale non puo' viceversa comprimere o
eliminare.
2.2. - La legge quadro n. 36 del 2001 aveva correttamente
previsto la competenza legislativa regionale nel definire le
modalita' per il rilascio delle autorizzazioni all'installazione
degli impianti, anche nell'ambito delle previgenti norme del Titolo V
della seconda parte della Costituzione. E' evidente come l'esclusione
della competenza regionale sia del tutto ingiustificata nel vigore
del nuovo art. 117 della Costituzione, che fra l'altro assegna alle
Regioni la competenza concorrente in materia di «ordinamento della
comunicazione».
L'assorbimento di ogni competenza regionale, nella definizione
delle procedure autorizzatorie da parte dello Stato, assume il
carattere di una vera e propria imposizione di scelte urbanistiche ed
edilizie, oltre che di scelte aventi specifica attinenza al settore
della comunicazione, in nessun modo filtrate da intese o forme di
coordinamento con le Regioni o gli enti locali, in sede di
localizzazione e definizione della disciplina urbanistica di queste
installazioni.
La competenza disegnata dalla legge n. 36/2001 e' stata
esercitata dalla Regione ricorrente con la legge regionale 13
novembre 2001, n. 25.
Tale competenza e' stata confermata anche da questa Corte nella
recente sentenza n. 307/2003, resa proprio sulla legittimita' di tale
legge regionale, in cui viene riconosciuto il ruolo della Regione
nella disciplina dell'uso del territorio in funzione della
localizzazione degli impianti, cioe' delle ulteriori misure e
prescrizioni dirette a ridurre il piu' possibile l'impatto negativo
degli impianti sul territorio. In particolare e' stata riconosciuta
la legittimita' delle norme regionali relative ai criteri di
localizzazione, agli standard urbanistici, alle prescrizioni e
incentivazioni all'utilizzo della migliore tecnologia disponibile e
alla cura dell'interesse regionale e locale all'uso piu' congruo del
territorio, sia pure nel quadro dei vincoli che derivano dalla
pianificazione nazionale delle reti e dei relativi parametri tecnici,
nonche' dai valori soglia stabiliti dallo Stato (in termini analoghi,
anche la recente pronuncia n. 311 del 7 novembre 2003).
Ancor piu' esplicitamente, nella sentenza n. 324 del 29 ottobre
2003, questa Corte ha chiarito che «gia' nella legislazione
precedente la riforma del Titolo V della seconda parte della
Costituzione, risultava espressamente riconosciuto un ruolo, per
quanto limitato, delle Regioni in tema di localizzazione dei siti
degli impianti di comunicazione. Tale ruolo e' oggi ancor piu'
innegabile sulla base dell'art. 117 della Costituzione, come
modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, che prevede fra
le materie di legislazione concorrente, non soltanto il «governo del
territorio» e la «tutela della salute», ma anche l'«ordinamento della
comunicazione».
Conseguentemente, non puo' escludersi una competenza della legge
regionale in materia, che si rivolga alla disciplina di quegli
aspetti della localizzazione e dell'attribuzione dei siti di
trasmissione che esulino da cio' che risponde propriamente a quelle
esigenze unitarie alla cui tutela sono preordinate le competenze
legislative dello Stato nonche' le funzioni affidate all'Autorita'
per le garanzie nelle comunicazioni».
L'eliminazione di tale competenza regionale ad opera della
disciplina di dettaglio e non cedevole contenuta nel decreto
impugnato, che vanifica del tutto la legge adottata dalla Regione
ricorrente, appare dunque in contrasto con la ratio e la lettera del
nuovo titolo V della Costituzione e si pone in diretto conflitto con
l'interpretazione datane da questa Corte.
2.3. - A ben vedere le norme del decreto impugnato investono
anche materie di competenza residuale come quelle dell'edilizia e
dell'urbanistica.
L'edilizia e l'urbanistica, in quanto materie non menzionate
negli elenchi di cui al secondo e terzo comma dell'art. 117 della
Costituzione, sono materie autonome e, in quanto tali, rientrano tra
le materie a competenza legislativa regionale residuale, a norma
dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione.
E' quanto si puo' desumere dagli stessi lavori preparatori della
legge costituzionale n. 3 del 2001, dal cui esame si evince la
volonta' di considerare l'urbanistica e l'edilizia come materie
soggette a riserva di legislazione regionale.
Nell'intenzione del revisore della Costituzione era chiara la
volonta' di attribuire alle Regioni un campo piu' ampio di
competenze: sarebbe stato singolare escludere tale ampliamento in un
settore che piu' di ogni altro gia' era stato affidato alla
competenza legislativa regionale. L'edilizia, infatti, ricomprende i
rapporti che si instaurano tra la pubblica amministrazione e quanti
intendano realizzare lavori od opere che trasformino il territorio ed
e' stata fin qui disciplinata dalle Regioni in quanto compresa nelle
competenze in materia urbanistica e di tutela della salute. La
materia edilizia si riferisce alla sola definizione dei titoli
abilitativi ad eseguire le opere e alla disciplina della vigilanza e
repressione degli abusi edilizi, in relazione all'assenza o
insufficienza del titolo richiesto. La verifica ed il rilascio dei
titoli abilitativi restano distinti nel sistema normativo (come prova
la stessa recente redazione del testo unico della legislazione
edilizia - d.lgs. n. 380 del 6 giugno 2001 - che disciplina, nella
sua prima parte, i titoli abilitativi e le sanzioni e, nella sua
seconda parte, le normative tecniche per l'edificazione) dalla
disciplina urbanistica (che regola gli strumenti di pianificazione) e
dal governo del territorio (che regola le istituzioni e gli strumenti
di coordinamento ed impulso delle attivita' che incidono sulla
politica e sull'assetto del territorio).
Anche la materia dell'urbanistica si distingue dalla materia
«governo del territorio», in quanto disciplina dei centri abitati,
demandata alla legislazione esclusiva regionale, con il limite
rappresentato dalle funzioni fondamentali attribuite agli enti locali
direttamente dalla legge dello Stato, laddove il «governo del
territorio» spetta alla legislazione concorrente, con principi
fondamentali dettati dallo Stato e con norme emanate dalle Regioni.
2.4. - La palese violazione dell'assetto costituzionale delle
competenze legislative dello Stato e delle Regioni risulta evidente
anche nell'ipotesi in cui si volesse ritenere che, sulla base ed in
forza dell'art. 118, comma I, della Costituzione, si possa
riconoscere allo Stato una competenza legislativa ulteriore rispetto
ai titoli di legittimazione ricavabili dall'art. 117 della
Costituzione, muovendo dalla necessita', in concreto, di attribuire
allo Stato determinate funzioni amministrative, in base alla
sussistenza di esigenze di «esercizio unitario», secondo «i principi
di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza» e di riconoscere
a tal fine una competenza legislativa statale ad hoc - anche in
materie di legislazione regionale - destinata ad allocare tali
funzioni e a disciplinarne inevitabilmente le modalita' di
organizzazione e di esercizio.
Anche in tale prospettiva, in cui appare muoversi la pronuncia
n. 303/2003, peraltro, si devono rispettare almeno due condizioni:
a) che risultino motivate espressamente e puntualmente le
specifiche esigenze di esercizio unitario delle funzioni
amministrative in grado di giustificarne l'attrazione nella sfera
statale, in conformita' ai principi di sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza;
b) che sia rispettato un procedimento di «codecisione
paritaria» con le Regioni, in considerazione dell'incidenza diretta
dell'intervento normativo statale su ambiti materiali formalmente
spettanti al legislatore regionale. La necessita' di rispettare una
simile condizione trova conferma nel meccanismo previsto, per le
leggi del Parlamento, dall'art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001,
nel quale si prevede che la Commissione parlamentare per le questioni
regionali, integrata con i rappresentanti delle autonomie
territoriali, debba sempre esprimere un parere, ad efficacia
rinforzata, su tutti i progetti di legge riguardanti le materie di
legislazione concorrente e l'autonomia finanziaria delle Regioni e
degli enti locali.
Nella sentenza n. 303/2003 questa Corte ha infatti ritenuto che
«una volta stabilito che, nelle materie di competenza statale
esclusiva o concorrente, in virtu' dell'art. 118, comma 1, la legge
puo' attribuire allo Stato funzioni amministrative e riconosciuto
che, in ossequio ai canoni fondanti dello Stato di diritto, essa e'
anche abilitata a organizzarle e regolarle, al fine di renderne
l'esercizio permanentemente raffrontabile a un parametro legale,
resta da chiarire che i principi di sussidiarieta' e di adeguatezza
convivono con il normale riparto di competenze legislative contenuto
nel Titolo V e possono giustificarne una deroga solo se la
valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di
funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non
risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio
stretto di costituzionalita', e sia oggetto di un accordo stipulato
con la Regione interessata. Che dal congiunto disposto degli artt.
117 e 118, primo comma, sia desumibile anche il principio dell'intesa
consegue alla peculiare funzione attribuita alla sussidiarieta', che
si discosta in parte da quella gia' conosciuta nel nostro diritto di
fonte legale» (punto 2.2. del Considerato in diritto).
Le disposizioni del decreto impugnato non rispettano tali
rigorosi parametri. Manca in particolare l'elemento essenziale della
previa intesa con le Regioni, oltre che qualunque indicazione sulla
giustificazione dell'attrazione delle funzioni amministrative allo
Stato.
2.5. - Infine va ravvisata anche la violazione del quinto comma
dell'articolo 117 della Costituzione, che attribuisce alle Regioni,
nelle materie di loro competenza, il compito di provvedere
all'attuazione e all'esecuzione degli atti dell'Unione europea.
Nel caso di specie il decreto impugnato investe, come si e'
detto, materie di competenza concorrente ed anche residuale delle
Regioni e quindi spetta alle stesse dare attuazione alle direttive
comunitarie ivi indicate.
3. - Tutte le disposizioni indicate nell'epigrafe del presente
motivo sono da considerare costituzionalmente illegittime per le
ragioni esposte nei precedenti paragrafi.
3.1. - In particolare, con riferimento alle singole disposizioni,
si puo' sottolineare l'illegittimita' dell'art. 86 del decreto che
sotto nessun profilo puo' ritenersi normativa di principio, dato il
suo carattere estremamente dettagliato, che non lascia alcuno spazio
alla competenza concorrente della legislazione regionale.
In particolare l'assimilazione delle infrastrutture alle opere di
urbanizzazione primaria (art. 86, comma 3), anche se di proprieta'
privata degli operatori, costituisce esercizio della competenza
legislativa in materia di governo del territorio (competenza
concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.); nonche' in
materia urbanistica e di edilizia (di competenza residuale, ai sensi
dell'art. 117, quarto comma, Cost.), mediante l'introduzione di una
classificazione che incide in termini stringenti sulle possibilita'
delle Regioni, di definire la disciplina di queste particolari
infrastrutture.
Allo stesso modo la previsione dell'applicazione dei limiti di
esposizione ai campi elettromagnetici, dei valori di attenzione e
degli obiettivi di qualita' di cui all'art. 4, comma 2, lettera a)
della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (art. 86, comma 7), sacrifica del
tutto il ruolo delle Regioni «nella disciplina dell'uso del
territorio in funzione della localizzazione degli impianti, cioe'
delle ulteriori misure e prescrizioni dirette a ridurre il piu'
possibile l'impatto negativo degli impianti sul territorio» (sentenza
n. 307/2003). In tal modo infatti si sopprimono gli obiettivi di
qualita', consistenti in criteri di localizzazione dei siti degli
impianti di comunicazione, che rientrano certamente nella competenza
della legge regionale, in quanto riconducibile alle materie
concorrenti del «governo del territorio», della «tutela della
salute», dell'«ordinamento della comunicazione» (sentenza
n. 324/2003).
La norma quindi vanifica la competenza costituzionalmente
garantita al legislatore regionale nelle materie ora ricordate.
3.2. - L'art. 87 del decreto disciplina il procedimento
autorizzatorio per l'installazione e la modifica delle infrastrutture
in oggetto attribuendo tale competenza direttamente agli enti locali.
Si tratta di una disciplina di dettaglio, autoapplicativa, non
cedevole che investe da un lato competenze residuali delle Regioni,
come quelle dell'urbanistica e dell'edilizia, dall'altro certamente
competenze concorrenti come quelle del governo del territorio,
dell'ordinamento della comumcazione e della tutela della salute.
In particolare e' illegittima la previsione secondo cui i
progetti presentati devono essere compatibili con i limiti di
esposizione, i valori di attenzione, gli obiettivi di qualita'
«stabiliti uniformemente a livello nazionale» (art. 87, comma 1).
In proposito si possono ripetere le considerazioni svolte al
precedente paragrafo con riferimento all'art. 86, comma 7. La
violazione delle competenze regionali in materia di determinazione
dei criteri localizzativi degli impianti, competenze confermate da
questa Corte nelle pronunce sopra ricordate, e' qui ancor piu'
evidente. La norma infatti esclude in modo esplicito qualunque ruolo
regionale nella determinazione degli obiettivi di qualita', che gia'
la legge quadro n. 36/2001 riconosceva prima dell'entrata in vigore
del titolo V della Costituzione.
La soppressione di qualunque intervento regionale in materia e'
dunque evidente e si pone in diretto contrasto con quanto statuito da
questa Corte, secondo la quale «non puo' escludersi una competenza
della legge regionale in materia, che si rivolga alla disciplina di
quegli aspetti della localizzazione e dell'attribuzione dei siti di
trasmissione che esulino da cio' che risponde propriamente a quelle
esigenze unitarie alla cui tutela sono preordinate le competenze
legislative dello Stato nonche' le funzioni affidate all'Autorita'
per le garanzie nelle comunicazioni» (sentenza n. 324/03).
Illegittima e' anche la previsione contenuta nei successivi commi
dell'art. 87 (commi 2-8) che disciplinano un procedimento unitario e
dettagliato per l'autorizzazione degli impianti, determinando anche i
tempi di formazione degli atti e della volonta' delle amministrazioni
coinvolte senza lasciare alcuno spazio alla legislazione regionale.
La realizzazione degli impianti oggetto del decreto tocca in modo
evidente gli interessi pubblici connessi con le competenze
legislative sopra richiamate. Competenze che non possono
ragionevolmente essere travolte dalla previsione di un procedimento
unitario tale da sopprimere qualunque diversa specifica disciplina
che in ciascuna Regione ed in ciascun territorio provinciale e
comunale deve poter essere adottata per governare correttamente lo
sviluppo edilizio e i valori paesistici ed ambientali. E', infatti,
di ogni evidenza come non soltanto vi sia un preciso compito affidato
alle autonomie regionali, nell'ambito del settore della
comunicazione, che lo Stato non puo' invadere in termini arbitrari;
ma vi sono anche situazioni urbanistiche ed edilizie, in cui le
infrastrutture di telecomunicazioni si vanno ad inserire, che sono
ampiamente differenziate, in un territorio nazionale, quale il
nostro, ricco di valori paesistici e di differenziate caratteristiche
fisiche e morfologiche, che fanno del paesaggio e della tutela del
territorio cosi' multiforme uno dei valori fondanti il nostro
ordinamento (art. 9, anche in correlazione con gli artt. 41, 42 e 44
della Costituzione).
La disciplina unitaria e assorbente dettata dal decreto impugnato
si pone in netta contraddizione con tali valori nel momento in cui
impedisce una corretta valutazione, per necessita' differenziata ed
adeguata alle singole realta' locali, da parte dei legislatori e
delle amministrazioni regionali.
La specificita' della disciplina adottata, che detta regole
puntuali in tema di semplificazione del procedimento di
autorizzazione, nonche' tempi prefissati di formazione degli atti e
di manifestazione della volonta' delle amministrazioni coinvolte (ivi
comprese quelle locali), contemplando - tra l'altro - sia una forma
di autorizzazione sia una forma di denuncia di inizio di attivita',
secondo modelli predisposti e definiti in allegato al decreto,
implica una sicura lesione delle competenze legislative regionali,
entrando nel dettaglio (e con regole che si presentano
strutturalmente - per natura e finalita' - come non derogabili dal
legislatore regionale) in un settore che sicuramente rientra, quanto
meno, nella competenza regionale concorrente.
Piu' specificamente, particolarmente lesiva appare la
regolamentazione della Conferenza di servizi (art. 87, commi 6, 7, 8)
in cui la previsione dell'approvazione dei progetti a maggioranza
degli enti intervenuti puo' comportare il sacrificio (anche sul piano
amministrativo) del ruolo della Regione. Inoltre la previsione
dell'attribuzione al Consiglio dei ministri della relativa decisione
in caso di dissenso qualificato, annulla qualsiasi ruolo anche solo
amministrativo delle Regioni in materie riconducibili alla loro
competenza concorrente e anche residuale.
La previsione del silenzio assenso con l'indicazione del termine
entro cui esso si forma (art. 87, comma 9) costituisce anch'essa una
violazione delle competenze legislative regionali, in quanto non si
lascia alcuno spazio per definire, pur nel quadro dei principi
stabiliti, termini diversi, altre forme di semplificazione
amministrativa, modalita' di contemperamento, delle esigenze di
celerita' e di certezza nel rilascio del provvedimento amministrativo
(imposte anche dalle direttive comunitarie), con la valorizzazione
dell'ambiente e delle bellezze naturali, la tutela della salute, e
piu' in generale il governo del territorio, rimessi alla competenza
delle Regioni.
Le disposizioni impugnate nel presente ricorso appaiono, inoltre,
riconducibili alle materie, di competenza residuale delle Regioni,
dell'urbanistica e soprattutto dell'edilizia (cfr. parag. 2.3) e
dunque, al di la' del loro carattere di disposizioni di principio o
di dettaglio, sono in radice illegittime per invasione della sfera di
competenza riservata alle Regioni.
Si puo' ritenere che la disciplina del rilascio dei titoli
abilitativi ad eseguire le opere per la realizzazione degli impianti
in oggetto, contenuta nelle norme ora ricordate, attenga alla materia
dell'edilizia e dunque esuli anche dal novero delle competenze di
legislazione concorrente in cui lo Stato mantiene il potere di
adottare solo una disciplina di principio.
3.3. - Le stesse considerazioni valgono per gli artt. 88 e
seguenti del decreto che disciplinano procedure dettagliate puntuali
per la realizzazione di opere civili, scavi ed occupazione di suolo
pubblico finalizzati alla realizzazione degli impianti di
comunicazione.
L'art. 88 disciplina un procedimento analogo a quello previsto
dall'art. 87, con la previsione della conferenza di servizi e del
silenzio assenso, fissa le regole perche' gli enti pubblici
definiscano i programmi di realizzazione o di manutenzione ordinaria
e straordinaria delle rispettive opere pubbliche in modo da garantire
le esigenze di programmazione da parte dei titolari di
autorizzazione, nell'ambito di una disciplina estremamente
dettagliata che non lascia alcuno spazio alla legislazione regionale.
Si ripropongono quindi le medesime censure evidenziate con
riferimento all'articolo 87 al paragraf precedente.
3.4. - L'articolo 89 stabilisce regole per la condivisione delle
infrastrutture e la coubicazione dei cavi, anche qui con una
disciplina di dettaglio che investe materie di competenza quantomeno
concorrente, se non residuale e quindi in violazione del ruolo
legislativo riservato dall'articolo 117 alle Regioni.
3.5. - Gli articoli 90, 91, 92 e 94 fissano regole per
l'acquisizione dei beni immobili necessari alla realizzazione degli
impianti (art. 90), per la limitazione legale della proprieta' (art.
91) e l'imposizione di servitu' (art. 92 e 94).
Si tratta di disposizioni che investono le materie del governo
del territorio, dell'ordinamento della comunicazione e della tutela
della salute di competenza concorrente e dunque violano l'articolo
117 Cost., nella misura in cui stabiliscono una disciplina di
dettaglio e autoapplicativa, non cedevole che esclude qualunque ruolo
delle Regioni.
Tali disposizioni appaiono inoltre investire le materie, di
competenza regionale residuale, dell'edilizia e dell'urbanistica e
dunque sono del tutto illegittime in quanto al di fuori della
competenza attribuita dalla Costituzione allo Stato.
3.6. - Nella stessa censura non puo' non essere incluso l'art. 93
del decreto legislativo impugnato, secondo cui, agli operatori puo'
essere posto a carico solo l'obbligo di tenere indenne l'ente locale,
ovvero l'ente proprietario, dalle spese necessarie per le opere di
sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli
interventi di installazione e manutenzione, e solo l'obbligo di
ripristinare a regola d'arte le medesime nei tempi stabiliti
dall'ente locale, fatte salve le tasse ed i canoni di concessione.
Anche questa norma si ingerisce in termini indebiti nelle
competenze legislative regionali sopra richiamate, perche' stabilisce
in termini uniformi la disciplina relativa ad infrastrutture che
debbono, invece, essere realizzate tenendo conto dello specifico
contesto territoriale e normativo dettato da ciascuna regione.
3.7. - L'art. 95, fissa regole per gli impianti e le condutture
di energia e elettrica e disciplina le interferenze, con una
disciplina di dettaglio e anche qui autoapplicativa non cedevole, in
materie che rientrano quanto meno nella competenza concorrente
dell'ordinamento della comunicazione e del governo del territorio.
Nessuno spazio e' lasciato alla competenza legislativa regionale
concorrente.
Illegittimita' degli artt. 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94 e
95, dell'allegato 13 del d.lgs. n. 259/03 per lesione della sfera di
competenza regolamentare regionale ai sensi dell'art. 117, sesto
comma Cost.
4.1. - Le norme e gli allegati del decreto impugnato citati nella
rubrica del presente motivo configurano l'esercizio da parte del
Governo non solo di una potesta' legislativa, ma anche di una
potesta' normativa diretta alla deroga o alla modificazione e
integrazione di tutti i regolamenti di esecuzione e di attuazione
della legislazione statale e regionale fin qui vigenti.
Le disposizioni richiamate si pongono in contrasto con quanto
stabilito dall'art. 117, sesto comma, Cost., che fissa una
ripartizione rigida della potesta' regolamentare tra gli enti che
«costituiscono» la Repubblica.
Allo Stato la potesta' regolamentare spetta solo nelle materie di
legislazione esclusiva statale; alle Regioni spetta, invece, «in ogni
altra materia». Poiche' l'oggetto della disciplina del decreto
impugnato e' riconducibile a materie elencate nell'art. 117, comma
terzo e quarto, Cost., e' altrettanto innegabile che la potesta' di
dettare norme a contenuto regolamentare, in tale ambito disciplinare,
deve essere riconosciuta solo alla Regione.
4.2. - L'evidente illegittimita' costituzionale di queste norme
del decreto legislativo impugnato non puo' essere superata neppure
sostenendo che allo Stato dovrebbe essere riconosciuto (in denegata
ipotesi) un potere di intervenire con norme legislative per la
modifica, l'integrazione o la deroga di previgenti discipline
regolamentari (statali, regionali o locali) anche in materie diverse
da quelle di legislazione statale esclusiva; potere che, nella
suddetta denegata ipotesi, sarebbe giustificabile in base alla
considerazione che allo Stato sarebbe comunque da riconoscere un
potere generale di dettare norme regolamentari in ambiti diversi da
quelli indicati nell'art. 117, secondo comma, Cost., a condizione che
tali norme risultassero «cedevoli» rispetto alla successiva
emanazione di regolamenti regionali. Infatti, una simile
ricostruzione si porrebbe in palese contrasto con la ripartizione
delle competenze regolamentari stabilita espressamente nella
Costituzione; ed e' d'altronde evidente che, nel caso di specie, le
norme del decreto legislativo impugnato si pongono come direttamente
sostitutive, senza alcun margine di derogabilita', delle norme
regolamentari previgenti, escludendo espressamente la propria
«cedevolezza», e ledendo cosi' irrimediabilmente le attribuzioni
costituzionali della Regione in tema di potesta' regolamentare.
4.3. La violazione dei principi e delle norme costituzionali ora
ricordati e' in particolare evidente nella previsione, da parte delle
norme impugnate, del contenuto dei modelli da presentarsi per le
domande di autorizzazione e per gli altri adempimenti amministrativi
connessi con l'installazione di esercizio degli impianti. In
particolare si censurano sotto questo profilo le norme di cui
all'art. 86, comma 8 (che prevede la presentazione delle
comunicazioni da parte degli operatori sulla base dei modelli A e B
dell'allegato 13); all'art. 87, comma 3, (che egualmente rinvia al
modello A ed agli altri modelli dell'allegato 13 e che comunque
definisce, in tutti i suoi commi, in termini dettagliati, i
procedimenti autorizzativi e le relative istanze); all'art. 88, comma
1, (contenente un ulteriore rinvio all'allegato 13, e anch'esso
dettagliato - in tutti i suoi commi - nel definire le modalita' di
realizzazione delle opere civili e degli scavi); all'art. 89 (che
rinvia nel suo ultimo comma alle procedure di cui all'art. 88); agli
artt. 92, 93 e 94 (che precisano in dettaglio le modalita' di domande
per acquisire le servitu', art. 92, e definiscono i presupposti per
la relativa acquisizione); all'art. 95 (che definisce in dettaglio le
norme sulle interferenze).
Le norme citate e l'allegato 13 al decreto che determina il
contenuto dei modelli richiamati dalle stesse norme, integra
l'esercizio, piu' che di una potesta' legislativa, della potesta'
regolamentare, che lo Stato non puo' esercitare in materie diverse da
quelle riservate alla sua competenza esclusiva (cfr. sentenza
n. 303/2003).
Illegittimita' degli artt. 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94 e
95 dell'allegato 13 del d.lgs. n. 259/2003 per lesione della sfera di
competenza amministrativa regionale ai sensi dell'art. 118, primo e
secondo comma, Cost.
5. - Le disposizioni impugnate hanno inoltre in vari casi natura
provvedimentale e costituiscono quindi esercizio diretto di funzioni
amministrative da parte dello Stato o attribuiscono funzioni
amministrative ad organi dell'amministrazione statale ovvero
direttamente agli enti locali.
In proposito, l'art. 118, primo comma, Cost. stabilisce che «le
funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per
assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Citta'
metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza».
La norma costituzionale non contiene un' attribuzione diretta di
funzioni amministrative ai diversi livelli territoriali di governo;
fissa, semplicemente, criteri e principi per la ripartizione di tali
funzioni da parte dell'ente che risulti, di volta in volta, titolare
di una potesta' legislativa nella specifica materia. Di conseguenza,
l'art. 118, I comma, costituisce necessario parametro di legittimita'
costituzionale di ogni intervento normativo finalizzato ad allocare
funzioni amministrative.
Tale parametro e' individuato nell'esigenza che sussistano
specifiche ragioni di esercizio unitario della funzione, puntualmente
motivate in base ai principi di sussidiarieta', differenziazione ed
adeguatezza, tali da giustificare nei singoli casi l'attrazione della
competenza ad un livello di governo superiore rispetto a quello «piu'
vicino» al cittadino. Di qui il necessario rigore nel valutare ogni
norma dalla quale consegua l'attribuzione delle competenze al livello
di governo «piu' lontano» dal cittadino, ossia al livello statale.
Vi e' dunque un obbligo per il legislatore, particolarmente per
quello statale, di accompagnare qualunque scelta di allocazione di
funzioni amministrative ad un livello diverso da quello comunale, con
una analisi ed una verifica sostanziale dell'effettiva rispondenza
della scelta (pur sempre discrezionale) ai parametri indicati dalla
norma costituzionale. Cio' implica che la norma che alloca le
funzioni dovra' anche enunciare le circostanze e le finalita' che
rendono legittima la scelta effettuata.
Si e' gia' ricordato come questa Corte nella sentenza 303/2003 ha
chiarito che l'avocazione da parte dello Stato delle funzioni
amministrative in materie non di competenza legislativa esclusiva
dello stesso, e' giustificata in base ai principi di
proporzionalita', sussidiarieta' e adeguatezza «solo se la
valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di
funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non
risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio
stretto di costituzionalita', e sia oggetto di un accordo stipulato
con la Regione interessata». Il «principio dell'intesa» costituisce
dunque uno dei presupposti essenziali per l'esercizio da parte dello
Stato delle funzioni amministrative.
Si e' aggiunto che «quando si intendano attrarre allo Stato
funzioni amministrative in sussidiarieta', di regola il titolo del
legiferare deve essere reso evidente in maniera esplicita perche' la
sussidiarieta' deroga al normale riparto delle competenze stabilito
dall'articolo 117 Cost.».
5.2. - Anche ove questa Corte volesse ritenere che lo Stato possa
autoattribuirsi funzioni amministrative nella materia in oggetto (a
prescindere dall'illegittimita' del riconoscimento di una sua
potesta' legislativa, denunciata sub-2), senza sottostare ad alcun
vincolo formale di espressa indicazione dei presupposti che ne
motivano la scelta, le disposizioni impugnate si devono comunque
ritenere costituzionalmente illegittime in quanto lesive dei limiti
sostanziali che l'art. 118, primo comma, stabilisce per la
distribuzione delle competenze amministrative nell'ordinamento.
Non sono infatti indicati, ne' altrimenti desumibili i motivi che
giustificano l'allocazione a livello centrale anche delle funzioni
amministrative che risultino relative alla loro specifica
localizzazione degli impianti di comunicazione sul territorio e alla
loro concreta realizzazione. Tali funzioni, infatti, potrebbero (e
dovrebbero) adeguatamente essere svolte dalle amministrazioni
preposte alla cura degli interessi che insistono sul territorio
regionale, ovviamente garantendo il necessario coordinamento con i
competenti organi dello Stato.
Tanto meno e' rispettato il principio dell'intesa con le Regioni.
Anche sotto questi profili risulta evidente la lesione della
sfera di autonomia amministrativa della Regione, soprattutto nella
parte in cui le disposizioni impugnate limitano il potere della
Regione nella definizione delle procedure autorizzatorie attraverso
meccanismi che prevedono una compartecipazione formalmente non
paritaria e sostituiscono, con norme di rango legislativo, tutte le
procedure sin qui avviate.
La Regione ricorrente non nega pregiudizialmente l'esigenza di
prevedere meccanismi che garantiscano, sia pure nell'ambito di una
compartecipazione paritaria di tutti gli enti interessati, la
definizione in tempi ragionevolmente certi del processo decisionale;
cio' che si contesta - e che risulta costituzionalmente illegittimo -
e' che tale risultato sia raggiunto dal decreto impugnato attraverso
il mero riconoscimento al legislatore statale della possibilita' di
sostituire direttamente e completamente ogni valutazione
discrezionale della Regione nell'esercizio dei poteri di
autorizzazione in materie di competenza regionale concorrente o
addirittura esclusiva.
5.3. - Inoltre la disciplina impugnata viola l'articolo 118
Cost., secondo comma, nella misura in cui attribuisce direttamente
l'esercizio di funzioni amministrative agli enti locali,
disciplinando il relativo procedimento.
L'articolo 118 esclude che lo Stato possa in materie di
competenza concorrente e residuale attribuire direttamente funzioni
amministrative agli enti locali, in quanto tali funzioni devono
essere conferite con legge statale o regionale «secondo le rispettive
competenze».
Pertanto in materie di competenza residuale o comunque
concorrente spetta alle Regioni disciplinare i procedimenti in
questione attribuendo agli enti locali le relative funzioni.
5.4. - In particolare vengono qui in rilievo le disposizioni di
cui all'art. 87 che attribuisce agli enti locali, con il procedimento
specificamente ivi disciplinato, il compito amministrativo di
rilasciare l'autorizzazione degli impianti di comumcazione.
La norma viola l'articolo 118, secondo comma, Cost. in quanto
attribuisce una funzione amministrativa direttamente all'ente locale
in materia di governo del territorio, di ordinamento della
comunicazione, a competenza concorrente, se non in materia di
urbanistica ed edilizia a competenza residuale.
Analoga violazione si ha al comma 8 dell'art. 87, che stabilisce
che gli operatori di reti radiomobili di comunicazione elettronica ad
uso pubblico provvedono ad inviare ai comuni ed ai competenti
ispettorati territoriali del Ministero la descrizione di ciascun
impianto installato, sulla base dei modelli A e B dell'allegato 13 al
decreto e che i soggetti interessati alla realizzazione delle opere
di cui agli artt. 88 e 89 trasmettono al Ministero copia dei modelli
C e D dello stesso allegato 13 al decreto, prevedendo che il
Ministero puo' a sua volta delegare ad altro ente la tenuta degli
archivi telematici di tutte le comunicazioni trasmessegli, si pone in
contrasto con l'articolo 118, primo comma, Cost.
Tale disposizione e' illegittima anche perche' attribuisce, in
materie a competenza concorrente e residuale, ad organi statali
l'esercizio di funzioni amministrative senza il rispetto dei rigorosi
parametri sopra ricordati, consistenti nella adeguata motivazione,
nella previa intesa con le Regioni, nel rispetto dei principi di
proporzionalita', adeguatezza e sussidiarieta'.
Anche gli articoli 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94 e 95 del decreto
non si sottraggono alla stessa censura nella misura in cui
attribuiscono direttamente funzioni amministrative agli enti locali e
riservano ad organi statali funzioni amministrative in materie a
competenza concorrente e residuale.
In particolare l'articolo 95 attribuisce ad un organo statale,
l'Ispettorato del Ministero delle comunicazioni, il potere di
rilasciare il nulla osta sui progetti relativi alle condutture di
energia elettrica e alle tubazioni metalliche sotterrate, in materie,
quindi, riconducibili al governo del territorio e all'ordinamento
delle comunicazioni a competenza legislativa concorrente, senza il
rispetto dei criteri stabiliti dall'articolo 118 Cost., cosi' come
interpretati da questa Corte.
Illegittimita' dell'art. 93 del d.lgs. n. 259/2003 per lesione
della sfera di autonomia finanziaria regionale ai sensi dell'art. 119
Cost.
6. - La disposizione impugnata, per la parte in cui limita in
modo puntuale - per gli operatori - gli oneri connessi alle attivita'
di installazione, scavo ed occupazione di suolo pubblico (art. 93),
e' costituzionalmente illegittima anche per contrasto con l'art. 119
Cost.
Infatti, il principio dell'autonomia finanziaria (sotto il
profilo dell'autonomia di spesa), unitamente alla norma secondo cui
«per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro
funzioni lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi
speciali in favore di determinati comuni, province, citta'
metropolitane e regioni», implica necessariamente che tutte le
funzioni amministrative spettanti alle Regioni e diverse da quelle
«ordinarie» risultino adeguatamente finanziate attraverso
l'attribuzione diretta ai loro bilanci di adeguate risorse, senza
vincoli sulle modalita' di spesa.
Le norme impugnate violano altresi' l'art. 119 Cost., per la
parte in cui impongono oneri finanziari a carico - sia pure
indirettamente - delle Regioni. Nella realizzazione delle opere
disciplinate dal decreto, infatti, e' ammissibile che vi sia un
interesse dello Stato a garantire il conseguimento del risultato
finale complessivo; cio' che e' costituzionalmente inammissibile e'
la limitazione dell'autonomia regionale sulle modalita' e gli
strumenti per la realizzazione in concreto degli obiettivi da
perseguire.
P. Q. M.
Si chiede che questa Corte dichiari l'illegittimita'
costituzionale degli articoli 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95
e dell'allegato n. 13 del decreto legislativo 1° agosto 2003 n. 259,
per violazione delle competenze costituzionalmente riconosciute alla
Regione ricorrente dagli articoli 117, 118 e 119 Cost.
Firenze - Roma, addi' 12 novembre 2003
Avv. prof. Stefano Grassi