N. 81 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 19 novembre 2003.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 19 novembre 2003 (della Regione Marche)
(GU n. 50 del 17-12-2003)

Ricorso (ai sensi dell'art. 127, secondo comma, Cost.;
dell'art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; degli
articoli 32, 34 e 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87), della Regione
Marche, in persona del presidente pro tempore della giunta regionale,
a cio' autorizzato con deliberazione della giunta regionale, n. 1410
del 21 ottobre 2003, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Stefano
Grassi ed elettivamente domiciliato presso il suo studio di Roma,
piazza Barberini, n. 12, come da procura speciale per atto del notaio
Sabatini, n. rep. 38.985 del 27 ottobre 2001;
Contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei
ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita'
costituzionale dell'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003,
n. 269 (Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e
paesaggistica, per l'incentivazione dell'attivita' di repressione
dell'abusivismo edilizio, nonche' per la definizione degli illeciti
edilizi e delle occupazioni di aree demaniali), (pubblicato nel
supplemento ordinario n. 157 alla Gazzetta Ufficiale n. 229 del 2
ottobre 2003), sia nel suo complesso sia, in particolare, dei commi
1, 2, 3, 5, 6, 9, 10, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 24, 25, 26, 27,
28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, per
violazione degli articoli 3, 9, 25, secondo comma, 32, 41, 42, 77,
97, 117, 118, 119 della Costituzione.
1. - L'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269,
prevede che «al fine di pervenire alla regolarizzazione del settore
e' consentito, in conseguenza del condono, il rilascio del titolo
abilitativo edilizio in sanatoria delle opere esistenti non conformi
alla disciplina vigente»», precisando, nel successivo terzo comma,
che «le condizioni, i limiti e le modalita' del rilascio del predetto
titolo abilitativo sono stabilite dal presente articolo e dalle
normative regionali» (primo comma).
La disciplina di sanatoria e' espressamente disposta «nelle more
dell'adeguamento della disciplina regionale ai principi contenuti nel
testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia, approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in conformita'
al titolo V della Costituzione come modificato dalla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e comunque fatte salve le
competenze delle autonomie locali sul governo del territorio»
(secondo comma).
L'art. 32 del decreto-legge impugnato affida al Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti il compito di supportare i comuni
nell'applicazione della disciplina di sanatoria (comma 5), nonche' di
individuare gli interventi di riqualificazione urbanistica attivati
dalle regioni, ammessi al finanziamento (comma 6), stanziando fondi
per gli interventi di riqualificazione e di messa in sicurezza del
territorio dal dissesto idro-geologico (commi 9 e 10).
Lo stesso art. 32 disciplina la sanatoria degli abusi edilizi
realizzati su aree del demanio dello Stato (commi da 14 a 20).
L'art. 32 impugnato prevede, in particolare, la riapertura dei
termini dei condoni edilizi disposti nel 1985 (legge n. 47 del 28
febbraio) e nel 1994 (legge n. 724 del 23 dicembre) a favore delle
opere edilizie realizzate fino alla data del 31 marzo 2003 («le
disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985,
n. 47 e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente
modificate dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 e
successive modificazioni e integrazioni, nonche' dal presente
articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate
entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del
manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della
costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a
750 mc. Le suddette disposizioni trovano altresi' applicazione alle
opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove
costruzioni residenziali non superiori a 750 mc. per singola
richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria» (comma 25).
La stessa norma di cui all'art. 32 individua, in termini
dettagliati, le tipologie di illecito (comma 26 ed allegato 1), le
opere abusive non suscettibili di sanatoria (comma 27), i termini
decorrenti dalla data di entrata in vigore dell'articolo 39 della
legge 23 dicembre 1994, n. 724 e successive modificazioni e
integrazioni, che «sono da intendersi come riferiti alla data di
entrata in vigore del presente decreto» (comma 28), la sospensione
del procedimento di sanatoria degli abusi edilizi posti in essere
dalla persona (o da terzi per suo conto) di uno dei delitti di cui
agli articoli 416-bis, 648-bis e 648-ter del codice penale (commi 29
e 30), fatti comunque salvi i diritti dei terzi (comma 31), il
termine del 31 marzo 2004 per la presentazione della domanda relativa
alla definizione dell'illecito edilizio (comma 32), nonche'
disposizioni dettagliate sulla domanda e sulla procedura di rilascio
(commi da 35 a 40) e l'indicazione del termine di sessanta giorni
dalla data di entrata in vigore del decreto, entro il quale le
regioni provvedono all'emanazione di «norme per la definizione del
procedimento amministrativo relativo al rilascio del titolo
abilitativo edilizio in sanatoria» (comma 33).
2. - La Regione Marche ha deliberato di impugnare dinanzi a
questa Corte la disciplina di cui all'art. 32 del decreto-legge
269/2003, perche' lesiva dell'autonomia costituzionalmente
riconosciuta e garantita dagli artt. 117, 118, 119 Cost., nonche' in
relazione agli artt. 3, 9, 25, secondo comma, 32, 41, 42, 77, 97,
117, 118 e 119 Cost.
In particolare, la disciplina di cui all'art. 32 del
decreto-legge n. 269/2003, riaprendo i termini dei precedenti condoni
(comma 28) e, quindi, integrando una vera e propria reiterazione in
tempi ravvicinati della sanatoria, si pone in contrasto con le norme
relative al principio di eguaglianza e al principio di tassativita' e
certezza delle norme penali (art. 25, secondo comma, Cost.).
Si configura, in altre parole, un vero e proprio «privilegio
odioso» per i soggetti che hanno violato le norme urbanistiche ed
edilizie, in contrasto con gli interessi pubblici e collettivi legati
all'ordinato assetto del territorio, con gravi danni sia degli enti
rappresentativi di tali interessi, sia di coloro che hanno rispettato
la disciplina urbanistica e si sono assunti i relativi oneri.
Lo Stato, utilizzando una norma penale di favore, in realta'
disciplina procedimenti e norme sostanziali relative all'ordinato
assetto del territorio e al corretto esercizio delle attivita'
edilizie, determinando la violazione delle competenze in materia di
«governo del territorio» (competenze concorrenti ai sensi
dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione) e delle competenze in
materia urbanistica nonche' in materia edilizia (materie di
competenza residuale di cui all'art. 117, quarto comma, della
Costituzione). Con la disciplina di sanatoria lo Stato invade la
competenza amministrativa delle regioni e dei comuni, ledendo anche
la loro autonomia finanziaria, mediante un atto avente forza di
legge, adottato in assenza dei presupposti di straordinaria
necessita' ed urgenza.
La disciplina impugnata, lesiva delle competenze
costituzionalmente spettanti alla Regione ricorrente, e' in
particolare illegittima costituzionalmente per i seguenti motivi di
diritto.
Illegittimita' dell'art. 32, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, per
violazione dell'art. 77 Cost. e dei principi contenuti negli artt. 3,
25, secondo comma e 97 Cost., nonche' dei valori tutelati dagli
artt. 9, 32, 41 e 42 Cost., in relazione alle competenze legislative
attribuite alla Regione dagli artt. 117, 118 e 119, Cost.
3. - La disciplina impugnata si pone in contrasto con le norme
relative al principio di eguaglianza e al principio di tassativita' e
certezza delle norme penali nonche' al principio di imparzialita'
dell'azione dei pubblici poteri. La disciplina impugnata incide nel
suo complesso sull'ordinato assetto del territorio e quindi sui
valori costituzionali ad esso comuni come la tutela della qualita'
dell'ambiente e della salute, nonche' sul corretto esercizio
dell'attivita' imprenditoriale edilizia e sulla tutela del diritto di
proprieta' che anche le discipline regionali sono chiamate a
garantire nella loro effettivita'.
In particolare, l'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003,
n. 269, riaprendo ed estendendo i termini del condono edilizio, come
risulta chiaramente dai commi 1, 2, 25 e 28 dello stesso decreto,
giustifica un sistema discriminatorio nei confronti dei soggetti che,
rispettando la normativa, non hanno costruito perche' privi del
titolo abilitativo, e che si troverebbero, con l'applicazione della
disciplina impugnata, a dover subire l'illegalita' edilizia cosi'
legittimata e il connesso degrado urbanistico che ne deriva.
In altri termini, l'art. 32 del decreto-legge n. 269/2003
interviene nella materia come legge singolare e motivo di lesione
dell'eguaglianza dei cittadini. Infatti, essa non solo discrimina tra
chi ha legittimamente costruito e chi ha violato le norme edilizie,
ma introduce il principio di periodica sanatoria dell'edificazione
abusiva. Cio' vanifica ogni funzione deterrente delle sanzioni
previste dalla normativa urbanistica ed edilizia, ed incide,
attraverso la sanatoria, sugli equilibri territoriali, consentendo il
permanere dell'alterazione causata dagli abusi, con conseguente
incisione su beni e interessi costituzionalmente garantiti per la
tutela del territorio e del patrimonio paesistico e con palese
violazione del sistema della legalita'.
Non e' senza significato che la sanatoria dettata dal
decreto-legge impugnato interviene a distanza di nove anni dalla
precedente sanatoria del 1994, a sua volta successiva di altri nove
anni rispetto a quella introdotta nel 1985. La reiterazione dei
condoni a scadenza «novennale» implica non solo la lesione del
principio di legalita', lede soprattutto la fiducia dei cittadini
sull'effettiva capacita' degli organi pubblici di garantire il
rispetto dei valori costituzionali coinvolti dalla disciplina
urbanistica ed edilizia (dalla tutela dell'ambiente e della sua
qualita' e salubrita' al corretto svolgimento delle attivita'
imprenditoriali edilizie, alla stessa tutela del diritto di
proprieta). Si crea una forma di continuita' nell'«istituto» del
condono, che legittima il «privilegio odioso» dei cittadini che non
hanno rispettato le leggi e che sono incoraggiati a ripetere le loro
violazioni.
La reiterazione, ponendosi in contrasto sia con i principi di
imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione, sia con i valori
costituzionali sopra richiamati lede in termini gravi la competenza
regionale.
Ed e' ancor piu' evidente la lesione, se si considera come essa
sia stata adottata mediante lo strumento del decreto-legge, laddove
non si puo' in alcun modo giustificare l'urgenza di «reiterare»
misure di sanatoria capaci di comprimere le competenze regionali
(tanto piu' quando la misura d'urgenza viene smentita dai tempi e
modi per la sua attuazione - v. la sentenza di questa Corte
n. 418/1992).
3.1. - La lesione dei principi sopra richiamati trova fondamento
e compiuta esplicitazione nella stessa giurisprudenza di questa Corte
costituzionale.
In particolare, questa Corte, nel punto 7 della parte in diritto
della sentenza n. 416/1995 - in cui e' stata decisa la questione di
legittimita' costituzionale del precedente condono, di cui
all'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 - ha osservato, da
un lato, che «deve escludersi che l'apertura e l'estensione dei
termini (riferiti all'epoca dell'abuso commesso) del condono edilizio
(peraltro con ulteriori limiti e presupposti riduttivi) il cui
carattere essenziale nella fattispecie e' quello di norma del tutto
eccezionale in relazione ad esigenze di contestuale intervento sulla
disciplina concessoria e a contingenti e straordinarie ragioni
finanziarie e di recupero della base impositiva dei fabbricati,
vanifichi di per se' l'azione di controllo e di repressione delle
amministrazioni ed in particolare di quelle piu' attente».
La stessa sentenza ha, dall'altro, evidenziato che «ben diversa
sarebbe, invece, la situazione in caso di altra reiterazione di una
norma del genere, soprattutto con ulteriore e persistente spostamento
dei termini temporali di riferimento del commesso abusivismo
edilizio. Conseguentemente differenti sarebbero i risultati della
valutazione sul piano della ragionevolezza, venendo meno il carattere
contingente e del tutto eccezionale della norma (con le peculiari
caratteristiche della singolarita' ed ulteriore irrepetibilita) in
relazione ai valori in gioco, non solo sotto il profilo della
esigenza di repressione dei comportamenti che il legislatore
considera illegali e di cui mantiene la sanzionabilita' in via
amministrativa e penale, ma soprattutto sotto il profilo della tutela
del territorio e del correlato ambiente in cui vive l'uomo»
(affermazioni riprese e confermate dalla successiva sentenza
n. 427/1995, punto 2.2. della parte in diritto).
Di conseguenza, la non punibilita' conseguente al condono «in
modo speciale quando cancella reati lesivi di beni fondamentali della
societa', va usata negli stretti limiti consentiti dal sistema
costituzionale. Questa non punibilita', incidendo sul principio di
uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, deve, cioe',
trovare giustificazione in un principio di ragionevolezza, che, solo,
puo' consentire di superare il vaglio di costituzionalita» (punto
2.2. della parte in diritto della sentenza n. 427/1995).
3.2. - Proprio alla luce della giurisprudenza costituzionale, non
sussistono per l'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 quelle
circostanze eccezionali che possono giustificare il condono quando il
legislatore sia «necessitato, nel cancellare il passato, ad incidere
sulle sanzioni penali poste a rafforzamento di quelle extra-penali»
(Corte cost. sentenza n. 369/1988) e che avevano giustificato
l'intervento dello Stato con l'art. 39 della legge n. 724 del 1994,
rinvenute dalla Corte, nell'ipotesi specifica, nel «difetto di una
attivita' di polizia locale specializzata sul controllo del
territorio» e nella «scarsa (o quasi nulla in talune regioni)
incisivita' e tempestivita' dell'azione di controllo e di repressione
degli enti locali e delle regioni» (punto 7 della parte in diritto,
sentenza Corte cost. n. 416/1995).
La Regione Marche ha, infatti, effettuato con tempestivita' e
incisivita' la propria attivita' di controllo, gia' con la legge
regione Marche 18 giugno 1986, n. 14 (Norme regionali in materia di
controllo e snellimento di procedure urbanistico-edilizie ed in
materia di sanzioni e sanatoria delle opere abusive), «sulla base dei
principi della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e successive
modificazioni ed integrazioni» (art. 1), che prevede, tra l'altro che
«a conclusione delle procedure di sanatoria delle opere abusive
previste dal capo IV della legge n. 47/1985 su richiesta della giunta
regionale e con le modalita' da essa definite, i comuni sono tenuti a
fornire i dati relativi alle opere sanate»; poi con la legge regione
Marche 5 agosto 1992, n. 34 (Norme in materia urbanistica,
paesaggistica e di assetto del territorio), modificata dalla legge
regione Marche 16 agosto 2001, n. 19, che delega alle province le
funzioni amministrative di competenza regionale riguardanti «d) i
pareri previsti dal primo comma dell'articolo 32 della legge 28
febbraio 1985, n. 47 e successive modificazioni ed integrazioni»
(art. 5, secondo comma) e con la legge Regione Marche 17 maggio 1999,
n. 10 (Riordino delle funzioni amministrative della Regione e degli
Enti locali nei settori dello sviluppo economico ed attivita'
produttive, del territorio, ambiente e infrastrutture, dei servizi
alla persona e alla comunita', nonche' dell'ordinamento ed
organizzazione amministrativa).
Appare d'altra parte del tutto formale e pretestuoso il richiamo,
effettuato dal comma 2 del decreto-legge impugnato, al sopravvenire
del testo unico dell'edilizia e del nuovo titolo V Cost. Da un lato,
la disciplina del testo unico, in quanto tale, non ha innovato il
sistema normativo, ma ha confermato e riordinato i principi vigenti
senza peraltro prevedere alcuna esigenza di sanatoria. In secondo
luogo, e' evidente come l'entrata in vigore del nuovo assetto delle
competenze costituzionali abbia semplicemente rafforzato le
attribuzioni regionali in materia di assetto del territorio e di
edilizia, rendendo ancor piu' ingiustificato l'intervento statale che
impone una deroga illegittima all'ordinato esercizio delle competenze
regionali.
In definitiva, la disciplina del condono edilizio posta dal
decreto-legge 269/03 e' sprovvista dei caratteri di straordinarieta'
ed eccezionalita' che soli potrebbero giustificarla, determinando
un'irragionevole discriminazione tra i cittadini, in violazione
dell'art. 3 Cost.
La discriminazione incide direttamente sulle competenze della
Regione Marche che, da un lato, vede alterato il sistema normativo
predisposto a tutela dell'ordinato sviluppo del suo territorio e
dall'altro subisce un intervento che non trova giustificazione
nell'ambito del territorio marchigiano che illegittimamente viene
coinvolto in una disciplina di sanatoria che - anche se eventualmente
dettata per quelle regioni che non avessero predisposto una
disciplina analogamente efficace - risulta, nelle stesse intenzioni
del legislatore statale (come prova il contesto normativo del
decreto-legge impugnato), giustificata solo da esigenze finanziarie
dell'apparato centrale.
Ne si puo' ritenere che la norma impugnata sia legittima, in
quanto dettata dallo Stato nell'esercizio della competenza penale, da
ritenere esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma
dell'art. 117 Cost. L'irragionevolezza della reiterazione del
condono, adottata con decretazione d'urgenza - ma in assenza dei
presupposti di cui all'art. 77 Cost. -, impedisce di riconoscere la
competenza dello Stato, perche' il Governo centrale, attraverso un
esercizio illegittimo delle attribuzioni di cui e' titolare in
materia penale, interferisce e lede gravemente gli interessi pubblici
connessi con la disciplina del territorio e la disciplina urbanistica
ed edilizia dettata dalla Regione nell'esercizio delle sue competenze
costituzionali.
Illegittimita' dell'art. 32, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, per
violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
4. - L'edilizia, in quanto materia non menzionata negli elenchi
di cui al secondo e terzo comma dell'art. 117 Cost., e' materia
autonoma e, in quanto tale, rientra tra le materie a competenza
legislativa regionale residuale, a norma dell'art. 117, quarto comma,
Cost.
E' quanto si puo' desumere dagli stessi lavori preparatori della
legge costituzionale n. 3 del 2001, dal cui esame si evince la
volonta' di considerare l'urbanistica e l'edilizia come materie
soggette a riserva di legislazione regionale.
Nell'intenzione del revisore della Costituzione era chiara la
volonta' di attribuire alle regioni un campo piu' ampio di
competenze: sarebbe stato singolare escludere tale ampliamento in un
settore che piu' di ogni altro gia' era stato affidato alla
competenza legislativa regionale. L'edilizia, infatti, ricomprende i
rapporti che si instaurano tra la pubblica amministrazione e quanti
intendano realizzare lavori od opere che trasformino il territorio ed
e' stata fin qui disciplinata dalle regioni in quanto comprese nelle
competenze in materia urbanistica e di tutela della salute. La
materia edilizia si riferisce alla sola definizione dei titoli
abilitativi ad eseguire le opere e alla disciplina della vigilanza e
repressione degli abusi edilizi, in relazione all'assenza o
insufficienza del titolo richiesto. La verifica ed il rilascio dei
titoli abilitativi restano distinti nel sistema normativo (come prova
la stessa recente redazione del Testo Unico della legislazione
edilizia - d.lgs. n. 380 del 6 giugno 2001 - che disciplina, nella
sua prima parte, i titoli abilitativi e le sanzioni e, nella sua
seconda parte, le normative tecniche per l'edificazione) dalla
disciplina urbanistica (che regola gli strumenti di pianificazione) e
dal governo del territorio (che regola le istituzioni e gli strumenti
di coordinamento ed impulso delle attivita' e delle infrastrutture
che incidono sulla politica e sull'assetto del territorio).
Dopo l'entrata in vigore del nuovo Titolo V, piu' di una regione
ha introdotto normative di modifica delle leggi regionali in materia
di edilizia, in considerazione della propria competenza esclusiva
nella materia (l.r. Toscana 2 aprile 2002, n. 13, che ha introdotto
modifiche alla l.r. Toscana 14 ottobre 1999, n. 52, per adeguarsi
alla legge Cost. 18 ottobre 2001, n. 3: sia questa, sia altre leggi
regionali analoghe non risultano impugnate dallo Stato).
4.1. - La materia edilizia si distingue pertanto dalla materia
«governo del territorio», attribuita alla competenza concorrente
dall'art. 117, terzo comma Cost., che invece comprende «in linea di
principio, tutto cio' che attiene all'uso del territorio e alla
localizzazione di impianti o attivita» (Corte cost., 7 ottobre 2003,
n. 307, punto 5 della parte in diritto), quindi alla gestione di
molteplici interessi (afferenti alla politica delle grandi
infrastrutture, alla politica dello sviluppo economico, alla politica
agricola), che in parte limitano l'urbanistica, in parte se ne
differenziano.
4.2. - La materia edilizia e', altresi', materia distinta
dall'urbanistica, dal momento che assolve ad una funzione di mero
accertamento della sussistenza del titolo legittimante l'esecuzione
delle opere e, in caso negativo, delle sanzioni da applicare per la
sua mancanza.
Tenuto conto che il rilascio del titolo e', a sua volta,
vincolato alla conformita' urbanistica del progetto alla sovrastante
pianificazione particolareggiata e generale, come al rispetto delle
norme statali e regionali, risulta evidente che l'uso e la
trasformazione del territorio «si decide a monte», in sede di
strumentazione urbanistica o di legislazione statale e regionale, ma
non al momento della verifica e del rilascio del titolo.
In altre parole l'edilizia riguarda i criteri dell'edificazione,
mentre l'urbanistica ne delimita l'area di intervento e
l'organizzazione del territorio per la sua fruizione, secondo la
ripartizione che sussiste fra piano regolatore e programma di
fabbricazione da un lato e regolamento edilizio, dall'altro.
Anche ricomprendendo l'edilizia nella materia urbanistica, la
distinzione con la materia «governo del territorio» e' evidente.
L'urbanistica, in quanto disciplina dei centri abitati, non
implicante anche la gestione e il coordinamento piu' ampio degli
interessi connessi con il territorio (non solo edilizi, ma anche
economici, turistici, ambientali, ecc.) e' demandata alla
legislazione esclusiva regionale, con il limite rappresentato dalle
funzioni fondamentali attribuite agli enti locali direttamente dalla
legge dello Stato. Il «governo del territorio» (che investe il piu'
ampio coordinamento degli interessi che si radicano nel territorio)
spetta alla legislazione concorrente, con principi fondamentali
dettati dallo Stato e con norme di dettaglio emanate dalle Regioni.
L'art. 32 impugnato (ed in particolare la disciplina di cui ai
commi da 1 a 3 e da 14 a 41) detta norme di dettaglio e non cedevoli
in materia edilizia ed urbanistica al di fuori delle competenze
statali, con invasione della competenza «residuale» della Regione
ricorrente.
Illegittimita' dell'art. 32, d.l. 30 settembre 2003, n. 269 per
violazione dell'art. 117, terzo comma, 118, 119 della Costituzione.
5. - L'illegittimita' dell'art. 32, nel suo complesso e in
particolare dei commi 1-3, 25-38, 40 d.l. 30 settembre 2003, n. 269
sussiste anche se si ritiene che la materia edilizia rientri nella
materia urbanistica e che l'urbanistica sia a sua volta ricompresa
nel (o addirittura coincidente con il) «governo del territorio» di
cui al terzo comma dell'art. 117 Cost. (facendo rientrare, in
particolare, il controllo dell'attivita' edilizia nella definizione
dell'assetto urbanistico, facente parte del piu' ampio concetto di
governo del territorio).
Occorre, infatti, osservare che, anche considerando l'edilizia
quale materia ricompresa nel «governo del territorio» attribuita alla
competenza legislativa concorrente delle Regioni, a norma
dell'art. 117, terzo comma, Cost., la nuova formulazione operata
dalla riforma costituzionale della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3,
riserva allo Stato la sola «determinazione dei principi
fondamentali».
Si devono ritenere principi fondamentali «solo i nuclei
essenziali del contenuto normativo che quelle disposizioni esprimono
per i principi enunciati o da esse desumibili» (Corte cost., sent. 7
novembre 1995, n. 482), con un «livello di maggior astrattezza»
rispetto alle regole positivamente stabilite dal legislatore
regionale (Corte cost., 16 marzo 2001, n. 65).
Ora, pur considerando la funzione di tali principi in termini
ampi, di indirizzo e coordinamento delle competenze regionali per la
realizzazione di esigenze unitarie, la nuova formulazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost., rispetto a quella previgente
dell'art. l 17, primo comma, Cost., opera una netta distinzione fra
la competenza regionale a legiferare in queste materie e la
competenza statale, limitata alla determinazione dei principi
fondamentali della disciplina, «comunque risultanti dalla
legislazione statale gia' in vigore» (Corte Cost., 26 giugno 2002,
n. 282, in motivazione).
In definitiva, una volta accolto il duplice presupposto che su
tali materie:
a) il potere di legiferare spetta alle regioni;
b) la competenza dello Stato e' limitata alla determinazione
dei principi fondamentali della disciplina, non si vede in che modo
che si potrebbe giustificare l'adozione da parte di quest'ultimo, di
prescrizioni che principi non siano.
5.1. - In particolare, lo Stato, nella disciplina della materia
edilizia pur intesa quale materia a disciplina concorrente, rimane
titolare esclusivo per la definizione dei principi fondamentali, la
cui determinazione, nello stesso tempo, costituisce limite ed area
circoscritta della sua competenza, esclusa, pertanto, per la
disciplina di dettaglio.
Di qui, l'illegittimita' della norma di cui all'art. 32 d.l. 30
settembre 2003, che, da un lato, prevede, al secondo comma, che «la
normativa e' disposta nelle more dell'adeguamento della disciplina
regionale ai principi contenuti nel testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con d.P.R.
6 giugno 2001, n. 380, in conformita' al titolo V della Costituzione
come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 e,
comunque, fatte salve le competenze delle autonomie locali sul
governo del territorio», dall'altro, nei commi successivi, introduce
una disciplina di dettaglio sulla procedura di redazione della
domanda e di rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria,
specificando, gia' nel terzo comma, che «le condizioni, i limiti e le
modalita' del rilascio del predetto titolo abilitativo sono stabilite
dal presente articolo e dalle normative regionali», e prescrivendo
poi l'elencazione dei documenti da allegare alla domanda (comma 35),
cui puo' aggiungersi «ulteriore documentazione eventualmente
prescritta con norma regionale» (comma 35, lettera c), nonche' le
stesse modalita' di presentazione della domanda (comma 32).
E' evidente come queste norme di dettaglio, ivi compresi gli
allegati cui rinviano, sono da considerare illegittime in quanto
invasive della competenza, sia concorrente, sia residuale della
regione.
In particolare, risulta evidentemente di dettaglio e non
giustificata in alcun modo da esigenze di disciplina unitaria, la
precisazione negli allegati del decreto-legge impugnato delle
tipologie di abusi per i quali e' imposto di adottare il condono (v.
tabelle di cui all'allegato I) per tutto il territorio nazionale
(nn. 1, 2, 3), secondo modalita', condizioni e possibilita' fissate
dalle leggi regionali (nn. 4, 5, 6), senza che sia in alcun modo
possibile individuare il criterio che risulta seguito per consentire
una scelta cosi' drastica, che impone l'obbligo per le regioni di
sanare gli abusi piu' gravi e di scegliere se sanare o meno gli abusi
minori. Ancor piu' evidente e' l'illegittimita' della precisazione in
tutte le sue fasi della procedura per il rilascio della sanatoria
(nell'allegato I), nonche' della definizione delle misure delle
oblazioni, e dell'indicazione dello stesso modello di domanda, con le
modalita' di calcolo dell'oblazione, dell'anticipazione degli oneri
concessori e dei moduli dei relativi versamenti (sempre
nell'allegato I). Si tratta di dettagli e precisazioni sicuramente
capaci di ledere il diritto della regione di dettare tale disciplina.
Si puo' anche osservare che la stessa natura della disciplina,
dettata dall'art. 32 impugnato - che dispone una sanatoria con
riferimento alle intervenute violazioni delle norme di edilizia
vigenti - implica una violazione della competenza dello Stato a
definire i soli principi fondamentali della materia. Una disciplina
di sanatoria costituisce, infatti, come ampiamente sottolineato dalla
giurisprudenza di questa Corte e gia' indicato nei precedenti motivi
del presente ricorso, norma eccezionale e derogatoria rispetto
all'ordinato svolgimento dell'attivita' normativa regionale e della
attivita' legislativa dello stesso Stato. Costituisce una evidente
contraddizione affermare la natura di principio fondamentale di una
disciplina disposta in via d'urgenza come deroga ed eccezione
rispetto alla disciplina ordinaria.
Si deve anche ribadire che lo Stato prevede in modo obbligatorio
l'applicazione di misure di sanatoria, con riferimento a violazioni
piu' gravi (quali quelle relative a nuove costruzioni e
ristrutturazioni edilizie realizzate in assenza o in difformita' del
titolo abilitativi e non conformi alle norme urbanistiche ed alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici), prevedendo che le regioni,
con riferimento a tali abusi, possano soltanto stabilire un eventuale
aumento dell'oblazione e disciplinare il procedimento di condono,
peraltro in termini che sono gia' dettagliatamente indicati dallo
stesso legislatore statale. Laddove e' consentito alle regioni di
stabilire se sia ammissibile, ed a quali condizioni, il condono degli
abusi, minori (restauro, risanamento conservativo e manutenzione
straordinaria realizzata in assenza o difformita' del titolo
edilizio) (commi da 26 a 33 dell'art. 32 impugnato). E' evidente come
non si possa considerare ammissibile la fissazione, come principio
fondamentale, di criteri diretti a vincolare l'applicazione di una
sanatoria con riferimento a determinate tipologie di abusi. Il
criterio indicato dallo Stato conferma la volonta' di imporre alle
regioni una deroga inammissibile rispetto all'ordinato assetto del
territorio.
Illegittimita' dell'art. 32, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, per
violazione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione.
6. - La disciplina di sanatoria dettata dal legislatore statale
implica, come ovvio, l'attivazione di procedure e la realizzazione di
strutture idonee ad effettuare i controlli sulla regolarita' delle
domande di sanatoria e sull'accertamento dei presupposti per
l'applicazione della disciplina, che si riflettono in oneri rilevanti
sul piano dell'organizzazione amministrativa e dell'attivazione di
competenze tecniche, in grado di incidere in modo rilevante sulla
finanza locale.
La circostanza che la disciplina di sanatoria sia stata dettata
per finalita' connesse alle previsioni finanziarie dello Stato non
puo' in alcun modo escludere il controllo di legittimita'
costituzionale sotto questo profilo delle norme impugnate.
In primo luogo, la circostanza che la sanatoria sia in
particolare giustificata dalla ricerca di introiti per lo Stato
finalizzati al riequilibrio del bilancio complessivo della nostra
organizzazione centrale, permette di individuare un ulteriore sintomo
della irragionevolezza della disciplina statale e della
illegittimita' delle conseguenti interferenze che essa produce
sull'esercizio delle competenze costituzionalmente spettanti alla
regione.
In secondo luogo, la disciplina statale prevede che, solo in
minima parte, quanto viene introitato dallo Stato a seguito del
pagamento degli oneri correlati all'applicazione della sanatoria
venga poi finalizzato e attribuito direttamente agli enti locali.
In terzo luogo, la disciplina di sanatoria non si limita a creare
a carico delle amministrazioni locali obblighi connessi con le
singole situazioni di abuso che vengono sanate (con il correlato
onere di controllo, ma anche con l'eventuale possibilita' di
pretendere dai privati il pagamento dei contributi connessi al
rilascio delle concessioni). L'applicazione della disciplina di
sanatoria, anche e soprattutto in relazione al suo carattere di
reiterazione rispetto alle discipline del 1985 e del 1994, implica la
necessita' per gli enti locali della Regione Marche e per la stessa
Regione Marche di apprestare strumenti urbanistici o soluzioni di
governo del territorio che obblighino le collettivita' locali a
sostenere i costi sia sociali che materiali relativi alla
ridefinizione dell'assetto urbanistico in presenza delle opere
sanate; laddove la disciplina regionale, correttamente e
tempestivamente applicata, senza le deroghe oggi imposte dallo Stato
implicherebbe la demolizione delle eventuali opere abusive e
l'applicazione nei confronti di coloro che hanno commesso il relativo
illecito delle sanzioni, anche pecuniarie, che verrebbero incamerate
dagli enti locali.
Di qui la denunciata violazione delle competenze legislative e
amministrative, ma anche della stessa autonomia finanziaria
attribuita alle regioni dall'art. 119 Cost. Lesione tanto piu' grave
per la parte in cui la decisione di adottare la disciplina di
sanatoria costituisce una scelta unilaterale dello Stato in assenza
del necessario coordinamento con la finanza locale, secondo i
principi deducibili anche dall'art. 119, secondo comma, Cost.;
nonche' in assenza di qualsiasi previa consultazione con le regioni
(eludendo, mediante l'adozione del decreto-legge, il passaggio in
conferenze Stato-regioni ai sensi dell'art. 2, comma 3, del d.lgs.
n. 281 del 28 agosto 1997).
L'incostituzionalita' delle previsioni denunciate in questo
motivo deve essere estesa anche ai commi 6, 9 e 10 dell'art. 32, per
la parte in cui si prevede che sia «il Ministro delle infrastrutture
e dei trasporti ad individuare gli interventi da ammettere a
finanziamento tra quelli di riqualificazione urbanistica attivati
dalle regioni, peraltro avendo sentito soltanto la conferenza
unificata e senza la previsione di una intesa con le regioni
interessate» (comma 6), attribuendo al Ministro delle infrastrutture
e trasporti anche il compito di individuare gli ambiti di rilevanza
ed interesse nazionale oggetto di riqualificazione urbanistica,
ambientale e culturale, nonche' le aree comprese nel programma di
interventi di messa in sicurezza del territorio nazionale dal
dissesto idrogeologico - anche in questo caso, previa acquisizione
del parere della conferenza unificata, e senza la previsione di una
intesa con le regioni interessate. E' evidente come la attribuzione
al ministro, in assenza di intese con le regioni, di competenze
finalizzate ad individuare le modalita' di reperimento e
distribuzione dei finanziamenti, violi le norme che garantiscono
l'autonomia amministrativa e finanziaria delle regioni nonche'
confermi la violazione dei principi denunciata nel presente ricorso.
Illegittimita' costituzionale dell'art. 32 del d.l. n. 269 del
30 settembre 2003, per violazione degli articoli 117, 118 e 119 Cost.
7. - Nei commi da 14 a 20 e 24, la norma impugnata ammette la
sanatoria degli abusi sulle aree di proprieta' dello Stato.
Si prevede, infatti, che possano essere sanate le opere abusive
realizzate su tali aree, se ed in quanto lo Stato sia disponibile a
cedere la proprieta' dei terreni occupati dalle opere abusive.
E' evidente l'illegittimita' della previsione, sia con
riferimento a tutti i motivi gia' dedotti nella prima parte del
presente ricorso e che qui vengono espressamente richiamati, sia
perche' la decisione sull'ammissibilita' della sanatoria viene
riservata al soggetto proprietario dell'area e cioe' allo Stato,
senza che vi sia alcuna possibilita' di verifica e di contraddittorio
con gli enti locali interessati ed in particolare, in assenza di una
previa intesa con le regioni circa la possibilita' di cedere l'area e
di concedere il beneficio della sanatoria.
La censura si estende ovviamente anche al comma 24 dell'articolo,
che prevede un programma di interventi di riqualificazione delle aree
demaniali predisposto dall'agenzia del demanio, di concerto con il
Ministro delle infrastrutture e trasporti, senza che vi sia alcuna
previa intesa con le amministrazioni regionali.
Istanza di applicazione dell'art. 35 della legge n. 87 del 1953.
8. - Ai sensi dell'art. 35 della legge n. 87 del 1953, cosi' come
modificato dall'art. 9 della legge n. 131 del 2003, la Regione Marche
confida che questa Corte voglia sospendere l'esecuzione del
decreto-legge impugnato, per la parte in cui altera gravemente
l'assetto delle competenze costituzionalmente attribuite alla
ricorrente, provocando danni gravi ed irreparabili sotto molteplici
profili.
In primo luogo, la reiterazione di una disciplina di sanatoria di
questa natura incide negativamente nel rapporto di fiducia tra
cittadini ed istituzioni, favorendo lo sviluppo incontrollato di
iniziative tendenti a porre in essere opere abusive, in attesa della
prossima sanatoria. L'irragionevolezza della disciplina di sanatoria
e' lesiva degli interessi pubblici ad un ordinato assetto del
territorio, nonche' dei diritti dei cittadini ad un corretto ed
imparziale esercizio dei poteri pubblici in materia edilizia. In
altri termini, la possibilita' di sanare gli abusi edilizi, commessi
- anche dopo le due sanatorie concesse nel 1985 e nel 1994, lede non
soltanto l'affidamento dei cittadini nella corretta gestione del
territorio, ma anche direttamente i loro diritti ad un territorio
rispettoso dei valori costituzionali di cui all'art. 9, 32, 41 comma
42 della Costituzione.
In secondo luogo, la regione segnala il danno grave ed
irreparabile che deriva dall'applicazione delle norme di sanatoria e
dalla predisposizione degli strumenti amministrativi ed organizzativi
necessari per dare seguito alla disciplina statale. Gli oneri che la
regione dovrebbe sostenere per far fronte a quanto disposto dalla
legge statale non sono sufficientemente coperti dalle misure di
finanziamento indicate dall'art. 32 impugnato e sono comunque oneri
che non potrebbero piu' essere recuperati, in assenza di una
sospensione degli effetti del provvedimento legislativo del Governo.
In terzo luogo, lo strumento normativo adottato - il
decreto-legge ex art. 77 Cost. - rende impossibile una forma di
autotutela della regione, mediante atti normativi di segno contrario
ed obbliga invece la regione ad adottare norme vincolate nel
contenuto fino ai minimi dettagli, impedendo nel frattempo
l'esercizio dei poteri di repressione degli abusi edilizi.
Inoltre, la vigenza del decreto-legge implica, in attesa della
sentenza sul presente ricorso, una situazione di incertezza normativa
che incide sui cittadini destinatari della disciplina di sanatoria,
con riferimento a norme di rilevanza anche penale, favorendo - anche
sotto questo profilo - comportamenti capaci di dare luogo ad
ulteriori illeciti.
La stessa finalita' perseguita dal decreto-legge, quella di
ottenere entrate finanziarie ai fini del bilancio statale, pone in
evidenza l'urgenza di ristabilire un principio di legalita'
costituzionale inderogabile: l'impossibilita' di fondare le entrate
dello Stato sui comportamenti palesemente ed ingiustificatamente
illeciti dei cittadini; l'impossibilita' di usare la «clemenza» al
solo ed esclusivo scopo di incassare «denaro».


P. Q. M.
Si chiede che questa Corte voglia dichiarare l'illegittimita'
dell'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269, ed in
particolare dei commi 1, 2, 3, 5, 6, 9, 10, 13, 14, 15, 16, 17, 18,
19, 20, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38,
39, 40 e 41, per violazione degli articoli 3, 9, 25, secondo comma,
32, 41, 42, 77, 97, 117, 118, 119 Cost., previa adozione - ai sensi
dell'art. 35 della legge n. 87 del 1953 - del provvedimento di
sospensione della norma impugnata, in relazione all'irreparabile
pregiudizio agli interessi pubblici ed ai diritti dei cittadini
derivanti dalla sua applicazione.
Roma, addi' 12 novembre 2003.
Prof. avv. Stefano Grassi

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