|
N. 81 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 27 giugno 2006. |
|
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 27 giugno 2006 (della Regione Toscana)
(GU n. 35 del 30-8-2006) |
Ricorso per la Regione Toscana in persona del presidente pro
tempore, autorizzato con delibera della giunta regionale n. 451 del
19 giugno 2006, rappresentata e difesa, come da mandato in calce al
presente atto, dall'avv. Lucia Bora dell'Avvocatura regionale e
dall'avv. Fabio Lorenzoni del Foro di Roma, elettivamente domiciliato
presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via del Viminale n. 43;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto
legislativo 24 marzo 2006, n. 157, recante «Disposizioni correttive
ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in
relazione al paesaggio» (attuativo dell'art. 10, comma 4, della legge
delega 6 luglio 2002, n. 137), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale,
Serie generale, n. 97 del 27 aprile 2006, S.O. n. 102/2006, con
particolare riferimento agli articoli:
art. 12, che sostituisce l'art. 142, d.lgs. n. 42/2004, con
particolare riferimento ai commi 1 e 3 del novellato art. 142;
art. 13, che sostituisce l'art. 143, d.lgs. n. 42/2004, con
particolare riferimento al comma 4 del novellato art. 143;
art. 16, che sostituisce l'art. 146, d.lgs. n. 42/2004, con
particolare riferimento ai commi 3 e 8 del novellato art. 146;
art. 25, che modifica l'art. 157, d.lgs. n. 42/2004, nella parte in
cui inserisce al comma 1 del suddetto art. 157 la lettera f-bis);
art. 26, che sostituisce l'art. 159, d.lgs. n. 42/2004, con
particolare riferimento al comma 3 del novellato art. 159; per
contrasto con gli articoli 76, 114, 117 e 118 della Costituzione e
del principio di leale collaborazione, per i profili di seguito
indicati.
Con il decreto legislativo n. 157/2006, sono state modificate
alcune norme del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al
d.lgs. n. 42/2004, relative alla tutela dei beni paesaggistici. Con
dette modifiche, si realizza un sistema teso a rafforzare la
partecipazione dello Stato nell'esercizio delle funzioni
amministrative gia' attribuite alle regioni in materia di tutela e
valorizzazione del paesaggio.
Il decreto in parola ha ricevuto il parere negativo da parte
della Conferenza unificata, seduta del 26 gennaio 2006 (doc. 1), la
quale ha in particolare modo evidenziato, da una parte, la violazione
del principio di leale collaborazione nella fase di redazione del
decreto legislativo in esame e, dall'altra, l'inammissibile
accentramento della gestione delle funzioni amministrative in materia
di tutela paesaggistica operato dal decreto in parola, il quale ha
avuto l'effetto di «espropriare» - di fatto - le regioni (e gli enti
locali, da queste delegati) di potesta' riconosciute alle stesse gia'
a partire dal 1977, e cio' in contrasto con la valorizzazione delle
autonomie che si e' realizzata negli ultimi anni, anche a livello
costituzionale.
Va preliminarmente osservato che la materia in oggetto coinvolge
profili aventi un'incidenza su una pluralita' di interessi e di
oggetti, che non ricadono solo nell'esclusiva competenza statale in
materia di tutela dell'ambiente e dei beni culturali, ma attengono
anche a molteplici ambiti di competenza concorrente delle regioni
(cioe', il governo del territorio e la valorizzazione dei beni
culturali ed ambientali).
Come piu' volte messo in evidenza dalla Corte costituzionale,
infatti, «La tutela dei beni culturali, inclusa nel secondo comma
dell'art. 117 Cost. sotto la lettera s) tra quelle di competenze
legislativa esclusiva dello Stato, e' materia che condivide con altre
alcune peculiarita'. Essa ha un proprio ambito materiale, ma nel
contempo contiene l'indicazione di una finalita' da perseguire in
ogni campo in cui possano venire in rilevo beni culturali. Essa
costituisce anche una materia-attivita', come questa Corte l'ha gia'
definita (v. sentenza n. 26 del 2004), condividendo alcune
caratteristiche con la tutela dell'ambiente, non a caso ricompresa
sotto la stessa lettera s) del secondo comma dell'art. 117 della
Costituzione. In entrambe assume rilievo il profilo teleologico della
disciplina.
In tale ordine di idee questa Corte ha affermato che «la tutela
dell'ambiente», piu' che una «materia» in senso stretto, rappresenta
un compito nell'esercizio del quale lo Stato conserva il potere di
dettare standard di protezione uniformi, validi in tutte le regioni e
non derogabili da queste; e che cio' non esclude affatto la
possibilita' che leggi regionali, emanate nell'esercizio della
potesta' concorrente di cui all'art. 117, terzo comma, della
Costituzione o di quella «residuale», di cui all'art. 117, quarto
comma, possano assumere tra i propri scopi anche finalita' di tutela
ambientale (v. sentenza n. 307 del 2003, paragrafo 5 del Considerato
in diritto, nonche' sentenze n. 407 del 2002, n. 222 del 2003 e n. 62
del 2005). D'altra parte, mentre non e' discutibile che i beni
immobili di valore culturale caratterizzano e qualificano l'ambiente
- specie dei centri storici cui la norma impugnata si riferisce - ha
rilievo l'attribuzione della valorizzazione dei beni culturali alla
competenza concorrente di Stato e regioni.
Ai fini del discrimine delle competenze, ma anche del loro
intreccio nella disciplina dei beni culturali, elementi di
valutazione si traggono dalle norme del decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e paesaggistici). Tale
testo legislativo ribadisce l'esigenza dell'esercizio unitario delle
funzioni di tutela dei beni culturali (art. 4, comma 1) e, nel
contempo, stabilisce, pero', che siano non soltanto lo Stato, ma
anche le regioni, le citta' metropolitane, le province e i comuni ad
assicurare e sostenere la conservazione del patrimonio culturale e a
favorirne la pubblica fruizione e la valorizzazione (art. 1, comma
3). Inoltre, a rendere evidente la connessione della tutela e
valorizzazione dei beni culturali con la tutela dell'ambiente, sono
le lettere f) e g) del comma 4 dell'art. 10 del suindicato codice, le
quali elencano, tra i beni culturali, le ville, i parchi, i giardini,
le vie, le piazze e in genere gli spazi aperti urbani di interesse
artistico o storico.
Con riguardo a tale ultimo rilievo e' anche sotto altro, piu'
specifico, aspetto che viene in evidenza la competenza regionale.
La materia del governo del territorio, comprensiva
dell'urbanistica e dell'edilizia (v. sentenze n. 362 del 2003 e
n. 196 del 2004), rientra tra quelle di competenza legislativa
concorrente. Spetta percio' alle regioni, nell'ambito dei principi
fondamentali determinati dallo Stato, stabilire la disciplina degli
strumenti urbanistici. Ora, non v'e' dubbio che tra i valori che gli
strumenti urbanistici devono tutelare abbiano rilevanza non
secondaria quelli artistici, storici, documentari e comunque
attinenti alla cultura nella polivalenza di sensi del termine» (cfr.
Corte cost., sent. n. 232/2005).
Di recente, la Corte costituzionale nella sentenza n. 182/2006
(avente ad oggetto la l.r. della Toscana n. 1/2005, in relazione al
d.lgs. n. 42/2004, nella versione antecedente la riforma), ha
chiarito che «La tutela tanto dell'ambiente quanto dei beni culturali
e' riservata allo Stato (art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.),
mentre la valorizzazione dei secondi e' di competenza legislativa
concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.): da un lato, spetta allo
Stato il potere di fissare principi di tutela uniformi sull'intero
territorio nazionale, e, dall'altro, le leggi regionali, emanate
nell'esercizio di potesta' concorrenti, possono assumere tra i propri
scopi anche finalita' di tutela ambientale, purche' siano rispettate
le regole uniformi fissate dallo Stato.
Appare, in sostanza, legittimo, di volta in volta, l'intervento
normativo (statale o regionale) di maggior protezione dell'interesse
ambientale (sentenze n. 62, n. 232 e n. 336 del 2005)».
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, e' evidente che
l'intervento del legislatore statale in materia di paesaggio deve
svolgersi nel rispetto delle prerogative delle regioni
costituzionalmente garantite, assicurando alle stesse un ruolo
primario anche in considerazione del delicato intreccio tra diverse
materie, di competenza statale e regionale.
Il decreto in esame non sembra, invece, raccordarsi con il nuovo
quadro costituzionale e, sotto molti aspetti, le competenze regionali
risultano compresse (anche rispetto al quadro normativo di
riferimento antecedente la riforma del Titolo V); tutto cio' in
violazione degli articoli 76, 114, 117 e 118 Cost. ed in generale dei
principi costituzionali di sussidiarieta', adeguatezza e di leale
collaborazione.
Le norme impugnate del decreto legislativo n. 157/2006 sono
pertanto incostituzionali per i seguenti motivi di
D i r i t t o
1) Illegittimita' costituziona1e dell'art. 12 che sostituisce
l'art. 142, d.lgs. n. 42/2004, con particolare riferimento al comma 1
del novellato art. 142 in esame, nella parte in cui reintroduce
l'illimitata vigenza del vincolo paesaggistico per le categorie di
beni tutelati ai sensi della legge n. 431/1985, nonche' con
particolare riferimento al comma 3 dello stesso art. 142, nella parte
in cui preclude alle regioni di individuare con il piano
paesaggistico i corsi d'acqua irrilevanti dal punto di vista del
paesaggio, per violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost. e per
violazione del principio di leale collaborazione.
Contrariamente a quanto previsto nell'originaria versione
dell'art. 142, d.lgs. n. 42/2004, il novellato comma 1 dell'art. 142
in esame stabilisce ex lege la vigenza illimitata del vincolo
paaggistico con riferimento alle categorie di beni individuate dalla
legge n. 431/1985 (c.d. legge Galasso): e' stata pertanto eliminata
la possibilita' per le regioni, attraverso il piano paesaggistico, di
specificare e disciplinare tali beni sulla base di analisi puntuali
dei contesti regionali e dei relativi elementi caratterizzanti. Ai
sensi del successivo comma 3, e' inoltre precluso alle regioni la
facolta' di individuare, d'ora in avanti, nell'ambito del piano
paesaggistico i corsi d'acqua irrilevanti dal punto di vista del
paesaggio, sulla base di una verifica dei casi concreti.
In tal modo, le regioni vengono, di fatto, private del potere di
accertare l'adeguatezza della tutela paesaggistica in relazione alle
aree presenti sul proprio territorio, e quindi di verificare la
perdurante effettivita' del vincolo paesaggistico.
Cio' rappresenta un inammissibile passo indietro rispetto alle
prerogative riconosciute alle regioni dal previgente d.lgs.
n. 42/2004, il quale prescriveva ex lege la tutela paesaggistica dei
beni in parola, solo in via transitoria, e cioe' fino
all'approvazione e/o adeguamento del piano paesaggistico, con il
quale le regioni dettano la disciplina d'uso e di tutela dei beni,
sulla base delle specifiche esigenze di salvaguardia, attualizzando i
vincoli posti in modo astratto ed a prescindere dalla reale
consistenza dei beni.
Non solo, la nuova previsione normativa ha l'effetto di
vanificare tutta l'attivita' nel frattempo gia' posta in essere dalle
regioni - proprio in attuazione del previgente d.lgs. n. n. 42/2004 -
in vista della riconsiderazione delle categorie dei beni tutelati ex
lege e della loro individuazione sul proprio territorio.
Pertanto le disposizioni in esame incidono in maniera rilevante
sullo svolgimento delle funzioni, attinenti al governo del
territorio, alla valorizzazione dei beni culturali ed ambientali,
riservate alla potesta' concorrente delle regioni, ai sensi
dell'art. 117, terzo comma, Cost.
Inoltre le norme in questione sono incostituzionali anche per
violazione dell'art. 118 Cost. e del principio della leale
collaborazione.
Essendo infatti indubbio che l'individuazione dei beni da
tutelare ed il regime di tutela incidono sulle competenze regionali,
i medesimi dovrebbero essere statuiti d'intesa con le regioni (in tal
senso, Corte cost., sentenze n. 303 del 2003; n. 6/2004, n. 62,
n. 242, n. 285 e n. 383 del 2005).
Tanto e' vero che il previgente d.lgs. n. 42/2004 rimetteva al
piano paesaggistico - elaborato dalle regioni d'intesa con lo Stato -
la concreta individuazione delle aree da tutelare.
Ora, invece, il legislatore statale ha previsto direttamente i
beni da sottoporre a tutela e cio' in modo unilaterale: di qui i vizi
eccepiti.
Si eccepisce, inoltre, l'eccesso di delega, in quanto la legge
delega cui il Governo, con il decreto n. 157 in parola, intende dare
attuazione, prevede esclusivamente l'introduzione di limitate
disposizioni correttive e/o integrative rispetto al testo normativo
previgente, che risultino necessarie alla luce di un primo
monitoraggio della sua applicazione (cfr. art. 10, comma 4, legge
n. 137/2002): la modifica sopra evidenziata, invece, introduce - per
i profili in esame - rilevanti innovazioni rispetto al sistema
delineato con l'approvazione del d.lgs. n. 42/2004, cio' in
violazione dell'art. 76 Cost. e, come gia' visto, la violazione
eccepita incide conseguentemente sulle prerogative regionali in
materia di governo del territorio e valorizzazione dei beni
ambientali, ex artt. 117, terzo comma e art. 118 Cost. le quali
risultano senz'altro compromesse dalla mancata previsione della
possibilita' per le regioni di riconsiderare le categorie di beni
tutelate ex lege, con specifico riferimento al proprio territorio.
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, che sostituisce
l'art. 143, d.lgs. n. 42/2004, con particolare riferimento al comma 4
del novellato art. 143 in esame, nella parte in cui prevede che il
parere della Soprintendenza nel procedimento autorizzatorio sia oltre
che obbligatorio anche vincolante, fino all'approvazione del piano
paesaggistico elaborato di intesa; nonche' illegittimita'
costituzionale dell'art. 16 che sostituisce l'art. 146, d.lgs.
n. 42/2004, con particolare riferimento ai commi 3 e 8 del novellato
art. 146 in esame: il comma 3, nella parte in cui prevede che il
parere della Soprintendenza, ai fini autorizzatori, e' sempre
vincolante, allorche' la regione abbia delegato le funzioni
amministrative ai comuni; il comma 8, laddove prevede che, fino
all'approvazione del piano paesaggistico elaborato di intesa, il
parere della Soprintendenza, ai fini dell'autorizzazione, e'
vincolante; per violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost. e per
violazione del principio di leale collaborazione.
Gli articoli citati in epigrafe stabiliscono che il parere
espresso dalla Soprintendenza, in sede di procedimento per il
rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, non e' piu' solo
obbligatorio, ma diventa anche vincolante. In particolare e'
vincolante il parere, nelle ipotesi in cui:
a) il piano paesaggistico non sia stato elaborato
congiuntamente tra Stato e regione (art. 143, comma 4 e art. 146,
comma 8, cosi' come sostituiti, rispettivamente, dall'art. 13 e
dall'art. 16 del d.lgs. n. 157/2006), e cioe' secondo le forme di
co-decisone previste dal novellato art. 143, comma 3 (ossia: stipula
dell'intesa Stato-regione per l'elaborazione congiunta del Piano
paesaggistico; accordo preliminare sul contenuto del Piano;
approvazione del Piano elaborato congiuntamente da parte della
regione; eventuale esercizio del potere sostitutivo da parte dello
Stato in caso di inerzia della regione);
b) la regione decida - in deroga a quanto stabilito dal
Codice dei beni culturali e paesaggistici attualmente vigente - di
affidare le funzioni in materia di autorizzazione paesaggistica ai
comuni e non alle province e/o comunque ad enti aventi ambito
sovracomunale (art. 146, comma 3, cosi' come sostituito dall'art. 16
del d.lgs. n. 157/2006).
Le previsioni in esame determinano un'illegittima ingerenza dello
Stato nelle funzioni amministrative in materia di autorizzazioni
paesaggistiche affidate, per espressa disposizione dello stesso
Codice, alle regioni: ed infatti l'art. 146, comma 2, cosi' come
sostituto dall'art. 16 del d.lgs. n. 157/2006 afferma che «I
proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni
indicati al comma 1, hanno l'obbligo di sottoporre alla regione o
all'ente locale al quale la regione ha delegato le funzioni i
progetti delle opere che intendano eseguire, corredati della
documentazione prevista, affinche' ne sia accertata la compatibilita'
paesaggistica e sia rilasciata l'autorizzazione a realizzarli».
Per contro, vincolare la decisione sull'autorizzazione
paesaggistica alle determinazioni della Soprintendenza significa
privare la regione, e/o l'ente da questa individuato, dell'effettivo
esercizio della funzione autorizzatoria in parola. L'espressione di
un parere vincolante da parte della Soprintendenza - di fatto -
determina l'esclusiva competenza dello Stato in ordine alla
valutazione di merito sulle autorizzazioni ambientali, relegando le
regioni, e/o gli enti locali da queste individuati, ad un ruolo
meramente esecutivo di determinazioni assunte dall'organo statale.
A questo proposito, la Corte costituzionale, con la recente
sentenza n. 183/2006, ha ritenuto costituzionalmente legittimo il
parere vincolante della Soprintendenza nei procedimenti di
accertamento di conformita' paesaggistica degli abusi, solo perche'
limitato ai profili penali; infatti nella sentenza e' chiarito che
«gli effetti dell'accertamento di conformita' appaiono limitati alla
punibilita' degli abusi, che non investe le sanzioni amministrative,
ne' quelle edilizie, ma neppure quelle paesaggistiche. Ai fini del
riparto delle competenze, dunque, la potesta' autorizzatoria
regionale non appare scalfita».
Contrariamente all'orientamento espresso dalla Corte
costituzionale nella su richiamata sentenza, le disposizioni in
esame, definiscono, in concreto, il potere decisionale in ordine alle
autorizzazioni paesaggistiche in capo all'organo statale, non si
verte quindi nell'ambito di rilevanza penale delle fattispecie, ed
hanno pertanto peculiari ricadute anche in ambiti attribuiti alla
competenza concorrente delle regioni, quali il governo del territorio
(in particolare sotto i profili urbanistico ed edilizio) e la
valorizzazione dei beni ambientali, oltre ad incidere pesantemente
sulla potesta' autorizzatoria regionale, cosi' come confermata anche
dal novellato Codice dei beni culturali e paesaggistici: e' quindi
evidente il mancato rispetto da parte della disciplina in esame degli
artt. 117 e 118 Cost.
In particolare, l'intervento statale non puo' ritenersi
giustificato ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. s), in quanto -
come gia' rilevato - la Corte costituzionale ha avuto piu' volte
occasione di affermare, sia nell'ambito del previgente quadro
costituzionale di riferimento, sia alla luce della riforma del Titolo
V della Costituzione operata con legge cost. n. 3/2001, che il
paesaggio, cosi' come l'ambiente, va configurato come un «valore»
costituzionalmente protetto, ossia come ambito materiale la cui
tutela e' idonea a investire trasversalmente una pluralita' di
materie, al cui perseguimento sono chiamati a contribuire,
nell'ambito delle rispettive competenze, tutti livelli territoriali
di governo (cfr. Corte cost. n. 407/2002; n. 96/2003; n. 259/2004;
con riferimento alla giurisprudenza antecedente la riforma del Titolo
V si vedano, tra le altre, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382
del 1999, n. 273 del 1998) e, quindi, la competenza statale relativa
alla tutela ambientale e paesaggistica non puo' intervenire in
maniera cosi' incisiva - come e' nel caso di specie - nelle
attribuzioni proprie delle regioni.
Inoltre, subordinare il rilascio dell'autorizzazione al parere
vincolante della Soprintendenza significa che l'autorita' preposta
alla gestione del vincolo (regione o enti locali cui le regioni
abbiano trasferito la funzione) non potra' discostarsi da quel
parere: com'e' noto, infatti, e' affermato che i pareri vincolanti
sono costitutivi del contenuto del provvedimento.
Ne deriva che, nelle indicate fattispecie, chi decide in merito
alla autorizzazione paesaggistica e' la Soprintendenza e che non vi
e' possibilita' per la regione - ovvero per gli enti locali cui le
regioni abbiano trasferito le funzioni - di far valere eventualmente
diverse valutazioni in ordine alla compatibilita' dell'opera
proposta.
Attraverso la previsione del parere vincolante, in realta' la
funzione di valutare detta compatibilita' viene allocata in capo allo
Stato.
Cio' contrasta, pero', con l'art. 118 della Costituzione, perche'
tale allocazione non e' sorretta da esigenze di carattere unitario.
In denegata ipotesi la norma resterebbe comunque incostituzionale
per violazione dell'art. 118 della Costituzione perche' non sono
previste adeguate procedure d'intesa con le regioni, invece
imprescindibili, in caso di allocazione in capo allo Stato di
funzioni che interferiscono con materie di competenza regionale. Non
vi e' dubbio che nel caso in esame sussista detta interferenza, posto
che la valutazione in ordine al rilascio dell'autorizzazione
paesaggistica incide anche, e in modo consistente, sull'assetto
urbanistico ed edilizio e sulla pianificazione territoriale, di
competenza regionale.
In altri termini, un siffatto accentramento non puo'
giustificarsi con il principio di sussidiarieta' (in senso
ascendente), in quanto - come insegnato dalla Corte costituzionale
nella nota sentenza n. 303/2003 - avrebbero dovuto essere comunque
previste adeguate forme di concertazione, al fine di tutelare le
istanze regionali costituzionalmente garantite, in un ambito che
involge molteplici profili di competenza concorrente delle regioni.
Al contrario, alla luce delle recenti modifiche al Codice, la
mancanza di intesa tra Stato e regione nella redazione del piano,
costituisce proprio uno dei presupposti per la allocazione del potere
di autorizzazione in capo allo Stato, senza alcun coinvolgimento
delle regioni.
Per tutto quanto fin qui detto, si eccepisce la violazione degli
artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.
Infine anche con riferimento alle norme in esame si eccepisce il
vizio dell'eccesso di delega, in quanto dette disposizioni,
apportando rilevanti innovazioni al previgente d.lgs. n. 42/2004,
contrastano con i principi ed i criteri direttivi di cui all'art. 10,
comma 4, legge n. 137/2002 (che - come gia' visto al punto 1 del
presente ricorso - ammette solo interventi correttivi ed integrativi
del d.lgs. n. 42/2004), in violazione dell'art. 76 Cost.
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 16 che sostituisce
l'art. 146, d.lgs. n. 42/2004, con particolare riferimento al comma 3
del novellato art. 146 in esame, in quanto prevede che la regione
deleghi le funzioni in materia di autorizzazione paesaggistica alle
province e/o a forme associative sovracomunali, per contrasto con gli
artt. 76, 114, 117 e 118 Cost.
La norma in esame vincola le regioni, che decidano di non
esercitare direttamente la funzione autorizzatoria, individuando ex
lege i possibili destinatari di tali competenze nelle province e/o
nelle forme associative e di cooperazioni degli enti locali di
livello sovracomunale.
Si osserva che le funzioni amministrative concernenti la
gestione del vincolo paesaggistico e, quindi, la competenza in ordine
al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, sono state attribuite
alle regioni gia' dall'art. 82 del d.P.R. n. 616/1977; detta
competenza e' stata poi confermata dall'art. 146 del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, anche nella versione modificata
dal d.lgs. n. 157/2006 in esame (cfr. art. 146, comma 2, cosi' come
sostituito dall'art. 16, d.lgs. n. 157/2006).
La Regione Toscana, per parte sua, ha dapprima sub-delegato ai
comuni le funzioni autorizzatorie in parola con l.r. n. 52/1979, ed
ha quindi confermato la competenza dei comuni al rilascio delle
autorizzazioni con la recente l.r. 1/2005 (artt. 87 e ss.).
La norma lede l'autonomia delle regioni nell'organizzazione delle
funzioni autorizzatorie, loro attribuite dallo stesso Codice dei beni
culturali ed ambientali.
Secondo l'insegnamento della Corte costituzionale nella gia'
richiamata sentenza n. 303/2003, l'allocazione della funzione
amministrativa «non puo' restare senza conseguenze sull'esercizio
della funzione legislativa, giacche' il principio di legalita' impone
che anche le funzioni assunte per sussidiarieta' siano organizzate e
regolate dalla legge».
Dunque la Corte costituzionale ha posto il principio per cui la
titolarita' della funzione amministrativa abilita lo Stato o la
regione, titolari della funzione stessa, anche ad organizzarla e
regolarla, e cio' in ossequio ai canoni fondanti dello Stato di
diritto. Nello stesso senso la Corte costituzionale ha affermato che
«le funzioni amministrative, inizialmente conferite alle regioni,
possano essere attribuite agll enti locali» (Corte cost. sent.
182/2006); inoltre «poiche' la competenza a rilasciare le
autorizzazioni per lo svolgimento delle attivita' previste dalla
legge impugnata spetta alla regione, la delega da quest'ultima alle
province del relativo potere autorizzatorio non e' illegittima in
quanto non risulta lesiva di alcun principio costituzionale ed, anzi,
e' coerente con il principio di sussidiarieta» (sent. n. 259/2004;
nello stesso senso anche sent. 214/2005).
Per contro, la norma censurata, limitando la facolta' delle
regioni - cui sono attribuite le competenze autorizzatorie e, in
generale, la gestione dei vincoli paesaggistici - di individuare gli
enti cui conferire le funzioni in parola, interviene illegittimamente
nell'ambito di autonomia proprio delle regioni stesse per la
disciplina e l'organizzazione di dette funzioni e cio' in violazione
degli artt. 117 e 118 Cost., ed in particolare, in violazione dei
principi di sussidiarieta' ed adeguatezza.
Va inoltre sottolineato come l'art. 16, d.lgs. n. 157/2006, nel
modificare il d.lgs. n. 42/2006, reintroduca il concetto di «delega»
delle funzioni amministrative non piu' ammessa dall'art. 118 Cost. il
quale prevede il pieno conferimento delle funzioni agli enti locali
nel rispetto dell'art. 114 Cost. che sancisce la equi-ordinazione
degli enti medesimi.
Infine, anche con riferimento all'articolo in parola, che
introduce senz'altro una norma innovativa al d.lgs. n. 42/2004, si
eccepisce l'eccesso di delega e, quindi, la violazione dell'art. 76
Cost., per le considerazioni gia' esposte ai punti 1 e 2 del presente
ricorso, cui si rinvia.
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 25 che modifica
l'art. 157, d.lgs. n. 42/2004, nella parte in cui inserisce al comma
1 del suddetto art. 157 la letter s), nella parte in cui stabilisce
che conservano efficacia a tutti gli effetti i provvedimenti di
imposizione dei vincoli paesaggistici, emanati in attuazione della
legge n. 431/1985, per violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost. e
per violazione del principio di leale collaborazione.
La disposizione in esame reintroduce la validita' dei vincoli
paesaggistici imposti in via transitoria, con i decreti ministeriali
emanati ai sensi della legge Galasso.
La norma in esame prevede infatti che «Fatta salva l'applicazione
dell'articolo 143, comma 6, dell'articolo 144, comma 2 e
dell'articolo 156, comma 4, conservano efficacia a tutti gli effetti:
(...) f-bis) i provvedimenti emanati ai sensi dell'articolo 1-ter del
decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni,
dalla legge 8 agosto 1985, n. 431»
Tuttavia detti vincoli risultano, quanto meno con riferimento
alla Regione Toscana, superati e/o ridefiniti attraverso la
pianificazione paesaggistica.
Ripristinare detti vincoli, anche in contrasto con i piani
paesaggistici gia' predisposti dalle regioni, a prescindere da una
concreta valutazione dell'effettiva esigenza di tutela dei beni in
questione, determina evidentemente un'inammissibile ingerenza nelle
funzioni regionali in materia di governo del territorio e di
valorizzazione dei beni ambientali e culturali.
Anche sotto tale profilo, inoltre, si evidenzia la mancata
previsione di forme di concertazione idonee con le regioni,
nonostante che con la disposizione in esame si creino forti vincoli
al potere delle regioni di pianificare e/o programmare il proprio
territorio, sia da un punto di vista urbanistico che edilizio (cfr.
in tal senso Corte cost., sentenze n. 303 del 2003; n. 6/2004, n. 62,
n. 242, n. 285 e n. 383 del 2005, gia' citate).
Cio' in violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di
leale collaborazione.
Infine, anche con riferimento all'articolo in parola, che
introduce senz'altro una norma innovativa al d.lgs. n. 42/2004, si
eccepisce l'eccesso di delega e, quindi, la violazione dell'art. 76
Cost., per le considerazioni gia' esposte ai punti 1 e 2 del presente
ricorso, cui si rinvia.
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 26 che sostituisce
l'art. 159, d.lgs. n. 42/2004, con particolare riferimento al comma 3
del novellato art. 159 in esame, in quanto estende il potere di
annullamento dell'autorizzazione paesaggistica da parte della
Soprintendenza, anche per motivi di merito, per violazione degli
artt. 76, 117 e 118 Cost. e per violazione del principio di leale
collaborazione.
La disposizione in esame rafforza il potere della Soprintendenza
nel rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, sino
all'adeguamento del piano paesaggistico elaborato d'intesa dalla
regione con lo Stato, in quanto introduce - diversamente da quanto
previsto dall'originario d.lgs. n. 42/2004 - la possibilita' della
Soprintendenza di intervenire per l'annullamento delle autorizzazioni
rilasciate dall'ente competente, alla luce di valutazioni non piu'
solo attinenti alla legittimita' dell'autorizzazione ma anche al
merito del provvedimento autorizzatorio. Infatti la norma in esame
dispone che «La soprintendenza, se ritiene l'autorizzazione non
conforme alle prescrizioni di tutela del paesaggio, dettate ai sensi
del presente Titolo» puo' annullarla, con provvedimento motivato,
entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa,
completa documentazione. Si applicano le disposizioni di cui
all'articolo 6, comma 6-bis, del decreto del Ministro per i beni
culturali e ambientali 13 giugno 1994, n. 495».
Detta previsione, cosi' come le norme che introducono la
vincolativita' del parere della Soprintendenza (cfr. punto 2 del
presente ricorso), determinano un inammissibile accentramento delle
funzioni in materia di autorizzazione paesaggistica, la cui effettiva
gestione e' in definitiva individuata in capo allo Stato (per il
tramite delle Soprintendenze).
E' infatti evidente che la previsione di un cosi' penetrante
potere di «vigilanza» statale, si risolve nell'esercizio unilaterale
da parte dello Stato della funzione autorizzatoria, attraverso
determinazioni aventi quindi rilevanti ricadute sull'assetto
urbanistico ed edilizia del territorio, di competenza regionale, ma
senza la garanzia di adeguati modelli concertativi aderenti al
principio di leale collaborazione piu' volte richiamato dalla Corte
costituzionale (cfr. Corte cost., sentenze n. 303 del 2003;
n. 6/2004, n. 62, n. 242, n. 285 e n. 383 del 2005, gia' citate).
Cio' in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost. e con il
principio di leale collaborazione.
Infine, anche con riferimento all'articolo in parola, che
introduce, senz'altro una norma innovativa al d.lgs. n. 42/2004, si
eccepisce l'eccesso di delega e, quindi, la violazione dell'art. 76
Cost., per le considerazioni gia' esposte ai punti 1 e 2 del presente
ricorso, cui si rinvia.
P. Q. M.
Si conclude affinche' l'ecc.ma Corte costituzionale voglia
dichiarare costituzionalmente illegittime le disposizioni qui
impugnate del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157, recante
«Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio», per le ragioni e
sotto i profili illustrati nel presente ricorso.
Si depositano:
1) il verbale della Conferenza unificata del 26 gennaio 2006;
2) la delibera della giunta regionale n. 451 del 19 giugno
2006.
Firenze-Roma, addi' 25 giugno 2006
Avv. Lucia Bora - Avv. Fabio Lorenzoni
|